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il Domani Lunedì 06 Settembre 2010

PRIMO PIANO Lo dice Tremonti a Cernobbio: e il Mezzogiorno è un problema nazionale

Nel Sud c’è un drammatico problema di classe dirigente di Carlo Bassi ROMA - Tremonti in veste di scorpione punge a destra e manca, a cominciare da Berlusconi per finire con Mario Draghi, senza dimenticare di fustigare la classe dirigente del Sud, un "drammatico problema". Per lo sviluppo dell’Italia, comincia subito Giulio Tremonti, è prioritario un nuovo ministro. Dopo quattro mesi di interim al dicastero abbandonato da Claudio Scajola, retto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e a pochi giorni dall’annunciata nomina, il ministro dell’Economia pone la questione in cima alla lista degli impegni autunnali. A dispetto della precisazione del suo stesso capo che l’interim è "nelle mani migliori", cioè quelle dello stesso premier. Senza la pressione di alcuna "emergenza autunnale", tiene a precisare Tremoni nel suo intervento al Workshop Ambrosetti di Cernobbio, ma con la consapevolezza che occorrono riforme. «Per noi non c’è emergenza autunnale,

ma esigenza di cambiare. Di redigere in forma politica il nostro programma di riforma». «In Italia la questione meridionale è una questione nazionale, e le questioni nazionali non sono la somma delle questioni regionali - ha continuato il ministro dell’Economia - Per rilanciare il Mezzogiorno va fatta una regia di concentrazione su obiettivi strategici perché la politica fatta finora non ha portato successo». Nel sud, ha aggiunto Tremonti, «c’è un drammatico problema di classe dirigente». Tremonti non ha poi rinunciato a lanciare una frecciata al governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, che da Seul aveva rilanciato il "modello Germania": «Non ci vuole un genio che ci dica che dobbiamo fare come la Germania. Siamo già il secondo Paese europeo nella manifattura, proprio dopo la Germania, e gran parte del nostro Pil è fatto da

aziende sotto i 100 addetti dove la Germania c’è già. Dire che dobbiamo fare come la Germania è superficiale, è roba da bambini. Ci dicono di non fare come l’Inghilterra, ma noi come l’Inghilterra non abbiamo mai fatto». Ma gli industriali scalpitano, ed Emma Marcegaglia sullo stesso palco di Cernobbio si è fatta inteprete della pressione. «Non c’è una visione e una volontà

Per rilanciare il Mezzogiorno va fatta una regia di concentrazione su obiettivi strategici perché la politica fatta finora non ha portato successo»

«Non ci vuole un genio che ci dica che dobbiamo fare come la Germania. Siamo già il secondo Paese europeo nella manifattura, proprio dopo la Germania»

Ma Emma ha un dubbio...

veramente di lavorare su tutti i punti che riguardano la crescita», ha detto la presidente di Confindustria, sempre a Cernobbio. «Ci sono alcune iniziative ma sono spot». Per la leader degli industriali è importante che ci sia una convocazione da parte del governo: «Dobbiamo lavorare tutti insieme sulla crescita - ha spiegato - non cè più tempo». E nel contempo chiede «un nuovo patto sociale per aumentare i salari». Obiettivo da definire con l’apertura di un confronto governo-impresa-sindacati per sostenere la crescita. Adesso, spiega Marcegaglia, «dobbiamo fare un nuovo patto sociale con lo scopo di aumentare i salari, ma devono essere uniti a una maggiore produttività delle aziende. Che significa migliorare la produttività delle nostre imprese e la capacità di stare sul mercato. Bisogna fare partecipare i lavoratori ai risultati di impresa. Questo il nuovo patto sociale». Confindustria chiede quindi al governo di ridurre le tasse su imprese e lavoratori. «La pressione fiscale per chi paga le tasse - ha detto Marcegaglia - è troppo alta, soprattutto su imprese e lavoratori. Sui punti caldi della crisi d’autunno, la presidente di Confindustria aggiunge: "Confindustria tiene alta la guardia sullo stabilimento Fiat di Pomigliano. Lo seguiamo con grande attenzione. Ma non è solo Pomigliano - ha aggiunto - sono tutte le imprese italiane che hanno bisogno" di migliorare la produttività "per essere competitive".

Preso di mira anche il Pd e toni esasperati anche dopo la condanna di Napolitano

Ancora tensioni dopo la gazzarra e Grillo promette di più di Daniele Tosatti ROMA - Nonostante il duro monito del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha sottolineato la «preoccupante degenerazione» del confronto politico nel Paese, continuano tensioni e dichiarazioni provocatorie, dopo la gazzarra organissata dal popolo viola e dai grillini contro il presidente del Senato Renato Schifani, ospite della festa del Partito democratico a Torino. Le parole di Napolitano meritano di essere ricordate: «Il tentativo di impedire con intimidatorie gazzarre il libero svolgimento di manifestazioni e discorsi politici è un segno dell’allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi, sia pur minoritari, incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel Parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni cui è affidata nel sistema democratico ogni chiarificazione e ricerca di verità». La nota del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, giunta

pochi minuti dopo i fatti di Torino continua così: «Deploro vivamente l’episodio verificatosi oggi a Torino ai danni del presidente del Senato e ogni forma di contestazione aggressiva sia verso figure di particolare responsabilità istituzionale sia verso qualsiasi esponente politico nell’esercizio della sua inconfutabile libertà di parola e di opinione». Non solo non sono state ascoltate, ma al richiamo del Colle ha risposto con enfasi Beppe Grillo, ispiratore del MoVimento 5 Stelle, meglio noto come dei grillini: «Questo è solo l’inizio. Devono rendersi conto che è finita. Che si blindino con i poliziotti antisommossa, chiamino Maroni e l’esercito. Paghino la gente che va ai comizi per applaudirli. Oppure se ne vadano a casa». Così Grillo ha commentato le contestazioni di Torino al presidente del Senato: «Io non sono l’autore o il sobillatore, io interpreto quello che vedo e che sento: la gente non ce la fa più», ha aggiunto Grillo, per il quale i grillini sono «persone educate, perbene che manifestano un pensiero assolutamente giusto». Ma, ha aggiunto

il comico, «gli italiani sono stanchi di farsi prendere per il culo». Il carico da undici ce lo ha messo - come spesso accade - il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, che definisce i manifestanti voce del popolo e quindi rispettabile. «Abbiamo a che fare - dice Di Pietro con una classe politica lontana dal popolo che se la prende con chi interpreta la voce del popolo». E sulle parole di Fassino che ha definito ’squadristi’ i contestatori di Torino, Di Pietro commenta: «Parlava al suo popolo e se l’ha definito così vuol dire che questi dirigenti non riconoscono più neanche i propri elettori». Altre tensioni nella tarda serata di sabato quando esponenti dei movimenti hanno fischiato il responsabile Pd Economia e lavoro Cesare Damiano, il segretario provinciale del partito Gioacchino Cuntrò e altre persone. Quasi contemporaneamente, c’è stato un momento di contatto tra i manifestanti e il servizio d’ordine del Pd. Un funzionario del partito, ha raccontato Cuntrò, è dovuto

ricorrere alle cure mediche perché colpito a un braccio. Da parte loro, Davide Bono e Fabrizio Biolè, consiglieri regionali in Piemonte del MoVimento 5 stelle, si dicono «rammaricati» per gli atteggiamenti sia di Fassino che del vicedirettore del Tg3, Giuliano Giubilei, moderatore del dibattito, «che hanno violentemente apostrofato i manifestanti con gli appellativi di ’squadristi’ e ’fascisti’. Noi riteniamo stonata e totalmente fuori luogo - spiegano i consiglieri - tale etichettatura, specie se questo avviene dopo che è stata negata loro la parola e l’ingresso nell’area del dibattito da un nutrito cordone di polizia in tenuta antisommossa».


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