Il Giornale dei Comuni magazine n. dicembre 2016

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ROBERTO DIPIAZZA

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ACQUISTO TRAMITE APP

MARCO OLIVETTI

QUOTIDIANO E SPUNTINO SULLE FRECCE

L’ineludibilità della NEWS E INTRATTENIMENTO A BORDO TRENO riforma costituzionale

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IL REFERENDUM non ha cancellato la necessità di alcune riforme

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L’INTEGRAZIONE socio-sanitaria e i bisogni della popolazione

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MENO CENTRALISMO e maggior autonomia. Un segnale chiaro

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DALLA FRANCIA una nuova frontiera per la sanità

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SINDACI, città e welfare. La nuova politica di Trump

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ANCIRISPONDE

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RISORSE e competenze al servizio del bene comune

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UNA APP per aiutare le popolazioni terremotate

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TUTTO IL CINEMA IN COMUNE.. Non solo a Venezia

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L’IMPORTANZA della sussidiarietà

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PagoPA un sistema uniforme per pagare la Pubblica Amministrazione

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OPEN Ahjo-Helsinki. Region Infoshare

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LA PREVENZIONE salva la vita

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TRA IL PRINCIPE E IL POPOLO, il futuro dei corpi intermedi

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LIBRI E DINTORNI

Errata corrige: la pagina CONAI (71) del presente numero annulla e sostituisce quella del precedente. Ci scusiamo con il CONAI e con i lettori

IL GIORNALE DEI COMUNI MAGAZINE DIRETTORE RESPONSABILE: Lucio D’Ubaldo, direttore@giornaledeicomuni.it direttore editoriale: Giorgio Carbonara, carbonara@ancitel.it Consulente per il coordinamento delle attività editoriali: Daniele Di Mario responsabile SEGRETERIA di redazione: Antonella La Porta - tel. 06.762911, segreteria@ giornaledeicomuni.it REdazione: via dell’Arco di Travertino, 11 - 00178 Roma tel. 06.762911, redazione@giornaledeicomuni.it - www.giornaledeicomuni.it ART DIRECTOR: Daniela Toccaceli. STAMPA: STR Press Srl - via Carpi, 19 - 00071 Pomezia (Rm) EDITORE: Ancitel Spa, SEDE LEGALE: Via dell’Arco di Travertino, 11 - 00178 Roma SEDE AMMINISTRATIVA: Via dell’Arco di Travertino, 11 - 00178 Roma PARTITA IVA: 01718201005 CODICE FISCALE: 01796850585 Reg. Tribunale di Roma n: 10541/85 CCIAA Roma n: 600447 Capitale sociale: euro 1.861.844,00 Concessionaria per la pubblicità: 3S Comunicazione - Corso Buenos Aires 92 - 20214 MILANO, tel. 02.87071950 - info@3scomunicazione.com Prezzo

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EDITORIALE GDC NOVEMBRE DICEMBRE

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IL REFERENDUM NON HA CANCELLATO LA NECESSITÀ DI ALCUNE RIFORME

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l referendum sembra lontano un secolo. È nato un nuovo governo e l’inquietudine, veicolata da una lunga campagna elettorale, si trasferisce altrove. Allo scioglimento anticipato delle Camere si guarda con un senso di rassegnazione, ma insieme con qualche perplessità. L’Italia ha bisogno di stabilità e di riforme, come pure di una certa coesione per affrontare le numerose emergenze sociali e politiche. Del resto, non si possono neppure ignorare gli impegni, specie sul piano europeo e internazionale, che sono già in programma per il primo semestre del 2017. Dunque, il nuovo anno si annuncia complicato. Torniamo al referendum. Con la vittoria del No tramonta un’ipo-

nella motivazione del sessanta per cento degli elettori ha pure agito un senso di smarrimento per il discorso sulla semplificazione dei processi legislativi e di governo, forse perché il dibattito sulla crisi della democrazia porta allo scoperto il malessere legato alla mancanza di partecipazione. Sarebbe sbagliato archiviare il messaggio proveniente dalle urne. Si tratta di cogliere l’essenza politica di una dinamica che appare più centrata, nelle aspettative della maggioranza, sulla condivisione delle responsabilità e la diffusione del potere. L’investitura diretta di sindaci e governatori richiede oramai una diversa armonizzazione con le istanze di partecipazione. Il mondo delle autonomie, spes-

tesi di riforma, non la necessità di alcune revisioni all’ordinamento repubblicano, in particolare nei rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali. Sul Titolo V, in effetti, quindici anni fa si è operato con fiducia esagerata nel federalismo. Oggi, finita quella stagione, si avverte l’urgenza di una operazione di ricalibratura di poteri e funzioni per decongestionare il carico di pendenze presso la Corte costituzionale in merito a numerosi conflitti in materia di legislazione concorrente. È una questione molto delicata. In realtà, il voto popolare del 4 dicembre ha disattivato la procedura con la quale si è voluto promuovere l’intervento riformatore, ma sarebbe azzardato negare come tra gli stessi sostenitori del No fosse presente un desiderio di rinnovamento, sebbene con altra caratura e prospettiva. Di sicuro,

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so anticipatore di soluzioni destinate nel prosieguo del tempo ad avere un impatto più generale, deve aprirsi a una nuova riflessione sulla identità della democrazia locale. Rivitalizzare le assemblee elettive, partendo appunto dai Comuni, è il modo migliore per impedire, ad esempio, l’involuzione in senso podestarile della figura (pur sempre amata) del sindaco-manager. Le distorsioni sono sotto gli occhi di tutti. Per questo vale la pena riaprire il dibattito, a tutto campo e con rigore, non avendo paura di rimettere in discussione gli “idola fori” introdotti dalla retorica dell’ultimo ventennio attorno all’assoluto primato delle piccole patrie, ovvero del localismo esasperato e improduttivo

LUCIO D’UBALDO @lucioalessio



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EDITORIALE GDC NOVEMBRE DICEMBRE

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MENO CENTRALISMO

E MAGGIOR AUTONOMIA

DAL REFERENDUM UN SEGNALE CHIARO Nel penultimo numero di questa rivista, dedicato all’analisi tecnica e amministrativa del quesito referendario sulla modifica della seconda parte della Costituzione, Ancitel ha fornito un’ampia ed esclusiva rassegna di opinioni di costituzionalisti e Sindaci in vista del voto del 4 dicembre. Oggi ci troviamo a commentare un risultato netto e incontrovertibile. Lasciando ad altri ambiti le letture politiche del voto, possiamo provare ad avviare una riflessione sulle possibili spinte motivazionali che hanno coinvolto in modo specifico e diretto i Comuni e i territori. 1 - La revisione costituzionale aveva un definito impianto centralizzante. Molti dei poteri che la riforma del Titolo quinto aveva assegnato alle Regioni venivano portati sotto l’ala del Governo. É potuto così sembrare che i Comuni quasi scomparissero per essere, per così dire, “cannibalizzati” o dallo Stato o dalle Regioni. Si può ritenere che questo fattore abbia avuto un suo peso nelle scelte di voto degli elettori (dimostrato peraltro dal fatto che la mobilitazione dei Sindaci non ha per una volta spostato gli equilibri di fondo). 2 - La configurazione istituzionale proposta si articolava in tre grandi “gradi” amministrativi: il potere centrale, le Regioni, le aree metropolitane. In parallelo a questa architettura amministrativa – e in alcuni casi anzi in antitesi a essa – i territori si stanno invece muovendo in una direzione che si potrebbe senz’altro definire di “sintesi territoriale”: l’aggregazione dei Comuni in aree amministrative nelle quali le direzioni progettuali dello sviluppo locale partono dalla specificità dei territori per costruire i propri “posizionamenti di sviluppo”. E anche questa tensione latente ha probabilmente influito sull’esito del voto, segno evidente che l’articolazione tra “poteri” amministrativi costituisce un problema aperto ancora lontano dall’essere risolto. 3 - La “rarefazione” del ruolo delle Province, da sempre più vicine ai Comuni, ha probabilmente reso ancor più evidenti i limiti della nuova Costituzione per i Comuni. E sicuramente l’idea del Senato delle autonomie è apparsa – se non proprio impraticabile – quanto meno “leggera” e di limitata utilità per la considerazione degli interessi dei territori. La composizione geografica del voto sembra infine suggerire che la riforma è stata giudicata carente in almeno tre principi basilari delle nuove economie delle reti: a) l’importanza dell’espressività progettuale dei territori; b) l’esigenza primaria di non “comprimere” la forza creativa delle aree locali (l’articolazione dei poteri del sistema amministrativo proposto vedeva infatti quasi “dileguare” la presenza delle autonomie locali, ridotte ad appendici di poteri sovraordinati); c) la necessità di favorire i processi di innovazione che derivano non da politiche uniformi e standardizzate, ma da differenziati processi di apprendimento e di acquisizione di competenze. E’ su quest’ultima esigenza che trova rinnovato impulso la presenza di Ancitel al servizio dei Comuni. Le conclusioni del nostro precedente editoriale vengono avvalorate dall’esito così netto della consultazione, tanto che ci permettiamo di riproporle anche oggi. “Sia che la riforma passi sia che ciò non succeda, i Comuni resteranno uno snodo fondamentale del Paese e del rapporto tra cittadino/impresa e Pubblica Amministrazione. Ancitel dal canto suo continuerà a esserci, fornendo soluzioni e accompagnando il processo di crescita complessiva del sistema Paese, nella convinzione che l’innovazione si persegue anche nel miglioramento quotidiano dei processi amministrativi”. STEFANO DE CAPITANI, Amministratore Delegato Ancitel S.p.A. - @stefanodc

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a vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane porterà necessariamente a una diversa definizione dei rapporti tra Washington e gli Stati federati. Magari non subito, ma con la necessaria riorganizzazione del welfare, gli Stati, attraverso le loro leggi locali, dovranno rendersi protagonisti di una nuova territorializzazione dei sussidi, dell’erogazione delle pensioni e dei servizi sanitari.

Claudio Taddei, scrittore, autore di numerosi saggi sull’America conservatrice e membro di alcuni dei più importanti THINK TANK internazionali, interpreta così il nuovo corso alla Casa Bianca, disegnando un profilo di Trump leggermente diverso da quello che emerge dalla lettura dei media americani o italiani. Taddei spiega come il riflesso della vittoria del tycoon di New York sui rapporti interni tra Washington e gli Stati federati sarà inevitabile. Ma, soprattutto, spiega perché ha vinto Trump, smentendo un luogo comune molto radicato in Europa, quello dell’America liberista. Gli Stati Uniti, al contrario, sono molto meno liberisti di quanto non si creda, il welfare assorbe il 60% del bilancio statale e la vittoria di Trump è una conseguenza delle politiche sociali di Barack Obama, che il saggista considera partigiane e divisive. Quanto al populismo, esso “è una componente della democrazia americana – spiega Taddei –, è una nobile tradizione della politica USA. Certo – concede – la versione offerta da Trump del populismo è del tutto originale ed è coerente con la condizione attuale della società statunitense, che risente della conflittualità cresciuta in seguito alle politiche del governo Obama, ai cambiamenti demografici e a un dirigismo fallimentare. Per esempio, la riforma sanitaria non ha avuto successo e ha comportato una crescita insostenibile dei premi assicurativi,

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SINDACI, CITTÀ E WELFARE. LA NUOVA AMERICA DI TRUMP

Claudio Taddei, saggista e politologo, tra i maggiori esperti italiani di politica USA, spiega il fenomeno Donald Trump: “Il fallimento delle politiche sociali di Obama ha portato alla vittoria del Tycoon repubblicano”. DI DANIELE DI MARIO

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L ’ A M E R I C A È M O L T O M E N O L I B E R I S TA di quanto si creda: i programmi di sostegno assorbono il 60% di un bilancio il cui deficit ormai ha superato il 100% del Pil

la cancellazione di milioni di polizze in essere e nuove difficoltà per i pazienti e i medici”. Taddei definisce quella di Trump “una grande vittoria”, se analizzata alla luce dei risultati in alcuni Stati dove un suo successo sarebbe stato fino a poco tempo fa impensabile. “Quando, alle cinque e mezza del mattino del 9 novembre, ho visto che Trump aveva vinto in Wisconsin ho fatto un salto sulla sedia”. In Wisconsin Trump si è imposto per soli ventisettemila voti. In Michigan per dodicimila. E anche in Ohio e Pennsylvania il presidente eletto ha riportato successi non facilmente prevedibili. Il Wisconsin, del resto, è uno Stato storicamente vitale dal punto di vista della cultura politica. Furono i riformatori del Wisconsin a spianare la strada alla vittoria di Theodore Roosevelt, in qualche modo un antesignano dell’antipolitica. La rivolta si è materializzata in tutto il Midwest, ossia in quegli Stati tradizionalmente operai e agricoli con una componente prioritaria della classe lavoratrice bianca. Così se gli Stati della Costa Est, ricchi e popolosi, si sono confermati roccaforte democratica, insieme a quelli della Costa Ovest come la California, il Midwest – usando un’immagine cara a Taddei – “si è alzato in piedi” e ha fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte di Trump. In Michigan, ad esempio, Detroit, nono-

Il populismo è una parte caratterizzante della politica americana. Trump però ne sta fornendo una sua originale interpretazione

stante la crisi dell’industria automobilistica, ha votato democratico, ma nonostante questo in Michigan, dove vi sono contee di bianchi poveri, ha prevalso Trump. L’America di Obama ha pagato a caro prezzo la globalizzazione e la delocalizzazione di alcune linee di produzione. Detroit ne è uscita a pezzi, decine di migliaia di persone sono letteralmente fuggite abbandonando la città. A favorire il ribaltone, secondo Taddei, è stata la politica assistenziale di Obama, che ha escluso la classe lavoratrice bianca. Ciò è accaduto fin dalla legge di stimolo economico di 900 miliardi di dollari del 2009, in quanto le risorse, anziché andare in infrastrutture di cui l’America ha oggi estrema necessità, sono state riversate nei sussidi agli elettori di Obama. Quanto all’Obamacare, Trump potrebbe decidere di modificarla in modo sostanziale senza revocarne gli aspetti positivi, cioè la copertura della polizza per chi è già malato e per i figli fino ai 26 anni di età. Ma con un welfare che, al contrario di quanto si crede, costa moltissimo e un debito pubblico arrivato ormai al 105% del Pil, spetta proprio ai governi locali correggere le storture delle politiche sociali nazionali. I programmi assistenziali (sanità e sussidi per i ceti meno abbienti) sono spesso oggetto di frodi e abusi, e solo il governo locale è in grado di accertare chi è povero e chi non lo è. L’esempio più evidente è Medicaid, cioè la sanità gratuita per i poveri, un programma che il governo Obama ha allargato senza riformare. Così come è più funzionale che la gestione dei fondi per i buoni pasto e altri programmi di welfare sia affidata agli Stati, spesso ben governati. Di più, Trump sembra destinato a scontrarsi non tanto – come fu per John F. Kennedy e Lyndon Johnson – con gli Stati federali, quanto piuttosto con le grandi città, che in qualche caso gestiscono massicce politiche di sostegno in modo arbitrario. Il sindaco di New York, l’italoamericano De Blasio, ha ottenuto – ricorda Taddei – mezzo milione di voti, decisivi per la sua elezione, solo nei quartieri neri. Una tendenza, questa, che accomuna i sindaci liberal delle grandi metropoli americane, abituati a gestire il welfare per assecondare elettorati e quartieri roccaforte. Un fenomeno assolutamente sconosciuto nei Comuni italiani. Seattle, San Francisco, St. Louis, Chicago rappresenteranno il vero banco di prova nei rapporti tra il nuovo presidente e le municipalità statunitensi. Sono metropoli che vengono definite negli States “città santuario” o “città rifugio”: poiché queste municipalità non rispettano le leggi federali sull’immigrazione, in esse riparano quegli immigrati illegali che, espulsi

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per aver commesso reati, non vengono accolti dai paesi d’origine. Negli USA, dopo un periodo di detenzione, tornano in libertà, e si rifugiano nelle “città santuario”, grazie a comunità disposte ad accoglierli. “Chicago Sud – spiega ancora Taddei – è più pericolosa di Kabul. Anche interi quartieri di Philadelphia, o di New York, o di San Francisco, città gestite da sindaci liberal, sono fuori controllo”. Il presidente degli Stati Uniti ha più di uno strumento per agire: può interrompere l’erogazione dei finanziamenti federali a chi non rispetta la legge e, persino, mettere in stato d’accusa i sindaci. Per questo il ministero della Giustizia può assumere un ruolo centrale nell’amministrazione USA, ben più del Segretario di Stato, perché – osserva Taddei – “serve un procuratore d’assalto per ridurre il carattere politicizzato della giustizia in America”. Città santuario a parte, per il saggista è innegabile che nel corso degli otto anni di governo Obama ci sia stato un riacutizzarsi delle tensioni razziali, perché “le politiche che hanno favorito l’elettorato nero democratico e altre minoranze etniche, come gli ispanici, hanno portato alla rivolta della classe lavoratrice bianca, che ha voltato le spalle alla Clinton e ha votato Trump”. Certo, la vittoria di Trump lascia spazio comunque a tanti dubbi. Perché se da un lato Trump, rispetto ad esempio a Reagan, può riformare il welfare in senso decentrato, dall’altro lato la sua politica economica desta qualche perplessità. Non tanto perché abbia un’impronta decisamente neokeynesiana, quanto perché l’intervento pubblico in economia, traducibile con massicci investimenti nelle infrastrutture, dovrà essere sostenibile. “Gli investimenti in infrastrutture, sicurezza, rifinanziamento della Difesa, cybersicurezza, sono necessari. Ma non

In molte grandi città i sindaci non hanno il controllo di intere zone. Chicago Sud è più pericolosa di Kabul PAGE

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GDC AFFERMARE CHE LA VITTORIA D I T R U M P S I A U N AT TA C C O ALLA DEMOCRAZIA È U N ’ I D I O Z I A S T R U M E N TA L E

si può pensare di rinegoziare il debito degli Stati Uniti – dice Taddei –. Il governo USA non è un’impresa privata a cui applicare una procedura fallimentare. Un debito eccessivo non ha una sostenibilità economica infinita e nessuno può sapere come reagiranno i mercati. Con Obama il debito è raddoppiato in otto anni, da dieci trilioni a venti trilioni di dollari, crescendo come dal 1944 al 2008, superando il 100% del Pil. Se Trump vuole gestire questa situazione dovrà fare ricorso al miglior pensiero conservatore riformista. Oggi il presidente eletto dice di voler lasciare le pensioni e la sanità socializzate e promette investimenti in molti campi, come infrastrutture e sicurezza. Ma dovrà per prima cosa ridurre la spesa, visto che ha anche promesso di abbassare le tasse. E nessun sistema si regge con più spese e meno entrate”. I numeri, politicamente parlando, sembrano però essere dalla sua parte. I governatori repubblicani sono passati da 31 a 33 su 50; alla Camera la maggioranza repubblicana è netta, al Senato è limitata: 51 a 48, in attesa di un ultimo voto. “Nonostante il possibile ostruzionismo dei democratici in Senato – dice Taddei –, i numeri per governare e fare le riforme di cui l’America ha bisogno ci sono. Affermare che la vittoria

I GOVERNI LOCALI AVRANNO UNA NUOVA CENTRALITÀ NELLA RIDEFINIZIONE DELLO STATO SOCIALE E NEL CONTROLLO SU FRODI E ABUSI

di Trump sia un attacco alla democrazia è un’idiozia strumentale. Certo, Trump dovrà rivedere alcune posizioni, come sul Trattato commerciale Transpacifico: il TPP non danneggia l’economia americana, perché abbatte non solo i dazi sulle merci in entrata, ma anche su quelle in uscita; inoltre fa sì che gli USA rinforzino i rapporti con alleati storici come Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, e intrattengano nuove relazioni con Vietnam e altri Paesi dell’Indocina. Anche Hillary aveva intenzione di rivedere il TPP. Lo si può cambiare, magari con accordi bilaterali, ma non cancellare. Si può rivedere anche il Nafta: per vent’anni ha svantaggiato i lavoratori USA favorendo il Messico, cambiarlo non sarebbe uno scandalo. In politica estera, ad esempio nei rapporti con la Russia per un verso e con l’Iran per l’altro, Trump cambierà molto rispetto a Obama. Quel che mi preoccupa – conclude Taddei – sono le forti tensioni negli USA. In America c’è il diritto a manifestare, non il diritto di sommossa. L’establishment, dalle università alla finanza, dalle banche ai media (tranne Fox News), è tutto contro Trump”.

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Risorse e competenze al servizio del bene comune Il Rapporto Cittalia “Una lente sul welfare locale: sviluppi e tendenze” Nella dimensione territoriale risiede la sfida della coesione sociale DI PATRIZIA MAGLIONI

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all’anno 2001 ad oggi, i residenti in Italia sono aumentati di 3.704.859 unità, vale a dire un incremento del 6,5%, che ha raggiunto il valore in termini assoluti di 60.665.551. Una crescita considerevole è quella registrata tra gli over 85, (circa 760.000 persone equivalenti a +61,6% in termini relativi), seguiti a ruota dalla fascia di età che va dai 65 agli 84 anni (+22,8%). Indubbiamente un bel traguardo se riferito ai progressi delle scienze mediche e della cura alla persona. Attualmente la popolazione in età attiva, dai 15 ai 64 anni, riporta un +1,8%, pari ad oltre 672.000 unità, mentre quella in età scolare (dai 3 ai 14 anni) si attesta a +3,9 punti percentuali. In questo quadro d’insieme, un dato che balza agli occhi è quello riferito ai bambini di età compresa tra 0 e 2 anni, che negli ultimi cinque lustri sono diminuiti di ben 100.000 unità, con un calo pari a -5,8%. Un quadro d’insieme che porta con sè un dato positivo legato indiscutibilmente al miglioramento delle condizioni e delle aspettative di vita, ma anche una serie di quesiti aperti relativi all’impegno sociale ed economico strettamente correlato ad esse. La senescenza infatti si coniuga all’aumento delle patologie croniche e degenerative spesso legate, in itinere, alla non autosufficienza, che comporta prestazioni e servizi di lungo periodo. Per questo motivo il nostro welfare dovrà rafforzarsi sempre più in maniera mirata quanto articolata, con un conseguente impegno di spesa. LA POPOLAZIONE STRANIERA IN ITALIA - Negli

anni l’evoluzione migratoria degli stranieri arrivati nel nostro Paese ha visto una differenziazione della componente maschile e femminile (la prima era preponderante fino a poco tempo fa), basti pensare che all’inizio di questo secolo i migranti erano quasi esclusivamente uomini. Negli ultimi anni è stata invece raggiunta una sorta di parità di genere: in primo luogo per i ricongiungimenti familiari e successivamente per una richiesta sempre più importante di colf e badanti. Dagli ultimi dati, le donne straniere arrivate in Italia rappresentano il 52,6% della popolazione immigrata. Nel 2016 gli stranieri residenti in Italia costituiscono l’8,3% della popolazione nazionale con un picco del 14,1% riferito ai bambini in età compresa tra 0 e 4 anni. Spostiamo ora il ragionamento sull’afflusso della popolazione straniera che in età attiva rappresenta un’opportunità nel mercato del lavoro interno, quindi inopinabilmente un fattore di supporto determinante soprattutto alle fasce più anziane della nostra popolazione. Un processo questo che richiede maggiore integrazione sociale. NASCONO SEMPRE MENO BAMBINI - Le donne italiane mettono al mondo sempre meno bambini e ciò spesso accade non tanto per scelte ideologiche, ma per le difficoltà legate al lavoro, soprattutto a causa dell’esigua presenza di politiche a sostegno della famiglia. In questi ultimi anni anche le donne straniere, a differenza del recente passato, avvertono le medesime difficoltà in termini occupazionali, economici e sociali, tanto che assistiamo ad un diminuito numero delle nascite. Il tasso di fecondità complessivo è passato da 2,94 bimbi nel 2006 a 1,97 figli per donna. Ma non è tutto. La combinazione dei fattori socio-demografici e di quelli economici, a cascata, produce infatti un impatto diretto sui livelli di povertà delle famiglie, come pure sulla propensione al risparmio. LE CRITICITÀ CHE SI TROVANO AD AFFRONTARE LE FAMIGLIE - Lo scorso anno nel nostro Paese sono state 2 milioni 678mila le famiglie in condizione di povertà relativa, la cui spesa media mensile (per 2 persone) è risultata inferiore a 1.050,95 euro mensili. Se poi vogliamo volgere lo sguardo a tutto campo vediamo che sono 8 milioni 307mila gli italiani a vivere in condizioni di precarietà: il 13,7% della popolazione nazionale.

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L’OBIETTIVO DELLE AMMINISTRAZIONI è rispondere ai bisogni vecchi e nuovi dei cittadini e alle loro aspettative di vita e di benessere

Negli anni 2005-2007 l’incidenza di povertà relativa in Italia era in modesta flessione (passata da 10,3% a 9,9%), un decremento protrattosi fino al 2010 per attestarsi al 10,3%-10,4% nell’arco temporale dal 2013 al 2015. Il Rapporto di Cittalia “Una lente sul welfare locale: sviluppi e tendenze” ci porta ad osservare la spesa per l’anno 2012 (cronologicamente ultimo disponibile da fonte ISTAT) nel dettaglio territoriale del welfare locale. E’ così possibile vedere come oltre la metà dei quasi 7 miliardi di euro spesi per il welfare riguarda i Comuni del Nord-Ovest (28,8%) e del Nord-Est (26,1%), seguiti dal Centro (24,0%), Isole (10,9%) e Sud (10,2%). Analizzando la stessa suddivisione, ma per costo pro capite, è possibile notare che non solo l’ammontare di spesa è molto differente lungo lo Stivale, ma che nelle regioni del Nord i Comuni spendono oltre 3 volte di quanto accade al Sud. Se nei Comuni del Nord-Est sono stati spesi 159 euro e nel Nord-Ovest 126 euro, nel Mezzogiorno la quota pro capite si ferma invece a 51 euro, a fronte di una media nazionale di 117 euro a persona. Osservando la spesa sociale per ripartizione (dal 2003 al 2012) è possibile vedere come nel tempo sia stata ridotta la quota welfare, passata dal 30,3% al 28,5% a Nord-Ovest e dal 28,4% al 26,2% a Nord-Est, mentre soprattutto la spesa del Centro Italia sia di fatto aumentata dal 21,7% al 24,1%, seguita dalle Isole. Nell’arco dello stesso periodo

il Sud ha invece registrato un andamento ondivago compreso tra il 9,8% e l’11,4% (anni 2005-2007). RISPOSTE AI FABBISOGNI E ALLE VULNERABILITÀ CRESCENTI Nel 2012 a livello territoriale, i Comuni del Nord-Ovest hanno destinato il 40,4% delle spese per il welfare alle famiglie e ai minori (quasi 804 milioni di euro), un quarto ai disabili (24,9%) e un quinto (19,8%) alle persone anziane; proporzione seguita anche dai Comuni del Nord-Est (rispettivamente, 38,1%, 23,6% e 20,8%). Rispetto alle due ripartizioni del Settentrione, il Centro ha investito proporzionalmente più risorse per famiglie e minori (42,2% di 1.681 milioni di euro spesi in totale per il welfare) ed un po’ meno per disabili (21,6%) e anziani (17,5%), mentre la spesa legata alla povertà, al disagio degli adulti e ai senza fissa dimora ha raggiunto il 9,4%, tre punti percentuali in più del Nord-Ovest (6,3%) e quasi tre punti percentuali in più del Nord-Est (6,7%). Il Report sottolinea come la spesa per gli interventi nell’ambito migratorio e per quelli rivolti alle popolazioni nomadi sia stata maggiore (in proporzione alla spesa complessiva) nei Comuni del Centro Italia, con un ammontare di quasi 67 milioni di euro. Ciò in virtù del fatto che la presenza della città di Roma, comporta una complessità non paragonabile agli altri Comuni italiani. Dallo studio di Cittalia vediamo inoltre che tra tutte le ripartizioni, i Comuni del Sud sono quelli PAGE

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che erogano maggiori e minori risorse per famiglie, rispetto alla propria spesa totale (44,2% su 717 milioni di euro). A grande distanza troviamo gli investimenti per disabili (21,5%) e anziani (18,2%). Le Isole, infine, sono quelle che maggiormente bilanciano le spese sociali tra le due prime voci, esprimendo il 34,8% di spesa per famiglie e 32,6% per persone con disabilità. Seguono poi quelle per gli anziani (17,5%), per la povertà (10,2%, il valore relativo più elevato) e per l’immigrazione (1,4%). ATTORI ISTITUZIONALI E SOCIALI IN RELAZIONE ALLO SVILUPPO TERRITORIALE - Oggi le rapide trasformazioni della società (invecchiamento della popolazione, disgregazione delle strutture familiari tradizionali, precarizzazione del ciclo di vita, insieme all’emergere di nuovi fabbisogni) sollecitano senza indugi ad un ripensamento dei ruoli e dei rapporti tra attori istituzionali e sociali in relazione allo sviluppo territoriale, alla sussidiarietà, alle istanze partecipative per una riconfigurazione dei modelli di welfare, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Nel nostro Paese, troppo La popolazione residente spesso il welfare territoriale ha dovuto fare le veci del welfare nazionale e regionale, finendo per essere compresso dentro dal 2001 è cresciuta del 6,5% questo ruolo. L’accento sulla policy locale non deve tuttavia nonostante le donne mettano condurre a svuotare di significato il ruolo del livello centrale, che rappresenta quello da cui derivano i presupposti normaal mondo meno bambini e l’età tivi e organizzativi, oltre che le maggiori risorse finanziarie. E’ media salita a 85 anni: il camperciò importante che l’attore istituzionale conservi il ruolo di biamento del Paese impone garante nell’equità delle politiche pubbliche, orientando la governance territoriale in un quadro comune di livelli essenziali nuove politiche sociali di diritti esigibili e di prestazioni da erogare a livello nazionale, evitando frammentarietà e disparità regionale. Ciò è necessario soprattutto alla luce del crescente ruolo degli attori di mercato nella programmazione, nell’implementazione, nel finanziamento degli interventi e, più in generale, in una logica d’insieme tra diversi soggetti portatori di interessi, al fine di sostenere pratiche partecipative diffuse e inclusive, orientate ad individuare soluzioni condivise a beneficio di ogni comunità.

Di seguito riportiamo il link del rapporto: http://www.cittalia.it/index.php/la-fondazione/pubblicazioni-new/item/6115-una-lente-sul-welfare-locale-sviluppi-e-tendenze

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DALLA COSTITUZIONE A BENEDETTO XVI

L’IMPORTANZA DELLA SUSSIDIARIETÀ IL RUOLO ESSENZIALE DEI COMUNI PER IL BENESSERE DELLA COMUNITÀ È SANCITO DALLA CARTA DEL 1948 E RIBADITO DALL’ENCICLICA CARITAS IN VERITATE DEL 2009 LA SUSSIDIARIETÀ COME LIBERTÀ SOLIDALE E RESPONSABILE - “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa è la formulazione del principio di sussidiarietà contenuta nell’art. 118, ultimo comma della Costituzione. Se accostiamo a questa disposizione costituzionale la definizione che della sussidiarietà dà l’Enciclica Caritas in veritate del 2009 scopriamo che in entrambi i testi si trovano alcune parole chiave simili: “Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto

PER RATZINGER “CRITERIO GUIDA PER LA COLLABORAZIONE FRATERNA DI CREDENTI E NON CREDENTI È SENZ’ALTRO IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ, UN AIUTO ALLA PERSONA ATTRAVERSO L’AUTONOMIA DEI CORPI INTERMEDI”

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DI GREGORIO ARENA*

alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri”. I concetti essenziali che accompagnano la sussidiarietà sia nella Costituzione sia nell’Enciclica sono dunque interesse generale, carità, libertà, autonomia (dei corpi intermedi e dei cittadini), partecipazione, responsabilità, dignità della persona. Questa sintonia ideale fra due testi fondamentali ma anche molto diversi fra loro è importante nel momento in cui cerchiamo di capire in che modo il principio di sussidiarietà può aiutarci a garantire ai nostri concittadini situazioni di benessere e di pieno sviluppo della persona umana nel mondo dopo la crisi. Esiste infatti una corrente di pensiero secon-


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I CONCETTI ESSENZIALI CHE ACCOMPAGNANO LA SUSSIDIARIETÀ SONO INTERESSE GENERALE, CARITÀ, LIBERTÀ, AUTONOMIA DEI CORPI INTERMEDI E DEI CITTADINI, PARTECIPAZIONE, RESPONSABILITÀ, DIGNITÀ DELLA PERSONA

do la quale la sussidiarietà consiste nella libertà di scelta fra servizi, accompagnata da una contestuale ridefinizione del ruolo dei soggetti pubblici, da erogatori (diretti o indiretti) di servizi a semplici regolatori e controllori dei servizi offerti da soggetti privati, sia for profit sia non profit. Secondo questa interpretazione della sussidiarietà essa equivale ad una nuova forma di libertà perché per esempio consente agli utenti dei servizi di welfare di scegliere fra offerte diverse in materia di istruzione, assistenza sanitaria, assistenza agli anziani, e simili. Secondo l’interpretazione in questione la sussidiarietà è dunque “il nuovo nome della libertà” in quanto consente questa libertà di scelta fra servizi. Si deve invece essere più ambiziosi e riconoscere che la libertà di cui la sussidiarietà è il nuovo nome è una libertà più grande di quella che consiste semplicemente nello scegliere fra diversi servizi. Una libertà responsabile e solidale, rivolta a soddisfare concrete esigenze del vivere quotidiano grazie al contributo dei cittadini attivi. La sussidiarietà così intesa presuppone un’antropologia positiva, capace di riconoscere nei cittadini singoli e associati dei soggetti che autonomamente e responsabilmente si attivano per prendersi cura dei beni comuni insieme con le amministrazioni. Lo dimostra l’esperienza quotidiana di migliaia di cittadini che, pur non sapendo nulla della sussidiarietà come principio costituzionale, nelle grandi città come nei borghi, da anni mettono a disposizione tempo, competenze, reti di relazioni, esperienze, per prendersi

L’AIUTO VIENE OFFERTO QUANDO LA PERSONA E I SOGGETTI SOCIALI NON RIESCONO A FARE DA SÉ E IMPLICA SEMPRE FINALITÀ EMANCIPATRICI PERCHÉ FAVORISCE LA LIBERTÀ E LA PARTECIPAZIONE IN QUANTO SENSO DI RESPONSABILITÀ

cura dei beni comuni presenti sul proprio territorio. Questi cittadini attivi sono e si sentono liberi. Ma non tanto perché gli viene consentito di scegliere fra diversi fornitori di servizi, quanto perché in piena autonomia scelgono di impegnarsi per la comunità, prendendosi cura dei beni di quella comunità. La libertà solidale e responsabile in cui consiste la sussidiarietà porta al convergere di soggetti pubblici e privati per il perseguimento congiunto di fini di interesse generale creando un’alleanza il cui vero, fondamentale obiettivo è la realizzazione del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale (art. 3, 2° comma, Costituzione), cioè la creazione delle condizioni per il pieno sviluppo della persona umana e la salvaguardia della sua dignità. Un obiettivo che è poi lo stesso che giustifica l’esistenza dei sistemi di welfare, intesi come apparati per la realizzazione dei diritti sociali attraverso la “rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona”. IL BENESSERE DI COMUNITÀ - Per ricostruire il welfare dopo la crisi è necessario un doppio cambiamento: dalla cultura dell’individualismo alla cultura della solidarietà, dal modello dell’amministrazione bipolare al modello dell’amministrazione condivisa. Per quanto riguarda il primo passaggio il volontariato con la propria azione dimostra quotidianamente come si possa uscire dallo schema tradizionale “domanda dei cittadini-risposta delle istituzioni” non tanto cercando una risposta privata ai bisogni, bensì una risposta “insieme con gli altri”, cioè solidale. In tal modo il volontariato dimostra concretamente che i cittadini hanno le capacità e le competenze per dare autonomamente risposte ai propri bisogni, senza delegare alle istituzioni. E in più, come chiunque faccia volontariato può testimoniare, dimostra come dando risposte insieme con gli altri si soddisfino al tempo stesso sia le esigenze altrui, sia le proprie, sviluppando le proprie “capacitazioni”, ciò che non sempre accade quando la risposta la fornisce lo Stato, né quando la risposta si ottiene privatamente. Il passaggio alla cultura della solidarietà

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AL COMUNE VIENE CHIESTO DI RINUNCIARE IN PARTE ALL’ESERCIZIO DEL POTERE AMMINISTRATIVO PER DIVENTARE IL CENTRO DEL GOVERNO DI UNA RETE DI SOGGETTI PUBBLICI E PRIVATI CHE, IN MODO COORDINATO, SI ASSUMONO COLLETTIVAMENTE LA RESPONSABILITÀ DI REALIZZARE UN PROGETTO COMPLESSIVO PER IL BENESSERE DELLA COMUNITÀ tuttavia non è sufficiente se non ci si rende conto che oggi il welfare, il benessere, deve essere considerato come un obiettivo dell’intera comunità, non soltanto di settori specializzati delle istituzioni locali (assessori, servizi, dipartimenti…). Anche perché il benessere di tutti è precondizione di sviluppo per l’intera comunità. Ma affinché si possa realizzare il benessere di comunità con il concorso dell’intera comunità bisogna fare il secondo passaggio, dal modello dell’amministrazione bipolare al modello dell’amministrazione condivisa, promuovendo e sostenendo gli interventi dei cittadini attivi nella cura dei beni comuni. La cura condivisa dei beni comuni produce effetti che vanno molto al di là della mera manutenzione dei beni pubblici. L’amministrazione condivisa è molto più che “amministrazione”, essa è in realtà una forma nuova di esercizio dei diritti di cittadinanza e di partecipazione alla vita pubblica, grazie alla quale si ricostruiscono i legami di comunità, si crea coesione sociale e senso di appartenenza e si produce quel capitale sociale, che a sua volta è un fattore fondamentale di sviluppo anche economico. Dai singoli cittadini alle istituzio-

ni, dalle associazioni alle imprese, dalle parrocchie alle fondazioni, tutti devono diventare protagonisti nella costruzione del benessere della comunità, vivendo concretamente giorno per giorno nello spirito di quella libertà solidale e responsabile che chiamiamo sussidiarietà. In questa prospettiva ad ogni attore del sistema viene chiesta la rinuncia a qualche vantaggio e l’assunzione di nuove responsabilità. Alle imprese si chiede di contribuire al benessere di comunità rinunciando ad una parte dei propri profitti per attivare per esempio convenzioni con gli asili nido, oppure partecipando concretamente all’integrazione dei propri lavoratori stranieri. Ai soggetti del terzo settore si chiede di rinunciare ad un po’ di visibilità e di protagonismo delle singole associazioni per contribuire al miglior funzionamento di un progetto complessivo per il benessere della comunità. Ai singoli cittadini si può chiedere di collaborare con l’amministrazione nella cura dei beni comuni presenti sul territorio, sapendo che nel mondo dopo la crisi pur essendo tutti più poveri di beni privati, potremo purtuttavia mantenere una buona qualità della vita prendendoci cura dei beni comuni, in quanto il nostro benessere dipende in gran parte dalla qualità di questi ultimi. IL RUOLO DEL COMUNE - Al Comune viene chiesto di rinunciare, almeno in parte, all’esercizio del potere amministrativo per diventare il centro del governo di una rete di soggetti pubblici e privati che, in modo coordinato, si assumono collettivamente

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Il Regolamento è uno strumento che ogni Comune può adattare alle proprie esigenze, composto da meno di 30 articoli, il cui nucleo fondamentale sono i patti di collaborazione

la responsabilità di realizzare un progetto complessivo per il benessere della comunità, al di là degli specifici ruoli e interessi individuali. Nelle città che applicano il modello dell’amministrazione condivisa il Comune ha tre funzioni essenziali. In primo luogo deve svolgere un ruolo per così dire “imprenditoriale” nei confronti delle “risorse civiche” della comunità, incoraggiando l’emersione delle capacità e delle competenze dei cittadini, delle associazioni e delle imprese, così da “favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale” (art. 118, ultimo comma, Cost.). In secondo luogo deve svolgere un ruolo di regolazione di tutti gli attori che partecipano alla realizzazione del benessere di comunità. Ci deve essere una regia e non può che essere pubblica. Lo sviluppo di questo modello di benessere ha bisogno di una forte azione di governo da parte dell’Ente locale, perché è essenziale (sia dal punto di vista dell’imparzialità sia da quello dell’efficienza) coordinare le diverse iniziative, garantire medesime opportunità ai cittadini, destinare risorse pubbliche, introdurre criteri comuni in termini di qualità. In terzo

luogo, appunto, il Comune deve svolgere un ruolo di controllo sui risultati. I profili qualitativi sono cruciali per garantire il benessere di comunità e, così come per la regia, la loro verifica è una responsabilità pubblica. Uno dei modi, forse il principale, con cui il Comune può realizzare quanto previsto dall’art. 118, ultimo comma della Costituzione, favorendo l’emergere delle competenze e capacità latenti nella comunità, consiste nell’adozione del Regolamento per la collaborazione fra cittadini e amministrazioni per la cura dei beni comuni urbani, detto anche Regolamento per l’amministrazione condivisa. Il Regolamento è stato redatto da Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) e dal Comune di Bologna nel corso di due anni intensi di lavoro, dal gennaio 2012 al febbraio 2014. Dal 2014 ad oggi è stato adottato da 104 Comuni italiani, fra cui Torino, Bari e Genova, mentre altri 80 hanno avviato la procedura per la sua approvazione in Consiglio comunale. Il Regolamento è uno strumento che ogni Comune può adattare alle proprie esigenze, composto da meno di 30 articoli, il cui nucleo fondamentale sono i patti di collaborazione, atti amministrativi di natura non autoritativa mediante i quali i cittadini attivi e l’Amministrazione comunale concordano tutto ciò che è necessario per la cura dei beni comuni urbani presenti in un determinato quartiere o territorio. In sé, il Regolamento è

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uno strumento molto semplice, che svolge però un ruolo fondamentale. Da qualche anno ormai migliaia di persone in tutta Italia si stanno mobilitando per prendersi cura di piazze, parchi, scuole, beni culturali, sentieri… in una parola, dei beni comuni del proprio territorio. Ma tutte queste iniziative teoricamente sono “illegali” e quindi si scontrano con ostacoli di ordine burocratico e tecnico. Il Regolamento per l’amministrazione condivisa fornisce invece il quadro giuridico di riferimento per l’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà, disciplinando i ruoli e le responsabilità dei cittadini attivi e delle amministrazioni, consentendo così di liberare nell’interesse generale le tante energie presenti nelle nostre comunità.

*PROF. GREGORIO ARENA, Presidente di Labsus - Laboratorio per la sussidiarietà (www.labsus.org); già professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università di Trento CI DEVE ESSERE UNA REGIA E NON PUÒ CHE ESSERE PUBBLICA. LO SVILUPPO DI QUESTO MODELLO DI BENESSERE HA BISOGNO DI UNA FORTE AZIONE DI GOVERNO DA PARTE DELL’ENTE LOCALE




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L’IMPORTANZA DI VACCINARSI

LA PREVENZIONE SALVA LA VITA La sfida di Federsanità ANCI: sinergie territoriali per abbattere il muro di diffidenza e fare corretta informazione DI ROSANNA DI NATALE

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PERCHÉ

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TUTELARSI

l tema delle vaccinazioni, che per decenni è stato dato per scontato dalla popolazione (fino a qualche anno fa vaccinare i bambini non era oggetto di discussione), trova oggi punti di vista discordanti. E’ accaduto che un nucleo ristretto di soggetti – approfittando dei numerosi e incontrollati canali di comunicazione – abbia diffuso informazioni basate su supposizioni non fondate, idee strampalate, ecc.. D’altra parte, il 49° Rapporto del Censis, nel 2015, rilevava che l’80% degli intervistati ammetteva di aver trovato notizie contrarie alle vaccinazioni navigando su internet. Nel 2014, il caso mediatico legato al vaccino anti-influenzale, e il mancato accesso alla vaccinazione di persone anziane e fragili, fu la causa di oltre 50mila decessi per complicanze legate all’influenza di quell’anno. La copertura vaccinale della popolazione over 65 in Italia è ancora molto lontana dagli standard europei. I dati parlano di diffidenze (culturali) nell’approccio alla vaccinazione, ma anche di insufficiente percezione del rischio e delle eventuali conseguenze della non vaccinazione così come di timore di eventi avversi. Il tema della conoscenza e della corretta informazione è diventato, quindi, il fattore rilevante al fine di incrementare la copertura vaccinale della popolazione. I dati, recentemente pubblicati dal Ministero della Salute, sulle tendenze 2015-2016 confermano un an-

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damento in diminuzione in quasi tutte le Regioni. Una riduzione della copertura vaccinale che, per malattie ancore endemiche, come morbillo, rosolia e pertosse, rappresenterà un rischio concreto di estesi focolai epidemici, come accadeva in passato; per malattie non più presenti in Italia, come polio e difterite, aumenterà il rischio di casi soprattutto di “importazione” o di portatori e per quanto riguarda lo pneumococco soprattutto per gli anziani, che presentano un maggior rischio di sviluppare forme invasive gravi a seguito di infezione – aumenta il rischio di gravi malattie come la meningite e la polmonite. In sostanza, questo diffuso “astensionismo” dai vaccini rischia di compromettere quella che viene definita “immunità di gregge” e che è il frutto di anni di lavoro della sanità pubblica e uno dei successi del Servizio Sanitario Nazionale. Per tutte queste ragioni la progettazione di una campagna informativa efficace necessita del coinvolgimento di tutti gli attori: i Comuni e le Conferenze dei Sindaci,


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le ASL con i Dipartimenti di Prevenzione e i Medici di medicina generale. E’ necessario un cambiamento nell’approccio alla vaccinazione. Oltre ad una valutazione del problema del calo delle vaccinazioni e ad una programmazione sanitaria, dove sono coinvolti gli operatori del SSN, occorre adottare strategie per intercettare anche la domanda inespressa nelle vaccinazioni per adulti. Su quest’ultimo aspetto il Centro studi di Federsanità ANCI ha pubblicato un Report, redatto da un Tavolo composto da responsabili di Dipartimenti prevenzione di ASL e da Assessori alla promozione della salute di Comuni, dal titolo “Le vaccinazioni per gli adulti: attività e potenzialità delle amministrazioni locali nella vaccinazione antipneumococcica”. Il Tavolo di lavoro ha ragionato sul calo delle vaccinazioni e, in generale, sulla promozione di progetti innovativi e lungimiranti per favorire l’invecchiamento attivo e limitare interventi di assistenza socio-sanitaria più impegnativi e dispendiosi, anche al fine di contribuire

alla sostenibilità del SSN. E’ emersa la convinzione che la declinazione delle politiche per la salute deve avvenire, allora, a partire dal basso, riposizionando strategicamente il ruolo dei Comuni nei processi decisionali. I Comuni, infatti, possono svolgere un ruolo importante nel battere il pregiudizio e comunicare, in modo chiaro e semplice, con la popolazione. E’ necessario, pertanto, rivedere il rapporto tra tutela della salute individuale e salute collettiva: la vaccinazione è una responsabilità per migliorare il livello complessivo di salute di tutta la popolazione. Questo deve essere un messaggio che nel medio periodo può modificare la propensione a vaccinarsi. Fondamentale è far comprendere il legame tra efficacia dei vaccini e impatto sociale, ovvero tra valori scientifici ed etici: i vaccini, per il loro impatto sulla salute collettiva, non hanno solo un valore sanitario, ma anche un valore etico molto importante. Con questa visione Federsanità ANCI sta promuovendo con i propri Associati, Comuni e ASL, alcuni incontri a carattere cittadino e regionale (L’Aquila, Bari, Firenze, Brindisi, Arezzo, Salerno, Lanciano, ecc..) di sensibilizzazione della popolazione sul tema delle vaccinazioni. In particolare sono stati coinvolti i Direttori generali delle ASL e le Conferenze dei Sindaci per attivare una sinergia di azioni sul territorio al fine di innalzare il livello di prevenzione attraverso una corretta informazione.

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L‘INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIA E I BISOGNI DELLA POPOLAZIONE

DI ANGELO LINO DEL FAVERO*

Il ruolo attivo del cittadino, la medicina di iniziativa e lo sviluppo dell’assistenza territoriale per una sanità moderna

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a tutela costituzionale della salute deve essere sostenuta da una strategia di valorizzazione del sistema di assistenza territoriale, in grado di interpretare e soddisfare i bisogni sempre più complessi delle persone e delle famiglie. Il welfare locale deve essere basato sul concreto esercizio del diritto alla tutela della salute come diritto di cittadinanza, concretamente esigibile e non condizionato finanziariamente ma, piuttosto, sostenuto da politiche di sostenibilità del sistema. I bisogni dei cittadini in ambito sanitario sono spesso complessi e necessitano di interventi che tengano conto non soltanto dell’aspetto sanitario, ma anche di quello socio-assistenziale. La costante attenzione agli aspetti socio-assistenziali, con erogazione di servizi specifici, porta notevoli benefici sia per l’utente sia per l’intera comunità: ne consegue infatti una riduzione del tasso di ospedalizzazione e di richiesta di prestazioni sanitarie, e quindi una minore spesa della pubblica amministrazione in ambito sanitario. L’integrazione socio-sanitaria non è quindi un obiettivo ma uno strumento per rispondere agli attuali bisogni di salute delle comunità. Non è il terreno di collaborazione fra Comuni e Aziende sanitarie (D.Lgs 229/99 poi coordinato con 328/00) per l’organizzazione (ospedale-territorio), ma l’unico modo per rispondere a domande complesse di benessere e non solo di cura delle cronicità nel mutato quadro demografico. La L. 502/1992 ha lasciato ai Comuni il solo strumento della delega con la tendenza di questi ultimi a gestire i servizi in autonomia. Il DPCM 29 no-

vembre 2001 ha riacceso il dibattito: LEA, ticket, ruolo dei Comuni rispetto alle aziende sanitarie. Le funzioni e il ruolo delle autonomie locali, e in particolare dei Comuni, nei confronti della tutela della salute e dei servizi sanitari, hanno subito sostanziali variazioni nel tempo. La Legge 883 del 78 ha specificato che una valida tutela della salute può essere perseguita solo coinvolgendo e responsabilizzando il sistema delle autonomie locali. Il sistema sanitario ed il sistema sociale, pur avendo intrapreso quindi percorsi diversi e sperimentato fasi storiche non sovrapponibili, nascono e si sviluppano all’interno di una medesima prospettiva, vale a dire l’assunzione, da parte dell’intera collettività, della tutela del singolo individuo sancita nella Carta costituzionale, che ha prodotto il perseguimento del cosiddetto welfare. A questo punto è importante chiedersi quali siano gli obiettivi di una sanità moderna. Prima di tutto favorire un ruolo attivo del cittadino nel senso di fargli acquisire responsabilità verso il proprio stato di salute e benessere. In secondo luogo promuovere politiche che sostengano il passaggio dalla medicina di attesa alla medicina d’iniziativa. Poi l’organizzazione ospedaliera per reti con lo sviluppo dell’assistenza territoriale integrata, con la presa in carico del paziente con il supporto della continuità assistenziale. La realizzazione di questi obiettivi e la loro finalizzazione rispetto alla centralità della persona/paziente, non solo nel momento della malattia, richiedono alta comunicazione e sinergia tra professionisti, tra le strutture, tra i servizi.

*ANGELO LINO DEL FAVERO, Presidente Federsanità ANCI

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DALLA FRANCIA UNA NUOVA FRONTIERA PER LA SANITÀ Il modello degli “Hotels Hospitaliers” per ridurre i tempi di degenza e abbattere la spesa dell’assistenza DI ROBERTO MOSTACCI E ALESSANDRO IADECOLA*

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n Italia è forte il dibattito sulla sostenibilità dell’attuale configurazione del Sistema Sanitario Nazionale ormai da anni sottoposto ad un insieme di azioni e tendenze contraddittorie quali: la scarsità di risorse, la domanda crescente, le malattie croniche e la crescita delle aspettative del cittadino/paziente. Una recente indagine condotta da CERGAS e SDA Bocconi sottolinea come il numero delle unità operative e di ospedali non giustificati dal bacino di utenza dovrà essere ancora ridotto e che la vera sfida del sistema sarà, quindi, una riorganizzazione che consenta di fare fronte al cambiamento del quadro epidemiologico, il cui aspetto più dirompente è la crescita della cronicità. Secondo l’European Observatory on Health Systems and Policies, le soluzioni di breve periodo che sono state adottate in Italia: tagli e tetti di spesa, controlli su prezzi e volumi e aumento delle compartecipazioni alla spesa da parte dei cittadini, stanno producendo risultati di scarsa efficacia a causa dell’impossibilità a tenere sotto controllo adeguatamente i principali fattori di crescita della spesa nel lungo periodo. Inoltre, tali politiche presentano rischi di mantenimento dei livelli di qualità ed equità dei sistemi, riducono la portata dei servizi essenziali garantiti e la copertura della popolazione, incrementano i tempi di attesa per i servizi essenziali. La tecnologia sta già riducendo il numero dei ricoveri (-3,2% solo tra il 2013 e il 2014), ma non è ancora sufficiente per equilibrare il sistema.

La sperimentazione in atto in Francia: gli Hotels Hospitaliers per ridurre i costi di 3,2 miliardi di euro Uno spunto di particolare interesse per l’Italia per contribuire al riequilibrio del sistema sanitario, può provenire da una misura la cui sperimentazione triennale è in atto in Francia a seguito di un emendamento alla Legge di Stabilità del 2015 promosso da Olivier Veran deputato PS de l’Isère. Si tratta dell’introduzione di Hotels Hospitaliers dalla quale il governo francese si attende una riduzione dei costi della sanità stimata in 3,2 miliardi di euro. Tale sperimentazione è mirata alla riduzione del tempo e dei relativi costi di degenza nelle camere ospedaliere, rifunzionalizzando gli spazi e accogliendo i degenti, laddove le patologie lo consentano, per una o più notti (ante e post degenza) in hotel ubicati a ridosso e collegati dal punto di vista sanitario con gli ospedali, ovviamente con costi sensibilmente inferiori. Il caso esemplare è quello dell’Hotel Hospitel posto al sesto piano dell’ospedale

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Secondo Cresme Consulting_ SI TRATTA DI UNA INNOVAZIONE IN GRADO DI INCIDERE POSITIVAMENTE SULLA QUALITÀ DEI SERVIZI E SUL MIGLIORAMENTO DELLE FINANZE PUBBLICHE PAGE

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GDC L’INTRODUZIONE DI UN PROCESSO DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DEGLI SPAZI E DI RAZIONALIZZAZIONE DEI COSTI, AVREBBE IMPATTI IN GRADO DI SUSCITARE APPROFONDIMENTI, ANALISI E RIFLESSIONI

Hotel-Dieu a Parigi nell’Ile de la Citè a 100 metri dalla Cattedrale di Notre Dame, aperto anche al pubblico e ai turisti come mostra Tripadvisor. Si tratta di strutture di decompressione, nel passaggio tra la struttura sanitaria e le abitazioni private e viceversa, per tutti coloro la cui patologia, all’inizio o alla fine dell’ospedalizzazione, non richieda una vera e propria degenza in un letto medicalizzato sotto stretto controllo e monitoraggio medico, ma solo un’attività di sorveglianza e presenza infermieristica in loco e l’opportunità di immediata attivazione dell’assistenza medica in caso di necessità presso l’ospedale del quale l’hotel è pertinenza. In Francia, si pensa che la sperimentazione di tale alternativa all’ospedalizzazione completa, possa raggiungere una molteplicità di obiettivi: la riduzione dell’occupazione dei posti letto (consentendo in tal modo una loro razionalizzazione senza allungamento dei tempi di attesa per i servizi essenziali mantenendo i livelli di qualità ed equità del sistema), la riduzione dei costi di trasporto delle ambulanze, la fluidificazione dei percorsi di cura e il miglioramento della qualità globale della presa in carico ospedaliera (riduzione delle infezioni nosocomiali). Se da un lato la corretta pianificazione e organizzazione dell’assistenza per determinate patologie potrà ridurre le giornate di degenza nei letti ospedalieri e così consentire una oculata e razionale riduzione dei posti letto e dei conseguenti costi a livello di ASL e Azienda Ospedaliera (differenza tra il costo della degenza in ospedale e quello in hotel), dall’altro lo sviluppo degli Hotels Hospitaliers, se aperti al pubblico o ai familiari dei degenti fuori regione, potrà consentire di raggiungere un duplice obiettivo: l’incremento delle entrate per gli ospedali e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico o della ASL all’interno dei complessi ospedalieri o nelle strette vicinanze. Infatti un Hotels Hospitaliers ben dimensionato e pianificato sulle capacità di accoglienza dei degenti di determinate patologie dell’ospedale collegato (con retta a carico del sistema sanitario), nonché aperto ai familiari (con costo a carico dei familiari stessi), potrà avere un’occupazione tale da consentire un’adeguata remunerazione dell’attività imprenditoriale e il riconoscimento di adeguate fees all’ospedale stesso incrementandone le entrate. Inoltre, tale iniziativa potrebbe consentire, attraverso un partenariato pubblico privato, la valorizzazione del patrimonio immobiliare ASL o degli Enti locali a ridosso delle strutture sanitarie da riconvertire a sede degli Hotels Hospitaliers.

“casse” degli ospedali e del Sistema Sanitario Nazionale; si pensi che le giornate di degenza sono state pari complessivamente a 63,1 milioni, di cui: • 51,3 mln di giornate per acuti (44,8 mln in regime ordinario con degenza media di 6,8 giorni - e 6,5 mln in regime diurno); • 8,7 mln di giornate per la riabilitazione (8,1 mln in regime ordinario - con degenza media di 14,8 giorni - e 0,6 mln in regime diurno); • 3,1 mln di giornate per la lungodegenza - con degenza media di 27,6 giorni. Ipotizzando che si potesse ridurre di un solo giorno (uno) la degenza media del regime ordinario (pari a 7,68 giorni) dirottandola sugli Hotels Hospitaliers, si avrebbe una riduzione del 13,5% dei giorni di degenza del regime ordinario pari a 7,3 milioni di giornate di degenza, il cui costo si ridurrebbe di 3,8 miliardi di euro. In conclusione, l’introduzione di un processo di rifunzionalizzazione degli spazi e di razionalizzazione della spesa come proposto, avrebbe impatti in grado di suscitare approfondimenti, analisi e riflessioni per la creazione di una serie di percorsi e format in grado di definire processi e procedure relativamente a: • la pianificazione dei ricoveri ospedalieri identificando le tipologie di degenza (drg) e le relative giornate complessive i cui degenti potrebbero avere le caratteristiche necessarie per poter essere accolti negli Hotels Hospitaliers e verificando gli impatti in termini organizzativi ed economici sull’attività sanitaria all’interno della strategia di riduzione dei posti letto regionali e della ASL o di incremento della qualità dei servizi essenziali; • le caratteristiche infrastrutturali del patrimonio immobiliare da riconvertire di proprietà dell’ospedale, della ASL o degli Enti locali, per verificare e comprendere, alla luce del fabbisogno e delle potenzialità di degenza presso gli Hotels Hospitaliers, il dimensionamento necessario e la presenza di immobili a distanze e caratteristiche tali da poter essere funzionalmente riconvertiti; • le modalità di finanziamento e la struttura giuridica di eventuali partnership pubblico-private con identificazione delle modalità e degli strumenti amministrativi attraverso i quali attivare le procedure di gara per la realizzazione e la gestione degli Hotels Hospitaliers; • un format architettonico dell’Hotel Hospitalier e alle caratteristiche del servizio di gestione alberghiera per l’ottimizzazione e la caratterizzazione degli spazi e dell’attività di servizio ai degenti temporaneamente accolti negli Hotels Hospitaliers.

Quali riflessi in Italia dell’innovazione degli Hotels Hospitaliers In Italia il fenomeno potrebbe avere notevoli ripercussioni sulle

*ROBERTO MOSTACCI E ALESSANDRO IADECOLA,

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sponde 01 I servizi diurni per la disabilità L’art. 6 del DPCM 3 dicembre 2013 ai commi 1 e 2 individua qual è la composizione del nucleo familiare per le persone che richiedono un Isee socio-sanitario, differenziandolo da quanto previsto per i servizi socio-assistenziali. La Regione Lombardia, al fine di avere una uniforme applicazione sul territorio del DPCM 159/2013, con delibera 3230 del 6/3/2015, ha dettato le linee guida da seguire. Nell’allegato “A” di tale deliberazione all’art. 1 p.to A.2 vengono indicate le unità d’offerta socio-sanitarie, individuandone alcune: R.S.A, R.S.D., C.S.S., C.D.D., C.D.I. Il Regolamento Comunale adottato da questo Ente, ha inteso recepire quanto espresso dalla Regione ed ha indicato nel dispositivo di richiedere Isee socio-sanitario per integrazioni di rette di servizi: R.S.A, R.S.D., C.S.S, C.D.D., C.D.I. Ha invece indicato di richiedere Isee ordinario per i restanti servizi diurni dedicati ai disabili quali: C.S.E. e S.F.A. in quanto questi sembrano ricompresi nel punto A.1 (ultima riga). È corretto applicare la distinzione riportata dalla Regione in tema di servizi socio-sanitari e socio-assistenziali prevedendo quindi, nel regolamento comunale, una differente modalità di calcolo Isee: ordinario per CSE, SFA, SAD e sociosanitario per CSE, CDD, CSS? CSE e SFA possono essere collocati fra i servizi socio-sanitari? È invece più adeguato alla norma generale (DPCM 159/2013) valutare l’Isee sulla base delle caratteristiche del richiedente il beneficio, quindi la persona disabile deve sempre produrre Isee socio-sanitario?

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embra opportuno evidenziare che l’approccio di tipo integrato previsto dal nostro sistema di servizi sociali, considera che stato di salute e condizione sociale delle persone sono fortemente connessi e si influenzano reciprocamente. Secondo tale visione vanno valutati i bisogni di salute e benessere dei cittadini e si classificano di conseguenza i servizi che vi rispondono. Così, in buona sostanza le prestazioni sanitarie, sociali e socio-sanitarie si definiscono per la maggiore o minore preminenza della componente sanitaria, dal momento che questa ultima è a carico del servizio sanitario nazionale e può determinare la gratuità del servizio o definire, per differenza, la quota a carico dei cittadini. Va anche osservato che l’intreccio tra componente sanitaria e componente sociale è particolarmente rilevante per le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, che includono l’assistenza residenziale o semiresidenziale di persone non autosufficienti, anziani e disabili; tali prestazioni sono distinte secondo criteri di intensità terapeutica decrescente (breve o medio-lunga e, lunga, senza limiti di tempo) che ne decreta anche il gravame dei costi economici: a carico del SSN nel primo caso e, con una partecipazione ai costi da parte del Comune, nel secondo caso, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente, secondo le norme regionali e regolamentari dello stesso Ente locale. Chiarito dunque che, anche a mente

delle richiamate indicazioni regionali, vi è l’obbligo di utilizzare l’Isee ogniqualvolta si debba determinare l’accesso a una prestazione agevolata (da questo punto di vista l’Isee costituisce “livello essenziale delle prestazioni”), spetta esclusivamente all’ente erogatore (concetto molto bene rimarcato anche dalle indicazioni regionali di riferimento) di stabilire se determinate prestazioni siano da considerarsi agevolate o invece destinate alla generalità dei soggetti, senza essere condizionate alla situazione economica. Nella delibera regionale sono identificati, ma a mero titolo esemplificativo, i servizi, interventi e prestazioni di welfare da sottoporre alle differenti tipologie di Isee. Il DPCM 159/2013, nell’introdurre più tipologie di Isee a seconda del tipo di prestazione che si vuole richiedere, stabilisce naturalmente i criteri generali rispetto all’applicazione delle diverse tipologie di Isee, senza entrare nel dettaglio degli interventi, servizi e prestazioni cui debbano essere applicate, ragione per la quale la delibera regionale, interviene, identificando tre gruppi di prestazioni cui sono associati di volta in volta Isee diversi (art. 1 cit.). Detto in termini più pratici, in favore di un utilizzo più flessibile dell’Isee, l’amministrazione comunale può muoversi, stabilendo anche la collocazione dei servizi indicati (C.S.E e S.F.A.) tra quelli per i quali si richiederà agli utenti l’Isee ordinario, senza per questo perpetrare violazione delle indicazioni regionali.

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sponde L’assistenza specialistica nella scuola paritaria

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I genitori di un bambino disabile in stato di gravità (ai sensi dell’art. 3 comma 3 della legge 104/1992) hanno presentato alla scuola dell’infanzia frequentata dal figlio una richiesta di assistenza scolastica specialistica. Si tratta di scuola privata riconosciuta paritaria. Il Rappresentante legale della scuola ha successivamente trasmesso all’Ufficio Sociale del Comune la richiesta di attivazione del Servizio di Assistenza scolastica specialistica in favore del bimbo di cui sopra. Si chiede se il Comune, in quanto Ente a cui spetta l’erogazione di assistenza scolastica specialistica, sia obbligato a fornire tale servizio anche presso una scuola privata riconosciuta paritaria.

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Spetta all’ente locale assicurare l’assistenza specialistica, di rilievo per particolari tipologie di disabilitàa’ da svolgersi con personale qualificato (“a tit olo esemplificativo: l’educatore professionale, l’assistente educativo, il traduttore del linguaggio dei segni o il personale paramedico e psico-sociale proveniente dalle ASL, che svolgono assistenza specialistica nei casi di particolari deficit” come testualmente indicato nella circolare 3390 del 30.11.2001)

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’assistenza di base agli alunni con disabilità è parte fondamentale del processo di integrazione scolastica e la sua concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito. Nel vigente quadro normativo, da quando i bidelli non sono più alle dipendenze dei Comuni, l’assistenza di base è di competenza della scuola e consiste essenzialmente nell’ausilio materiale agli alunni con disabilità nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, negli spostamenti all’interno e nell’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici, nella cura dell’igiene personale, nell’aiuto materiale durante la consumazione dei pasti, etc. Spetta invece all’Ente locale assicurare l’assistenza specialistica, di rilievo per particolari tipologie di disabilità, da svolgersi con personale qualificato (“a titolo esemplificativo: l’educatore professionale, l’assistente educativo, il traduttore del linguaggio dei segni o il personale paramedico e psico-sociale proveniente dalle ASL, che svolgono assistenza specialistica nei casi di particolari deficit” come testualmente indicato nella circolare 3390 del 30.11.2001), sia all’interno che all’esterno della scuola, come secondo segmento della più articolata assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale prevista dall’art. 13, comma 3, della Legge n. 104/1992 (il “primo segmento” rientra oggi nell’assistenza di base che deve essere assicurata dalla scuola). In termini operativi spetta al dirigente scolastico provvedere ad inoltrare all’Ente locale competente le richieste di assistenza specialistica come indicate dalla ASL nella Diagnosi funzionale. Non è escluso che tale servizio possa essere assicurato anche attraverso convenzioni con le istituzioni scolastiche, con conseguente congruo trasferimento delle risorse alla scuola da parte dell’Ente locale. Per quanto riguarda le scuole paritarie, avendo chiesto ed ottenuto la parità in base alla Legge 62/2000, si deve ritenere che esse siano state accomunate all’azione dello Stato nell’attuazione del diritto all’istruzione ed all’educazione, che debbano essere aperte a tutti e che risulti, anche per esse, imprescindibile l’impegno ad attuare la legge 104/92 in relazione agli alunni disabili. Esse devono assicurare la presenza del personale insegnante idoneo ad assicurare un effettivo inserimento degli alunni disabili nonché del personale ausiliario necessario a garantire l’assistenza di base, anche in considerazione dei fondi specifici a ciò destinati, purtroppo, in realtà, in misura insufficiente. A fronte di questa situazione, la scuola dell’infanzia pubblica paritaria, per farsi concretamente garante del diritto all’educazione di tutti i bambini, disabili compresi, una volta assicurata sia la presenza di appropriato e idoneo personale insegnante sia l’assistenza di base, potrà rivolgersi, al pari della scuola statale, alle Amministrazioni comunali per l’eventuale assistenza specialistica indicata come necessaria dalla ASL nella diagnosi funzionale. I Comuni pertanto potranno rispondere variamente a questa esigenza, o facendo diventare il sostegno economico per l’assegnazione di assistenti specialistici parte integrante della convenzione comunale con le scuole paritarie, ove stipulata, oppure ammettendo le richieste provenienti dalla scuola paritaria, equiparandole a quelle provenienti dalle scuole statali. Preliminarmente, infine, prima di procedere con l’impiego di risorse pubbliche per la scuola non statale, si ritiene che i Comuni potranno richiedere alla scuola paritaria documentazione atta a dimostrare lo svolgimento del servizio con modalità non commerciale, secondo criteri analoghi a quanto richiesto dal Ministero dell’Istruzione per l’erogazione dei contributi statali, allo stesso scopo finalizzati, ed in particolare la verifica che il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria sia inferiore al costo medio per studente annualmente pubblicato dal Miur ai fini della verifica del rispetto del requisito di cui all’art. 4, comma 3, lettera c), del D.M. Economia e Finanze n. 200/2012 (si veda, in ultimo, D.M. Istruzione 3 giugno 2016).

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anci ris Il sostegno per l’inclusione attiva La figura dell’assistente sociale è fondamentale per le progettazioni individuali (il rapporto è 1 assistente per 10.000 abitanti). Il nostro ambito ha 3 assistenti. Ha proposto di esternalizzare ed affidare ad una cooperativa. Ma la risposta è stata negativa perchè si potrebbero creare dei conflitti di interesse essendo le cooperative a mettere a disposizione i servizi previsti nei progetti personalizzati. Quindi ci hanno risposto che devono essere assunti dal Comune. Ciò significa che entrano nella pianta organica. Non tutti possono permettersi di assumere. Potremmo avere informazioni sui progetti per l’attuazione del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) per capire come possiamo organizzare la grande opportunità che abbiamo a disposizione?

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’avviso n. 3/2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la presentazione di progetti da finanziare a valere sul Fondo Sociale Europeo, programmazione 2014-2020, per l’attuazione del Sostegno per l’inclusione, è rivolto esclusivamente agli Ambiti territoriali, pertanto non è prevista la presentazione del progetto da soggetto diverso dall’Ente capofila dell’Ambito. Tuttavia, i progetti presentati possono prevedere al loro interno l’affidamento di servizi a soggetti esterni tramite bandi di gara e procedure di evidenza pubblica. Per l’attuazione del SIA è necessario rafforzare i servizi di Segretariato sociale (o, ove diversamente identificati, i punti di accesso al sistema degli interventi e dei servizi sociali), garantendo la disponibilità di risorse umane dedicate per le specifiche funzioni, opportunamente formate ed abilitate all’accoglimento della domanda di accesso, ai servizi in generale e al SIA in particolare (nel caso i Comuni decidessero di gestire direttamente la raccolta delle domande), ovvero abilitate a svolgere l’analisi di Pre-assessment per le famiglie già risultate eleggibili alla misura. Infatti nel “Formulario per la presentazione della proposta di intervento”, va specificamente indicato il numero delle risorse umane impiegate nel segretariato sociale (o sportello sociale) di tutti i Comuni componenti l’Ambito, che potrebbero essere adibite in misura significativa o esclusiva ai “Servizi di accesso al Sia”. Il budget assegnato dal Ministero all’Ambito è interamente finanziato da fondi UE e nazionali; non è prevista

alcuna quota di compartecipazione o di cofinanziamento da parte degli Ambiti territoriali. Le spese relative all’assunzione di personale devono essere imprescindibilmente riconducibili al progetto candidato a finanziamento sul PON Inclusione e ogni forma di costo deve essere adeguatamente giustificata e rendicontata. In merito al personale a tempo indeterminato, risulta ammissibile il rimborso di quello in forza alla PA, esclusivamente per una quota parte dello stipendio in termini di ore lavorate a valere sul progetto (ore di straordinario o trasformazione di part time in full time). Relativamente alle nuove assunzioni - rammentando che non è possibile derogare alle vigenti procedure di assunzione e di selezione del personale - è possibile ricorrere a: - contratti a tempo determinato, previo esperimento di procedure concorsuali. - contratti con professionisti (ex art. 7, comma 6 D.Lgs. n. 165/2001), nelle varie forme previste per i cd contratti flessibili. La possibilità di ricorrere a forme di lavoro interinale è ammessa sempre a condizione che le attività previste all’interno di tale rapporto di lavoro siano strettamente legate al progetto. Per maggiori dettagli si invita alla consultazione dell’Avviso Pubblico n. 3/2016 per la presentazione di progetti da finanziare a valere sul Fondo Sociale Europeo, programmazione 2014-2020; alle Linee Guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul Sostegno all’Inclusione Attiva, pubblicate il 02/11/2016; alle relative FAQ per i Comuni e gli Ambiti territoriali sulla Carta SIA, sempre a cura del Ministero.

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L e s p e s e r e l a t i v e a l l ’a s s u n z i o n e d i p e r s o n a l e d e v o n o e s s e r e imprescindibilmente riconducibili al progetto candidato a finanziamento sul PON Inclusione e ogni forma di costo deve essere adeguatamente giustificata e rendicontata.

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La pubblicazione dei benefici e contributi L’atto di concessione (determinazione del responsabile) dell’assegno di nucleo familiare (art. 65 della L. 448/98) e dell’assegno di maternità (art. 74 del D.Lgs. 151/2001) (già art. 66 della L. 448/98) pur non essendo un beneficio liquidato dal Comune è soggetto a pubblicazione ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013? Analogamente gli atti relativi all’erogazione a utenti di benefici trasferiti da altri Enti Statali/Regionali etc. sono soggetti a tale pubblicazione della “Sezione Trasparente”.

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n primo luogo occorre precisare che, secondo quanto sancito espressamente dai primi due commi dell’art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013, le Pubbliche Amministrazioni devono pubblicare all’interno dell’apposita sezione “Amministrazione trasparente” del loro sito internet istituzionale, una serie di informazioni riguardanti non solo gli atti con cui vengono da esse determinati i criteri e le modalità per la concessione delle sovvenzioni, ma anche i provvedimenti con cui le stesse concedono effettivamente tali benefici economici a chi ne abbia fatto richiesta. Il quarto comma della stessa disposizione prevede, inoltre, in ossequio ai principi previsti dalla normativa in materia di tutela dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003), che al fine di non recare pregiudizio alla riservatezza dei soggetti beneficiari “è esclusa la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti di cui al presente articolo, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati”. Sarà, pertanto, onere delle P.A. oscurare tali dati personali in modo tale da non renderli intellegibili ai terzi. Da quanto fino ad ora riportato è, dunque, possibile pacificamente affermare che le amministrazioni per adempiere correttamente alle disposizioni in tema di trasparenza devono ottemperare a diversi oneri di ostensione che permettano al cittadino di comprendere in maniera PAGE

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precisa ed esaustiva le modalità, nonché l’effettiva attribuzione, dei benefici economici erogati dagli enti attraverso la messa a disposizione di fondi pubblici. Tuttavia, dato il coinvolgimento di più soggetti pubblici nel procedimento di concessione di tali benefici, risulta importante, al fine di fornire una risposta esaustiva al quesito in esame, comprendere quale delle amministrazioni interessate sia sottoposta agli obblighi di pubblicazione previsti dal D.Lgs. n. 33/2013. Come espressamente disposto dall’articolo 65 della L. n. 448/1998 e dall’art. 74 del D.Lgs. n. 151/2001, il procedimento di attribuzione delle somme relative all’assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori e quelle inerenti all’assegno di maternità, prevede il coinvolgimento di più Amministrazioni pubbliche. In particolare, è stato disposto che i Comuni si occupino della concessione finale del sussidio, successivamente all’espletamento delle attività di verifica dei requisiti dei richiedenti, e che l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS), in ottemperanza ai provvedimenti concessori emanati dai Comuni attraverso apposite determinazioni, eroghi, tramite assegno, le somme spettanti a chi sia risultato idoneo. Da quanto emerge


dalla lettura delle disposizioni precedentemente richiamate, è possibile comprendere, invero, che il provvedimento di cui si richiede la pubblicazione all’interno della sezione trasparente del sito web dell’ente in questione sia proprio quello contenente l’atto finale di concessione del beneficio economico e non già quello successivo di erogazione delle somme scaturenti da tali atti. Da tale considerazione deriverebbe, quindi, quale conseguente corollario, che l’amministrazione assoggettata all’obbligo di cui all’art. 26 sarebbe, in questo caso, proprio il Comune, in quanto soggetto a cui è demandato dall’ordinamento il compito di emanare i provvedimenti concessori di tali sussidi economici e non, invece, l’INPS a cui compete esclusivamente il successivo onere di erogazione materiale delle somme ai richiedenti. L’unico soggetto pubblico che decide sull’attribuzione di tali sussidi risulta essere, infatti, esclusivamente il Comune che ha il potere, attraverso un’analisi oggettiva dei requisiti dei richiedenti, di ordinare l’erogazione di tali somme all’Istituto di Previdenza Sociale. Inoltre, come anche espressamente sancito dal terzo comma dello stesso articolo, il momento a partire dal quale sorge il diritto dei richiedenti di pretendere l’erogazione del sussidio è proprio quello della sua pubblicazione che costituisce, pertanto, condizione legale per l’efficacia degli atti che dispongono le concessioni o le attribuzioni a favore degli stessi (art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 33/2013). Da ciò si desume ulteriormente che l’atto di concessione sia proprio quello del Comune e sia, pertanto, tale soggetto a dover porre in essere la pubblicazione sul proprio sito internet. Tali conclusioni risultano avvalorate anche dalla stessa Autorità Nazionale Anticorruzione la quale, all’interno della sezione “domande frequenti” presente sul proprio sito internet istituzionale, afferma esplicitamente che, qualora il procedimento di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici coinvolga più amministrazioni, la pubblicazione debba avvenire a cura dell’ente effettivamente competente ad adottare il provvedimento concessorio finale, anche laddove altre amministrazioni concorrano alle attività procedimentali ad esso inerenti (FAQ 13.9 http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/MenuServizio/FAQ/Trasparenza#13). Pertanto, in riferimento al quesito specifico relativo all’onere di pubblicazione dei provvedimenti concedenti benefici economici erogati da amministrazioni diverse da quella che ne dispone la concessione, compresi, dunque, gli assegni per nuclei familiari con almeno tre figli minori e di maternità, l’onere di pubblicazione, costituente condizione legale per la loro efficacia, sarà assoggettato all’ente emanante il provvedimento finale e non già al soggetto pubblico che materialmente si occupa di erogare tale sussidio. Spetterà a tale amministrazione, nel procedere alla pubblicazione, assicurare il rispetto delle cautele previste dalla normativa sulla riservatezza dei dati personali. PAGE

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i una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. E’ Marco Polo che, parlando a Kublai Khan di ritorno dai suoi viaggi, fissa con queste poche parole una delle più efficaci e significative immagini de Le citta invisibili di Italo Calvino. Una sintesi efficacissima che sembra scritta per chi, come noi, deve occuparsi dei beni culturali, di monumenti e opere d’arte, di “meraviglie”, ma in realtà non può – non deve – mai smettere di fare e di farsi domande. E di provare a trovare le risposte. Soprattutto se ci si trova di fronte ad una città “invisibile” che cerca di ritrovare la sua concretezza e la sua identità. L’Aquila, città d’arte straziata e ferita. L’Aquila “città nuova”, fondata nel Medioevo dai suoi futuri abitanti e poi, dopo il sisma, isolata, svuotata e sconfitta da 19 new towns artificiali. L’Aquila e la sua “corona” di borghi e villaggi in attesa di riscatto. L’Aquila, laboratorio di una ricostruzione estesa e complessa del patrimonio culturale, capace di offrire esperienza e strumenti alla nuova straziante e difficile sfida che i recenti eventi sismici del Centro Italia ci chiamano nuovamente a fronteggiare. L’Aquila, infine, luogo della scoperta e delle riscoperte. Delle nuove configurazioni che emergono dai restauri, che stanno riscrivendo la storia artistica e architettonica e che stanno recuperando immagini sconosciute o perdute della città, dei suoi spazi, dei suoi monumenti, dei suoi dintorni di centri storici, patrimonio diffuso e paesaggio. E’ qui che si sta cercando di ricostruire e di restaurare le “sette o settantasette meraviglie”, certi che la vera sfida non è quella ma sta nelle risposte che si sapranno dare alle mille e mille domande che quotidianamente quella realtà ci pone. E anche nella capacità di rilanciare nuove domande, cer-

Le amministrazioni comunali e le soprintendenze devono essere unite nel lungo processo di ricostruzione

LA VITA E L’ARTE OLTRE LA FERITA DEL SISMA L’Aquila e non solo: patrimonio culturale, luoghi identitari, memoria. Recuperare il passato per guardare al futuro. DI ALESSANDRA VITTORINI *

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cando di costruire di giorno in giorno nuove risposte, in una dimensione di tensione perenne che è forse l’anima vera del nostro ruolo in questi luoghi. Dal 2009 il sisma ha ridefinito anche il lessico, le parole e i loro significati, introducendo neologismi e concetti insoliti e astratti. Accade così che il territorio aquilano, che nulla ha mai avuto a che fare con i vulcani, sia ormai universalmente noto come “cratere”: un termine irreale e avulso dal contesto locale, che sta inesorabilmente prendendo il posto delle antiche denominazioni, dei toponimi e delle radici dei luoghi. Il “cratere sismico” comprende 57 Comuni, con al centro la città dell’ Aquila. Si estende per circa 80 km lungo la valle dell’Aterno, con un confine frammentato che travalica il Gran Sasso a nord e il Sirente a sud in modo discontinuo e casuale, interrompendo la continuità territoriale di ambiti geografici omogenei come il Gran Sasso, la piana di Navelli, la Valle Subequana. Un perimetro incerto che racchiude - isolandola dal territorio circostante – una vasta area di circa 2.400 kmq, quasi un quarto dell’intera regione.

Il terremoto ha ridefinito il lessico, le parole e i loro significati, introducendo neologismi e concetti insoliti e astratti. Così l’Aquilano, che non ha mai avuto a che fare con i vulcani, è ormai universalmente noto come cratere

“CITTÀ NUOVA” E TERRITORIO. UNA LEZIONE DAL PASSATO L’Aquila è l’espressione fisica di una straordinaria esperienza di costruzione condivisa e pianificata. Oggi che il suo centro storico è un immenso cantiere in attività e i suoi abitanti sono ancora distribuiti in 19 new towns, è il caso di ricordare che L’Aquila è stata essa stessa una new town, una città di nuova fondazione del Medioevo. Una città di fondazione che è oggi una città da rifondare. Una città che mantiene la sua forma da quasi ottocento anni e, con essa, conserva anche la memoria di una straordinaria lezione di storia urbana, che ha fondato sulla identità tra città e territorio e sul senso comunitario di “costruzione condivisa” dei luoghi simbolici e degli spazi pubblici, la sua immagine consolidata nel tempo. L’Aquila nasce infatti come risposta al bisogno di aggregazione, forza e peso politico delle comunità insediate nel territorio. Alla metà del XIII secolo novantanove castelli condividono questo grande progetto e individuano nel punto centrale dei loro territori il sito più idoneo per la loro città: è il collegamento tra le due ampie conche, luogo di passaggio e comunicazione delle antiche popolazioni, là dove il fiume Aterno si insinua in uno stretto varco della valle e dove l’abbondanza di acque dà origine al toponimo di Acquili, che darà il nome alla nuova città. PAGE

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conservata nei suoi cinque chilometri di sviluppo complessivo.

NON SOLO L’AQUILA: LA DIMENSIONE ESTESA DEL SISMA E DELLA RICOSTRUZIONE La posizione geografica lungo vie di comunicazione strategiche, la fondazione collettiva della “città nuova”, la diffusione capillare dei monasteri benedettini e cistercensi, le ampie conche preziose per l’agricoltura, le pregiate coltivazioni di zafferano della piana di Navelli e soprattutto il controllo degli estesi pascoli montani e delle vie della transumanza, fanno di questa regione un ricco e consolidato sistema in cui per secoli storia e geografia, città e paesaggi, pietre e natura si fondono in una immagine unitaria e omogenea di rara intensità. E’ questa l’area devastata dal sisma del 2009. L’Aquila e i centri circostanti ne sono usciti completamente distrutti nei loro centri storici, nei delicati equilibri territoriali, nella loro armatura insediativa e sociale, nel prezio-

Sono 57 i Comuni compresi nella zona devastata dalla scossa dell’aprile 2009

so sistema diffuso di luoghi e di edifici storici e identitari: chiese, abbazie, santuari, castelli, fortificazioni, piccole frazioni e borghi murati. Un sistema che, anche se poco noto ai circuiti turistici e agli stessi abruzzesi, conserva ancora testimonianze pregevoli di ogni epoca storica e di ogni dominazione. Nel processo di ricostruzione cittadina e territo-

Nel processo di ricostruzione occorre trovare lo spazio, il tempo e l’attenzione per una riflessione approfondita sulla lezione di storia urbana che L’Aquila conserva nelle sue strade, nelle sue pietre, nel suo territorio, nei suoi borghi, nei suoi paesaggi

Un potente legame unisce ogni castello con la città, ogni quartiere con il contado, ogni comunità cittadina con la corrispondente comunità di provenienza. Infatti, all’atto della fondazione il contado – il Comitatus Aquilanus – viene diviso in quattro quadranti che si incrociano nel punto esatto in cui sorgerà la città. Questa risulta quindi divisa anch’essa in quattro “quarti”, destinati ad accogliere le comunità provenienti dal corrispondente quadrante territoriale, e nuovamente suddivisi in “locali”, porzioni di città con lo stesso nome dei castelli fondatori, destinati ad ospitarne le comunità da trasferire. Precise regole disciplinano la costruzione e il successivo insediamento della popolazione. Gli abitanti dei castelli possono costruire le loro case e trasferirsi in città solo dopo aver provveduto alla costruzione della loro piazza, della loro chiesa e della loro fontana. Cioè i luoghi rappresentativi - e simbolici - dell’aggregazione civile e del commercio (la piazza), dell’aggregazione religiosa (la chiesa) e delle risorse (la fontana), beni “comuni”, spazi e simboli identitari e unificanti delle nuove comunità. Una forma primordiale, ma lucida e lungimirante, di identificazione di quelle che, diversi secoli più tardi, verranno definite “opere di urbanizzazione”, prima indispensabile dotazione di una città civile, di una città efficiente e pianificata a partire dai suoi luoghi pubblici e di uso pubblico. Sulla base di queste stesse regole pochi decenni dopo si procederà alla realizzazione delle grandi opere comuni: la grande Piazza (che da allora ospita il mercato cittadino), la monumentale Basilica di Collemaggio (voluta da Pietro da Morrone, poi Papa Celestino V, nel 1288) e la Fontana della Rivera o delle Novantanove Cannelle. La piazza di tutti, la chiesa di tutti, la fontana di tutti: luoghi simbolo in cui finalmente la città si riconosce come un organismo unico ed unitario. Il tutto troverà forma compiuta pochi decenni più tardi, con la costruzione della imponente cerchia di mura trecentesche, tuttora integra e

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GDC I sindaci devono essere partner privilegiati nella tutela del patrimonio culturale e storico del territorio che essi amministrano

riale occorre allora trovare lo spazio, il tempo e l’attenzione per una riflessione approfondita sulla importante “lezione di storia urbana” che L’Aquila conserva ancora nelle sue strade, nelle sue pietre, nel suo territorio, nei suoi borghi, nei suoi paesaggi. Una lezione dalla quale tutti abbiamo ancora molto da imparare. La complessità del sistema insediativo atterrato dalla scossa del 6 aprile 2009 è evidente anche ad una semplice analisi dei dati demografici e territoriali: circa 140.000 abitanti, distribuiti per metà nel capoluogo (con 60 frazioni) e per metà nei 56 Comuni circostanti, in buona parte con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti (e molti al di sotto dei 300 abitanti). Un sistema diffuso, articolato e fragile, così simile nelle sue caratteristiche insediative, fisico-geografiche, storico-artistiche e paesaggistiche al territorio appenninico devastato dalle recenti drammatiche scosse di Amatrice e Norcia. Partiamo allora dal patrimonio culturale così come oggi si presenta ai nostri occhi, con le sue testimonianze storiche e archeologiche, monumentali e artistiche, specchio della storia e delle storie che hanno traversato quei territori. L’attività degli uffici abruzzesi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è sviluppata fin dall’inizio lungo i due filoni della ricostruzione del patrimonio culturale pubblico e privato. La ricostruzione dei beni culturali pubblici, oggetto di una imponente programmazione economica legata a fondi governativi, donazioni e/o adozioni internazionali, è stata interamente affidata alla struttura di livello regionale (Direzione/Segretariato regionale MiBACT). Si tratta di interventi di ricostruzione e restauro di beni appartenenti quasi interamente ad altri enti, che si sono affidati al MiBACT per la gestione operativa dei restauri. Nel capoluogo sono in consegna al MiBACT, infatti, solo l’imponente Forte Spagnolo, il prezioso gioiello barocco di Palazzo Ardinghelli e le suggestive aree archeologiche di Amiternum e Forcona: tutti gli altri appartengono al Comune dell’Aquila, ad altre amministrazioni pubbliche o alle locali Diocesi e Parrocchie.

Gli interventi sul patrimonio culturale sono quelli che oggi, con moltissime gru, disegnano lo skyline cittadino di una città che si ricostruisce e si restaura Alla data del sisma il patrimonio culturale privato comprendeva poco più di settecento edifici: palazzi, ville e complessi monumentali, la maggior parte dei quali concentrati nel territorio comunale dell’Aquila. Il suo centro storico è sottoposto a tutela per circa i due terzi della sua estensione e comprende circa 320 beni culturali privati e diverse decine di beni culturali pubblici. Nei 56 Comuni del “cratere” i beni privati di interesse culturale sono circa 230; ad essi si aggiungono, nel capoluogo e nei centri minori, i numerosi – diverse centinaia - edifici

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di proprietà pubblica tutelati per legge: castelli, palazzi, sedi istituzionali, conventi, ville, chiese, fortificazioni, abbazie, fontane, santuari. Ne risulta, per l’intera area del sisma, un totale di beni pubblici e privati certamente superiore ai duemila edifici e complessi monumentali. Dunque un insieme complesso, articolato e fragile. Completamente devastato nel suo sistema insediativo e nella sue comunità. Dal 2012, all’indomani della cessazione dell’emergenza e della gestione commissariale, il Governo ha riorganizzato completamente la


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Di giorno in giorno, a lavori ultimati, il progressivo smontaggio dei ponteggi svela facciate e dettagli, cortili e chiese, portali e finestre scolpite, colori e materiali recuperati, restituendo scorci piccoli e grandi di una città che ritrova un nuovo volto e una nuova immagine. E con essi la sua memoria e la sua identità

governance della ricostruzione. Sono state restituite le competenze ordinarie alle amministrazioni e sono stati costituiti i due Uffici Speciali incaricati di gestire sul piano operativo i fondi, a partire dalla fine dello stesso anno. È stata inoltre disposta una nuova modalità di valutazione e gestione dei contributi pubblici per la ricostruzione privata, basata su sistemi parametrici, con monitoraggio e controllo. Al momento della messa a regime del nuovo sistema, il lavoro sul patrimonio culturale pubblico e privato era già partito da tempo, con un impegno corale di tutti gli uffici MiBACT abruzzesi. Per quanto riguarda le attività di restauro monumentale, la Direzione regionale, oggi Segretariato regionale, ha svolto il ruolo di stazione appaltante e di soggetto attuatore degli interventi sui beni culturali pubblici. Sono oltre 100 gli interventi attivati in città e nel “cratere” (65 dei quali completati), cui si aggiungono gli altri 60 appena partiti con gli ultimi finanziamenti. Tra i beni di proprietà comunale sono oggi con-

clusi il Palazzetto dei Nobili, la Fontana delle Novantanove Cannelle, un’ampia porzione delle Mura Urbiche recuperate con un imponente progetto di restauro finanziato con fondi europei, Porta Napoli e Porta Castello, l’ex Mattatoio per la nuova sede del Museo Nazionale d’Abruzzo, mentre proseguono senza sosta i lavori al Teatro comunale, alla Chiesa del Soccorso, al Teatro S. Filippo e alla Fontana Luminosa, ormai quasi ultimata. Nella Basilica di Collemaggio, luogo simbolo della città e sede della annuale celebrazione della Perdonanza, è attivo da un anno uno straordinario ed impegnativo cantiere di consolidamento e restauro progettato e diretto dalla Soprintendenza - che ha potuto contare sul supporto tecnico-scientifico di un team di autorevoli esperti di tre Atenei - e interamente finanziato da ENI. Particolarmente ricco e articolato, anche nella sua distribuzione territoriale, il patrimonio religioso. Anch’esso è stato affidato quasi integralmente al MiBACT per gli interventi di restauro e consolidamento:

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sono conclusi i lavori in oltre 20 chiese, conventi e abbazie in città e nel “cratere”, tra i quali vale la pena di ricordare la splendida Abbazia di S. Clemente a Casauria, la Chiesa di S. Paolo Apostolo a Onna e il Conventino di S. Giuliano. In altre decine di chiese i lavori sono in fase di avvio, in corso o in ultimazione: tra le tante, la celebre Chiesa di S. Maria del Suffragio (e delle “Anime Sante”) nella Piazza del Mercato, oggetto di cofinanziamento del Governo francese. Con la riapertura nel maggio 2015 della Basilica di S. Bernardino, restaurata dal Provveditorato OO.PP. in collaborazione con la Soprintendenza, il centro storico ha finalmente recuperato un luogo simbolo della fede, per le celebrazioni solenni: ad esso si aggiungono via via nuovi luoghi grandi e piccoli in città e nel territorio che restituiscono memoria e identità alle comunità ancora in cerca di normalità. La ricostruzione dei beni culturali privati si è svolta con progettazioni di consolidamento e restauro valutate e approvate dalla Soprintendenza, che ne ha anche quanti-


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L’Aquila è l’espressione fisica di una straordinaria esperienza di costruzione condivisa e pianificata.Oggi che il suo centro storico è un immenso cantiere in attività e i suoi abitanti sono ancora distribuiti in 19 new towns, è il caso di ricordare che L’Aquila è stata essa stessa una new town, una città di nuova fondazione del Medioevo. Una città di fondazione che è oggi una città da rifondare

ficato e attestato la congruità del contributo ai fini dell’erogazione dei finanziamenti e dell’attivazione dei cantieri, sui quali svolge costantemente l’alta sorveglianza durante lo svolgimento dei lavori. I progetti di restauro approvati interessano finora oltre 230 aggregati in cui sono stati immediatamente attivati i cantieri. Quasi 100 sono oggi ad uno stato molto avanzato o conclusi, con i primi, ancora troppo pochi, rientri della popolazione e delle attività commerciali. Tutte le attività di restauro e di valutazione dei progetti connessi alla ricostruzione hanno visto impegnate in primo piano, per gli aspetti di rispettiva competenza, anche le altre Soprintendenze regionali di settore, operative fino al marzo 2015: la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Aquila e la Soprintendenza Archeologica di Chieti. Gli interventi – in corso o conclusi – sul patrimonio culturale sono quelli che oggi, con moltissime gru, disegnano lo skyline cittadino di una città che si ricostruisce e si restaura. Di giorno in giorno, a lavori ultimati, il progressivo smontaggio dei ponteggi svela facciate e dettagli, cortili e chiese, portali e finestre scolpite, colori e materiali recuperati, restituendo scorci piccoli e grandi di una città che ritrova un nuovo volto e una nuova immagine. E con essi la sua memoria e la sua identità.

LE AMMINISTRAZIONI COMUNALI, PARTNER PRIVILEGIATI NELLA TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE

trimonio culturale tra i suoi principi fondamentali (art. 9, “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico…”) la affida, e non è un caso, non a soggetti specifici statali o locali, ma alla “Repubblica”. Non solo allo Stato, dunque, né alle Regioni, alle Province, ai Comuni, ma anche a tutto l’insieme più allargato di soggetti che compongono la Repubblica: le Diocesi e le Università, le associazioni e gli operatori economici, i professionisti e le scuole, la politica e i cittadini. Tutti, dunque, ognuno per la sua parte. E’ per questo che la mission di tutela e di recupero del patrimonio attuata dalle Soprintendenze in uno scenario complesso come quello della ricostruzione non può prescindere da un percorso condiviso con le altre istituzioni. A partire dai Comuni, per i quali i beni culturali costituiscono materia viva dell’amministrazione pubblica e componente primaria della qualità della vita dei cittadini. Con i sindaci si concordano iniziative di recupero e valorizzazione dei luoghi della cultura, con i sindaci si definiscono i contenuti della programmazione finanziaria, con i sindaci si condividono metodologie operative rispettose della storia e della memoria, capaci di restituire ai cittadini identità e senso di comunità, ingredienti primari per il recupero di una normalità da troppo tempo interrotta. D’altra parte è proprio la materia urbanistica, “il governo della città” – competenza comunale – lo strumento più efficace e capace di estendere, in modo graduato e puntuale, a tutta la città e al territorio una attenta disciplina di controllo e tutela del patrimonio culturale e del contesto. Ed è in quella dimensione che può trovarsi anche la chiave per cogliere le migliori opportunità connesse alla ricostruzione: riqualificazione e rigenerazione urbana, miglioramento tecnologico, efficientamento energetico, correzione di errori del passato, redistribuzione di funzioni, ridefinizione degli spazi pubblici e dell’arredo urbano, delle aree verdi, degli spazi aperti. La “narrazione” e la cronaca di questi ultimi anni hanno messo la tutela del patrimonio culturale al centro di un conflitto – più strumentale che reale – che vedrebbe gli organi di tutela e le amministrazioni locali su fronti contrapposti. Ma la realtà di ogni giorno restituisce invece una convergenza sulla quale si lavora e occorre continuare a lavorare e investire. Insieme.

L’attività di recupero del patrimonio culturale compone, nell’intera area del “cratere sismico”, uno scenario di grande complessità operativa, che investe tutti gli attori della ricostruzione: non solo le strutture di Governo (Struttura di missione), i due Uffici Speciali, gli Uffici MiBACT, ma anche – e in prima linea - le Amministrazioni comunali, titolari della responsabilità primaria nei confronti delle loro comunità. Anche sul piano della tutela. Infatti la Costituzione, collocando la tutela del pa-

La Costituzione affida a tutta la Repubblica, e non a soggetti specifici, la tutela del patrimonio culturale, coinvolgendo Stato, Regioni, Comuni, diocesi e università

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Ciò vale anche per tutti i soggetti che operano direttamente – come proprietari o come stazioni appaltanti – nei cantieri della ricostruzione: i Comuni, le Province, la Regione, il Provveditorato alle Opere Pubbliche, le Diocesi, le Parrocchie e gli Ordini religiosi. Ma anche i privati proprietari, i consorzi, i professionisti, i tecnici, le imprese, le maestranze specialistiche. E, perché no, anche gli Ordini professionali che formano i professionisti di oggi, le Università che formano i tecnici di domani. E, infine, le scuole che preparano i cittadini del futuro. E’ con tutti loro che condividiamo quotidianamente le strategie generali, le valutazioni tecniche e le soluzioni operative, la compatibilità degli interventi con la tutela del patrimonio e i principi del restauro, garantendo al contempo i requisiti di sicurezza che questa città richiede.

UN LABORATORIO DI RESTAURO A CIELO APERTO I cantieri, le indagini, gli studi, i progetti e le valutazioni, le scoperte inattese e i conseguenti adeguamenti progettuali, l’emergere di stratificazioni e storie nascoste, le tracce degli antichi sismi e delle ricostruzioni: tutto ciò compone uno straordinario laboratorio di restauro, luogo dell’approccio critico, della disponibilità ad interrogarsi e mettersi in discussione. I restauri in corso rappresentano una occasione straordinaria di studio, sperimentazione e ricerca su edifici che hanno improvvisamente “messo a nudo” le loro strutture, le loro stratificazioni, le tracce nascoste di vicende storiche e artistiche che tornano alla luce. E ci interrogano quotidianamente sulle scelte metodologiche e sulle diverse possibili soluzioni e tecniche di intervento. Aprendo all’esplorazione di nuovi e inediti

Un sistema diffuso, articolato e fragile, così simile nelle sue caratteristiche insediative, fisico-geografiche, storico-artistiche e paesaggistiche al territorio appenninico devastato dalle recenti drammatiche scosse di Amatrice e Norcia

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“L’Aquila, infine, luogo della scoperta e delle riscoperte” scenari sulla storia e le vicende artistiche degli edifici, delle città, dei territori. E delle possibili opportunità di conoscenza e condivisione collettiva di questi risultati, offrendoli ad una comunità che dimostra un bisogno sempre maggiore di recupero della propria identità e storia. E’, questo, un aspetto che non può e non deve, essere tralasciato. Va mantenuta al centro dell’attenzione la specificità del restauro, oltre che della ricostruzione. Una attenzione a quei metodi e principi conservativi che, pur nelle esigenze prioritarie legate alla sicurezza, impongono atteggiamenti di cautela, con lo studio approfondito, la documentazione, l’indagine operativa sui manufatti e le strutture; e soprattutto il recupero delle tecniche costruttive tradizionali e compatibili con le strutture antiche, che spesso hanno dimostrato anche maggior capacità di resistenza alle sollecitazioni sismiche. La stratificazione dei secoli, delle epoche storiche, dell’evoluzione culturale e artistica e, soprattutto in quest’area, delle vicende legate ai ricorrenti eventi sismici, ha lasciato tracce importanti e oggi visibili negli edifici e nei tessuti urbani. Tracce che tornano alla luce con scoperte inattese: affreschi, decorazioni, strutture architettoniche rimaneggiate, soffitti lignei, antichi presidi antisismici, elementi lapidei, configurazioni degli spazi finora sconosciute o semplicemente ipotizzate, palinsesti decorativi che restituiscono immagini inattese che ci fanno riscoprire - e talvolta riscrivere - pagine di storia ignote o dimenticate. Tutto ciò richiede uno sguardo ampio e un approccio trasversale, capace di aprirsi all’insieme delle discipline, alla complessità delle stratificazioni storiche e delle tecniche costruttive, all’articolazione dei centri storici, dei territori, delle reti di luoghi e di paesaggi. E’ solo nel quadro globale che si possono cogliere la rilevanza, le corrispondenze, i richiami reciproci e il contributo al valore complessivo che ogni singolo edificio, monumento,

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GDC Il terremoto, le sue tragiche ferite e la lunga attesa di questi sette anni hanno alimentato un crescente bisogno di riappropriazione della città in tutti gli abitanti oggi “delocalizzati” in insediamenti temporanei e sistemazioni provvisorie

spazio urbano, facciata, finitura, dettaglio, riesce a fornire al sistema cui appartiene, alla sua immagine, al suo equilibrio tra elemento edilizio e struttura urbana, tra componente costruita e componente naturale.

IL VALORE SOCIALE DELLA RICOSTRUZIONE Il terremoto, le sue tragiche ferite e la lunga attesa di questi sette anni hanno alimentato un crescente bisogno di riappropriazione della città in tutti gli abitanti oggi “delocalizzati” in insediamenti temporanei e sistemazioni provvisorie. Ogni iniziativa culturale, ogni completamento di restauri, ogni evento pubblico diventano l’occasione per ritornare nei luoghi e negli spazi collettivi della città, alla ricerca di un senso di comunità da tempo smarrito ma di cui si continua a sentire un gran bisogno. In questo scenario il patrimonio culturale rappresenta solo una parte limitata e non sarà certamente in grado di fornire tutte le risposte alle tante domande, ai tanti problemi che questa città pone ogni giorno. Ma rappresenta certamente la sintesi dei valori comuni e identitari: le chiese, le piazze, i palazzi, i monumenti, le scoperte (o riscoperte) legate ai restauri sono gli elementi di una nuova consapevolezza del valore culturale della città e del territorio, “bene comune” per eccellenza. Ed è per questo che tutti noi, che operiamo nel restauro di quel patrimonio, ci sentiamo quotidianamente chiamati a svolgere un compito delicato, importante e cruciale, un carico di responsabilità che ci impegna – pubblicamente, professionalmente e civilmente – nel difficile lavoro di ogni giorno, che non può procedere senza un’ampia condivisione di obiettivi e intenti con tutti i soggetti coinvolti, che faccia della ricostruzione un momento fondante del recupero di un valore collettivo. Una riflessione che dovrà spingersi ben oltre la semplice ricostruzione di edifici pubblici e case ma che dovrà saper offrire le condizioni per il ritorno: il ritorno dei cittadini in quelle case e il contestuale ritorno delle funzioni primarie in quegli edifici pubblici. Per disegnare un futuro per una città dal glorioso passato e che da troppo tempo ha perso il suo presente. Per restituire ad ogni città e ad ogni borgo, la sua gente, restituendo allo stesso tempo ad ogni comunità la sua identità, nei luoghi della sua storia e della sua memoria.

*ALESSANDRA VITTORINI, Soprintendente Archeologia Belle

Arti e Paesaggio per L’Aquila e i comuni del cratere – MIBACT

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INTEGRAZIONE HEALTH AWAY DEI MODELLI

DI ORGANIZZAZIONE E CONTROLLO

L

e società partecipate dalla Pubblica Amministrazione si trovano al centro di una problematica pratico-interpretativa in merito all’integrazione dei Modelli Organizzativi di cui al D.Lgs. 231/2001 con la normativa anticorruzione. Il Piano Nazionale Anticorruzione 2016, come il precedente, conferma l’opportunità di integrare i Modelli 231/2001 con i presidi anticorruzione. Si premette che l’applicazione delle misure anticorruzione ha un diverso livello di incisività in relazione alla partecipazione della P.A. (società in controllo pubblico e società partecipate). Il nuovo D.Lgs. 97/2016, correttivo della L. 190/2012 e del D.Lgs. 33/2013 ha introdotto una novità, prescrivendo che il Piano costituisce atto di indirizzo ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del D.Lgs. 231/2001. In precedenza solo le determinazioni dell’ANAC avevano dato indicazioni a riguardo e, dunque, mancava un’apposita esplicitazione normativa. Le società in controllo pubblico, inseriscono nel Codice Etico e nel Sistema Disciplinare, le fattispecie esemplari relative a condotte di corruzione e maladministration in aderenza alle indicazioni della L. 190/2012. Per la Parte Generale descrivono il quadro normativo, riguardo la Parte Speciale, i presidi di controllo del Modello 231/2001 vengono integrati con quelli ex L. 190/2012 tramite redazione di un

“L’INTEGRAZIONE DEI MODELLI ORGANIZZATIVI EX D.LGS. 231/2001 CON I PRESIDI ANTICORRUZIONE DI CUI ALLA L. 190/2012

documento unitario e autonomo. Per ciascun processo rilevante ai fini del D.Lgs. 231/2001 e della prevenzione della corruzione, occorre estendere le condotte a rischio di corruzione attiva con quelle di corruzione passiva, come da L. 190/2012 che ricomprende tutti i reati previsti dal Titolo II capo I, Codice Penale. La ratio di un documento autonomo verte sulla necessità di ampliare la sfera delle condotte censurabili che, “in ottica 231”, sono addebitabili a soggetti privati e che come tali possono solo corrompere e non essere corrotti, mentre la L. 190/2012 deve tutelare la dimensione pubblica che gli enti


D.LGS. 231/2001

CON LE MISURE DI PREVENZIONE ANTICORRUZIONE

privati controllati dalla P.A. perseguono. Diverse anche le responsabilità dei soggetti preposti al monitoraggio delle misure, in più la L. 190/2012 mira a valutare l’impatto verso l’esterno con items non applicabili ad una valutazione rischio D.Lgs. 231/2001. Per le società partecipate, la normativa non prevede alcun espresso riferimento alle misure anticorruzione. Le stesse sono tenute ad osservare la disciplina di cui al D.Lgs. 33/2013 e 39/2013 nei limiti stabiliti dalla normativa. Il PNA dispone che le amministrazioni partecipanti dovrebbero, per dette società, promuovere l’adozione dei Modelli 231/2001, ferma restando la possibilità di programmare misure organizzative ai fini di prevenzione della corruzione ex L.190/2012.

CRISTINA RENNA, Presidente SA.GE. S.r.l

ABBIAMO UN OBIE TTIVO C OMUNE Trasformiamo la c omplessità d ei Mod elli 231, d ei presidi antic orr uzi one e d ei c ontrolli interni in un proc esso semplic e, lineare e c ondiviso. Proc edure più snelle e un obiettivo preciso: ecc o i sistemi integrati di SAGE.

WWW.SAGE WEB.I T


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Ancitel ha sviluppato il servizio

in collaborazione con la startup

Yes I Code

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a tecnologia corre in soccorso dei Comuni del Centro Italia colpiti dal terremoto con un’app mobile per informare e per condividere modulistica e altri strumenti utili nella gestione dell’emergenza. Si chiama Comunicacity il nuovo servizio che permette ai sindaci di offrire ai cittadini un canale di comunicazione diretta con l’amministrazione. Un servizio che si è dimostrato molto utile nella fase post terremoto: i Comuni di Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto infatti, fin dai giorni seguenti il sisma del 24 agosto, hanno utilizzato l’app per diramare comunicati, avvisi e informazioni di prima necessità alla popolazione così duramente colpita, inclusi gli esiti sulle

verifiche di agibilità delle abitazioni e sulla potabilità delle acque, la percorribilità delle strade e i moduli necessari per richiedere strutture abitative provvisorie. E quando la terra è tornata a tremare a fine ottobre gli stessi sindaci hanno avuto un canale in più per diramare ordinanze di sgombero e fornire indicazioni ai cittadini sulle misure da attuare. Chiunque abbia sperimentato in prima persona gli effetti di un terremoto sa bene come – anche dal punto di vista psicologico – sia fondamentale per la popolazione sentire l’amministrazione comunale vicina e presente. D’altro canto è noto come, proprio in simili circostanze, il telefono sia uno tra i primi oggetti da portare con sé per mantenere vivo un contatto con ciò che ci PAGE

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circonda. Per questo Ancitel ha offerto agli Enti locali coinvolti l’utilizzo gratuito del Servizio insieme a un servizio di redazione che, se il Comune lo richiedesse, potrà curare l’inserimento dei contenuti da diffondere. Il sindaco di Accumoli, insieme ad altri colleghi, ha deciso di aderire all’iniziativa, al pari di Ascoli Piceno, Leonessa, Posta, Roccafluvione, Venarotta Matelica, Montedinove e Montemonaco. I Comuni colpiti dal sisma possono così contare su nuove opportunità per assicurare tempestiva diffusione di notizie, avvisi e comunicati ai cittadini in primis ma anche a quanti sono presenti nelle aree interessate e a quanti operano a supporto delle popolazioni in un frangente in cui l’informazione è essenziale e resa


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--- PER SAPERNE DI PIÙ

A tutti gli enti interessati sono state fornite le indicazioni per l’accesso all’interfaccia di back end della piattaforma per l’inserimento dei contenuti da veicolare ai cittadini. Per aderire è sufficiente compilare un modulo contenente i dati essenziali necessari ad Ancitel per attivare il servizio.

UNA APP PER AIUTARE LE POPOLAZIONI TERREMOTATE

 L’applicazione è scaricabile gratuitamente da tutti gli store (iOS, Android e Windows Phone)

I sindaci di alcuni Comuni colpiti dal sisma utilizzano Comunicacity per informare in tempo reale i cittadini. Notizie, avvisi, comunicati e strumenti utili accessibili in tempo reale su tablet e smartphone. DI ALDO MUSCI

più difficile. Comunicacity è una soluzione proposta da Ancitel in partnership con la startup Yes I Code di Roma. Si tratta di una piattaforma multi ente estremamente semplice da utilizzare per il Comune e altrettanto facile da configurare per l’utente che potrà decidere da chi e su cosa essere informato, scegliendo tra gli enti attivi e tra più di sedici ambiti, impostando la notifica push per ricevere aggiornamenti automatici. Notizie, avvisi e comunicati ufficiali, ma anche immagini, filmati ed altri contenuti multimediali, direttamente sui propri dispositivi (smartphone e tablet), in tempo reale e senza alcuna intermediazione, semplicemente scaricando gratuitamente l’applica-

zione Comunicacity dai rispettivi store (iOS, Android e Windows Phone). Grazie all’approccio multi ente l’attivazione di un Comune avviene in tempi brevissimi e l’utente ha la possibilità di interfacciarsi con un’unica applicazione per ricevere informazioni da più enti del territorio di interesse. Una freccia in più all’arco delle amministrazioni locali che possono così interagire, non solo in situazioni di emergenza ma anche nell’ordinario quotidiano, con la popolazione, i turisti e in generale chiunque sia interessato a ricevere comunicazioni in tempo reale, notifiche push, mappe interattive, informazioni turistiche e tanto altro. Comunicacity diviene così anche un eccellente strumento

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di promozione del territorio, ad esempio in occasione di eventi locali, così come per migliorare l’efficienza della gestione dei rifiuti. “Il fatto che l’offerta di questa opportunità sia venuta da un soggetto istituzionale come Ancitel, ci ha dato garanzie sull’affidabilità della soluzione – spiega il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci –e ci ha indotti ad aderire all’iniziativa. In un momento così delicato per i nostri cittadini, abbiamo deciso di sfruttare ogni possibilità per far sapere a tutti che l’Amministrazione comunale è presente e viva e siamo convinti che il servizio Comunicacity possa aiutare i nostri concittadini a essere più informati su tutto ciò che l’amministrazione fa ogni giorno”.


Adesione dei Comuni al Sistema pagoPA I L P R OTO C O L LO D ’ I N T E S A Ag I D -A N C I -A N C I T E L Gentile Sindaco, facendo seguito alla comunicazione congiunta ANCI – AgID, trasmessa a tutti i Comuni italiani nell’agosto 2015, con la quale si invitavano i suddetti Enti a formalizzare - entro il 31 dicembre 2015 - l’adesione al Sistema dei pagamenti elettronici a favore delle Pubbliche Amministrazioni (pagoPA), abbiamo il piacere di informarLa che AgID ha di recente sottoscritto con ANCI e Ancitel un protocollo d’intesa avente l’obiettivo di promuovere la rapida ed agevole attivazione degli stessi nell’ambito del Sistema pagoPA, in coerenza con le norme di cui all’art. 15 del Decreto Legge n.179/2012 e con le Linee Guida appositamente definite. L’adesione al Sistema pagoPA


permette di rendere disponibili i servizi di pagamento elettronico a cittadini ed imprese e di semplificare i processi interni delle amministrazioni, ottimizzando tempi e costi nella riscossione degli incassi, con certezza degli stessi, nonché razionalizzando ed automatizzando le relative attività di rendicontazione e di riconciliazione; il processo di attivazione di tali servizi, dovrà essere completato entro la fine del corrente anno. Ancitel, quale principale tecnostruttura dell’ANCI, si configura tra i soggetti che si propongono nel ruolo di Partner Tecnologico pagoPA, mettendo a disposizione il Servizio e-Pay, atto a supportare i Comuni nei processi di innovazione tecnologica e organizzativa, garantendo l’interoperabilità con il Nodo dei Pagamenti SPC e prevedendo, tra l’altro, sia la fornitura di un portale dei pagamenti a servizio dei cittadini sia gli strumenti di monitoraggio, rendicontazione e riconciliazione per i funzionari degli Enti. Ancitel si propone pertanto per affiancare i Comuni nel processo di integrazione applicativa, dall’adozione della delibera di adesione al Sistema fino all’esperimento dei test per l’abilitazione in esercizio ed attivazione al pubblico dei servizi pagoPA.

protocol

Roma, 13 luglio 2016 AgID Direttore Generale Antonio Samaritani

ANCI Segretario Generale Veronica Nicotra

AgiD ANCI protocollo Ancitel

AgiD ANCI AgiD ANCI Ancitel

Ancitel S.p.A. Amministratore Delegato Stefano De Capitani

AgiD ANCI AgiDAgiD ANCIANCI ncitel



Conai: un ruolo da protagonista nell’Economia Circolare CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi,è stato promotore in Italia

di un’economia circolare concreta fondata sulla valorizzazione e l’avvio a riciclo dei rifiuti di imballaggio sin dalla sua nascita, avvenuta quasi 20 anni fa. Ancora oggi ne è protagonista attivo continuando a portare importanti benefici sociali, economici ed ambientali al Sistema Paese. L’economia circolare si fonda su un modello che considera i rifiuti vere e proprie materie prime, e in cui il riutilizzo e il riciclaggio diventano la norma. L’operato del sistema CONAI concretizza la politica della Commissione Europea volta a sviluppare una più solida economia circolare e a promuovere il riciclaggio negli Stati membri attraverso gli strumenti della prevenzione, del design ecosostenibile e del recupero dei materiali. CONAI e i Consorzi di filiera sono andati oltre. Il sistema consortile, infatti, si basa sul rispetto del principio di responsabilità condivisa tra Imprese, Comuni e Cittadini, che prevede il recupero dei rifiuti, previa raccolta differenziata. I Comuni che aderiscono al Sistema Consortile ricevono corrispettivi economici sulla base della quantità e della qualità della raccolta differenziata effettuata sui propri territori, secondo quanto previsto dall’Accordo Quadro ANCI-CONAI. Corrispettivi che sono a loro volta finanziati dall’applicazione di un contributo ambientale alle imprese produttrici ed utilizzatrici di imballaggi in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro. Nel 2015 si è ulteriormente consolidata la quota di rifiuti di imballaggio recuperata a livello nazionale, pari al 78,6% dell’immesso al consumo, per un totale di 9,3 milioni di tonnellate. Un risultato che va ben oltre i target di legge e che mostra una progressiva crescita negli anni: nel 1998, primo anno di attività di CONAI, due imballaggi su tre erano conferiti in discarica, mentre oggi lo sono solo due su dieci. Lo scorso anno sono stati reimmessi nel ciclo produttivo ben 8,0 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio, di cui il 48% gestiti da Conai-Consorzi di Filiera (3,9 milioni di tonnellate), mentre il restante 52% è stato trattato dagli operatori indipendenti. Questi risultati hanno generato numerosi benefici ambientali, economici e sociali per il Sistema Paese, e hanno permesso di dare ulteriore impulso all’economia circolare in Italia, in cui il Consorzio Nazionale Imballaggi gioca un ruolo centrale. La gestione dei rifiuti di imballaggio impiega ad oggi 18mila addetti, di cui il 59% nei servizi di raccolta differenziata e il restante 41% nei servizi di preparazione al riciclo. Ampliando invece il perimetro anche all’industria del riciclo, gli occupati salgono a circa 37.000 unità. Queste aziende hanno generato un fatturato di 9,5 miliardi di euro ed un indotto economico di ulteriori 6,3 miliardi, frutto della maggiore occupazione.


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PagoPA: si afferma il sistema uniforme a livello nazionale per pagare la Pubblica Amministrazione

Ad oggi, hanno aderito a pagoPA 14.454 Pubbliche Amministrazioni e 87 prestatori di servizi di pagamento tra cui le principali banche italiane, Poste Italiane e CartaSi che rappresentano circa il 90% del sistema bancario, per un totale di transazioni pari a 661.809

I

l Sistema “pagoPA” è stato realizzato dall’AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale e dalla Banca d’Italia, in attuazione dell’art. 5 del Codice dell’amministrazione digitale (CAD). Tale sistema, completamente gestito da AgID, è attivo dal 2013 e obbligatorio per tutte le Pubbliche Amministrazioni (P.A.) e facoltativo per i gestori di pubblici servizi, senza oneri in capo alle P.A. e/o ai gestori, e con la recente modifica dell’art. 5 del CAD è divenuto obbligatorio anche per le società a controllo pubblico. PagoPA è il sistema che gestisce i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione in una modalità uniforme a livello nazionale, consentendo a cittadini e imprese di pagare la P.A. in modo sicuro e affidabile, garantendo la totale trasparenza nei costi di commissione secondo quanto previsto dalle regole della Banca d’Italia e dai regolamenti europei. PagoPA permette di pagare un servizio o una tassa direttamente dal sito web della P.A., scegliendo “come pagare” con un’operatività analoga a quella di un sito di e-commerce oppure presso i canali (sportello, ATM, tabaccaio, supermercato, smartphone, home banking, ...) messi a disposizione dai prestatori di servizi di pagamento. PagoPA ha trovato un sempre crescente consenso, proprio perché in grado di offrire una user experience uni-

P a g o PA non potrà rendere piacevole versare i tributi o pagare un servizio pubblico, ma certamente lo renderà più comodo, più semplice, più efficiente per tutti

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P a g o PA h a t r o v a t o un forte e crescente s o s teg n o da l G ov e r n o forme a livello nazionale, di veicolare ogni servizio di pagamento, dal bonifico, alle carte di debito e credito, al bollettino postale, di essere fruibile sia presso le banche che le poste italiane che ogni altro prestatore, inclusi gli istituti di pagamento che spesso sono localizzati nelle tabaccherie o nei bar o in altri punti di prossimità. Un consenso da parte dei prestatori di servizi di pagamento, un consenso da parte dei fornitori di servizi e tecnologia dei prestatori di servizi di pagamento – e ci si riferisce al consorzio CBI come alle diverse società IT che lavorano anche per le banche – e un consenso anche da parte delle amministrazioni e dei fornitori delle stesse, come Ancitel e altri soggetti da sempre dediti a supportare le Amministrazioni locali che possono trovare più difficolta nell’affrontare le iniziative nazionali. PagoPA ha trovato un forte e crescente sostegno anche dai governi che si sono succeduti, ad iniziare dal gabinetto Monti che ne ha per primo previsto l’obbligatorietà con il secondo decreto per la crescita fino all’attuale

esecutivo che con il D.Lgs 26 agosto 2016, n. 179, ha riformulato l’articolo 5 del CAD in materia di pagamenti elettronici, dando nuova e ulteriore efficacia alla portata normativa dello stesso. Il legislatore, con la modifica all’art. 5 del CAD ha confermato in particolare la centralità della piattaforma dei pagamenti pagoPA ed esteso l’obbligo di adesione anche alle società a controllo pubblico, nonché ampliato anche i servizi di pagamento che la piattaforma è tenuta a gestire, inserendo anche i micro-pagamenti, inclusi quelli basati sull’uso del credito telefonico.

altresì puntualizzato che, nel pieno rispetto del principio europeo di non discriminazione dei diversi servizi di pagamento, anche i pagamenti effettuati presso gli sportelli fisici delle amministrazioni devono accettare carte di debito, di credito e prepagate attraverso l’integrazione con la piattaforma pagoPA. In linea con il commitment politico e con le novità normative, anche il Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale Diego Piacentini ha apprezzato le funzionalità del sistema pagoPA e ne ha condiviso l’importanza di una sua piena

P a g o PA h a t r o v a t o u n s e m p r e c r e s c e n t e c o n s e n s o , p r o p r i o perché in grado di offrire una user experience uniforme a livello nazionale, di veicolare ogni servizio di pagamento

Tale obbligo in capo alle amministrazioni, da altro punto di vista, costituisce di per sé un diritto per il cittadino di poter eseguire un pagamento con tali modalità elettroniche. Infine, con il nuovo articolo 5 del CAD è stato

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diffusione a livello nazionale, anche in considerazione del termine del 31 dicembre 2016 entro cui le amministrazioni devo rendere il sistema pagoPA disponibile per i loro utenti. Allo stato, hanno aderito a pagoPA 14.454 P.A., di cui 9.758


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PagoPa C o n p a g o PA , I N V E C E , il cittadino può FINALMENTE scegliere di eseguire ON LINE il pagamento e, in piena libertà, potrà altresì scegliere il modo migliore per pagare sono attive e in esercizio, n. 87 prestatori di servizi di pagamento tra cui le principali banche italiane, Poste Italiane e CartaSi che rappresentano circa il 90% del sistema bancario; il tutto per un totale di transazioni pari a 661.809. Effettuare un pagamento, specie ad una Pubblica Amministrazione, è un’attività alla quale non si guarda con particolare favore, anche in considerazione della disomogeneità delle modalità di pagamento che una P.A. può mettere a disposizione dell’utenza. Se nel pregresso sistema di gestione degli incassi pubblici, il cittadino era chiamato ad eseguire il pagamento, attenendosi a precise indicazioni impartitegli dalla singola P.A. creditrice, che inviava, ad esempio un MAV o un bollettino postale, oppure obbligava il cittadino a compilare ed eseguire il relativo pagamento con il modello F24, e comunque difficilmente consentiva all’utente di eseguire pagamenti on line, con pagoPA, INVECE, il cittadino può FINALMENTE scegliere di eseguire ON LINE il pagamento e, in piena libertà, potrà altresì scegliere il modo migliore per pagare (bonifico da conto corrente bancario, postale oppure carta di credito o prepagata). Dunque, tutti gli italiani e le loro imprese possono entrare nel sistema di pagamento elettronico della Pubblica Amministrazione, direttamente tramite il sito dell’Ente pubblico ed eseguire l’operazione di pagamento; il tutto con pochi click e in pochi minuti, senza più file e supporti cartacei, inclusa la ricevuta del pagamento eseguito che sarà rilasciata on line e potrà essere conservata senza alcuna preoccupazione. Dunque, molta più serenità per le imprese e i cittadini che potranno fare tutto anche da casa o dall’ufficio, senza spostamenti: meno tempo e meno denaro. PagoPA non potrà rendere piacevole versare i tributi o pagare un servizio pubblico, ma certamente lo renderà più comodo, più semplice, più efficiente per tutti. avv. Daniele Giulivi, Area Pubblica Amministrazione – AgID

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TRA IL PRINCIPE E IL POPOLO IL FUTURO DEI CORPI INTERMEDI DI DANIELE DI MARIO

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e i cosiddetti corpi intermedi oggi sono praticamente spariti dal dibattito politico-istituzionale e, secondo alcuni commentatori, è possibile persino dire che non esistano praticamente più, la colpa è anche della loro decisione di suicidarsi. La provocazione è di Giuseppe De Rita, che, intervenendo lo scorso novembre a un convegno organizzato dal Cnel proprio sul futuro dei corpi intermedi, ha avuto modo di osservare come essi abbiano abdicato alla loro funzione primaria: costituire una cerniera istituzionale di raccordo tra il potere e il popolo. Secondo De Rita, i corpi intermedi hanno finito con l’uccidere le istituzioni che rappresentano e amministrano per aver cercato un rapporto diretto col potere, lottizzandosi per compiacere il “principe”. Una scelta scellerata, frutto di una malattia recente: il non comprendere il loro ruolo istituzionale di cerniera tra il potere e il popolo in un’epoca in cui populismo e risposta tecnocratica – secondo il sociologo ed economista Mauro Magatti – costituiscono due facce della stessa medaglia: la crisi delle istituzioni. Se da un lato, infatti, il populismo è incarnato dall’uomo forte, dal leader che solidifica il proprio legame con la base della piramide sociale, saldando il consenso attorno a qualcosa o a qualcuno (la religione, l’identità, la difesa dei confini…) e dicendo alla gente

quel che essa vuol sentirsi dire, dall’altro, sono proprio i ceti più bassi a spingere per soluzioni simili laddove non si intravede alcuna mobilità sociale, alcuna prospettiva di crescita. Per certi versi è ciò che è accaduto negli Stati Uniti d’America con il successo alle primarie repubblicane prima e alle elezioni presidenziali poi con Donald Trump. Ma dinamiche di questo tipo sono riscontrabili anche in altri Paesi, come ad esempio la Francia, in cui la crescita negli ultimi anni del Front National di Marine Le Pen è un fenomeno senza precedenti. Per contro, anche la risposta tecnocratica tende a raggiungere lo stesso obiettivo del populismo: il rapporto diretto con la popolazione, senza alcuna mediazione istituzionale. A venire in soccorso del leader, in questo caso, non è il parlare alla pancia del Paese, a quel ventre molle ipersensibile ad alcuni temi riguardanti il lavoro, il sociale e l’immigrazione, ma il fornire come risposta ai problemi il mito dell’efficienza. Se per quarant’anni non si è fatto nulla, basta continuare a parlare, a discutere, è il momento di agire. E anche se l’azione non è perfetta, meglio fare qualcosa che restare inerti, perché il popolo vuole qualcuno che faccia, che decida. Provocatoriamente, secondo Magatti, Renzi, Salvini e Grillo sarebbero facce diverse della stessa medaglia della crisi politico-istituzionale italiana. Una crisi dalla quale non sono esclusi i corpi intermedi e che, anzi, forse avrebbero anche contribuito a provocarla. Ed è chiaro che in una dinamica simile, essi rischiano di non trovare più alcuno spazio, perché di loro non si sente alcun bisogno. Se il potere ormai incarnato solo dal leader – populista o tecnocrate che sia – ha un rapporto diretto con il popolo è chiaro che viene saltato qualsiasi livello intermedio, qualsiasi camera di compensazione sociale, approfittando anche dell’individualismo tipico italiano. Perché da noi – osserva ancora Magatti – ogni posto è unico e non standardizzato, ma anche caotico, con nicchie di potere che hanno finito con lo

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TEMPI

MODERNI POPULISMO ED EFFICIENTISMO SONO DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA. COSÌ SONO SPARITE LE ISTITUZIONI CERNIERA DELLA NOSTRA SOCIETÀ

esprimono valori e interessi e che mobilitano spazzare via le risorse locali. Così se in Geradesioni e consenso da far valere nei conmania l’individualità viene valorizzata dal fronti delle istituzioni e nei confronti delle lavoro collettivo, il frazionalismo italiano ci altre formazioni sociali. L’articolo 2 della porta a farci la guerra gli uni con gli altri per Costituzione fu frutto dell’intenso lavoro di mantenere ciascuno il proprio status quo. In Aldo Moro e Umberto Tupini per la Democraquesto i corpi intermedi, tornando a De Rita, zia cristiana, ma anche di Palmiro Togliatti avrebbero una malattia profonda, collegata e Nilde Iotti sul fronte comunista. In quella al nostro modo di essere. Eppure, non era norma viene messo in evidenza che i diritquesto il modello di democrazia pensato ti e i doveri che ci legano in quanto parte in Assemblea Costituente. L’articolo 2 della della collettività nazionale sono attuabili non nostra Costituzione, infatti, affermando che solo a livello di singoli individui, ma anche “la Repubblica riconosce e garantisce i die soprattutto per mezzo delle libere aggreritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo gazioni dei singoli. In generale, fu tutto il sia nelle formazioni sociali ove si svolge la gruppo dossettiano della DC a svolgere un sua personalità, e richiede l’adempimento ruolo di stimolo nella prima sottocomissione dei doveri inderogabili di solidarietà politica, della Costituente. Proprio Giuseppe Dosseteconomica e sociale”, finisce per attribuire ti propose che la Costituzione riconoscesse un valore fondamentale ai corpi intermedi la “precedenza sostanziale della persona intesi come tutte le formazioni sociali che umana rispetto allo Stato e la destinazione si pongono a livello intermedio tra l’individuo di questo a servizio di quella” e “la necese lo Stato (o Enti locali). La prima di queste saria socialità di tutte le persone, le quali organizzazioni e certamente la famiglia, cui sono destinate a completarsi e perfezionarsi seguono le organizzazioni di rappresentanza a vicenda mediante una reciproca solidacome i sindacati, i movimenti di opinione, le rietà economica e spirituale: anzitutto in organizzazioni datoriali e quelle di categoria. varie comunità intermedie disposte seconSi tratta di formazioni che tradizionalmente PAGE

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pubblica e, se letti in coerenza con l’articolo 2, do una naturale gradualità (comunità familiari, se ne ricava che la nostra Legge Fondamentale territoriali, professionali, religiose) e quindi, per richiede alle formazioni sociali di contribuitutto ciò in cui quelle comunità non bastino, re con proposte e azioni al perseguimento di allo Stato”. Per Dossetti le comunità intermedie quegli obiettivi. Al tal proposito, Giorgio La Pira non solo sono necessarie per realizzare e tuebbe modo di mettere in evidenza che “i diritti telare al meglio le prerogative inviolabili della della persona umana non sono integralmente persona, ma anche per integrare il principio tutelati se non sono tutelati anche i diritti delle della separazione dei poteri con la diffusione comunità in cui la persona umana si espandel potere tra una pluralità di soggetti colletde” e che “la struttura della Costituzione deve tivi, al fine di evitare un rafforzamento inconessere conforme alla struttura reale del corpo trollato del potere esecutivo. Principio, questo, sociale, poiché questa struttura è organica e si che del resto costituisce la ratio anche degli svolge per la comunità, la medesima organiciarticoli 3, 4, 9, 29, 32 e 33 della Costituzione tà sarebbe bene proiettare nella Costituzione che indicano le principali missioni della Rein modo che questa sia lo specchio della realtà sociale”. I corpi intermedi improntarono anche il dibattito sul bicameralismo. Il PCI era decisamente schierato per il monocameralismo. La DC per un bicameralismo imperfetto, laddove veniva lasciato al Senato il compito di rappresentare i corpi intermedi. Soluzione che, tuttavia, non raccolse il consenso dei comunisti, determinati a un aut aut: monocameralismo o bicameralismo perfetto. Si optò per questa seconda ipotesi, demandando a un Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro il compito di dare voce alle istituzioni cerniera della

La nostra Costituzione tutela i diritti individuali e quelli collettivi, perché solo in associazione l’uomo esprime veramente se stesso PAGE

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Le associazioni di categoria hanno finito per suicidarsi cercando di compiacere il potere lottizzando le proprie istituzioni

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La concertazione è anacronistica, ma occorre riavviare un dialogo sociale che porti a un patto “aggressivo” che guardi all’innovazione Il senso delle istituzioni non venne meno neppure sotto il Fascismo, come dimostra l’esempio di Beneduce società. Esse, tuttavia, sembrano aver esaurito la missione affidatagli dalla Costituzione a causa del mutato rapporto tra il potere e il popolo. Il contesto sociale, economico, internazionale e tecnologico rispetto al 1948 è profondamente mutato. Il ventennio 19892008 sarà difficilmente ripetibile, in un’epoca, come quella attuale, contrassegnata dall’aumento del Pil e dalla decrescita del livello di benessere e da una crisi economica e sociale profonda. In una nuova prospettiva storica anche i corpi intermedi devono riformarsi, tornando, come sottolinea De Rita, a riscoprire il senso più puro della istituzione. Tra gli interessi del potere e quelli del popolo ci sono numerose istituzioni che valgono come tali indipendentemente dal regime. Beneduce era l’Iri, una cerniera che ha retto anche durante il fascismo. Il senso più vero del degasperismo è stato proprio l’orgoglio e il senso delle istituzioni di una intera classe dirigente. Senza cerniere la società non tiene, ma se sindacati, Unioncamere, associazioni di categoria

non torneranno a capire e ad anteporre il loro ruolo istituzionale, saranno destinati a essere immolati sull’altare del populismo o su quello della tecnocrazia e dell’efficientismo. Non si tratta a ben vedere di tornare alla concertazione, ma di riavviare un dialogo sociale che, all’alba del ventunesimo secolo, acquisti nuova credibilità. Un dialogo sociale che sia “aggressivo” e non “difensivo”, che non cerchi cioè di tutelare l’esistente, ma che sia al contrario rivolto all’avvenire, affrontando le sfide poste dall’innovazione, dalla trasformazione e dall’integrazione economica in atto. L’alternativa è rassegnarsi all’irrilevanza, se non si avrà la forza di scrivere nuove regole, anche istituzionali, che non potranno prescindere dalle istituzioni cerniera esaltate dalla nostra Costituzione. Perché – spiega sempre De Rita – non si può immaginare una società con un “cervellone che coglie tutto dall’alto. Pensiamo a una piramide. Tra il faraone in alto e il popolo in basso, ci deve essere qualcosa che fa da veicolo tra i due poli”.

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L’anima (perduta) della democrazia Istituzioni e società, l’interdipendenza come valore DI FILIPPO LA PORTA

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Con Tocqueville abbiamo imparato che il pluralismo è l’anima della democrazia, ma oggi le associazioni sono ovunque in crisi


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In tutti quei corpi intermedi in cui l’individuo si forma una coscienza critica il popolo non è bue. E ciò vale per associazioni, movimenti, organismi di base e di rappresentanza

QUANDO IL POPOLO NON È BUE

gno di un’equa distribuzione del reddito. Ma anche in ambito laico si è sviluppata una particolare sensibilità verso forme di democrazia non solo delegate e dirette ma anche partecipate e cooperative, come dimostra il Manifesto per una Costituente egualitaria (aprile 2015), di Stefano Bonaga e Nadia Urbinati. Nell’articolo 7 leggiamo: “Un sistema aperto deve poter contare pertanto su un’articolazione di voci, interessi e iniziative dei cittadini…Il pluralismo associativo è quindi sia un segno di libertà che una condizione di necessità funzionale…”. Il che non esclude e anzi implica una “ri-formulazione del ruolo e della forma di quegli specifici corpi intermedi a vocazione universalistica che sono i partiti politici” oggi “ridotti a macchine di selezione della classe dirigente, dominati dagli esperti del marketing dell’immagine e sempre più rinunciatari rispetto alla decisiva funzione di negoziazione degli interessi delle comunità locali e nazionali” (articolo 6). Mentre nell’articolo 4 del Manifesto avevano scritto che “cittadini che sono solo elettori percepiscono, prevedibilmente, la tassazione come servitù piuttosto che come dovere di contribuire alla vita della collettività esercitato da cittadini liberi.” Ora, chiediamoci, nei romanzi italiani si vede traccia di associazioni, movimenti organizzati nella

Almeno a partire da Tocqueville abbiamo imparato che il pluralismo associativo è l’anima della democrazia, ma oggi le associazioni sono ovunque in crisi. Se il popolo nei sondaggi è bue – cioè una massa acritica e facilmente manipolabile – certamente non lo è nelle associazioni, nei movimenti, negli organismi di base, nelle organizzazioni di rappresentanza, in tutti quei corpi intermedi in cui l’individuo si forma una coscienza critica, responsabile; e che proprio perciò dovrebbero essere valorizzati e coordinati dai partiti. In primo piano viene la relazione, che è relazione tra partiti, associazioni, istituzioni, ma anche relazione tra persone.

CULTURA CATTOLICA E CULTURA LAICA DI FRONTE ALLE ASSOCIAZIONI Ora, nella dottrina sociale cattolica l’accento è posto non solo sul mercato, sui talenti naturali, sulla competizione, sullo sviluppo ma anche e soprattutto sui beni comuni, sulle pari opportunità, sul ruolo delle persone e delle relazioni personali, sulla sussidiarietà, sui corpi intermedi, etc. sapendo che il mercato, e anzi lo stesso sviluppo, ha bisoPAGE

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La dottrina sociale cattolica superando il mercato pone l’accento sulle opportunità e sul ruolo delle persone e dei rapporti interindividuali la losca, immanente fisicità del denaro. E proprio un tema del genere dimostra quanto sia cambiata la realtà negli ultimi due secoli, e il modo di rappresentarla. Il denaro, protagonista e motore di trame nel romanzo ottocentesco, da Balzac a Dickens, da Gogol a Verga (la “roba” in Mastro don Gesualdo), appare via via più defilato nella narrativa del ‘900, entro un mondo che sembra smaterializzarsi. Ma se davvero il denaro torna impudicamente a premere sulla pagina letteraria, cosa ne pensano gli scrittori attuali? Prendono posizione? Si arrischiano a dare giudizi morali? Simona Vinci, immersa in un presente che non ha dubbi sulla corrispondenza Denaro-Merito, ripropone attraverso la sua protagonista una qualche idiosincrasia: “Ancora una volta il tema dei soldi entrava nella mia vita e mi riempiva di schifo…”. Altra cosa è se lo scrittore, al di fuori della sua opera, intenda pronunciarsi direttamente sui temi sociali che gli sembrano più urgenti. Elsa Morante osservò una volta che la Roll’s Royce è spazzatura, e che possederla o desiderarla è esattamente lo stesso. Affermazioni di inguaribili esteti? Se si eccettua la timida “austerità” berlingueriana, è singolare che il “problema” venga posto in modo così radicale da alcuni scrittori e non dai leader politici della sinistra.

società, etc., di queste forme allargate di cittadinanza? No, forse sarebbe assurdo pretenderlo. Proviamo allora a partire da un altro aspetto, collegato comunque ai corpi intermedi: la questione della distribuzione del reddito, fondamentale per la democrazia.

DENARO E NARRATIVA ITALIANA Se ne parla nei romanzi? Il denaro, lato oscuro della discussione pubblica e assillante presenza del nostro quotidiano, da qualche tempo riappare nelle pagine della narrativa italiana, dopo un periodo di imbarazzata rimozione. Sì, proprio “Il denaro. I soldi. La pilla. I baiocc. Gli sghei. I ghell. I danee. La grana…”, come leggiamo nell’ultimo romanzo di Simona Vinci, Stanza 411 (Einaudi). Mentre ne Il ritorno a casa di Enrico Metz di Claudio Piersanti (Feltrinelli) al protagonista viene affidata una valigetta piena di banconote, e uno dei personaggi dei racconti di Ernesto Aloja – Sacra fame dell’oro (Minimum Fax) – dice a un altro “Dovresti vedere la tua faccia quando si parla di soldi”. Era dai tempi della valigetta (un’altra!) di Per dove parte questo treno allegro di Sandro Veronesi, e delle banconote false de I Fannulloni di Marco Lodoli - 15 anni fa - che nelle patrie lettere non si mostrava PAGE

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DI FIORINDA STASI

TUTTO IL CINEMA IN COMUNE

NON SOLO VENEZIA In origine c’era stato il Comune di Venezia e la sua rassegna cinematografica internazionale, ma con gli anni il connubio ha finito con il coinvolgere innumerevoli altre realtà italiane. L’incontro felice tra il dorato mondo della cellulosa e i governi cittadini, difatti, continua a confermarsi in tutta la sua forza grazie agli eccezionali segnali di sviluppo registrati dalle stesse istituzioni coinvolte. È indubbio che l’enorme capacità attrattiva di queste kermesse abbia spesso finito con il costituire il giusto volano per anonime realtà locali, permettendo loro di divenire veri centri di raccolta per l’intero panorama artistico. La rassegna del cinema per ragazzi di Giffoni Valle Piana, ad esempio, è ancora oggi la miglior riprova di questa portentosa alchimia: nell’arco di un quarantennio, grazie alla geniale idea di un lungimirante direttore artistico, uno dei tanti Comuni simbolo della provincialità nostrana è balzato agli onori della cronaca, rubando copertine ad eventi apparentemente più degni di considerazione. E così, mentre l’intellighenzia internazionale scopriva che quello di Giffoni era “di tutti i festival, quello più necessario”, l’amministrazione provinciale di Salerno e quella regionale della Campania hanno continuato a scegliere di suppor-

VALLE PIANA, TAORMINA, PISTICCI: I FESTIVAL COME

OPPORTUNITÀ PER RILANCIARE LE POLITICHE CULTURALI E L’ECONOMIA DELLE CITTÀ MEDIE E PICCOLE tare la scommessa di Claudio Gubitosi a suon di finanziamenti e sovvenzioni pubbliche destinate all’ampliamento degli spazi di ritrovo e all’ammodernamento del tessuto urbano cittadino. Oggi che il Giffoni Film Festival è divenuto un brand riconosciuto e capace di ingenerare un movimento turistico oggettivamente portentoso, il progetto del suo patron si conferma essere parte integrante del meccanismo istituzionale locale: il Comune di Giffoni Valle Piana non avrebbe una percentuale della propria ragione d’essere in assenza del Festival, visto che i confini dell’istituzione pubblica e dell’ente privato cinematografico hanno spesso finito con il dimostrarsi armonicamente fluidi e vicendevolmente funzionali. È su queste basi, difatti, che è stato possibile avviare un progetto avveniristico come quello della Multimedia Valley una grande area della creatività e della cultura del Sud d’Italia,

IL GIFFONI DEDICATO

alle pellicole per ragazzi rappresenta una kermesse unica nel suo genere che colma un vuoto nel panorama cinematografico

IL COMUNE DI SALERNO E LA REGIONE CAMPANIA ALLE PELLICOLE PER RAGAZZI RAPPRESENTA UNA KERMESSE UNICA NEL SUO GENERE CHE COLMA UN VUOTO NEL PANORAMA CINEMATOGRAFICO PAGE

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GDC SIN DAL 1955 VECCHI E NUOVI DIVI VENGONO CONSACRATI ALLA FAMA DEL GRANDE PUBBLICO NELLO SPLENDIDO SCENARIO DEL TEATRO GRECO

ma anche un incubatore di progetti e idee innovative che si estenderà su una superficie di 40mila mq - e tornare così a parlare di occupazione giovanile in un meridione ancora per svariati aspetti privo di aspettative. Prima del Festival del cinema per ragazzi, però, ci aveva già pensato l’amministrazione siciliana del Comune di Taormina a puntare sulla forza propulsiva della settima arte. Sin dal 1955 il Taormina Film Fest concentra la bellezza nella bellezza: vecchi e nuovi Divi del cinema, difatti, si ritrovano ogni estate nell’incantevole scenario del Teatro Greco, pronti ogni volta ad essere consacrati alla fama del grande pubblico. L’attenzione mediatica, anche in questo caso come spesso accade, ha fatto il resto: la città che fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale aveva potuto beneficiare di un turismo prettamente invernale e oggettivamente elitario, attraverso la notorietà del grande schermo si è riscoperta meta appetibile e d’interesse diffuso. Un processo graduale, in cui l’intervento degli enti pubblici ha avuto un peso specifico preponderante: i mezzi di trasporto dal continente all’isola sono stati implementati, così come il sistema di collegamento viario ha beneficiato di importanti lavori di ammodernamento resi possibili grazie ai sovvenzionamenti a cascata che il governo nazionale non ha mai fatto lesinare all’Amministrazione comunale di Taormina. Innumerevoli casi, dunque, per un unico vero assunto: il filo rosso tra sviluppo amministrativo e Universo cinematografico esiste, e anche con progetti relativamente giovani dimostra tutta la sua straordinaria dirompenza. Il Lucania Film Festival - festival di cinema indipendente che si svolge dal 1999 nel Comune di Pisticci nel mese di agosto - e il Festival del Cinema Europeo - la prima e unica rassegna cinematografica dedicata al cinema europeo in Italia -, ad esempio, sono solo due delle più recenti riprove di questo processo di osmosi apparentemente ingestibile tra l’arte sorta grazie al genio dei fratelli Lumiere e la crescita degli enti pubblici coinvolti. Per entrambe le kermesse, difatti, si è applicato pedissequamente il medesimo principio: attraverso il talento dei registi coinvolti nell’unico vero festival indipendente italiano, gli struggenti paesaggi della Basilicata e i toccanti colori della Puglia sono ricomparsi di diritto nell’agenda degli impegni politici nazionali e locali. PAGE

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Per agire sulle decisioni politiche di Helsinki e per creare applicazioni user-driv en

l Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ha elaborato la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che individua un elenco di azioni prioritarie, .

DI GIUSEPPE CLEMENTINO

Open Ahjo-Helsinki Region Infoshare

O

pen Ahjo - Helsinki Region Infoshare (HRI) è un’importante innovazione pensata per rendere più facile l’accesso alle informazioni e ai dati sui processi decisionali e al contempo per rendere possibile la creazione di applicazioni user-driven al servizio di una realtà urbana che è uno degli esempi di maggior successo tra le smart city europee. L’idea è stata generata dal Comune di Helsinki, in seno all’Administration Centre, titolare del sistema “Open Ahjo” e dal team di esperti del gruppo di lavoro del

principale portale di dati aperti finlandese “Helsinki Region Infoshare”. Nel 2013 hanno deciso di offrire a tutti un’interfaccia di programmazione aperta delle applicazioni (API) con il sistema Ahjo: http://

dev.hel.fi/apis/openahjo Il sistema Open Ahjo è molto innovativo ed è in continua evoluzione per facilitare l’accesso ed il riuso del vasto set di dati aperti disponibili sulla città di Helsinki. I contenuti del portale HRI sin dal 2011 erano stati disegnati per promuovere l’interesse dei cittadini, contribuendo alla nascita di nuovi servizi digitali con specifiche sezioni informative disegnate in funzione delle domande più frequenti poste dai cittadini: Che sta succedendo nel mio quartiere/città/regione? Chi decide? Cosa si decide e su quali basi? Quali decisioni si stanno prendendo? Dove posso trovare tutte le decisioni prese in città e i relativi documenti? Grazie al servizio, sono nati nuovi prototipi dedicati a soddisfare le domande informative specifiche sul processo decisionale: Come vengono prese le decisioni? Dove vengono prese? Recentemente è stato inoltre lanciato un nuovo sistema di rappresentazione geografica per consentire di mappare facilmente le decisioni prese e i loro effetti su un determinato ambito territoriale. Il portale HRI fornisce dalla sua nascita informazioni e dati aperti a livello regionale, in modo rapido e facilmente PAGE

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l portale HRI fornisce dalla sua nascita informazioni e dati aperti a livello regionale in modo rapido e facilmente accessibile, senza alcun costo. I dati possono essere riutilizzati da cittadini, associazioni, imprese, università, centri di ricerca o dalla stessa Amministrazione


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GDC accessibile, senza alcun costo. I dati possono essere riutilizzati da cittadini, associazioni, imprese, università, centri di ricerca o dalla stessa Amministrazione comunale. HRI fornisce una visione completa dei fenomeni urbani, delle condizioni di vita dei residenti, sull’accesso ai servizi, sulla struttura economica e sociale, sulla mobilità, sui dati ambientali, ecc. Le nuove funzioni aggiunte nel 2013 su HRI, tramite il sistema Open Ahjo hanno consentito già la creazione di molte applicazioni user-driven per lo sviluppo dei servizi digitali dell’intera regione metropolitana di Helsinki. Il sistema Ahjo rende già leggibili ed interoperabili quasi tutti i dati prodotti dall’amministrazione comunale di Helsinki, e la relativa documentazione tecnica. Adesso, il nuovo obiettivo è quello di migliorare la compatibilità del sistema Open Ahjo con i dati provenienti da altre città finalndesi: con una particolare attenzione alle informazioni finanziarie, a quelle di posizione e mappatura, così come alle informazioni statistiche a scala multi-regionale. Tutto ciò incoraggerà lo sviluppo di nuovi servizi innovativi per tutti i cittadini finlandesi. Il portale dei dati aperti “Helsinki Region Infoshare” avviato nel 2011 ha offerto una grande opportunità per coinvolgere i cittadini nei processi decisionali del Comune di Helsinki e per partecipare alla pianificazione e gestione dell’area metropolitana. Il lavoro svolto dal team di HRI ha inoltre ispirato cittadini, associazioni e imprese ad utilizzare i dati pubblici aperti in modi nuovi, incoraggiando la comunità di sviluppatori a creare nuove applicazioni. Le molteplici app attivate nel territorio di Helsinki rendono i servizi pubblici più accessibili e consentono di migliorare la soddisfazione dei cittadini, innalzando il livello di fiducia sulla qualità dei servizi pubblici locali. Gli obiettivi del servizio sono molto chiari: migliorare la governance multi-livello delle politiche pubbliche, sviluppare la consapevolezza sulle sfide del governo metropolitano, rafforzare la fiducia dei cittadini, accrescere la trasparenza, migliorare l’accesso ai servizi metropolitani, innalzare il livello di efficacia ed efficienza PAGE

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dell’intero sistema di servizi pubblici, monitorare la qualità dei servizi e la soddisfazione degli utenti, fornendo loro applicazioni user-friendly. I principali beneficiari, in ultima analisi, sono i cittadini di Helsinki, gli stessi organismi governativi e le associazioni che intendono partecipare ai processi decisionali e di gestione urbana dell’area metropolitana di Helsinki. Questa innovazione permette inoltre di monitorare il processo decisionale anche per contrastare ed eliminare le possibilità di corruzione o di uso improprio dei fondi pubblici. Il servizio avviato dal Comune di Helsinki e dal team di esperti del gruppo di lavoro “Helsinki Region Infoshare” è stato sviluppato grazie al sostegno di altri partner come: Sitra - il Fondo Innovazione finlandese che ha finanziato il progetto; Open Knowledge Finlandia (OKF), la Ong che rappresenta la comunità di sviluppatori che crea nuovi servizi basati sui dati aperti, con esperti altamente qualificati ed innovativi.

Sito web di Open Ahjo Helsinki Region Infoshare: http://dev.hel.fi/apis/openahjo Sito web di Helsinki Region Infoshare: http://www.hri.fi/en/ Uno dei nuovi servizi user-driven nato grazie ad Ahjo è: http://dev.hel.fi/paatokset

Fonte: Observatory of pubblic sector innovation (OECD): www.oecd.org


LIBRI e Dintorni L’AUTORE

Riccardo Nocentini è stato (FI) sindaco di Figline Valdarno in to rea Lau . ati per due mand a sofi Filo in e he Scienze politic o uit seg politica. Ha con un Master in Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane presso l’Università di Firenze e ha frequentato un Master Executive in General Management per la Pubblica SDA Amministrazione presso la rte pa Fa o. lan Bocconi di Mi l della segreteria regionale de o. can tos tico cra Partito Demo

INTERVISTA A CURA DI

Franco Gallelli ha lavorato come manager nella qualità totale in una grande multinazionale occupandosi di gestione risorse umane ed economiche. Vicepresidente

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RICCARDO NOCENTINI IL DIFFICILE MESTIERE DI SINDACO Il libro-intervista dell’ex primo cittadino di Figline Valdarno ha due introduzioni d’eccezione: Matteo Renzi e Dario Nardella DI SERENA VISINTIN

dell’Associazione “Città Viva” e vicepresidente dell’Accademia Marsilo Ficino, presiede le ACLI Uniarno di Figline e Incisa Valdarno.

CONTRIBUTO MANAGERIALE

a cura di Fondazione Verrocchio Luigi Di Marco, manager, collabora in varie università. Presidente di Fondazione Verrocchio, Past President di Federmanagement. Autore de La compagnia dei Magi. Per la formazione degli strateghi d’impresa (Franco Angeli, 2002), coautore de Il grande libro della letteratura per Manager. 50 opere lette in chiave d’impresa (Etas, 2008) e autore de I sogni nella Bibbia. Rileggere le PAGE

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Sacre Scritture in manageriale (Fra chiave nco Angeli 2012).

Paolo Pagani

manager, Diretto re di Fondazione Verr occhio e Consulente di D irezione di PMI, è stato Dir igente Acquisti e Supply Chain in multinazionale, una grande co progetti di glob ordinando alizzazione e internazionalizza zi conseguito un M one. Ha BA, un Executiv e Master in Protez io Disaster Manag ne Civile e em un Master in Ges ent (Stogea), tio delle Reti di Impr ne e Sviluppo esa (Luiss); è Certified Emerge ncy Manager IAEM.


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GDC “Fare il Sindaco - Politica e management per l’amministrazione e la fusione dei Comuni” é un libro di grande originalità e prospettiva. L’occasione dell’opera nasce dalla scelta operata dal primo cittadino di Figline Valdarno di fondere il proprio Comune con Incisa e dal confronto su questi temi con Franco Gallelli, manager e collaboratore nell’impresa.

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elle loro costanti frequentazioni e discussioni il sindaco aveva delineato la sua visione di ciò che stava accadendo e descritto con passione e chiarezza la vita all’interno di un Comune di medie dimensioni, circa 17.000 abitanti. Ad entrambi piacque l’idea di trasformare questa esperienza di vita in un’opera con ambizioni importanti. Infatti, non si trattava soltanto di trasporre le loro conversazioni in una semplice intervista al sindaco, ma di coinvolgere nel progetto che avevano in mente, un grande numero di consulenti ed esperti su tutte le materie che sarebbero state affrontate nella stesura del documento. L’obiettivo era quello di trasformare l’elaborato con queste caratteristiche in un “manuale operativo e gestionale”, che indicasse quale fossero le tappe, le problematiche e le eventuali soluzioni per amministrare al meglio una città. L’opera, quindi, è costruita con l’intento di indicare una specie di modello e di processo che parte, ovviamente, dal momento dell’insediamento della nuova amministrazione. La successione cronologica è molto chiara, si parte dai primi passi del sindaco nel mondo della politica, alla complessità e alla difficolta di gestione della campagna elettorale, fino al momento della vittoria dove il nuovo amministratore viene definito “Leader della visione”, come colui attraverso cui devono realizzar-

Fare il sindaco

è un libro pratico, in cui non si parla di teorie astratte ma di fatti

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si le aspirazioni dei cittadini. Passaggio essenziale in questa narrazione/documentario è il momento in cui il primo cittadino ha la forza di emanciparsi dal partito di riferimento e sviluppa, finalmente una leadership autonoma. Solo a questo punto l’amministrazione entra nel vivo della gestione e dell’organizzazione del proprio Comune, attraverso il racconto anche di esperienze realmente vissute dall’Ente con l’obiettivo principale di creare un nuovo modello di governance e di riportare i cittadini al centro della gestione della città. La particolarità dell’opera è rappresentata senza dubbio dalla costruzione dei capitoli alla cui conclusione viene sempre inserita una scheda operativa che permette di individuare e chiarire l’elemento e il momento di gestione che vuole essere evidenziato. Accanto, infatti, alla semplice narrazione dei fatti che riportano le memorie e i racconti del sindaco, si aggiunge la costruzione di un modello per dare una visione assolutamente nuova di come operano, a condizioni date, gli amministratori del nostro Paese. L’immagine che ne esce fuori è quella di un grande impegno e di una grande professionalità messi a disposizione di una

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collettività in modo assolutamente onesto e generoso che riscatta, senza dubbio, certi luoghi comuni della politica locale disonesta e clientelare. “Fare il sindaco” è, quindi, un libro pratico, in cui non si parla di teorie astratte ma di fatti. Il dialogo, nella forma dell’intervista, permette al sindaco di raccontare non soltanto “cosa” si è trovato ad affrontare, ma soprattutto “come” ha cercato di risolvere i problemi della propria comunità. Nel testo si parla di governo locale, di organizzazione e di nuovi assetti istituzionali: unioni, fusioni e Città metropolitane. Tutto questo richiede qualità, conoscenze specifiche e capacità di “gestione”, come abbiamo già detto, supportate da forti competenze manageriali. Si ribalta completamente il punto di vista e coniando le parole dell’allora amministratore di Firenze Matteo Renzi che ne curò l’introduzione, il sindaco non è il primo cittadino ma l’ultimo “perché il nostro compito, dal momento stesso in cui veniamo eletti, è farci carico dei sogni e dei bisogni della comunità che siamo stati democraticamente chiamati a rappresentare… Metaforicamente parlando noi siamo quelli che spengono la luce la sera, in una famiglia.”


IL MANAGEMENT NELLA P.A.

Personalità, disciplina e compiti

U

no dei punti principali (foto 1) tra la personalità e management riguarda la metodologia e gli strumenti di indagine e di misurazione che vengono utilizzati. Infatti una delle tecniche più utilizzate dai manager nelle organizzazioni è la prova psicometrica, anche se vari studiosi la ritengono una delle tecniche più discusse con opinioni discordanti. La prova psicometrica s’inserisce a pieno titolo nel filone degli strumenti di misura, comunemente in uso, nell’ambito degli studi sulla personalità. E’ una tecnica che i manager usano frequentemente per reclutare e far crescere i dipendenti, nonché a valutare i candidati per una possibile promozione. Il termine personalità viene di frequente utilizzato per definire il “totale”, la somma delle caratteristiche sociali, fisiche e mentali di un individuo. Concettualmente la parola “personalità” deriva dal latino persona, che significa “maschera”, quella portata dagli attori sul palcoscenico nel teatro, mentre nella lingua latina la parola “persona” ha associazioni con “il ruolo”, che si ha nella vita, in un gioco o in un racconto. Il dizionario approfondisce l’analisi, spiegando che la personalità è “il carattere essenziale di una persona” . Il top management, in molte organizzazioni, è sempre stato pienamente consapevole della reale esistenza di una relazione tra la performance e le caratteristiche della personalità delle persone che hanno contribuito ai risultati. Di conseguenza i manager più efficaci nelle organizzazioni del futuro potrebbero essere coloro che saranno in grado di affrontare i problemi connessi con la manifestazione delle personalità in ambito organizzativo, attraverso un’analisi attenta ed approfondita. Il termine management, inteso come disciplina, per gli studiosi Willmott/Knights, sta ad indicare le modalità di gestione delle responsabilità, della pianificazione e del controllo. Infatti la disciplina del management si è sviluppata nelle organizzazioni pubbliche e private – nelle istituzioni religiose, nell’esercito, nelle aziende sanitarie ecc. – riuscendo a diventare parte integrante della vita moderna di tutti i giorni. Pe fare un esempio, il concetto di self-management suggerisce che gli individui sono in grado di assumersi delle responsabilità circa le loro scelte di vita e di carriera, che pianificano, modificano e controllano. In quanto disciplina e modo di pensare, il management è interpretabile come una attività che aiuta ad affrontare con efficacia ogni tipo di problema, personale o sociale, incluso il controllo del lavoro, per comprendere e progettare meglio e in maniera più compiuta, le modalità con cui le attività vengono effettivamente organizzate. Infine, il management può essere concepito anche come gruppo sociale in possesso di capacità specifiche e al quale sono spesso attribuiti poteri e privilegi. Questa preliminare analisi sulla personalità e la disciplina del management è utile, prima per avere un quadro generale dei compiti e ruoli, cui gli stessi manager vengono chiamati a svolgere, secondo per approfondire l’approccio comportamentista nell’ambito di una Pubblica Amministrazione. Non vi è alcun dubbio che il manager di una Pubblica Amministrazione ha ruoli e compiti nettamente differenti da un manager che opera in una azienda privata o in una multinazionale. Possono avere una identica personalità se si tratta di raggiungere obiettivi di efficienza ed efficacia, ma la gestione e totalmente differente quando un manager deve gestire risorse e beni di pubblico interesse. La teoria di Mintzberg (1973) ha stabilito che l’attività dei manager può essere descritta attraverso l’interpretazione di tre ruoli principali e sovrapponibili che comprendono diverse forme di attività. Questi tre ruoli per entrambi i manager pubblico o privato


fig. 1

sono paritari se si considera che entrambi svolgono un ruolo interpersonale (interpersonal), in cui sono previste attività relazionali sia interne che esterne al di là della leadership; quello informativo (informational), che verte principalmente sull’attività di divulgazione delle informazioni, monitorare comportamenti e risultati e nel contempo rappresentare l’organizzazione; ed infine, il ruolo decisionale (decisional) che include la capacità di negoziare, di risolvere conflitti, di ripartire le risorse e di prendere iniziative imprenditoriali. Il rispetto di questi ruoli da parte del management di una Pubblica Amministrazione porterebbe la macchina amministrativa ad una efficiente ed efficacia soluzione di tutti i problemi, a partire dalla riduzione della burocrazia, al potenziamento delle professionalità interne e sconfiggere le inerzie motivando il personale nello svolgimento dei propri ruoli. Avere un management capace di muoversi rapidamente da un’attività all’altra significherebbe per qualsiasi manager assumere un ruolo di figura simbolica e rappresentativa. Da tale considerazione emerge, quindi, la necessità che ogni manager oltre ad occuparsi di monitoraggio e diffusione delle informazioni o dedicare la maggior parte del tempo a problemi immediati che possono essere risolti in subordine, acquisisca la capacità di approfondire le eventuali strategie da riportare in un credibile piano della performance, nonché alla gestione dei cambiamenti e allo sviluppo del problem solving su complesse procedure tecniche e amministrative. In tali situazioni il manager deve trovare un significato a ciò che succede e alle possibili implicazioni che gli eventi possono generare, altresì, non si possono considerare alcuni limiti all’azione dei manager se si pensa al rapporto con i politici i quali accusano di non raggiungere gli obiettivi previsti in una programmazione, da un lato, e dall’altro a quello con i dipendenti che non sono sempre disposti ad obbedire; In molte Pubbliche Amministrazioni, il management è ancora una materia di studio che non un corpo e un’anima ma una cosa astratta, dove la figura di un manager è sovrapposta alle attività dei dirigenti e il più delle volte si ritrovano ad operare nella più totale confusione di ruoli e compiti, in poche parole, l’incapacità di separare e capire chi deve gestire e coloro che vengono gestiti. Il più delle volte i manager nelle Pubbliche Amministrazioni non pongono la dovuta attenzione per la dimensione umana, atteso che è impossibile gestire o dirigere senza ispirare, impegnare, motivare e guidare gli esseri umani verso uno svolgimento creativo, collaborativo e competitivo dei loro compiti, con la conseguenza che non potranno mai sviluppare degli approcci innovativi che possano consentire di

raggiungere gli obiettivi di performance e/o di profitto. Oggi tutti i servizi pubblici devono fronteggiare l’esigenza di un rapido e consistente incremento dei propri livelli di efficienza, anche nell’esigenza di sostenere una contrazione della spesa pubblica, incrementando allo stesso tempo la qualità dei servizi erogati. Il cambiamento è l’aspetto cruciale e di collegamento tra il “Performance Management” e la PA, finora la pubblica amministrazione ha sempre stabilito i suoi programmi e le sue decisioni senza considerare il rapido mutamento delle condizioni, di conseguenza vi è la necessità di un sistema che le dia la capacità ed i mezzi per anticipare i tempi, reagire alle innovazioni e alle trasformazioni e rispondere velocemente alle esigenze dei cittadini, ed il PM è l’alternativa giusta. Di supporto alla gestione dei processi di cambiamento, è utile, pertanto, partire da una prospettiva mainstream, nella quale l’idea principale può essere associata all’identificazione analitica ed oggettiva delle soluzioni organizzative, dei sistemi di controllo e delle competenze manageriali, sia invece da una posizione critical, in cui i temi collegati alla progettazione organizzativa sono definiti in funzione dell’obiettivo attribuibile alle elites manageriali di incrementare la propria capacità di controllo e dominio su sistemi di attività particolarmente complessi. In poche parole la responsabilità del management si equivale alla capacità di sapere gestire il coordinamento delle attività con la preliminare creazione di efficienti strutture gerarchiche. In sintesi, la responsabilità del management consiste nel creare le condizioni per i lavoratori di conciliare il desiderio di soddisfare i propri bisogni in coerenza con il perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione. Rispetto alle risultanze degli studi comportamentali di un Manager da parte di autorevoli ricercatori, che in questo breve articolo sono stati menzionati, in materia di comportamento organizzativo, si può sintetizzare che la loro applicazione in qualsiasi organismo produttivo può portare solo beneficio e crescita collettiva, nella consapevolezza che l’essere umano é una effettiva risorsa. Il bene comune, il rispetto e la cortesia nei riguardi altrui sono i principi fondamentali in qualsiasi contesto sociale, se si considera che la finalità di tale comportamento è creare quella serenità per svolgere il proprio lavoro per sé e per altri, in una dimensione - spazio di naturale esigenza e farla diventare proporzionale rispetto alle ulteriori necessità della propria esistenza. di Francesco De Grandi, Funzionario e Direttore responsabile

del periodico Webzine del Consiglio Regionale della Puglia Giornalista Pubblicista


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GDC

BLENDED FUNDING ECCO COME FINANZIARE LA CRESCITA DI ALESSIO DITTA

Blended funding, ecco le parole magiche su cui ruota il nuovo libro “Finanziare la crescita. Chi ci mette le risorse”di Marco Nicolai e Walter Tortorella per le Edizioni Rubettino NON VI PREOCCUPATE NON È IL CLASSICO LIBRO TECNICISTICO DESTINATO A POCHI DEL SETTORE. Gli autori con blended funding intendono parlare, da tecnici quali sono, agli amministratori indicando loro i nuovi modelli d’approvvigionamento finanziario esistenti per le amministrazioni pubbliche e gli Enti locali in particolar modo. Oramai la crisi economica che imperversa, in primis, nel vecchio continente ci sta portando verso una fase di recessione latente. Allo stesso tempo c’è, però, la necessità di creare quei presupposti per una crescita laddove non esiste. Al cospetto di questo scenario i due autori immaginano dei nuovi modelli che nel libro ricorrono con due parole magiche, appunto, del blended funding. Ovverosia l’intervento contemporaneo di più soggetti. Ipotizzare ed avviare nuove sfide di modelli attuativi è la prova del futuro immediato. Tortorella e Nicolai immaginano, infatti, che vi sia lo spazio giusto per innovare; ci vuole della creatività che accompagni i dirigenti della pubblica amministrazione. Anche perché, come afferma Walter Tortorella, “ci sono poche strade perché questa crescita possa provare a mostrare i suoi effetti. O si mettono in campo misure volte al recupero del potere d’acquisito delle famiglie per rilanciare i consumi, o si cerca di riattivare la domanda interna attraverso gli investimenti pubblici e privati.” Qual è la via percorribile secondo lei? “L’ideale sarebbero tutte e due. Ma dai dati Istat, relativi al periodo che va dal 2008 al 2015, si evince che il deficit strutturale è nel campo degli investimenti, ridotti drasticamente di 81 mld. Di questo ridimensionamento il settore privato è quello che incide maggiormente per PAGE

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GDC circa 70 mld di mancati investimenti.” Quindi mi sta dicendo che il Belpaese non gode dell’appeal di una volta? “Certamente vi è la mancanza di un rapporto fiduciario del privato nostrano per il quale sembra che l’erba del vicino sia sempre più verde. Infatti il soggetto privato, di questi tempi, seppur in misura minore, investe molto di più all’estero, soprattutto verso i mercati asiatici. E se, oltre alla crisi persistente, vi è l’immagine di un Paese fortemente instabile, ad alta volatilità, cosa che accade da illo tempore, è conseguenziale che anche gli investitori internazionali si indirizzino verso lidi più sicuri e stabili.” Quale potrebbe essere la ricetta per il futuro prossimo? “Ci vuole un disegno strategico delle politiche di stimolo agli investimenti che coinvolga unitamente la presenza del sistema pubblico in simbiosi a quello privato. Un’azione in grado di far crescere produttività del lavoro, ridurre la pressione fiscale, abbattere gli effetti distorsivi

della corruzione, lasciare più spazio all’imprenditoria innovativa, diserbare la giungla normativa che dopo 25 anni di pseudo semplificazione ci ha restituito una pubblica amministrazione scarsamente performante e sempre più invasiva, e l’esempio dei fondi strutturali europei sta lì ad insegnarcelo…” Cosa ci stanno insegnando le politiche legate ai Fondi Strutturali? “Che dei 51 mld dei fondi strutturali, nel periodo 2014-2020, solo il 2% risulta essere speso. Le basta questo dato come risposta? E allora di corsa verso politiche d’investimento pubblico, ma solo se si riesce a coniugarle con l’intervento privato. È fondamentale ripensare alla nuova programmazione strategica territoriale con dei piani strategici che non siano fini a se stessi.“ In questi ultimi mesi i dati strutturali dell’economia italiana dicono che la crescita è stabilmente sulla casella zero. In queste condizioni è ipotizzabile, come

sostengono in molti, di spingere sulle politiche d’investimento a scapito della crescita del debito pubblico così da generare competitività? “In effetti negli ultimi otto anni gli investimenti pubblici si sono schiantati contro il muro comunitario dell’austerity da cui ne è conseguita una progressiva diminuzione del nostrano prodotto interno lordo. Invero, stando agli ultimi dati dello European Economic Forecast Winter 2016, sembrerebbe che l’Italia è stato tra i Paesi UE quello che meno ha fatto politiche in deficit. Ciononostante non è servito a nulla, anzi questa scelta politica, prima ancora che opzione economica, ha sfavorito la crescita (per la quale l’Italia detiene record negativo in Europa) senza favorire la contrazione del debito pubblico. Ciò che rileva in una manovra espansiva in deficit, è la non occasionalità della spesa in conto capitale unitamente alla qualità degli investimenti e ad un’azione riformatrice capace di influire sulle principali variabili macroeconomiche.”

Con le presentazioni di Graziano Delrio e Guido Castelli. Gli anni di recessione e di crisi, caratterizzati dalla contemporanea presenza di scarsità di risorse finanziarie e di vincoli di bilancio, hanno reso estremamente difficile l’attività di amministratori e tecnici impegnati nel reperire capitali utili a finanziare la crescita.

FINANZIARE LA CRESCITA

di Marco Nicolai, Walter Tortorella 139 pagine, € 10,20

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www.iriclico.it

Il Calendario Nazionale della Raccolta Differenziata sul tuo SmartPhone Come funziona il servizio IoRiciclo -Il cittadino con il proprio smartphone scarica gratuitamente l'applicazione e seleziona il Comune e la zona di interesse. Quotidianamente viene informato sulla tipologia di rifiuto da smaltire nel giorno corrente e nei giorni immediatamente successivi. -Il Comune che utilizza questo servizio potrĂ configurare il calendario della raccolta in funzione delle zone di raccolta e dei giorni dedicati alle categorie di rifiuti da differenziare.

A chi si rivolge -A tutti i cittadini, in possesso di uno smartphone o dispositivo mobile, che vogliano essere informati su tempi e modalitĂ di raccolta dei rifiuti. -Ai comuni che ritengano fondamentale la sensibilizzazione della cittadinanza sul tema della raccolta differenziata. -A tutti i soggetti interessati ad una nuova forma di comunicazione istituzionale volta al miglioramento della qualitĂ dei servizi offerti.

Vantaggi di IoRiciclo -Permette un accesso veloce alle informazioni relative allo smaltimento dei rifiuti. -Completamente configurabile da un pannello di controllo tramite il quale i comuni potranno calendarizzare la raccolta ed anche personalizzare le proprie tipologie di raccolta. -Permette di aggiungere eventi di raccolta straordinari (raccolta elettrodomestici o mobili usati) nei giorni prescelti.





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