In Arte settembre/ottobre 2012

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â‚Ź 1,50 anno VIII - num. 05 - settembre/ottobre 2012 Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ


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Redazione

Sommario Editoriale

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Redazione Largo Pisacane 15, 85100 - Potenza Tel. 0971 25683 Mobile 330 798058 - 392 4263201 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca - editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Caporedattore Giuseppe Nolé Addetto stampa Francesco Mastrorizzi - informazioni@in-arte.org Impaginazione Basileus soc. coop. - www.basileus.it Stampa Grafica Cirillo sas, Scafati (SA) Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. - associazionearca@alice.it Autorizzazione del Tribunale di Potenza n. 337 del 5 ottobre 2005 Iscrizione al ROC n. 19683 del 13 maggio 2010 Registrazione ISSN n. 1973-2902 Chiuso per la stampa: 4 ottobre 2012 In copertina:

Paolo Antonini, In volo per Marte, olio su tela, cm 70x50. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.

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Incontro di popoli di Giuseppe Nolé .......................................................... pag. 4

Eventi

Il Palco dei Colori di Lauramaria Figundio.................................................. pag. 5 Vicolinarte 2012 di Marianna Zaccagnino................................................ pag. 7 WeeCom: in fiera le arti della comunicazione di Franco Torraca.......................................................... pag. 8

Special Cromie

Paolo Antonini: sulle tracce della Nuova Metafisica di Eleonora D’Auria...................................................... pag. 10 Riccardo Badalà: espressioni dell’essere di Francesco Mastrorizzi.............................................. pag. 12 Tratti di creatività: Diego Sly Colussi di Angela Delle Donne................................................... pag. 14 Vincenzo Mascoli: collage di vite di Sonia Gammone........................................................ pag. 16 Piani e colori: giochi di spazi di Pino Nardelli di Laura Redondi........................................................... pag. 18 Salvatore Sebaste. Colori e profumi fra mito e realtà di Deianira Amico.......................................................... pag. 20

Ritagli

Emilia: il patrimonio ferito di Marcella De Filippo.................................................... pag. 22

Direzioni

La nuova arte americana: J. Cornell e le shadow boxes di Giulia Smeraldo......................................................... pag. 23

fotoCromie

Giovanni Salvatore: i luoghi del vivere di Fiorella Fiore ............................................................. pag. 24

cineCromie

Cinema, territorio e sostenibilità al Maratea Film Festival di Giovanna Russillo...................................................... pag. 26

Sipari

Alice: il peso di un nome di Annalisa Signore....................................................... pag. 28

Art Tour

a cura di Francesco Mastrorizzi.................................... pag. 30


Incontri di popoli di Giuseppe Nolé

È di strettissima attualità, in queste settimane, lo scontro religioso-culturale tra Oriente islamizzato ed Occidente cristianizzato, come se fra il mondo islamico e quello occidentale ci sia da sempre stata una barriera invalicabile, che si va sgretolando solo ora. Nulla di più errato: cultura islamica e cultura europea ed occidentale sono state vicine, connesse, interdipendenti addirittura lungo tutto il corso dei secoli. E l’arte lo testimonia. Il Rinascimento è per certo l’arte più bella dell’Europa, che partendo dalla Firenze dei Medici agli inizi del 1400, conquistò tutto l’Occidente: troviamo elementi musulmani in molti pittori rinascimentali, del Gotico internazionale e nei pittori del Quattrocento: Gentile da Fabriano, Stefano da Verona, Piero della Francesca, Gozzoli, Vivarini, Mantegna. Di ispirazione islamica è infatti la decorazione dell’appartamento Borgia in Vaticano (1494) dovuta al Pinturicchio. L’esempio più bello dell’intreccio con l’Islam sembrerebbe però venire da Leonardo da Vinci: egli raffigura, in un disegno, un feto nella matrice nella posizione “dal vivo” in un’epoca in cui, in Occidente, erano difficilmente possibili le ricognizioni sul cadavere, e nulle quelle sul vivo. Alcuni studi sostengono che egli abbia copiato la miniatura di un codice musulmano di Îbn Nafîs (1203-1288), Lettera sul trattato di ginecologia di `Arîb bn Sa`d âlKâtib; il codice sarebbe stato in suo possesso essendoselo fatto inviare, con altri testi di astronomia e di macchine autòmate, dal sultano di Istanbul, cui aveva chiesto con varie lettere di poter entrare al servizio. La presenza dell’Islam in Europa ha più di mille anni, e da oltre mille anni essa ha portato linfa nuova e corrispondenze felici, in un interscambio culturale che continua ancor oggi, nonostante le continue incomprensioni di questi ultimi tempi.

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Eventi È stato inaugurato lo scorso 9 agosto a Satriano di Lucania (PZ) il museo Il Palco dei colori, dedicato al pittore satrianese Giovanni de Gregorio detto il Pietrafesa, dall’antico nome del piccolo paese lucano. Il progetto, promosso dal Comune di Satriano, ideato e realizzato all’interno della rocca Duca di Poggiardo dall’associazione Culturale Labirinto Visivo, sotto la direzione scientifica del Prof. Angelo Lucano Larotonda, dell’Università della Basilicata, si propone, con chiaro intento didattico, di condurre lo spettatore attraverso il Seicento Lucano, per far conoscere il genio creativo del Pietrafesa e le sue opere, utilizzando raffinate tecnologie multimediali grazie alle quali è il Pietrafesa stesso a “rivivere” e guidare il pubblico. Giovanni de Gregorio emerge nel panorama della pittura seicentesca lucana per essere stato allievo della bottega di Fabrizio Santafede, tra i grandi artisti della pittura napoletana a cavallo fra Cinquecento e Seicento, poco prima che la rivoluzione caravaggesca ne segnasse tratti, temi e colori.

Il Palco dei Colori di Lauramaria Figundio

Il Pietrafesa colse dal suo maestro Santafede quel pacato naturalismo che non a caso, per quell'impronta manierista tosco-romana, ponderta e addolcita grazie al recupero di modelli antichi, gli fece meritare l’appellativo di “Raffaello napoletano". Ma lo stile del Pietrafesa non fu immune alla pittura fiamminga e dei barocceschi napoletani, con i toni di colore accentuati dalla pittura pastosa, tanto che il De Dominici evidenziò la «freschezza mirabile di colore, ed una vaghezza che incanta, massimamente ne’ panni cangianti che son meravigliosi». Nonostante si collochi la data di nascita del pittore intorno al 1579, grazie al documento notarile del 1595 con il quale Santafede prende a bottega per 6 anni il sedicenne Pietrafesa, la ricostruzione del suo apprendistato è piuttosto ardua poiché non ci sono pervenute altre fonti archivistiche. Si sa, però, della sua prima opera firmata, la Pietà custodita nella chiesa di San Francesco a Potenza, che risale al 1608. La formazione napoletana nella bottega di un

Uno dei desk multimediali, all’interno della Quinta Cafro, grazie ai quali scorrere la produzione del Pietrafesa.

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Immagini e giochi di luce proiettati all’interno della Quinta Robbia.

maestro di livello quale il Santafede, nonché le indubbie qualità della sua produzione artistica garantiscono al Pietrafesa un ruolo di prestigio nella scena artistica della periferica Lucania. La sua produzione pittorica, presente tra Basilicata, e Cilento spesso in chiese appartenenti all’ordine Francescano, testimoniano una fiorente attività, soprattutto fino alla metà degli anni Trenta del Seicento. Gli ultimi lavori sono datati fra gli anni Quaranta (Madonna con Bambino e Santi Francesco d’Assisi, Lorenzo e Domenico, del 1649, nella Chiesa di Sant’Antonio a Balvano) e Cinquanta, (Crocifissione con San Domenico del 1653 nella chiesa materana delle Domenicane). La ricostruzione degli ultimi anni del pittore si deve ad alcuni documenti riferiti ad un figlio del de Gregorio, Giuseppe, anch’egli pittore, anni che trascorrerà a Pietrafesa dove morirà intorno al 1637. Rendere fruibile l’opera del Pietrafesa, quindi è una sfida che i curatori hanno vinto studiando, all’interno

delle sale della Rocca (il Proscenio e le Quinte Robbia, Cafro e Zafferano) un percorso in cui lo spettatore, grazie a innovativi sistemi multimediali, può decidere quali contenuti artistici scegliere, mescolandoli con le proprie personali sensazioni, ottenendo un’esperienza sensoriale prima che culturale, che conduce dalla conoscenza del contesto storico, alla scoperta dell’artista e delle sue opere che è possibile ammirare su tre desk multimediali: con semplici gesti è possibile rintracciare, seguendo la propria curiosità, la produzione artistica del Pietrafesa, seguendone il percorso geografico o tracciandone il percorso storico critico, fino ad ammirare ad altissima risoluzione le pitture riuscendo a delineare nitidamente i tratti come ci si trovasse di fronte la tela. Una scelta affascinante che, superando barriere architettoniche e spazio temporali riesce ad incuriosire lo spettatore, a coinvolgerlo nella visita non più come semplice fruitore.

Il grande libro digitale che lo spettatore può sfogliare all’interno della Quinta Zafferano.

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Eventi Una quattro giorni dedicata all’arte si è svolta tra il 19 e il 22 luglio 2012 nei vicoli del borgo lucano di Possidente: un modo semplice e attraente per coinvolgere i cittadini e allo stesso tempo far conoscere il luogo a un pubblico più ampio. È stato così possibile ammirare le opere di artisti più o meno noti, tutti lucani di nascita o di adozione, maestri che espongono da anni e chi per la prima volta portava in mostra il proprio talento, la propria passione, tutti insieme, all’insegna del motto “arte tra presente, passato e futuro”, per un confronto tra contemporaneo e tradizione in uno spazio privilegiato. Ed è anche con questo spirito che l’Associazione socio-culturale “Il Carpine” ha promosso e organizzato la XIV edizione della mostra artistica Vicolinarte, una manifestazione che si svolge sempre con successo, dovuto sicuramente anche allo scenario che lo spettatore si trova davanti: il borgo di Possidente, che in queste sere si trasforma in pinacoteca a cielo aperto e, quando i vicoli, simbolo di quotidianità, si rinnovano diventando sale espositive, l’atmosfera si fa più interessante e accattivante. A inaugurare questo evento è stato Giuseppe Coviello dell’Associazione “Il Carpine”, nell’incontro di apertura tenutosi in una piazza Massimo Troisi gremita di gente, artisti, curiosi e amanti dell’arte. Assieme a Francesco Possidente, presidente de “Il Carpine”, è intervenuta anche la nostra redazione, con Fiorella Fiore, storico dell’arte, che ha posto una nota sulla pluralità di artisti che la manifestazione ha

Vicolinarte 2012 di Marianna Zaccagnino

avvicinato in tutti questi anni, e Annalisa Signore, esperta di promozione del territorio, che ha sottolineato la tenacia e la costanza degli organizzatori, elementi importanti per un’iniziativa come questa. In mostra opere di pittura, scultura, artigianato artistico e fotografia. Hanno partecipato con i loro dipinti Mario Bochicchio, Salvatore Comminiello, Salvatore Gambetta, Eleonora Grieco, Giuseppe Ligrani, Lina Mininni, Sandra Maria Renes, Arcangelo Moles, Elvira Salbitani, Giulietta Laura Valentino e Rosanna Venneri. Le opere hanno riproposto scene di vita quotidiana, scorci del territorio lucano, immagini di borghi, ma anche ritratti e opere astratte ottenute utilizzando particolari materiali capaci di dar corpo alla terza dimensione. Per la scultura erano presenti Donato Linzalata, Lui Comè e Vincenzo Preziuso, artisti che hanno dimostrato una grande abilità e capacità di plasmare materie diverse e di differenti dimensioni. Per l’artigianato artistico hanno presentato con maestria i propri lavori Anna Labella e Angela Viola, che utilizzando diverse tecniche, dal ricamo a mano e a macchina, al patchwork, realizzano piccoli e delicati capolavori da ammirare, e infine erano esposti gli scatti del fotografo Raffaele Luongo, che trasforma la sua passione in particolari punti di vista che attraggono l’attenzione dello spettatore. Ancora una volta questa rassegna artistica ha portato soddisfazione e orgoglio ai cittadini, che hanno rinnovato l’opportunità di rivivere i vicoli in un clima nuovo e più suggestivo, e, grazie anche agli artisti intervenuti e ai temi affrontati nelle diverse opere, ha rinnovato il suo contributo alla definizione di identità del territorio.

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Eventi

WeeCom: in fiera le arti della comunicazione

Dal 12 al 14 ottobre prossimo, all’interno del quartiere fieristico Basilicata Fiere nell’area industriale di Tito, si svolgerà WeeCom, un importante evento dedicato alle arti della comunicazione e del marketing, con una particolare attenzione per la loro applicazione alla promozione territoriale della Basilicata, in onore della regione che ospita l'evento. Questo è quanto dichiarato dall'ideatore della manifestazione, Bruno Laurita, presidente ConfComunicazione e direttore creativo dello StudioViceversa. Un appuntamento di studi, incontri, convegni e dibattiti incentrato sulla comunicazione e sulle arti applicate di cui essa si giova per conseguire i propri obiettivi: fotografia, cinema e cinema d'animazione, disegno, grafica. Da quest'anno, grazie alla disponibilità di più ampi spazi espositivi, WeeCom sarà arricchito da alcune piccole mostre di fotografia, pittura, disegno offerte gratuitamente al pubblico durante i tre giorni del convegno. Questa quinta edizione – continua l'ideatore – è molto cresciuta grazie alla capacità di porre in rete le

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di Franco Torraca

forze vive del territorio ed ha l'ambizione di mostrare come l'intelligente applicazione degli strumenti più avanzati della comunicazione e le più accorte strategie di marketing possano condurre ad una sostenibile riscoperta del territorio. Questo appuntamento vede la presenza di molti relatori di spicco tra cui Alessandro Cecchi Paone, docente di marketing e di Comunicazione culturale alla Bocconi e all'Università Cà Foscari, e noto divulgatore scientifico. Negli ultimi anni la Basilicata – conclude Bruno Laurita – sta facendo grandi sforzi allo scopo di penetrare maggiormente il mercato turistico, proponendo al pubblico la scoperta del proprio territorio, così ricco di suggestioni, paesaggi, profumi e sapori e un evento di questo tipo saprà contribuire a questo obiettivo comune. Un'occasione da non perdere che certamente avrà quel meritato successo che contraddistingue la manifestazione da cinque anni a questa parte.


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Specia

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Cromie

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Paolo Antonini: sulle tracce della Nuova Metafisica di Eleonora D’Auria

Avviare un’indagine sui lavori di Paolo Antonini può risultare un esercizio critico di non facile definizione. Individuare un proseguimento dell’analisi metafisica nei suoi lavori può, infatti, indurre l’osservatore ad uno sguardo passivo e retrospettivo nel tentativo di cogliere l’essenza e il significato profondo che oggetti in apparente nonsense visivo sono in grado di comunicare. Paolo Antonini, ternano, classe 1955, trascorre gli anni ‘70 nel perseguimento della Nuova Pittura Metafisica, individuando negli anni ‘80 le tematiche salienti della sua produzione. Nell’indagare con caparbia coerenza il rapporto “uomo-macchina”, il maestro ancorerà gli anni ‘90 a ricerche e sperimentazioni della mano imbevute di Nuova Metafisica. L’impressionante quantità di premi e di riconoscimenti che ha raccolto nel corso degli anni è il sintomo precipuo che la sua ricerca non scorre su un binario morto, non è un ramo secco da potare. Le sue composizioni in apparenza rimettono in carta

pregevoli e ormai storicizzate invenzioni della maturità di De Chirico. Senza giochi comparativi, l’opera di Antonini individua e lascia ampio argine a un mondo fantasioso e fantastico, dove l’universo di rigide e fredde anime di acciaio cede il passo a vitali creature poste a frontiera dei due mondi. Robot e clonazione, entrambi tentativi di un indotto atto creativo, risultano essere i campi di indagine all’interno del quale l’artista adempie alla propria funzione: l’individuazione di un spazio “altro”, dove si fronteggiano senza gareggiare geometriche costruzioni architettoniche e ombre di densa e compatta consistenza, indici verificativi di un mondo concreto che, trascendendo l’aspetto empirico delle cose, trova nei forti toni cromatici adeguata orchestrazione luministica. L’occhio retrospettivo di Antonini ci consente di rileggere quegli archetipi metafisici con uno sguardo fresco e attuale; li attualizza e li ripotenzia. E non c’è solo l’esperienza della prima metafisica. Specialmente nelle tecniche miste databili tra il 1999 e il

Equilbri, olio su tela, cm 70x50.

Natura morta con barchette, olio su tela, cm 80x60.


Torri, olio su tela, cm 100x70.

2002 si avverte come un’eco delle ultime esperienze del futurismo (quelle che alludono alla ricostruzione futurista dell’universo portata avanti dal grande maestro di Rovereto Fortunato Depero). Resta un ultimo punto da assodare e da lasciare come promemoria ai futuri studiosi di questo singolare pittore umbro. È

possibile che, nel suo retroterra artistico, possano ritrovarsi le tracce di un grande pittore ternano della prima metà del ‘900 come Orneore Metelli? Senza necessità di spingerci oltre, questa ipotesi potrebbe risultare la più percorribile per apprezzare l’autentica matrice culturale di questo maestro.

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Cromie

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Riccardo Badalà: espressioni dell’essere di Francesco Mastrorizzi

La feconda produzione artistica del pur giovane pittore siciliano Riccardo Badalà (Catania, 1976) si contraddistingue per l’audace spirito creativo, che non teme di turbare lo spettatore con immagini forti e a volte spiazzanti, ma dall’indubbia capacità comunicativa. Quella di Badalà può essere definita una pittura psicologica, quasi filosofica, poiché vi si leggono impliciti rimandi alla follia, al pessimismo nichilista, alla solitudine esistenziale dell’uomo. Inquietudine e malinconia, angoscia e rassegnazione, sono soprattutto sentimenti di polarità negativa a risaltare dalle sue opere. Ciò, tuttavia, non deve automaticamente indurre a riconoscere ogni volta le tracce di un autobiografismo. I suoi dipinti possono essere interpretati anche come squarci sulla realtà, finestre dalle quali si affacciano anime in balia di se stesse, figure spettrali che svelano senza riserbo il proprio inconscio dolore. Emerge, dunque, l’ambizione dell’autore a indagare l’uomo, soprattutto nei suoi aspetti interiori – così come vengono determinati dai diversi contesti reali –, che è a sua volta conseguenza

dell’interesse, coltivato durante gli anni universitari, per campi di studio quali la psicologia, la pedagogia e la sociologia. I personaggi di Badalà ci colpiscono per la loro solitudine e per il loro distacco. A volte appaiono come dei figuranti, individui di passaggio, sfuggenti e ineffabili, corpi che si specchiano in se stessi e si nutrono di un’attesa che viene puntualmente disattesa. Altre volte sono assoluti protagonisti del proprio spazio, consapevoli interpreti di se stessi, che si impongono con lo sguardo e ci scrutano dal centro della propria scena. Se a dominare l’universo estetico di Badalà sono il silenzio e la staticità, accompagnati da tonalità cromatiche cupe e spente, il dinamismo e l’espressività sono invece dati dalla materia pittorica contorta e raschiata, che in densi impasti di colore si trascina sul supporto (tela o tavola) plasmando l’immagine voluta, ma allo stesso tempo deformando i volti e i corpi ritratti, grazie a una tecnica che eredita la lezione di Ennio Morlotti e Frank Auerbach. La forma si dissolve nel colore, la realtà si trasfigura e acquista

Involuzione senza te, 2005, olio su tavola, cm 130x100.

Interprete dispari 93, 2007, olio su tavola, cm 67x54.


Graffiando l'anima, 2006, olio su tavola, cm 125x70.

Absentia, 2005, olio su tavola, cm 124x100.

intensità, lasciando però sempre al centro l’essere umano, colto attraverso una sinestetica percezione della sua fisicità. Tutti i principali concetti che sottendono la ricerca artistica di Badalà sono presenti nell’importante serie Involuzione/Evoluzione, popolata di figure rarefatte, dalla struttura corporea dissolta. La serie Riflessioni propone il tema dell’acqua come simbolo di purificazione, elemento in cui immerger-

si e disparire assieme alla propria coscienza. Nella serie Interpreti dispari sono invece raccolti 56 ritratti, ispirati da fotografie scattate durante incontri causali, in cui i tratti somatici dei soggetti sono sfigurati dall’atto gestuale. Più autoreferenziali sono le opere della serie Reciclaje de mi, mentre nella serie Reflejos fanno la comparsa dipinti che prescindono dalla figura umana, dai colori più intensi e vivi.

Silenzio assente, 2006, olio su tavola, cm 124x124.

Silenziosamente, 2006, olio su tavola, cm 124x124.

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Cromie

Diego Colussi nasce a Venezia negli anni Settanta e fin da bambino respira la creatività e l’arte attraverso la madre pittrice. Da autodidatta si dedica alla sperimentazione e dà spazio alla sua inventiva per mezzo dei graffiti, in una zona geografica e in un momento storico nei quali il fenomeno writing è ancora sconosciuto, tanto da dover utilizzare le bombolette spray per carrozzieri. Si cela dietro lo pseudonimo di Sly, venuto fuori per caso da un vocabolario d’inglese, e la sua opera rimane incontaminata fino al 1992, anno nel quale incontra a Mestre il gruppo di writers DWA (Destroy With Art). Sono anni nei quali consolida fortemente la sua personalità artistica, anche attraverso una fusione di stili. Nascono così le serie Air style – il gesto è libero e fluido, spesso l’emissione del colore risulta continuativa dall’inizio alla fine del dipinto –, Geometry fusion – linee tirate con precisione a definire nette composizioni geometriche, spesso ad imitazione della Via Lattea – e Introspection – tracce monocrome poste per comporre labirinti e cerchi. L’occhio attento dell’artista Hilde Guariento Fiorini gli permette di ottenere lo spazio di centinaia di metri dello stadio “Salvador Allende” di Spinea (VE). Tutto questo spazio ed il tempo a disposizione gli permettono di affinare il suo stile, di sperimentare tratti, sfumature e cromie. Si distacca dalla metodologia classica e ciò lo porta a ricevere non poche critiche da parte del mondo del writing. Il laborato-

Red fly zone, spray su tela, cm 60x128.

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Tratti di creatività: Diego Sly Colussi di Angela Delle Donne

Flying objects, spray su tela, cm 100x100.

rio creato allo stadio continua a crescere e nel 2003 l’artista veneto invita otto artisti per creare un unico mega-pezzo. Non viene proposto nessun tema, ma si lascia spazio all’interazione fra le varie personalità artistiche. Per trentadue metri si estende il pensiero e l’espressività del gruppo di writers, che a tratti si sovrappongono e si amalgamano, creando il continuum della forza incisiva dell’arte.


Destination alphabet street, spray su tela, cm 110x110.

Contemporaneamente alla grande produzione dello stadio, Diego Colussi di dedica alla creazione di tele e pannelli, iniziando cosÏ esposizioni presso gallerie e spazi espositivi. Dal 2003 ha iniziato ad approfondire la tecnica dell’aerosol-art, confrontandosi con tutte quelle che possono essere le tecniche afferenti al mondo del writing. Da questa nuova sperimentazione nascono Commistioni irreali e Destinazioni. Le

prime sono fermo-immagini di dettagli ed emozioni in movimento. Le seconde nascono da un’evoluzione della street art, rappresentando una sintesi di tutta la precedente produzione, che si concretizza in esperienze dirette in strada. Diego Sly Colussi costantemente inaugura personali e nel contempo continua nella sua produzione in strada, una produzione estemporanea che si rinnova senza sosta.

Looking to infinity, spray su tela, cm 60x160.

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Vincenzo Mascoli: collage di vite di Sonia Gammone

Artista eclettico e innovativo del panorama italiano, Vincenzo Mascoli nasce nel 1982 a Corato (BA), dove risiede. Laureatosi con lode in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, lavora come scenografo-costumista e realizzatore presso teatri e produzioni teatrali. È risultato vincitore di diversi concorsi e borse di studio: tra gli altri il primo premio nazionale “Illustrare Manzoni” promosso dal Centro Abruzzese di Studi Manzoniani di Chieti nel 2008 e la prestigiosa borsa di studio in pittura e scultura “Franco Zeffirelli Scholarship Fund for the Arts 2008” a New York. Ha all’attivo già svariate mostre personali e collettive, che hanno riscosso sempre grande successo di pubblico e di critica in Italia così come all’estero. Nelle sue opere spicca la predilezione nell’uso del montage e del collage. Grazie all’utilizzo di queste tecniche Mascoli indaga la realtà estrapolando pezzi di quotidianità e accostandoli a volte in modo poco chiaro, almeno in apparenza. Ma è proprio in questa apparente confusione che risiede il messaggio più

questi accostamenti rende evidente la pluralità di sentimenti e sensazioni che si provano osservando la realtà che ci circonda e che spesso ci travolge. C’è sempre una parte buona ed una cattiva che emergono, a volte convivendo altre volte come se fossero in eterna lotta fra loro. Nella sua opera Urlo autoritratto emerge tutta la tensione di un gesto dai molteplici significati, che l’artista rende con un volto che, ripreso nell’atto di urlare, quasi esce fuori dalla tela, come fosse inseguito dalle immagini spezzettate che sono alle sue spalle. Osservando ­­ le opere intitolate Sequenze visive, è possibile cogliere il vortice di immagini e di notizie che solitamente ci avvolgono quasi senza che ce ne rendiamo conto. Cronaca, trasgressione, innocenza, satira, tutto si condensa in un mix che suscita sentimenti contrastanti nello spettatore, il quale in un attimo si ritrova proiettato in quel mondo che troppo spesso considera superficiale, ma che in fondo ha pervaso le vite di tutti e troppo spesso le condiziona nel pensiero e nei gesti. Un’analisi socio-

Sequenze visive n.28 (serie), tecnica mista su tavola, cm 30x30.

Mi guardi, tecnica mista su tavola, cm 30x30

profondo delle sue opere. Punta dritto al tempo in cui viviamo, utilizzando le infinite informazioni che i mass media ci inviano ininterrottamente. Ci ritroviamo così di fronte ad opere che esprimono profondi contrasti, accostando fatti di cronaca all’innocenza di un bambino. L’intenso cromatismo che racchiude

antropologica quella di Vincenzo Mascoli, che di sicuro lo porterà a sperimentare sempre modi nuovi di comunicarci le sue emozioni e il suo personalissimo modo di vedere la realtà che ci circonda. Davanti alle sue opere possiamo fermarci e riflettere sul mondo nel quale viviamo e sulle vite che conduciamo.


Urlo autoritratto (serie Le quattro fasi dell'artista Guardo Osservo Capisco Urlo), 2011, tecnica mista su tela, cm 100x90.

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Cromie

Piani e colori: giochi di spazi di Pino Nardelli

“Il mio modo di dipingere è quello di rappresentare il mondo che mi circonda, mi ispiro alla mia terra e non disdegno di raffigurare anche situazioni talvolta informali che prevalgono nella mente dell’artista, sempre pronto a captare quanto di nuovo e stimolante c’è nell’aria, per continuare e crescere nella mia passione, cogliendo ogni sfaccettatura dell’oltre in generale.” Poche parole, frasi semplici, ma nello stesso tempo sfuggenti. È così che si racconta Pino Nardelli, brindisino, pittore e scenografo dall’animo poliedrico. I colori accesi e le pennellate pure e decise tracciano forme spigolose sullo sfondo vergine di una tela pronta a impressionarle nella loro immediatezza. Questi tratti rapidi ed energici sono utilizzati dall’artista per raccontare la sua realtà, lasciandola legarsi al proprio mondo interiore, facendola danzare in un gioco di forme e di toni che si muovono tra il dentro e il fuori, tra soggettività e oggettività.

Il paese, 2009, tecnica mista su tela, cm 70x70.

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di Laura Redondi

Blu jeans, 2008, olio su tela, cm 70x70.

In alcuni suoi dipinti possiamo scorgere con evidenza un’alternanza di piani, resa evidente da un coesistere di linee spezzate e spigolose e forme morbide e curve. Blu Jeans, olio su tela del 2008, lascia emergere da uno sfondo di cubi e forme regolari una figura, forse una donna, che sembra avanzare verso lo spettatore senza svelare troppo di sé e che senza farsi riconoscere centra l’attenzione sull’elemento chiarificante il titolo al pezzo, i blu jeans appunto. Niente di più quotidiano, niente di più estraneo; un elemento preso dall’oggi, familiare e popolare, innalzato a protagonista e nello stesso tempo celato in un groviglio di cromie; un qualcosa che di sé emana con evidenza solamente il proprio colore, tratto unificante del quadro, forse proprio perché è il colore insieme alla luce ad essere la parte centrale della ricerca di Nardelli. Colore, luce, forma, movimento, punti focali di uno studio lungo tanto quanto il Novecento e che anche in Nardelli trova il suo spazio, legandolo inevitabilmente ai grandi maestri del passato. Omaggio diretto al “signore della velocità” Umberto Boccioni è il dipinto La città che scende, se non per i risultati, distanti tra loro, almeno per il titolo. Qui possiamo scorgere, sempre in un’alternanza di piani e di macchie di colore, linee curve e segmenti paralleli, elementi figurativi tracciati sommariamente, una nave nel centro e un faro sullo sfondo. I colori tenui quasi pastello, gli azzurri e i toni pesca, creano un pon-


Magia DJ Morph - sulla tela, 2011, olio su tela, cm 50x70.

te inevitabile con i primi lavori dell’artista, che iniziò la sua esperienza sperimentandosi con la tecnica dell’acquarello. Altri risultati vedono invece Nardelli confrontarsi con uno stile molto diverso, che si distacca completamente dalla delicatezza dell’opera descritta prima, per buttarsi a capofitto nella stesura di campiture

piatte e decise. Qui i contorni netti e le figure chiare, spesso corredate da scritte e numeri, come ne L’altra moda, costituiscono per l’artista un’occasione di dimostrare su tela le proprie abilità da scenografo, mostrando contemporaneamente in una sintesi figurativa gli elementi che, filtrati dalla realtà, costituiscono il suo pensiero.

La città che scende, cm 150x100, collezione Nardelli-Damiano.

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Cromie

Ciò che più di tutto colpisce nell’opera di Salvatore Sebaste è l’uso dei materiali. Nel gioco della rappresentazione il colore si alterna ora alla terracotta ora alla resina, il pieno lascia spesso spazio al vuoto e la tela al cartone. Ogni materiale sfuma nell’altro e lo spazio della raffigurazione, delimitato per necessità, sembra voler trascendere i propri confini per cogliere colori e profumi della realtà. Una realtà che, nella produzione artistica più recente, prende corpo nella terra e nell’acqua e, attraverso gli elementi della natura, ci parla del mito, il racconto più antico, anzi, il primo racconto del mondo. Nella radice μυ di mythos, che significa balbettio o suono indistinto, cogliamo, infatti, il senso più autentico del termine. Il mito è il primo vagito dell’uomo che si sveglia alla storia e inizia a dare ragione di sé.

Ulisse e Nausicaa, 2011, cm 89x110, tecnica mista.

Il profumo di Afrodite, 2010, cm 105x110, tecnica mista.

Similmente, nell’opera di Sebaste, esso diventa la traccia di quella antica ricerca di senso e insieme la cifra di un legame inscindibile tra due mondi, la Magna Grecia e la sua madrepatria, immersi negli stessi profumi. Proprio il profumo è il motivo dominante in alcune opere che l’artista dedica al mito. Con Il profumo di Afrodite, per esempio, Sebaste reinterpreta la vicenda che lega Afrodite e Adone attraverso l’immagine della rosa, il fiore consacrato alla dea. Nell’opera le rose bianche, situate in basso, diventano rosse a contatto con il sangue e, con il colore, esse ricevono in dono anche il profumo, il rhòdinon, che avvolge la scena in un cerchio di luce celeste. In Narciso e Eco il profumo diviene invece presagio di sventura. Il giovane, infatti, sedotto dalla sua stessa bellezza, si specchia nell’acqua alla ricerca del suo volto e, invece di vederne il riflesso, già scorge il fiore nel quale sarà imprigionato: il narciso, il cui profumo si sprigiona nell’aria come il segno della maledizione imminente.

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Salvatore Sebaste. Colori e profumi fra mito e realtà

Cromie

di Deianira Amico

Anche in Essenza di viola torna il tema del profumo. Il mondo antico viene rievocato mediante la viola, presente nell’opera come fiore, colore e essenza. Al centro della composizione, che raffigura un totem, tre viole emergono dal fondo e abbracciano il tutto con l’onda chiara e leggera del loro profumo, il leukoïnon. Il totem, che si fa qui simbolo del mito e dell’impenetrabilità del senso dell’essere, sostiene il germogliare del fiore e si impone sulla scena come l’unico fondamento della storia. In Ulisse e Nausicaa emerge un altro motivo ricorrente nelle opere di Sebaste: si tratta dello squarcio nella tela, che però, in questo caso, sembra assumere un nuovo significato. Gli spazi bianchi, in effetti, non rimandano tanto al divino, come avviene in Il profumo di Afrodite e Narciso e Eco, ma alludono piuttosto all’alternanza delle età del mondo, attraverso le quali Ulisse, raffigurato in nero, imperituro e inscalfi-

Essenza di viola, 2011, cm 70x70, tecnica mista.

Narciso e Eco, 2012, cm 80x85, tecnica mista.

bile, giunge fino a noi. All’ombra dell’eroe, Nausicaa, chiara ed evanescente come la spuma del mare, è una figura dai contorni indistinti, una macchia di colore che si confonde con le folte chiome del compagno e illumina di una luce tenue la composizione. Salvatore Sebaste, pugliese di nascita, ma residente in Basilicata, lavora come scultore, pittore e incisore tra Metaponto e Milano. È fondatore della “Pinacoteca Comunale d’Arte Moderna Bernalda-Metaponto” e della “Scuola libera di grafica” di Matera. Presso il museo archeologico della Basilicata “Dinu Adamesteanu”, a partire dal 13 ottobre, le sue opere più recenti saranno esposte in un percorso intitolato I profumi della Magna Grecia.

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Emilia: il patrimonio ferito di Marcella De Filippo

È dalle linee altalenanti di un tracciato sismico che bisogna partire per narrare la storia di un presente ferito di 1335 beni culturali, dal passato glorioso, colpiti dalla furia incessante del terremoto. Tra la notte del 20 maggio e il 12 giugno del 2012 la terra emiliana ha tremato quasi ininterrottamente, portando con se morte e distruzione. Colpiti 239 immobili di proprietà pubblica, 382 di appartenenza diocesana, 90 di proprietà privata e 25 archivi pubblici. Gravi danni si sono registrati alla Rocca Possente a Stellata di Bondeno, al Palazzo NaselliCrispi a Ferrara, al Palazzo Municipale e alla Torre degli Orologi a Finale Emilia. Rilevanti le lesioni anche al Castello dei Pio, alla Torre degli Spagnoli e al Duomo di Carpi, che riporta un vistoso cedimento del tamburo. Seriamente compromesso il Duomo di

Venticinque gli interventi di sostegno, puntellatura e cerchiatura alle strutture murarie in pericolo di crollo ritenuti prioritari, di cui 14 già terminati. Salvati anche 415 beni culturali mobili tra dipinti, sculture, arredi liturgici, paramenti e crocifissi, oggi ricoverati nel Palazzo Ducale di Sassuolo. Tra questi spiccano il trittico di Bernardino Loschi Madonna con bambino e i SS. Felice e Geminiano della Chiesa parrocchiale di San Felice sul Panaro, l’Assunta del Guercino della Chiesa del Rosario di Cento, i quattro grandi

La Rocca Estense di Finale Emila.

Castello Lambertini a Poggio Renatico. Pagina a fianco: il Duomo di Santa Maria Maggiore a Mirandola.

Mirandola, nel quale è collassata la copertura e circa un terzo della facciata. A Cento sono crollate le navate centrali della Chiesa di Alberone, mentre a San Felice sul Panaro restano in piedi solo la facciata e l’abside della Chiesa Matrice. Cedimenti irrimediabili anche nella Chiesa di San Martino a Buonacompra, costretta alla demolizione. Completamente distrutti la Chiesa di Mirabello e l’Oratorio San Carlo in Sant'Agostino. Fortunatamente meno gravi i danni in Lombardia al Palazzo Te, capolavoro di Giulio Romano, e al cupolino del campanile della Basilica Palatina di Santa Barbara, annessa al Palazzo Ducale di Mantova, entrambi patrimoni UNESCO.

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lampadari di Murano salvati dal Municipio di Sant’Agostino, tre statue di terracotta di Antonio Begarelli dalla Chiesa di Bomporto e i numerosi dipinti custoditi nel Museo Civico di Mirandola. Il restauro di tali beni è affidato ai tecnici dell’Istituto Superiore per la Conservazione e per il Restauro del Ministero e ai restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Dunque un patrimonio prezioso e quanto mai vario che, se pur barcollando, è sopravvissuto alla forza bruta di un sisma epocale e che oggi silenziosamente urla il bisogno di riappropriarsi del suo antico splendore.


La nuova arte americana: J. Cornell e le shadow boxes di Giulia Smeraldo

Se è vero che fu il surrealismo di André Bréton a dare il via al rinnovamento dell’arte americana, Joseph Cornell e la sua attività ne sono l’esempio. Come se il destino centri qualcosa con l’arte, Cornell vive a Utopia Parkway, NYC. L’artista cresce in una delle città americane più attive dal punto di vista dell’arte contemporanea: il MOMA, ad esempio, fu ideato proprio negli anni ’30 dello scorso secolo in concomitanza con lo sviluppo politico ed economico della città post crisi finanziaria. Cornell vive con la famiglia: una madre costretta a lavorare dopo aver perso il marito per leucemia, a crescere da sola quattro figli, di cui Robert affetto da paralisi celebrale. Il giovane Joseph lascia gli studi ed inizia a lavorare come rappresentante per una fabbrica di tessuti ed è proprio grazie al suo muoversi per le vie della città che inizia a coltivare l’attività che renderà le sue opere uniche: la pratica surrealista dell’object trouvé. La città presentava un numero infinito di oggetti interessanti in un numero altrettanto inesauribile di luoghi, il suo compito era quello di creare dei legami; il suo lavoro, come lui stesso lo definisce, “è solo la conseguenza naturale del mio amore per la città”. Sarà poi la scoperta della galleria di Julien Levy, collezionista e gallerista americano molto attento al rinnovamento dell’arte newyorkese, all’interno della quale Cornell esporrà i suoi lavori per la prima volta, a dargli la spinta e gli stimoli giusti per presentarlo all’arte americana quale protagonista del suo rinnovamento. Joseph Cornell è considerato il pioniere dell’assemblage: le sue opere più importanti sono le shadow boxes. Parlo di Penny Arcade, una scatola costruita con vetro blu all’interno della quale troviamo alcuni degli elementi caratterizzanti l’arte dell’americano: l’amore per il teatro, in maniera particolare per le cantanti, la predilezione per il vetro (elemento surrealista ricco di significati e di doppi sensi), l’inserimento di oggetti rotondi che rappresentano di volta in volta il mondo, la vita, la ruota, in base a quello che ognuno di noi vede e al significato che l’autore decide di suggerirci. Parlo di Trade Winds #2, opera del 1958 che fa parte delle cosiddette dream machines, una serie di opere in cui il tema principale è quello della nostalgia per i tempi andati, quelli in cui un semplice gioco o un semplice libro di fiabe regalava ai bambini momenti indimenticabili. Qui Cornell unisce questa nostalgia al tema del viaggio, magari del viaggio nel tempo in cui una vecchia cartina stagliata sullo sfondo di una

Direzioni

scatola dei sogni ci trasporta in luoghi inesplorati, dove la nascita di una nuova vita rispecchia il bello di una vecchia vita che ormai trascorre velocemente lasciando solo la verità della pienezza dell’età adulta. L’aria che si respira a contatto con le opere di Cornell non ha eguali: è come la Stimmung dechirichiana, uno stato d’animo, un’atmosfera, un istante fermo del tempo; la consapevolezza e l’ingenuità, la serenità e l’agitazione, un momento fatto di memoria e di presente dove ogni particolare si riflette sul nostro vissuto, attraverso il quale ognuno di noi farà sua l’opera osservata. Joseph Cornell è un artista complesso, ogni elemento delle sue creazioni non è lasciato al caso ma si inserisce e si intreccia con quello accanto e con la mente e il vissuto dell’artista; le opere sono lo specchio dell’animo di Cornell: l’artista che ha gettato le basi dell’arte moderna americana, fatta di assemblage, collage, repliche e colature, fatta di concetti, lotta, speranza e innovazione.

Untitled (Penny Arcade Portrait of Lauren Bacall), 1945-46, cm 52,1x40,6x 8,9, Collezione Lindy e Edwin Bergman.

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fotoCromie

Giovanni Salvatore: i luoghi del vivere di Fiorella Fiore

te come lo fu per il grande A guardare le fotografie di poeta, un odore reale, fatto Giovanni Salvatore, la pridel contatto con le persoma cosa che viene in menne, con i loro sorrisi, con te è la naturalezza: quella la loro accoglienza, in cui di un'immagine semplice, la macchina fotografica senza fronzoli ed elabodiventa non un filtro, ma razioni. La seconda, è la un medium. Questo pogrande lezione della fotosto mi appartiene è una grafia diretta, che di quellezione antropologica e la naturalezza ha fatto la fotografica, che coinvolsua bandiera: da André ge gli immigrati di prima Kertész a Brassaï, che generazione che si sono della città (di Parigi, soinsediati nel territorio di prattutto) scoprì per primo Reggio Emilia,facendolo, gli aspetti più insoliti, gli nel tempo, proprio: negli scorci inaspettati. E di cosguardi di queste persone lui che divenne il maestro si legge un rapporto intimo assoluto del genere, ovvee particolare che travalica ro Henri Cartier-Bresson, l'idea di appartenenza sole cui fotografie, esposte litamente intesa. E, ancor alla Julien Levy Gallery di di più, questo diviene fonNew York, furono definite damentale nei luoghi d'ori"antigrafiche", intendengine del fotografo (lucano, do con questa definizioma dal 1998 residente a ne una bellezza casuale, Serie: Persone silenziose. Senza titolo, 2009, tec. analogico. Reggio Emilia), come nel ambivalente, antiplastica, ciclo Ogni volta che ritorno nuova per l'epoca, e quin: negli occhi di chi resta si di non apprezzata nell'imlegge il tempo che passa, ciò che si trasforma, e che mediato, ma che poi è divenuta un parametro inediventa per Salvatore una sorta di memoria collettiva guagliabile dell'arte fotografica. Giovanni Salvatore, e nello stesso tempo personalissima, per ricordare il nella cui opera si leggono colte citazioni del passato, passato ed immaginare il futuro. Habitat è la summa (riecheggia in primis la lezione di Ferruccio Leiss e di questa ricerca: protagonisti "i luoghi del vivere" Vincenzo Balocchi) basa tutta la sua poetica sul rapoggetto di una ricerca "sociale e fotografica" ancora porto esistente tra l'uomo e il territorio circostante, in essere, che attraversa gli Usa, il Messico, l'Irlanuna costante che unisce i diversi cicli di opere, pure da, l'Inghilterra e che ancora non si è fermata. Nella così diversi l'uno dell'altro. Da Questo posto mi aplettura di come l'uomo modifichi lo spazio con la sua partiene, a L'odore dell'India, ad Habitat, il progetpresenza, ma anche di come il territorio influenzi l'arto più ambizioso e in continuo divenire, l'occhio del chitettura, si legge un'armonia di forme che cristallizfotografo cerca l'esaltazione dello scorcio proprio za l'immagine in un frame che va al di là del tempo, grazie alla presenza di chi con quel territorio interache diventa quasi alienante per chi vede per la prima gisce, ovvero l'uomo. Anche quando la presenza è volta quell'immagine ma anche e soprattutto per chi solo un'ombra, come nelle serie Persone silenziose, quei luoghi li ha visitati. E' grazie a questa particoi luoghi sembrano vivificarsi solo grazie all'uomo, anlare sensibilità che si manifesta quella "follia" della che quando questo si manifesta nella sua assenza, tecnica fotografica, come la definisce Roland Barattraverso tracce, impronte sfuggevoli, segni leggeri thes nel suo saggio, La Camera chiara, del tempo di un passaggio di cui l'obiettivo conserva memoria. che è, eppure non è più, dello spazio che c'è, e che I luoghi rivivono negli occhi di chi li abita, come in un giorno non sarà. Ed è in quella follia che risiede L'odore dell'India, ciclo ispirato al diario che Pasolini il grande fascino dell'arte fotografica, di cui Giovanni scrisse durante il suo viaggio nel continente, visitato Salvatore sa farsi ottimo interprete. a sua volta dal fotografo, che diventa, esattamen-

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Serie: L'odore dell'India. Senza titolo, 2011, tec. digitale.

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Cinema, territorio e sostenibilità al Maratea Film Festival

CINECromie

Il mondo del cinema da sempre rivolge la sua attenzione alla Basilicata e questo, in una fase di forte crisi economica, spinge ad interrogarsi sempre di più sul rapporto tra cultura e territorio. A questi temi e alle opportunità occupazionali legate alla sostenibilità energetica il Maratea Film Festival ha dedicato il fitto calendario di appuntamenti della quarta edizio-

Andrea Prandstraller.

ne. In quell’incantevole scenario che è la “perla del Tirreno” due giornate di incontri, dibattiti e proiezioni hanno offerto agli amanti del cinema e agli addetti ai lavori innumerevoli spunti di riflessione sulla cultura come prezioso volano per la crescita. Ideato nel 2007 - come spiega Manuela De Filippo, presidente dell’Associazione Maratea Film Festival - questo evento ha conquistato in poco tempo un posto di rilievo nel panorama dei festival cinematografici orientati verso scelte di qualità. Anche il bilancio della quarta edizione è stato più che positivo: hanno riscosso grande interesse i convegni su cinema e territorio Ciak! La Basilicata si mostra e La Basilicata verso la sostenibilità energetica e le proiezioni di cortometraggi realizzati nell’ambito del progetto Cinema e Formazione. Molto seguiti gli appuntamenti serali con la visione di pellicole da tutto il mondo che, spaziando dal documentario alla commedia, hanno

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di Giovanna Russillo

raccontato con linguaggi differenti la relazione tra sostenibilità e territorio e l’importanza del ruolo che il cinema assume quando si fa portavoce di questioni scottanti e attuali. Tra i film che più hanno commosso e indignato la platea c’è Polvere - Il grande processo dell’Amianto (2011), di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller. Il documentario racconta lo storico processo ai “signori dell’amianto”, gli azionisti della multinazionale Eternit che avrebbe provocato circa tremila morti nella zona di Casale Monferrato. L’amianto è un killer discreto, responsabile di una tragedia immensa consumata negli anni tra silenzi e indifferenza. Nei frammenti di vita quotidiana dei superstiti il dolore per quelle morti si mescola alla voglia di lottare e alla freddezza delle cronache giudiziarie. L’altra vicenda che attinge dall’attualità e lascia sgomenti è quella di Mare chiuso di Andrea Segre e Stefano Liberti (2012): il dramma dei profughi eritrei perseguitati dal regime libico e respinti nel 2009 lungo le coste di Lampedusa. Molto apprezzati anche gli altri film in rassegna: Virinojv (2012) di Rodolfo Martinelli; Monsieur Lazhar (2011) di Philippe Falardeau; Ci vediamo a casa (2011) commedia Maurizio Ponzi e il drammatico La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli (2012). Uno dei momenti più attesi della manifestazione è stata la consegna del premio Agamar allo scenografo Dante Ferretti. Il suo genio creativo, premiato più volte con l’Oscar insieme alla moglie Francesca Lo Schiavo, è l’emblema della professionalità made in Italy nel firmamento del cinema mondiale. Per lui applausi calorosi da parte del pubblico che ha assaporato il suo tuffo nei ricordi di una vita costellata di successi.

Il premio Agamar a Stefano Liberti.



Sipari Tutti presenti i protagonisti più noti del celeberrimo romanzo di Lewis Carroll. Tutti impegnati in un viaggio suddiviso in otto tappe con altrettanti racconti e ambientazioni, dove il “Bianconiglio” di turno ha accompagnato il pubblico in un paese fatto di periferia, emarginazione e degrado. Anche la pazzia non è mancata, divenendo, anzi, l’ingrediente sostanziale. Tra meraviglie agghiaccianti, giochi di parole e di specchi, la performance teatrale Non chiamatemi Alice si è proposta attraverso un’inusuale struttura scenica: abolita la solita distanza che intercorre tra attore e spettatore, entrambi hanno occupato lo stesso spazio, la stessa skenè, senza che la barriera del palco li separasse. Lo spettacolo è andato in scena il 2 e il 4 luglio prima a Melfi in provincia di Potenza e poi nello stesso capoluogo di regione – dove si è svolto nell’ambito

Alice: il peso di un nome di Annalisa Signore

del Festival Città delle 100 Scale – per ricomparire il 28 agosto nella programmazione del Vulcanica Live Festival a Rionero in Vulture (PZ). Momento di teatro sperimentale in cui sono stati coinvolti i giovani allievi del corso avanzato di teatro de La Scuola sull’Albero e con la partecipazione dell’attrice Cristina Palermo. I tre luoghi destinati ad ospitare l’itinerario sono rimasti segreti sino al giorno del debutto melfitano e delle repliche potentina e rionerese: il parcheggio sotterraneo di un centro commerciale, un’area verde semi-abbandonata (il parco di Montereale) e un centro storico. In occasione della seconda data, inoltre, sono state restituite attenzione e fruibilità appropriate ad uno spazio ricreativo cittadino ingiustamente obliato. Liberamente ispirata ad Alice nel paese delle meraviglie, la rappresentazione nasce dall’incontro di

Cast completo di Non chiamatemi Alice con l’attrice Cristina Palermo della Compagnia Teatrale L’Albero: Donatella Corbo, Mattia Di Pierro, Assunta Gastone, Francesca Laurita, Rosita Maio, Rossana Maltempo, Pasquale Mazzarelli, Americo Palermo, Luca Scavone, Gianni Sedile, Ivan Sergio, Annalisa Signore. Produzione teatrale: Associazione Culturale L’Albero, via Cardano 1 (Contrada Bicocca), Melfi, Potenza. Scenografie: Associazione Culturale La Luna al Guinzaglio/Salone dei Rifiutati, via Appia 27, Potenza. Fotografie di Giovanni Marino: scatti di scena e del cast.

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più mani e parte da un’idea di Vania Cauzillo, che ne ha curato la regia con Alessandra Maltempo. I testi sono di Mariangela Corona e di Raffaele Flore e giocano con la scrittura originale, da cui traggono spunto per poi stravolgerla per mezzo di un’attuale quanto insolita analisi sociale. In primo piano storie di persone che abitualmente vengono relegate al confine sia dell’interesse comune che di un centro urbano qualunque. Gente folle, delirante, turbata o senza più speranza di riscatto, che vive ogni giorno in una grigia realtà, riflessa nei toni stinti e scialbi dei costumi di scena, realizzati da Florinda Mongiello, e nelle scenografie ricavate dall’Associazione La Luna al Guinzaglio/Salone dei Rifiutati. Proprio Alice, accompagnandoci all’uscita di quel mondo sbiadito in cui «ha imparato la lingua dei gatti e dei ratti, e si è sbucciata l’anima, mentre ruzzolava giù», mette in dubbio la sua identità. Ultima scossa emotiva nel tragitto già ricco di inquietanti sorprese che si muovono a dispetto della nostra coscienza. Quando il teatro diventa anche occasione per riflessioni ulteriori.

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agendART a cura di Francesco Mastrorizzi

Aosta Wassilly Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Francia

Pavia Renoir. La vie en peinture

Roma Vermeer, il secolo d’oro dell’arte olandese

Fino al 21 ottobre 2012 Museo Archeologico Regionale, Aosta Info: www.regione.vda.it

Fino al 16 dicembre 2012 Scuderie del Castello Visconteo, Pavia Info: www.scuderiepavia.com

Fino al 20 gennaio 2013 Scuderie del Quirinale, Roma Info: www.scuderiequirinale.it

L’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta presenta la mostra Wassilly Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Francia, presso il Museo Archeologico Regionale di Piazza Roncas ad Aosta. L’esposizione, realizzata in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta di Milano e curata da Alberto Fiz, è incentrata sull’ultimo ventennio della produzione del grande maestro russo. Sono oltre 40 le opere di Kandinsky che sarà possibile ammirare fino al 21 ottobre, tra dipinti, tecniche miste e incisioni, provenienti da collezioni pubbliche e private italiane ed estere. Spiccano alcuni capolavori degli anni Trenta e Quaranta mai esposti prima d’ora in Italia. La mostra evidenzia rimandi e confronti con gli altri autori del periodo, in Italia e in Francia, tra cui Hans Arp, Sophie-Täuber Arp, César Domela, Florence Henri, Joan Mirò, Francis Picabia, Piero Dorazio, Gillo Dorfles, Alessandro Mendini, Ettore Sottsass. In catalogo saggi di Alberto Fiz, Pietro Bellasi, Cristina Casero, Gillo Dorfles, Alessandro Mendini, Marco Vallora.

Le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia ospitano un'importante retrospettiva dedicata ad uno dei maggiori rappresentanti dell'Impressionismo: Pierre-Auguste Renoir. L'esposizione, a cura di Philippe Cros, attraverso una selezione di dipinti, pastelli e disegni, ripercorre la carriera del grande maestro francese mettendone in evidenza il ruolo di primo piano nella storia dell’arte moderna. Durante il suo percorso artistico, durato circa sessant'anni, Renoir realizzò un numero sorprendente di quadri: oltre cinquemila, ovvero l'equivalente delle opere di Manet, Cézanne e Degas messe insieme. Conosciuto dal grande pubblico come uno dei fondatori dell'Impressionismo, in realtà Renoir non può essere considerato un artista totalmente devoto ad un'unica corrente e ad un unico stile, quanto piuttosto alla rappresentazione e celebrazione della bellezza, elemento costante in tutta la sua produzione artistica. E se per gli altri impressionisti il protagonista indiscusso è il paesaggio, per Renoir è la figura umana a rivestire un ruolo centrale nell'opera.

Alle Scuderie del Quirinale la prima grande esposizione mai realizzata in Italia dedicata a Johannes Vermeer, massimo esponente della pittura olandese del XVII secolo. In mostra un’accurata selezione di opere di Vermeer e all’incirca cinquanta opere degli artisti olandesi suoi contemporanei. Il visitatore potrà, quindi, non solo familiarizzare con questo genio artistico dalla vita ancora oggi avvolta dal mistero, a cominciare dalla sua data di nascita tuttora sconosciuta, ma anche comprendere come l’opera del maestro di Delft si sia rapportata con gli altri artisti attivi nella sua città natale e nei vicini centri di fermento culturale quali Amsterdam, Haarlem e Leida. Delle 37 opere riconosciute autografe di Vermeer nel mondo, nessuna appartiene ad una collezione italiana e solo 26, conservate in 15 collezioni diverse, possono essere movimentate. Ben otto sono i capolavori presenti nell’esposizione romana, dalle donne “ideali” alla celebre Stradina, per mostrare la straordinaria raffinatezza esecutiva del “maestro della luce olandese”.




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