MANN - N.4 - Napoli-Russia, la rotta dell’arte

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NAPOLI-RUSSIA, LA ROTTA DELL’ARTE Domenica 29 gennaio 2017 - ANNO II NUMERO 1 - Supplemento gratuito al numero odierno del “Roma” - Non vendibile separatamente

Accordo tra l’Archeologico e l’Ermitage di San Pietroburgo per rinsaldare lo storico legame culturale tra i due paesi

ALESSANDRO SIANI

ARTE E POLITICA

MUSICA

«Per conoscere Napoli bisogna prima passare al Museo Nazionale»

Zar, pittori, scrittori e dissidenti russi: tutti pazzi per la Campania

Quei “posteggiatori” amati all’Est: ’O sole mio fu composta in Russia


LA PRESENTAZIONE di Paolo Giulierini Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli

A San Pietroburgo tante testimonianze della grandezza di Napoli

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asseggiare a San Pietroburgo sotto la neve, a meno quindici gradi sotto zero, con la Neva ghiacciata, osservando le anatre selvatiche che cercano riparo nelle ultime pozze d’acqua, ti lascia un ricordo romantico. Ma entrare nella piazza dell’Ermitage e scorgere all’improvviso la facciata color oro e carta da zucchero del Palazzo d’Inverno ti fa capire il rapporto dimensionale tra chi giunge e il gigante che lo aspetta. Entrando poi si capisce di avere a che fare con un concentrato d’arte sublime, non solo di opere, di tutti i luoghi e generi, ma anche di sale: sfarzo, ricchezza, richiami neoclassici ti accompagnano nel percorso e ti ridimensionano da subito. Questo è possibile perché – rifletto – di fronte hai un Museo che è espressione di un Impero sterminato, di un regno che ad

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Una copia dell’Ercole Farnese nei giardini del Museo Ermitage un certo punto decide di entrare prepotentemente nel dibattito politico e culturale europeo. Per questo gli zar e le zarine non hanno esitato ad investire senza risparmi e, in poco tempo, San Pietroburgo diventò a partire dal Settecento un catalizzatore di straordinari capolavori di pittura, scultura, architettura e dei più

grandi artisti viventi. Anche Napoli – mi spiegano – è investita da questo richiamo nordico e tanti architetti, come Carlo Rossi o maestri di lirica e musica, come Francesco Araja, Tommaso Traetta, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa vi lavorarono. Mi aggiro tra le sale e comincio a scorgere (tralasciando i vari


quanti intellettuali e personaggi di questa terra furono nei nostri luoghi che sembrano quella mattina così lontani e pieni di sole: da Dostoevskij, agli Zar, ai moltissimi grandtourist a Lenin che chiese aiuto allo scrittore Maksim Gorkij, che all’epoca viveva a Capri, per organizzare la rivoluzione bolscevica, non mancando tuttavia di visitare Napoli e i suoi musei e i dintorni della città, fino al Vesuvio e Pompei. Prendiamo coraggio, l’accordo quadriennale che firmiamo nel pomeriggio insieme al Soprintendente di Pompei Prof. Massimo Osanna e al Direttore dell’ErLa delegazione napoletana con Paolo Giulierini e Massimo Osanna mitage Mikhail Piotrovsky non solo ha un senso profondo, ma davanti all’Ermitage di San Pietroburgo ricorda la grandezza di Napoli. L’Ermitage accoglierà una grande C’è qualcosa di “nostro” che li Leonardo, Raffaello, Giorgione, mostra su Pompei per dimoMichelangelo) la grande statuaria ha suggestionati; poi davanti ad strare l’influenza della scoperta classica, l’archeologia delle step- Amore e Psiche mi sovviene la archeologica sulla nascita del statua di Ferdinando opera di pe, le collezioni greche, quelle neoclassicismo russo, nonché Canova. delle colonie del Mar Nero, la una grande mostra sugli ori del sezione romana ed etrusca, l’im- E ancora, più avanti, la sezioMann. pressionante raccolta degli ori, la ne pompeiana regalata allo Zar A Napoli arriveranno mostre statuaria neoclassica con i capo- nell’Ottocento nel corso della sublimi a partire dal 2018: gli ori sua visita a Napoli e in Campania delle steppe e delle colonie del lavori di Canova. Più avanti mi imbatto tra le opere mi rassicura: qui possiamo dire Mar Nero; Canova e Napoli; Nadei Persiani, dei Parti e dei Sasa- la nostra, ovviamente in senso poli e l’antico nei vedutisti russi. nidi; vago tra le raffinate porcel- costruttivo. La connessione con i giganti Esco e mi incammino tra la neve della terra è iniziata: eravamo già lane cinesi, effettuo una rapida scorsa nell’India. In questo turbi- verso il Museo d’arte moderna: sbarcati con oltre sessanta monio di civiltà cerco degli “appigli”. abbiamo trenta minuti per amstre in tutto il mondo di tesori del mirare l’immenso quadro “Gli Scorgendo fuori dalle grande Museo Archeologico Nazionale di ultimi Giorni di Pompei” e miriadi Napoli. Ma ora si alza l’asticella, vetrate il giardino storico, mi di tributi pittorici di vedutisti russi ora il Mann progetta eventi culimbatto in una copia dell’Ercoa Napoli, a Pompei e alla costiera turali con il più grande museo. le Farnese a grandezza ridotta. amalfitana. Più avanti trovo una copia del Non è poco. La neve non ci fa Il cerchio si chiude pensando a gruppo del Toro. Mi rincuoro. paura.

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L’EDITORIALE di Maurizio Cecconi Segretario Generale “Ermitage Italia” dinario Museo Archeologico Nazionale di Napoli - e nelle sue relazioni con l’area archeologica di Pompei, un riferimento culturale, organizzativo e attuativo di grande levatura. Nelle discussioni avvenute a San Pietroburgo con il Direttore dell’Ermitage Michail Piotrovsky e lo staff, si capiva - dalle piccole cose, dagli accenti, perfino dalle occhiate - come si stesse lavorando con grande identità di vedute. interessante e avvincen- Nel momento in cui si è parte guardare alle relazio- lato dei materiali di Pompei ni, ai progetti comuni, e di quelli del Mann, ci si è alle collaborazioni che nasco- intrecciati con quelli custoditi no e si sviluppano tra grandi all’Ermitage, ragionando sulla Musei del mondo. storia del collezionismo, sulle Una scelta di campo appaindagini compiute, sul lavoro rentemente nota e consoliancora da fare. data ma in realtà complessa, Così come il tema dei rifedifficile da attuare e da tener rimenti all’Antico ha sempre presente. spinto al confronto La vita di un museo è fatta di sulle interpretazioni conservazione (catalogazione, passate e sulla sensirestauro, tutela), di valorizbilità odierna. zazione (esposizioni, rapporti Assolutamente imcon il pubblico, promozione) portante è stata la e di ricerca. decisione di parteciSpesse volte questi tre ambiti pare reciprocamenvengono visti separatamente alle campagne di te, oppure vengono citati per scavo che vedono dovere e non percorsi con protagonisti i due Muconvinzione. sei: significa lavorare Il Museo Statale Ermitage da insieme per arricchire tanti anni ha scelto di porle conoscenze e il patare avanti, sempre insieme, trimonio dell’umanità. queste tre componenti. E ha E ci si è interrogati trovato nel Mann - lo straoranche sulla moderni-

Ermitage e Mann, un’amicizia antica che guarda verso il futuro

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tà, soffermandosi - in relazione a una mostra di gioielli che l’Ermitage potrebbe portare al Mann – sulla possibilità che essa possa incentivare giovani designer e artisti contemporanei. È evidente che i contesti e le sensibilità che connotano questi luoghi, chiamati a preservare le storie dei popoli, sono comuni e affini. Il Mann e l’Ermitage sono diventati amici non per convenienza ma per assoluta convinzione.

Una copia del Toro Farnese in miniatura presso l’Ermitage di San Pietroburgo. L’originale in marmo è al Mann


SOMMARIO

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21 IL TEMPIO NAPOLETANO DEDICATO ALLA RUSSIA

IL MANN SI “FIDANZA” NAPOLI E CAPRI, IL RIFUGIO CON L’ERMITAGE DI SAN PIETROBURGO DEI DISSIDENTI RUSSI

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QUANDO NICOLA I COSÌ CHECOV E DOSTOEVSKIJ SI INNAMORÒ RACCONTARONO DI NAPOLI NAPOLI

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QUEI PITTORI VENUTI DALL’EST PER “RUBARE” LA LUCE DI NAPOLI

Domenica 29 gennaio 2017- Anno II Numero 1 Supplemento gratuito al numero odierno del “Roma” - Non vendibile separatamente

Direttore Editoriale ANTONIO SASSO Direttore Responsabile PASQUALE CLEMENTE Vicedirettore ROBERTO PAOLO

26 ALESSANDRO SIANI: «FU MIO NONNO A FARMI CONOSCERE IL MANN»

24 ’O SOLE MIO FU SCRITTA A ODESSA

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LA POSTEGGIA E GLI ZAR

I DIPENDENTI DEL MUSEO

Editore Società Cooperativa Nuovo Giornale Roma a r.l. 80121 Napoli - Via Chiatamone, 7 (Impresa beneficiaria, per questa testata, dei contributi di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche ed integrazioni) Registrazione Tribunale di Napoli n° 4608 del 31/01/1995 Registro Nazionale della Stampa n° 5521 Vol. 56 pag. 161 ISSN 1827-3475

Redazione Via Chiatamone, 7 - 80121 Napoli tel 081/18867900 www.ilroma.net Ideazione e Realizzazione ROBERTO PAOLO Progetto grafico MICHELE ANNUNZIATA Tipografia “La Buona Stampa srl” Viale delle Industrie, snc San Marco Evangelista (Caserta)


IL MANN SI “FIDANZA” CON L’ERMITAGE, IL MUSEO PIÙ GRANDE DEL MONDO

Ori, quadri, statue: moltissime le opere che arriveranno a Napoli grazie all’accordo di Pasquale Clemente

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n filo culturale lungo di- ne ideale di questo filo è oggi versi secoli lega Napoli l’importante accordo stipulato alla Russia. Prosecuzio- tra il Museo Archeologico Na-

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zionale di Napoli, la Sovrintendenza di Pompei ed il museo Ermitage di San Pietroburgo.


A sinistra, la gigantesca “Veduta di Montesarchio” di Jakob Philipp Hackert esposta all’Ermitage

A destra, il Vaso della Regina, reperto archeologico greco originario della Campania, esposto a San Pietroburgo

Per i prossimi quattro anni, i tre soggetti cercheranno di valorizzare al massimo i reciproci patrimoni e l’attività di collezionismo e di ricerca sviluppata nel campo archeologico dalle tre Istituzioni nei secoli e incrementata oggi giorno con borse di studio, attività di restauro, campagne di scavo, grandi mostre. L’importanza della collaborazione avviata e il suo rilievo nelle relazioni culturali tra Italia e Russia sono stati d’altra parte sottolineati con forza dal professor Michail Piotrovsky, direttore dell’Ermitage, in occasione della firma, e ribaditi anche dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini che - all’Ermitage per l’inaugurazione

della mostra dedicata dall’Italia a Boldini - ha colto l’occasione per sottolineare appunto l’assoluta valenza dell’operazione. Numerosissime sono le iniziative che ora si pensa di mettere in campo nel prossimo quadriennio, come hanno annunciato all’atto della firma

dell’accordo il direttore del Mann, Paolo Giulierini, e il soprintendente di Pompei, Massimo Osanna. Oltre allo scambio di esperienze e stage di studio tra i collaboratori, l’attuazione di conferenze scientifiche, convegni, seminari, tavole rotonde,

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A sinistra, l’interno dell’Ermitage, il Museo più grande del mondo che ha sede a San Pietroburgo

civiltà romana, quella ellenica, della Magna Grecia e dell’Italia Antica; la rappresentazione del paesaggio napoletano attraverso la produzione pittorica di artisti italiani e russi in epoca moderna; gli importanti legami storici tra la città di San Pietroburgo e la città di Napoli e le relazioni culturali sviluppatesi tra la Russia degli Zar e la corte l’attivazione di borse di stustica e più ampiamente culborbonica nell’800. dio per scambi tra specialisti turale di Pompei e della civiltà Del resto l’Ermitage, che è il napoletani e russi, è prevista romana; più grande museo del mondo, anche una collaborazione in la produzione orafa e di gioielli ha sempre avuto una attenattività di indagine e campagne antichi realizzati sia dalle anzione particolare per Napoli di scavo nelle aree archeolotiche popolazioni scite che in e la Campania. Nelle sue sale giche della Soprintendenza di epoca romana; lo straordinario si trovano moltissime opere Pompei, sulla base di ricerche dialogo tra il mondo classico d’arte che provengono dalla e progetti condivisi. e l’arte moderna attraverCampania o in qualche modo Soprattutto, poi, è prevista la so l’esempio di Canova, che vi fanno riferimento diretto. realizzazione di una serie di fu capace di plasmare le sue Ad esempio, il “vaso della grandi mostre internazionali, opere attraverso una rinnovata Regina”, un capolavoro, forprogettate e costruite insieme visione dell’Antico; se uno dei più bei vasi greci all’Ermitage. Gli argomenti che gli influssi culturali, le relamai realizzati, che arriva da si pensa di trattare saranno zioni storiche, economiche e una delle tante necropoli del inerenti l’eredità storico-artiartistiche sviluppatesi tra la Napoletano, saccheggiate da

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La facciata del maestoso palazzo che ospita il museo Ermitage, affacciato sul fiume Neva

secoli, forse Nola o proprio Napoli, ed è uno dei pezzi forti dell’Ermitage, che non è semplicemente un museo, ma un mastodontico palazzo, come l’Albergo dei Poveri a Napoli (che sarebbe ideale per un allargamento dei tesori ora nei sotterranei dell’Archeologico) zeppo di migliaia e migliaia di opere fondamentali per la storia dell’umanità. Tutte le civiltà sono rappresentate minuziosamente, e non con opere qualunque, ma con le massime testimonianze possibili. Il vaso della Regina è nero, proviene da di una ceramica che cercava di imitare i famosi lebeti, recipienti di bronzo finemente arricchiti di sculture, però la cintura del vaso è intarsiata con leoni e chimere di un grande artista, e il bordo è a rilievo con una serie di danzatrici in rilievo bianco. L’impatto visivo è di

quelli che fanno venire una palpitazione. Non facciamo una elencazione delle opere d’arte napoletane presenti all’Ermitage, però nelle sale della pittura la veduta di Montesarchio, di Jacob Philippe Hackert, vedutista della corte dei Reali di Napoli, ai tempi di Ferdinando IV è di quelle imponenti, il quadro è gigantesco, più di due metri, una gigantesca quercia squarcia il paesaggio, annuncia la visione romantica del paesaggio, una invenzione di Napoli, che presto contaminerà tutte le capitali europee. Hackert prende le mosse da Salvator Rosa, annuncia la futura scuola di Posillipo, ma più ancora traccia un solco profondo, decisivo, per la storia della pittura in Italia. Più in là, in mezzo alle sale della pittura spagnola, ecco alcuni capolavori dello Spagnoletto,

dipinte a Napoli, una ubicazione innaturale, Jusepe de Ribera è napoletano fino al midollo, e fa sua la grande lezione di Caravaggio, a noi non interessano polemiche artistiche, ma queste presenze danno la cifra dell’Ermitage. Napoli ha un posto eccellentissimo, dappertutto; ecco le ceramiche rinascimentali di Castelli, dal Regno di Napoli, poi Della Robbia, Luca Giordano, certo, numericamente i capolavori della Magna Grecia hanno la leadership, ma nulla è escluso della cultura napoletana, e non poteva essere diversamente, visto l’indiscusso ruolo da protagonista nella scena d’Europa, come il ratto d’Europa, rappresentato su un cratere della sezione archeologica, col toro che porta la giovinetta in groppa verso Ovest, secondo il mito che annuncia la nascita della nostra civiltà.

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QUANDO LO ZAR NICOLA I SI INNAMORÒ DI NAPOLI

I “Cavalli di bronzo” furono un suo regalo alla città: rimase impressionato dalla corte dei Borbone e volle copiare in Russia le Officine di Pietrarsa

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o zar Nicola I e sua moglie Alessandrina Feodorwna furono ospiti di Ferdinando II a Palazzo Reale. Sono di passaggio, dopo un soggiorno in Sicilia che si è rivelato molto proficuo per la salute della zarina. Siamo nel dicembre del 1845 e vengono ricevuti con

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tutti gli onori. Festeggiamenti pubblici e privati, come accade in quel tempo in tutte le corti europee, vengono indetti in loro onore. Ma il re Ferdinando II non perde l’occasione di mostrare allo zar le risorse del suo regno. Fra queste, le officine di Pietrarsa, che egli ha vo-


Una delle fioriere in bronzo e porcellana provenienti dalla Manifattura Imperiale di Pietroburgo, regalo dello Zar di Russia ai Borbone. Oggi conservata a Palazzo Reale

luto destinare alla produzione di treni e locomotive. Proprio in quell’anno, è cominciata la costruzione delle prime sette locomotive costruite con materiali inglesi su modello della locomotiva Veloce acquistata in Inghilterra nel 1843. Quando lo zar visita lo stabilimento ne rimane talmente ammirato che ordina al suo ingegnere Echappar di rilevarne la pianta con la sistemazione delle macchine, perché venga riprodotta esattamente nel complesso industriale di Kronstadt in costruzione in Russia. L’ospitalità partenopea viene ricambiata dallo zar con l’invio di alcuni doni assai preziosi. Certamente dono degno di uno zar, la coppia di sculture monumentali firmate dal suo scultore preferito, Pjotr Klodt von Jurgensburg: ognuna rappresenta un palafreniere colto nel momento in cui trattiene per le briglie un cavallo imbizzarrito. Rinominate dai napoletani “i cavalli russi” e poi “i cavalli di bronzo”, furono poste dapprima all’ingresso dei giardini reali, su via San Carlo, mentre adesso si trovano un po’ più in là, nell’area prospiciente Castel Nuovo. Dello stesso autore, tanto la coppia di cavalli donata dallo zar a Federico Guglielmo di Prussia che oggi sono sul ponte di Brandeburgo e nel Castello imperiale di Berlino, quanto quella che si trova sul ponte più antico

A sinistra, i “Cavalli di bronzo” dello scultore russo Pjotr Klodt von Jurgensburg

costruito sul fiume Neva, a Pietroburgo. Altro regalo di ringraziamento molto particolare, un paio di fioriere di bronzo e porcellana provenienti dalla Manifattura Imperiale di Porcellana di Pietroburgo. Una di queste si trova, in perfette condizioni, a Palazzo Reale. Davvero raffinato l’accostamento del piano del tavolino di porcellana in blu e oro con il piede in bronzo che si prolunga anche verso l’alto a sostenere la fioriera e una gabbietta contenente un uccellino imbalsamato. Un oggetto prezioso, in cui non manca il riferimento al potere dello zar: sul piano spiccano sei miniature in cui sono ritratte altrettante residenze imperiali, tra cui il Cremlino. arpa

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QUEI PITTORI VENUTI DALL’EST PER “RUBARE” LA LUCE DI NAPOLI Tra il ’700 e l’800 decine di vedutisti russi dipinsero i panorami campani: ora una mostra li espone a Mosca e presto verrà al Mann 12

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“Gli ultimi giorni di Pompei”, 1830-33, la maestosa tela di Karl Brullov esposta al Museo d’arte moderna di San Pietroburgo

Silvestr Feodosiyevich Shchedrin, autoritratto, 1817: il pittore russo trascorse molti mesi a Napoli dove dipinse numerosi paesaggi (vedi foto nelle pagine seguenti)

di Armida Parisi

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ra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, l’Impero Russo era alleato del Regno delle due Sicilie. Perciò a Napoli vivevano molti artisti russi, in particolare pittori attratti dalla particolare qualità della luce che, interagendo con la superficie marina, suggeriva effetti coloristici sempre nuovi. Ad affascinare i russi era proprio la specificità del clima costiero mite, capace di immergere le persone in quella piacevole atmosfera di indolente “dolce far niente” che gli artisti si sforzavano di riprodurre sulle loro tele: erano le antena-

te di quelle che saranno prima le cartoline e poi le foto ricordo e i selfie. Paesaggi e scene pittoresche, ma anche ritratti ambientati nel paesaggio mediterraneo e scene storiche le rovine romane dei Campi Flegrei e degli scavi dell’area vesuviana erano fra i soggetti più richiesti dai nobili che arrivavano in città da tutto il Continente. Napoli, infatti, era una meta da non perdere durante il grand tour, quel viaggio tra le capitali europee che era considerato un momento essenziale per l’educazione della classe dirigente europea. Molto prolifica fu l’attività di Silvester Shchedrin, il paesaggista che amava l’Italia e, nel 1825 si trasferì a Napoli dove visse per cinque anni, alternando la permanenza in città con lunghi soggiorni a Vico Equense, Capri, Sorrento e Amalfi. Tanta era la considerazione di cui godeva che il re lo nominò Professore onorario del Reale istituto napoletano di belle arti. A dargli fama e ricchezza erano stati i suoi paesaggi: non solo scorci partenopei, ma anche suggestive marine di Capri e Sorrento,

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per non parlare degli splendidi notturni cui si dedicò nell’ultimo periodo della sua vita. Si faceva strada in quegli anni l’idea romantica dell’Italia come paradiso sulla terra, come paese dalla natura ricca e dalla vita semplice. E così la vedeva anche Shchedrin che contribuì alla diffusione del mito della “dolce

Napoli” nell’immaginario collettivo europeo. Il pittore si era stabilito in un appartamento a Santa Lucia, che, in una lettera, definisce “il posto migliore di tutta Napoli”, perché dalla finestra riesce a godere “della vista più deliziosa: il Vesuvio – come si dice – servito sul piatto, il mare, i monti, gli edifici disposti In alto, “The Small Harbour at Sorrento”, Silvestr Feodosiyevich Shchedrin, 1828

A sinistra, “Moonlight Night in Naples”, Silvestr Feodosiyevich Shchedrin, 1828

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A destra, “Naples. On the Embankment. (Riviera di Chiaia)”, Silvestr Feodosiyevich Shchedrin, 1819

in modo pittoresco, l’incessante movimento della gente che passeggia e lavora”. Uno sguardo non solo poetico il suo, ma anche incuriosito e divertito da quel fiume di persone indaffarate e chiassose che con cui si trovava a convivere. Per poco, purtroppo. Infatti una malattia lo portò molto presto alla morte: non aveva neanche quarant’anni quando si spense a Sorrento, dove ancora riposa, nel cimitero cittadino. Vicino di casa di Shchedrin, al civico 31 di via Santa Lucia, abitò per tre anni il pittore KiprenskiJ. Si era già distinto nel suo paese per la sua qualità di eccezionale ritrattista, e come tale fu apprezzato anche a Roma, dove si diede anche alla pittura di argomento storico. Quando giunse a Napoli, però non disdegnò di dipingere paesaggi, che si vendevano bene e gli consentivano di mantenersi. Persino il re Francesco I gli commissionò un’opera che ancora oggi si trova a Palazzo Reale: si tratta di “Ragazzini che riposano sul lungomare di Santa Lucia”. Non si stabilirono mai a Napoli, invece, i fratelli Aleksandr e Karl Bryullov che visitarono

la città solo qualche giorno. Il che non impedì loro di trarne profitto. Il primo fu così apprezzato grazie alla novità del paesaggio partenopeo sullo sfondo dei suoi ritratti , che il re Francesco I e diversi membri della famiglia reale gliene commissionarono uno. Il secondo trasse dalla sua visita agli scavi di Pompei lo spunto per la tela che lo rese noto in tutta Europa e che divenne l’emblema del romanticismo russo: “L’ultimo giorno di Pompei”, oggi al Museo di Stato di San Pietroburgo. Un dipinto che influenzò a tal punto i contemporanei che un poeta russo scrisse che “l’ultimo giorno di Pompei/ divenne il primo giorno per la pittura russa”. È questo un momento particolarmente interessante nella storia dell’arte europea, che è stato rivalutato solo recentemente. Lo dimostra la mostra che il museo Tretyakov di Mosca ha recentemente dedicato al rapporto fra artisti russi e napoletani tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo: in quella sede sono stati affiancati per la prima volta i dipinti dei maestri russi alle gouaches della Scuola di Posillipo.

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NAPOLI E CAPRI RIFUGIO DEI DISSIDENTI RUSSI

Bakunin, Gor’kij e Lenin: tre rivoluzionari sospesi tra bellezza e ideologia

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nni Sessanta dell’Ottocento a Napoli. Dopo la valanga garibaldina e gli entusiasmi risorgimentali, la città postunitaria si ritrova contrassegnata da profonde diseguaglianze. A un ristretto ceto intellettuale aperto, colto e smaliziato fa riscontro quella massa umana che vive ai limiti della sopravvivenza descritta da Matilde Serao nel “Ventre di Napoli”. È l’ambiente ideale per diffondere il verbo dell’anarchia. È per questo che nel 1865 vi si stabilisce Mikhail Bakunin, l’anarchico russo ricercato in tutta Europa su cui pendono ben tre condanne: una all’esilio da parte della Russia e due a morte in Germania e Austria. Prima è stato a Londra, dove ha conosciuto Mazzini e a lui si è ispirato per l’idea di una rivoluzione che muova dalla spinta delle società segrete. A Napoli infatti costituisce un’associazione, la “Fratellanza internazionale”, che incontra le simpatie di un ambiente già critico verso le idee mazziniane e più vicino a quelle socialiste, che erano state di Carlo Pisacane. Bakunin giudica la città pronta alla diffusione delle sue idee: è qui che scrive il “Catechismo rivoluzionario”, una vera e propria guida per i membri della “Fratellanza”. Anche due deputati meridionali, Saverio Friscia e Giuseppe Fanelli,

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sono fra i suoi seguaci. Intanto a Napoli il socialismo prende piede, come dimostra l’uscita di ben due fogli filosocialisti: Bakunin tende a considerarli frutto del suo impegno con la “Fratellanza”, ma probabilmente di stratta di movimenti che si sono sviluppati autonomamente. In ogni caso, l’anarchico russo è fermo nei suoi intenti e costituisce anche l’Alleanza internazionale della democrazia socialista. Da Napoli, intrattiene una vasta corrispondenza con i sovversivi di molti paesi. Ma è sotto osservazione stretta della polizia e gli viene fatto capire che la sua presenza non è molto gradita. Sicché non gli resta che abbandonare Napoli e l’Italia stessa. Qualche anno più tardi non Napoli, ma Capri, diventerà il punto di riferimento degli esuli russi. Nel 1906 ci arriva Maksim Gor’kij, lo scrittore strettamente legato al movimento rivoluzionario che l’anno prima era stato costretto ad emigrare. Prima è stato a New York, ma quasi subito si decide a tornare in Europa e si stabilisce a Napoli. Ci resta solo un anno, però, perché, come è avvenuto anni prima con Bakunin, il Comune di Napoli gli “consigliò vivamente” di sloggiare. Era diventato infatti un pericoloso punto di rife-


Capri, 1908: partita a scacchi tra Bogdanov (a sinistra) e Lenin sotto lo sguardo di Gor’kij

rimento per il Partito socialista e la Federazione dei sindacati. Si pensi che ad appena tre giorni dal suo arrivo organizzarono un comizio in suo onore nel grande chiostro della chiesa di San Lorenzo: i posti vennero occupati sin dalla mattina e molti rimasero fuori. A quel comizio prese parte anche Antonio Labriola, leader dei socialisti italiani. Insomma, Gor’kij a Napoli è sgradito, sicchè decide di salpare con la moglie per Capri. Qui si stabilisce in una piccola villa affacciata su Marina Piccola dove lavora alacremente al romanzo “La madre”, che termina nei primi giorni del 1907, e poi si dedica alla scrittura di numerosi racconti e diversi drammi. La sua casa divenne meta di numerose visite da parte personaggi del mondo politico, artistico e letterario russo. In particolare però, Gor’kij è il punto di riferimento dei rivoluzionari esuli sull’isola: Malinovskij, Rudnev, Lunacarskij, Krasin. Insieme formano una scuola per lavoratori bolscevichi progressisti, chiamati dalla Russia per diventare l’ossatura ideologica del partito rivoluzionario di massa. Preso com’è da questa attività di formatore, Gor’kij non tralascia di condurre i suoi allievi a Napoli. “Per quanto possi-

bile, loro cominciano a conoscere la vera cultura, sono stati al Museo Archeologico, nelle vecchie chiese, a Pompei…”, scrive in una lettera. Lenin, che vive in Francia, non vede di buon occhio la scuola di Capri, perché la considera strumento di una pericolosa alternativa al movimento bolscevico. Sicché persuade buona parte degli allievi a trasferirsi a Parigi. A Capri, però, ci va anche lui. Due volte, per una settimana circa. Oltre che incontrare gli esuli e convincere gli operai russi ad abbandonare la scuola di Capri per quella di Parigi, trascorre il tempo in compagnia di Gor’kij con cui si reca più volte a Napoli, dove visita il Museo archeologico, e a Pompei, non rinunciando a salire sul Vesuvio. «Mammina cara! Ti mando un grande saluto da Napoli», scriveva il prossimo fondatore dell’Urss al momento del suo sbarco. La tenerezza, nelle parole di Lenin, è difficile immaginarsela. Probabilmente, la dolcezza del luogo è riuscita a far breccia persino nel cuore di un rivoluzionario tutto d’un pezzo. Certo è che in quei giorni fra il 1906 e il 1908 la storia passò per Napoli e la città non rimase indifferente. arpa

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SE CHECOV RACCONTA NAPOLI: GLI SCRITTI DEI NARRATORI RUSSI IN VIAGGIO AL SUD “S iamo in un albergo sul lungomare dal quale si vede ogni cosa: il mare, Vesuvio, Capri, Sorrento… Durante il giorno siamo saliti al convento di San Martino Di lassù c’è una vista

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come non avevo mai goduto in vita mia. Un panorama stupendo. A Napoli c’è una magnifica galleria. E i negozi! Da far venire il capogiro! Uno splendore… A Napoli c’è un acquario meraviglioso. Ha perfino degli squali

e delle piovre”. È Anton Cechov a parlare di Napoli in termini tanto entusiastici. Lo scrittore vi arrivò nel 1891, in occasione del suo viaggio in Europa insieme al suo editore, e ne colse


A sinistra un’immagine dell’800 di via Toledo, così come dovette vederla Pavel Pavlovi Muratov, storico e critico d’arte russo (leggi la sua descrizione nell’articolo)

A destra, Anton Checov: lo scrittore russo fu a Napoli nel 1891

l’immagine da cartolina che il quartiere Chiaia, che in quegli anni si andava rinnovando con l’inserimento di eleganti architetture “fin de siecle”. Un taglio più antropologico hanno invece le riflessioni di Maksim Gorki, che vi soggiornò brevemente nel 1906, per poi trasferirsi a Capri, dove riteneva di poter combattere al meglio la tubercolosi che non gli dava tregua. Sull’Isola azzurra scrisse la raccolta di “Racconti d’Italia” che poi pubblicò a Parigi. In quello intitolato “Uno sciopero a Napoli” disegna un singolare spaccato di vita cittadina: “Gli impiegati delle tranvia di Napoli avevano fatto sciopero: lungo tutta la Riviera di Chiaia si allungava una via di vetture vuote. I conducenti e i fattorini, napoletani

rumorosi e allegri, irrequieti come l’argento vivo, si erano radunati a piazza Vittoria. Al di sopra delle loro teste un getto d’acqua sottile come a lama di una spada, oltrepassando il cancello del giardino, scintilla al sole. Gli scioperanti sono circondati da una minacciosa folla di gente ostile, chiamata dalle proprie faccende verso tutte le direzioni dell’immensa città: e tutti questi commessi di negozio, questi artigiani, questi piccoli commercianti, queste sartine biasimano gli scioperanti e levano voci di collera. Si fanno discorsi astiosi frammisti a scherni trafiggenti: le mani si agitano incessantemente poiché i gesti dei napoletani sono eloquenti ed espressivi quanto le parole loro inesauribili… Un branco di scugnizzi – i ragazzi

quasi nudi delle strade napoletane – saltano qua e là come passeri, e riempiono l’aria di grida acute, di sonori scoppi di risa. La città, simile a una stampa antica, è generosamente inondata di sole ardente; canta come un organo”. All’atmosfera trasognata di Chiaia, lo storico e critico d’arte, Pavel Pavlovi Muratov, preferisce il dinamismo di via Toledo piuttosto che la riviera, “piena di noiosi e costosi alberghi”: “Per vedere la folla realmente colma dell’incosciente, spensierata gioia superstiziosa dell’esistensa, bisogna passare per la via principale di Napoli, la famosa via Toledo. I suoi stretti e sudici marciapiedi, dalla mattina alla sera rigurgitano di gente che sa di essere felice della semplice coscienza

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Fëdor Dostoevskij visitò Napoli nel 1863 e la citò in due dei suoi capolavori letterari

della propria esistenza. Questa gente non si affretta in nessun luogo, e pure non ammazza il tempo fino alla disperazione con indifferenza. Il napoletano vive soltanto quando prova piacere. A Toledo è riunito tutto ciò che gli piace nel mondo. E nessun altro essere umano ama il mondo di un amore così forte, tenace, animalesco”. Ancora diversa era stata la percezione di Nikolaj Gogol, cinquant’anni prima: a fargli preferire Napoli a Roma era stato il calore del sole che, come scriveva al conte Tolstoj, “semplicemente riscalda l’ani-

Maksim Gor’kij, scrittore ed intellettuale russo, visse brevemente a Napoli nel 1906 prima di trasferirsi a Capri

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ma, non soltanto il corpo”. Ed è quasi un luogo sospeso nel tempo, una figura dell’immaginario, Napoli, per Dostoevskij. Il suo soggiorno partenopeo del 1863 è stato breve e tormentato dalle vicende di

un amore burrascoso. Tuttavia la città ritornerà in ben due dei suoi romanzi: “Delitto e castigo” e “L’idiota”. Città della tristezza, nel primo: “Ecco l’aurora che spunta, il Golfo di Napoli, il mare. Tu guardi e ti viene la malinconia”, dichiarerà a Raskolnikov, l’ambiguo corteggiatore di sua sorella. Città del sogno, per il principe Myskin, protagonista de “L’idiota”: “Continuavo a sognare una città grande come Napoli, in cui ci fossero palazzi, rumore, frastuono, vita…”. armpar


A NAPOLI UN PICCOLO TEMPIO DEDICATO ALLA RUSSIA: LA FONDAZIONE LERMONTOV di Armida Parisi

a realizzare un ponte culturale fra Italia e Russia, passando per le comunità russe e russofoè un pezzo di Russia a Napoli. Un ne presenti in Italia. È lui che cumula una serie piccolo tempio dedicato alla cultura di di incarichi che ne fanno un punto di riterimenquel grande paese lontano. E Carmine to essenziale per chi si occupi di cose russe: Zaccaria ne è il sacerdote. È lui che da vent’an- è infatti segretario generale della Fondazione ni a questa parte si è impegnato anima e corpo Lermontov e del Consolato bielorusso a Napo-

C’

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Carmine Zaccaria, segretario generale della Fondazione Lermontov e del Consolato bielorusso a Napoli: custodisce i tanti cimeli (vedi nelle altre foto in pagina) nella sede di Piazza Municipio 84

li, giornalista e consigliere nel Warp, il Consiglio Mondiale della Stampa Russa, fondatore e direttore del giornale in lingua italiana e russa Sussurri&Grida, responsabile della Camera di Commercio Italo-Russa in Campania e presidente di Rbn-Russian Broadcasting Network. È proprio lui ad aprire la porta dell’appartamento che ospita la Fondazione Lermontov, all’ultimo piano del civico 84 in piazza Municipio. Qui c’è una raccolta di oltre 500 oggetti appartenenti alla tradizione popolare russa che nel 2015 è stata dichiarata di eccezionale interesse artistico dal Mibact, il Ministero dei beni e delle attivita culturali e del turismo. La luce mediterranea penetra ovunque e crea un contrasto intrigante con gli arredi in legno massiccio, le grandi porcellane mongole, gli scaffali traboccanti di libri coi titoli scritti in caratteri cirillici. Zaccaria ha un aneddoto per ogni cimelio: «Il corno georgiano, in osso cavo, si trova all’entrata di ogni casa russa: quando arriva un ospite gli viene consegnato pieno di vodka o di altro supralcolico. Va tenuto sempre in mano perché, data la forma appuntita, se fosse poggiato, il liquido si verserebbe. L’ospite cosi è indotto a bere, e non ha scampo: perché appena

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svuota il corno e lo poggia, questo gli viene prontamente riempito». Poi ci sono le matrioske: «Queste pietroburghesi sono stupende continua Zaccaria smontandone una - in una bambolina di legno gli artigiani riescono ad infilarne altre dieci con un lavoro di miniatura delicatissimo». E, ancora, dovunque ci si giri, si ammirano busti, medaglie, francobolli commemorativi, strumenti musicali e persino alcuni frammenti di meteorite caduti in Siberia qualche anno fa: sono i pezzi eterogenei di questa singolare wunderkammern dal sapore slavo. Ma il vero punto di forza della Fondazione è la biblioteca. Con 1.400 volumi in lingua russa e più del doppio in italiano, abbraccia ogni ambi-


to del sapere, ma soprattutto storia, letteratura e arte russa, con una particolare attenzione alla poesia. Davvero unica la raccolta di 300 guide turistiche in lingua russa di svariate località italiane. E poi film, riviste, pubblicazioni varie. Insomma una vera miniera di documenti, immagini, testimonianze. A gironzolare fra gli scaffali si rischia di imbattersi anche in incredibili chicche da bibliofilo. Come un introvabile “Io, in Russia e in Cina” di Curzio Malaparte: «Mi è molto caro perché è un regalo di Gaetano Colonnese», specifica un po’ commosso

Zaccaria nel ricordare l’indimenticabile libraio antiquario. Oppure tutte le opere di Ettore Lo Gatto, il grande slavista napoletano che dedicò la vita alla conoscenza della cultura russa e fondò una rivista cui collaborò persino Gor’kij. «Il nostro obiettivo è promuovere la ricerca nei settori della geopolitica, storia e sociologia, per favorire una maggiore comprensione delle dinamiche contemporanee – sottolinea Zaccaria con una punta di orgoglio – La fondazione Lermotov è aperta alla città: è uno spazio per la conoscenza, il dibattito e la riflessione».

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SORPRESA: ’O SOLE MIO FU SCRITTA IN RUSSIA

La canzone più famosa del repertorio napoletano venne composta ad Odessa

‘O

sole mio, la canzone che ha fatto conoscere Napoli in tutto il mondo, è stata scritta durante un viaggio di lavoro in una città dell’Impero russo. Pare impossibile che quella melodia così trascinante e calda sia stata partorita in un luogo così distante, per clima e cultura, dalla terra partenopea. Eppure le cose andarono proprio così. Eduardo Di Capua aveva studiato al conservatorio e aveva già dato prova delle sue quali-

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tà di compositore firmando canzoni che diventeranno dei classici, come Maria Marì, Io te vurria vasà, Torna Maggio. Quell’anno, era il 1898, il giovane Di Capua si trovava ad Odessa insieme con suo padre Giacobbe, un violinista che si esibiva in piccole orchestre da “posteggia”. E fu proprio l’atmosfera magica di una fredda mattinata invernale sul Mar Nero, di quelle col cielo terso in cui la luce del cielo si confonde con quella del mare, a ispirare al

giovane musicista il motivo centrale della canzone, intriso di nostalgia e passione. Il testo glielo aveva dato, prima della partenza, il suo amico Giovanni Capurro, cronista e critico teatrale del quotidiano napoletano “Roma”. Quando rientrò in Italia, la canzone era bell’e composta, pronta per la firma del contratto con l’editore Bideri. In quello stesso anno, la canzone si aggiudicò il primo posto al concorso di Piedigrotta, anche grazie a una dedica “strategica” alla bellissima Anna Maria Vignati-Mazza, detta “Nina”, moglie del senatore Giorgio Arcoleo. Fatto sta che, da allora, ’O Sole mio conobbe un successo sempre crescente. Tanto che, qualche anno dopo, fu suonata addirittura al posto dell’inno nazionale. Avvenne nel 1920, all’inaugurazione delle Olimpiadi in Belgio. Allora come ora, le squadre sfilavano davanti al pubblico precedute dai rispettivi inni nazionali. Quando fu la volta dell’Italia ci fu un momento


I POSTEGGIATORI E GLI ZAR L’amore dei russi per la musica partenopea ha radici antiche

L Lo spartito originale di ’O sole mio, musiche di Eduardo Di Capua, testo del giornalista del “Roma” Giovanni Capurro

di panico: l’orchestra aveva smarrito lo spartito della “Marcia reale”. Il direttore non si perse d’animo e attaccò con le note di ’O sole mio, sostenuto immediatamente dalla folla che cominciò a cantare a gola spiegata. A dispetto del successo mondiale della canzone, però, i due autori rimasero nell’ombra. A quei tempi il copyright non esisteva ancora e perciò i due non godettero i benefici economici che la loro opera avrebbe di gran lunga meritato. Di Capua, a 31 anni rimase vedovo con due figli e si manteneva con un misero stipendio da pianista nelle sale di cinematografiche dove accompagnava dal vivo

a posteggia napoletana era un complesso musicale di 4-5 elementi che si esibiva in un “posto” pubblico, una trattoria o un caffè, ripagato col contributo spontaneo degli ascoltatori. Oggi la posteggia è perlopiù costituita da un cantante dotato di chitarra o mandolino che esegue canzoni della tradizione classica napoletana. In passato i posteggiatori partenopei erano molto apprezzati, tanto che spesso venivano chiamati anche all’estero. E fu proprio come posteggiatore che fece la sua gavetta il famoso tenore Enrico Caruso. Celebre fu anche ‘O Zingariello, al secolo Giuseppe Di Francesco: Wagner lo invitò addirittura a seguirlo in Germania, nella sua casa di Bayreut, dove era applauditissimo. Arrivò persino nelle più importanti capitali europee, Pasquale Jovino, detto Pascale ’o piattaro, perché da ragazzo era stato decoratore di piatti. Si racconta che, venuto a conoscenza del successo che riscuoteva nei ristoranti di Pietroburgo, fu chiamato a corte dallo zar Nicola II, che si divertì molto per l’interpretazione di “’A risa”. Proprio la canzone che, al Quirinale, aveva suscitato nella Regina Margherita una risata così irrefrenabile da farla quasi cadere dalla poltrona. In Russia la canzona napoletana ha sempre goduto di un grande favore presso il pubblico. Al primo posto c’è sempre “‘O sole mio”, seguita da “Funiculì Funicolà”, “Io te voglio bene assaie” e “Torna a Surriento”. Ancora oggi molti russi, pur non parlando italiano, ne conoscono a memoria i testi più famosi. Non meraviglia allora scoprire che Bruno Venturini in Russia ha tenuto ben 380 concerti. E che Anatolij Solovianenko, riconosciuto come il più grande tenore russo, ha inciso numerosi cd di canzoni napoletane.

la proiezione dei primi film muti. Doveva farcela a mala pena a sopravvivere se, alla sua morte, avvenuta nel 1917, sembra che il suo pianoforte sia stato venduto per pagare

i debiti lasciati insoluti. Altrettanto triste sarà la sorte di Giovanni Capurro, che morirà tre anni più tardi povero e senza alcun riconoscimento. ap

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L’INTERVISTA di Alessandro Savoia

IL TESTIMONIAL

«Per conoscere davvero Napoli bisogna partire dal suo Museo» Alessandro Siani si racconta attraverso la sua città, la sua regione e le opere d’arte: «Fu mio nonno a farmi conoscere il Mann»

«C

hi viene a visitare Napoli ne deve conoscere la storia. Prima tappa deve essere necessariamente il Museo, poi ci si può avventurare tra le strade della città per apprezzarne la bellezza, i profumi, i sapori, ed incontrare il popolo». Alessandro Siani è un artista molto legato al suo territorio, alle sue radici e non smette mai di dimostrarlo al cinema, in televisione, a teatro. Che ricordo ha del Museo Archeologico Nazionale? «Ho un ricordo bellissimo legato alla mia infanzia. Ci andai quando ero bambino, ci andai con mio nonno. Non sono stato in tanti

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posti con lui ed anche per questo custodisco con gelosia questo momento. Un giorno decise di portarmi nel mitico Museo. Per un bambino sentire la parola “museo” può sembrare pesante, a quell’età si preferisce magari un parco divertimenti. Ma quella volta per me non fu affatto pesante. Le immagini di quella visita le conservo ancora nel cuore, un ricordo vivo. Capii l’importanza del passato, conobbi le radici di Napoli». Città che tu conosci bene, com’è cambiata da allora? «Non ho mai lasciato Napoli. Le trasformazioni che sono avvenute le ho sentite sulla pelle. Stare in questa città e viverla ti dà una dimensione di quello che accade. E percepisco che c’è voglia di rinascere, un po’ come accadde nel 1984. Quello fu un periodo epocale con l’arrivo


Alessandro Siani in una scena del suo ultimo film “Mister Felicità”

di Maradona che segnò un cambiamento della città che era dominata dalla rassegnazione e dall’indolenza. Ci fu una vittoria sportiva e sociale e da lì qualcosa è cambiato. Compresi che gli uomini possono cambiare le cose». E oggi? «Oggi credo che il sindaco De Magistris stia facendo un lavoro importante sia per i napoletani che per chi ci vede da fuori. Napoli non è più una cartolina sporca ma una cartolina su cui scrivere “venite a vederla” e spedirla in tutto il mondo. Il turismo è la base per far ripartire il paese ed a Natale ho visto la città invasa di gente. Questo ci dà una

grande forza. Oggi Napoli non è più una città di passaggio per le isole. Oggi si arriva per restare e poi per ripartire e vedere quei gioielli come Capri, Ischia e Procida. Credo si sia allargata la visione di Napoli e di tutto il Sud». Turismo che può essere agevolato anche dal cinema… «Sì, e ne è una dimostrazione “Benvenuti al Sud”. Con quel film abbiamo creato un meccanismo fortissimo di turismo a Castellabate. Ma anche con “Si accettano miracoli”, girato a Furore, sulla Costiera Amalfitana, è accaduta la stessa cosa. E sono onoratissimo di aver ricevuto la cittadinanza onoraria in entrambe le città».

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L’INTERVISTA

IL TESTIMONIAL L’IDENTIKIT

A

lessandro Siani è il nome d’arte del comico napoletano Alessandro Esposito. Nato nel 1975, esordisce giovanissimo come cabarettista nei teatri-laboratorio del centro storico. Decide di cambiare cognome in onore del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra. I primi successi televisivi sono dovuti a programmi come Telegaribaldi, sulle emittenti locali campane, per poi approdare a Bulldozer su Rai2, con Federica Panicucci, che lo fa conoscere a tutta Italia. Senza mai abbandonare il teatro (il primo grande successo fu “Fiesta”, nel 2004), sbarca anche al cinema grazie alla serie dei film di Natale, al fianco di Christian De Sica. Nel 2010 è protagonista con Claudio Bisio di “Benvenuti al Sud”, seguito poco dopo dal sequel “Benvenuti al Nord”, che riscuotono un vasto successo al botteghino. Ormai è un ospite richiestissimo in tv, dal Festival di Sanremo ad “Amici”. Nel 2013 debutta come autore e regista cinematografico con il suo “Il Principe abusivo”, in cui recita ancora con Christian De Sica, che sarà uno dei film italiani più visti in quell’anno. A teatro cura la regia di “Benvenuti in casa Esposito” e, proprio in questi mesi, dello spettacolo musicale di Sal Da Vinci “Stelle a metà”. Intanto registra un altro successo come regista e protagonista al cinema con “Si accettano miracoli”. In questi giorni è uscito il suo terzo film come autore: “Mister Felicità”.

E nel tuo ultimo film? «In “Mister Felicità” racconto l’esigenza di rimanere napoletano, di mantenere le proprie radici, anche quando non si sta a Napoli, perché quando siamo fuori

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sentiamo l’esigenza di esprimerci in dialetto. In questo caso i protagonisti si trovano in Svizzera per lavoro, sono tornato su alcune location suggestive già utilizzate nel “Principe abusivo”. Anche nei prossimi film ci sarà sempre grande attenzione alla nostra città, per mostrarne il meglio. Qui abbiamo tanti luoghi meravigliosi». Grazie all’intesa con Riccardo Tozzi e alla Cattleya Lab stai già facendo tanto per Napoli…


Io non ho mai lasciato Napoli, ma in “Mister Felicità” racconto l’esigenza di rimanere napoletani anche quando si espatria, di mantenere le proprie radici. Anche nei prossimi film ci sarà sempre grande attenzione alla nostra città

«L’obiettivo del Cattleya lab è quello di girare a Napoli per lanciare giovani talenti. Lo facemmo con “Troppo Napoletano” raccontando la città. E lo faremo di nuovo. Il prossimo film, invece, vedrà protagonisti due comici siciliani, i “Soliti spicci”. Ma c’è in cantiere anche un progetto napoletano. Fa parte del rinascimento di questa città avere grandi produttori di spessore intellettuale, per raccontare le varie sfumature della città». Tra le sfumature c’è anche quella della criminalità organizzata… «Ed è giusto ironizzare anche su questo lato della città, Napoli è fatta di tante facce e deve esservi un bilanciamento, così come c’è “Gomorra”, ci deve essere “Benvenuti al Sud”, ed il nostro ruolo è quello di far ridere trattando tematiche diverse».

Quindi per affrontare la vita c’è bisogno di felicità? «Di felicità ne abbiamo sempre bisogno, e ce la prendiamo sia da una vittoria della “tumbulella” che da una parola d’amore detta in un momento particolare. La verità è che la felicità non sappiamo

dove andarla a prendere, anche quando la cerchiamo dentro di noi ci risulta abbastanza difficile trovarla. Io non conosco la ricetta della felicità ma spero di aver farcito il mio “Mister Felicità” di ingredienti che messi assieme possono portare alla gioia».

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LE VOCI DI DENTRO

I dipendenti del Museo

NELLO FEBBRARO

SALVATORE MOCERINO

ANDREA MILANESE

Accoglienza e vigilanza

Assistenza alla vigilanza

Storico dell’arte, Responsabile Archivio Storico

Sono 42 anni che lavoro qui, entrai a 19 anni mentre studiavo Giurisprudenza. Ho vissuto la trasformazione del museo, pensate che all’epoca il custode usava una coperta sulle spalle per coprirsi dal freddo e non c’erano allarmi.

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Con 12mila fascicoli che vanno dal ‘700 al 1930, l’archivio storico del museo archeologico è uno dei più ricchi e variegati. Facendo anche ricerca, ho realizzato un libro sulle esportazioni e commercio d’arte e d’antichità a Napoli nella prima metà dell’Ottocento.

VITTORIO MELINI

LUCIA EMILIO

MARIA VOZZELLA

Ufficio stampa

Responsabile servizio educativo e social media

Addetto ai supporti

Nasco psicologo e 25 anni fa vinsi il concorso qui. La mia formazione mi ha aiutato molto nelle relazioni e nella comunicazione. Qui ho potuto conoscere Pedro Canu, un fotografo cieco, ho potuto apprezzare il suo modus operandi, mi colpì moltissimo.

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Cossiga, Ciampi, Napolitano, numerosi ministri e Berlusconi con il G7. In 35 anni ho visto le cariche più importanti dello Stato venire qui. E quando hanno aperto il Salone della Meridiana ai grandi eventi ci sono venuti a trovare anche Lucio Dalla e Renzo Arbore.

Tutti gli eventi che realizziamo servono a favorire una maggiore fruizione del pubblico. “Immedesimarte” è stata tra le iniziative più interessanti e seguite, un progetto fotografico in cui bisognava mettersi in posa come le statue. Siamo molti attivi su Instagram ma anche su Facebook e Twitter.

Sono nata qui. Mio nonno e mio padre sono stati custodi del museo ed hanno vissuto qui. Io ci lavoro da 37 anni, sono un factotum, mi occupo dalla scrittura di una lettera al computer al trasporto di sedie e tavoli. Ricordo con piacere l’installazione nell’atrio con 100 lauri che formavano un labirinto.


Testi raccolti da Alessandro Savoia

LUIGIA MELILLO

STEFANIA NAPPO

GIORGIO PAPA

Funzionario archeologo, responsabile ufficio restauro e relazioni internazionali

Accoglienza e sorveglianza Ales

Operaio pulitore

Il nostro laboratorio è tra i più Sono laureata in archeologia grandi d’Italia. Contiamo ben e storia dell’arte e lavorare 19 restauratori e ci occupiamo qui è la realizzazione di un di tutti i materiali. Siamo fortupiccolo sogno. Mi piace il nati perché lavoriamo proprio in contatto con il pubblico, farun museo, e ciò consente di ope- gli comprendere l’importanrare sempre a livelli molto alti, za di quello che è custodito con le collezioni. Alcuni restauri qui. La crescita del museo vengono fatti in partnership con rispecchia la rinascita della il museo Getty di Los Angeles. nostra città.

Mi capita spesso di trovare nel museo oggetti smarriti, dal portafoglio allo smartphone, ma anche occhiali e tablet. Sono i ragazzi che li perdono perché distratti. Il nostro quartier generale è un piccolo “museo” dedicato a Maradona con foto, poster e ritagli di giornale.

NELLO COVINO

ASSUNTA IENGO

ORNELLA D’ANTONIO

Biglietteria

Assistente all’accoglienza

Servizio accoglienza

Negli ultimi anni ho notato Sono qui 2000 e i ricordi più un picco di presenze specie belli sono legati ai bambini. nel 2016, il target è molPiù di una volta mi hanno to internazionale ma non lasciato dei disegni che mancano italiani e campa- hanno realizzato durante la ni. Che gioia questo Natale visita. Una bimba, volando aver brindato tutti insieme con la fantasia, mi disse che alla presenza del direttore sapeva leggere i geroglifici e in un atrio addobbato di me li spiegò. lucine per l’occasione.

Mi capita di svolgere più mansioni, dal guardaroba alla accoglienza, da una dozzina di anni. L’episodio più divertente mi capitò con turisti americani: videro qui fuori un cuscino da salto pneumatico dei vigili del fuoco, credevano fosse una nostra attrattiva e chiesero il prezzo per lanciarsi su. 01 2017

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