La Circolare di Papillon n° 1 / 2023

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IL PRODIGIOSO

DUELLO

di Paolo Massobrio

“Non ci servono anni di Covid e guerre per rendercelo presente, perché il Prodigioso Duello – evocato la domenica di Pasqua per dire che Morte e Vita si sono affrontate – avviene tutti i giorni della nostra esistenza. Ed è il duello tra il senso delle cose, che dà vita e speranza, e la mancanza di sen-

so che non fa neppure alzare dal letto”. Con queste parole Annalena Valenti scrive l’introduzione del libro Aspettando Pasqua, che è la prima pubblicazione dell’anno della “nostra” casa editrice, per la collana Vivide Vite. Ma che la vita sia una battaglia, vissuta fra rassegnazione e speranza, ce lo dice anche Francesca Settimi che, insieme alla scrittrice Lucia Ravera, ha messo nero su bianco la storia della sua vita per dare alle stampe, sempre con Comunica Edizioni e per la stessa collana, il libro Io, Guenda e

il gene matto. L’anno inizia dunque così, sulla spinta di un 2022 che ci ha permesso tantissimi incontri, altrettanti assaggi e molte riflessioni. Va detto infatti che La Circolare, che i nuovi soci di Papillon ricevono per la prima volta, è innanzitutto uno strumento di riflessione sull’esperienza, che è quella che noi viviamo dentro al mondo del gusto. Un mondo che è fatto di cibi e di vini, ma anche di un’umanità talvolta esemplare, persino affascinante, capace di confortare il cammino della vita, qualunque mestie-

re si faccia. Leggere allora il libro di Francesca, ma anche quello dedicato alla Pasqua che non è solo per i bambini, ci mette di fronte all’ampiezza di un orizzonte, dal punto di vista umano, che mai avremmo immaginato dentro le vicissitudini della vita che cadenzano i giorni. La vita di un cuoco, di un vignaiolo, di un bottegaio, di un cameriere, di un artigiano o di un commerciante, per citare le categorie che fanno riferimento al Golosario, che

GENNAIO
XXVIII
1 2023
anno
n.
periodico dell’Associazione Club di Papillon A. P. S. diretto da Paolo Massobrio
GOLOSARIA MONFERRATO 6-7 MAGGIO 2023 PEFC/18-31-992 RiciclatoPEFC Questoprodottoè realizzatoconmateria primariciclata www.pefc.it 25 STORIE DI INTREPIDA SPERANZA IL RACCONTO CHE È UN INNO ALLA VITA > REGISTRAZIONE TRIBUNALE ALESSANDRIA N. 443 DEL 3.7.93 > POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN A.P. D.L. 353/03 (CONV. L. 46/04) ART. 1 COMMA 1, DCB ALESSANDRIA > EURO 0,50 > AUT. DIR. PROV. PP.TT ALESSANDRIA > ISSN 2532-5973 > PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: WWW.STUDIO-DUE.IT > STAMPA: CENTRO STAMPA QUOTIDIANI SPA

non è mai qualcosa di definito e incasellabile. Nessuna vita si può incasellare, nonostante ci sia una politica che non vuole fare i conti con quella parola che è libertà. Non li fa per esempio un Paese come l’Irlanda, che decidendo di mettere sulle etichette delle bottiglie di vino la medesima scritta che c’è sui pacchetti di sigarette, è come se si lavasse le mani rispetto alla sfida di educare un popolo alla convenienza di una misura. Libertà è una sfida che fa parte del Prodigioso Duello, che persino un osservatore come Mario Calabresi ha descritto nel suo ultimo libro, Una volta sola, che racconta come certe scelte possano condizionare il percor-

so di una vita. Certo, da parte nostra, siamo promotori di un’idea che in oltre 30 anni abbiamo cercato di rendere pubblica: la Relazione, che diventa anche Colleganza. Perché se si sta insieme, l’orizzonte si allarga e tutto assume un significato diverso da quello che avremmo potuto immaginare. È il senso di Golosaria, dove l’edizione di inizio novembre 2022 ha reso evidente cosa significa incontrarsi e non per modo di dire. Ci ha colpito in tal senso il commento di un cuoco a una giovane coppia di nostri lettori, ai quali ha detto: “Paolo e Marco sono uomini felici che aiutano tanta gente”. Ora queste parole, al di là dell’evidente compiacimento,

crediamo che abbiano colto la genesi di una storia, che è quella del Club di Papillon, dove la gioia di ritrovarsi a vivere insieme e per di più con la materia del gusto, fa nascere luoghi, incontri, connessioni e Colleganze. Allora leggerete nel lungo diario di questi mesi chi abbiamo trovato sul nostro cammino e cosa ha detto alla nostra vita il suo essere, il suo lavoro, il suo sguardo sulle cose. Incontri di persone che animano anche le pagine dei nostri libri e i nostri raduni periodici: a Milano il 27 febbraio con i produttori dell’Abruzzo; nel Monferrato a inizio maggio con Golosaria tra i castelli; e ancora a Milano a inizio novembre con Golosaria numero 18. Oppure

in una delle tante cantine che offrono un’esperienza e che a maggio verranno rappresentate su IlGolosario Wine Tour. Certo, il nostro mestiere è quello di raccontare, e lo facciamo ogni giorno su IlGolosario.it o coi libri citati, ma se non ci fosse la rappresentazione di questa vita, e con essa la memoria di chi è passato, molte cose non si saprebbero e troppe persone interessanti resterebbero nell’anonimato. Invece è proprio lo sguardo curioso alla vita che ci fa alzare la testa, anche alla vigilia di un anno che alla partenza ha tante questioni irrisolte. Auguri allora, perché questo 2023 sia veramente all’altezza dei vostri desideri.

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I soci di Papillon durante l’anno ricevono L’INVITO a partecipare alle nostre iniziative (locali e nazionali) con l’ingresso gratuito in tutte le aree, I NOSTRI LIBRI in omaggio, LA NOTIZIA DEL GIORNO ovvero la preziosa rassegna stampa quotidiana online. E poi tutte le convenzioni in essere riservate ai soci.

Appartenere al Club di Papillon significa sostenere un mondo e conoscerlo insieme. È il mondo del gusto, dei piccoli artigiani alimentari, dei negozi eroici, dei produttori di vino che portiamo ogni anno alla ribalta, insieme a quella che consideriamo l’autentica ristorazione italiana.

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L’ABRUZZO A MILANO ALL'HOTEL MELIÁ

LUNEDÌ 27 FEBBRAIO

Le Giornate del Vino di Golosaria

Le Giornate del Vino di Golosaria tornano in scena all’Hotel Meliá di via Masaccio a Milano, sede storica di Golosaria, dopo il successo con i vini lombardi e i vini dell’Emilia Romagna

LUNEDÌ 27 FEBBRAIO - ORARIO 10.30/20.30

Sarà la volta dei vini e delle cose buone della regione Abruzzo, grazie all’azione promossa da Regione Abruzzo e dal Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, che ha celebrato i vent’anni di attività Il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo valorizza e tutela le Doc Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo, Abruzzo e Villamagna; tra le Igt, Colline Pescaresi, Colline Teatine, Colline Frentane, Colli del Sangro, del Vastese o Histonium, Terre di Chieti, Terre Aquilane o Terre de L’Aquila. Le Cantine associate sono oltre 200.

Sarà perciò un focus entusiasmante sui vini rossi, bianchi, rosati e spumanti regionali da scoprire sia con le degustazioni nei banchi d’assaggio dei produttori top presenti al Meliá sia assistendo alle Masterclass tematiche guidate da Paolo Massobrio e da Marco Gatti, che accenderanno la luce sulla qualità e sulla versatilità dei vini abruzzesi.

La partecipazione alla Giornata è l’occasione per conoscere anche il ricco paniere di cose buone espresso da questa splendida terra che si estende dalle più alte vette appenniniche fino al Mare Adriatico: dalla teoria di chicche casearie (pecorini, ricotte, canestrati, caciotte) agli oli extravergine d’oliva prodotti in un vasto areale che va dal mare alla montagna, dalle colline litoranee a quelle pedemontane della Maiella e del Gran Sasso; dall’antica arte norcina locale (coppiette, salsicce di fegato, capocollo, salame marsicano, guanciale, salumi di selvaggina…) ai mieli dei Parchi e delle Riserve Naturali; dai prodotti da forno (bocconotti, parrozzini, mostaccioli, pane spiga, pane nobile di Guardiagrele…) a quelli vegetali (aglio rosso di Sulmona, carciofo del Vastese, tondino del Tavo, patata degli Altipiani d’Abruzzo...) e la gamma dei dolci della tradizione (torroni, confetti, parrozzi, cicerchiate…). E ci sarà anche l’occasione per assistere a due show cooking dedicati a queste prelibatezze!

informazioni www.golosaria.it

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DI PAPILLON
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VIAGGIO

19 ottobre

Nel nostro giorno fortunato, la Convention dei Delegati Il raduno dei Delegati dei Club di Papillon oggi si può fare in maniera più agile rispetto al passato: il Covid ci ha lasciato in eredità Zoom, che di fatto permette di connetterci in tempo reale da ogni parte d’Italia. E oggi ci ritroviamo per mettere sul tappeto le iniziative dei prossimi mesi, dove il culmine sarà proprio la tre giorni di Golosaria prevista per inizio novembre, ma anche l’uscita dei nostri libri che quest’anno vedranno un titolo in più, per la collana Vivide Vite, che sarà Aspettando Natale di Annalena Valenti, Raffaella Carnovale e Valeria De Domenico.

Siamo in attesa di ricevere ufficialmente il riconoscimento di Associazione di Promozione Sociale (Aps) con l’iscrizione al registro creato all’uopo, ma anche di verificare l’efficacia di un nuovo strumento interno, il Direttorio, previsto alla voce “Comitato” nel nuovo statuto (il testo è disponibile sul sito del Club), dove saranno convocati, a gennaio 2023, i Delegati che di fatto si stanno impegnando con un’esperienza nei loro territori, da cui stanno nascendo tante belle iniziative. E non è una questione di età, ma di quella freschezza che non viene mai meno. È possibile mantenerla viva anche se passano gli anni?

IL PUTAGÉ E IL RICORDO DI UN AMICO: MASSIMO PIRONI, GIÀ SINDACO DI RICCIONE

(pubblicato su Avvenire del 12 ottobre) Non c’era nulla da portar via nella casa dei nonni, dove dopo un anno di abbandono hanno fatto visita i ladri. Che si saranno stupiti di non trovare la cucina ma il vecchio “putagé”: stufa a legna che aveva la doppia funzione di scaldare una stanza e di cucinare. Il nome deriva dal francese potage (minestra di ortaggi) e dal latino Pottum (pentola). A Cartosio, paesino dell’Appennino alessandrino, ci si va per la

trattoria Cacciatori, dove la giovane Federica, che ha preso le redini dalla famiglia Milano, ha scelto da anni di cucinare col putagé. E il risultato è eccellente: per il gusto e per il risparmio. Ma già il dibattito è aperto, perché i cuochi stanno riscoprendo la brace, per inventarsi qualcosa che combatta l’aumento dei prezzi dell’energia. È il momento dell’essenzialità e della necessità virtù, penso dopo aver visitato un’opera sociale a Mercatale di Ozzano dell’Emilia, Local to you, nella sede della cooperativa La Fraternità che ospita 300 ragazzi con qualche disabilità ma in grado di svolgere mansioni lavorative, hanno creato un’oasi dove una giovane cuoca, Sara, ha il compito di dare valore ai prodotti che coltivano nei loro campi. Benedetto, uno dei soci dell’opera, mi mostra lo spaccio aperto al pubblico, la mensa dove i ragazzi si rilassano, mangiando insieme e bene e un bar dove il caffè è al massimo. Mi ha colpito vedere nel frigo-vetrina un pacco di ortaggi spezzettati e sottovuoto, da rivendere per fare dei minestroni, salvando così gli scarti. Anche Massimo Spigaroli di Polesine Parmense nel suo ristorante dentro l’Antica Corte Pallavicina ha il putagè della mamma in vista. E quando settimana scorsa ha presentato il suo libro a Milano sulla cucina gastrofluviale, si è commosso mentre raccontava di una telefonata con Alain Ducasse in pieno Covid, entrambi coi locali chiusi, mentre andavano nell’orto: “Vedrai che ancora una volta sarà la terra a salvarci” gli disse Ducasse. Massimo Spigaroli è sindaco di Polesine-Zibello, come lo era stato un altro, Massimo, Pironi, che conobbi quando era sindaco di Riccione. Ci ha lasciati la settimana scorsa alla guida di un pulmino coi suoi ragazzi disabili e la cosa ha colpito tanti che lo conoscevano. L’appello di oggi è dunque una minestra di esempi mutuati dalla cronaca che dicono quando il paese abbia urgenza di Welfare, per rendere virtuosi quei tentativi di chi dà risposte dal basso che sono esempio per tutti.

Ma perché nessun candidato al governo si straccia le vesti per occupare, se ci sarà, il ministero del Welfare?

20 ottobre

Alla Clusaz con l’Accademia della Cucina di Aosta Andrea Nicola, delegato dell’Accademia della Cucina Italiana di Aosta, mi invita anche quest’anno alla cena ecumenica che si svolge in tutte le delegazioni del mondo (sono circa 300) e che in Italia presenta il libro La tavola del contadino con 190 ricette regionali. Siamo al ristorante La Clusaz di Gignod, che riconquista – a guida già uscita – la corona radiosa, grazie all’impegno dei giovani Thierry Buillet e Piergiorgio Pellerei, che già erano ai fornelli con i coniugi Grange. E per me è un onore partecipare all’iniziativa di un sodalizio nato nel 1953 che si appresta, il prossimo anno, a compiere i suoi 70 anni. Fu fondata nel mese di luglio da Orio Vergani, insieme a Dino Buzzati e pochi altri, e questo fu un fatto importante, perché insieme a Mario Soldati, in quegli anni, si misero le fondamenta di quella che oggi viene definita la cultura del cibo. Negli anni a venire, sempre a Milano, sarebbero nate l’Aibes (Associazione Italiana Barman) grazie al mitico Angelo Zola e poi l’Ais (Associazione Italiana Sommelier), la cui tessera n. 1 portava il nome di Jean Valenti.

Il presidente nazionale dell’Accademia della Cucina, Paolo Pietroni, lo conobbi negli anni in cui eravamo alla Guida dell’Espresso (dal 1997 al 2001) e il rapporto fra noi è

IL DIARIO
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L’ultima Circolare, inviata poco prima di Golosaria Milano a novembre, chiudeva il diario a metà ottobre. Per cui partiamo da lì, per raccontarvi cosa è successo in questi mesi, che salutano il nuovo anno già avviato.
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Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Paolo Massobrio con il delegato della Cucina Italiana di Aosta, Andrea Nicola

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sempre stato improntato alla cordialità e alla stima. Ma mentre parlo del fermento che vide protagonista Milano negli anni Cinquanta, mi colpisce trovarmi fra gli autori di un libro, l’Angelo dello Shaker, che ha raccontato l’epopea di Angelo Zola, barman al Principi di Savoia e poi fondatore dell’Associazione Internazionale Barman. E così Jean Valenti, descritto nel libro autobiografico Memorie di un vecchio sommelier che ebbe la mia prefazione, con Jean ancora in vita, salito sul palco di Golosaria col nipote Ciacci a mostrare la sua tessera n. 1. Non dico questo per compiacermi, perché serve a nulla il compiacimento, ma solo per sottolineare che ci sono state grandi figure nel nostro mondo, che poi vengono dimenticate e comunque non traghettate nei dovuti modi per spiegare il presente. Da questo punto di vista è davvero ingeneroso come sia stato archiviato alla svelta Gualtiero Marchesi, mentre le geniali intuizioni di Veronelli restano nei ricordi di chi lo ha conosciuto, ma esulano dal diventare, in qualche modo, ancora pubbliche. Detto questo, sono convinto che il valore del nostro essere insieme, le riflessioni che facciamo su questo foglio, da trent’anni, siano un prezioso strumento per non dimenticare. E credo che le condizioni perché i “grandi” non vengano mai dimenticati siano due: essere insieme e avere una capacità di lettura umana che vada al di là del materialismo con cui spesso viene trattato il gusto. Ditemi se non è così?

IL RICORDO DI UN’OTTOBRATA

DA SPETTACOLO

E DELLA

BELLEZZA

COME LA INTENDEVA IL GIUS

(Avvenire del 19 ottobre)

L’ottobrata è arrivata, con due gradi in più rispetto allo scorso anno. E infonde bellezza se si ha la fortuna di girare le campagne italiane che sfoggiano colori bellissimi, segno di un ordine che regna sull’universo mondo. Si sta quasi incantati dalle alte colline di Dernìce, in Val Curone sopra a Tortona, dove l’orizzonte dalla

Foresteria La Merlina è di nebbia bassa e raggi di sole sui rilievi di boschi e vigneti di Timorasso, vino bianco gettonatissimo in anni recenti. Apre il cuore accomodarsi ad assaggiare il salame cucito qui battezzato il Nobile del Giarolo, davanti al giorno che si spegne. E lì m’è venuto in mente don Giussani, che sabato 15 ottobre è stato ricordato da papa Francesco a 100 anni dalla nascita, che avvenne in quella Desio che certamente ebbe origine da Desìo (desiderio). Scrive Alberto Savorana nel libro sulla vita di Don Giussani: “Dopo aver mangiato spaghetti aglio olio e peperoncino, a ottobre, dice – rivolgendosi ai Memores della casa di Gudo Gambaredo: «Che bontà! Ma io non potrei dire questo se all’origine non ci fosse una Bontà. Dio ci ha dotato di una capacità per aderire che è il piacere, il gusto... Le persone, anche se sono grandi, se non passano attraverso l’esperienza della gioia, finiscono per non capire nulla». Il luogo di nascita, dunque, fu profetico per un sacerdote che firmò un libro dal titolo “Moralità, memoria e desiderio” che potrebbe essere l’abbecedario per i neo governanti, dove le tre parole sono già un manifesto programmatico, e l’ultima riguarda proprio la necessità di non spegnere la possibilità di realizzarsi, a fronte dei dati, drammatici, diffusi ieri dalla Caritas che ha parlato di 6 milioni di italiani sotto la soglia della povertà. “Facciamo si che tutto posso esistere” era l’ossessione di don Gius, che ispirò la nascita di tante opere, in ogni campo dell’agire, affinché l’umano potesse rifiorire scoprendo quell’origine di bontà, giustizia, verità e felicità che stanno alla radice del senso religioso. Ora, sarà veramente credibile questo Governo se immaginerà come far si che tutto possa esistere. E potrà avere la forma di un reddito di cittadinanza rivisto, ma anche di politiche educative e di formazione che possano avviare un processo di occupazione, soprattutto per le fasce più deboli fra i deboli individuati da Caritas, che sono i giovani. Solo così potremmo scherzosamente cantare con Gaber “cos’è la destra, cos’è la sinistra”: il muro dell’ideologia può essere superato solo dall’affermazione del bene comune. Che è la possibilità che tutto e tutti possano vivere.

21 ottobre

Sallusti per Amicone a Palazzo Marino

Oggi siamo a Milano, ma proprio nella Milano più ufficiale che possiate immaginare, ossia nella sala consigliare del Comune per ricordare un amico, Luigi Amicone,

che ci ha lasciati il 19 ottobre di un anno fa. Era un giornalista, ma è stato anche consigliere comunale, di minoranza, sotto la prima tornata di Giuseppe Sala sindaco. In entrambi i ruoli era un tipo piuttosto combattivo e proprio per questo (e anche per altro) era stimato incondizionatamente. In Comune lo hanno voluto ricordare, grazie all’iniziativa di un consigliere di minoranza, Matteo Forte, che ha invitato a sua volta Mario Sala, suo e nostro grande amico, e Alessandro Sallusti, direttore di Libero. Sullo sfondo il libro dedicato agli articoli di Luigino: “Luigi Amicone l’anarcoresurrezionalista” promosso dal periodico Tempi che lui fondò e metà degli anni Novanta.

La sala consigliare era abbastanza piena di gente, per ascoltare i tre relatori che si sono susseguiti, ognuno prendendo spunto da diverse inclinazioni di Luigi: politico, polemista e giornalista. La sintesi di tutto credo sia stato il racconto di Alessandro Sallusti che ha esordito dicendo: “Oggi c’erano tantissimi motivi per non essere qui, uno su tutti la formazione del Governo Meloni (che veniva annunciato proprio in quelle ore). Però alla fine non sono riuscito a trovare un motivo veramente valido per non essere qui”. Ed ecco una serie di aneddoti a cominciare da Sallusti direttore del quotidiano l’Ordine di Como che un giorno riceve in visita in redazione don Giussani accompagnato da Amicone, il quale, la prima cosa che gli dice è: “Ma è tua quell’auto decappottabile in garage?”. “Sì”. “Sai, perché a don Giussani piacerebbe fare un giro intorno al lago su quell’auto...”. Così salgono in tre sulla decappottabile e fanno un giro di un quarto d’ora, con un Sallusti sorpreso e stranito dalla richiesta. A un certo punto, a un semaforo, lui dice a don Giussani. “Sa, volevo dirle che io non sono di cielle”. E don Gius gli risponde secco: “Non ti preoccupare, neanche io sono certo di essere cattolico”. Risata e ripartenza. “Sallusti commenta: “Capite che a quei tempi avere don Giussani a

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
A Palazzo Marino per ricordare Luigi Amicone Gli chef della Clusaz Thierry Buillet e Piergiorgio Pellerei

Como era come avere un Papa, e Amicone mi aveva spiazzato, mescolando i ruoli.” Per dimostrare che la vita non è un teatro di comparse ognuno coi propri ruoli, ma è proprio vita, passione, simpatia umana. Da lì è iniziato un dialogo fra i due, Luigi e Alessandro, che è andato al di là del rapporto professionale che pure c’è stato, ma ha investito la sfera delle confidenze, nelle prove che la vita pone. Ecco, questo era Luigino, per cui si capisce bene perché al suo funerale, un anno fa, nel Duomo di Monza, ci fossero tanti avversari (Gad Lerner per esempio), per l’ultimo saluto a un personaggio che ti spiazzava sempre.

Alla Piazza dei Mestieri… ma di Milano Stasera siamo a cena al ristorante della Piazza dei Mestieri di Milano (via Privata Miramare, zona Sesto San Giovanni) col giovane Agostino Camozzi ai fornelli. Con me anche il collega e amico Fabio Cavallari, il quale mi mandò quella foto con Luigino, due ore prima che ci lasciasse, con una bottiglia di Albana di Romagna in mano, alla vigilia della premiazione a Golosaria della cantina Tozzi di Casola Valsenio. Con noi anche Nicola Albertella, amico di Fabio, sindacalista, uomo del lago come lui.

È sempre bello e interessante quando si incrociano le vite, soprattutto a tavola, dove basta un bicchiere giusto per aprire i cuori e raccontare quel miracolo che è la vita. Perché ogni vita è un miracolo se si pensa alle cadute e alle vittorie, ma soprattutto a quella relazione che è come una mano che ti fa guardare allo specchio con un senso di gratuità. La cucina di Agostino, umile cuoco alle prime settimane in questo bello spazio, poi ha aiutato a favorire il dialogo. Lo incontreremo di nuovo, fra un mese, per una cena che festeggerà la prossima edizione di Golosaria. Ma intanto leggete nella parte delle recensioni di questo numero la sua offerta, che ancora conoscono in pochi.

22 ottobre

Le cene autunnali sono le più belle Anche se la guida ai Ristoranti, edizione 2023 sta per giungere già stampata, non mancano le soste al ristorante, scegliendo le tavole del cuore, soprattutto con gli amici. Una di queste è la trattoria Risorgimento a Pioltello, decisamente radiosa, dove non manca mai la cassoeula, ma dove tutto, dai piatti della tradizione ai vini, dice di una rara capacità di accoglienza della famiglia Recalcati. Avanti così: non mollate mai!

Pranzo poi a Sarezzano (Al), alla trattoria la Rava e la Fava, che questa volta ci ha mostrato una padronanza diversa dal passato. Pazzesca la selezione dei Timorasso, ottima la cucina. In meglio. Straordinaria sarà poi la cena all’Antica Trattoria Magenes di Barate di Gaggiano, che si conferma una solida corona radiosa, che ancora non è entrata, come dovrebbe, nei radar delle guide più importanti. Quest’anno abbiamo voluto mettere in risalto il locale dei fratelli Diego (in sala) e Dario Guidi (in cucina) con un premio speciale che sancisce appunto le nostre migliori soste. E infine, alla vigilia di Golosaria, ecco la sosta ormai tradizionale alla Pobbia dal 1850 di via Gallarate, per assaporare la tradizione milanese; la sera di domenica di Golosaria, invece, siamo stati in un posto che per noi rappresenta casa: da Cristian Magri a Settimo Milanese. Mondeghili e cotolette alla milanese vicine alla perfezione!

Il bello della nostra guida è la possibilità di modificare, in meglio o in peggio, i giudizi nel corso dell’anno e in tempo reale. Questo avviene sull’App ilGolosario Ristoranti e anche sul sito IlGolosario.it, due strumenti che rendono, di fatto, la nostra selezione tridimensionale. C’è poi una versione cartacea, che è appunto la Circolare che state leggendo, dove appare la recensione scritta, solitamente di un locale che ha subìto un cambiamento in positivo o che rappresenta una novità.

23 ottobre

Il libro di Calabresi. Si vive una volta sola Come per il precedente, il mio amico Dan è riuscito a farmi avere in anticipo il nuovo libro di Mario Calabresi, che esce nei prossimi giorni per i tipi di Mondadori. Un libro pieno di storie, anzi di come la storia possa prendere una strada piuttosto che un’altra. Ne scriverò fra i primi su Avvenire, nella mia rubrica settimanale Appelli di Gusto, proprio il giorno dell’uscita del libro.

Devo riconoscere che Mario scrive veramente bene e la lettura del libro, dopo cena, mi ha impegnato un paio d’ore, anche se avrei voluto centellinarlo come tutti gli altri suoi libri. Ci eravamo visti a inizio ottobre ad Alessandria e lì mi aveva annunciato che sarebbe uscito con il suo settimo lavoro. Un bel respiro leggere storie come queste.

QUANDO L’IMPREVISTO DIVENTA OPPORTUNITÀ

(Avvenire del 26 ottobre)

Si vive una volta sola. È quel modo di dire che nasconde le scelte per cui talvolta ci è chiesto di rischiare per prendere strade che possono cambiare il corso della vita. Mario Calabresi è uscito ieri con il suo settimo libro dal titolo “Una volta sola” (Mondadori) che raccoglie le storie di chi ha avuto il coraggio di scegliere. Quattordici capitoli densi, che escono dal periodo buio della Pandemia, dove c’è la storia di Franco e Adriana, malata di Alzheimer che contrae il Covid, ma solo la vicinanza con lui la rigenera insieme alla musica. E la salva. Questo, fa sottolineare a Mario, per ben 4 volte, che la vita non è solo l’at-

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Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Agostino Camozzi, il giovane chef di Piazza dei Mestieri Milano Lo chef della Trattoria Risorgimento

timo presente, ma la somma dei momenti che ci hanno definiti, dei ricordi che ci portiamo dentro. Nel libro ci sono storie di malattie affrontate senza disperazione e di chi, avendo scelto strade sbagliate, ha poi il coraggio di ritrovarsi. C’è la memoria di chi la visto il lager e di chi è stato maestro ed ha insegnato all’autore di questo libro a coltivare l’imprevisto, perché “non bisognerebbe mai ridurre la quota di mistero”. E torna sul chi siamo: “La somma degli amici che abbiamo avuto, degli incontri fatti, dell’educazione ricevuta”. Commovente la storia di Limo, un ragazzo albanese che cerca lavoro alle Cinque Terre, nel giorno sbagliato: il 5 ottobre 2020, quando l’Italia chiude e non ci si può muovere. Trova rifugio nel capanno per il ricovero degli attrezzi, con tanto di letto e tavolo, in un vigneto di Vernazza che appartiene a Piero, 89 anni. Quando una mattina l’anziano vignaiolo apre la porta, trova un estraneo che gli chiede scusa. E pensa: “Come faccio a mandarlo via, quando mio papà ha rischiato la pelle per salvare più di cento ebrei durante la guerra?” Limo è rimasto lì e oggi è il più abile costruttore di muretti a secco, che fanno parte della storia agricola della Cinque Terre, contro il rischio di frane. Ora, questa è la storia che forse più rende l’idea di come l’imprevisto diventi opportunità nella misura in cui resta viva la memoria di chi siamo. Un libro da leggere tutto d’un fiato che invita ad “agire, invece che reagire” chiosa l’autore. Per cui l’appello va ai signori dell’opposizione, che sarebbero dei giganti nella misura in cui provassero ad agire, di fronte a una Paese che sembra stanco di quella reattività fine a sé stessa oggi difficile da capire. E se il ministero dell’Agricoltura porta il nome di “sovranità alimentare”, è ben curioso apprendere che quella sarebbe stata un’idea di sinistra. Quindi dov’è il problema?

25 ottobre

Conferenza stampa di Golosaria e

cena al Mi-View

Il tam tam per la prossima edizione di Golosaria è ormai partito: sui tram e nelle stazioni della metropolitana, alla radio e sulle tivù, sui giornali e sui social, dove è in corso una campagna decisamente accattivante curata dai giovani amici di Rushnet. E oggi, all’Hotel Melià di via Masaccio a Milano si tiene la conferenza stampa di presentazione, con gli assessori regionali Rolfi e Guidesi, davanti a un pubblico di giornalisti che ci seguono con partecipazione fino al momento finale,

in cui abbiamo scelto di premiare come simbolo di Distinzione sei realtà della nostra filosofia: gli eredi di Pino Possoni, per ricordare colui che, insieme alla sorella Rita, “È stato anima del ristorante Ma.Ri. Na di Olgiate Olona (Va), realizzando un modello di altissima soddisfazione a tavola e in sala, dove il calore dell’accoglienza, con lui e ora con i suoi eredi, è sempre un momento speciale”. Quindi Dai Bravi Ragazzi “Per la cucina di strada creativa e di altissima qualità, attraverso la quale creano la Colleganza verso i produttori migliori della filiera lombarda e grazie a questo sviluppano la Distinzione”; Ottavia Giorgi Vistarino, titolare della cantina Conte Vistarino, “Per aver sviluppato la Distinzione con la scommessa sul pinot nero e la Colleganza nei momenti di bisogno dovuti a eventi atmosferici che hanno messo a dura prova le aziende dei propri colleghi”; Ginevra Castagnoli e i ragazzi della Milan Bartender Community, “Per la capacità di aggregazione intorno al mondo della mixology e per la Distinzione che hanno voluto portare nell’area Mixo di Golosaria Milano” e infine l’azienda agricola Pratello “Per aver saputo rappresentare la migliore esperienza lombarda di enoturismo, con un’attività di accoglienza a 360° e una proposta vitivinicola che prosegue nel solco dell’innovazione e della Distinzione”.

Alla sera siamo a cena al Mi-View di via Achille Papa, il ristorante al ventesimo piano di un grattacielo da cui si vede tutta Milano. Lo chef Cristian Spagnoli lo abbiamo seguito fin dall’inizio, ma quest’anno, la prova di Marco Gatti ha dato un giudizio inappellabile: è la miglior situazione di Milano, come location e come cucina. Così il Mi-View riprende la corona che in passato detenne lo chef Felice Lo Basso. E questa sera, insieme a un gruppetto di giornalisti e appassionati di Golosaria, abbiamo organizzato una serata con i vini del Garda Doc, che è l’Official Wine di Golosaria per il secondo anno consecutivo. A fare gli onori di casa ci sarà Carlo Alberto Panont, direttore del Consorzio, che resta colpito dalla location dove poi verrà poi a cena il presidente del Consorzio.

Marco Gatti ogni tanto dice che noi lavoriamo per tutti, perché è un dato che in tanti casi siamo i primi a evidenziare salti in avanti, novità, che poi puntualmente vengono sottolineati anche dalla guida Michelin che quest’anno darà le tre stelle (con 10 anni di ritardo) ad Antonino Cannavacciuolo. E questo accade sia nel campo della ristorazione sia in quello dei vini, spesso. Il Garda per esempio è una doc che sta facendo massa critica e quest’anno è stato divertente girare le varie aziende, assaggiare i vini e constatare una realtà versatile che racconta molto bene un territorio. Fra i Top Hundred saranno addirittura 3 i Garda Doc premiati.

Siamo nella nostra sede storica, dove facemmo 5 edizioni, dal 2007 al 2011, che resero questa manifestazione sempre più grande, fino a giungere alla numero 17 che è quella che andiamo a celebrare a inizio novembre. E qui, al Melià, abbiamo ripreso, quest’anno, a fare le nostre “Giornate del vino” dedicate nel 2022 ai vini dell’Emilia Romagna e a quelli della Lombardia, per due appuntamenti davvero riusciti. Quanta strada è stata fatta, penso insieme a Marco Gatti, inseparabile amico, anche lui sorpreso, come me, di come l’evento cresca giorno dopo giorno.

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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
Relatori e premiati alla conferenza stampa di Golosaria Milano
Al ristorante Mi-View di Milano con lo chef Cristian Spagnoli

Cà Apollonio è realtà

Pausa dal solito tran-tran fra Alessandria e Milano, per andare a Bassano del Grappa. Questa sera la famiglia Vallotto, già produttrice di una teoria di vini Piwi col marchio Ca’ da Roman, inaugura il suo resort a Romano d’Ezzellino, che vede ai fornelli un grande come Alessio Longhini, già coronato al ristorante Stube Gourmet di Asiago. Debutta con un menu speciale, nell’area riservata a quello che sarà il bistrot, mentre il ristorante e la Spa, ma anche le camere, saranno a regime nella primavera del 2023. E dopo un saluto all’amico Roberto Astuni, che a Bassano gestisce il Bike Hotel Alla Corte, eccomi nelle camere di Cà Sette, altro luogo del cuore, la cui cucina d’autore detiene già la corona radiosa.

Al tavolo con me, quella sera, c’erano Paolo e Silvia Serraiotto, decoratori bassanesi che hanno contribuito a creare questa struttura con materiali bellissimi e il costruttore Diego Carron. Chi mi colpito parecchio è stato anche il sommelier, Michele Griggio, laurea in filosofia e master all’Alma con tesi sulla viticoltura resistente Piwi, che ha abbinato a ogni portata un vino Piwi (il 369 di Ca’ da Roman, già Top Hundred lo scorso anno, il Veneto Bianco Gisla e il Costante di Poggio Pagnan), e poi uno a sua scelta, di quelli che sono proprio nelle mie corde (il Dosaggio Zero di Revì, il Pinot bianco riserva di Fenja Hinz, il Vitalba, albana in anfora di Tre Monti, Il Toscana rosso de La Madonnina di Castagneto Carducci, il Val D’Agno Doro di Masari, passito da uve durella). Arriva in tavola anche una magnum di Vin de la Neu, il Bianco Vigneti delle Dolomiti di Nicola Biasi, che quest’anno ha ricevuto, primo vino Piwi, il 3 bicchieri del Gambero Rosso. Una serata azzeccata, confermata poi da un mio collaboratore speciale in perfetto incognito che ha provato la cucina il 31 dicembre.

29 ottobre

Nel Monferrato prima dell’evento Relax in Monferrato, appena tornato a casa. Fra Moncalvo e Calliano, per acquistare la carne da Lauro Micco e poi partecipare alla messa prefestiva di don Silvano. Domani sarà una domenica al computer e poi tre giorni a casa, ad Alessandria, prima di giungere a Milano. Quasi un ritiro prima della partita.

Si va nel Monferrato per ricaricarsi, pensando già alla prossima edizione di Golosaria fra i castelli che quest’anno torna in primavera (il 6 e 7 maggio). Ma intanto, con la Regione Abruzzo siamo alle prese con l’organizzazione della prossima giornata del Vino all’Hotel Melià, in programma lunedì 27 febbraio 2023. Inizia la settimana calda di Golosaria e ci si divide: l’organizzazione si trasferisce a Milano, la comunicazione, con me, resta il più possibile ad Alessandria. È una prassi che funziona, dove le due squadre è come se lavorassero separatamente per ritrovarsi venerdì sera in fiera, pronti ai nastri di partenza. Intanto i dati delle visite al sito sono superiori a quelle dell’anno precedente, segno di una grande attesa.

2 novembre

A Milano cena dal pizzaiolo di montagna Denis Lovatel Seconda cena, questa sera, sempre in compagnia del Garda Doc, nella miglior pizzeria dell’anno per la nostra guida: Denis Lovatel, pizzaiolo di montagna. Siamo in zona Brera, per capirci, anche se via Statuto favorisce una diramazione in tanti luoghi della movida milanese. Questa sera il Garda Doc trova il suo abbinamento ideale, se pensiamo alla versione bollicine che sono una goduria con le portate di questo pizzaiolo geniale che mette in tavola la leggerezza.

La sala è strapiena: 60 persone accreditate per partecipare a un evento in un ambiente accogliente che ha ripreso i motivi della montagna bellunese, dalla quale arriva Denis. Che porta in tavola quattro straordinari assaggi (la Margherita Agrumata con una base di pomodori confit, scaglie di cacioricotta di pecora e zeste di limone; la Schiacciata Coltura Contadina con base fiordilatte, fontina d’Alpeggio, frutti di bosco, misticanza dei prati e dei fiori, amaranto soffiato e vinaigrette alle erbe di montagna; la Dolce Zola, con base Margherita, erborinato d’alpeggio, erbe selvatiche spadellate, cipolla caramellata e amaranto; la Buon Enrico, con base fiordilatte, con cavolo nero, bruss

di ricotta di pecora brianzola, maionese di limone e chips di pecorino), compresi i fritti e i cichetti di apertura e un dolce. Gli applausi sono da standing ovation, viatico meritato per questa avventura milanese che, statene certi, gli offrirà tantissime soddisfazioni.

TRA BOLLETTE E IDEOLOGIA ORA OCCORRE ASCOLTARE

(Avvenire del 2 novembre)

“Nusgnùr a paga tard ma a paga larg”. Con questo detto popolare piemontese (Nostro Signore paga in ritardo ma paga in abbondanza) Carlin Petrini ha commentato l’elezione del premier brasiliano, per dire che il tempo sa rendere giustizia, se pensiamo alle vicissitudini giudiziarie che investirono Luiz Inacio Lula da Silva. Ma basta fare visita ai nostri cari, nei cimiteri di paese, per scorgere come il seme della vita abbia sempre dato frutti, facendo uscire un paese dalla guerra e dalla fame, monito per non smarrire la speranza in un momento difficile dove le persone, credo, sono in attesa di risposte

28 ottobre
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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Con la famiglia Vallotto e Alessio Longhini all’inaugurazione di Cà Apollonio Una delle pizze di Denis Cena con il “pizzaiolo di montagna” Denis Lovatel

e fatti, nonostante ci sia una propensione mediatica ai processi alle intenzioni, evocando stagioni che improbabilmente possono tornare. Il detto popolare di Carlin m’ha fatto subito pensare a Botros Hanna, un giovane cuoco che viveva in Siria e a un tratto ha dovuto fuggire con la sua famiglia. Oggi lavora al ristorante Granaio della Dimora Giorni di Pignola (Pz) e lunedì sarà a Golosaria a Milano per interpretare un prodotto raro, come il riso Orange prodotto da RisodiNori. È stato scelto perché la sua riconoscenza, alla famiglia Patrone che lo ha messo ai fornelli, è sfociata in una capacità creativa straordinaria, anche se ancora i guru della critica non lo conoscono, distratti a celebrare eventi con gli “stellati” da spettacolo. Paolo Patrone, il manager della Dimora Giorni, interverrà al talk di apertura sul tema “Il Gusto della Distinzione” per dire che nella vita c’è anche tanto da restituire, riattivando capacità umane che altrimenti resterebbero mortificate. A Romano d’Ezzellino (Vi), venerdì scorso, la famiglia Vallotto ha inaugurato Cà Apollonio, luogo di sostenibilità futuribile; al tavolo con me c’era Diego Carron, costruttore veneto, che ha deciso di mettere a disposizione 800 euro per pagare le bollette a ciascuno dei suoi dipendenti, perché etica ed estetica devono viaggiare insieme. E subito ho pensato che ancora una volta la società civile (“società” come insieme, “civile” come modus operandi) è sempre più avanti della politica. E se la si ascolta, la società, essa è capace di segnare il passo. Ma allora perché siamo di fronte a uno scenario dove l’informazione insegue l’ideologia e la politica insegue l’informazione per giustificarsi, allestendo uno spettacolo che sta diventando noia? Uno spettacolo infarcito di epiteti (“fascista” il più gettonato, dall’una e dall’altra parte), mentre si vorrebbe una stagione che riporti a guardare le scelte virtuose che esistono nel Paese. Però occorrerebbe meno chiasso e più ascolto.

4 novembre

La vigilia di Golosaria

Il Gusto della Distinzione, tema scelto per questa 17^ edizione, viene tradotto sui giornali che volentieri anticipano i temi del talk show iniziale dove interverrà il professor Lorenzo Morelli dell’Università Cattolica sull’alimentazione del futuro. Escono il Corriere della Sera e Repubblica; Striscia la Notizia annuncia l’evento, ma nel frattempo è pronto un numero speciale di Mi Tomorrow, mentre le tivù prendo-

no appuntamento per un’intervista già il primo giorno. Ci si ritrova al mattino in un bar con Marco Gatti, per mettere a punto i dettagli e rispondere insieme alle telefonate, poi un salto in fiera, già all’80 per cento pronta, secondo le indicazioni dell’architetto Stefano Bracciantini che fu il primo, già nel 2006, a disegnare la manifestazione. Silvana segue ogni dettaglio ed è lei il motore di Golosaria: tiene i rapporti con la fiera, gli allestitori, i collaboratori e il personale, assistita da Nello e Marco, due ingegneri amici che hanno curato nei dettagli i processi di crescita dell’evento.

La vigilia mette adrenalina, anche perché Golosaria è davvero una sfida se pensiamo che in contemporanea ci sono diversi eventi, uno su tutti il Merano Wine Festival, che a fine manifestazione annuncerà lo spostamento di data (nel 2023 sarà la settimana dopo) così da evitare ai produttori lo sdoppiamento e la rinuncia a uno dei due eventi. Si mobilitano anche gli Ambasciatori del gusto convocati a Taormina e, dopo il Corriere della Sera anche il gruppo Gedi fa un evento a Bologna di due giorni con il coinvolgimento dei soliti cuochi famosi. Ma pure i cuochi celebri, tuttavia, non rinunciamo a Golosaria e per questo sono costretti a fare i salti mortali. Nel frattempo le guide hanno smesso di fare presentazioni in contemporanea a noi, a Roma, come avveniva in passato. Con Golosaria, a quanto pare, bisogna fare i conti.

5 novembre

Golosaria primo giorno. Io Amo!

Alle 12 di sabato si apre la prima giornata con le tivù (Rai e Mediaset) già in pista a fare interviste. Le magnifiche dieci cucine di strada sono ai loro posti, accanto ai microbirrifici e agli amici del Sigaro Toscano. Si inaugura il nuovo spazio Mixo dedicato al bere miscelato, che vede il coinvolgimento dei ragazzi della Milan Bartender Community e di Ginevra Castagnoli: una Bottigliera presenta i 50 straordinari prodotti del Golosario della categoria liquori, mentre una drink list viene realizzata nel banco bar. Ci sono poi le presenze bellissime e ricche delle Regioni: la Lombardia, la Liguria, il Friuli Venezia Giulia, la Calabria e la Sicilia. Ogni area presenta una decina di produttori e propone show cooking e laboratori dedicati ai prodotti. Bellissima è l’altra nuova area allestita da due realtà legate al mondo dell’energia, che ospitano le amiche di Mamma Oca, che quest’anno escono con noi con il libro Aspettando Natale: 25 fiabe di autori celebri. In quell’area molto bella e colorata c’è poi

un palinsesto di fiabe e, ai bambini, viene regalato un panettoncino in scatola di latta di Fiasconaro realizzato coi colori di Dolce & Gabbana. E arriva persino Domenico Dolce, che si intrattiene con noi nel magnifico stand di Acqua Lauretana, a chiacchierare amabilmente, mentre sono già partiti gli show cooking e le masterclass dei vini. Il talk show inaugurale è alle 16 e con me sul palco, a sviluppare il tema sul Gusto della Distinzione, ci sono Paolo Zegna, Massimo Spigaroli, Massimo Gianolli e Paolo Patrone da Pignola (Pz), quattro imprenditori che hanno concepito la distinzione come fattore di restituzione. Con noi anche il professor Lorenzo Morelli, che racconta il tanto atteso report sull’alimentazione che verrà, a seguito dei cambiamenti climatici che sono sotto gli occhi di tutti. A seguire c’è poi un momento di dialogo col maestro Nicola Fiasconaro, “amici da una vita”, che ripercorre questi 17 anni a Golosaria, dove appunto debuttò con il panettone alla manna a Palazzo Mezzanotte del 2006. E dal palco di Golosaria, Fiasconaro lancia la candidatura di Castelbuono a Patrimonio dell’Unesco. “Calabria straordinaria” è poi il tema che svolgiamo con l’assessore regionale al Turismo Fausto Orsomarso mentre i ragazzi di Mixo preparano un cocktail con i prodotti calabresi. Fantastico! Gli show cooking del Grana Padano, che hanno messo in gioco i migliori interpreti della kermesse “Nati per stare insieme” (Matteo Scibilia del ristorante Piazza Repubblica di Milano e il cuoco Stefano Portogallo del ristorante Al 16 di Samarate) fanno il sold out, ma come tutti gli altri. Alle 20 salgono sul palco tre amici, per un incontro dal titolo “Io Amo”, dedicato alla musica che si unisce al mondo del vino. Sono Franco Fasano, autore di canzoni celebri e anche del suo libro autobiografico che si intitola, per l’appunto, Io amo; quindi Caterina Dei, produttrice di vini e anche cantante per passione, e infine Arnaldo De Felice, uno dei maggiori oboisti europei. Li conduce il collega Luca Riva di Radio Bruno, mentre a me tocca saltare da una degustazione a un’intervista, scambiandomi con Marco Gatti.

Quando alle 21,30, poco prima della chiusura, ci troviamo nel salotto a mangiare le bombette calabresi col Vino Nobile di Montepulciano di Caterina Dei, siamo tutti felici e rilassati. È stata una giornata bellissima, con tanti incontri, tanti amici, tanti attestati di stima. Per poter reggere il ritmo, mi ero messo a dieta nei quindici giorni

10 La Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO

precedenti, memore delle difficoltà dell’anno precedente a stare in piedi sul palco. Però questa giornata è stata bella soprattutto per un motivo: è come se avessimo convocato le persone più interessanti incontrate in un

anno per farle conoscere a tutti. Chi legge la Circolare ha potuto rivedere tanti racconti che sono stati il leit motiv di un anno ed hanno rappresentato la Distinzione. Penso a Massimo Spigaroli e al suo racconto commo-

vente dell’infanzia e di ciò che è diventato oggi, oppure a Caterina Dei che m’ha fatto incontrare Arnaldo e sul palco ha raccontato cose bellissime e profonde. Domani è un altro giorno. Un altro bel giorno.

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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Il pubblico all’apertura di Golosaria Nello stand di Acqua Lauretana con Nicola Fiasconaro e Domenico Dolce Nicola Fiasconaro con le autrici di Aspettando Natale Franco Fasano e Luca Riva “Io Amo” con Arnaldo De Felice, Caterina Dei, Franco Fasano e Luca Riva Sul palco dell’Agorà durante l’omaggio al maestro Fiasconaro Con l’assessore calabrese Fausto Orsomarso Lo show cooking per i più piccoli con la merenda di Teresa Biotti Paolo Massobrio con i relatori del talk inaugurale I ragazzi della Milan Bartender Community al bancone dell’area Mixo

Domenica di premi e Iginio Massari sale sul palco insieme a Cracco

La domenica di Golosaria, per chi lo desidera, inizia molto prima dell’apertura con la Santa Messa sul palco, celebrata da don Fabio Pagnin, socio del Club di Papillon, che arriva da Genova. Scrivo questo perché nel foglietto della messa, nell’ultima pagina, appare di solito una frase sotto la rubrica “Scintille” che è un commento al Vangelo. E quella di domenica 6 novembre, manco a farlo apposta, è la frase di don Luigi Giussani che dice “Dio, questa giornata è per te, questa giornata ha uno scopo ultimo che sei tu. Cristo, tu sei lo scopo ultimo della fatica e del gusto che avrà questa giornata”. Resto interdetto per un attimo, pensando che proprio stamattina don Giussani arriva a raggiungermi con la parola “gusto”, come è accaduto altre volte, fra l’altro riportate in questo mese su un libro, Don Gius: storie di un incontro e di vite cambiate, dove appare un mio lungo racconto del rapporto che ho avuto con lui proprio su questo tema. Vorrei mandare quella frase subito a Caterina Dei, ma mi accorgo solo ora che non l’ho fatto, travolto dall’inizio di una giornata impegnativa che è quella delle premiazioni dal palco. Si inizia con i 100 migliori vini d’Italia, che quest’anno hanno un corollario di 40 fuori di top, intercettati all’ultimo momento o da me o da Marco Gatti. È poi la volta delle ventuno cantine Memorabili dell’anno, una per regione, che hanno rappresentato una straordinaria continuità nel tempo. Le voglio citare tutte: Pala di Serdiana (Cagliari); Feudo Montoni di Cammarata (Agrigento); Tenuta Terre Nobili di Montalto Uffugo (Cosenza); Cantina di Venosa di Venosa (Potenza); Palamà Vini del Salento di Cutrofiano (Lecce); Cantine Marisa Cuomo di Furore (Salerno); Di Majo Norante di Campomarino (Campobasso); Fattoria La Valentina di Spoltore (Pesaro); L’Olivella di Frascati (Roma); Barberani di Baschi (Terni); Fratelli Bucci di Ostra Vetere (Ancora); Collemassari di Cinigiano (Grosseto); Podere Riosto di Pianoro (Bologna); Pecorari Pierpaolo di San Lorenzo Isontino (Gorizia); Josef Weger di Cornaiano di Appiano (Bolzano); Maso Martis di Trento; La Cappuccina di Monteforte d’Alpone (Verona); Conte Vistarino di Pietra de’ Giorgi (Pavia); Bisson Società Agricola di Sestri Levante (Genova); Marchesi Alfieri di San Martino Alfieri (Asti) e Di Barrò di Saint Pierre (Aosta). Infine il premio voluto da Msc Crociere, dedicato alle migliori esperienze di Wine

Tour. Sono: Castello del Trebbio di Pontassieve (Firenze); Cella Grande di Viverone (Biella); La Collina dei Ciliegi di Grezzana (Verona); Dievole di Castelnuovo Berardenga (Siena); Fattoria La Maliosa di Saturnia-Montemerano (Grosseto); Hic et Nunc di Vignale Monferrato (Alessandria); Monte delle Vigne di Collecchio (Parma); Pratello di Padenghe sul Garda (Brescia); Ricchi - F.lli Stefanoni di Monzambano (Mantova) e Tenuta Montemagno di Montemagno (Asti). Ma a sorpresa, alle 12 in punto, vogliamo rendere omaggio al maestro Iginio Massari, che sale sul palco per ricevere un solenne riconoscimento (sarà un quadro realizzato da Monica Deevasis e Beppe Perrone di Studio Due mutuato da una foto presa durante la festa dei 30 anni di Papillon il 19 giugno scorso) per i suoi 80 anni. E accanto a Iginio sale anche Carlo Cracco, che era insieme alla moglie Rosa Fanti, premiata per il suo Trebbiano della Fiamma Rossa. A sorpresa chiamiamo insieme a loro anche Nello Pavone, l’ingegnere che ha collaborato con noi e che compie gli anni oggi. Iginio Massari gli porge una torta, il figlio Matteo si infila nella foto. E io penso che Golosaria è proprio una cosa così: una vita piena proprio perché vissuta nella spontaneità. Alle 14,30 c’è invece un momento molto bello sul palco, organizzato con Comieco (Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo degli Imballaggi a base cellulosica), e dedicato alle innovazioni che riguardano il packaging. Sul palco con me Tessa Gelisio che intervista Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco, il quale annuncia che l’Italia è prima in Europa in tema di riciclo. Notizia che uscirà nei giorni a seguire sui giornali. Chiamati sul palco arrivano poi Gratifico, la cui confezione “è un raffinato astuccio che può vantare l’effetto “vellutato” di stampa tecnicamente definito “soft touch”, un richiamo alla sensazione delle mani sulla sfoglia che richiama la tradizione insieme ai colori che evocano Bologna. La carta impiegata è 100% riciclabile”; Manuelina, che “accompagna i suoi prodotti con un packaging in cartoncino che si fa portavoce della storia e dei valori dell’azienda. L’imballaggio secondario è realizzato in materiale riciclato ed è riciclabile, sul retro della confezione sono riportate le informazioni relative allo smaltimento”; Naturae Gin, che “ha realizzato un packaging in cartone riciclabile, progettato anche per la spedizione. La bottiglia a sua volta è realizzata in vetro riciclato che può essere recuperata per un riutilizzo creativo. Spesso vengono

destinate proprio per questo uso ad artisti e artigiani del vetro”; Riso Di Nori, premiato per aver elaborato “un nuovo packaging che, rispetto alle confezioni tradizionali a doppio involucro, elimina la busta interna trasparente in materiale polimerico. Per consentire il mantenimento dell’atmosfera protettiva viene utilizzato un foglio di carta dotato di un film impermeabile, che assicura i medesimi tempi di conservazione del prodotto” e infine; Wilden, che “pone particolare attenzione al contenuto di ogni bustina e si è impegnato, fin dall’inizio, a utilizzare degli imballaggi che riducessero il proprio impatto ambientale. Il filtro piramidale di ogni infuso è ottenuto dalla trasformazione del mais e non presenta additivi sintetici che possono alterare il sapore del prodotto contenuto. È certificato compostabile da Tuv Austria nel rispetto della normativa europea e può essere conferito nella raccolta domestica dell’organico”.

Nel frattempo le sedie davanti sono tutte occupate: è il momento delle Botteghe premiate secondo nove categorie (enoteche, panetterie, boutique del gusto con ristoro, boutique del gusto, gastronomie, boutique del formaggio, gelaterie, pasticcerie, salumerie) che poi appariranno su IlGolosario 2023. Il regalo che facciamo a tutti gli intervenuti, proprio pensando a un anno particolare come è quello che stiamo vivendo, è una poesia di Alberto Mina nata da un dialogo con lui.

Eccola: Dalla bottega Se c’è una forgia, una fucina che sprigiona una luce densa di energia è dove restiamo a turno imbambolati a vedere il maestro della casa: magister delle arti è l’artigiano e la bottega l’aula della sua cucina.

Resta sempre teso come un bambino, lui che gioca con la materia primordiale, gattona verso l’opera distesa nella sua mente, s’incurva, si protende e si consuma; poi se ne va, come per morire; nella bottega spegne la luce che nell’opera creata resta accesa.

Gli intervenuti la ritireranno nello stand di Lauretana. Si prosegue fino al tardo pomeriggio, quando anche l’area Mixo comincia a prendere quota.

Prima di salire sul palco per premiare le botteghe, mi ha raggiunto la figlia di Gi-

6 novembre
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Circolare

netto, al secolo Gino Gasperini, bottegaio di Tresana per dirmi che è mancato un mese fa. E lì mi si è stretto il cuore, perché Golosaria era proprio la sua casa. Quante persone sono venute oggi, lo scopro perché mi manderanno un messaggio, non essendo riuscito a salutarle. Sono venuti Gemma Calabresi, Maurizio Danese, Ad di Veronafiere, il giornalista Gianluigi Nuzzi, Antonio Intiglietta patron di Artigiano in Fiera e chissà quanti altri.

La domenica chiude i battenti alle 20: con Marco Gatti, Silvana e i collaboratori stretti andremo a cena da Cristian Magri, ma mentre passo da casa a Milano, da solo, prima di raggiungere la comitiva, nel silenzio penso che Golosaria è anche poesia e gratitudine. Poesia e musica, come quella del giorno prima. Gusto, come la parola di stamane sul foglietto della messa. E Memoria. Del dono che siamo e che abbiamo ricevuto, della possibilità di

farlo diventare Colleganza e quindi Distinzione. Memoria di chi non c’è più, che domani ricorderemo: Piero Roullet del Bellevue di Cogne, Pino Possoni del ristorante Ma.Ri. na di Olgiate Olona, Maga Lino, il padre del Barbacarlo, Lorenzo Corino, che mancò un anno fa, proprio nei giorni di Golosaria e Antonella Manuli volle essere presente nonostante il dolore per quello che era più di un bravo enologo. Ecco noi siamo questo.

I vincitori del riconoscimento per il packaging più sostenibile 13
La Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Il regalo consegnato al Maestro Iginio Massari Sul palco si parla di riciclo con Carlo Montalbetti e Tessa Gelisio Tra gli stand di Golosaria Le Cantine Memorabili dell’anno Lo stand de Le Selvagge, uova di montagna Le migliori gelaterie premiate da Babbi Le Botteghe del Formaggio premiate da Grana Padano

7 novembre

Una grande festa con 2.000 operatori Gli operatori accreditati per la presentazione della guida IlGolosario Ristoranti hanno numeri da record. Quasi mille, e poi tanti buyer la cui presenza veniamo a sapere per caso. Me lo scrive Antonella Manuli (“Sono passati due importatori della Corea del Sud e di Shangai”).

Alcuni produttori stanno raggiungendo il sold out già a mezzogiorno di lunedì, e così quelli del vino, che magari sono venuti per la prima volta e mai si sarebbero immaginati un’attenzione del genere.

La premiazione delle corone e dei radiosi, come ristoranti, anche quest’anno è divisa in due. Si inizia con la Lombardia, quindi nel mezzo i premi speciali e poi si riparte alle 14 col Piemonte e il resto dell’Italia. Dalle 10,30 alle 15,30 stiamo sul palco, praticamente senza pausa. Sono veramente tanti: dai volti noti come Davide Oldani e Philippe Léveillé agli eroi come Giuseppe Costa che arriva da Lampedusa con tutta la famiglia (ristorante “coronato” Cavalluccio Marino). Si commuove Erika Gotta, giovane chef de La Bursch di Campiglia

Cervo, quando sale sul palco, mentre Barbara Varese, la patronne, la filma. Ma io desidero che incontri anche Alessia Rolla dell’agriturismo Cantina Nicola, che ha una storia come la sua e come lei è bravissima. Sale Giacomo Perletti di Contrada Bricconi che abbraccia Nicolò Quarteroni di Ferdy; sale persino Leonardo Samela della trattoria Pietra del Sale di Avigliano che è commosso, come Botros, suo conterraneo che sta nella cucina del Granaio della Dimora Giorni di Pignola. Il momento clou è quando viene annunciata la corona rossa unica, che quest’anno va alla Brinca di Ne della famiglia Circella. E qui sale il vicepresidente della Regione Liguria, l’assessore Alessandro Piana, e con lui Massimo Mazzucchelli, corona rossa dello scorso anno, accanto a Ferdy che era quella del 2020. Massimo consegna lo scettro, che è un pezzo di legno preso a Lenna nell’agriturismo Ferdy e che passa di mano in mano, ogni anno. I figli di Sergio Circella, dopo una mezz’ora, salgono sul palco e consegnano a me e Marco Gatti la maglietta dei Gottari, la loro associazione di degustatori, di cui fa parte anche Andrea

Grondona dell’omonimo biscottificio, che quest’anno ha debuttato a Golosaria con una certa soddisfazione. Alle 15,30, nella sala dedicata agli show cooking ci sono invece i ragazzi che hanno seguito un percorso formativo nelle strutture alberghiere di lusso, grazie a un’iniziativa della Fondazione UmanaMente nata in seno ad Allianz. Porto il mio saluto e un omaggio a tutti, mentre sta parlando Francesco Cerea del ristorante da Vittorio di Brusaporto. Chiudiamo la giornata con la degustazione dei nostri 5 vini Top dei Top e la sorpresa dell’assaggio dell’inenarrabile Trentodoc brut Revì dell’azienda Revi di Aldeno, che fu Top hundred con la riserva “Paladino” degli spumanti dello scorso anno. Con me e Marco Gatti la soddisfazione di assaggiare il bianco dell’anno (il Valle d’Itria Verdeca Chakra Essenza 2020 di Giovanni Aiello), il Rosso (l’Amarone della Valpolicella Valpantena 2017 di Costa Arènte di Grezzana), la bollicina (il Bianchello del Metauro Spumante Brut Metodo Classico Millesimato Conte Giulio 2015 della cantina Bruscia di San Costanzo), il Rosato (il Terre di Cosenza San Vito di Luzzi della

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO I Top Hundred del Piemonte ... e fa il sold out per l’aperitivo L’area Mixo inizia ad animarsi... Carlo Cracco e Rosa Fanti aspettano di ritirare il riconoscimento Top Hundred

cantina Vivacqua di Luzzi) e il passito (il Vin Santo Chianti Classico Occhio di Pernice 2016 del Castello di Radda di Radda in Chianti). Alle 17, si chiudono i battenti di un’edizione da incorniciare.

Certo il clima di quest’anno era differente

da quello del 2021 con le temperature da prendere e le mascherine, ma se pensiamo anche alla congiuntura della crisi odierna c’è da essere felici. Fra tutti gli eventi, tuttavia, mi porterò a casa l’immagine dei gelatieri premiati quest’anno che, una volta sul palco, si sono abbracciati e si sono stretti attorno

a Paolo Brunelli di Senigallia che quindici giorni prima aveva visto il suo negozio distrutto dalla furia dell’alluvione. E lì ho visto proprio il senso di quella che chiamiamo Colleganza. Che dire? Golosaria l’hanno fatta tutti coloro che hanno partecipato. E anch’io quest’anno, ho imparato molto.

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Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO I mille ristoratori arrivati da tutta Italia Pubblico delle grandi occasioni Sergio Circella ritira il riconoscimento di Corona Rossa Unica Lo chef Botros Hanna al termine del suo showcooking realizzato con Riso Di Nori Paolo Massobrio e Marco Gatti entrano nel club dei #Gottari Sul palco con Giacomo Perletti e Nicolò Quarteroni La premiazione dello chef Philippe Leveillè Lo
show cooking di Pregis con la ricetta di Giorgio De Fabiani
Lauretana, con l’assessore Piana, premia il ristorante della famiglia Circella, Corona Rossa dell’edizione 2023 Con Davide Oldani alla premiazione dei Ristoranti

8 novembre

Quanta tivù quest’anno!

Il giorno dopo proseguono le interviste alle tivù. Per una ventina di minuti rispondo alle domande della bravissima Giulia Piscina di Finanza Now. Ma fra i servizi andati in onda, ecco i 3 minuti di Studio Aperto, seguiti da un servizio di Studio Aperto MAG su Italia Uno di 5 minuti, quindi Rai 3 Lombardia. E ieri pomeriggio, durante la mitica degustazione dei Top Hundred, è arrivata anche la telefonata dalla redazione di Porta a Porta che mi convoca a Roma, in studio per il pomeriggio del 10 novembre, quando, in viaggio per Montalcino, dovrei essere a Bologna a inaugurare il corso di introduzione al vino con i giovani amici del Club locale. Che avviso subito, spostando di una settimana l’incontro, mentre con Marco Gatti rifacciamo l’itinerario del nostro viaggio.

L’assistenza di Les Enderlin, l’ufficio stampa di Golosaria, e il coordinamento che ha favorito Federica, mettendo a disposizione materiali e rispondendo a tutte le richieste è stato preziosissimo per raggiungere un risultato di visibilità che respiri nei giorni a seguire, quando incontri qualcuno che avendo la percezione che sia stato un evento importante,

ti fa i complimenti... oppure sta in silenzio e rosica, consumando invidia. Detto questo, mi ha fatto piacere sapere che un collega con cui i rapporti si sono interrotti da vent’anni, Enzo Vizzari, abbia passato una mezza giornata a Golosaria, trovando tanti conoscenti comuni. Anche questa è Golosaria!

BAGNACAUDA E PAPA FRANCESCO AD ASTI

(Avvenire del 9 novembre)

Sulla mia scrivania è arrivata una bottiglia di Grignolino d’Asti 2021 un po’ speciale: si chiama Laudato e viene prodotto, in 1.500 esemplari, a Portacomaro d’Asti, in una vigna che nel 2013, con l’aiuto di volontari, il Comune ha voluto realizzare dedicandola a Papa Francesco. “In omaggio alle radici dei suoi avi – c’è scritto in controetichetta – e al suo Alto Magistero in difesa della natura e dell’ambiente”.

Ora, il Grignolino è il vino perfetto, grazie alla sua combinazione di acidità e tannicità, con la bagna caoda, che la cugina di Jorge Mario Bergoglio, Carla Rabezzana, gli cucinerà sabato 19 novembre poiché l’illustre ospite ha deciso che doveva festeggiarla per i suoi 90 anni, compiuti proprio ieri. Anch’io provengo da quelle terre e i miei nonni e zii emigrarono in

Argentina, nella Pampa, quando l’oidio prima e la fillossera e peronospora poi, decimarono i vigneti, mentre la Diaspis pentagona fu letale per i gelsi, mettendo in ginocchio l’economia agricola piemontese. Per questo immagino quanto sia denso di racconti un piatto della cucina povera a base di acciughe, aglio e olio, che nasce per creare una salsa profumata dentro cui intingere cardi, rape e peperoni. Solo un mese fa i miei cugini argentini in visita in Piemonte hanno voluto condividere la bagna caoda, che nell’Astigiano si celebra addirittura con un evento, il Bagna Cauda Day (l’ultimo week end di novembre e il primo di dicembre), dove verrà allestita una tavola fra Ucraini e Russi, per simboleggiare il desiderio di pace. Del resto quel piatto, che termina con la frittura di un uovo nell’ultima salsa sfrigolante, grazie a un fornelletto che tiene sempre calda la “bagna”, è il simbolo dell’amicizia, della convivialità, del desiderio di ritrovarsi. Scoprire allora che quello che è un rito per ogni piemontese diventa anche l’occasione per lanciare messaggi è confortante, così come l’iniziativa degli abitanti di Portacomaro che con le bottiglie di Grignolino hanno aiutato quelli di Amatrice, per recuperare un edificio

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La Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Le Corone Radiose della Lombardia L’incontro con la Fondazione UmanaMente Il winetasting dei Top dei Top

pubblico terremotato e molto altro ancora in collaborazione con il centro di ricerche Crea. Solidarietà e pace sono le parole che girano intorno a questo autunno, che può diventare l’occasione per mettersi in sintonia con questo Papa, che chiede di mobilitarsi per la pace con un cambio di mentalità, perché ciascuno, anche solo con la preghiera, lo può fare.

In ogni caso, fra le personalità autorevoli del mondo, il Papa sembra quella che la pace la desidera senza secondi fini, senza tornaconti, esattamente come sono le parole amore e amicizia.

9 novembre

La cassoeula della Piazza saluta il successo di Golosaria Ora si può dire che la strada sia in discesa, per un mese abbondante dove dovremo promuovere i nostri libri appena usciti, e partire, io con Marco Gatti, per Montalcino, alle Anteprime dell’annata 2018. Stasera poi saremo alla Piazza dei Mestieri di Milano per la cassoeula abbinata ai Garda Doc, terzo appuntamento di Golosaria, dove avremo con noi Marisa Fumagalli del Corriere della Sera e Corrado Trisoglio di Rds, insieme a tanti amici, fra cui Carlo Alberto Panont, felice di queste iniziative che hanno fatto conoscere una Doc sempre più interessante.

Il clima è amicale questa sera, anche grazie alle provocazioni di Matteo Scibilia che sostiene esserci una provenienza meridionale dei mondeghili. Marisa Fumagalli resta colpita invece dalla Piazza dei Mestieri, mentre il capo cuoco, Maurizio Camilli, apprezza il Garda Doc nelle diverse declinazioni, decisamente convincenti. Sull’interpretazione della cassoeula di Agostino, che non ha convinto tutti, benché sia interessante la sua versione espressa con la verza fresca aggiunta, avrà una prova d’appello, fra una decina di giorni con Matteo Scibilia in affiancamento. E anche questa, vivaddio, è Colleganza!

10 novembre

Si parte per Roma:

destinazione Via Teulada Partenza al mattino dopo la lettura dei giornali, verso Roma. Ci aspettano alle 18 negli studi di via Teulada, ma siccome le incognite possono essere tante durante un viaggio così lungo, io e Marco Gatti ci mettiamo in viaggio con largo anticipo. Sosta a Barberino del Mugello, in una ghiotta realtà multifunzionale, a pochi metri dall’uscita del casello, il Colle, dove Alessandro Mocali seleziona una teoria

assai ampia di prodotti del Golosario e ci permette di prendere confidenza con una pappa al pomodoro e una ribollita e un bel vino a bicchiere. Alle 16,30 siamo a Roma: ci si cambia sul ciglio della strada perché il bar che avevamo individuato è chiuso: arriveremo con un’ora di anticipo dentro il cortile della Rai. Giusto il tempo per un caffè, osservando un Marzullo solitario che fa merenda e un’Iva Zanicchi che, anche qui, in Rai, viene fermata per un autografo o un selfie. Alle 18 siamo nel camerino di Porta a Porta: c’è Franco Ricci di Bibenda, Laura Mantovano del Gambero Rosso, Giuseppe Cerasa delle Guide di Repubblica e noi. Il collega Luciano Ferraro e Riccardo Cotarella si collegheranno in remoto. Entriamo in studio per la registrazione: Vespa mi fa accomodare accanto a lui, ospiti in studio il bravissimo Jorg del ristorante Orto by Giubbani di Moneglia (che mi invierà un panettone fantastico) e Domenico Stile del ristorante enoteca La Torre di Roma.

L’apertura è tutta dedicata alle tre stelle date dalla Michelin ad Antonino Cannavacciuolo, che ha registrato un video di saluto. Al che Vespa mi pone una domanda su cosa va e cosa non va della ristorazione italiana e io rispondo che la cosa che generalmente non mi va è l’imposizione dei menu degustazione, oggetto del nostro editoriale su ilGolosario Ristoranti, dove stigmatizzo un increscioso episodio accaduto a Matera. E qui si apre una discussione, favorita da Bruno Vespa, su una pratica che sta diventando esagerata. Parlando di pizzerie, poi, Vespa mi dà l’assist per chiedere pubblicamente come mai una pizzeria, come può essere la nostra dell’anno, Denis Lovatel, non possa ambire al massino riconoscimento. E qui viene fuori l’essenza della nostra guida, che mette sulle stesso piano la trattoria e il ristorante gourmet, soprattutto quando viene lanciato il filmato con la nostra corona rossa unica, la Brinca di Ne, e undici novità dell’anno (abbiamo citato Cantina Nicola di Cocconato; La Bursch di Campiglia Cervo; Amandus di Mandello del Lario; Contrada Bricconi di Oltressenda Alta; Finil del Pret di Comezzano Cizzago; Mi-View Restaurant di Milano; Le Servite di Arco; l’Osteria dei Fratelli Pavesi di Podenzano; Lorelei di Sorrento; Pietra del Sale di Avigliano e il ristorante Sartago di Ferrandina). Marco Gatti, nel frattempo è nel salotto con Alessandro Sallusti, Carlo Bonomi e il ministro Adolfo Urso e commenta con loro la trasmissione, per cui si sente dire: “Ma queste sono delle vere novità!”. E Bonomi annuisce

dicendo: “A Milano io vado almeno due volte al mese al Mi-View!”

Ci salutiamo velocemente, perché in studio deve entrare l’altra squadra, che sforerà i tempi per cui la nostra parte andrà in onda non la sera mentre siamo in viaggio per Montalcino, (ci avviseranno dopo un’ora dalla partenza), ma per la settimana dopo. Siamo tuttavia molto soddisfatti e con un solo obiettivo: arrivare al Giglio, dove Mario e Anna ci aspettano con uno spettacolare pollo al vino, a qualunque ora. E nel viaggio commentiamo anche la “scoperta” di Giuseppe Cerasa: il Mami di Agnone (corona radiosa da tre anni sulla nostra guida); Orto By Giubbani, ristorante green del Gambero Rosso, che fu già miglior tavola per la nostra edizione del 2022... e tanto altro. L’unico che condividiamo in pieno è Franco Ricci, che giustamente spezza una lancia per Vissani, sempre grande, anche se velocemente dimenticato. Alle 23 alziamo il calice di Brunello di Montalcino, in attesa di assaggiare, il giorno dopo, i 140 campioni di quest’anno.

11 novembre

Come saranno i Brunello 2018? Alle 9,30 del mattino siamo come tutti gli anni (anche quelli del Covid) ai tavoli di degustazione dei Brunello che entrano in società. Ci dividiamo i 137 assaggi a metà, per poi far confluire i migliori di entram-

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Con Mario, Anna e Michele del Giglio di Montalcino La puntata di Porta a Porta

bi in una sorta di semifinale. Tuttavia il servizio ai tavoli ha qualche problema di organizzazione e la lentezza comincia a preoccuparci. Alle 13,30 possiamo comunque dire di aver svolto il nostro compito, anche quest’anno, con un risultato interessante, sia per le conferme sia per le novità. Ecco la nostra rosa, dopo l’assaggio alla cieca. All’apice del podio finisce il Brunello di Montalcino 2018 dell’azienda San Lorenzo seguito da Capanna e Ferrero. Oltre a questi, nella rosa degli 11 migliori che hanno avuto alti punteggi, fra le novità: Beatesca, Bel Poggio, Castello Tricerchi, Elia Palazzesi, Fornacina, La Palazzetta, Le Gode, Poggio di Sotto, Poggio Lucina, Podere Giardino e Madonna Nera. Su Il Golosario.it esce il resoconto di tutti i migliori assaggi, con alcune conferme storiche: Canalicchio di Sopra, Pietroso, Casanova di Neri, Il Poggione, Campogiovanni, Franco Pacenti, Sassodisole, Maté, Patrizia Cencioni, Ridolfi, La Poderina, La Colombina e Albatreti.

Rispetto alle annate precedenti, 2016 soprattutto e 2017 (che a suo modo è stata una sorpresa e noi scrivemmo lo scorso anno “Annata da comprare”), sono forse meno le punte, ma la valutazione complessiva è buona per un’annata che offre eleganza, buona bevibilità e soprattutto una coerenza complessiva, che ci fa dimenticare i primi lustri di degustazioni dove tutto questo non c’era. In sintesi non avremo, salvo alcuni casi, i Brunello potenti, ma non per questo senza una promessa di longevità, in alcuni campioni. In generale spicca l’acidità, quindi la freschezza, mentre i tannini sono generalmente ben levigati. Di primo acchito possiamo parlare di un passo indietro in complessità, anche se poi l’abbiamo trovata in alcuni.

Alla sera i giornalisti vengono divisi per cantine, dove si incontrano sei o sette produttori con cui cenare insieme, mettendo

in tavola bottiglie storiche. A me tocca la bellissima Corte Pavone della famiglia Loacker, insieme a una decina di colleghi e vari produttori, fra cui Fabrizio Bindocci, che è anche presidente del Consorzio di Tutela che si siede al mio fianco; quindi Stefano Cinelli Colombini, che ha ricevuto la notizia che è stato premiato con il Brunello di Montalcino riserva 2016 come secondo vino al mondo per la classifica dei 100 di Wine Spectator. Ci sono poi i vini di Padelletti, Il Poggione, Tricerchi, Campogiovanni, Beatesca, Castiglion del Bosco e, naturalmente, Corte Pavone. Si aprono il Brunello 2002 di Fattoria dei Barbi a riprova di come si possa dimostrare tanto anche in annate scarse come fu la 2002. Ma ha colpito davvero molto il Rosso di Montalcino 2008 di Padelletti, accanto al Rosso di Montalcino 2015 de Il Poggione, che aveva il carattere pieno dei suoi iconici Brunello. E anche questo fatto, ossia la longevità dei Rosso di Montalcino, apre un capitolo, se già non fosse stato aperto, su questa tipologia di vino che viene trascinata dal valore del Brunello.

A metà cena arriva anche Steve Kim, con la sua simpatia.

Abbiamo mangiato benissimo, grazie alla cuoca della casa che in cucina ha “spaccato”

con la passata di fagioli, castagne e finocchio selvatico, in un clima conviviale molto bello. È intelligente questa formula che permette di conoscersi e di scambiarsi opinioni in libertà. E per fortuna quella sera c’erano colleghi come Leonardo Romanelli e Rocco Tolfa, che a differenza di altri ascoltano. E non se la tirano. Marco Gatti è stato invece da Ridolfi, una delle cantine che premiammo fra i primi e il racconto della sua fiorentina cucinata dal patron m’ha fatto venire l’acquolina in bocca. Che bella giornata!

12 novembre

A Suvereto altri 80 assaggi con molte sorprese Da Montalcino si passa a Suvereto: l’occasione ce la dà Daniele Becchi, coordinatore del Consorzio di Tutela di Suvereto e Val di Cornia (32 le cantine associate) nato nel settembre del 2021, che raduna presso la magnifica cantina Tua Rita un’ottantina di campioni di quest’area in grande crescita. Alle 10,30, con Marco Gatti siamo dunque alla nostra prova del bicchiere, che ci offre un sacco di belle soddisfazioni, fra conferme storiche e novità davvero interessanti. Infatti, al netto delle cantine leader già premiate fra i Top Hundred negli anni passati (Tua Rita, Petra, Gualdo del Re, Casadei) e sempre capaci di mostrare l’orizzonte qualitativo a cui può ambire tutto il territorio, nei nostri assaggi abbiamo registrato quelle che per noi sono autentiche novità. Sul podio qui è finita l’azienda Rigoli, ma grandi soddisfazioni ci hanno dato Bulichella, Petricci del Pianta e Poggio Banzi. In conclusione, dovendo fare una sintesi, il giudizio è quello di chi si è trovato in un giacimento importante dal punto di vista vitivinicolo, con un potenziale di assoluta eccellenza, che tuttavia oggi ha bisogno di trovare una propria identità. Detto che il Consorzio può essere l’ambito del confronto, dal nostro osservatorio ci chiediamo: può essere solo il Vermentino il bianco che detta la strada? Perché anche il Viognier ci ha dato grandi soddisfazioni e non è la prima volta che accade su queste sponde toscane. Mentre il dimenticato Trebbiano forse merita qualche chance in più. Che dire poi del Syrah anch’esso espressivo, assai più del Merlot, mentre il Sangiovese resta un vitigno di tutto rispetto e il Cabernet (sia sauvignon sia franc) convince. Detto questo, ci piacerebbe ogni anno ripetere l’esperienza, come accaduto in altre zone d’Italia (due per tutte: nelle terre del Rossese di Dolceacqua e sui Colli Euganei, dove gli anni di dialettica e confronto con noi, hanno portato a

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PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
Fabrizio Bindocci e Stefano Cinelli Colombini alla cena con i produttori La vista su Montalcino

un percorso virtuoso che ha visto realizzarsi un autentico rinascimento dei vini dei due territori), perché qui sta nascendo un’altra Toscana, che tuttavia deve smarcarsi dal rischio di appiattirsi sulla Toscana di ieri.

Il pranzo sarà una sorpresa, non solo perché l’accoglienza di Tua Rita è ai massimi livelli, ma anche per la presenza in cucina della signora Rita in persona. E quando lasciamo l’azienda per andare a riposare in un’altra azienda iconica del territorio, Gualdo del Re, anche qui con una ricettività spettacolare, ci assale quella nostalgia della Toscana. Ma Daniele non demorde e infatti organizza una cenetta fantastica Dal Cacini, con i migliori assaggi della nostra selezione (leggete la recensione fra i ristoranti). Ma prima si va a messa nella chiesa del paese, poi una visita a un’amica carissima, Letizia Zanone, che fa parte del direttivo del Club di Papillon di Milano ed ha aperto qui un grazioso B&B sulla collina. In quel momento telefona l’amico Stefano Casadei, titolare con il socio americano Fred Cline di una cantina a Suvereto che si è confermata grande nei nostri assaggi. Sembra primavera benché sia il 12 novembre e quando Daniele ci porta nel bar Enoteca dei Difficili per un aperitivo dalla simpatica Sonia Marchetti, per noi è aria di vacanza.

con una ventina di persone: dai nonni che hanno toccato i 90 anni all’ultima nata che ne ha soltanto uno.

Prendo questi giorni, compresa la sosta per me clamorosa alla Cascina Rosio, come un premio post Golosaria. Ma già la mente è al lavoro, perché c’è tanto da raccontare: dai piccoli produttori scoperti in questi viaggi a luoghi come questi che rendono viva l’agricoltura di prossimità.

Il futuro è qui!

13 novembre

Festa a Cascina Rosio La mattina presto si parte per Milano: lascio Marco a casa sua e mi dirigo alla Cascina Rosio di Albairate, corona radiosa della nostra guida, a buona ragione, con la famiglia Ranzani che conduce uno dei posti più belli e accoglienti che possiate immaginare, con annessa la produzione di salumi (la mortadella di fegato sarà spaziale), riso Carnaroli, carne fresca di bovini, capponi, oche e conigli, ma anche verdure di stagione, frutti di bosco ed erbe aromatiche. Sarà una bella festa di famiglia,

14 novembre

Muore Vittorio Vallarino Gancia

Per gli amici era Vittorio, e così lo si chiamava quando ci si incrociava in Asti o a Canelli, a una cena o un convegno e per un’intervista. È l’uomo del vino che è stato presente in tutti questi quasi 40 anni di carriera personale (il mio inizio è datato 10 dicembre 1985), anche nei momenti cruciali come l’anno horribilis 1986 quando scoppiò lo scandalo del vino al metanolo. L’ho voluto ricordare nel mio articolo su Avvenire, apparso il 16 novembre.

Vittorio Vallarino Gancia aveva compiuto 90 anni il 28 ottobre scorso, festa di san Giuda il Taddeo, che viene considerato, insieme a santa Rita da Cascia, il santo delle cause più difficili. E Vittorio, oltre a prendere le redini della nota casa spumantiera, aveva ricoperto cariche pubbliche importanti, fra cui la presidenza della Camera di Commercio di Asti, proprio due anni prima che scoppiasse lo scandalo del vino al metanolo, con epicentro nel sud Piemonte. Ora, nei lunghi articoli di commiato per la sua dipartita avvenuta tre giorni or sono, pochissimi hanno ricordato che si deve a lui l’intuizione delle doc regionali che avrebbero ridato credibilità a quel vino italiano che nel 1986 era controllato dal sistema delle denominazioni solo per il 10%. Detto questo, la mia frequentazione con Vittorio è antica e sta all’inizio della mia

carriera enogiornalistica, iniziata nel 1985. Sono stati tanti i momenti di confronto, nel corso di un convegno o in una chiacchierata a cena. In una di queste, a Canelli, in piena estate, lui mi confidò alcuni particolari sconosciuti di quel 5 giugno del 1975, quando un commando delle Brigate Rosse lo catturò per chiedere un riscatto. Fu bendato e portato in auto nei pressi di Melazzo, nel boschivo Alto Monferrato che confina con la Langa. Ma in quel preciso istante i suoi genitori giungevano a Collevalenza, frazione di Todi, per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario di nozze da Madre Speranza. La quale, pur conoscendoli da tempo, si rifiutò di riceverli. Apparve solo due ore dopo per dire loro: “Adesso tornate a casa velocemente: non è successo niente, è tutto a posto”. I genitori di Vittorio rimasero interdetti per quella frase un po’ bizzarra che prevedeva ciò che sarebbe successo: la liberazione dell’ostaggio dopo uno scontro a fuoco che vide fra le vittime Mara Cagol, compagna del capo brigatista Renato Curcio. Quando i due arrivarono a Canelli, trovarono Vittorio a casa, e c’è una foto che ritrae il padre Lamberto e il figlio Vittorio che si guardano negli occhi con uno sguardo che travalica la gioia, avendo dentro quel dono misterioso che la mistica di Collevalenza, proclamata beata da Papa Francesco nel 2014, di fatto, aveva annunciato. Questo episodio, che mi feci ripetere da Vittorio, prima di pubblicarlo su un mio libro del 2005, Il Tempo del Vino (Rizzoli), è riportato nei primi capitoli col titolo: “Il Consolatore”. Che opera sempre, anche in questi giorni dove le soluzioni per la pace sembrano impossibili. Invece non bisogna smettere di crederci.

15 novembre

Ancora degustazioni di vini?

Si riprende il lavoro nella sede di Alessandria e lo si fa portandoci alla pari con le degustazioni settimanali dei vini che puntualmente vengono riportate su IlGolosario.it in un’apposita sezione: sempre grandi i vini veneti di Lavagnoli e quelli di Aurora di Francesco di Massa Marittima; una scoper-

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO La signora Rita della cantina Tua Rita Vittorio Vallarino Gancia La tavola di Cascina Rosio

ta i vini siciliani di Magaddino; fantastica la degustazione dei vini di Masciarelli della linea Marina Cvetic. Ma la sorpresa questa sera sarà la messa in onda della puntata di Porta a Porta, che viene vista da parecchia gente a leggere i messaggi su WhatsApp e su Instagram, con i post dei ristoranti che abbiamo citato.

Nel frattempo Amazon, in attesa del 29 novembre, quando saranno in vendita le nostre guide, comincia a dare segni di apprezzamento per il libro Aspettando Natale, che a fine anno raggiungerà il sold out. Complimenti!

17 novembre

A Bologna parte il corso di assaggio del Club di Papillon Con Andrea Voltolini oggi partiamo per la Romagna, destinazione Faenza, e pranzo di lavoro nell’ottima trattoria Manueli in frazione Santa Lucia, che è un luogo di relax degno della nostra guida. Poi un viaggio a perdita d’occhio fra le colline faentine, per raggiungere Bologna, dove questa sera sono radunati 50 ragazzi, invitati dal Club di Papillon locale, per la prima lezione sulla tecnica di degustazione, partendo dal nostro libro l’Ascolto del Vino. Mattia Mazzacurati insieme con Caterina Vanni hanno organizzato al meglio la serata, ospiti della Camplus Alma Mater e l’attenzione è davvero molto alta. Così, dopo una prima parte teorica, inizia la degustazione di tre vini e quindi i commenti e le varie domande.

Erano tutti giovani, arrivati da Imola, Bologna e da qualche paese intorno. Alcuni si conoscevano da tempo, altri hanno avuto occasione proprio con il Club di Papillon. La prossima lezione del 13 dicembre sarà con David Navacchia della cantina Tremonti di

gari alla quarta lezione, che è una visita in cantina da quelli di Palazzona Di Maggio a Ozzano dell’Emilia, top hundred di quest’anno col loro Romagna Sangiovese “Le Armi”.

19 novembre

Cascina Conta e la musica di Laura Non capita sovente di ricevere l’invito di un’amica, Laura Falcetti, che ha la musica dentro. Un invito per farci ascoltare le canzoni della sua storia, spiegate da lei, secondo il progredire della vita. Non capita ma è successo: un sabato pomeriggio alla radiosa Cascina Conta di Magenta, nella sala intorno al caminetto, Con “Luna Diamante” di Fossati e Mina; “Oh che sarà” di Chico Buarque e Fossati: “Un altro giorno è andato” di Guccini (canzone che non conoscevo, tuttavia bellissima); “Impressioni di Settembre” della P.F.M e “Guarda che non sono io” di Francesco de Gregori.

Al termine il pranzo, in venti intorno a un tavolo quadrato, eccoci ad assaggiare i piatti della tradizione contadina dell’autunno lombardo.

Spesso provo un senso di fastidio quando sento dire “facciamo la serata”. Lo provo perché un momento di incontro con persone care rischia spesso di diventare un contenitore riempito di cibo, tanto alcol e un florilegio di cazzate tanto per passare il tempo. Ma poi cosa rimane? Laura quel pomeriggio ci ha invece messi di fronte alle domande della vita, attraverso le note e la lettura dei cantautori dei nostri anni. E qui ti chiedi, appunto, cosa siano gli amici, se non quelli che fortemente ti richiamano a un significato, non per consumare l’ennesima leccornia, ma per fissare qualcosa che è destinato a restare. Ah! come vorrei che anche i miei figli, i miei nipoti, le persone più care, potessero vivere momenti di grazia, come questi. Grazie Laura!

mondo, è il giorno della bagnacaoda, quel rito dell’amicizia che si consuma a tavola e che, per ogni piemontese che si rispetti, è come una celebrazione. Per me e Silvana c’è dentro il tempo per la preparazione: la spesa al mercato con le verdure deputate: il cardo gobbo in primis, le rape, il peperone, la verza, i topinambur... Poi le acciughe rigorosamente sotto sale, l’olio ligure, l’aglio di Vessalico e la preparazione della salsa stemperando l’aglio nella Barbera del Monferrato. L’uovo è quello dell’azienda Le Selvagge di Nembro, il tartufo di piccole pezzature al termine, per l’ultimo boccone con un Barolo, mentre con la bagnacaoda il vino sarà il Grignolino: quello maestoso del 2021 di Morando di Vignale Monferrato e quello raro, Il Laudato di Portacomaro, dedicato a papa Francesco, che, poco prima del pranzo, ha celebrato la santa messa ad Asti per la sua visita alla cugina che compiva 90 anni. Particolare non secondario, il pane: la grissia piemontese della panetteria Sandroni di Alessandria, mentre col Salame Nobile del Giarolo il pane è stato il san Pastore di Irene.

Che bel pranzo, ha detto alla fine Daniele soddisfatto. È la magia della bagnacaoda, mi son detto, che richiede sì una lunga preparazione ma sempre, dalla spesa alla cottura, pensando uno a uno i commensali che entreranno in casa, perché un rito di amicizia che gira attorno a quel piatto non può essere lasciato al caso. E allora penso alla bagnacaoda di Marzia Riccardi o a quelle cene a casa di Giacomo Bologna, nella sua cantina, che erano un momento di partecipazione, destinato sempre a fare storia.

Imola e con Alberto Paltrinieri di Bomporto di Sorbara. La terza con il grande Massimo Mazzucchelli, uno dei sommelier più preparati che conosca. Che voglia di esserci. Ma-

20 novembre

Si celebra la bagnacaoda a casa E oggi, nelle settimane deputate all’evento in varie parti del Monferrato e anche del

23 novembre

Da Hic et Nunc il confronto sul Cortese Eccoci di nuovo nel Monferrato, per l’ennesimo approfondimento sul Cortese e i suoi fratelli. L’invito arriva da Massimo Rosolen, patron della cantina Hic et Nunc di Vignale Monferrato che noi premiam-

20 La Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Il corso di assaggio organizzato dal Club Papillon di Bologna La musica di Laura alla Cascina Conta Il pranzo a base di bagnacauda e Grignolino Laudato

mo agli esordi proprio con un Cortese (era il Piemonte Cortese “Tèmi”), caso insolito per un’azienda che lavora nei territori della Barbera e del Grignolino. Ma quel Cortese del 2016 era speciale e la “verticale” organizzata oggi ha reso ragione dell’intuizione che avevamo avuto. Con le cinque annate in assaggio, anche due Custoza (aziende Monte del Frà e La Cavalchina) e un Gavi (azienda La Mesma), ovvero due tipologie di vini che hanno sempre l’anima Cortese. La degustazione è stata condotta dal critico Walter Speller che ha posto l’accento sul valore del Cortese invecchiato, capace di esprimere la sua mineralità, fugando ogni dubbio sul fatto che sia un vitigno neutro. Complimenti al giovane enologo Cristiano Garella che ha tirato fuori un Piemonte Cortese “Monolite” 2020 all’altezza di quel 2016 e poi un 2021 e un 2018 sulla soglia dei 5 asterischi.

Fra il pubblico c’erano tanti produttori, enologi, ristoratori, ognuno colpito da questa iniziativa. Ora, ci si chiede se questo Cortese rappresenti solo un’enclave, frutto di vigne vecchie e dell’esposizione in questo angolo di Vignale (che è la località Mongetto) o qualcosa di più diffuso. Certo è un’eccezione, dacché in Monferrato pochi hanno scommesso sul Cortese benché sia contemplato da una Doc (Monferrato Cortese). Alcuni hanno preferito puntare su arneis o, peggio ancora, visto che anche il Tortonese è un territorio a sé, sul timorasso, accanto a molte vigne di chardonnay e talvolta di sauvignon. Il cortese sembra non essere preso in considerazione, mentre avanza il baratuciat (anche Hic et Nunc lo produce) che rappresenta un elemento distintivo interessante (notevole il 2021 che hanno prodotto i fratelli Fracchia dell’azienda Sulin di Grazzano Badoglio). Che dire? La verità forse è che in questo angolo di Monferrato, che va da Fubine a Grazzano Badoglio, passando per Sale, Ottiglio, Vignale Monferrato,

Casorzo, c’è un terreno speciale dove tutto, alla fine, viene molto bene. Di questo, credo, bisogna prendere coscienza (e l’enologo Mario Ronco, annuiva, mentre esternavo questo pensiero a fine convegno) perché i vini, dalla Barbera al Grignolino, fino a questi bianchi, sono spettacolari. Parola di chi non sarà mai profeta in patria, anche se la patria la conosce molto bene.

A Chiaravalle con Massimo Folador e 20 imprenditori “benefit” E subito nel pomeriggio eccoci all’Abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, convocati da Massimo Folador con 20 imprenditori che hanno scelto la strada di diventare Società Benefit (come pure la nostra società Comunica). Massimo ha creato la società Askesis, dopo il successo del suo libro L’Organizzazione Perfetta accompagnando tanti imprenditori a fare un percorso autentico di sostenibilità. E il luogo prescelto, l’Abbazia di Chiaravalle, stava a testimoniare 800 anni di lavoro in agricoltura, rappresentato anche dal mulino ancora funzionante e dalle immagini che evocano la nascita di un formaggio celebre come il Grana Padano. Società benefit è dunque una realtà che nelle proprie attività mette in luce un Beneficio comune, sia all’interno sia all’esterno. Ora, i monasteri benedettini sono stati da secoli luoghi simbolo di “bene comune” e di un modello economico in cui ambiente, lavoro e comunità si integravano per creare un valore condiviso.

Non ricordavo così bella e suggestiva questa Abbazia cistercense alle porte di Milano e mai ero entrato dentro al chiostro. La visita comune, con tanto di spiegazione di tanti particolari, storici e artistici, è stata salutare, prima dell’incontro assembleare, dove Massimo mi ha chiesto di fare un intervento, accanto ad altri due imprenditori

e ai monaci Bendettini della Cascinazza e padre Claudio. Al termine ci siamo messi a tavola per una degustazione di salumi e formaggi e delle birre prodotte nei monasteri, fra cui quella ottima della Cascinazza (le ha procurate Claudio Mira che ha anche un sito “Botteghe e mestieri” oppure Bottega del Monastero). Ecco, devo dire che questo è stato realmente un momento pacificante, per un confronto schietto che talvolta manca fra imprenditori. Momenti dove, di fronte alle testimonianze degli altri, ti interroghi su chi sei e dove vai. E magari scopri qualcosa della tua stessa attività, che non emergeva con chiarezza.

IL LUPO PER AMICO?

(Avvenire del 23 novembre)

Al lupo al lupo! La diffusione e l’arrivo di questo animale selvatico ha destato non poche preoccupazioni, soprattutto in presenza di allevamenti bovini e ovini ma, dopo anni di allarmismo, ora si sentono voci diverse, per cui i viticoltori sono quasi contenti che il lupo si aggiri intorno ai vigneti, cacciando cinghiali e daini. Chissà che ancora una volta la natura nel suo complesso non ci insegni che tutto, alla fine, trova un suo equilibrio. Certo, ora serve anche ritrovare un equilibrio sulla povertà, se è vero che i casi di gente sotto la soglia di sussistenza sono in aumento. Questo sabato il Banco Alimentare si farà presente davanti a 11 mila supermercati per realizzare la Colletta Alimentare. Sono impegnati 140 mila volontari e alcuni di questi, che conosco, sono dei veterani. Che non rinunciano anche se la vecchiaia avanza: un turno di due ore, anziché mezza giornata come un tempo, che ha comunque un forte significato, che prendo in prestito da un’altra realtà caritatevole, l’Avsi, che invece ha lanciato la campagna delle tende di Natale a favore di progetti in Ucraina, Tunisia, Libano, Burundi, Uganda, Perù e Italia sul tema:

21 La Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Massimo Rosolen e il confronto sul Cortese alla cantina Hic et Nunc di Vignale Monferrato L’arrivo di Massimo Folador a Chiaravalle La visita all’interno dell’abbazia

“La pace si può. Cominciamo noi”. Prestarsi a fare la Colletta, oppure inventarsi un’iniziativa per raccogliere fondi a favore dei bisogni del mondo significa staccarsi dalla televisione e dai social, ossia il mondo virtuale che ci ha abituati a essere spettatori, per provare a scendere in campo, da protagonisti. È un modo di fare politica? Lo è, secondo l’accezione che la politica è servizio, tant’è che giorni fa, durante un viaggio in Emilia Romagna, m’ha fatto tenerezza sentire che tanti militanti di un partito che sta cercando una strada, hanno abbandonato le sezioni, che forse un tempo erano del PCI, per dedicarsi al volontariato. Anche questa capacità di partecipazione è encomiabile, nella misura in cui c’è nel proprio orizzonte il coinvolgimento dei giovani, la cui fragilità, sembra un paradosso, si supera aprendosi ai bisogni del mondo. Il tema alimentare è comunque sempre al centro del dibattito, ancor più oggi che s’è mossa l’onda della carne sintetica, favorita da una promessa di business e di ambientalismo, quando invece non si hanno certezze scientifiche sull’impatto salutistico. E rischiano d’essere proprio i poveri a fare da cavie. Per questo occorre stare allerta: c’è proprio bisogno di quella controinformazione e dell’agire nel proprio piccolo, perché non prevalgano ancora una volta oscuri interessi a discapito di un futuro che vorremmo improntato su un equilibrio. A tutti i livelli.

24 novembre

Al Berlinghetto nelle terre di Mezzo Berlingo e Berlinghetto, uno è il comune, l’altro la frazione, dove tuttavia c’è una lunga tradizione norcina. E ogni anno, in quest’ultima, si celebra la festa del Pestöm, che è l’impasto del salame. Mi invitano come ospite d’onore, per una serata di chiacchiere sulle Terre di Mezzo, che sono quel cuscino fra la Franciacorta e la Bassa Bresciana. E il tutto avviene in un luogo che definisco senza mezzi termini “clamoroso”, nato da un piccolo recinto per allevare suini e divenuto un concept store di design dove oltre alla vendita, ogni fine settimana, organizzano aperitivi, degustazioni a km zero, serate a tema condotte da chef, con protagonisti i salumi di casa prodotti senza glutine e latte, legati a mano e con budello naturale. Ora, in questo piccolo paese della Bassa Bresciana puoi toccare con mano il significato italiano di imprenditoria familiare e di trasmissione dei valori legati al senso di appartenenza a un territorio. In principio, nel secondo Dopoguerra,

fu il nonno dell’attuale proprietario, Luigi Bellini, a dare avvio alla produzione di salami e cotechini prettamente nel periodo natalizio, cui seguì la costruzione di un piccolo salumificio artigianale; poi, nel 2005, ecco gli investimenti voluti da Luigi, tra moderni laboratori per la lavorazione delle carni e le suggestive cantine di affinamento. Oltre, ovviamente, al già citato punto vendita di design dalle luci soffuse, dove fanno capolino due immense vetrine frigo che contengono “l’oro rosso” di famiglia.

mettendo in luce una denominazione che già prima avevamo premiato con i vini dell’azienda San Michele (il loro Otten, da uve trebbiano surmature è un bicchiere pazzesco). Poi la scoperta di una nuova cantina, Peroni, che sta puntando su un vitigno raro (ma così anche Lazzari) che in loco chiamavano la Cagna e che al ministero è stato autorizzato come Bellagna. È stata un’emozione fare le foto con le quattro generazioni della famiglia Lazzari, dialogare con i sindaci delle Terre di Mezzo, pensare a un futuro per questa area dove voglio ritornare.

25 novembre

Se mi chiedessero qual è la cosa che più mi appassiona nel mio lavoro io direi giornate come questa, a scoprire il genio dell’impresa italiana innescata sulla tradizione. Il Berlinghetto ha almeno 20 referenze di salumi ed è sul Golosario da svariati anni, ma vedere la trasformazione in una realtà di accoglienza che favorisce, di fatto, il turismo enogastronomico, non me lo sarei immaginato in maniera così evoluta. Luca Riva, che mi ha coinvolto nella festa del Pestöm, che dura tre giorni, prima mi ha fatto fare un giro fra le cantine e i produttori dei Colli Longobardi. Quindi Lazzari, con Davide fresco di un riconoscimento importante del Gambero Rosso (i 3 bicchieri) che segue di 4 anni il nostro, quando il suo Capriano del Colle Rosso Riserva “Riserva degli Angeli” 2015 fu dichiarato il Rosso Top dei Top di Golosaria (con la differenza che allora il Sindaco di Capriano del Colle non ci fece i complimenti!),

In viaggio fra i campioni del Golosario Al mattino presto, dopo la lettura dei giornali nel dehors di un bell’alberghetto di Brescia (si chiama Antica Fonte) vado a fare spesa al caseificio 3 Gatti di Poncarale delle sorelle Francesca, Piera ed Elisa, che producono yogurt, ma anche una teoria di formaggi di capra che hanno ricevuto, a ragione, importanti riconoscimenti. Poi un salto a Cremona, a vedere il negozio di Matteo Ghisoni, il Buon Palato, che quest’anno è stato premiato a Golosaria e che ha una storia davvero curiosa, perché i genitori, quando ancora era all’Università Cattolica, volevano mollare il colpo, ma lui ha intuito il modo per rilanciarlo, mettendo in mostra il gusto, anche con piatti di gastronomia.

Mi ha sorpreso scoprire che Matteo, avendo partecipato a una mia lezione all’Università della pizza di Vighizzolo d’Este, fu colpito dall’esempio del negozio U Re di Abazia di Masio dove facevano l’insalata russa più buona del mondo. Che attirava clientela anche fuori dal paese. E lui si è portato in cuore quell’immagine che aveva a che fare proprio col tema della Distinzione per cui è

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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
Luigi Bellini del Berlinghetto Matteo Ghisoni del Buonpalato
L’incontro con le quattro generazioni della famiglia Lazzari

stato premiato a Golosaria. Da lì ha convinto i genitori a continuare, facendo anche lui un’insalata russa in più versioni. Che dire, pochi giorni prima ci chiedevamo con Massimo Folador cos’era il bene comune e, da una visita casuale, scopri che il modo che abbiamo di guardare produce anche dei fatti.

28 novembre

A Piacenza al Mercato dei vignaioli Fivi Lunedì di fine novembre, è il terzo e ultimo giorno della fiera dei produttori aderenti alla FiVi (i vignaioli indipendenti), che quest’anno sono divisi in 3 padiglioni per 800 cantine. E il pubblico è vastissimo, perché le scoperte da fare sono davvero interessanti. Con Andrea Voltolini giriamo tutta la fiera, produttore dopo produttore, concedendoci qualche assaggio, senza esagerare.

È una fiera che a me piace questa della Fivi, non solo perché ha una sua impronta e una filosofia chiara, ma anche per le scoperte che puoi fare. Non esagero se dico che almeno il 40% dei produttori sono entrati nella nostra orbita, negli anni, dandoci tante gratificazioni a seguito delle degustazioni. Che anche quest’anno faremo, dopo aver preso appunti su alcune nuove realtà.

29 novembre

Ad Arnad per le migliori Fontine d’Alpage Si parte per Arnad, stamane, alla Maison Bertolin, per presiedere la commissione di degustazione delle 10 migliori Fontine di Alpeggio. Accanto a me Andrea Barmaz, che ha guidato la commissione tecnica e l’assessore regionale all’Agricoltura Davide Sapinet. Assaggiamo le 10 fontine finaliste e diamo i voti, trovandoci unanimi (c’erano cuochi come Agostino Buillas e Paolo Griffa, insieme a tecnici locali, giornalisti) sulla fontina numero 1 che mette d’accordo tutti. Poi si arriva alla rosa delle prime tre che verranno fregiate del Modon d’Or, mentre le altre sette riceveranno La Médaille d’Or. La premiazione ufficiale avverrà venerdì 2 dicembre 2022 nella Grandze del Castello di Aymavilles, dove insieme premieremo Brunet e Lavy dell’Alpeggio Morgnoz di Sarre; Frères Béthaz di Frachey Rosella dell’Alpeggio Vieille di Valgrisenche e la Società Agricola Frères Pinet dell’Alpeggio Chatellard di Torgnon.

Non è stato facile quest’anno valutare le fontine, emerse da un’estate siccitosa che ha creato non poche difficoltà. Per capirci, non erano le fontine assaggiate lo scorso anno;

tuttavia è emerso un dato interessante, che è il savoire faire, che ha permesso comunque di portare a casa delle buone fontine, nonostante un agosto avaro di pascoli. Anche questo, insomma è un valore della Vallée.

Stuzzichino del ristorante Lo Stuzzichino di Massa Lubrense. A casa ho da qualche parte il piatto del Buon Ricordo del Pinocchio di Borgomanero, che fu fra i primi a partecipare a questa associazione. Me la regalò Francesca Settimi che, nella sua casa di Colazza, ha una piccola collezione con le soste in quei ristoranti, alcuni dei quali divenuti famosi. Scorgo l’elenco e noto che in Piemonte ce ne sono pochissimi, ma in generale non appaiono ristoranti “stellati”. E fra me penso: un motivo in più per prendere in considerazione queste tavole, i cui cuochi, a vederli, vivono con orgoglio questa divertente appartenenza.

… e a Milano i Ristoranti del Buon Ricordo Da Arnad, prima di arrivare ad Alessandria, faccio una deviazione opportuna per Milano: stasera presso le Officine del Volo si ritrovano i Ristoranti del Buon Ricordo, l’associazione presieduta da Cesare Carbone (ristorante Manuelina) e da Luciano Spigaroli (segretario). È un momento di festa sempre molto bello e partecipato, che termina con la cena di gala dove di solito cucinano le new entry, ma anche quest’anno non riesco a fermarmi. Tuttavia l’aperitivo è già un buono spunto per assaggiare le specialità degli Spigaroli, qualche bollicina della Franciacorta e la mitica focaccia di Recco. Poi, la cerimonia con il saluto ai nuovi ingressi e la presentazione della guida, con la pagina di tutti gli associati e l’indicazione del piatto che viene omaggiato ai clienti che lo ordinano.

Quante persone che sono venute a salutarmi: Giovanna Guidetti della Fefa di Finale Emilia, che è una delle tavole della mia predilezione, ma anche Paolino di Vercelli, che ha smentito di aver chiuso il locale, per cui presto andrò a trovarlo. E così tanti altri ai quali ho sinceramente promesso una mia visita, fra cui il simpatico Mimmo

La newsletter di Alejandro Alejandro Marius dal Venezuela ci manda la sua newsletter mensile, che nel numero di fine novembre è davvero ricca di iniziative, grazie al lavoro dell’Associazione Trabajo y Persona, l’associazione che quest’anno ha beneficiato della nostra adozione di 15 cuoche, che hanno ricevuto dal Club di Papillon 1.500 euro ciascuna. Elenco solo alcuni titoli delle iniziative descritte da Alejandro: inizio delle lezioni pratiche del corso di Imprenditoria Gastronomica; masterclass per i diplomati di Trabajo y Persona; incontro con i diplomati del progetto Imprenditorialità e Nutrizione El Tocuyo; incontro con gli imprenditori gastronomici di Lara; forumchat “L’arte di servire a tavola”; consegna dei certificati della III edizione virtuale di Imprenditorialità e Nutrizione Carùpano; conversazione con Alejandro Marius; pratica di temperaggio del cioccolato; laboratorio di calcolo dei costi per le imprenditrici gastronomiche; laboratorio di curry e adobo; workshop di produzione video per imprenditori.

L’invio di questa newsletter in qualche modo mi ha spiazzato, perché vedere la ricchezza di iniziative che Alejandro è riuscito a documentare in una situazione di grande povertà come quella del Venezuela ti interroga, ci interroga. E qui torna d’attualità l’iniziativa di Massimo Folador, di essere una realtà che favorisce il bene comune.

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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Le fontine in gara al Modon d’Or …e quelle vincitrici Carbone e Spigaroli del Buon Ricordo

MA COME SI FA

A TASSARE LE MANCE?

(Avvenire del 30 novembre)

“Il grande ritorno” si potrebbe titolare il momento che stiamo vivendo, dove ogni iniziativa segnala il sold out. Lunedì a Piacenza si è chiusa la Fiera dei Vignaioli Indipendenti raggruppati sotto la sigla FiVi: oltre 800 produttori col loro banchetto e migliaia di persone che facevano acquisti con il carrello della spesa. Ma le cronache parlano anche di una città come Torino, dove alla sera è impossibile trovare un posto a sedere in un ristorante o una pizzeria, in una fase dove ancora manca il personale adeguato per rispondere a questa domanda che in molti casi ha superato i livelli pre-Covid. Ora, se tutto questo sembra positivo in una Torino che oggi celebra la figura del cuoco, per ricordare i 300 anni di una corporazione professionale nata nel 1722 sotto il patronato di San Pasquale Baylon (da cui il sanbayon poi divenuto lo zabaione), le bizzarrie italiane non tardano ad arrivare. Una di queste riguarda le mance nei ristoranti, che sono entrate nel mirino della legge di Bilancio (almeno nella bozza che avrebbe approntato il Consiglio dei ministri), per cui dal primo gennaio le somme destinate volontariamente dai clienti ai lavoratori di ristoranti e hotel subiranno un’imposta forfettaria del 5 per cento. Ma in verità le mance in Italia non sono regolate per legge e neppure è previsto come fare a lasciarle con la carta di credito senza che ricadano sugli incassi del ristorante diventando, di fatto, un onere. Ma c’è di più: le mance non sono per nulla riconosciute e pare che il contratto nazionale di lavoro contempli addirittura il divieto di accettarle. E qui siamo all’Azzeccagarbugli che propone di detassare le mance, quando questa parola non figura nel vocabolario legislativo. All’estero questa voce è ben regolata e

appare anche sulla ricevuta, ma in Italia no e per di più la si vorrebbe “detassare” per incentivare i lavoratori. A cosa? Avanti di questo passo anche i Rider (a proposito la pizza è al primo posto fra il cibo a domicilio, seguito dall’involtino primavera) rischiano d’essere soggetti alla detassazione per la mancia che giustamente ricevono, e magari, domani, anche quelli che chiedono l’elemosina dietro l’angolo. Tutto questo mentre aumentano i Neet, ovvero i giovani che fuggono dal lavoro. Il che dice che c’è bisogno di una politica seria, che aggiusti alcune storture, anche per favorire il lavoro reale evitando di finire nel ridicolo. Come le zucche di Halloween che hanno un’aliquota Iva del 4% se commestibili, ma sale al 22% se diventano decorative. Ma istituire un ministero senza portafoglio per il Buon Senso no?

1° dicembre

Cena alla Locanda del Daino Questa visita in un ristorante ambientato in una casa di caccia è stata unica, non solo per la buona soddisfazione della cena a base di selvaggina (coi vini si potrebbe fare di più), ma per il percorso che ci ha fatto arrivare fino a qui, in questo paese dove abita Antonella Clerici col suo compagno Vittorio Garrone. Ora, poco prima di arrivare, sul ciglio della strada c’erano tre daini, mentre al ritorno ci siamo dovuti fermare perché erano trenta i caprioli che, in branco, attraversavano la strada arrivando da un bosco per raggiungere una radura. Uno spettacolo decisamente affascinante, che ci ha lasciati talmente a bocca aperta che non siamo neppure stati capaci, eravamo in tre, a fare lo scatto necessario per una fotografia.

Il 6 dicembre Antonella ha festeggiato qui il suo compleanno e mi ha messaggiato, avendo appreso che ero stato in un suo luogo del cuore. Ma che posto magico!

3 dicembre

Francesca e le giapponesi Giornata milanese, oggi, per pranzare con Francesca Settimi e Lucia Ravera detta Guenda, che stanno terminando un libro, della nostra collana Vivide Vite sulla storia straordinaria di Francesca. Un libro dove lei si mette in gioco con la sua storia, costellata di decine di interventi per combattere un tumore raro, ma anche di gioia ritrovata tra i fornelli con la creazione della sua scuola di cucina Cook on the Lakes a Colazza, sul lago Maggiore. Il libro avrà per titolo Io, Guenda e Il Gene matto e

conterrà anche un corollario di ricette che hanno rappresentato la sua vita. Quando uscirà? A febbraio, insieme ad Aspettando Pasqua, a cura di Annalena Valenti, Raffaella Carnovale e Valeria De Domenico.

Ma non è finita, perché in un hotel di Milano, una produttrice di sfiziosità giapponesi, Kiyomi Shinnishi mi vuole conoscere. Lei abita a Osaka ed ha fatto un viaggio in Italia, anche con l’intento di farmi assaggiare le sue sfiziosità che sono degli snack aromatizzati coi sapori delle prelibatezze giapponesi, accanto a una teoria di dolci. Quando è venuta ad Alessandria a incontrare Silvana e i miei collaboratori ha raccontato che la svolta della sua vita, dopo aver perso il marito, è stato un sogno dove una persona le diceva che era arrivato il momento di investire in Italia. Quando ha visto la mia foto sul portale della rivista Ryorit-sushin, ha scoperto la somiglianza.

Be’, una cosa del genere non l’avevo proprio messa in conto. L’incontro con la collega Stefania Viti che traduceva e altre amiche di Kiyomi è stato simpatico e improntato sull’ilarità. Però è curioso come anche i semi messi in Giappone, con ormai 8 anni di collaborazione, diano frutti. Anche l’ultima edizione di Golosaria ha visto una partecipazione importante, oltre a Kikkoman anche Teacood, i produttori di tè che hanno avuto la loro soddisfazione. Golosaria, insomma, diventa sempre più internazionale, no?

Quello di Alejandro credo sia un esempio compiuto, come testimonia anche la lettera che pubblichiamo in fondo, mutuata dal suo editoriale.
24 La Circolare
DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
produttrice Kiyomi Shinnishi L’incontro con le amiche giapponesi
Alejandro Marius
La

A Grazzano Badoglio

con 6 magnifici produttori Questo appuntamento a Grazzano Badoglio lo avevamo fissato alla cerimonia di chiusura di Golosaria Monferrato, nel convento di Aleramo. E, siccome c’era di mezzo il fondatore del Monferrato, non si poteva certo tradire una promessa. Così, nell’abitazione-cantina di Dario Natta, che con il fratello Fulvio porta avanti una delle aziende più interessanti di Grazzano, eccoci attorno a un grande tavolo con trenta persone, fra cui 6 produttori di Grazzano Badoglio (Sulin, Tenuta Santa Caterina, Capretto, Rappellino ed Emanuel Monti). Il menu prevedeva il taglio della mitica Muletta di Dario e poi svariate portate di carne di Lauro Micco, il nostro macellaio di Moncalvo. In tavola bottiglie rare, a testimoniare la longevità dei vini di Grazzano. Al mio fianco, l’enologo Mario Ronco, che segue diverse cantine e sta all’origine del fenomeno del Monferace e Guido Carlo Alleva che dell’associazione è il presidente.

“I produttori ci tenevano molto a questo incontro” mi ha sussurrato nell’orecchio Alleva. Un incontro spontaneo, senza discorsi (e neanche la foto di gruppo) che comunque è destinato a fare storia. Così ho voluto fissarlo in un articolo che è uscito a inizio gennaio su IlGusto.it, dal titolo “Grazzano Badoglio, quel terroir del Monferrato di cui sentiremo parlare” per raccontare l’unicità di questa enclave del Monferrato dove la gamma di vitigni che trovano espressione è davvero ampia: dagli autoctoni agli internazionali, con un fiore che sta sbocciando: il baratuciat.

zo in quel luogo antico che mi fece scrivere “A un certo punto non vi sembrerà strano che da una porta esca la sagoma di Camillo Benso conte di Cavour”. Era solenne la Contea, e Tonino rappresentava la felicità dell’oste a tutto tondo, ancor più quando si mise a fare il vino e il suo Barbaresco non era niente male. Angelo Gaja amava questo luogo e come lui il conte Riccardi.

Ricordo una domenica di novembre, con tre amici milanesi a Cuneo, al termine di una conferenza che sarebbe dovuta finire in pizzeria. Ma la strada del ritorno era lunga per i miei tre amici, per cui declinammo l’invito. Tuttavia durante il viaggio, Mario Amman a cui devo l’introduzione, ai tempi dell’università, all’assaggio del Barbaresco, disse che non si poteva lasciare il Piemonte così, senza celebrare il tartufo. Chiamai allora Tonino, sapendo che i ristoranti erano tutti pieni, ma lui senza un plissé mi disse: “A che ora siete qui?”. Dopo un’ora eravamo al tavolo della Contea e quando arrivò la carne cruda battuta a coltello, che allora non era così inflazionata come è oggi, lui giunse al tavolo con un cestino di tartufi e disse: “Il tartufo si mangia così da me!”. Prese due o tre pepite e le frantumò con un pugno, per poi cospargerlo sulla carne cruda e i tajarin. Questo era Tonino. La generosa accoglienza della gente di Langa.

di autentica originalità. Sale nel novero dei nostri faccini radiosi (era sulla soglia, ma ora, dopo la prova, lo merita a pieni voti), per tanti aspetti: dalla cucina al servizio, alla selezione dei vini (anche se con questa cucina lombarda qualche vino rosso frizzante in più me lo sarei aspettato). Cosa abbiamo mangiato? Ma la cassoeula monumentale ovviamente, con polenta di grano vitreo macinato a pietra, preceduta da un altro piatto tradizionale che era la rustisciada (ottimo) con sughetto di pomodoro, erba salvia, lonzino di maiale, salsiccia e polenta al latte.

Muore Tonino Verro

Tonino Verro, il cuoco di Neive che, insieme alla sua Claudia, ha condotto per tanti anni il ristorante La Contea se n’è andato, a soli 74 anni. Apprendo la notizia sulla cronaca di Cuneo de la Stampa e subito i ricordi affiorano, come il mio primo pran-

Ed ecco una carrellata di tavole provate in questo periodo Altre prove ai ristoranti, in questo autunno che anticipa l’inverno. Alla Fermata di Alessandria, per esempio abbiamo scoperto un pane fantastico, che sforna Fabio Toninello in Galleria Guerci, dopo aver passato un periodo accanto a Riccardo Aiachini. Il quale ci ha commosso nuovamente con un suo piatto: la cipolla cotta al sale. Alla Piazza dei Mestieri, Maurizio Camilli invece ha dovuto fare il bis del carciofo alla brace con bottarga e bagnetto verde, mentre la sua compagna Olga ha messo in tavola un vino spettacolare di Hartman Donà: il Donà Blanc, Weiss 2018 da uve pinot bianco e chardonnay. Ma altrettanto convincente è stata la sosta al Camp di Cent Pertigh di Carate Brianza, in quella che era la cascina di un convento del Seicento con una serie di ambienti d’antan, eleganti e pieni di ninnoli. Ora, questo ristorante rappresenta un caso perché mangiare bene in un posto che serve centinaia di persone in contemporanea non è da tutti.

Quel venerdì sera 2 dicembre c’era il sold out, eppure siamo stati serviti in tempi perfetti, con ottima soddisfazione e spunti

Buona la pizza in stile napoletano della gettonatissima pizzeria Tatum di Cassine (Al), dove merita pure la farinata, mentre all’Agricola di Lainate è stato felice quel risotto col formaggio cremoso di capra prodotto dalla maison. Al ristorante Due Lanterne di Nizza Monferrato ci ha emozionato riassaggiare le mezze penne del Carrettiere, piatto iconico di questo locale, che ha una carta dei vini da fare invidia. Alla Cave de Cogne ci siamo tolti lo sfizio di una fonduta, accerchiati da quelle bottiglie di vino di una selezione competente. Novità poi, alla pizzeria Condurro di Alessandria, dove oltre alle pizze (assaggiate La Nostra Storia) meritano le sfiziosità che saranno foriere di nuove iniziative. E ancora alla pizzeria Grattarola sempre alle porte di Alessandria che usa la farina Petra per le sue pizze davvero buone. In sala Paola, al forno il fratello Gianluca. Intorno un ambiente invitante, del genere vintage, che mette tanta allegria. Siamo stati anche alla trattoria Duma C’Anduma di Solero, che merita un voto migliore perché qui è migliorata la carta dei vini; l’ambiente è più accogliente, dentro al vecchio castello del paese e i plin di animella alla piccola finanziera restano uno spettacolo. Detto questo, vogliamo parlare del Moro di Monza, nostra corona radiosa che si rifà alla cucina di pesce siciliana. Superbo l’Assoluto di gambero “Regina Margherita”, il risotto con sarde e finocchietto selvatico, i paccheri al pistacchio di Raffadali e gamberi di Mazara, il filetto di pescato alla Ghiotta per finire coi dolci, e il loro panettone al pistacchio. In sala l’accoglienza di Antonella è come a casa mentre in cucina Vincenzo è semplicemente un grande.

E questo è solo un assaggio della nostra guida, coi locali visitati dal sottoscritto. Pensate soltanto cosa può essere il lavoro di ciascuno dei nostri 90 collaboratori sparsi per l’Italia, che spesso ci deliziano con le loro prove, con una recensione su IlGolosario.it

4 dicembre
25 La Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
A Grazzano Badoglio con Dario Natta

Si parte per Padova per la cena di Santa Lucia con Cevoli È il ponte di Sant’Ambrogio, e mentre la gente ne approfitta per qualche giorno di vacanza, io sono in partenza al mattino presto verso Padova: stasera si tiene la ventesima edizione della Cena di Santa Lucia, un evento a cui partecipano 800 persone, per sostenere progetti di aiuto internazionale. Graziano Debellini, presidente dell’Associazione che sostiene tutto l’anno questi progetti, mi ha chiamato per la terza volta a condurre la serata insieme alla bravissima Francesca Trevisi. Arriviamo quindi a Padova, nel bel NH Hotel, di fianco alla fiera dove si tiene la cena: un momento di riposo e poi via col primo briefing per studiare la scaletta e introdurre gli ospiti, fra cui il comico Paolo Cevoli. Alle 19,30 iniziano ad arrivare i primi ospiti, mentre Matteo Florean coordina i ragazzi della Fondazione San Nicolò che cureranno il servizio ai tavoli. Saliamo sul palco alle 20,15, col compito di chiudere la cena entro le 23. E ci riusciremo. Partono i filmati con la proiezione degli obbiettivi Avsi di quest’anno, interviene il professor Giorgio Vittadini, come da tradizione, sul tema di quest’anno. Al

momento del dolce è la volta di Paolo Cevoli che fa un monologo esilarante, con aneddoti sulla sua infanzia da figlio di albergatori della Romagna conduttori della pensione Cinzia. Poi tutti sul palco: autorità e protagonisti di questi 20 anni e anche i ragazzi che hanno servito. Alle 23 ci salutiamo.

Ce l’abbiamo fatta! Ma come tutti gli anni questa cena di solidarietà è stata un evento clamoroso che ha messo a tema un modo differente di pensare al Natale. Paolo Cevoli ha poi dato quel tocco fra il dissacrante e il divertito, che non ha per nulla scandalizzato anche le personalità religiose in sala. E si capisce bene quali siano le leve della comicità che lui sa usare con grande maestria come tutti i comici professionisti che ho conosciuto in questi anni. Tuttavia resta il tema di quel che rappresenta l’architettura di un evento, dove l’attenzione minuziosa ai particolari e il calcolo dei tempi risultano essenziali per la riuscita. È esattamente come il servizio ai tavoli dove non possono esserci sbavature: ci vuole il silenzio quando serve, occorre dare spazio alla convivialità senza gratuite interruzioni per il resto della serata, perché ogni tavolo diventa un’isola a sé. Sono stato felice di

aver dato anche quest’anno il mio contributo. Ne scriverò su Avvenire, il mattino dopo, prima di partire per l’Alto Adige.

QUEI RAGAZZI E LA CENA, UN GESTO DI VERA PACE (

Avvenire del 7 dicembre)

Quando lunedì sera lasciavo la sala della fiera di Padova per la ventesima edizione della Cena di Santa Lucia, almeno tre ragazzi, che facevano parte di un piccolo esercito di 300 che hanno servito 900 persone, mi hanno salutato con un sorriso sincero: non un saluto generico con frasi di circostanza, ma proprio guardandomi negli occhi come chi ha vissuto un’esperienza comune di cui, con soddisfazione, si è sentito parte. Questi ragazzi seguono il percorso formativo della Fondazione San Nicolò e per me rappresentano la sfumatura di una serata clamorosa che dice cosa significhi seminare. Il segretario generale di Avsi (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale) Giampaolo Silvestri, poco prima, aveva raccontato della sua visita in Kenya, dove i volontari rischiano la vita anche per un solo bambino che vive in condizioni di estrema povertà e senza istruzione. E lì è come se si fosse creata una fune fra chi serve una cena e chi, molto lontano, in qualche modo beneficerà della raccolta di solidarietà, che in vent’anni ha destinato 2 milioni di euro a tanti progetti. Il tema della cena di quest’anno era la “Pace si può. Cominciamola noi”, per dire che c’è bisogno di un cambio di mentalità per cambiare le sorti, così come i giovani di tutto il mondo hanno obbligato i governi a discutere di sostenibilità ambientale. Anche la pace ha bisogno d’essere alimentata da questo pensiero, ma soprattutto da azioni come può essere una cena dove si prende atto delle emergenze in Tunisia, Libano, Perù, Burundi, Uganda e, ovviamente, Ucraina e Italia, per progetti di integrazione lavorativa di richiedenti asilo e adozioni internazionali. Graziano Debellini, che nel 2001 con alcuni amici si convinse che si poteva fare un gesto pubblico come una cena per raccogliere fondi, nel 2010 ha fondato l’Associazione Santa Lucia, di cui è presidente, che si dedica tutto l’anno a questo esempio di carità, raccolto ogni anno dall’intera città. “In vent’anni sono nate storie bellissime –ha detto – che raccontano di persone che vogliono dare un po’ della loro vita perché ci siano segni di speranza, senza nulla in cambio”. E qui, proprio oggi che a Milano si consegnano gli Ambrogini d’Oro,

5
dicembre
26 La Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
Silvana Massobrio e il comico Paolo Cevoli alla cena di Santa Lucia Tutti sul palco al termine della cena

di cui il più luminoso è quello dedicato a monsignor Luigi Giussani nei 100 anni dalla sua nascita, è commovente prendere atto come il pensiero e la fede di un uomo siano stati quel seme che ha dato frutti inimmaginabili: dal Banco Alimentare all’Avsi, fino al sorriso di quei tre ragazzi che si sono sentiti parte di qualcosa che aveva a che vedere con la concretezza della pace. Insieme allora si può.

6 dicembre

In Val Passiria, in un paradiso Dopo una breve pausa per acquistare qualche vestiario adatto alla montagna, partiamo per la Val Passiria, con sosta all’ora di pranzo al ristorante la Cacciatora di Mezzocorona, che è sempre una sicurezza. Quando poi l’auto attraversa Merano, mancano pochi chilometri per raggiungere questo villaggio da sogno, il Quellenhof di San Martino in Passiria, che sta poco prima del paese. Fondato da Luise e Rudolf Dorfer nel 1923, il villaggio figura fra i più esclusivi Luxury Resort del mondo: oltre a camere e suite dislocate in diverse strutture e a quattro punti di ristoro, il Quellenhof dispone di un’eccellente spa, un parco con lago balneabile, un moderno centro medico di prevenzione e diagnosi precoce e una grande offerta di attività sportive (un campo da golf, 7 campi da tennis, un moderno maneggio con cavalli addestrati, 2 sale fitness e 100 bikes). Ora, quando esci dalla hall della reception, la sensazione è di essere in un labirinto, che collega i vari palazzi con un sistema di ascensori che si snodano al quarto piano. La prima cosa che colpisce sono le teorie di piscine all’aperto, col fumo che sale dall’acqua calda: sotto le proprie camere, come il caso dell’hotel Vidal, che è uno dei luoghi dell’ospitalità, o sui tetti, per una sosta che invoglia al relax e al divertimento, perché qui c’è proprio tutto. Per mangiare ci sono varie formule: dal ristorante panoramico al bistrot aperto fino alle 5 del pomeriggio. Notevole sarà poi l’esperienza nel ristorante gourmet 1897 che porta la data di fondazione del Quellenhof e che vede ai fornelli il geniale Michael Mayr e, in sala, il maître e sommelier Matteo Lattanzi, preparatissimo sui vini, da scegliere in una carta spaziale ed enciclopedica. Ne scriviamo nella parte che recensisce i ristoranti, stupiti ancora una volta dalla pigrizia delle guide che non contemplano una cucina di valore come questa. Tuttavia, la sera del nostro arrivo, dopo aver provato la spa e gli spazi dedicati ai giochi dove c’è davvero tutto, andiamo a cena in un’autentica trattoria,

che è il Lamm della famiglia Fontana, proprio in paese. E qui ci raggiunge Arnaldo De Felice, l’amico di Caterina Dei che conoscemmo questa estate e che è venuto a Golosaria. È curioso di capire il nesso fra l’ascolto del vino e quello della musica. E qualcosa nascerà anche da questo incontro.

gourmet del Quellenhof eravamo rimasti colpiti dalla tavola, dove a inizio cena avevano messo sei tipi di verdure selvatiche, molto saporose, da mangiare come snack. E quando abbiamo chiesto dove le avessero prese, il maître ci ha indirizzato da Rosi a San Leonardo in Passiria, che ci ha aperto un mondo (leggi recensione in fondo al giornale). Prima di andare da lei abbiamo preso la Messa nella chiesa del paese, tutta in lingua tedesca, ma talmente bella (per i canti, per la coreografia, per la partecipazione) che non è stata un’obiezione capire poche parole. Poi un salto alla pizzeria Brückenwirt che è sul nostro Golosario e che vede all’opera Benni, che ha frequentato l’Università della pizza e lavora con lievito madre, portando in tavola pinse e pizze. Ma l’8 dicembre è già tempo di partire: sosta a Milano per celebrare la cassoeula a casa di Daniela e Peppino (fantastica come sempre) con il Barbacarlo 2019 di Maga Lino. Il giorno dopo si parte per Aosta.

Nonostante ci si trovi in una situazione di tempo libero, sembra che questo alla fine non basti mai. Entrare in un territorio è come salire su un albero di ciliegie, dove una segnalazione tira l’altra. La sera al ristorante

9 dicembre

Alle Miniere di Cogne e pranzo al Bellevue Si parte per Cogne, per provare la cucina, davvero ottima, del nuovo chef nelle cucine del Bellevue. L’ultima visita era stata un anno fa, proprio in questi giorni, quando Piero Roullet era stato ricoverato in ospedale per non uscire più; ci siamo tornati, colpiti ancora una volta dalla tenacia di tutta la famiglia. Anche qui la recensione in fondo alla Circolare racconta le premesse ottime per la buona ripartenza del Petit restaurant, grazie alla bravura dello chef toscano Niccolò De Riu (la sua pappa al pomodoro fritta è una delle cose più buone assaggiate quest’anno), ancor più con l’accoppiata di Rino Billia, il sommelier storico della maison. Nel pomeriggio, eccoci a presenziare a un evento eccezionale, ovvero la visita alle miniere di Cogne che oggi ospitano un museo bellissimo. Mi hanno chiamato per commentare l’esito dell’affinamento dei vini di tre cantine, che hanno messo le loro bottiglie in questi luoghi. Ma come il vino anche il Bleu d’Aosta della

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO L’ingresso dell’hotel Quellenhof Una panoramica sul resort La maestosa cassoeula di Peppino Relax nelle piscine riscaldate… A cena con Arnaldo De Felice

La Circolare

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C’era il sold out a Cogne quel week-end di neve ed è stato veramente bello dormire in frazione Lillaz, nel B&B Le Chalet du Paradis di Diego Sarto in questa piccola frazione di Cogne dove c’è un bar accogliente con il patron che gestisce anche una piccola libreria, e non mancano le nostre pubblicazioni. Fantastica la cena alla Cave de Cogne, già presente sulla nostra guida, dove è stata una goduria mangiare la Fonduta. Il giorno dopo sulla via del ritorno verso Alessandria, la sosta d’obbligo è stata alla Maison Bertolin, per salutare Marilena, Alexander (il figlio

più giovane che è anche sindaco di Arnad) e Guido. Quanta passione sanno metterci nel loro lavoro!

Questo l’articolo pubblicato su ilGusto.it

COGNE, QUEGLI ANTRI PREZIOSI DOVE AFFINARE VINI E FORMAGGI

Con i loro 2 mila metri d’altitudine, le miniere valdostane di Cogne sono le più alte d’Europa, e vantano un’estensione, in termini di gallerie, di oltre 140 km. Un patrimonio davvero unico e identitario, destinato già in parte, dopo la loro chiusura nel 1979, a favorirne la conoscenza tramite visite guidate con un trenino, che meritava, però, ulteriori forme di valorizzazione. Da qui, l’idea della Cooperativa Mines de Cogne, dopo accurati studi e rilievi in termini di temperatura e umidità delle gallerie di magnetite (dalle quali si estraeva il ferro), di rendere queste preziose cavità dei luoghi idonei anche all’affinamento dei vini e dei formaggi. E, in particolare, sono risultate idonee le gallerie dell’ex polveriera, dove venivano conservate micce ed esplosivi, a una temperatura costante di 4/5 gradi e umidità del 93-94%. All’appello della cooperativa per sperimentare l’affinamento ad alta quota, hanno risposto con entusiasmo tre cantine valdostane: la Cave Mont Blanc de Morgex et de La Salle, la Cave des Onze Communes e la Crotta di Vegneron. Ma anche la Centrale del Latte della Valle d’Aosta con il suo Bleu d’Aoste. Qualcuno si chiederà perché non la fontina, ma il motivo è presto detto. Può capitare, data la quota delle miniere, che durante l’inverno le condizioni climatiche proibitive impediscano di raggiungerle per settimane, perciò qui possono essere conservati generi che non necessitano di trattamenti quotidiani o settimanali. Non saprei dire, scientificamente parlando, quali possano essere gli effetti dell’affinamento in miniera o in ambienti isolati (in fondo al mare o a un lago), ma è certo che i sei vini assaggiati a Cogne il 9 di dicembre erano perfetti nella loro tipicità, quasi che l’affinamento si sia svolto nella maniera ideale. Tutto coerente con la tipicità che ci aspettava. Ora, per chi avrà la fortuna di assaggiare questi vini delle miniere, magari dopo aver fatto visita al Museo dedicato che ha bellissimi spunti di interattività, potrà toccare con mano questa affermazione qualitativa. Il mio è stato un doppio assaggio: al banco, nei locali del museo, dove il primo impatto è stato quello di trovarsi di fronte a dei prodotti

decisamente interessanti e poi in silenzio, nell’ufficio con i sei campioni messi nelle condizioni di temperatura ideali.

Si inizia con la Cave Mont Blanc che ha pure una cantina dentro la clamorosa funivia (la stazione di mezzo) che porta di fronte al Bianco. È l’unica azienda in Valle d’Aosta a produrre spumante metodo classico a denominazione di origine controllata. Le loro “bollicine dei ghiacciai” seguono una prima vinificazione in inox e legno grande e una seconda fermentazione del vino in bottiglia.

Per noi lo Spumante metodo classico Extra brut 2019 (dégorgement 2021) frutto di uve priè blanc al 100%. Alla vista ha un colore giallo paglierino brillante tendente al dorato. Piacevole fin dal naso, dove emerge nitida la mela bianca fresca (avete presente quando la si taglia a metà?), ma anche la nespola. Il sorso è pieno, fragrante nelle note aromatiche di frutta, che si arricchiscono di sfumature agrumate (cedro). Il finale è sapido, persistente. Davvero un gran bel sorso.

Il Blanc de Morgex et de La Salle 2020 ha colore giallo paglierino carico, di bella consistenza. Qui a colpire è la frutta esotica (si intuisce il mango), anche se non manca un affondo erbaceo (erba sfalciata). In bocca c’è corrispondenza con l’aroma esotico e torna ancora la nota sapida, molto più accentuata del campione precedente, prodotto con le medesime uve a piede franco.  De La Crotta de Vegneron, realtà cooperativa (oltre 50 soci) che raccoglie le uve di due importanti zone di produzione che danno il nome alle denominazioni di origine Chambave (che comprende anche i comuni di Châtillon, Pontey, Saint Vincent, Saint Denis e Verrayes) e Nus (qui i comuni di Quart e Fénis), è stupendo il Chambave Muscat 2020, moscato bianco in purezza, che del genere assaggiato un po’ in tutta Italia, rappresenta il campione più compiuto e soddisfacente, anche dal punto di vista “gastronomico”. Ha colore giallo paglierino; al naso l’aromaticità del vitigno è un tripudio di profumi, che si aprono e si chiudono con la balsamicità della salvia, mentre in mezzo spunta il glicine e il frutto della passione. In bocca torna la salvia, ma si aggiungono i fiori di zagara, per un sorso vellutato che si chiude lievemente amaricante, senza però essere eccessivo. Anzi, sembra quasi che ci sia un leggero residuo zuccherino, che rende il tutto più piacevole, senza diventare stucchevole da una parte e amaro dall’altra. Complimenti all’enologo per questa interpretazione.

Centrale del Latte. Ne scriverò su IlGusto. it in un articolo che ripropongo. DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO L’arrivo alle miniere di Cogne Lo chef Luigi Palladino con il maître della Cave de Cogne La degustazione dei vini affinati nelle miniere

A seguire il Fumin 2017, affinato per 12 mesi in legno grande e piccolo di differenti essenze, ha colore rubino concentrato, e al naso è pure un concentrato di frutta rossa ancora fresca, di notevole intensità. Poi arriva una nota balsamica, che ritorna anche in bocca, ma è ancora la frutta ad essere protagonista. Si intuisce un’ulteriore evoluzione, che porterà verso il sottobosco e il sotto spirito, mentre i tannini più marcati garantiscono altri anni di buona salute, per un vino ancora giovane, intrigante, che a me è piaciuto molto.  Tocca ora alla Cave des Onze Communes, realtà cooperativa di 160 soci che opera su 63 ettari di vigneti, estremamente parcellizzati, distribuiti sul territorio di 11 Comuni. La loro scelta di affinamento in miniera è ricaduta su un Petite Arvine 2020 di una pienezza che non t’aspetti. Fa una breve macerazione delle bucce a bassa temperatura per esaltare le note fruttate e la sapidità. L’imbottigliamento viene effettuato a partire dal mese di marzo successivo alla vendemmia. Ha colore oro; tuffi il naso nel bicchiere e dici: “Ananas!”, molto intenso e persistente. Il sorso è rotondo, la frutta si sente integra, quasi masticabile nella sua polpa fragrante, reso più interessante dalla sapidità quasi “salina”, con un finale ammandorlato che cede anche a una sottile speziatura, elegante.

Il Torrette Superiore 2020, da uve petit rouge 80%, con percentuali minori di mayolet, cornalin e fumin, è affinato per due terzi in legno e la restante parte in acciaio. Ha colore rubino; i profumi intensi sono quelli dei piccoli frutti (fragolina di bosco). Il sorso colpisce per la sua rotondità che avviluppa la bocca. C’è una buona freschezza che allunga il sorso, prima di uno strascico amaro tipico (qui i tannini sono ben amalgamati).

Le etichette di questi sei vini - in tema minerario - sono state realizzate dall’artista Barbara Tutino.

Al termine degli assaggi la sensazione è che la miniera abbia favorito una lenta maturazione, quasi a smussare le asperità per esaltare il frutto. Non c’è certezza su questa corrispondenza causa-effetto, certo è che i sei vini avevano dentro la perfezione che ti aspetti da queste tipologie. W la miniera!

11 dicembre

In pista per le guide del 2023 Domenica a casa, ma questa volta di lavoro serrato con Marco Gatti, per programmare già le attività del 2023 e soprattutto impostare la guida ai ristoranti che a sorpresa viene presentata a Striscia La Notizia,

facendo volare le vendite, accanto a quelle di Aspettando Natale (mille copie vendute solo su Amazon: un gran bel risultato). Si apre così, di fatto, l’ultima settimana di lavoro, prima della lunga pausa delle feste di fine anno. Martedì faremo il direttivo del Club di Papillon, che ora è a tutti gli effetti un’Associazione di Promozione Sociale, mentre si raccolgono le idee sui progetti dell’anno che verrà.

Una mattina intensa di lavoro, prima del pranzo con Marco Gatti, dove Silvana ha preparato un brasato al Barolo con la carne di Lauro Micco. E come Barolo, increduli che il “Preve” 1995 di Gagliardo di La Morra fosse ancora ottimo, l’abbiamo aperto (non era l’unica bottiglia) trovandolo sconvolgente, perfetto. Davvero complimenti Gianni! Detto questo, un pranzo con Marco non è mai scontato, almeno per le bottiglie che si aprono e per la felicità di ritrovarsi insieme. L’attesa del Natale, mi vene da pensare, è sempre qualcosa che è già presente!

Il pranzo con Marco Gatti e il suo sorbir

Una tragedia ad Alessandria, commentata su Avvenire del 14 dicembre 2022.

LUCI ACCESE (E UN DOLCE)

PER VINCERE L’APATIA

Ieri mattina nevicava ad Alessandria, dando tutt’intorno un senso di pace. “Purificami o Signore, sarò più bianco della neve” recita un canto antico, che forse verrà intonato domani nella chiesa di San Giuseppe Artigiano al quartiere Cristo di Alessandria, per celebrare il primo funerale della tragedia che domenica mattina ha sconvolto la città, con la morte di tre ragazzi fuggiti da un controllo dei carabinieri. Alla guida c’era Maruan Naimi, di origine marocchina, che guidava un Van con 6 amici a bordo, reduci dai festeggiamenti per la promozione del Marocco alle finali dei Mondiali. Per domani il Comune ha indetto il lutto cittadino, mentre le luci natalizie nel quartiere Cristo, vicino

a casa mia, si sono spente. Leggo il resoconto annuale del Censis sullo stato di salute dell’Italia e Giuseppe De Rita parla di un Paese in preda alla malinconia che fa rima con apatia, alimentata da un eccessivo “soggettivismo etico” che apre al narcisismo. Quali siano le cause è tutto da studiare, ma certamente la Pandemia ha favorito più chiusure che aperture all’altro. E allora si resta esterrefatti dalla reazione razzista ospitata sui social, contro la famiglia di Maruan, che non può certo avere colpe se un figlio alla guida di un’auto decide di fuggire a 120 all’ora su una strada che consente una velocità di 50. Fra le vittime c’era anche Lorenzo Pantuosco, 23 anni, figlio dei titolari di una pasticceria di Spinetta Marengo, che produce i tipici cannoncini sottili e fragranti. Sono un simbolo di festa per chi vive in questa città dove la pasticceria ha una tradizione radicata, codificata dalla Denominazione Comunale. Ma alla “Dolce Vito” le luci sono spente e un cartello dice: “Chiuso per grave lutto”. Torno alla neve e penso che ci sia bisogno di silenzio, ora e nei prossimi giorni, quando madre Chiesa ci inviterà a farlo, durante le esequie che proseguiranno fino a venerdì. Come riprendere la vita? Come uscire da quell’apatia a cui tutto sembra riportarci? Sono domande forti che sempre emergono davanti a un lutto e una tragedia. E ad Alessandria ne abbiamo viste: dall’alluvione del 1994 che uccise 20 persone alla tragedia dei pompieri morti davanti all’esplosione di una casa a Quargnento. Io so solo che nei prossimi giorni passerò davanti a quella pasticceria con la speranza di vedere la luce accesa: si avvicina il Natale, che è la festa della partecipazione alla vita, e anche un dolce, se gustato con riconoscenza per la vita, rappresenterà questa cifra cui siamo chiamati nonostante tutto. Al contrario, il consumismo apatico non ci lascerà nulla.

14 dicembre

A pranzo con Rocca delle Macie

Si parte per un altro viaggio: prima a Milano, allo Spazio Gaggenau di via Magenta dove Sergio Zingarelli, con suo figlio Andrea, presenta 10 annate dell’omonima Gran selezione di Chianti. Rocca delle Macìe è un mito nel panorama vitivinicolo italiano: nasce nel 1973, quando Italo Zingarelli, il produttore cinematografico di C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, e anche della fortunatissima serie di film con la coppia Bud Spencer e Terence Hill (tra cui Lo Chiamavano Trinità e Continuavano

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO

La Circolare

a Chiamarlo Trinità), decise di coronare il sogno della sua vita acquistando la tenuta “Le Macìe” – 93 ettari di cui solo due coltivati a vigneto – per dare vita a un’azienda vitivinicola nel cuore del Chianti Classico. Nel 1985, Sergio inizia a lavorare con il padre e dal 1989, affiancato dalla moglie Daniela, assume la guida dell’azienda. Che oggi dispone di circa 500 ettari, di cui oltre 200 coltivati a vigneto e circa 22 a oliveto, suddivisi tra le sei tenute di proprietà: Le Macìe, Sant’Alfonso, Riserva di Fizzano e le Tavolelle nella zona del Chianti Classico; Campomaccione e Casamaria in Maremma nella zona del Morellino di Scansano. Ma Rocca delle Macìe è anche esempio virtuoso di enoturismo, ed ha un ristorante di proprietà, il Passo dopo Passo, dove opera lo chef (bravissimo) Maurizio Bardotti, che ha cucinato in trasferta una teoria di piatti veramente buoni. Inoltre ci sono le strutture ricettive dell’azienda: il Relais Riserva di Fizzano e il Torrione, ricavate dall’attento restauro degli antichi borghi medioevali curato da uno dei fratelli, l’architetto Fabio Zingarelli, che offrono la possibilità di soggiornare nel cuore del Chianti Classico. Ora, come preview dei festeggiamenti dei 50 anni dell’azienda, ho avuto l’onore di partecipare a questa degustazione esclusiva, a Milano, con pochi colleghi (erano più le colleghe) e niente meno che Sergio Zingarelli in persona col figlio Andrea, che ci ha accolti con il Vermentino 2021 prodotto in Maremma, nato anche qui grazie al dialogo con uno degli enologi che più stimiamo, Lorenzo Landi. Dieci bicchieri a testa e l’assoluto dell’annata 2010, che era perfetta e grande. Anche se il 2019 promette grandi cose, il 2017 è stata la dimostrazione della capacità di lavorare in un’annata difficile; il 2016 era immediato e m’è piaciuto molto, a ruota il 2015. Grande il 2013; eroico e niente male il 2012, che stava in mezzo a un bel 2011. Per la vostra delizia (per me lo è stata) ecco il menu geniale dello chef che ancora mi sogno: cavolfiore, nocciola, pompelmo; faraona, nage al rafano, salsa xo, mela verde; cappelletti, colombaccio, consommé ai funghi, il suo “speck”; capriolo, pain perdu, salsa al profumo di pan pepato, zucca; semifreddo al bleu, gianduia, tartufo.

Questo pranzo e questi vini me li sono proprio goduti. Sono tanti gli inviti che si ricevono, soprattutto sulla piazza di Milano, e non è facile, almeno per me che abito ad Alessandria, essere presente a molti di questi. Tuttavia a questo ci tenevo e a buona ragio-

ne, visto l’esito di un momento che poi finisce con una tavolata conviviale e amicale che ti apre veramente il cuore. Ora mi riprometto di andare in azienda entro l’anno, anche perché la cucina di Bardotti merita davvero.

cooperativa (davvero coraggiosi), contando tutto sugli abbonamenti per la loro versione on line e per quella cartacea che esce ogni mese. Pensate che hanno oltre 4 mila abbonati, che non è uno scherzo. Mi affascina tanto questa loro storia e la capacità di resistenza che hanno avuto, seguendo le intuizioni di Luigi Amicone, il fondatore di Tempi Devo pensare proprio come fare per dar loro una mano. Nel frattempo pubblico il mio Te Deum, che rappresenta un ritorno a Tempi, dopo vent’anni, essendo fra i primi collaboratori di quel giornale corsaro dove portai a scrivere persino l’amico Bruno Lauzi. Eccolo:

Gemma Gaetani e Pietro Piccinini: incontro con due giornalisti amici

La giornata di Milano non ha soste: intervista alle 15,30 con Gemma Gaetani giornalista della Verità, sul pranzo di Natale, che uscirà con una bella pagina nei giorni a seguire e poi cena con Pietro Piccinini della redazione di Tempi che mi ha chiesto di pubblicare un mio Te Deum sul numero speciale di fine anno. Per la prima intervista, scegliamo il caffè Marchesi, che è proprio di fronte a dove avevo il pranzo di Rocca delle Macie e Gemma, che è davvero molto brava, mi fa anche un’intervista video che poi pubblicherà sulla sua Radio Libertà, nella rubrica “Una gemma in cucina” al canale 252 del Digitale terrestre. Per la cena con Pietro, figlio di Enzo un amico chirurgo scomparso in un incidente stradale, quando lui era ancora giovane (l’amico Marco Bardazzi ha scritto sulla vita di suo padre, che la Chiesa ha eletto a servo di Dio, il libro Ho fatto tutto per essere felice, bellissimo), andiamo al ristorante Acquada in via Villoresi, là dove un tempo c’era Tano Simonato ai fornelli. E questa sarà anche l’occasione per assaggiare tutti i vini dell’azienda Lechburg che ha vigneti in Transilvania e che il titolare Luca Corsini mi fece assaggiare alla cena di santa Lucia.

Due regali in un solo giorno: una giornalista che ti stima (rara avis) e ti intervista e un giovane giornalista che ti cerca, per raccontarti la sua storia, legata a quello che era il settimanale Tempi, acquistato poi dagli stessi giovani giornalisti che si sono messi in

Anche stamattina la prima pagina del quotidiano che leggo prima di una lunga serie aveva errori di ortografia. E m’è sembrato l’ennesimo scarso rispetto verso il lettore che dovrebbe far vivere il giornale, mentre è un’illusione. Mi infastidiva quel collega che inviava pezzi senza mettere gli spazi fra le virgole: oggi che ha superato i 70 anni scrive sempre lo stesso articolo come i tromboni che emettono un suono monocorde. La cura del particolare ha qualcosa di affascinante e contiene il rispetto per chi entra nella tua orbita, fosse un lettore o una persona che entra in casa. Quando ai tempi dell’università ci trovavamo, avevamo il senso che era l’amicizia ciò che avrebbe riempito di significato il ritrovarsi. Non avevamo soldi, non potevano frequentare i locali in Brera, ma alla sera andavamo da Moscatelli in via Garibaldi, un signore anziano che conduceva un locale spartano, con un juke box degli Anni Trenta. Ordinavamo una coppa di spumante di Malvasia di Casorzo e lui puntava la bottiglia su un angolo del soffitto e faceva precipitare con precisione millimetrica il tappo nel cestino. Poi versava le coppe poste su un vassoio e le portava al tavolo con le mani tremolanti che ci portavano ad aiutarlo. E lì Moscatelli si arrabbiava: non voleva aiuti, perché tutto era studiato con estrema precisione. “Perché veniamo qui?” chiesi un giorno a Luigino e lui rispose con la ragione più convincente che potesse dare: “Perché è un locale un po’ così”. Già, anche un locale spartano poteva avere dei racconti, perché Moscatelli era una leggenda e noi lo riempivamo con i nostri discorsi, le risate, bevendo quella coppa che non era di Champagne, ma di Malvasia. Luigi Amicone era più grande di 5 anni per cui non lo incrociai alle scuole superiori, quando finii al Molinari come sede distaccata della scuola di ragioneria a Cimiamo, mentre in Università ci frequentammo per via di quegli esami fuoricorso a Scienze Politiche.

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Sergio Zingarelli presenta la Gran Selezione di Chianti di Rocca delle Macìe

Una sera, venne a casa sua un amico cui teneva molto, ma non di quelli che sono amici per interesse per cui ti prodighi in un’accoglienza speciale. Era un amico di grado semplice, quindi vero e lui andò in cantina a cercare una bottiglia di Barolo. Che allora era una cosa enorme, per noi poveri ma belli, ma quell’attenzione al particolare nell’accogliere un amico m’ha segnato per sempre. Anzi, diciamo che ha segnato la differenza fra l’edonismo noioso per cui davanti a una bottiglia pregiata sei portato a spaccare il capello in quattro sui tannini, le acidità e le speziature e il vino che inizia a fare dei racconti fra amici che si ritrovano e vogliono che quello sia un momento memorabile, per sempre. Claudio Chieffo, un cantautore di Forlì noto a tanti amici un giorno mi venne a cercare per farmi sentire una canzone. “Quando verrai”. E recita “Quando verrai a casa mia, aprirò il vino buono, quando verrai a casa mia stenderò la tovaglia più bella. E farò in modo che Ti possa riposare, aprirò il vino buono, stenderò la tovaglia più bella. Ride chi vede che io non ho una casa dove ospitarti, ride chi vede che io non ho finestre da cui guardarti, ma, contro ogni ragione, io continuo da sempre ad aspettarti. Quando verrai a casa mia chiamerò tutti gli amici, quando verrai a casa mia porteranno i loro doni. E, se vorrai, siamo pronti ad ascoltare, chiamerò tutti gli amici, porteranno i loro doni. Tu mi conosci bene, anche l’ombra del mio pensiero, Tu mi conosci bene, cambia il falso che ho dentro in vero, sei già venuto un giorno, nel mio cuore conservo il tuo ricordo. Quando verrai a casa mia aprirò il vino buono, quando verrai a casa mia stenderò la tovaglia più bella”. Questa canzone sconosciuta fra le tante che ha composto mi ha fatto pensare a Luigino, perché era così, come la metafora di Chieffo che attende il Signore. Mi ha salutato quella sera del 18 ottobre, mentre ero a Verona alla Special Edition di Vinitaly, con una fotografia inviata su WhatsApp verso le 22, poco prima di lasciarci: un bicchiere di Albana di Tozzi di Casola Valsenio, condivisa con il comune amico Fabio Cavallari. Quante litigate, soprattutto sulle pagine di questo giornale, che abbandonai polemicamente per via di una visione differente sul tema degli Ogm. E solo oggi, dopo vent’anni torno scrivere per raccontare una certezza: l’amicizia è come quel Barolo, ed è per sempre. Non ho mai avuti dubbi, tant’è che proprio nel pieno delle nostre tensioni, lo invitai a presentare un libretto scritto da amici che aveva come titolo e tema Dell’A-

micizia. Si è amici per sempre, con alcuni, che non sono mai tanti, alla fine, perché questo sentimento è sottoposto alle prove e all’intemperie, come un matrimonio. Dove i particolari contano, se penso a mia moglie, Silvana che resta anche la migliore fra gli amici. Forse non gliel’ho detto mai, ma dopo 35 anni di matrimonio a me colpisce al cuore quando vedo che ha rifatto il letto, in modo ordinato, subito al mattino presto, perché sia tutto in ordine quando poi ci si ritrova. Questa attenzione all’ordine ha qualcosa di religioso dentro, esattamente come la canzone di Claudio o come il Barolo di Luigino, che riempiono la relazione di un’attesa, perché la fine della vivezza credo sia non dare peso più a nulla, quasi che non ci sia più niente da attendere. Mentre è dal particolare che ricomincia il gusto. Il gusto di vivere: c’è dentro un piacere indicibile, c’è dentro tutto.

A me l’onore di stare accanto a lui durante la cena, dove vengono serviti i suoi miti: il brut Aldonem da uve sangiovese, prodotte con il metodo Scacchi, che visse 60 anni prima di Dom Perignon; quindi il Sangiovese Toscana Vigna Flavia 2014 e il mitico Sangiovese Toscana Poggio Ai Chiari annate 2012, perché Fabio esce sempre dopo alcuni anni con i vini.

15

dicembre

Cena al Moliner con Fabio Cenni

Altra giornata impegnativa quella di oggi, perché alla mattina devo essere a Verona, nella sede di Veronafiere, dove si sta immaginando la prossima edizione di Vinitaly e di Vinitaly and the city. Un momento di saluti, alla vigilia di un CdA che darà i poteri del direttore generale all’attuale ad Maurizio Danese con la creazione di due nuove figure (una commerciale e una più gestionale) che risponderanno direttamente a lui. A pranzo eccomi con Emanuela, mia preziosa collaboratrice del Veneto, per impostare il lavoro del 2023 della nostra guida, provando insieme il ristorante Campidoglio bistrot. Si parte poi per Pozzolengo, al Muliner, che è l’agriturismo resort dove cucina il grande Lorenzo Bernardini. Mi ha voluto con lui questa sera, per una cena in onore di Fabio Cenni, il patron della cantina Santa Mustiola, che è venuto qui insieme a Monica, simpaticissima e factotum della loro esperienza enoturistica.

La cena è stata all’altezza della fama di questo grande e vero chef (caviale di aringa, crema di pane e cavolo nero; riso Carnaroli “Ardizzina”, radicchio tardivo di Treviso, marlin affumicato, pepe rosa di Damasco e buccia d’arancia; tataki di manzo e tonno, purea di anacardo, cipollotto alla cenere, senape e semi di senape; baccalà, foglia di verza, cioccolato 99% di cacao, agrumi; interpretazione del bonet piemontese con erborinato di capra e sentori di limone) e il ricordo mi ha portato a un’altra serata, quando lui volle allo stesso tavolo il grande Giorgio Grai. Entrambi sono stati amici di Luigi Veronelli e la stoffa di quest’amicizia si avverte sempre, a proposito di chi è capace di lasciare un segno (Gino è mancato il 29 novembre del 2004, e ogni anno che passa sono sempre di meno quelli che si ricordano. Sarà così anche nel 2024?). La storia di Fabio, che ha deciso di produrre solo tre vini, mi colpisce parecchio e ne scriverò su IlGusto. it, e solo ora scopro che la sua attività sta sotto le ali del gruppo Matura, con Attilio Pagli, forse l’erede più evidente di Giulio Gambelli e di Emiliano Falsini che segue direttamente la produzione attestata appena sulle 40 mila bottiglie. Detto questo, siamo entrati talmente in sintonia quella sera, che ho pensato, il giorno dopo, di inviargli il mio libro, Del Bicchiere mezzo Pieno, che è un modo per condividere la vita con lui e con Monica.

19 dicembre

Pranzo a Gattinara coi vini altoatesini della cantina Terlaner Dopo un week-end di pranzi e cene di auguri natalizi, eccomi all’ultimo (be’,

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO La copertina di Tempi con il Te Deum Cena al Moliner con Fabio Cenni e Monica

La Circolare

non proprio) evento dell’anno. L’invito è arrivato da Klaus Gasser della cantina di Terlano: una degustazione e un pranzo nelle sede della cantina Nervi di Gattinara, con Roberto Conterno a fare gli onori di casa. Con noi, una decina di persone, fra cui Enzo Vizzari, Marco Trabucco e l’ottimo Mauro Carosso presidente dell’Ais in Piemonte. Il momento della degustazione avviene nella cantina avveniristica in quella specie di botte sospesa dove passano in rassegna il Terlaner 2021 (60% pinot bianco, il resto chardonnay e sauvignon); quindi il Terlaner Riserva 2019 della linea Nova Domus 2019 (a pranzo anche il 2009) e, della stessa annata, un Terlaner Primo Gran Cuvèe (a pranzo anche un 2013) fino al Terlaner della linea Rarity del 1991. Il pranzo confermerà la bravura del giovane Stefano Battaini che ha preso le redini della cucina. E mi ha reso felice, anche per la conferma che gli avevamo dato della corona, dopo l’uscita di scena dello chef precedente.

Anche questo appuntamento è stato per me un grande onore, perché ho sempre avuto in mente la longevità dei vini di questa cantina. Una cantina che segue ancora il metodo Stocker, dall’enologo Sebastian Stocker che conobbi a Vinitaly più di vent’anni fa, insieme a Francesco Arrigoni, quando assaggiai anche allora un Terlaner di 30 anni che sembrava fatto ieri. Oggi s’è ripetuto quel miracolo, con quella bottiglia del 1991, che era perfetta, grandissima, spaziale, prodotta con lo stesso metodo e con il rispetto di una storia. Che ha fatto storia. Roberto Conterno poi, leggendo dai nostri occhi (miei e di Vizzari) non ha esitato a tirare fuori alcune bottiglie della sua maison: il Barolo “Francia” 2012, il Barolo Monfortino 2015, il Barolo Cerretta 2012 (grandioso, quasi una sorpresa) e il Gattinara “Vigna Valferana” 2018 (notevole anche questo, come suo fratello, il “Vigna Molsino”). Era questo il pranzo di Natale?

21 dicembre Adriana!

Oggi è il primo giorno dell’inverno che coincide con il solstizio ovvero con la giornata con meno luce dell’anno. E nel buio della sera che ti raggiunge sempre troppo presto, arriva la notizia che è mancata d’improvviso Adriana Mascagni, moglie di Peppino Zola, un’artista incredibile, un’amica con la quale abbiamo passato anche momenti di vacanza insieme, oltre al rito della bagnacaoda come la cucinava suo suocero, Angelo Zola, fondatore dell’Aibes. Peppino era a Torino a presentare un libro e durante la serata, un infarto l’ha portata altrove. Quando si dice Adriana, tuttavia, originaria di una famiglia di artisti del calibro di Pietro Mascagni, musicista, compositore e direttore d’orchestra, il pensiero va a una canzone intonata in tutto il mondo: Povera Voce. Queste le parole:

Povera voce di un uomo che non c’è la nostra voce, se non ha più un perché: deve gridare, deve implorare che il respiro della vita non abbia fine. Poi deve cantare perché la vita c’è, tutta la vita chieder l’eternità; non può morire, non può finire la nostra voce che la vita chiede all’Amor. Non è povera voce di un uomo che non c’è, la nostra voce canta con un perché.

Il 23 dicembre siamo andati, io e Silvana, nella Basilica di Sant’Ambrogio, dove si sono svolti i funerali, officiati da monsignor Massimo Camisasca. Ci ha colpito, appena arrivati, la serenità di Peppino, che ha preso la parola alla fine del rito per leggere il messaggio dell’Arcivescovo Delpini e per dire grazie ad Adriana, perché il suo canto è stato messo al servizio dell’unità di un popo-

lo. E guardandosi intorno, in quella chiesa strapiena di gente di ogni età,

CHE CENONE SARÀ MAI QUESTO?

(Avvenire del 21 dicembre)

Al banco del pesce, dove ci si reca per prenotare le materie prime da cucinare alla cena della vigilia, non ci sono le capesante quest’anno, men che meno le aragoste. “Questo è un anno particolare: abbiamo ridotto gli ordini perché temiamo di non venderli” dice la commessa dietro al bancone, portavoce di una decisione aziendale che fiuta nubi nere. E come dietro a un flash appare la foto di un’Italia in affanno che fa i conti con una crisi strisciante che somiglia a una grandinata: colpisce a fasce. Manca poco al Natale che, volenti o nolenti, resta un segno potente di quella compagnia di Dio all’uomo che spesso si vuole occultare in svariati modi, secondo la legge dell’assuefazione. Ci si abitua anche alla guerra, che da un anno afferma una stridente contraddizione con quel Dio Consolatore che si celebrerà anche in Russia e in Ucraina. Ma ci si abitua persino al Natale del commercio, dimenticando che il dono, qualunque esso sia, evoca il Dono per antonomasia, che è qualcosa che tocca la mia umanità. Mi ha colpito sentire il racconto di una volontaria che ogni mese porta il pacco di alimentari a una famiglia indigente e la scorsa settimana era a consegnare l’ultimo, salvo sentirsi chiedere da quella signora ottantenne, quasi come una supplica: “Ma tornerai a trovarmi?”. E in questo c’è proprio l’essenza del senso di un dono: un rapporto umano, che manca sempre di più, dopo anni di prove che sembrano aver fatto emergere la superbia anziché il senso che non ci si salva da soli. Superbo è chi non vuole ascoltare altro rispetto a ciò che già conosce, e nella lista dei campioni del pregiudizio ci cascano in tanti: dai giornali alle trasmissioni televisive, dagli imprenditori faidate e sotuttoio ai politici autoreferenziali. Aspettiamoci

tutto questo era evidente. Ciao Adriana!
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Alla cantina Nervi per degustare i vini di Terlaner Klaus Gasser della cantina Terlaner Adriana Mascagni

allora i noiosi servizi televisivi sul cenone, che evocano un’abbondanza che forse non serve e non si ha voglia di guardare. Perché anche a Natale o a Capodanno non sarà l’abbondanza di cibo a riempire di contenuto un incontro fra le persone, non lo è mai stata. Piuttosto è quella domanda sul Mistero di un Dio che diventa uomo che può ispirare un certo modo di ritrovarsi, anche nella scelta delle pietanze, laddove il ricordo di una tradizione fa emergere quella catena umana che ha trovato linfa nella famiglia. C’è bisogno di musica da ascoltare più che di mandibole da sfinire, mi viene da dire dopo aver appreso che i fratelli ucraini rifugiati nel ventre di Kiev suonano la chitarra, in questi giorni, perché c’è bisogno di stare con qualcosa di bello. Il bello, il buono, il giusto. Che si fece carne.

22 dicembre

Buon Natale!

Ci salutiamo in ufficio a mezzogiorno del 22 dicembre, con la degustazione alla cieca di sei panettoni che sono arrivati in ufficio. Fuori tempo massimo quello di Vittorio e dell’Antica Corona Reale di Cervere, giunti il giorno dopo, mentre il vincitore delle due edizioni precedenti, sempre grande (si tratta di Calciano, pasticceria a Tricarico) è stato degustato fuori concorso. Tuttavia quest’anno la gara è stata agguerrita. Ha vinto il panettone classico del ristorante Mammaròssa di Avezzano, ma immediatamente dopo ecco il panettone di Albicocca di Costigliole, melissa e limone con glassa Nocciola misto Chiavari di Orto By Giubbani e quello di Renato Bosco di San Martino Buon Albergo (Verona). Dopodiché, pronti per il pranzo della vigilia in famiglia e per il Natale a Milano, dopo essere stato alla casa di riposo a trovare la zia, anch’ella del 1930 come il papà di Silvana.

Il Natale ha tanti motivi per essere bello, ma la domanda è “Come può essere bello in eterno?” Cosa lo renderà quell’attrattiva, quando magari non avremo tutte le attenzioni che ci riserva l’oggi? Il bello del Natale è la famiglia che si riunisce, tornano i figli ormai grandi, arrivano i regali, ma gli auguri, rispetto agli anni precedenti, diventano più radi, forse più avari. È vero allora che prevale la malinconia come l’ha descritta De Rita nel suo rapporto annuale? Oppure è l’egoismo, il chiudersi dentro se stessi immaginando un mondo che non c’è più? Forse la risposta più attuale a quella domanda è una sola: conservare la memoria viva di quel mistero della vita che ci ha colti, quando neanche c’eravamo... siamo arrivati come un dono, in quel paradigma che è una famiglia, una comunità, segno di un bene che ha preso in consegna, dal nulla, qualcosa che è entrato nella storia. E non può spegnersi, anche se non lo percepiamo, quando di fianco a noi c’è sempre un Qualcuno che ha pure a che fare con l’Eternità.

P.S. Il 5 gennaio, su Libero, ho letto un articolo di Farina che virgolettava alcune frasi di Papa Benedetto, che appunto dice: “A casa era importante il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: tutta la famiglia cantava; sono momenti indimenticabili. Eravamo vicino a un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi, eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che

questo fosse molto importante: anche le cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia”.

26 dicembre Viaggio in Valmalenco

Destinazione Valtellina per questi giorni che precedono la fine dell’anno, quasi un viaggio che completa la prima puntata del febbraio scorso, dove a tema c’erano i vini. Questa volta sono le tavole e le esperienze turistiche che si possono fare. Quindi la prima tappa è a Colico, nell’ottima Locanda Capolago di Maurizio Lazzarin per un pranzo che ha portato alla conferma convinta del faccino radioso, anche grazie a una cantina competente. Nel pomeriggio siamo invece all’Hotel Tremoggia della famiglia Lenatti, un’esperienza veramente bella di accoglienza famigliare, con un albergo di 34 camere, una spa e un ristorante di livello che vede ai fornelli Enrico Lenatti. Piacevolissimo il momento dell’aperitivo con i cocktail accompagnati da un assaggio di sciatt. Il bello di questa famiglia (il padre Cesare, la madre Alessandra e poi Andrea con la moglie Martina) è la capacità di assecondare in tutto i propri clienti: dal posteggio auto al servizio di navetta all’ingresso della funivia e ritorno. Ed è la funivia che porta sulle alte vette (siamo a 2.100) dell’Alpe Palù. E qui siamo stati nel Rifugio Rundai per mangiare i pizzoccheri e la polenta taragna. Ma chi se l’aspettava una selezione così competente

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO I panettoni degustati alla cieca Il brindisi augurale con tutto lo staff

di vini anche qui? La novità è stata tuttavia la Ceci, al secolo Cecilia Pircher che, dopo esperienze all’Alma, ha deciso di cimentarsi con la cucina dell’hotel Miramonti, proprio a pochi passi (a piedi di intende) dell’Hotel Tremoggia. L’abbiamo provata praticamente ai nastri di partenza, ma non ci sono dubbi che si affermerà. Da visitare i negozi di Lanzada e di Chiesa Valmalenco: la Macelleria Salumeria Nani, la mitica Pasticceria Masa e la Panetteria Lenatti a Chiesa, mentre a Lanzada sono imperdibili le Lanzadine della Pasticceria bar Nana. Infine un viaggio bellissimo sul Trenino rosso del Bernina: due ore di viaggio da Tirano a Saint Moritz, passando fra paesaggi lunari, paesi sconosciuti, laghi e montagne innevate. Davvero interessante. Sulla via del ritorno, essendo prossimi al Capodanno, non poteva mancare una sosta in un posto d’affezione per IlGolosario: il salumificio Marco D’Oggiono, che ha uno spaccio spettacolare. Abbiamo acquistato i cotechini vaniglia, ma anche il loro paté fantastico, accanto ad altri prodotti buonissimi, fra cui l’ultimo: il Lumber Chocolate (lonzino alle fave di cacao Criollo) che è stato un modo per abbracciare i fratelli Spreafico: Agnese, Giulia e Dionigi.

Sì, sono veramente bravi gli Spreafico, mi sono ripetuto varie volte dopo che nel piatto arrivavano quelle specialità. Questo viaggio che ho raccontato, è un tutt’uno che rappresenta un itinerario ideale, assolutamente replicabile, con tante altre varianti, perché la Valtellina è ricca di suggestioni e nel 2023 prevedo il suo rilancio. Durante il viaggio sul treno del Bernina, mi sono portato un libro, Un prete d’alta quota di Thomas Ruberto, che racconta una storia di povertà e fatica nel paese di Trepalle, al confine, essendo una frazione di Livigno. Un modo per entrare dentro la cultura di

un popolo, un modo per conoscere qualcosa di già vissuto, qui in Italia, che ora sta accadendo in Ucraina.

UN RICORDO DI ADRIANA, PER ESSERE CERTI DI POCHE GRANDI COSE (Avvenire del 29 dicembre)

Chiesa Valmalenco, pomeriggio di Santo Stefano, una signora anziana ferma un bambino con la sua mamma e gli chiede: “Ti ha portato i regali Gesù Bambino?”. “Ma che – risponde lui – Babbo Natale!”. Vagli a spiegare che quest’ultimo non ci sarebbe senza il Dono per antonomasia che, dopo oltre 2000 anni continua a fare notizia, anche solo per attaccarlo.

“Povera voce di un uomo che non c’è” cantava Adriana Mascagni che insieme a Maretta Campi compose questa struggente canzone intonata in tutto il mondo. Ci ha lasciati la notte del 22 dicembre e il giorno dopo nella basilica di Sant’Ambrogio, il marito Peppino Zola ha letto il saluto dell’arcivescovo Mario Delpini che ha ricordato la sua indole artistica, la sua dedizione unica, dove la sua forza, che evince nei testi delle canzoni, era di non essere mai tranquilla. E come può stare tranquilla una nonna, un nonno, come lo sono Adriana e Peppino, davanti all’idea imperante che tutto sia relativo, mentre avremmo bisogno di certezza su poche grandi cose su cui scommettere. La sera di Natale Alberto Angela ha portato in Tivù il documentario “Stanotte a Milano”, passeggiata fra i luoghi imperdibili di una città che non è solo business, ma anche arte e, soprattutto, storia. Il Duomo, la pinacoteca di Brera, La Galleria e il Castello Sforzesco. E poi San Siro, la stazione Centrale, i Navigli. Quanta vita sotto la Madonnina, dove a iniziare dal Duomo - per questo davvero simbolo profetico della città - molti hanno costruito sulla certezza di poche grandi cose. Persino Angelo Zola, padre di Peppino e suocero di Adriana, fu costruttore di un movimento di relazioni nato intorno all’arte dei cocktail che oggi alimenta i locali della città, essendo rifiorito intorno a tanti giovani. In quegli anni nasceva anche l’Associazione italiana Sommelier e la tessera n.1 fu di Jean Valenti, il cui nipote ha scritto una biografia struggente che attraversa gli anni della guerra e arriva fino al boom economico che a ha visto Milano in prima linea nell’esprimerne la sua evoluzione. Scrivo pensando anch’io ai miei angoli di Milano: l’Università Cattolica, il Parco Lambro, la Certosa di Garegnano detta la

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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Maurizio Lazzarin della Locanda Capolago Alfredo e Silvia di Malga Rundai Con Agnese e Dionigi Spreafico Cesare, Alessandra e Andrea Lenatti con la moglie Martina dell’hotel Tremoggia Il viaggio su trenino rosso del Bernina

Cappella Sistina dei milanesi. Una Milano dove qualunque cosa era riempita da un abbraccio di vita, come una compagnia. Che ti rendeva certo di poche grandi cose, filo rosso che lega il Duomo al desiderio che non prevalgano mai scetticismo e relativismo. Ed è questo il Te Deum che mi sento in cuore, dacché, come cantava Adriana col Duomo negli occhi: “Tutta la vita chiede l’eternità”.

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La carta d’identità e poi il viaggio a Cavalese Due mezze giornate ad Alessandria, giusto in tempo per ritirare la carta di identità scaduta e poi via per Cavalese, alla scoperta, fino all’ultimo, di altre specialità. E qui l’incontro con Alessandro Gilmozzi, nel suo ristorante El Molin è stata più che una rivelazione a cui mi hanno indotto Enrico e Sylvaine i nostri collaboratori che lo avevano provato quest’anno, dei quali avrei dovuto fidarmi di più, perché la corona radiosa non solo è strameritata, ma cade sulla testa di uno chef generalmente sottovalutato che invece ha una propria originalità che trae linfa dalla montagna. Suo fratello, fra l’altro, è il fondatore dell’ottimo Birrificio di Fiemme, che oggi ha una nuova sede e anche un’accoglienza speciale. Siamo ospiti di Alberto ed Elena Dragonetti, collaboratori e amici, coi quali abbiamo vissuto anche il viaggio in Sardegna la scorsa primavera. Loro proveranno anche la pizzeria di Gilmozzi, che è in centro paese (si chiama Excelsior), dove c’è un altro grande del nostro Golosario: Paolo Cose Buone (e non per dire) che è il re dello strudel, dal quale abbiamo scoperto i prodotti della Dispensa Trentina, ovvero del già titolare di Costa Salici. Altra scoperta è poi stata in un agriturismo ittico ovvero la Troticoltura Vinante, in località Masi, dove acquisti trote e salmerini freschi, ma anche affumicati. Pare che anche la cucina dell’agriturismo sia un’eccellenza. Sempre in questa località, non potevano non andare da un altro campione del Golosario ovvero Stefano Cavada della macelleria Dellafior. La spesa di Capodanno è stata qui: altri cotechini, e poi quel pane farcito con la pasta del salame che abbiamo messo sulla brace, e una teoria di sfiziosità. A Cavalese merita poi il panificio Tarter, la cui sede principale è nel comune di Varena, dove c’è un’altra rivendita dei loro pani leggerissimi e infine Tito, ovvero lo speck, dove ci ha accolti Luca Bonelli, sommelier, che cura un’invidiabile selezio-

ne di vini, posta nell’ampio spaccio dove si può acquistare würstel, speck e salumi di ogni genere, oltreché formaggi. I posti a sedere per mangiare qualcosa sembrano infiniti, fra le verande esterne, le sale interne e il dehors che guarda le montagne.

Cena casalinga dopo il Te Deum, con un Bricco dell’Uccellone 2019 da capottarsi e poi tutti fuori a vedere i fuochi (che sono la passione di Alberto). Buon anno amici! Che il 2023 sia ricco di sorprese e di incontri come lo è stato l’anno precedente. Lo so: è un augurio all’incontrario, perché di solito il vecchio anno si brucia e lo si critica sempre. Ma non è forse un problema di Bicchiere mezzo vuoto?

La notizia della morte di Papa Benedetto ha fatto il giro del mondo in un baleno. È morto sabato 31 gennaio, quasi a chiudere un ciclo storico e i funerali, previsti per giovedì 5 gennaio, saranno accompagnati da un pellegrinaggio inaspettato di centinaia di migliaia di persone. Un avvenimento che ha sorpreso tutti, quasi come un miracolo. Su di lui si sono spese parole sui giornali, nei dibattiti televisivi, ovunque, mettendo in risalto il suo tratto umile, che lo ha portato a quelle dimissioni storiche dell’11 febbraio 2013 che, di fatto, lo hanno reso grande.

Da parte mia conservo un biglietto che mi inviò per il Natale del 2013 con la scritta di suo pugno che mi ringraziava per il libro Adesso, con cui le donne della sua comunità, le Memores Domini, traevano spunti anche per la vita domestica nel luogo dove abitavano, il convento Mater Ecclesia. È stato un grande uomo, e non è per niente vero che non sia stato compreso, anzi. Le visite spontanee in san Pietro dimostrano quanto fosse vicino alla gente. Fra i ricordi più teneri, conservo poi l’omelia in Duomo, il 24 febbraio del 2005 quando andò in cielo don Giussani, nel giorno dedicato alla cattedra di Pietro. L’allora Cardinale Ratzinger presentò il don Gius con un’immagine fulminea: “la febbre

Muore Papa Benedetto
La
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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Stefano Cavada della macelleria Dellafior Luca Bonelli sommelier di Tito speck Con Alessandro Gilmozzi nel suo ristorante El Molin Simone Baldassarra di Cose Buone da Paolo Il risotto con le lumache cucinato da Alessandro Gilmozzi

di vita” vissuta accanto al gusto per la bellezza, alla musica. Quel giorno, proprio durante le celebrazioni – sembra destino – uscì anche la notizia che Papa Wojtyla s’era aggravato nel suo stato di salute. Morì il 2 aprile di quell’anno e il 18 aprile venne eletto al soglio Pontificio Joseph Ratzinger. A pensare a queste coincidenze sembra che tutto rientri in un disegno buono: don Giussani, la cattedra di Pietro, il teologo Ratzinger che sicuramente diventerà dottore della chiesa, come lo è stata Hildegarda di Bingen, sua conterranea vissuta più di mille anni orsono, anch’ella investita dalla musica (inventò il Gregoriano), dalla bellezza e, pensate, anche dal gusto.

2 gennaio

Al lavoro

Si riprende il lavoro e con esso l’auspicata dieta di assestamento, prima di ripartire in grande dal 9 gennaio. In ufficio in questi giorni ci sono soltanto io, e la cosa non mi è dispiaciuta dovendo scrivere questa Circolare che mi impegna non poco. Ma farlo tutto d’un fiato, direttamente, è confortante. Lunedì dovrà essere pronto il Diario per darlo in lavorazione: bisogna cercare le foto, rispondere ai punti interrogativi, completare le altre parti: quella delle ricette, quella dei ristoranti; quindi le altre pagine. Ci vorrà ancora una settimana di lavoro, dopo l’8 gennaio, che è il giorno del mio compleanno, festeggiato con i famigliari e gli amici al Pinocchio di Borgomanero. Evviva!

Su Avvenire del 4 gennaio esce il mio appello di Gusto.

RICORDIAMOCI CHI SIAMO

E DA DOVE VENIAMO

Rosi e Alessandro, la prima erborista in Val Passiria, il secondo, chef di vaglia a Cavalese, dove realizza la sua cucina “Dolomitica” da 30 anni. In comune hanno il bosco, che è il riferimento quotidiano della propria attività. Li ho conosciuti in questi giorni, vis a vis, e m’hanno riportato indietro nel tempo, mostrandomi

come la tradizione sia una cosa viva che diventa contemporanea. Rosi scopre il libro delle erbe di nonna Agnes, quando si ritrova incinta e decide di non assumere alcuna medicina. Da questa scelta le si apre un mondo, perché quello che la nonna raccoglieva nei boschi era un dono, frutto dell’empirismo e dei saperi che si tramandavano da secoli. Ma lei si è messa a studiare, arrivando poi a scrivere dei libri, per dare un fondamento scientifico alle sue produzioni che rivende nella casa a San Leonardo in Passiria, poco dopo Merano. Ecco il Froningero, tisana per il benessere di tutto il corpo e il Passer, con funzione depurativa, e poi una serie di creme per il corpo, efficaci nel caso di dolori, come quella a base di arnica. Quindi il MaWohl e il HaWohl, due estratti di erbe basati su un’antica ricetta, utilizzata per secoli, per chi ha problemi di intestino o per il mal di gola. Alessandro Gilmozzi ha fatto un percorso simile, facendo emergere nei piatti la purezza del gusto, la freschezza, dimostrando che il segreto della grande cucina italiana è in quello che già sapevamo. Un piatto iconico che cucina a El Molin è l’Icy Corteccia, un gelato alla corteccia di cirmolo con crumble di sottobosco: mirtillo, ginepro, betulla candita, nocciola selvatica e lichene candito. Nel suo menu i piatti mostrano l’essenza dei gusti, dal plin di lepre alla minestra di funghi, ma quando assaggi la radice di prezzemolo, che mai ti era apparsa così grande, resti spiazzato dalla semplicità di quei gusti netti. Nel suo sito internet scrive: “Solo le forme e le persone capaci di lasciare un segno incisivo superano il tempo e divengono tradizione”. E in questi giorni, pensando a tutto ciò che ci hanno trasmesso quei laboratori della storia che sono stati i monasteri benedettini, viene da pensare alla grandezza di una forma, la Chiesa, e a un Papa, Benedetto XVI, che evidentemente ha lasciato un segno, come dimostra la clamorosa partecipazione popolare giunta da ogni dove, per rendergli omaggio. Da qui l’Appello di inizio d’anno: la necessità di non dimenticare mai da dove veniamo, in una strada illuminata dai santi. Una su tutti, conterranea di Benedetto e come lui teologa, sapiente nella conoscenza di tutta la natura: Hildegarda di Bingen.

4 gennaio Cotechini!

Nonostante il mio proposito di stare a dieta, una cena improvvisata per accogliere i figli e i nipoti che sono stati a Bardonec-

chia a sciare mi fa trovare in tavola due tipi di cotechini con le lenticchie davvero molto buoni. E come resistere? Il primo cotechino è quello roseo, del genere “vaniglia” di Marco D’Oggiono, il secondo è quello più speziato e scuro di Dellafior di Cavelese. Il Lambrusco “Vigne Vecchie” della cantina cooperativa di Santa Croce, nostro Top Hundred, è stato perfetto, mentre con il Lonzino con fave di cacao Criollo del Marco D’Oggiono (una nuova specialità) ha sorpreso tutti il Valcalepio Bianco “Biancospino” (chardonnay e pinot grigio) dell’azienda La Collina di Grumello del Monte che è stata Top Hundred quest’anno. Voglio tuttavia citare l’ottima lenticchia di Onano del Cerqueto di Acquapendente e per la polenta, la farina di mais integrale macinata a pietra di Paola Lupino detta Paola Contadina della Cascina Camponuovo di Calcinate. Altri prodotti che mi hanno colpito: la pasta trafilata all’Argento del pastificio Graziano (i mezzi paccheri lisci) di Mancalzati (Avellino), Le Veggie-Chips di Gilli (patata dolce, carota, barbabietola e pastinaca) azienda altoatesina di Cardano (Bz). E infine, omaggio di Fabio Fracchia di Grazzano Badoglio, il notevole salame cotto di Carelli, che rimane un must.

L’unica salvezza resta il pranzo del giorno dopo a base di soli finocchi crudi, perché le tentazioni a casa sono proprio tante, mentre i “miei” si gustavano le Tigelle del Montanaro di Zocca con la cunza che ci ha preparato Ilvano Prostrati. Domani si celebrano gli anolini a casa Dondi (grandissimi quelli asciutti coi funghi e poi l’oca) dopodomani con la famiglia al completo, gli amici di sempre e tre nipoti, il mio compleanno al Pinocchio di Borgomanero (gli gnocchi del Piero con il tapulone e il bollito misto con le sette salse preparato dal nipote Francesco sono stati sbalorditivi).

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Il biglietto di Papa Benedetto XVI nel Natale 2013 Piero Bertinotti del ristorante Pinocchio di Borgomanero

Che ripresa ragazzi!

Si può dire che quella di oggi è stata una ripresa in grande, come se le feste non fossero ancora finite. Tornano tutti in ufficio e si distribuiscono i compiti con varie riunioni tematiche. Ma già devo partire per Piozzo. Mi aspetta Teo Musso per una chiacchierata sulla sua storia, davanti alle riprese video di una troupe di giovani. Una chiacchierata libera, senza esserci preparati, che risulterà quanto mai divertente, toccando alcuni passi della sua storia che s’è intrecciata anche con la nostra. E continua. Da Piozzo il tragitto mi porta a Cuneo a conoscere tre fantastici nuovi amici di cui sentirete parlare. Per ora vi dico che sono Manuela, Riccardo e Claudio e esserci ritrovati perché a cuore e in comune si hanno tantissime cose, a iniziare dal territorio è stata una boccata d’ossigeno, anzi una prospettiva. E sono sicura che Manuela ci riporterà a Elva. Infine una cena sorpresa a casa di Marzia Riccardi a Priocca d’Alba: cucinerà per noi un piatto antico, le lasagne al sangue, ma anche una notevole guancia di vitello al Nebbiolo con le cipolline al forno. A tavola in cinque, fino all’una di notte: la figlia Elisabetta, Franco Maria Martinetti che ha presentato il suo ultimo Rosso, il trecento, e infine Davide Scabin, l’eclettico cuoco oggi ai fornelli del Carignano dell’Hotel Sitea, che ha fatto i complimenti a Marzia (e il bis) di entrambi i piatti.

Voglio pensare che un anno sia come gli amouse bouche in un ristorante: ti danno il tono di quello che verrà. E se penso agli incontri di questo pomeriggio, sento evocare la parola amicizia, accanto al piacere di ritrovarsi, immaginando un futuro che non sia soltanto per noi.

presenta il suo ultimo vino chiamato “Trecento” come le vendemmie dei suoi vini

11 gennaio Galleggianti

Oggi è uscito su Avvenire il mio appello di gusto, che parte dalla Babele della ristorazione e finisce con i pronostici di Giuseppe De Rita.

I RISTORANTI PLURISTELLATI CHE CHIUDONO (E PERCHÉ)

(Avvenire dell’11 gennaio 2023) Perché chiudono i migliori ristoranti del mondo? Dodici anni fa abbassò le serrande lo chef spagnolo di El Bulli, Ferran Adrià, che aveva fatto scuola come la fece anni prima la Nouvelle cuisine, impersonata in Italia da Gualtiero Marchesi. Oggi chiude il Noma di Copenaghen, per 4 volte insignito miglior ristorante del mondo, con 100 dipendenti e anche qui una cucina che affonda le radici (nomen omen) nei licheni, nelle fermentazioni, nelle muffe e quant’altro si potesse sperimentare. Ma lo chef René Redzepi, 45 anni, ha sciolto il grembiule: il prossimo

anno chiude perché i costi non sono più sostenibili e l’alta ristorazione si deve reinventare. Probabilmente con le consulenze, come ha fatto Adrià, perché lo stress di un mestiere a questi livelli è altissimo. Sembra la discesa dalla torre di Babele, che forse non aveva messo in conto, per sé e per i propri dipendenti, il fattore umano che si scontra con la domanda: fin quando e perché vale un sacrificio? Reinventarsi sembra la parola di questo inizio d’anno. Lo deve fare l’agricoltura se è vero che le temperature di gennaio sembrano aver cancellato l’inverno: scarseggia l’acqua, nuovi parassiti minacciano le colture e dagli alberi spuntano già le gemme a rischio gelate. Anche la montagna sembra obbligata a rivedere l’offerta, perché la scarsità di nevicate ha deluso i turisti che dovranno avere nuove motivazioni per risalire. Eppure, mai come in questo 2022 i ristoranti sono stati pieni così come le località turistiche dei lunghi ponti di fine anno. Come ci si reinventa? Che queste domande arrivino davanti a un inizio - di legislatura e anche di anno - non è poca cosa, tuttavia abbiamo bisogno di capire se anche questo governo gestirà solo emergenze (quelle elencate lo sono e guai se, per chi deve prendere decisioni, la parola emergenza coincide solo con catastrofe). Detto questo non vorremmo fossero vere le parole di Giuseppe De Rita che ha descritto l’Italia, nel suo rapporto annuale, con parole come mediocrità, galleggiamento, stato latente, senza un obbiettivo per il futuro. Di solito chi fa uscire da una situazione di stallo è il maestro, il punto di riferimento, la personalità che ha una visione. Ma se tutto o tutti vengono dati in pasto alla cultura della rissa che viene rappresentata dalla televisione e spesso anche dalla politica, la fase di latenza rischia di diventare palude. Non sarebbe meglio tirare fuori dal cassetto la ricerca e la capacità di affrontare sul nascere i problemi che si stanno ponendo? Sennò tutto ciò che è irrisolto resta solo alimento per la prossima rissa.

12 gennaio Che onore!

Altre tavole in questo inizio gennaio, perché ora abbiamo in tasca la lista dei nostri compiti da eseguire. Quindi la bellissima esperienza Da Salvatore a Milano, la cucina di pesce di impronta siciliana della nostra predilezione, con la signora Rita in sala, bravissima padrona di casa e appassionata di vini, che infatti offre una selezione decisamente originale e in cucina il ma-

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Circolare DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO A Piozzo da Teo Musso, dialogo davanti alle telecamere A cena da Marzia Riccardi con Davide Scabin Franco Maria Martinetti

Circolare

rito Salvatore e il figlio Alfredo. Il piatto memorabile? La caponata, ma anche le polpette di bianchetti. Il giorno dopo, a pranzo, sarò invece a Napoli, da Mimì alla Ferrovia, ristorante icona della città, in capo alla famiglia Giugliano, che è tutta presente, ma in cucina c’è il giovane Salvatore, bravissimo. Anche qui una selezione di vini decisamente interessante (hanno pure Spiriti Ebbri, notevoli produttori calabresi) e una cucina ghiotta, che dà piena soddisfazione. Il piatto che mi porto nel cuore sarà la pasta mista, patate, provola e guanciale. Wow! Dopo il mio pranzo è arrivato persino Gennaro Esposito.

Hanno voluto fare una foto davanti al locale, con me, sia i siciliani della Trattoria da Salvatore sia i campani di Mimì alla Ferrovia, postando su Instagram l’immagine con il commento che è stato un grande onore per loro. Mi telefona poi Angelo Ponzo per riportare il commento entusiasta del figlio Matteo, che è stato a cena a Carlo Magno di Collebeato, dove hanno raccolto il commento di Beppe Maffioli, lo chef del locale, che ha detto: “Comunque Paolo e Marco sono due uomini felici che aiutano tanta gente”. Che dire? In pochi giorni abbiamo avuto la sensazione che sia cresciuta moltissimo la considerazione del nostro lavoro e di conseguenza della nostra guida, la cui edizione di quest’anno non solo ha spiazzato, ma è riuscita a far emergere tanti bravi. Una bella soddisfazione.

gennaio

A Napoli con Assoenologi

Riccardo Coratella quest’anno mi ha voluto al Simposio di Assoenologi, che si tiene all’Hotel Royal Continental proprio di fronte a Castel dell’Ovo. Due giorni di lavori intorno al tema Vino e Salute, tra alimentazione e benessere, tema quanto mai attuale nei giorni in cui in Europa si parla della fuga in avanti dell’Irlanda che ha deciso di mettere sull’etichetta degli alcolici, e quindi anche del vino, l’avvertenza della nocività alla salute. Arrivo dunque in hotel dopo il volo da Malpensa e, una volta lasciati i bagagli, vado da Mimì dove incontro a sorpresa l’amico e collega Daniele Gaudioso, giunto a Napoli per assistere alla partita Juve-Napoli, che finirà con un devastante 5 goal del Napoli e 1 per la Juve. Il giorno dopo, in aeroporto, incontrerò anche un abbacchiato presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che era venuto a Napoli per lo stesso motivo. Alle 16 in punto si apre il congresso con gli interventi di Riccardo Cotarella che precede i ministri alla Salute Schillaci e alle Politiche Agricole e Sovranità Alimentare Lollobrigida e le autorità campane. Seguono poi le relazioni di Luigi Moio, presidente dell’Oiv, di Giorgio Calabrese e di altri esperti a livello internazionale, tutti concordi nel distaccare il vino rispetto agli altri alcolici, essendo ormai dimostrato che un consumo moderato, a differenza di altre bevande, ha persino effetti benefici sull’organismo. Giorgio Calabrese, dal canto suo, afferma che il vino è in maggioranza composto da acqua, per cui l’associazione con gli alcolici sarebbe quanto mai ingiusta. Mi invitano quindi a intervenire alla tavola rotonda conclusiva dell’ultima giornata, moderata dal giornalista Rai Andrea Pancani, il quale mi chiede il nesso fra misura e gusto.

Se non ci fosse l’idea di misura non ci sarebbe la possibilità di conoscere il gusto, rispondo reattivamente, anche perché le degustazioni professionali di vino sono tali proprio perché svolte con l’idea di misura. Leggendo poi i dati si evince che i consumi di alcolici in Irlanda sono tre volte superiori quelli dell’Italia, ma non si tratta solo di vino, in quel paese, ma ovviamente di whisky, birra e altre bevande diverse dalle nostre. Ne scriverò su Avvenire, nei miei appelli di gusto del mercoledì. Coi 400 enologi c’è poi la cena di gala, organizzata dal presidente campano di Assoenologi, Roberto Di Meo, autore di vini davvero eccellenti. A tavola, coi colleghi Pignataro e Regoli, e poi

con i coniugi Calabrese

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e con Cotarella e Di Meo, passiamo una divertente serata, non solo per l’ottima cena, ma anche per quella possibilità di assaggiare diversi vini campani che lasciano il segno, come quel Fiano di
La
DI
PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO Salvatore della Trattoria Da Salvatore con la moglie Rita Riccardo Cotarella apre il simposio di Assoenologi con il don della Tanzania Alla cena di gala con i colleghi Luciano Pignataro e Alessandro Regoli, i coniugi Calabrese, Riccardo Cotarella e Roberto Di Meo La famiglia Giugliano di Mimì alla Ferrovia La tavola rotonda di Assoenologi L’incontro con il presidente del Piemonte Alberto Cirio in aeroporto

14 gennaio

Da Napoli alla Val Formazza

Si parte al mattino presto, destinazione Malpensa e poi Riale, la località di montagna in fondo alla Valle Formazza, coperta di neve. Arrivo all’ora di pranzo (sono le 14) per raggiungere una baita, il Rifugio Bim Se dove sono radunati gli amici che ordinano la polenta coi funghi, il cervo e la salsiccia e un’ottima bottiglia di Prunent di Garrone. Poi tutti nella Walser Schtuba della famiglia Sormani, con Matteo in cucina e la sorella Francesca in sala per servire una cena radiosa, com’è questo locale della nostra guida. Si parte la domenica mattina, per raggiungere invece le alte vette del borgo di Tappia, sopra Villadossola, dove pranzeremo nel ristoro della famiglia Zaretti, autore di un ottimo Prunent, che avevo

recensito proprio in settimana su IlGusto. it. Fantastico il coniglio con le patate!

C’era un sacco di gente sulle piste da fondo, persino una comitiva di non vedenti. La neve era scesa al mattino presto e tutto è sembrato un ambiente d’altri tempi, in questa Valle Formazza, dove venni per la prima volta con l’oratorio nel 1977, avevo 16 anni, per tornare nel 1993 quando da Riale raggiunsi a piedi l’alpeggio del Bettelmatt, per scoprire, in estate, la lavorazione di uno dei formaggi più buoni d’Italia, che divenne famoso nel giro di pochi anni. Quanti ricordi mi hanno poi acceso la visita da Germano Meneghello a Crodo nel suo Forno Ossolano che fa un pane alle noci e mele fantastico, ma soprattutto una teoria di fette biscottate buonissime. Dopo un anno, riesco persino a recuperare i campioni di Prunent di Villa Mercante. Anche questo inizio anno, come lo scorso, è partito dall’Ossola, sarà di buon auspicio?

Gli studenti giapponesi mi salutano! Motoko e Claudio hanno tradotto un mio video saluto per gli studenti della Ritsumeikan University a Kyoto che poi hanno fatto diversi commenti sulla mia idea della curiosità come atteggiamento fondamentale per conoscere. Anche questo è il frutto dei 7 anni di collaborazione con la rivista Ryorit-Sushin, che prosegue con grande soddisfazione, in attesa di restituire il favore col prossimo viaggio.

La Circolare finisce qui, con la pubblicazione del mio articolo su Avvenire, dedicato al tema de vino e della salute, alla vigilia del Direttorio del Club di Papillon. Nel frattempo i ragazzi di Juice it up escono con un podcast sui miei 35 anni di lavoro che ascolteranno in tanti.

QUANDO IL VINO

HA VALORE POSITIVO (Avvenire del 18 gennaio)

Don Kessy Baltazary è un giovane prete

della Tanzania che è stato inviato dal suo vescovo alla scuola enologica di Alba, per imparare a fare il vino e costituire una cantina in quel lontano Paese. Lo ha chiamato sul palco il presidente degli enologi italiani, Riccardo Cotarella, davanti ai 400 colleghi giunti a Napoli per il Simposio annuale, per mostrare come continui a diffondersi la cultura del vino nel mondo. Basterebbe questo per evidenziare la contraddizione di un provvedimento, come quello votato in Irlanda, che metterebbe sulle etichette di vino allarmi di nocività. Il Simposio di Napoli, quasi profetico quando è stato pensato, aveva per titolo “Vino e Salute, tra alimentazione e benessere” ed ha raccolto il parere di esperti a livello internazionale sul valore positivo del vino, se bevuto con moderazione. E, se pensiamo che nel 1622 il medico igienista Francesco Scacchi dedicava al cardinale Ottavio Bandini il suo “De salubri potu dissertatio” (“Del Bere Sano”), a Napoli si è scoperto che sono ben 230.068 le pubblicazioni scientifiche che hanno affrontato il beneficio del bere moderato sull’organismo umano, come già evidenziava san Benedetto che, nella sua Regola, parlava di un’emina di vino al giorno: corrisponde alla misura che ancora oggi i dietologi indicano come ideale per proteggersi da una serie di patologie, in primis cardiovascolari. Lo ha ribadito, dati alla mano, il professor Luc Djoussé, direttore di ricerca del Dipartimento di medicina della Harvard Medical School e così il professor Vincenzo Montemurro che ha citato la funzione antiossidante del resveratrolo. Ma, per il professor Giorgio Calabrese, quando si tratta di vino si deve parlare di alimento liquido che contiene in maggioranza acqua, accanto a polifenoli e ad alcol, ma in misura assai più ridotta rispetto ai superalcolici. Che forse è il problema dell’Irlanda dove, facendo d’ogni erba un fascio, hanno creato un pericoloso precedente nell’Unione Europea. I consumi di bevande alcoliche in quel Paese sono tre volte di più di quelli italiani, ma non è nascondendosi dietro a un’etichetta minacciosa che si risolve un problema che invece richiede educazione, nella direzione appunto della misura. Eppure siamo di fronte a una concezione di Stato che fa la finta balia, pensando così di cancellare ogni imprevisto. E se invece ci convincessimo che il vino è simbolo di libertà? Ossia spartiacque fra rinunce ed eccessi che, a leggere i dettami della Dieta Mediterranea, non servono entrambi alla causa di un’aspettativa di vita lunga a sana.

Avellino Riserva “Alessandria” 2013 di Di Meo e il Terre di Lavoro 2017 di Galardi davvero notevoli.
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DI PAPILLON IL DIARIO DI VIAGGIO
Tutti alla Walser Schtuba In cucina con Matteo Sormani, chef della Walser Schtuba Tappa a Crodo, da Germano Meneghello Con Corrado Zaretti a Tappia

La Circolare DI PAPILLON

PER NOI SIETE UN ESEMPIO

Da Sabrina - Gelateria -16° Artigiani del Gelato (Lainate)

Buongiorno Paolo, Marco e tutto lo Staff costantemente al lavoro!

Volevo esprimere a tutti voi un ringraziamento per l’esperienza sempre unica e stimolante che per noi è Golosaria. Arriviamo al MiCo sempre carichi di emozione ed entusiasmo. Usciamo sempre carichi di esperienze nuove e stimoli. Per chi, come noi, lavora in questo settore, Golosaria è un’opportunità, quasi un seminario formativo. Ci mettete nella condizione, unica, di incontrarci tra artigiani, di parlarci e confrontarci.

Il confronto è sempre crescita, l’incontro è occasione anche per far germinare idee e prospettive. Golosaria per noi è questo, un modo per non fermarsi, oltre a essere un esempio.

Vorrei infatti soffermarmi anche sul fatto che voi siete la dimostrazione concreta e tangibile di cosa sia la resilienza. Prima di tutti avete capito che bisogna andare avanti. Anche in pandemia avete organizzato Golosaria Virtuale. Diversa da quella in presenza, ma niente testa sotto alla sabbia, si cerca un modo. E non vi siete mai fermati, mai.

E siete anche un esempio di ciò che si potrebbe fare in un Paese come il nostro che tende facilmente a illanguidirsi nell’autocommiserazione.

Dimostrate anno dopo anno che con una buona organizzazione, con impegno, con obiettivi chiari, le cose possono funzionare.

Occorre pensarci, occorre trarre da ciò che di buono c’è un esempio che ci guidi anche nel nostro lavoro quotidiano.

Siete per noi un esempio di come l’impegno si traduca in efficienza. Di come l’organizzazione si traduca in risultati.

Andando dunque oltre la pura esperienza sensoriale e di incontro che è Golosaria, soffermandosi a riflettere sul com’è Golosaria, non si può non essere colpiti dal fatto che Golosaria è un esempio.

Il lavoro che c’è dietro è monumentale, e Voi, anno dopo anno, ci dimostrate che si può fare.

Che la passione è un faro che ogni vero Artigiano deve tenere come riferimento.

Golosaria è questo per noi.

E siamo ogni anno grati per ciò che ci date.

Dunque grazie di cuore per avermi fornito tanti spunti su cui riflettere, aspettiamo con gioia il prossimo appuntamento.

Buon lavoro a tutti!

Grazie Sabrina, ho fatto leggere subito a Silvana questa tua lettera perché gran parte di quel lavoro monumentale che dici tu è merito suo, oltreché onere. Tuttavia Silvana è un po’ come te, perché dopo ogni edizione di Golosaria si sente colpita da qualcosa di bello che non era prevedibile, che è successo, perché, come dici tu, Golosaria la fanno le persone che si incontrano e che a loro volta creano un clima che in molti casi diventa (la suggestione è tua) Colleganza. Uno degli ultimi appuntamenti della Circolare che cito nel diario, per esempio è con Claudio che mi ha salutato a Golosaria lunedì pomeriggio, in una giornata dove siamo stati travolti da tanti incontri e non mi sono più ricordato di quella stretta di mano. Ebbene, a inizio gennaio ha

voluto incontrarmi coi suoi amici e dal tono della mail di Manuela ho capito che dovevo andare da loro subito, il giorno dopo, anche se era distante parecchio da casa mia. Tuttavia l’urgenza che le persone vere si incontrino è quanto mai importante, in un anno dove, a leggere l’impietoso resoconto di Giuseppe De Rita, il massimo della prospettiva è galleggiare. Ma noi siamo fatti per galleggiare?

IL BUONO CHE FA RESPIRARE Da Stefano Storti

Ciao Paolo!

Ieri pomeriggio io, Lella e un’amica, siamo stati lì a Golosaria... Un po’ di corsa ma siamo riusciti a passare. Purtroppo non siamo riusciti a salutarvi di persona e per questo ti scrivo: per ringraziarti di un evento in cui si “respira”: vedendo cose belle, assaggiando e comprando cose buone, incontrando amici (sono stato allo stand dell’azienda vinicola di Marco Tucci: era tantissimo che non lo vedevo!), ma anche sconosciuti. È stato per me come riconoscere pezzetti di quel Bene che fa gustare tutta la vita, e allora respiri di più, respiri meglio.

Grazie per la cura che tu e Silvana mettere nel vostro lavoro per far vedere che questo Bene c’è, soprattutto in periodi, come questo, in cui è facile che la lamentela prevalga.

Grazie Stefano per questa tua che conferma quanto raccontato su questo numero della Circolare a proposito di Golosaria, ma anche a proposito della società Benefit e del suo scopo. Il bello di Golosaria è proprio questo respiro che tu dici e in questi giorni di inizio anno siamo colpiti dalle tante richieste di partecipazione – cosa mai successa – perché sia un evento che connoti le relazioni del 2023. Ci vediamo prestissimo al Direttorio! Un caro abbraccio

Approfitto per dirti che Golosaria quest’anno è stata al top più del solito.

Grazie della fantastica postazione dello spazio Wine. Sono passati da me due importatori della Corea del sud e di Shanghai interessatissimi ai vini naturali (mai successo questo tipo di contatti a Golosaria, direi più cose che succedono normalmente a Vinitaly). Per noi questo è già più che super soddisfacente.

Siete sempre una grande locomotiva!

Grazie Antonella, quello che ci scrivi in ogni caso mi sorprende e mi lusinga perché Golosaria è innanzitutto un evento di comunicazione che a un tratto fa percepire, nell’immaginario, che bisogna esserci se si è alla ricerca di novità che conducono alla Distinzione. Per questo è importante la presenza di aziende originali come la tua che, fra l’altro, portano avanti il valore di un grande nostro amico, Lorenzo Corino, con cui abbiamo condiviso momenti di rara intelligenza umana.

GRAZIE A VOI!

Caro Paolo, ti mando notizia dell’ennesimo riconoscimento che riguarda la nostra cantina. Se penso che tutto è iniziato grazie a Viva e grazie a te. Faccio ancora fatica a crederci. Davvero. Grazie Paolo per avere creduto in noi.

Grazie a te, a Massimo, a Laura, che avete creduto nella grandezza del vostro progetto legato alla Ribona. Sono felice che la vostra decisione di perseguire nella presenza a Golosaria, ogni anno, dia nuovi e inaspettati frutti. Del resto bastava passare dal vostro stand, sempre pieno di gente, per capire che la strategia

LETTERE AL DIRETTORE
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LA LOCOMOTIVA

vincente è proprio quella di esserci. Chi partecipa a una fiera una volta sola e poi non torna spesso vanifica tutto, mentre una presenza dove ci si prepara (si chiama Matching) per incontrare i potenziali interessati è la strada vincente. E voi ne siete la dimostrazione, come pure lo è La Maliosa: vedi lettera sopra. Quindi grazie!

COSA SIGNIFICA LAVORARE COI POVERI?

“Continuate a lavorare per i più poveri tra i poveri in Venezuela”, è stato il messaggio che il Santo Padre mi ha dato all’udienza di novembre in Piazza San Pietro, e questa sfida non può essere trascurata. Avere un incontro con Papa Francesco è già un evento, ma se si aggiunge anche un’indicazione di questo tipo, non può lasciarci indifferenti.

Sebbene si tratti di qualcosa che stiamo già facendo in Work and People, è necessario approfondire e continuare a imparare ogni giorno. Grazie a Dio abbiamo la fortuna di collaborare con alleati che dedicano la loro vita interamente ai più vulnerabili in tutto il Paese, e ci accompagniamo a vicenda in questo viaggio. Ma cosa significa lavorare per i poveri e, ancor più, lavorare con i poveri?

In primo luogo, è necessario fare ogni sforzo per garantire che le iniziative che rispondono ai bisogni non siano a tavolino, pensate per i più vulnerabili, evitando la loro partecipazione. È essenziale ricordare che “la realtà è più importante dell’idea”, e quindi è necessario costruire con un concerto di istituzioni e comunità di base, compresi i beneficiari delle politiche e dei programmi pubblici che possono essere generati. La replica delle formule non è una risposta esaustiva alle esigenze.

D’altra parte, è necessario essere presenti nelle comunità e accompagnare coloro che sono i protagonisti del cambiamento. Come abbiamo detto in altre occasioni, oltre a “non lasciare indietro nessuno”, è essenziale che nessuno sia lasciato solo. In questo modo possiamo “aprire nuove strade affinché i poveri stessi diventino protagonisti del cambiamento”, come ha detto Papa Francesco.

È una bellissima suggestione, caro Alejandro, questa immagine che i poveri diventino essi stessi protagonisti del cambiamento. E leggendo la tua ultima newsletter, si capisce che per te la realtà è assai più importante di un’idea, che comunque persegui, perché anche l’iniziativa che abbiamo sostenuto quest’anno, con l’adozione delle cuoche del Venezuela nasce da quell’intuizione per cui un Paese non può vivere perennemente in balia della carità altrui, perché il rischio è che si allunghi la mano di qualche potere che non ha certo in mente lo sviluppo. Quindi grazie per tenerci continuamente aggiornati sulle tue iniziative.

SE NON ESISTE LA PACE...

Da Luciano Begnoni di Santa Sofia Wines - Pedemonte (Verona)

“Se non esiste la pace, è perché abbiamo dimenticato che apparteniamo gli uni agli altri”.

Una citazione di Madre Teresa di Calcutta per i nostri auguri di buone feste.

Grazie Luciano, sono stati fra gli auguri più belli che abbiamo ricevuto.

IL VOSTRO RICORDO DI ANGELA

E IL SUO SVILUPPO

Da Antonio, Stefano e Licia Colombo - azienda vitivinicola Santa Croce (Sirtori)

“Angela Dottori era una donna straordinaria. Troppo in fretta è volata tra quegli angeli a cui parlava già quando produceva questo suo vino formidabile con il marito, Antonio Colombo, personaggio dal tratto umano di rara intensità, con cui nel 1980 aveva rilevato una vecchia fornace abbandonata, che avevano poi ristrutturato ricavandone un’abitazione per loro e la cantina, piantando i vigneti e lasciando proseguire la sua opera. Oggi con il papà Antonio ci sono i figli Manuel e Stefano, capaci di rinverdire i fasti di quel grande vino di Montevecchia di cui già Carlo Porta esaltava le caratteristiche. Vintage des Anges è sontuosa espressione di sauvignon. E Angela, dal cielo, ne è orgogliosa!”

Così scrivevate qualche tempo dopo la scomparsa di Angela, avvenuta nel febbraio 2007. Da allora di anni ne sono trascorsi tanti e papà Antonio ha continuato nel ricordo di Angela e vinificare, avendo perduto l’appoggio dell’ispiratrice dell’azienda, ma acquisendo sempre più la valida collaborazione del figlio Stefano, che negli ultimi anni aveva aiutato Angela e della quale ha voluto proseguire l’attività, dedicandovisi con sempre maggior impegno, a tal punto che nell’anno 2017 una delle guide aveva classificato il Vintage des Anges “il miglior vino bianco fermo di Lombardia”. Stefano ha altresì ampliato i vigneti investendo in nuovi appezzamenti nella frazione Maresso di Missaglia e nel frattempo anche Licia, la moglie di

Stefano, ha iniziato a occuparsi della vinificazione, forte della dimestichezza con il laboratorio in qualità di veterinaria specializzato in analisi delle affezioni delle mucche e delle relative cure, collaborando così intensamente con Stefano che, avendo ereditato dalla mamma la passione per la vitivinicoltura, provvede agli incombenti agronomici unendoli alla conduzione dell’agriturismo con cucina, che nel frattempo è stato realizzato in loco già con un certo successo. Nel tempo si è continuato a produrre vino fino a giungere all’annata 2021, della quale alleghiamo i campioni, nell’attesa di un Vostro gradito e ambìto giudizio. Vi ringraziamo per quanto avete sempre scritto di noi, per l’apprezzamento dei nostri vini, che riteniamo fra i giudizi più importanti, e per l’attenzione riservataci; ci teniamo a Vostra disposizione, augurandovi buon lavoro e mandandovi i saluti più cordiali.

Cari amici, mi unisco a Marco Gatti che nel 2007 scrisse quelle parole e che con me ha assaggiato i vostri vini eroici, coraggiosi, buoni. La vostra storia ha dentro la commozione del seme che muore e dà molto frutto. E mi ha ricordato l’analoga storia di David e Vittorio Navacchia che persero la mamma Thea quando erano ancora giovani. Ma la passione per il vino della mamma, che aveva contagiato anche il marito Sergio (scomparso la primavera scorsa), è stato un faro che oggi risplende come i vostri vini. Grazie per averci ricordato l’origine di una gran bella storia.

PARLIAMOCI!

Da Roberto Cimberio Cav. Uff. Giacomo Cimberio Spa (San Maurizio d’Opaglio)

Caro Paolo, un amico scrittore, uno di quelli bravi con le parole, una volta mi aveva parlato dello “scher-

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mo bianco”. Succede a tutti, mi diceva, almeno una volta nella vita: succede di trovarsi davanti allo schermo del pc o davanti a un foglio, e di non riuscire a scrivere nulla. Succede quando ci si trova a dover scrivere la lettera che non si avrebbe mai voluto scrivere.

Sta succedendo, ora che mi ritrovo a dover scrivere questa lettera di auguri per le feste di fine anno. La prima da quando mio padre non c’è più.

laboriosità, passione, umanità.

Un rapporto che non avrò più con nessuno, mai.

Parla, ma poi ascolta.

Circolare

L’ultima volta che ho visto mio padre è stato la sera prima che morisse, e appena entrato nella sua stanza, una parte di me mi sussurrava che quella forse sarebbe stata l’ultima volta: gli ultimi sguardi, le ultime parole. Abbiamo parlato di tante cose, e abbiamo parlato anche di lavoro. E questo può sembrare strano solo a chi non conosceva lui e il suo modo di essere. Perché io e mio padre abbiamo costruito, negli anni, un rapporto particolare: quando io e lui parlavamo eravamo padre e figlio, certo, ma allo stesso tempo riuscivamo ad essere anche due soci. Insieme ragionavamo in modo trasparente sulle vicende dell’azienda, insieme ci confrontavamo tenendo tenacemente fede ai nostri modi di essere, insieme ci scambiavamo impressioni e risposte a domande che nemmeno c’era bisogno di fare.

Forse perché lui, per me, è riuscito ad andare oltre la figura del padre arrivando a essere un mentore. Ha sempre cercato di mostrarmi il mondo attraverso i suoi occhi e ogni suo gesto, anche quelli che a prima vista potevano sembrare duri e difficili da comprendere, erano rivolti a un unico scopo: mostrarmi e trasmettere la passione e l’amore che aveva per la sua azienda. In modo forte e molto spesso ruvido mi ha insegnato quei valori che oggi sono diventati anche i miei. Correttezza, onestà, serietà,

Abbiamo parlato di lavoro: lui con un filo di voce nel corpo e un filo di luce negli occhi, ma con abbastanza forza per dirmi come la pensava. E alla fine abbiamo parlato di un cliente che aveva fatto delle richieste complesse e che mi stava mettendo in difficoltà. E lui, prendendo chissà dove le ultime energie per sollevarsi dal cuscino e alzare un po’ la voce, mi ha detto una parola sola. “Parlaci”.

E quella è stata l’ultima parola che mi ha detto. Poche ore dopo, mio padre ci ha lasciati.

Nei giorni seguenti, sballottato tra cose e persone, non ho più pensato a quella parola. Poi, l’ho fatto: ho telefonato a quel cliente, ho parlato con lui e in pochi minuti ho compreso il significato delle sue richieste e abbiamo trovato una soluzione per la soddisfazione di entrambi. Ed ecco che quel “Parlaci” ha assunto un significato particolare. Un significato che mi piace trasferire in questa lettera di fine anno, come se il mio - oppure, concedetemelo, il nostro (mio e di mio padre) - augurio.

Parla.

Parla con il tuo collega, con il tuo dipendente, con il tuo capo, con il tuo fornitore. Parla con tua moglie, con tua figlia, con tuo fratello, con quell’amico che non senti da troppo tempo. Parla per chiedere scusa o per chiedere aiuto, parla per capire, per aiutare, per sfogarti o per chiarire cose mai chiarite. Parla per arricchirti, per donare. Parla perché non sai quando e se avrai ancora l’occasione di farlo e il rimpianto per non averlo fatto poi sarebbe impossibile da sopportare.

Sì, perché non esiste parola senza ascolto, perché se è vero che ognuno di noi ha bisogno di parlare, è vero anche che ognuno di noi ha bisogno di essere ascoltato. Perché la vera ricchezza, oggi sempre di più, è dare e non ricevere: e la cosa più importante che si possa dare a una persona è l’ascolto.

Mio padre non c’è più, e quel che mi manca e mi mancherà di lui desidero tenerlo per me. Ho voluto però condividere in queste righe la sua ultima parola, un po’ come se fosse il suo ultimo insegnamento. Un insegnamento che mi farà pensare a lui senza tristezza, come mi piace pensare lui avrebbe chiesto di fare.

Si avvicina un periodo di feste, in cui sarà importante vivere gli affetti che ci sono più cari e passare del tempo in famiglia come raramente abbiamo l’occasione di fare. Per la mia famiglia sarà un Natale particolare, in cui presenza e mancanza si mescoleranno rendendo tutto strano e diverso.

Eppure, eppure qualche riga fa ho parlato di valori: valori che mi sono stati trasmessi, che ho fatto miei, valori che a mia volta trasmetterò a chi arriverà dopo di me in questo meraviglioso passaggio di testimone che è la nostra vita. E tutti questi valori, a voler guardare bene, si possono riassumere in una sola frase: guardare avanti. Guardare avanti ai giorni e alle sfide che ci aspettano, alle persone che incontreremo, a ciò che ci sarà di nuovo e a ciò che sarà rimasto lo stesso. Guardare avanti a chi c’è ancora e a chi non c’è più.

Io davvero non trovo un altro modo per dare un senso a quello che è successo, se non questo: non dimenticare, neppure per un momento, il nostro modo di essere azienda. Lui vorrebbe così.

Buone feste, dal profondo del cuore.

Grazie Roberto, per avermi fatto partecipe del tuo foglio bianco. E grazie per la profondità dei tuoi pensieri che sono un regalo per tutti. Ricordi quando mi facesti incontrare tuo padre? Io lo ricordo benissimo, perché mi raccontò la sua vita da imprenditore e io ero lì ad ascoltarlo come un bambino, anche se si occupava di rubinetti e non di cibo e di vino. Ma non c’era differenza, proprio sul piano dei valori e questo m’è rimasto impresso. Ti sono anche grato della tua bella amicizia, che prosegue nel tempo. Anche queste sono cose che valgono, come l’ascolto, faccenda sempre più rara in una società dove si urla per non ascoltare.

DEDICATO A…

Da Marina e Alessandra Fiorani Boccon DiVino (Montalcino)

Carissimi Paolo e Marco e tutta la redazione de ilGolosario, poche righe per condividere con voi un momento per noi molto importante. Questa stagione 2022 ha segnato per noi un grande traguardo: 30 anni di attività.

Nel 1992 nasceva il Boccon DiVino, una semplice pizzeria con cucina, pochi piatti e tante pizze curiose che adesso chiameremmo “gourmet” ma che allora facevano storcere a tanti il naso perché erano diverse.

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Noi prestissimo abbiamo capito che eravamo diversi, perché ci piaceva cambiare pensando che ogni volta questo cambiamento fosse in realtà una crescita. Il Boccon DiVino è cambiato e cresciuto sempre in questi anni, ben 30, e siamo ancora qui, orgogliose di quello che abbiamo creato e anche molto grate. Grate soprattutto a chi, come voi, in questi anni ci ha sempre seguito e supportato, ognuno a suo modo ma sempre con grande affetto.

Per festeggiare questo anniversario abbiamo pensato di far fare un vino a Roberto, il marito di Marina e meraviglioso enologo, da poter regalare a tutti i nostri amici che in questo tempo abbiamo sempre sentito vicini. Lo abbiamo chiamato “Dedicato” perché è a voi, cari amici, che è dedicato.

Un modo per portare alla vostra tavola un pezzetto del Boccon DiVino, questo luogo che nostro padre Mario ha fortemente voluto e tanto amato e che noi da sempre sosteniamo con il nostro lavoro e la nostra dedizione.

Un modo per dirvi grazie, grazie di cuore.

Carissime, anche noi siamo molto legati a voi e a quel luogo dove papà Mario ci servì la carrabaccia. Questo vino che ha fatto Roberto (uno dei nostri enologi preferiti) l’ho aperto con assoluto rispetto, pensando alla vostra storia e ai vostri sorrisi, alla resistenza e alla tenacia che avete avuto, perché 30 anni sono un traguardo davvero molto importante. E qui lo descrivo: “Colore rubino molto concentrato.

Al naso è un misto fra vinoso e succo di frutta rossa ben matura. Disteso, imperioso nella sua freschezza che già mostra al naso. Ha quell’anima ematica e contadina che tanto sarebbe piaciuta a Mario. In bocca è in verticalità che inizia con la freschezza e poi ti accarezza coi tannini graffian-

ti. Però chiude un sorso che vorrebbe essere sapido e invece porta fino in fondo la pregnanza del frutto. Davvero un gran bel vino. È equilibrio e vivezza”.

Nel 2023 ci dobbiamo assolutamente vedere.

LO STATO DELL’ARTE

VISTO DA UN ALLEVATORE DI FORMAGGI

Da Carlo, Luisa, Giovanni, Davide e lo staff della Luigi Guffanti 1876

Nella tradizione dei messaggi augurali che ci si scambia in occasione delle festività di fine anno, c’è sempre l’espressione della speranza di un anno nuovo migliore di quello che se ne va.

Da qualche tempo speranza vanificata da un susseguirsi di avvenimenti incontrollati, incontrollabili e destabilizzanti che stanno descrivendo un mondo completamente diverso da quello a cui eravamo abituati.

Bisogna farsene una ragione e l’unico augurio che possiamo scambiarci è quello di saper reagire in positivo e costruttivamente.

Possiamo prendere esempio dal mondo semplice dei prodotti della terra che, qualunque cosa noi si possa fare, continuano nel loro ciclo virtuoso di evoluzione.

Pandemia, guerra, siccità. Ma l’erba, poca, ha continuato a crescere e le mandrie transumanti ad alimentarsene, quasi indifferenti a tutto quanto ci angoscia. E, due volte al giorno, gli erbivori ci hanno dato, anche se poco, il loro latte migliore, a rendere migliori i formaggi che pazientemente i casari allevatori producono.

In un ciclo di valorizzazione delle risorse che ci riporta alle cose fondamentali immutabili: le cose che ci tranquillizzano.

Ecco il perché del pensiero natalizio di quest’anno: il formaggio San Sebastiano, la Toma della miniera, la Tuma persa, il Formaggio del cortile del falegname, il Tombea. Un trionfo di latti crudi di montagna e/o da pascolo.

Non possiamo sapere se piaceranno, ma sappiamo che sono semplici, veri e sinceri. Così come non possiamo sapere se siamo stati all’altezza di quanto ci si attende da noi, ma sicuramente, anche quest’anno, sappiamo di avercela messa tutta.

Carissimo Paolo, con sincera stima e amicizia ti rivolgo l’augurio più sincero di buon Natale e buon anno nuovo.

Grazie Carlo, intanto ti confermo che i formaggi erano buonissimi e speciali come sempre. Ma le tue parole confermano invece quanto detto circa la Fontina e il premio del Modon d’Or di quest’anno, che ha messo in luce sia quello che dici tu sia il valore di un savoir faire che non è soltanto tecnica, ma immedesimazione con la natura, l’ambiente, il volgere delle stagioni che non vanno mai come pensiamo noi. Questa sì è una cosa che in qualche modo tranquillizza, come tutte le cose buone che nascono da quella che si chiama tradizione.

DOLCEZZE DAL PORTOGALLO Da suor Annunziata

Carissimi Paolo e Silvana, ciao sono suor Annunziata (Michela Levi) dal Portogallo. Spero stiate bene.

Come procede con il lavoro?

Come tu – Silvana – mi avevi chiesto, vi abbiamo tenuti presenti in questi mesi insieme ai tantissimi altri amici che stanno

vivendo questo momento con non poche difficoltà a livello economico e lavorativo.

Come avevo scritto a Silvana, desideravo farvi ricevere qualcosa dei dolci che abbiamo cominciato a produrre e a vendere qui perché li assaggiaste.

In particolare ci tenevo tanto a farvi provare l’ultimo prodotto che abbiamo realizzato, una crema di mandorle, nocciole e cioccolato: in generale ci sembra stia piacendo, ma avere un parere vostro – cioè di chi davvero è esperto nel settore – è per noi decisivo.

La stiamo producendo in quantità decisamente ridotta – circa 10 vasetti per volta –perché il macchinario che stiamo utilizzando regalatoci da Marina – una piccola mola –più di così non può macinare e lavorare. È stato secondo me buono partire anche con una quantità molto limitata così da verificare se, come prodotto, incontra interesse, prima di investire su macchinari più grandi e costosi.

E anche per questo ci tengo moltissimo a sapere cosa ne pensate voi.

Dunque... Buon Appetito!!! ... e rimaniamo in attesa di conoscere il giudizio degli esperti.

Grazie della vostra disponibilità a collaborare.

Intanto un grandissimo saluto e un grande abbraccio e... il Portogallo non è lontano dall’Italia: potreste venire a trovarci! Ciao.

Buonissima!

43 La Circolare DI PAPILLON LETTERE AL DIRETTORE

Io, Guenda e il gene matto è dunque un racconto che passa attraverso il dialogo e diventa ricerca per una donna che in 15 anni ha subito 23 interventi per via di un cancro rarissimo. Ma tutte le pagine, dall’infanzia fra la casa di Colazza sul Lago Maggiore e quella di Roma del nonno; dal matrimonio con Giovanni alla professione di architetto fino alla scoperta del valore terapeutico del cibo, sono un inno alla vita, nonostante quegli imprevisti che le fanno ingaggiare una lotta, vissuta sempre con il sorriso.

Ora, questo libro non è una biografia, anche se esiste una linea temporale, ma ogni capitolo può essere letto come un momento a sé o come tappa di un percorso, dove la svolta avviene proprio in ospedale, quando tutto porterebbe alla rassegnazione: e invece diventa una sfida alimentata dalla sua voglia di scoprire e di imparare. E qui Francesca si ritrova una forza inaspettata, dove il cibo ha proprio questa funzione di trait d'union e di rivincita. Così, parallelamente alle corsie in ospedale, prendono forma le lezioni alla Scuola di Arte Culinaria Cordon Bleu, l'organizzazione della propria scuola di cucina, le lezioni agli stranieri che arrivano da tutto il mondo per cucinare insieme con lei nella casa di Colazza, dove ha ambientato Cook on the lakes (da cui l’appendice con 21 ricette che raccontano la sua storia). Ma qui lei coltiva anche l’orto secondo la teoria sinergica che legge la natura e la lascia libera di creare le proprie resistenze e il proprio percorso. La scrittrice Lucia Ravera è amica da sempre di Francesca e talvolta i due io si fondono in un'unica voce, ironica e mai autocommiserativa. Il finale è un’epifania, che sembra un senza fine ed ha la commozione della scoperta di un mistero che svela, in tutto, la positività della vita.

da fine febbraio su Amazon
È un inno alla vita questo libro di Francesca Settimi, scritto in maniera originale in un dialogo con Guenda, al secolo Lucia Ravera, sua amica carissima nonché scrittrice.

LE RICETTE DEI SOCI

Dai Club di Papillon

ecco le ricette del cuore, per festeggiare i nostri trent’anni di attenzione e amore per i territori italiani

CARNE SALADA ALLA PIASTRA, PROSCIUTTO CRUDO DI PARMA DOP, CARCIOFI ALLA MAGGIORANA E PETALI

DI

CIPOLLA ROSSA

1 di Giorgio De Fabiani chef dell’Hostaria Di Bricai di Varallo (Vc)

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

. 4 carciofi

. 1 mazzetto di maggiorana . 2 fette di uno spessore di 3 cm e dal peso di 250 g di carne salada . 200 g ricotta vaccina freschissima . 4 fette di pane a lievitazione naturale dello spessore di 0,5 cm . 300 g prosciutto crudo di Parma dop in fette sottili

. 1 cipolla rossa . 1 limone

. 100 ml panna fresca . 1 cucchiaio di senape in grani . 2 cucchiai di sale grosso . 1 cucchiaio di olio Evo . 1 cucchiaio di burro chiaro . sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE

Pulire i carciofi, dividerli a metà; riporli in un sacchetto per cottura, aggiungervi la maggiorana, condirli con olio evo, sale e pepe. Chiudere il sacchetto e

cuocere a vapore per 35 minuti. Inserire in forno preriscaldato a 120 °C le fette di pane per circa 20 minuti. Affettare la cipolla a petali, eliminando la pellicina interna; coprire i petali con il sale grosso e lasciare sotto sale in uno scolapasta per un’ora. Sciacquare molto bene e marinare nel succo di limone per due ore.

In una ciotola mescolare con una frusta la panna, la senape e il pepe fino a ottenere un composto semi montato. Inserire in un mixer metà del prosciutto con la ricotta e un pizzico di sale fino. Frullare bene fino a ottenere un composto semiliquido (nel caso aiutarsi con 150 ml di brodo vegetale tiepido). Dopo averlo setacciato, inserire il composto in un sifone monta panna e caricarlo con due bombolette di gas.

Scaldare bene una piastra antiaderente, aggiungere il burro chiaro e cuocere per 30 secondi per lato la carne salada (o comunque per un tempo necessario affinché si formi una crosticina su ambo i lati).

Tagliare a striscioline il restante prosciutto.

Cubettare la carne salada e disporla sul piatto di servizio, alternandola con la spuma di prosciutto, i petali di cipolla, i carciofi tagliati in quarti e le striscioline di prosciutto. Concludere il piatto con qualche goccia di panna alla senape e la vela croccante di pane.

LASAGNE MEDITERRANEE 2

da Maurizio Lega Club Papillon del Ponente Ligure

INGREDIENTI PER LA PASTA

. 175 g semola rimacinata . 75 g farina 00 . 2 uova intere e 1 tuorlo . 1 cucchiaino di sale . 1 cucchiaio olio EVO

INGREDIENTI PER IL RIPIENO

. 4 carciofi . 1 cipolla piccola . 2 uova intere . parmigiano grattugiato q.b.

INGREDIENTI PER LA BESCIAMELLA

. 400 g latte . 30 g burro . 30 g farina . 1 cucchiaino sale . parmigiano grattugiato q.b.

PREPARAZIONE

Per realizzare la pasta occorre unire tutti gli ingredienti, impastare e lasciare riposare la pasta coperta per mezz’ora. Per il ripieno fare appassire la cipolla affettata sottile, prima di aggiungere i carciofi a fettine sottili, salare e aggiungere mezzo bicchiere di acqua e cuocere coperti sino a che sono teneri. Tiepidi, aggiungere 2 uova intere e abbondante

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DI PAPILLON LE RICETTE DEI SOCI

parmigiano.

Stendere la pasta in sfoglie sottili e cuocerle poche alla volta in abbondante acqua salata, scolarle e immergerle in acqua fredda, asciugarle con un tovagliolo.

Ricoprire il fondo di una pirofila con 2 cucchiaiate di besciamella e proseguire alternando gli strati: sfoglia, carciofi, una cucchiaiata di besciamella e una spolverata di parmigiano, continuare così sino a esaurimento degli ingredienti. L’ultimo strato solo la sfoglia, la besciamella rimasta e il parmigiano.

Cuocere in forno a 180 °C per mezz’ora.

FAVE E CICORIELLE

SELVATICHE 3

INGREDIENTI

. 400 g fave secche

. 400 g cicorielle selvatiche

. 2 foglie di alloro

. sale q.b.

. olio extravergine di oliva q.b.

PREPARAZIONE

Tenere le fave secche in ammollo per 10/12 ore. Sciacquarle e versarle in pentola con le foglie di alloro, coprirle con acqua.

Cuocerle con il coperchio per circa 2 ore, mescolando ogni tanto con un cucchiaio di legno, aggiungendo altra acqua se necessario. Salare le fave solo a fine cottura.

Nel frattempo, pulire le cicorielle selvatiche, eliminando le parti più dure e le foglie rovinate, e lavarle.

Cuocere le cicorie in acqua bollente salata per pochi minuti. A cottura ultimata, schiacciare le fave

con il cucchiaio fino a ottenere una purea.

Disporre le fave nel piatto insieme alle cicorielle, condire il tutto con olio extravergine di oliva.

BACCALÀ CON CAVOLO NERO E POMODORO

CILIEGINO PACHINO 4

da Monica Colombo Club Papillon Martesana - Marino Bassi

INGREDIENTI PER 3-4 PERSONE

. 3 tranci di baccalà ammollato e senza pelle . 1/2 cipolla

. 1 spicchio aglio . brodo di pesce . pomodori pelati o salsa di pomodoro . olio EVO . 200 g cavolo nero . sale

. 1 peperoncino . 2 filetti di acciughe dissalate . alcuni pomodorini saporiti

PREPARAZIONE

Sbollentare il baccalà per 3/5 minuti in acqua bollente senza sale.

Questo passaggio aiuta a dissalare ulteriormente il baccalà e a spinarlo più facilmente.

Mettere in una padella tre cucchiai di olio EVO con la cipolla tagliata a fettine sottili. Si deve insaporire senza soffriggere.

Aggiungere il baccalà a trancetti. Rosolare qualche minuto, aggiungere due acciughe dissalate e pochi pomodori pelati a piacere. Far cuocere a fuoco lento per un’ora e mezza/due ore, bagnando con brodo di pesce perché

non si attacchi al fondo. Il baccalà dovrà presentarsi ben cotto e corposo. Aggiustare di sale e pepe a piacere.

Nel frattempo, con le dita, togliere la costa centrale del cavolo nero che altrimenti risulterebbe legnosa.

Sbollentare per 5/10 minuti il cavolo in acqua salata in modo che le foglie mantengano la loro consistenza.

Scolarlo e tagliarlo grossolanamente a pezzetti.

Far saltare il cavolo in una padella con tre cucchiai di olio EVO in cui sono state sciolte tre acciughe dissalate. Aggiungere peperoncino a piacere.

Dopo qualche minuto aggiungere i pomodorini tagliati a metà. Proseguire la cottura per pochi minuti. Aggiustare di sale. Sia il cavolo che i pomodorini dovranno rimanere consistenti.

Una volta cotto il baccalà, coprirlo con il cavolo nero e servire.

FILETTO DI BACCALÀ BRASATO, SU CREMA DI CECI BIANCHI DELLA VALLE DELL’ESARO E PATATA DELLA SILA, RIDUZIONE DI MOSCATO AL GOVERNO DI SARACENA E NOCCIOLA TONDA CALABRESE TOSTATA 5 da Fabio Maria Torchia chef di La Tana del Ghiro di San Sosti (Cs) INGREDIENTI PER 4 PERSONE . 350 g filetto di baccalà spugnato . 150 g ceci lessati 4 3 46 La Circolare DI PAPILLON LE RICETTE DEI SOCI

. 150 g patate lessate

. 2 bicchieri di vino Moscato al governo di Saracena

. 50 g nocciola tonda Calabrese

. olio EVO q.b.

. cipolla rossa di Tropea q.b.

. 1 spicchio d’aglio

. sale e pepe nero q.b.

. farina q.b.

. vino bianco q.b.

PREPARAZIONE

Preparare la riduzione di vino moscato, facendo sobbollire due bicchieri di vino con un cucchiaino di amido di mais, tostare le nocciole sgusciate e spellate per 5 minuti in forno o padella, passare i ceci e le patate, unirle in un tegame, aggiustare di pepe nero, sale e olio Evo rendendo il composto cremoso con aggiunta di latte a piacimento.

Passare velocemente il filetto di baccalà nella farina, successivamente in una padella antiaderente, mettere olio Evo, un fine battuto di cipolla rossa di Tropea e uno spicchio d’aglio, brasare velocemente il filetto creando la sua crosta superficiale, sfumando in ultimo con del vino bianco.

IMPIATTAMENTO

Mettere in un piatto leggermente concavo la crema di ceci e patate a vostro piacimento, adagiare una porzione di filetto di baccalà brasato, chiudere il piatto con la riduzione di Moscato a filo, dare la parte croccante con la nocciola rotta grossolanamente a pioggia e un filo di olio Evo per impreziosire.

POLPETT DE VERS 6

Ricetta “storica” di mia suocera, diventata un must dell’inverno e comunemente chiamata “i verzini”.

La ricetta originale sotto riportata ammette la variante – che noi abbiamo sposato – dell’aggiunta di un mestolo di salsa di pomodoro. L’abbinamento ottimale è con un buon purè.

INGREDIENTI PER 6 PERSONE

. 1 cavolo verza . 350 g carne arrosto, di manzo o di maiale . 60 g salame . 30 g parmigiano reggiano grattugiato . 1 cucchiaio di pangrattato . 1 cucchiaio di prezzemolo tritato . 1 spicchio d’aglio tritato . 1 uovo . 40 g burro . 60 g prosciutto crudo (o pancetta) a dadini . mezza cipolla tritata . 1 carotina tritata . mezza costa di sedano tritata . mezzo bicchiere di vino bianco secco . brodo q.b. . sale, pepe di mulinello q.b.

PREPARAZIONE

Della verza scegliere le foglie più belle e tenere, lavarle, poi con un coltellino ridurre la costa esterna; tuffarle in abbondante acqua bollente salata e toglierle appena riprende il bollore per adagiarle sopra un canovaccio steso sulla tavola e

asciugarle.

Intanto preparare il ripieno mescolando le carni tritate, il parmigiano, il pangrattato, l’aglio e l’uovo.

Impastare a dovere poi confezionare tante palline grosse come un uovo di fagiano; avvolgerle nelle foglie di verza (una o due foglie per pallina), quindi legarle con un filo di cotone.

In una casseruola capace mettere a soffriggere nel burro gli odori tritati insieme alla dadolata di prosciutto, fare insaporire, poi calare le polpette e lasciare che rosolino; versare il vino e farlo evaporare, abbassare il fuoco e terminare la cottura a tegame coperto, regolando di sale e pepe e aggiungendo, se volete, la salsa di pomodoro. Se necessario aggiungere del brodo. Servire i verzini caldissimi, ricoperti dal fondo di cottura.

TRIPPA DEL DELEGATO 7

da Arnaldo Cartotto Club di Papillon del Biellese

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

. 1 kg trippa mista di bue piemontese o di manzo tagliata a listarelle . 90 g cipolle . 80 g carote . 40 g sedano . 300 g salsa di pomodoro

È un piatto che risente della combinazione tra prodotti e ricette di due cucine regionali (piemontese, soprattutto, e romana) secondo il gusto personale di chi scrive.
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La
Circolare DI PAPILLON LE RICETTE DEI SOCI

. 100 g guanciale o pancetta tesa

. 30 g olio extravergine di oliva

. 80 g pecorino stagionato

. alcune foglie di menta

. 50 g vino bianco secco

. brodo vegetale, sale, pepe q.b. . peperoncino q.b.

PREPARAZIONE

Lavare e far bollire la trippa per alcuni minuti in acqua con un po’ di aceto, alcune foglie di alloro e rametti di rosmarino, poi scolarla e sciacquarla con acqua fredda.

In un pentolino preparare il brodo. Tritare le verdure e le foglie di menta e soffriggere nell’olio con il guanciale/ pancetta.

Aggiungere la trippa, poi il vino bianco e quindi salare, pepare e lasciare che prenda colore girando spesso con un cucchiaio di legno.

Versare la passata di pomodoro e il brodo. Cuocere a fuoco basso per almeno 2 ore e, se occorre, aggiungere un po’ brodo in modo da avere a fine cottura una salsa cremosa ma non liquida.

Completare con peperoncino a piacere, un’abbondante spolverata di pecorino e di menta sbriciolata e servire con fette di pane tostato o di polenta abbrustolita.

GULASCH CON SPATZLI 8

da Luca Ligabue

Club Papillon Milano

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per il gulasch

. 800 g polpa di manzo

. 300 g salsiccia

. 2-3 cipolle dorate . paprika affumicata

. 3 patate . cumino

. vino rosso 1 bicchiere . 300 g passata di pomodoro

Per gli spatzli

. 250 g farina 00

. 3 uova

. 150 ml acqua

. 10 g olio Evo e sale q.b. . noce moscata

PREPARAZIONE

Affettare sottili le cipolle e appassirle in 4 cucchiai di olio Evo.

Aggiungere il manzo a bocconcini e la salsiccia a pezzetti e farli rosolare bene. Sfumare con il vino rosso, lasciando evaporare a fiamma viva per qualche minuto.

Aggiungere paprika e cumino, sale e pepe, la passata di pomodoro e far cuocere a fuoco basso per circa 2 ore (finché i bocconcini saranno teneri) aggiungendo alla bisogna del brodo di carne. Dopo circa un’ora e mezza dall’inizio della cottura della carne, aggiungere le patate tagliate a cubetti.

Mescolare le uova con l’acqua fredda e l’olio, aggiungere la farina, il sale e la noce moscata fino a ottenere un composto non troppo liquido, lasciare riposare per 30 minuti.

Intanto mettere una pentola d’acqua salata sul fuoco e portarla a ebollizione. Usando l’apposito attrezzo (o uno schiacciapatate) far cadere il composto nell’acqua bollente e cuocere per 2 minuti (quando vengono a galla sono pronti). Servire il gulasch accompagnato dagli spatzli.

da Maurizio Lega Club Papillon del Ponente Ligure

INGREDIENTI PER CIRCA 30 PEZZI

(4 cm diametro, peso g 20/25)

. 300 g farina bianca tipo 00

. 200 g zucchero

. 100 g cioccolato fondente e cacao in polvere (dose consigliata: g 70 di cioccolato e g 30 di cacao amaro; il cioccolato non deve essere inferiore al 60% di materia grassa)

. 3 tazzine caffè liquido

. 1 cucchiaino rasato cannella in polvere

. 1 cucchiaino rasato chiodi di garofano in polvere

. 1 puntina di cucchiaino sale fino . 1 cucchiaino rasato polvere lievitante . olio extravergine di oliva: q.b. per ungere la teglia (meglio usare la carta da forno)

. acqua di fior d’arancio e zucchero: q.b. per la glassa di superficie

PREPARAZIONE

In una spianatoia sistemare la farina, lo zucchero, il cacao amaro, il cioccolato fondente (fatto sciogliere nel caffè liquido), la cannella, i chiodi di garofano, il sale, la polvere lievitante. Impastare il tutto, amalgamando bene gli ingredienti.

Dall’impasto così ottenuto, dopo dieci minuti di riposo, fare dei rotoloni tipo un grosso grissino, tagliare quindi dei pezzetti dal volume di una castagna marrone e arrotolarli con i palmi delle mani, formando delle palline.

In una teglia unta d’olio sistemare le palline ottenute (cm 2 circa una dall’al-

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CASTAGNOLE
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DI PAPILLON LE RICETTE DEI SOCI
La Circolare

tra), dopo averle umettate nell’acqua di fior d’arancio e quindi immerse nello zucchero nella parte sovrastante (consigliato dello zucchero a grana grossa).

Cuocere in forno preriscaldato a 180/200 °C per 10 minuti.

STRACCHINO

DELLA DUCHESSA 10

da Umberto Dallaglio (ricetta di nonna Secondina)

Club Papillon Modena - Reggio Emilia

INGREDIENTI

. 200/150 g mascarpone

. 3 tuorli di uovo . 3 cucchiai di zucchero (o a piacere) . 0,50 g cioccolato fondente . 6 savoiardi da inzuppare nel liquore (alkermes o altro)

PREPARAZIONE

Montare lo zucchero con i tuorli, unire il mascarpone e mescolare bene. Aggiungere il cioccolato fondente tritato a pezzetti. Foderare lo stampo con i savoiardi imbevuti nel liquore. Versare il composto e coprire con i savoiardi imbevuti.

Coprire con un piatto e riporre in frigorifero per alcune ore.

TORTA DI MELE E CANNELLA DELLA NONNA 11

Per questa ricetta si ringrazia Lara del ristorante Martino di Gandellino (Bg)

INGREDIENTI

. 3 uova

. 250 g farina 00

. 100 g zucchero di canna . 80 g zucchero semolato . 1 bustina di lievito per dolci . 1 pizzico di sale . 1 bicchiere di latte

. 150 g burro . 1 limone . 5 mele . cannella q.b.

PREPARAZIONE

In una ciotola versare le uova, sbatterle con la frusta, aggiungendo poco alla volta la farina, il lievito setacciato e un pizzico di sale. Aggiungere all’impasto il latte e una parte di burro (precedentemente sciolto in microonde), aromatizzare con cannella e scorza di limone grattugiata.

Mescolare dall’alto verso il basso fin quando l’impasto non risulta spumoso. Sbucciare le mele, tagliarle in quattro parti e togliere il torsolo. Quattro mele bisogna tagliarle a cubetti e bagnarle con il succo di limone, questo procedimento servirà a non farle annerire. Imburrare e cospargere con un po’ di farina la tortiera da 26 cm di diametro, versare l’impasto all’interno e aiutandosi con una spatola livellare la superficie.

Una mela bisogna sbucciarla e tagliarla a fettine. Disporre le fettine dall’esterno verso l’interno sull’impasto e aggiungere una spolverata di zucchero di canna e un pizzico di cannella. Infornare a 160

°C per 45 minuti. Servire con zucchero a velo e cannella.

TORTA DI RISO

ALLA BOLOGNESE 12

da Mattia Mazzacurati Club Papillon Bologna

INGREDIENTI

. 1 l latte

. 120 g riso piccolino . 150 g mandorle pelate . 120 g cedro candito . 6 uova

. 300 g zucchero . un pizzico di sale . una noce di burro (per la teglia) . liquore tipo Amaretto di Saronno

PREPARAZIONE

Portare il latte ad ebollizione e versare il riso, 250 g di zucchero e un pizzico di sale. Lasciar cuocere adagio per 25 minuti. Spegnere e far raffreddare completamente. Intanto col mixer tritare canditi e mandorle insieme a 50 g di zucchero (lasciare il tutto granuloso).

A questo punto aggiungere il riso cotto nel latte ormai freddo e rimescolarlo per bene. Lasciare a riposo un’oretta e poi aggiungere le uova sbattute e amalgamare bene il tutto. Imburrare e inzuccherare una teglia rettangolare e versarvi il composto. Infornare a 180 °C per circa 40 minuti (deve diventare marrone in superficie).

Una volta fredda punzecchiare la torta e bagnarla con l’Amaretto di Saronno. Ripetere questa operazione a distanza di 3\4 ore.

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Circolare
DI PAPILLON LE RICETTE DEI SOCI

La Circolare

Di seguito le recensioni delle migliori soste fatte in questi mesi, in vista dell’uscita della prossima edizione de IlGolosario Ristoranti

il giudizio

La

faccino normale tutto ok faccino contento lo racconterò agli amici faccino radioso commovente, 10 e lode corona radiosa miglior ristorante

le categorie

agriturismo locale gemello pizzeria locale polifunzionale negozio con ristoro ristorante trattoria trattoria di lusso vineria cantina con ristoro i simboli possibilità di pernottamento in loco presenza di menu o piatti per vegetariani presenza di un parcheggio gli animali di piccola taglia sono ammessi presenza di una spa presenza di tavoli all’aperto possibilità di portare a casa quanto ordinato e non consumato durante il pasto

BELLEVUE COGNE (AO)

RUE GRAND PARADIS, 22 TEL. 016574825 - www.hotelbellevue.it

Riposo: martedì e mercoledì; aperto solo a cena, su prenotazione Ferie: da inizio ottobre a metà dicembre; dal 22/3 all’8/4 Prezzo medio: Euro 80

OSTERIA DELLA LUCE

BOVES (CN)

VIA ING. CAPELLO, 5 TEL. 3487962580

Riposo: domenica a cena; lunedì Ferie: variabili

Prezzo medio: Euro 30

In questo tempio dell’ospitalità, che il 7 novembre abbiamo celebrato a Golosaria per ricordare il grande Piero Roullet, ci siamo tornati a distanza di un anno esatto. E in questi 12 mesi tanto è cambiato: Piero è con noi, ma ci guarda dal cielo, avendo lasciato la sua terra, la sua famiglia e la sua creatura di ospitalità ai primi di gennaio. In cucina abbiamo trovato Niccolò de Riu, fiorentino, con esperienze importanti negli hotel della sua città (uno su tutti il Baglioni). Quindi immaginatevi la carica che ha tutta la squadra in cucina, in attesa di aprire, fra qualche mese, anche il mitico Petit. Ma la sua cucina si esprime già con grande soddisfazione qui, dove non manca l’uovo di Re Vittorio, ovviamente, ma voi chiedete subito la sua pappa al pomodoro fritta e resterete basiti tanto è ghiotta. Niccolò ha una cultura del prodotto, in perfetta sintonia con quanto ha costruito negli anni Piero, per cui la trota di Lillaz marinata agli agrumi, il suo caviale, spuma di yogurt e sentori di levistico è un’esaltazione di quella carne turgida. A me ha impressionato pure la consistenza della battuta di Fassona, salsa tonnata, mandorle e frutti del cappero in frittura. E mi sbilancio dicendo che è la miglior interpretazione dell’anno. Di primo ecco le linguine Felicetti al pesto di rucola e mandorle su specchio di Parmigiano Reggiano Riserva 36 mesi, succulente come i due piatti precedenti. Ai secondi, si gode con la morbidezza assoluta del filetto di maiale grigio al Vin santo e limone candito, con purea di sedanorapa affumicato e chips di topinambur. In chiusura anche un dolce, “il Sentiero di lampone”, dalla freschezza assoluta. Fra le novità anche la mocetta di produzione propria – eccezionale – e poi l’entusiasmo continuo di Rino Billia, il mitico sommelier che, anche questa volta, è riuscito a spiazzarmi.

Paolo Massobrio

Una stradina tranquilla nel centro storico di Boves: all’esterno ancora due tavolini, una lavagnetta con elencati i piatti del giorno e un’insegna d’epoca con la scritta Osteria della Luce. Quella stessa che scoprirete, entrando la sera, illuminare la prima saletta, dove troneggia il più classico dei banconi da bar. Una luce che però non arriva soltanto dalle divertenti lampade dagli stili più eterogenei, ma soprattutto – ed è quella più autentica – dal sorriso cordiale dei giovani volti che vi accoglieranno all’entrata e che vi seguiranno per tutto il tempo della vostra permanenza. Due le salette deputate, apparecchiate entrambe con spartana essenzialità, in allegro contrasto con l’eclettico accumulo degli arredi più disparati. Tutto in un apparente disordine frutto in realtà di un sapiente equilibrio che fa da cornice a una cucina di tradizione, dove l’attenzione alla qualità delle materie prime si traduce in una ben calibrata offerta di proposte, dietro la cui semplicità si nasconde una notevole capacità di elaborazione dei piatti. Per noi l’antipasto misto con assaggi tipici bovesani: consistenze, sapori e anche colori dal riuscito accostamento; si continua con due primi la semplicità del cui nome non deve trarvi in inganno: i tajarin con funghi porcini, ottimi e abbondanti, e le chicche di patate e farina di castagne ai formaggi, dal perfetto e per nulla stucchevole amalgama. Tradizione rispettata anche per i secondi: buono davvero il classico fricandò di manzo piccantino, ma ottime e, soprattutto, coraggiosedove trovarle, ormai, così? - le trippe in umido al pomodoro. Dolce finale con il bunet cacao e amaretti dalla perfetta esecuzione. Contenuta, ma niente affatto scontata, la carta dei vini, che privilegia piccole produzioni del territorio. Straordinario il rapporto qualità/prezzo. È buono anche il caffè.

Silvana Delfuoco
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LE RECENSIONI
DI PAPILLON LE RECENSIONI
scala dei valori nei giudizi “faccino normale” e “faccino contento” può avere un + o un ++

WALSER SCHTUBA

FORMAZZA (VB)

LOC. RIALE - TEL. 0324634352

TEL. 3393663330 - www.locandawalser.it

Riposo: mercoledì

(tranne da giugno a settembre)

Ferie: 2 settimane in maggio e 2 in ottobre

Prezzo medio: Euro 65

LA LOCANDA DEL DAINO GRONDONA (AL)

VIA ORATORIO, 33

TEL. 01431434935 www.locandadeldaino.com

Riposo: lunedì

Ferie: variabili

Prezzo medio: Euro 35

LA SCHIAVENZA

PIVERONE (TO)

STRADA CHIUSURE, 7 TEL. 0125687541 www.laschiavenza.it

Riposo: mercoledì Ferie: 2 settimane in gennaio Prezzo medio: Euro 40

Nei luoghi dove è nato il Bettelmatt, c’è un gioiello intimo e bellissimo: il Walser Schtuba della famiglia Sormani, con Francesca all’accoglienza e Matteo in cucina. Ci sono 6 camere tutte in legno e la saletta del bar dove offrono tisane speciali e quella del ristorante, con una trentina di coperti. La selezione dei vini è anch’essa speciale per accompagnare una cucina della gioia, dove i grandi classici sono gli gnocchi ossolani che hanno la dolcezza della castagna e sono morbidi, conditi con Bettelmatt e jus di manzo. Altro piatto simbolo è il Pratahapla della Val Formazza con misticanza selvatica, ovvero un fragrante tortino di patate e toma, accanto alla pasta Walser che contempla la verza e alla zuppa di pane con uovo pochè ed erbette. Fra gli antipasti, che ci sono piaciuti molto, la trota di fiume con carciofi e topinambur, il cervo con aglio orsino e limone accanto a una zuppa di mais, erbette e radici amare, davvero originale. Tra i primi ecco i plin di capriolo, erbe alpine e barbabietola, gli spaghettoni al Bettelmatt con Salva e pepe di Sichuan, il Carnaroli allo zafferano dell’Ossola con fegato di vitello e timo. Eccellente il baccalà alla formazzina e le sue trippe in umido e poi un eccezionale filetto in crosta di verza e la sua pancia croccante con patate schiacciate e carote con il loro straordinario olio extravergine di oliva prodotto all’Isola d’Elba. Grandi piatti saranno poi il manzo in due portate e il cervo della Val Formazza in quattro passaggi. Siamo in una cucina che mira alla corona. Con dolce come la zuppa di cioccolato bianco e piccoli frutti e il panettone soave prodotto da Matteo con crema pasticciera al limone. Felicità!

P.S. Si viene qui anche per le piste del comprensorio di Riale per lo sci di fondo, per il Rifugio Bim Se proprio davanti e, in estate, per le escursioni a piedi e in mountain bike. Paolo Massobrio

È bene indicarlo fin da subito. Qui si viene esclusivamente per gustare piatti di selvaggina da pelo, trovandoci nella storica “Casa di Caccia” ottocentesca della famiglia Garrone di Genova, incastonata nell’azienda faunistico-venatoria Cascina Emanuele di Grondona, a ridosso dell’Appennino Ligure-Piemontese. Gli ambienti, caratterizzati da un design ricercato, si declinano su tre livelli differenti (una trentina i posti a sedere), ognuno dei quali caratterizzato da salette intime e raccolte. La materia prima è ovviamente il frutto delle battute di caccia stagionali – al pari di verdure e ortaggi coltivati in loco – e viene trattata con bravura dal giovane chef Giacomo dell’Aglio, studi all’Alma, esperienze sulle navi da crociera e da Andrea Berton a Milano. In sala, invece, c’è un’altra giovane presenza rassicurante e gioviale, Giulia, che declina a voce il menu del giorno. In occasione della nostra visita, la carne di daino è stato il filo conduttore dell’intera serata. A partire dal piatto di salumi a km 0, dove erano presenti anche salumi di suino provenienti da un produttore di fiducia della vicina Savignone, definita nell’800 “La Perla dell’Appennino”. E faceva capolino anche una squisita torta di verdure che meriterebbe un piatto a sé per la sua bontà. Tra i primi, la proposta prevede gustosi taglierini fatti in casa conditi con succulento brasato di daino, in alternativa a tortelli ripieni dello stesso brasato e ad un’ottima polenta con lo stesso condimento. Il secondo è un vero trionfo di sapori e di cotture (perfette) della carne di daino. E qui il plauso allo chef è d’obbligo. A partire dal prelibato filetto, quindi il saporito cosciotto e infine il carrè. Serviti con patate al forno e verdure bollite. Si prosegue su livelli alti con i dolci: imperdibile la “Torta della Bruna”, sottile torta di cioccolato preparata da generazioni nella famiglia Garrone (simile alla torta Tenerina), in alternativa a un ottimo crème caramel con scaglie di cioccolato. Paolo Massobrio e Andrea Voltolini

Sulle pendici della Serra e affacciato sul Lago di Viverone, questo agriturismo ha una storia interessante legata alla famiglia valdostana Bagnod che, nella seconda metà del secolo scorso, portava nei mesi freddi le proprie mucche a svernare nelle cascine del Canavese.

La Schiavenza è infatti uno dei primi tasselli del percorso dell’accoglienza avviato da Roberto Bagnod all’inizio degli anni Duemila insieme all’Agriturismo La Tchavana in Val d’Ayas e poi con CellaGrande a Viverone, un ex monastero benedettino dell’XI secolo divenuto oggi un resort con camere, ristorante, bistrot e centro benessere circondato dalle vigne di proprietà. Qui c’è uno spaccio per la vendita dei propri prodotti (carni, formaggi, salumi, conserve e verdure in vaso e adesso anche i vini e l’olio dei propri uliveti viterbesi), l’Agrigelateria El Marghè. L’agriturismo, inizialmente aperto solo alla sera (mitiche le serate a tema settimanali quali quelle della trippa, del baccalà, del fritto misto, dei bolliti e della bagna cauda), da tempo lo è anche a pranzo. Il pane, i dolci e la piccola pasticceria sono di propria produzione. La cucina è il regno di Cristina, mentre la gestione dell’insieme è affidata al marito Amarildo. Tra i piatti imperdibili, i tagliolini con crema di peperoni e salsiccia al Carema, i ravioli di zucca su vellutata di patate con croccante di lardo ed erba cipollina, il coniglio grigio di Carmagnola con peperoni e olive Taggiasche accompagnato da una polentina, patate al forno e cipolle caramellate. Assolutamente da provare il tagliere dei loro formaggi e, tra i vari tipi di dessert, i gelati dell’Agrigelateria, in particolare il fiordilatte (e non poteva essere diversamente). È previsto il menu da asporto e gli acquisti dei prodotti si possono fare anche online con ritiro della spesa presso l’agriturismo. Arnaldo Cartotto

51 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

ALMONDO

TORINO

PIAZZA GRAN MADRE DI DIO, 2/L TEL. 0114119684 www.almondotrattoria.it

Riposo: lunedì

Ferie: variabili in agosto Prezzo medio: Euro 40

ANTICA OSTERIA DEL CERRETO

ABBADIA CERRETO (LO) VIA DELL’ABBAZIA, 6 - TEL. 0371471009 www.osteriadelcerreto.it

Riposo: lunedì e martedì; aperto solo a cena, sabato e domenica anche a pranzo Ferie: variabili a gennaio e ad agosto Prezzo medio: Euro 54

CASCINA ROSIO

ALBAIRATE (MI)

CASCINA ROSIO, 22 TEL. 0294920659 www.cascinarosio.it

Riposo: lunedì e martedì

Ferie: dal 16 al 26/8

Prezzo medio: Euro 35

Il mondo gastronomico torinese pullula di novità, come questa Almondo Trattoria in piazza Gran Madre subito dopo il GranBar, di lato alla suggestiva chiesa ottocentesca della Gran Madre di Dio. Lo chef Francesco è umbro e ha avuto varie esperienze: le ultime al Cambio.

Il variare continuo del menu permette di spaziare tra le curiosità e le eccellenze gastronomiche italiane più caratteristiche. Lo dimostrano i piatti assaggiati ove, vicino al nostro classico vitello tonnato, troviamo l’umbro brustengo con crudo di Norcia e pecorino; quindi la toscana pappa al pomodoro si appaia al cappon magro. Applausi per un brandacujun sempre dalla Liguria, veramente ottimo. Questo solo per gli antipasti. Tra i primi citiamo solo la pasta con le sarde e le orecchiette di grano arso con cime di rapa. Tre citazioni tra i secondi: carpione alla piemontese, cozze alla tarantina, trippa alla toscana e tocco ligure. Davvero tanta Italia. Detto che il vegano o il vegetariano non digiunerà e non sarà costretto a cambiar locale, detto che la cordialità e la serenità si percepisce in sala e spinge a indugiare al tavolo oltre il previsto, detto che i tavoli ben spaziati permettono la giusta intimità, non resta che sottolineare che in stagione il dehors esterno gode di un colpo d’occhio di grande fascino. Che dire poi dei prezzi? Davvero corretti e invitanti pensando che ci si abbuffa e si mangia dall’antipasto al dolce con 45-50 euro, pagando proporzionalmente meno se ci si vuole mantenere in linea. Cantina non vastissima, ma di qualità con scelte oculate aperte a piccoli produttori meno noti ma validissimi.

Arrivando, davanti a voi, quasi fosse un quadro o un fermo immagine di un filmato di un’altra epoca, una distesa verde di campi curati, su cui si staglia, imponente, l’Abbazia del Cerreto, di fianco a voi, il Sentiero dei fontanili, dove chi ama la natura può viverla andando a cavallo. In questo angolo fatato, l’Antica Osteria del Cerreto. È la “casa” di una giovane grande coppia, Veronica e Stefano Scolari. Lei è regina di accoglienza e segue la sala con collaboratori attenti e veloci. Lui è re dei fornelli, dove dirige la sua brigata, creando piatti che esprimono il suo talento e la sua passione smisurata. L’ambiente è caldo, con più sale, che consentono di star bene in qualsiasi situazione. In tavola sarete felici scegliendo, come antipasto, la pregevole selezione di salumi servita con la composta di cipolle rosse al balsamico, e la giardiniera del Cerreto che, realizzata su ricetta di mamma Margherita, è orgoglio della casa, o ancora come quella chicca, ormai difficile da trovare che è il marbrè di selvaggina Omaggio a Emilio Mazzi. La specialità che vale il viaggio è il risotto Carnaroli mantecato alla “Vecchia Lodi” con zafferano, ragù di salsiccia e pancetta, raspadura «Bella Lodi». Ma non è da meno il risotto Carnaroli mantecato con Pannerone e pere caramellate. Pasta? Tagliolini impasto 40 tuorli al kg, con ragù bianco di coniglio al coltello o paccheri con ragù di storione bianco, pomodoro datterino e basilico fresco. Tra i secondi, il Piatto del Buon ricordo, ovvero la lombata di coniglio con pancetta e olive al Balseto Laudense, servito con la polenta. In alternativa, pregevoli tagli di carne cotti al braciere con le patate. O anguilla con bagna rossa e piselli. A chiudere tortionata della tradizione lodigiana con crema al mascarpone. Chi ama la vita, ci dia retta, questo è indirizzo imperdibile!

Cascina Rosio di Albairate rappresenta qualcosa di compiuto, sia per la tipologia di offerta sia per la qualità della cucina. Condotta dalla famiglia Ranzani con Lino e la moglie Paola, oggi vede i figli Emanuela e Marco alla guida di un gruppo di giovani affiatati. La cascina qui è presente da oltre due secoli: mais, riso, foraggio e allevamento di bovini, suini e animali da cortile. Oggi coltivano anche frutti di bosco e ortaggi secondo i criteri dell’agricoltura ecosostenibile che, con carni e salumi di produzione propria, rappresentano le materie prime per realizzare i piatti. Si può scegliere se sostare nell’agriturismo vero e proprio, oppure nelle sale (quattro) del ristorante. La cucina, curata da Riccardo e Mattia, impiega prodotti che arrivano dalle loro cascine e dalle altre aziende del territorio. Tra i prodotti della Cascina, che ha un punto vendita di Campagna Amica, ricordiamo il riso Carnaroli, la carne fresca, i salumi tra cui il crudo nostrano, il cotechino e la mortadella di fegato; quindi verdure di stagione, frutti di bosco ed erbe aromatiche. Ed eccoci ai nastri di partenza, con l’insalata di cavolo e le cipolle in agrodolce, accanto a un sottile carpaccio di storione affumicato (dell’azienda agricola Pisani Dossi) per iniziare. Bellissimi e ghiotti gli stecchi di riso e latte, superbi i bocconcini di cassoeula (da urlo). La specialità fra i primi sono i risotti: al Gorgonzola e pere al Buttafuoco storico, alla zucca con chips di Grana e noci, oppure il nostro spinaci e fonduta di stracchino. Tra i secondi sarà di una finezza unica lo stracotto di manzo in umido con albicocche passite oppure un superbo rollé di cappone alle castagne che da solo vale il viaggio. Si chiude con il gelato di produzione propria.

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La Circolare DI
PAPILLON LE
RECENSIONI

OSTERIA DEL GALLO 1872

ARLUNO (MI)

PIAZZA DEL POPOLO, 12 TEL. 029017381

Riposo: domenica a cena e lunedì Ferie: 3 settimane dopo Ferragosto e 1 dopo Natale Prezzo medio: Euro 55

CAMP DI CENT PERTIGH

CARATE BRIANZA (MB)

VIA TRENTO E TRIESTE, 63 TEL. 0362900331 www.campdicentpertigh.it

Riposo: martedì; mercoledì a pranzo Ferie: dal 9 al 24/8 e dal 27/12 al 19/1 Prezzo medio: Euro 68

PIZZAUT

CASSINA DE’ PECCHI (MI)

VIA DON VERDERIO, 1 prenotazioni@pizzaut.it www.pizzaut.it

Riposo: sabato a pranzo; lunedì e martedì a cena Ferie: variabili in agosto e a Natale Prezzo medio pizza: Euro 10

A pochi chilometri dal capoluogo lombardo, a due minuti dall’uscita sull’autostrada Milano - Torino, c’è una tavola che vale la deviazione. L’ambiente conquista con il banco bar e la Berkel rossa all’ingresso, con le salette con i mattoni a vista, i tavoli ben distanziati e apparecchiati in modo curato.

L’atmosfera è famigliare, e a occuparsi di voi saranno, in sala, patron Filippo Colombo e sommelier Massimo Zanisi, e ai fornelli, Davide Dalma, cuoco di esperienza. Muovendosi tra mare e terra, con i vini di una buona cantina, potrete gustare la bavarese morbida al carciofo violetto, nocciole ed erbe officinali, con crudo di 36 mesi del Parco del Ticino; tartare di manzo con soncino o tentacoli di polpo arrostito alle erbe con carciofi al tegame, come antipasto. Poi, tra i primi, Carnaroli Riserva Cascina Belvedere alla milanese, maccheroncelli al torchio con ragù di fagiano e ristretto al Nebbiolo o tortelli di capesante e gamberi con battuto di mare e scorza di limone. Tra i secondi, dal mare, goduriosa e croccante frittura di calamaretti con verdure o scaloppa di ricciola del Mediterraneo al forno con salsa ai crostacei. Terra, con filetto di maialino alle mele con riduzione al Porto e polenta rosolata. A chiudere, da provare la versione della casa della specialità del luogo, ossia il dolce Arluno alle mandorle e gelatina di arance. Si va sul sicuro anche con la torta di pere e cioccolato con salsa alla vaniglia. Una bella scoperta!

Questo locale rappresenta un caso, ossia un luogo bellissimo e caldissimo, voluto da Lorella Damiani e Luca Bianchi (la titolare è Elisabetta Pioltelli) che, in quella che un tempo era la cascina di un convento del ‘600, ha creato una serie di ambienti d’antan, eleganti e pieni di ninnoli. Dico che rappresenta un caso perché mangiare bene in un posto che serve centinaia di persone in contemporanea non è da tutti. Quel venerdì sera 2 dicembre c’era il sold out, eppure siamo stati serviti in tempi perfetti, con ottima soddisfazione e spunti di autentica originalità. Sale nel novero dei nostri faccini radiosi (era sulla soglia, ma ora, dopo la prova, lo merita a pieni voti), per tanti aspetti: dalla cucina al servizio, alla selezione dei vini (anche se con questa cucina lombarda qualche vino rosso frizzante in più me lo sarei aspettato). Cosa abbiamo mangiato? Ma la cassoeula monumentale ovviamente, con polenta di grano vitreo macinato a pietra, preceduta da un altro piatto tradizionale che era la rustisciada con sughetto di pomodoro, erba salvia, lonzino di maiale, salsiccia e polenta al latte (ottimo). Ghiotta la tartare di manzetta garronese con funghi pioppini, robiola, Bagoss e biscotto di frolla salata e poi la classica orecchia d’elefante con le patate. Ma eccellenti sono stati anche i ravioli triangolari di grano saraceno al burro di nocciola, pasta di salame e fonduta di Scimudin. Attenzione anche al risotto giallo con luganega e cialda di Grana Padano e alla pasta e fagioli, per finire con la torta delle due sorelle ovvero una tarte Tatin di mele caramellate e gelato fiordilatte. La filosofia di questa impresa si rifà all’economia circolare e alla filiera corta e questo lo si tocca con mano (anzi con la gola). Davvero dei campioni, in un posto dove sarei tornato il giorno dopo.

Paolo Massobrio

Segnatevi questo indirizzo. PizzAut a Cassina de Pecchi. La pizza è uno spettacolo! Se avete già sentito parlare di questo locale, sarà certo per l’eccezionalità del progetto che ha alle spalle, che ha tra i suoi sostenitori un gran numero di figure, una per tutte Papa Francesco. Ora a fare di PizzAut una meta radiosa è innanzitutto il suo essere luogo dell’anima, vivo, gioioso, dove l’atmosfera non è né glaciale da museo, né chiassosa da fast food, ma in cui una volta seduti si ha l’impressione di essere in una grande casa di una famiglia numerosa. Altro must, la prontezza con cui si viene accolti e l’attenzione con cui poi si è seguiti. Ultimo, ma non ultimo, la pizza, buonissima. Frutto di lievitazione di 72 ore e dall’idratazione del 70/80%, è leggerissima e ha lo stesso “sorriso” di chi la prepara e di chi la serve. Cuore di questa avventura formidabile, Nico Acampora, che al suo fianco ha voluto ragazzi autistici, affidando a loro la gestione. È scritto sulle tovagliette ai tavoli. “Tu non sei normale, è il miglior complimento che mi abbiano mai fatto”. Morale, quando verrete qui, stuzzicato l’appetito con salumi e gnocco fritto o con le bruschette, avanti tutta con le pizze, scegliendo tra “Le speciali” tra cui è stragolosa la Bombazza, con pomodoro, mozzarella, ‘nduja, salame piccante e olive Taggiasche, o fatta come si deve la Margherita. Oppure tra Le gourmAut, dove spiccano quelle che sapientemente rispettano la stagionalità, e che ora hanno il gusto della Fuori di zucca, con scamorza bianca, fiori di zucca e burrata o della Aut – unno, con mozzarella, speck, porcini e scaglie di grana. Accompagnandole con una buona birra (da provare la Aut, birra artigianale prodotta per PizzAut dal birrificio Licor Dei di Gessate, uno spettacolo la IPA) o con un gioviale vino della casa sfuso. Sarà una sosta “speciale”!

53 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

BOTTEGA CULINARIA

CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)

VIA TORRIANI, 40 TEL. 029240469 www.ristorantebottegaculinaria.it

Riposo: domenica (aperto per eventi o su richiesta)

Ferie: dall’1 al 15/1; 2 settimane in agosto Prezzo medio: Euro 40

MIRAMONTI HOTEL AND RESTAURANT

CHIESA IN VALMALENCO (SO)

VIA NICOLÒ RUSCA, 20 TEL. 0342556427 www.miramontichiesa.it

Riposo: martedì

Ferie: aprile e maggio e da metà settembre a novembre Prezzo medio: Euro 58

ARMONIE DI GUSTO RETRO OSTERIA

CUSANO MILANINO (MI) VIALE MATTEOTTI, 5 TEL. 0266409732 www.armoniedigusto.it

Riposo: lunedì

Ferie: le 2 settimane centrali di agosto Prezzo medio: Euro 54

I “ragazzi” son cresciuti. E prima “emergenti”, ora sono pienamente “emersi”. Stiamo parlando di Valerio Freri, Marco Visconte e Mauro Brambilla, trio affiatato e di valore – sul cui successo, avevamo scommesso sin dai loro primi passi – che vi aspetta alla Bottega Culinaria di Cernusco sul Naviglio. E allora sui nostri passi, qui, veniteci, ci ringrazierete. All’esterno due vetrine. All’interno, la sala da pranzo, divisa in due spazi, tinteggiata di fresco, candida, con i pannelli fonoassorbenti al soffitto ad assicurare una perfetta privacy e i tavoli, apparecchiati con cura, alla giusta distanza uno dall’altro. In sala Valerio è vero anfitrione e, se amate il vino, da lui avrete consigli di piena soddisfazione, sui migliori abbinamenti. La cucina è sapiente mix di tradizione e creatività, con i piatti che hanno profumi e sapori ben calibrati. Da un menu che si modula sulla stagionalità delle materie prime e sulla spesa quotidiana. Tra gli antipasti è piatto da veri ghiottoni l’uovo cotto a bassa temperatura con porcini, salsa allo zola e purè di patate. Goduria pura. In alternativa potrete gustare il roastbeef di Black Angus, rucola, Salva cremasco e maionese ai porcini. Tra i primi c’è grande cura nella preparazione della pasta fresca, e se vi va potrete godervi sia i casoncelli caserecci ripieni di reale di manzo al latte e salsa alla zucca sia gli gnocchi di semola fatti in casa con pesto di cime di rapa Tra i secondi tonno scottato al sesamo con zucchine marinate al lime, stracotto di manzo purè di patate e salsa stracotto o la sempre presente battuta di fassone qui, con l’uovo, un must. Sorbetto alla mela verde o cheesecake ai frutti di bosco a chiudere una sosta che ci fa dire che il balzo in avanti è subito documentato con il faccino radioso! Marco Gatti

È timida la Ceci, al secolo Cecilia Pircher, oggi nelle cucine dell’Hotel Miramonti di Chiesa Valmalenco. Fresca degli studi all’Alma di Colorno, eccola in questo locale con una sala al piano di sotto le cui finestre danno sulla vallata. Un posto semplice, per un menu sfizioso e una discreta scelta di vini. Agli antipasti arriva la tartare di Fassona al coltello con chips di patate e con maionese alla senape, capperi, acciughe e scalogno. Ottime le crocchette di baccalà mantecato con crema di broccoli, acciughe e scorza di limone candito; quindi la freschezza della trota salmonata con insalata di mele e puntarelle. Ai primi non mancano i pizzoccheri; corroborante la crema di zucca con ricotta mantecata con i porri e le mandorle tostate. Una specialità sono i tagliolini fatti in casa con il “cunch” che è un ragù di pecora. Ci sono anche i cavatelli con le code di gamberi. Ai secondi ecco un piatto della cucina giapponese: pancetta di maiale stufata con cetrioli marinati al sesamo; ma anche la guancia cotta nel vino rosso con polenta croccante. Ci sono poi tanta attenzione e meticolosità nel comporre il panino con hamburger fatto in casa, cipolle caramellate, spinaci saltati con peperoncino e formaggio erborinato. Ghiotto! Buoni anche i dolci del giorno come il gelato al miele su stecco ricoperto di cioccolato fondente, oppure la spuma al caramello con gelato alla panna e sale Maldon. Come pre-dessert: una pallina di gelato alla panna con lampone.

P.s. Si trova a pochi metri dell’Hotel Tremoggia, dove sempre su queste pagine presentammo la cucina radiosa di Enrico Lenatti, mentre sulle piste da sci dell’Alpe Palù, la polenta taragna della vostra vita sarà al Rifugio Rundai! Paolo Massobrio

Formidabile il percorso di questa realtà, creatura dei fratelli Luca e Marco Savese e Federica Camolese. Il loro progetto è stato accendere una luce di gusto alla portata di tutte le tasche, nell’hinterland milanese. E, da subito, la loro presenza è diventata un fattore di cambiamento, tanto che hanno aperto anche la Retro-Osteria, uno spazio pensato per portare al gusto i giovani. Come hanno fatto a vincere questa sfida? Il locale ha il calore del sentirsi a casa, con la bella saletta con le travi a vista, e il dehors ricavato nella corte alle spalle, che ha la poesia dei ritrovi festosi del dopoguerra. La cantina è un invito a stappare, sia per la genialità della selezione sia per l’ammirevole ragionevolezza dei prezzi, con possibilità di scelta al calice di tutto rispetto. Soprattutto, Luca, Marco e Federica hanno l’anima degli osti, dividendosi tra fornelli e servizio con quella passione contagiosa che fa la differenza. Un piacere dell’accoglienza che ha contagiato in primis Daniele Olivieri, il sommelier che vi seguirà a sua volta con vero spirito da oste. Ultimo, ma non ultimo, la cucina, che vi farà felici con porcino alla milanese con maionese, paté di fegatini con pane brioche all’uva o battuta di fassona piemontese con capperi acciughe pecorino e cipolle stufate. O con quell’antipasto dell’oste che porterà in tavola una trionfale sequenza di cose buone, da condividere, e che da solo, quasi, vale un pasto. Tra i primi, mare, con fregola risottata con gamberi rossi di Sicilia, bottarga di tonno e cipolla rossa caramellata. O terra, con risotto alla Bonarda, capra blu e pere cotte al vino. Di secondo, trionfo di Milano con una “busecca” da campionato del mondo, vale il viaggio! Succulenta costoletta alla milanese cotta nel burro chiarificato con le patate. Nei mesi più caldi, protagonista diventa il pesce, qui trattato con mano particolarmente felice.

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La Circolare
DI PAPILLON LE RECENSIONI

MAREDIVINO

DESIO (MB)

VIA LOMBARDIA, 56 TEL. 0362620019 www.maredivinoristorante.it

L’EK BISTROT

LECCO

PIAZZA XX SETTEMBRE, 50 TEL. 03411693747 www.lekbistrot.it

Riposo: domenica a cena e lunedì Ferie: 3 settimane in agosto e 1 in dicembre Prezzo medio: Euro 64

Riposo: lunedì Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 83

ACQUADA MILANO

VIA VILLORESI, 16 TEL. 0235945636 www.acquada.com

Riposo: domenica Ferie: dall’8/8 al 6/9 Prezzo medio: Euro 90

Salvatore Biondo è un giovane che abbiamo conosciuto agli inizi della sua carriera. E qui prima trasforma la trattoria in ristorante, curando ogni particolare; poi mette a frutto il suo talento per la cucina. Morale, oggi, MareDiVino (questa la nuova insegna), è tavola elegante e stragolosa, dove l’ambiente è di grande fascino, il servizio, diretto dalle ottime Linda Prizzon e Noemi Del Sordo, è puntuale, la carta dei vini è un invito a stappare, con oltre 400 etichette che dicono del suo “primo amore”. Ciliegina, a dicembre Biondo ha concluso i lavori di ristrutturazione con cui ha trasformato i vecchi locali collocati di fianco al ristorante in una grande, moderna cantina, dove si possono svolgere pranzi o cene riservate. Per voi, il benvenuto che potrà avere il gusto del raffinato carpaccio di capasanta con emulsione di basilico, piuttosto che delle due creazioni dai sapori decisi, ossia del pan brioche con acciuga del Cantabrico San Filippo burro alla barbabietola e crema di limone o del moscardino in zuppa con cracker ai grani antichi. Pronti a “salpare”? Via con l’antipasto: tonno a panzanella (panzanella rivisitata) o il polpo in doppia cottura e i sapori delle mie origini (caponata scomposta). Quindi lo spaghettone wow con ostriche, lardo, burro acido e polvere di caffè. In alternativa, il mare in un piatto ossia linguine spezzate saltate con burro e salvia servite con battuto di calamaro, gambero Mazara, cozze, ricci di mare e concentrato di gamberi e verdure. Di secondo? Buonissimo il calamaro scottato con crema di peperoni affumicata ed emulsione di prezzemolo. Da provare la ricciola con crema di pomodori confit, puntarelle, estratto di lattuga e olive Taggiasche. A chiudere, finale a tutta gola con il “dolce salato al pistacchio” (cremoso al pistacchio con meringa salata, fondente e frutti rossi). Marco Gatti

Luca Dall’Orto ha dato a Lecco il locale che non c’era, il bistrot contemporaneo L’Ek. E allora, quando sarete qui, valutato, se ci verrete a pranzo, se approfittare o meno della proposta ghiotta, ma più semplice, pensata per il mezzogiorno, o se, al contrario, procedere scegliendo alla carta. Pescando dall’invitante menu che Luca Dell’Orto, con Emanuele Iddas, il suo secondo, e Simone Andreacchio, ogni giorno imposta sulla spesa quotidiana. Seguiti nel servizio dalla bravissima Linda Redaelli, potrete iniziare con una ghiotta insalata di porcini e latteria, o con la trota marinata con zafferano padano e prugna, o ancora con la lingua di vitello con bagnetto rosso rafano e foglie di cappero. Sapendo che anche il vitello tonnato all’antica sarà un inizio di piena soddisfazione. Poi, come primo, il palato andrà in visibilio con il doppio raviolo di porcini e burrata con tartufo, o con quei ravioli di lumache di vigne nel loro brodo di aglio dolce che è emozionante omaggio a quel gigante della cucina che è Claudio Prandi, che proprio a pochi chilometri da qui, dimostrò il suo valore. Di secondo, imperdibile, il cervo in crosta di erba di montagna con cavolo cappuccio e salsa alla melagrana, un altro piatto capolavoro che svelerà padronanza tecnica, capacità di far sintesi tra cucina d’alta scuola e creatività, e mano da artista. Una provocazione golosa, piccione & anguilla. A chiudere, royal al caffè con mandorle sabbiate spuma al latte o torta au citron con meringa all’italiana. Un nota bene. Patron Luca ha anche grande competenza sui vini, di cui è vero appassionato, e la sorpresa sarà che, nel suo “bistrot parigino – lecchese”, troverete una selezione formidabile di etichette italiane e francesi, con possibilità di spaziare anche al calice con somma soddisfazione. Marco Gatti

La sorpresa del ristorante Acquada, di proprietà di Luca Corsini, che produce anche vini speciali in Transilvania (qui li potete assaggiare tutti, azienda Lechburg) è vedere la continuità, favorita anche da Tano Simonato, che ha avviato la sua cucina proprio qui. Marco Gatti fu il primo a credere nella cucina dell’ottima Sara Preceruti. Siamo in un luogo di eleganza moderna, ma caldo, con un servizio attento. I menu degustazione variano fra le 6 e le 9 portate a 80 e 105 euro. Alla carta si spende qualcosa in più. Per noi l’uovo cotto 62° su crema di zucca e rafano, limone fermentato e carpaccio di champignon; la tartare di astice con crema di sedano rapa, yogurt, puntarelle, patate viola cristallo e polvere di olive (molto delicato, ma ricco di troppi ingredienti che coprono in qualche modo l’astice). Fra i primi, ecco gli gnocchi di patate con ragù di pernice rossa, carciofi, passatina e insalata di mele (anche qui sul filo della delicatezza, mentre la pernice evoca gusti più incisivi). Spaziale sarà il risotto affumicato alla zucca, con panna acida, canederli di gamberi, caviale al nero, lamponi e cavolini di Bruxelles. Una delle migliori interpretazioni di risotto dell’anno (il riso è Riserva San Massimo). Ai secondi non perdetevi i medaglioni di vitello “alla saltinbocca”, polvere di prosciutto di Parma, salvia croccante, gelato e patate schiacciate. Quindi il petto di fagiano ripieno di ricotta e castagne, porcini trifolati, salsa ai frutti rossi e caviale di prezzemolo. Una riuscita interpretazione. Ai dolci sarà ghiotta la zuppetta di cachi con mousse di rosmarino, gelatina montata al limone, ma anche il Gianduia veste rosso ovvero peperoni baby con mousse di gianduia, pasta frolla, gelato al latte di capra. Andateci! Paolo Massobrio

55 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

RISTORANTE

PIAZZA DEI MESTIERI

MILANO

VIA PRIVATA MIRAMARE, 15 TEL. 0289454684 www.milano.ristorantelapiazza.com

OSELETA

HOTEL VILLA CORDEVIGO

CAVAION VERONESE (VR) LOC. CORDEVIGO - TEL. 0457235287 www.ristoranteoseleta.it

LA PATERNA

GIAVERA DEL MONTELLO (TV)

VIA A. CARRETTA, 34 TEL. 0422882491 www.agriturismolapaterna.com

Riposo: sabato a pranzo e domenica Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 58

Riposo: martedì; aperto solo a cena, sabato e domenica anche a pranzo Ferie: da gennaio a marzo Prezzo medio: Euro 115

Riposo: lunedì e martedì Ferie: 1 settimana in febbraio Prezzo medio: Euro 78

Dopo Torino e Catania, La Piazza dei Mestieri è arrivata anche a Milano. E mangiare qui è sempre una bella esperienza di accoglienza, a cominciare dal concepimento degli arredi, tutto legno e vetri, come un invito a guardare oltre, perché da qui si dipana anche un bel panorama. Il resto è giocato su un design minimalista che permette di vivere questo luogo per vari momenti fra colazioni di lavoro, eventi privati e aziendali, team building e laboratori di cucina. Il ristorante è al terzo piano di questa palazzina, con un grande tetto di legno a capanna sotto cui c’è la cucina a vista che guarda la sala con una dozzina di tavoli. In cucina c’è un ragazzo decisamente bravo, umile, che porta il nome di Agostino Camozzi e che conoscemmo e apprezzammo anni fa come sous chef in un ristorante emergente di Milano. È lui, insieme con Maurizio Camilli (già a Torino e coronato), che ha impostato il menu e immaginato anche la curiosa carta dei vini. Ora, iniziando con un amuse bouche, eccoci di fronte alla scelta di quattro antipasti dove è stata una bella sorpresa la millefoglie di patata dolce mantecata con cialda di michetta soffiata e petali di cipolla, ma anche la tartare di Leccia con chutney d’uva. E, avendo questo luogo una derivazione piemontese, non poteva mancare la battuta di Fassona con tuorlo d’uovo in crosta di pane. Ai primi i bottoni di zucca, amaretti e mostarda con semi di zucca e il suo olio erano ghiotti; corretto il risotto allo zafferano con midollo e cioccolato piemontese. Da standing ovation, il diaframma alla milanese con verdure saltate, miglior piatto della serata, anche se era ben fatto il polpo croccante con vellutata di ceci e capperi disidratati e il lingotto di ricciola con oro di cavolfiore giallo e finferli. Si chiude al dessert con la crème brûlée al cioccolato bianco e passion fruit, ma anche una divertente terra di cacao con spuma di cocco e pere di maracuja. Paolo Massobrio

Uscendo dalla stanza del Vescovo, un’accogliente e suggestiva suite all’interno del Wine Relais Villa Cordevigo, eccovi nel ristorante Oseleta, annesso al Relais col giovane e intraprendente chef Marco Marras. Gli amuse bouche entrano in scena assieme a un calice di Chiaretto di Bardolino Spumante-Villa Cordevigo, anfitrione del territorio e delle due famiglie Delibori e Cristoforetti che dal 2004 si prendono cura della villa, dei restauri, ma anche di un contesto storico di rara bellezza e patrimonio di tutti. Lo scampo marinato al miele, frutto della passione, jelly al sambuco e spolverato di granita alle mandorle è un piatto al servizio dei sensi. Altro antipasto ci porta alla terra dello chef, Sardegna: carciofo leggermente affumicato, crema di topinambur e liquirizia, piatto vegetale cesellato di spessore e leggerezza. Altra interessante entrée è la capasanta scottata, crema di zucca mostardata, shiso, riduzione di Amarone e chips di scorzonera. Il piatto che più mi ha colpita sono le linguine monograno Felicetti con crema di porro, cannolicchi e bottarga di muggine e pane al timo, incontro di mare e terra di delicata eleganza e marcata interpretazione sarda come il precedente carciofo. Perfetto il paring con il bianco di Villa Cordevigo. La pasta fatta a mano ripiena dei ravioli di zucca, blu di bufala con salsa ai marroni e riduzione di Valpolicella esprime il forte legame che lo chef ha con la stagione, i suoi prodotti e alla sostenibilità. Dorso di sanpietro alla mugnaia e polvere di liquirizia hanno insolita dolcezza e sapidità. Ricordo anche un carrello di formaggi tra i più interessanti mai visti. Tra le tre proposte di dolci che seguono i pre-dessert ecco il cioccolato ripieno di castagne, cremoso alla vaniglia e gelato di fava tonka. In primavera sarà ancor più bella l’atmosfera e la vista che si gode sul parco. Emanuela Sanavio

Il ristorante La Paterna, in posizione bellissima, dominante la pianura sottostante, all’esterno vi accoglie con un aspetto di rustica eleganza, con l’edificio che bene si integra con la natura dei dintorni, trovandosi ospitato in un’antica casa colonica, risalente alla fine del secolo scorso. All’interno, a sinistra, la sala dedicata all’agriturismo (dove si gustano piatti più semplici), mentre, a destra, il ristorante, elegante, con un’ampia spaziatura tra tavolo e tavolo, e le mise en place curate. Giovanni Merlo, chef patron, è cresciuto nella cucina di famiglia affascinato da nonna Pierina e nonna Elvira, da cui ha imparato il mestiere e, dopo essersi laureato in dietistica e aver fatto esperienze importanti all’estero, oggi è guida sicura dello staff che lo affianca ai fornelli. La sua cucina dice di solide basi e attraverso i piatti svela il tratto principale della sua personalità, ovvero il suo essere ricercatore appassionato. Con servizio attento, mai invadente, grazie al maître Giosuè Benincà, preparatevi per una bella esperienza. Da un menu, che si modula sulla stagionalità, ecco carciofi, topinambur, foie gras e acciuga. Altrettanto golosi i rognoni di vitello, con crema di fagioli gialet e porcini. Fatta eccezione per chi non ama una cucina di selvaggina, il piatto memorabile sarà il risotto con la beccaccia. Un capolavoro! Di pregevole esecuzione, tuttavia, tra i primi, anche le tagliatelle con ragù a coltello di bue allevato “da noi” al pascolo e lo spaghettone Mancini con ricci di mare alla busara. Secondi a tutta gola con “Testa – coda di vitello” e fegato di vitello alla brace con agretti di cipolla al lampone, patate e gnocco di susine. O con triglia in crosta di riso all’italiana e salsa busara. Medivik (torta moldava con il miele), sarà il piatto finale all’altezza di una sosta da ricordare. La carta dei vini è molto ampia e ben studiata con diverse chicche d’Oltralpe. Il conto lascia il sorriso. Una bella realtà! Marco Gatti

56 La Circolare
DI PAPILLON LE RECENSIONI

HOSTARIA

AL VECIO BRAGOSSO

VENEZIA

CANNAREGIO 4386 TEL. 0415237277 www.alveciobragosso.com

Riposo: lunedì

Ferie: variabili in inverno Prezzo medio: Euro 77

EL MOLIN CAVALESE

(TN)

PIAZZA CESARE BATTISTI, 11 TEL. 0462340074 www.alessandrogilmozzi.it

Riposo: lunedì e martedì; mai in agosto Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 130

LAMM MITTERWIRT

SAN MARTINO IN PASSIRIA (BZ)

VIA DEL VILLAGGIO, 36 TEL. 0473641240 www.gasthaus-lamm.it

Riposo: domenica a cena e lunedì Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 48

“Ristorante

E il riferimento al pesce viene ribadito non soltanto dal nome scelto per il locale, quel bragosso che era l’imbarcazione usata dai pescatori di Chioggia fino al primo dopoguerra, ma anche dagli arredi: oggetti della vita marinara qua e là sulle mensole, quadri e disegni d’epoca alle pareti. E la suggestione si completa all’apertura del menu, leggendo l’offerta dei piatti dove tutto, o quasi - c’è anche infatti una sintetica ma interessante proposta di carne - ha il sapore degli ingredienti e delle ricette della tradizione lagunare. Con queste incoraggianti premesse, confortati anche da una cortese accoglienza che si tradurrà ben presto in un servizio dalla sicura professionalità, ha inizio la nostra cena veneziana, in una tranquilla serata di metà ottobre. Freschissima e abbondante l’offerta di molluschi grigliati della stagione, tra cui ricordiamo in particolare ottime capesante dalla perfetta cottura; altrettanto si può dire per l’invitante sauté di cozze e vongole “alla chioggiotta”, frutto del mercato del pesce della cittadina ai margini della laguna veneta, abituale punto di rifornimento di Carlo e Giuliano, i due titolari del locale. Piatto davvero radioso fin dall’accurata presentazione gli spaghetti con seppie nere “alla veneziana”, perfetto per punto di cottura ed equilibrio nell’amalgama degli ingredienti. Eccellenza che continua negli scampi e gamberoni dell’Adriatico alla griglia, dove la qualità della materia prima viene attentamente valorizzata da una cottura attenta e puntuale. E come sottrarsi all’offerta, fuori carta, di un assaggio delle prime moeche della stagione, semplicemente impanate e fritte, come tradizione vuole, e accompagnate dalla classica polentina bianca? Si termina, scelti tra i dolci del giorno preparati dallo chef, con un’avvolgente mousse gorgonzola pere e noci e un goloso tiramisù. Silvana Delfuoco

Alessandro Gilmozzi e la cucina di El Molin Essenze ha due formule di menu degustazione di 8 o 13 portate (a 140 o 170 euro) con abbinamento vini (a 50 o 70 euro) a opera dell’ottimo maître Iliass El Ammari. Appena varcata la soglia, sei avvolto dal mistero di un mulino riattato, con le sue antiche macine in bella vista. Ora, dopo i doverosi amuse bouche, si inizia con le miniature wild che introducono al concetto di cucina di montagna (o Dolomitica) di Alessandro. Fra formaggio di pinoli, muschio, tarmele e cocktail affumicato, la portata che m’ha conquistato è stata il pape de Mondole (piatto antichissimo della valle di Cembra, col mais tostato e frullato, zucca lavorata con aceto di lichene, castagna passata in salamoia per 21 giorni e finocchio essiccato a rifinire). Geniale, fra i primi, il macaron di pasta Felicetti, mentre la lepre con il plin in contaminazione è un descrittore preciso della sua capacità di concentrare i gusti (o le essenze) in un piccolo boccone. Fra i primi arriva anche un risotto speciale che vuole rendere omaggio al suo passato da Ducasse dove ha imparato la sublimazione della lumaca. Notevole è poi il piatto di mezzo il pane del viaggio, con una pagnotta fragrante appena sfornata (pane di segale su cui spalmare un burro di malga affumicato, accanto al formaggio Zigher). Si prosegue con la nostra minestra di funghi, dove l’incisività del gusto in questa forma non m’è mai capitato di sentire. Sorpresa poi per un piatto che ricorderemo a lungo: la radice di prezzemolo (la usano in pochi, mentre Gilmozzi cuoce la radice concentrando il suo sapore). Un piatto assoluto! Si prosegue con la guancia di cervo brasata, di una delicatezza unica, prima di arrivare al piatto simbolo che è l’icy corteccia ovvero un gelato alla corteccia di cirmolo con crumble di sottobosco: mirtillo, ginepro, betulla candita, nocciola selvatica e lichene candito. In chiusura le miniature dolci.

Eccoci nel locale della famiglia Fontana, con la cuoca Hildegard e i figli Thomas in cucina e Alexander in sala insieme al papà Arnold. Il locale è nel centro di questo tipico paesino di montagna e l’ingresso si guadagna da una balconata in legno; l’interno, suddiviso in due spazi principali, a destra e a sinistra dell’ingresso, esprime subito calore e anche il nostro tavolo tondo facilita l’approccio alla cucina che nella prima pagina del menu dichiara tutti i fornitori, che sono locali, piccolissimi. Un cenno merita sia la carta dei vini, che è riccamente territoriale, sia l’offerta dei vini a bicchiere, che annovera una decina di referenze sempre altoatesine. Il menu è altrettanto ghiotto, con due tipi di buon pane fatto in casa. Si apre con speck e rafano, la pralina di formaggio fresco di capra biologico con carpaccio di rape rosse; quindi il carpaccio di cervo della Val d’Ultimo e l’ottima (ma non per dire) tartare di bovino grigio con cavolo bianco sotto aceto

Fra i primi, per me, anche l’ottima crema di porcini con pane nero croccante, accanto alla zuppa con la trippa. Da provare i ravioli ripieni con crauti stufati e poi gli eccezionali canederli alle rape rosse, oppure gli straordinari canederli al formaggio arrosto su insalata di cavolo. Ottimo fra i secondi il filetto di salmerino alpino della Valle Passiria con polenta al limone, spinaci e salsa al vino bianco. Eccellente anche il filetto di cervo accanto alla costata di cervo con topinambur, cavolo rosso e marmellata di mirtillo rosso. In carta anche la bistecca alla milanese con confettura di mirtilli rossi fatti in casa. Si chiude con il buonissimo strudel del giorno e gli eccezionali canederli dolci di papavero con gelato alla vaniglia fatto in casa. In conclusione un’esperienza eccezionale con i complimenti a tutta la famiglia per l’impostazione che si distingue sul chilometro zero. Voglio già tornare! Paolo Massobrio

di pesce a Venezia”: così recita il sottotitolo nella pagina web di questa Hostaria Al Vecio Bragosso, sulla Strada Nuova del popolare sestiere di Cannaregio. Paolo Massobrio
57 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

QUELLENHOF LUXURY

RESORT PASSEIER - GOURMET

RISTORANTE 1897

SAN MARTINO IN PASSIRIA (BZ)

VIA PASSIRIA, 47 - TEL. 0473645474 www.quellenhof-gourmetstube1879.it

Riposo: domenica e lunedì

Ferie: dall’8/1 all’1/3 Prezzo medio: Euro 95

NONNA ROSA BOLOGNA

VIA PIAVE, 31/B TEL. 0516153921 www.trattorianonnarosa.it

MANUELI

FAENZA (RA)

VIA SANTA LUCIA, 171 TEL. 0546642047 www.ristorantetrattoriamanueli.it

Riposo: lunedì; martedì a pranzo Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 40

Riposo: domenica a cena; lunedì e martedì

Ferie: variabili Prezzo medio: Euro 37

Se siete arrivati al Resort di lusso Quellenhof di San Martino in Passiria, sarà notevole l’esperienza nel ristorante Gourmetstube 1897, che porta la data di fondazione e che vede ai fornelli il geniale Michael Mayr e, in sala, il maître e sommelier Matteo Lattanzi, preparatissimo sui vini, da scegliere in una carta spaziale ed enciclopedica. Il ristorante ha una quarantina di coperti, divisi in vari ambienti. La cifra dello chef è quella di combinare il cibo locale con i prodotti internazionali, cercando armonia in un gioco fra dolcezze e acidità. E, come sempre, saranno gli amuse bouche i descrittori indicatori di una cucina distintiva. Ci sono tre menu degustazione da 4 a 6 portate. Il primo a 105 euro, il secondo di cinque portate a 120 euro e il terzo di sei portate a 135 euro. Via dunque con coda di bue con spuma di patate e scorzonera; oeufs noir con caviale Kaluga e cipolla di Tropea; formaggio Belper Knolle con finferli e quinoa; pak choi con capesante aceto di riso e sesamo; formaggio di pecora con miele dell’Alto Adige e noci. Abbiamo poi assaggiato diversi piatti, ognuno abbinato a un vino e, se devo dire il piatto memorabile che ancora mi sogno di notte, la scelta va al Beuscherl: una ricetta antica di granoturco, scorzonera e scaglie di tartufo bianco. Via con il sontuoso astice limone salato, topinambur e frutto della passione e poi l’Happy foie, ossia cervo, topinambur salato e fave di tonka che sembra rispecchiare l’incipit della filosofia della chef su dolcezza e acidità. Ai primi ravioli alla barbabietola con formaggio alpino, piccione Miéral e liquirizia. Maestosi i secondi con sella di capriolo e spalla d’agnello brassata. Si chiude coi dolci: dulcey banana mandarino e sale marino e pera noci pecan e timo al limone e quindi la piccola pasticceria. In conclusione, una cucina originale per un’esperienza che merita, senza se e senza ma, la nostra corona radiosa.

Un weekend di ottobre, in occasione della visita a Bologna da parte di amici, dopo un giro per le strade del centro si decide di far loro provare un posto che si trova poco distante da Porta San Felice, una delle 12 porte di Bologna: è un luogo che ti riporta indietro nel tempo. Siamo al civico 31/B, in via Piave, alla Trattoria Nonna Rosa. Una osteria come una volta, un locale informale, dove Dino e Vito ti accolgono tra locandine cinematografiche e maglie di giocatori che hanno segnato la storia del calcio. Qui si possono scoprire i piatti dell’antica cucina bolognese: inno al territorio e alla tradizione. Abbiamo “taffiato” i tortellini alla panna, la cotoletta alla bolognese accompagnata dai funghi fritti, mentre il resto del tavolo ha scelto l’uovo della nonna (uovo con funghi, brie, speck e tartufo) e la polenta montanara con ragù e funghi. Tutta la pasta – dalle tagliatelle ai passatelli, ai tortellini, ai ravioli – è fatta in casa, e si sente. Tra i secondi potete trovare pure la tagliata di manzo, la cotoletta alla milanese e il pollo in padella con le verdure. Al momento del dessert ecco la torta tenerina al cioccolato, la zuppa inglese e la torta di mele. La sosta è stata soddisfacente da tutti i punti di vista: per l’atmosfera calorosa, per la qualità del cibo e per l’ottimo rapporto qualità/prezzo. Un luogo rustico e ospitale con piatti che, per la loro bontà, rimangono impressi! Consigliamo dunque la Trattoria Nonna Rosa per ogni occasione, anche solo per gustare un piatto di pasta, così come lo faceva la nonna. Matteo Ciocca

C’è una Romagna autentica, aspra e selvaggia tutta da scoprire. E il fulcro è il Monte Trebbio, passo appenninico boschivo ricco di biodiversità e costellato di antiche pievi, cascinali, radure e muretti a secco. Ed è proprio lungo la direttiva panoramica che lo collega a Faenza, nella vallata del Torrente Samoggia, che fa capolino questa trattoria familiare di inizio Novecento, specchio fedele dei sapori genuini di questa terra. Ambienti rustici esterni costituiti da un bel giardino estivo e dalla veranda, e due ampi saloni all’interno retrò, ma accoglienti, rappresentano il biglietto da visita del locale, che si distingue anche per un servizio veloce, cordiale e premuroso, svolto, tra sala e cucina, dalla famiglia Guerrini. Il menu è davvero ampio, ma il punto forte sono le paste fatte in casa e le carni a Km 0 (eccellenti quelle cotte alla griglia); ma non mancano proposte di pesce, e sono ottime anche le piadine, la pizza fritta e la polenta fritta (l’assaggio è d’obbligo!). Si beve anche bene nel segno del Sangiovese e di altre interessanti referenze vitivinicole romagnole. Tra gli antipasti, ecco il tortino di porro su crema di patate e porcini; lo sformato di fegatini di pollo e coniglio con verza saltata e polenta; i deliziosi radicchi rossi e verdi con bruciatini di pancetta all’aceto! A seguire, squisiti i cappellacci di zucca mantecati e pancetta saporita, al pari dei tortelli di ricotta di pecora al porro e guanciale e della crema di zucca con funghi e formaggi di fossa. In alternativa, tortelli di patate con ragù di salsiccia, zuppa di cipolla con formaggio fuso e crostini di pane.

E ora, il trionfo della carne a km 0, che tocca la vetta goduriosa nella proposta del castrato romagnolo o della faraona alla griglia con odori; quindi lo spezzatino di vitello romagnolo al sugo con patate e il baccalà ai ferri. La proposta dei dolci prevede, tra gli altri, la crema romagnola (zuppa inglese).

58 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

LOCANDA SENSI

RIVERGARO (PC)

LOC. CASE NEGRI, 116 TEL. 05231820409 www.locandasensi.eu

Riposo: mercoledì

Ferie: mai

Prezzo medio: Euro 74

IL COLLE

BARBERINO DI MUGELLO (FI)

VIA DEL LAGO, 26 TEL. 0558422208 www.ristorantepizzeriailcolle.it

Riposo: lunedì a cena Ferie: 25/12 Prezzo medio: Euro 43

DAL CACINI

SUVERETO (LI)

VIA DEL CROCIFISSO, 3 TEL. 0565828313 www.ilcacini.it

Riposo: martedì Ferie: variabili in inverno Prezzo medio: Euro 50

Hanno curato ogni dettaglio. A partire dalla scelta dell’insegna, Locanda Sensi, dove perfino ogni lettera vuole raccontare del loro progetto, con la “S”, che sta per “S”ogno, a dire di cosa avevano nel cuore i titolari, Cinzia e Simone Barani, quando hanno messo mano a questa avventura. Questa “Locanda”, vi aspetta in un angolo poetico del Piacentino, a Rivergaro, immerso nel verde con vista che spazia sulle colline dei dintorni. Ci sono tre suite eleganti, ma è possibile rilassarsi prenotando massaggi e trattamenti. È un valore anche il ristorante dove, in un’atmosfera di rara serenità, va in scena la grande cucina di Mauro Brina, chef di origini bergamasche. Ci si accomoda nella bella sala all’interno o, quando è bello, nel dehors che regala uno splendido colpo d’occhio. Generosa la proposta, che si articola in 4 menu degustazione e nella carta. Via con gli antipasti: lumache, polenta taragna, porcini, chimichurri, melograno, parliamone: lingua di vitello, tè nero affumicato, lamponi, borragine e mare e monti (capasanta alla brace, levistico, agrumi). Tra i primi, riso, con Gigante Vercelli, zafferano, cipollotto alla cenere, liquirizia. Pasta, con cappelletti, storione e foie gras, caviale, fumetto al vino bianco, o come una lasagna (con pacchero picula ad caval, besciamella). Tra i secondi, è autentico pezzo di bravura, il piccione si fa in quattro: filetto, petto, coscia, frattaglie. Dal mare, mercato di Chioggia (pescato del giorno, beurre blanc, puntarelle). In alternativa, visto che nel dehors c’è una grande e bellissima griglia, fiorentina (o costata) dry aged su pietra di sale ketchup di peperoni, accompagnata dal contorno di stagione. Dolce finale, con Monte Penice il Monte Bianco nella mia immaginazione, tradizione: (sbrisolona gelato di zabaione al passito Igt Zibibbo di Pizzo) o Gin Sensi 2.0, geniale scomposizione di un Gin Tonic. Segnatevi l’indirizzo. Saranno famosi!

Marco Gatti

Per sentirsi davvero in Toscana il posto giusto è Il Colle. Lo trovate a Barberino di Mugello, subito dopo l’uscita dell’autostrada A1. È una realtà articolata, che comprende un ristorante toscano, una pizzeria e una bottega. E che è frutto dell’attività trentennale dell’azienda agricola di famiglia, dedita all’allevamento di Chianine (bovini), Cinta Senese Dop (suini) e Suffolk (ovini). Al piano terra trovate il food market, regno di Alessandro Mocali, che seleziona tutti i prodotti in vendita fra cui moltissime referenze del Golosario. Comprende una zona per la frutta e la verdura che arrivano anche dall’orto di proprietà, il banco dei formaggi: locali, biologici, a latte crudo e chicche d’alpeggio selezionate dal piemontese Franco Parola; la zona della carne fresca e dei salumi, con quelli di Cinta Senese prodotti con la carne dei suini allevati nell’azienda agricola poco distante; la panetteria che ogni giorno propone pane cotto nel forno a legna, ma anche la tipica schiaccia toscana; la gastronomia con tanti piatti d’asporto o da degustare in loco per una pausa pranzo veloce (per noi pappa al pomodoro, ribollita, lasagne al forno, polpette al sugo e altre sei proposte ghiotte) e anche un angolo bar. Inoltre valgono l’acquisto le confetture, realizzate con la frutta dell’azienda e l’olio extravergine d’oliva, anch’esso di propria produzione. Sempre al piano terra c’è la pizzeria (aperta solo la sera), che impiega farine prodotte da agricoltori locali per realizzare un impasto ottenuto da una miscela di tre farine, fatto lievitare 48 ore, ad alta idratazione, che rende la pizza molto leggera e digeribile.

I pomodori sono quelli biologici coltivati nel Sud della Toscana, la mozzarella fior di latte e la burrata arrivano dalla Puglia mentre la mozzarella di bufala proviene da un caseificio in provincia di Caserta.

Al primo piano invece c’è il ristorante con una particolare attenzione alla carne cotta alla brace Paolo Massobrio

Suvereto è uno dei Borghi più belli d’Italia, gioiello della provincia di Livorno a pochi chilometri dalla Costa degli Etruschi e dal magnifico Golfo di Baratti. Essendo centro medievale perfettamente conservato, di suo vale il viaggio. Dal Cacini è nel cuore del paese, sulla salita per il Chiostro, ed è vera oasi di gusto.

L’ambiente è curato, con due salette che sembrano salotti e un magnifico giardino pensile appoggiato sui tetti, che regala una splendida vista sul mare, che spazia fino all’Isola d’Elba. A dividersi i compiti di servizio e cucina, Moira Serini e Marco Ticciati, lei in sala e lui ai fornelli. Questa coppia affiatata vi stupirà per come vi accoglierà, quasi foste amici a casa loro. E vi sorprenderà per la loro scelta fuori dagli schemi, di creare un menu, di mare, quotidianamente, in base alla spesa fatta ogni giorno in una loro pescheria di fiducia, a Piombino, e con le verdure del loro orto. Per capirsi: non hanno il frigorifero, perché il loro credo è materia prima eccezionale per dare la massima soddisfazione. Da qui, la loro proposta che prevede tre antipasti, due primi, due secondi e tre dolci. E allora, quando sarete qui, potrete gustare pesce spada con le bietole servito in elegante cartoccio, vellutata di zucca con i crostini o lampuga con le patate. I primi potranno avere il gusto degli gnocchi al nero di seppia, mentre tra i secondi sarà un piatto memorabile la zuppa corsa Non sarà da meno quella golosità che è la palamita in umido, prima dei dolci del giorno (nel nostro caso tiramisù, yogurt alla doppia panna e fichi e una selezione di biscotteria con vino Passito). Ora, se il menu degustazione è un paletto che noi in tanti casi avversiamo, qui ci troviamo di fronte a un caso d’eccezione perché a comandare non è la creatività dello chef fenomeno, ma la materia prima come deve essere. Il pesce ha una carne che racconta freschezza, mare. Vale il viaggio la zuppa corsa.

59 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI

Bakery Dal Mauro

Nella centralissima Galleria Guerci di Alessandria, storico salotto cittadino, Fabio Toninello, 32 anni, ha inaugurato in autunno la Bakery Dal Mauro, quale dedica a suo padre. Formatosi come chef con esperienze in giro per l’Italia, durante la sua permanenza a La Fermata di Spinetta Marengo (Al), è stato letteralmente rapito dall’arte della panificazione e della lievitazione. Così, dopo vari studi ed esperienze, anche sotto la guida di due mentori quali il sommo Luca Scarcella e Antonio Follador di Follador Forno dal 1968 di Pordenone, è passato a esercitare l’arte bianca partendo da farine d’eccellenza. I suoi pani artigianali di varie pezzature realizzati con lievito madre mantengono intatte le proprie qualità organolettiche fino a cinque giorni! Tra le proposte: quello “comune” di farina tipo 1 Linea Antiqua e integrale (by farine Bongiovanni), il Tipo 2 con lievito madre di segale con sentori nocciolati nella crosta (By Molino Sobrino), il Campagnolo, il Perciasacchi, il più pregiato grano antico siciliano – detto anche Farro Lungo Siciliano – (By Molini del Ponte) e altri. Autentica ghiottoneria, poi, la proposta dei “pani conciati” (guanciale e uvetta, olive Taggiasche…) e delle “crostelle” –ibrido di crostino e frisella – fatte con le farine di grani antichi siciliani (Tumminia, Russello) del citato molino trapanese. E poi l’inedita proposta di pizza alla teglia romana, classica e gourmet con le farine tipo 1 e tipo 2 del Molino Bongiovanni (con crema di zucca, formaggio di capra, salsiccia di Bra, poi bagna cauda e cardo, e di ispirazione romana ecco quelle alla carbonara oppure cacio e pepe). Ampia pure la proposta di croissant di “scuola francese”, deliziosi, fragranti, burrosi, lievitati perfettamente, senza dubbio i migliori della città: al pistacchio, alle varie confetture di frutta o semplicemente senza nulla, dove tuttavia si sente fragranza e burro in un morso soave.

Local To You

MERCATALE DI OZZANO DELL’EMILIA (BO)

VIA G. GALILEI, 24 - TEL. 3272008394

A pochi km da Bologna, più precisamente a Mercatale, una piccola frazione tra Ozzano e San Lazzaro, circa 20 anni fa, alcune famiglie della comunità Papa Giovanni XXIII, decisero di condividere la loro vita accanto alle persone più fragili e bisognose, facendosi carico dello sviluppo della loro persona attraverso l’educazione e soprattutto l’impiego lavorativo. Nacque così Coltivare Fraternità, braccio agricolo della cooperativa sociale. Poi, nel 2017, dall’incontro con Benedetto Linguerri, giovane laureato in economia desideroso di “fare impresa”, è nata Local To You, una piattaforma per l’acquisto online che offre un servizio di consegna a domicilio nell’area della città metropolitana di Bologna.

Oggi la piattaforma conta circa 500 referenze che spaziano da frutta e verdura, uova e condimenti, vino, birra, farine, pasta, legumi, formaggi e salumi, coinvolgendo in questo percorso alcuni tra i migliori produttori biologici, di prodotti freschi e trasformati, della zona.

Da qui è partito il progetto UnPo’, con lo scopo di affiancare alla vendita online e alla fornitura ai ristoranti la vendita diretta, offrendo così anche la possibilità di introdurre prodotti trasformati e pronti al consumo quali zuppe, insalate, IV gamma, panificati e tanto altro. Molti dei prodotti presenti all’interno della bottega sono realizzati dalla chef Sara che, dopo varie esperienze in ristoranti blasonati, ha deciso di lanciarsi in questa avventura con la cooperativa. Oltre alla lavorazione dei prodotti è anche responsabile della mensa della cooperativa dove vengono serviti quotidianamente circa 300 pasti. L’esperienza di UnPo’ ha portato grandi soddisfazioni. Quindi, perché non continuare? Sono già partiti i lavori per l’apertura del secondo UnPo’, prevista per marzo 2023, presso San Lazzaro di Savena.

Kraedu

SAN LEONARDO IN PASSIRIA (BZ) KARLEGG, 4/A - TEL. 3939855123

Rosi Mangger Walder, classe 1976, è erborista e maestra fiorista, oltre che appassionata ed esperta da lontane generazioni nella coltivazione di piante ed erbe tipiche della Valle Passiria, da utilizzare in cucina, crude o in infusione, e anche come medicamento.

L’abbiamo incontrata nel suo negozio di San Leonardo in Passiria, aperto martedì e giovedì dalle 16 alle 18 o su appuntamento telefonico, che sembra un posto delle fate, dove ci ha raccontato la sua storia. Dapprima impiegata in un’azienda di giardinaggio, ma sempre col ricordo della nonna Agnes e dei suoi saperi, quando rimase incinta del primo figlio Samuel, dovendo scegliere di curarsi con le medicine o con altro, ha rispolverato il libro della nonna e lì le si è aperto un mondo.

Dal 2014, dunque, Rosi si dedica alla coltivazione di erbe aromatiche e rare nel suo giardino di 2.000 m². Pratica l’agricoltura biologica e la permacultura, andando anche oltre i dettami della stessa.

Le erbe, oltre a essere vendute per il consumo fresco, sono trasformate e miscelate per realizzare infusi come il Froninger o tisana della casa utile per il benessere di tutto il corpo e il Passer con funzione depurativa, e poi sali aromatizzati, cuscini profumati e piccole composizioni decorative, oltre a una serie di creme per il corpo, efficaci nel caso di dolori, come quella a base di arnica. Infine ricordiamo il MaWohl e il HaWohl, due estratti di erbe basati su un’antica ricetta che è stata utilizzata per decenni, se non secoli, per problemi di stomaco/intestinali (MaWohl) e per il mal di gola (HaWohl).

Tutti i suoi prodotti sono venduti con il nome di Kraedu, anche nel comodo shop online.

PRODOTTO CLAMOROSO
PRODOTTO CLAMOROSO
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60 La Circolare DI PAPILLON LE RECENSIONI
@ m a r c o d o g g i o n o p r o s c i u t t i 0 3 4 1 5 76 2 8 5 Via Lazzaret to 29 - 23848 Oggiono (LC) Tel. 03 41 5 7628 5 - w w w.marcodoggiono.com

DA MAGGIO 2023

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Il vino e il turismo producono L’ENOTURISMO ESPERIENZIALE

Che è il tema de IlGolosario Wine Tour, la guida che esce per il 2° anno consecutivo con la recensione di 1.500 cantine che in Italia offrono degustazioni a pagamento in luoghi accoglienti, ma anche posti letto, cucina e altre iniziative che permettono di godere appieno l’ambiente circostante.

Paolo Massobrio, insieme a Marco Gatti, porta a scoprire la bellezza dell’Italia attraverso cascinali ristrutturati, cantine moderne, borghi e dimore storiche.

In ognuna c’è una speciale chiave d’accesso, che si chiama Vino.

La guida segue la scansione regionale, da Nord a Sud, tenendo come riferimento i territori del vino, oppure le province.

ASPETTANDO PASQUA

il prodigioso duello 25 storie di intrepida speranza

Incuriosisce il sottotitolo di questa raccolta di 25 storie d'autore in prossima uscita per Comunica a febbraio (pagine 104, prezzo di copertina 16 €). Qui Annalena Valenti, già autrice con Valeria De Domenico e Raffaella Carnovale di Aspettando Natale – la prima opera della collana Vivide Vite, edita da Comunica e andata sold out nel dicembre 2022 – si propone ancora di accompagnarci con letture scelte, durante l'attesa di un'altra grande ricorrenza dell'anno cristiano, per nulla facile da spiegare, la Pasqua. Ma nell'introduzione (ne pubblichiamo di seguito un estratto) è la stessa Annalena Valenti a dare ragione di una scelta così azzardata come scrivere un libro che parla ai bambini del prodigioso duello tra vita e morte.

Questo libro contiene 25 storie, più una, che accompagnano noi e i nostri bambini verso il grande mistero della Pasqua. Mistero, paradosso, punto focale del cristianesimo, tutto contenuto nel sottotitolo che chiarisce subito il percorso del libro e anche a chi è rivolto.

La sequenza che si recita in chiesa la domenica di Pasqua dice: “Morte e Vita si sono a rontate in un prodigioso duello”. Non ci servono anni di Covid e guerre per rendercelo presente, forse lo fanno sentire in maniera più acuta e pressante, ma il prodigioso duello avviene tutti i giorni della nostra vita, il duello tra l’a ermazione del senso di tutte le cose, che dà vita e speranza, e la mancanza del senso, che non fa neppure alzare dal proprio letto. La natura stessa ce lo fa vedere in modo mirabile e, tra lo scorrere del tempo e le stagioni che si susseguono, l’inverno della sepoltura e la primavera della rinascita, il decadere e il fiorire, possiamo cogliere i segni di una speranza. Abbiamo allora cercato tra le parole di leggende, fiabe e poesie, i segni di questo duello, che prima di essere cristiano è proprio dell’uomo di ogni tempo. La prima scelta è stata quella di cercarli lì dove si percepisce la speranza e la ricerca del bene e non si a oga nella disperazione del nulla. Sì, anche le storie rivolte a bambini e ragazzi ne sono piene. I nostri bambini sono un inno alla vita e alla speranza, diamo loro gli strumenti, anche quelli letterari, per avvicinarsi sempre più al perché delle cose, a rontando il bene e il male senza banalizzazioni, sempre certi della promessa di felicità nascosta tra le pieghe del reale. Anche questo è dare la vita.

Le 25 storie cominciano il mercoledì delle Ceneri e si concludono la domenica di Pasqua. 25 storie, qualcuna più impegnativa, e che necessita di un compagno di strada “grande”, più una, la poesia di Resurrezione. Nelle prime sei settimane troverete tre storie la settimana, il mercoledì ci sarà un racconto o una fiaba, il venerdì è il giorno dedicato alle leggende intorno alla passione di Gesù, e la domenica ci sarà sempre una poesia che ricorda in modo esplicito che la vita vince il prodigioso duello. Nel nostro mondo già ci sono i segni della rinascita, della primavera, della speranza, di un ri–sorgere. Segno umano, parziale ma inequivocabile, della Resurrezione di Cristo, che dalla chiesa cristiana viene sempre ricordata nella messa della domenica. Nella Settimana Santa, dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua, ogni giorno una storia, più una di Resurrezione, eterna giovinezza che irrompe".

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Detto questo il libro contiene, oltre le leggende di Pasqua trascritte delle autrici, anche fiabe di H. C. Andersen e O. Wilde, racconti di A. Cechov, A.M. Canopi, V. De Domenico e G. Gozzano e poesie di E. Dikinson, A. Negri, S. Quasimodo, G. D'Annunzio, E. Pea, R. Pezzani, D. Valeri e altri autori. A illustrare il percorso delle letture troverete le opere del pittore e illustratore svedese Carl Larsson, mente i podcast delle storie sono realizzati da Mariarosa Greco per Mamma Oca mammaoca.com (il blog dedicato alle fiabe, cui Annalena, Valeria e Ra aella si dedicano da oltre 10 anni).

ESTRATTO DELL'INTRODUZIONE di Annalena Valenti

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