IL Bolscevico- PMLI n.34

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Spedizione in A.P. - 45% art. 2 Comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Firenze - Settimanale -

Appoggiamo, studiamo e applichiamo il discorso di Scuderi sugli insegnamenti di Mao sul Partito PAG. 10

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Fondato il 15 dicembre 1969

Nuova serie - Anno XXXV - N. 34 - 29 settembre 2011

Approvata definitivamente dal parlamento nero a colpi di fiducia la manovra del massacro sociale sponsorizzata da Napolitano. E costui risponde a muso duro alla Fiom e ai giuristi che gli chiedono di non firmarla

54 MILIARDI TUTTI SULLE SPALLE DELLE MASSE POPOLARI

L’aumento dell’Iva costerà 385 euro a famiglia. Anticipato al 2014 l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici del settore privato. Ridotti i tagli ai parlamentari. I grandi evasori non finiranno in carcere LA POLIZIA CARICA I MANIFESTANTI E I “SINDACATI DI BASE” CHE ASSEDIANO MONTECITORIO PAG. 2

MIGLIAIA IN CORTEO CONTRO IL MASSACRO SOCIALE

La polizia di Berlusconi e Maroni manganella la protesta davanti a Montecitorio

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“Estorsione” da 850 mila euro

ARRESTATO TARANTINI: PAGATO DA BERLUSCONI PER TACERE Il premier a Lavitola: “resta dove sei”. “Tra qualche mese me ne vado... vado via da questo paese di merda di cui sono nauseato” D’ALEMA TIRATO IN BALLO NELL’INCHIESTA DI BARI SUL GIRO DI ESCORT E APPALTI DELLA PAG. 7 CRICCA TARANTINI

Roma, 14 settembre 2011. La polizia carica e intimidisce i manifestanti che protestano contro la manovra davanti a Montecitorio

Un mostro giuridico iperliberista e neofascista che riporta indietro il diritto del lavoro di 50 anni

“La P3 L’ARTICOLO 8 DELLA MANOVRA DEL GOVERNO era un’associazione BERLUSCONI DEVE ESSERE ABOLITO Cancella il contratto nazionale e lo statuto dei lavoratori, permette le deroghe alle segreta” leggi, dà il via libera ai licenziamenti facili

IL RISULTATO DELL’INCHIESTA

Dell’Utri, Verdini e Cosentino saranno processati per associazione a delinquere e corruzione PAG. 8

MARCHIONNE RINGRAZIA SACCONI

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Approvato il ddl 2657 dal Senato

IL GOVERNO SPINGE Studentesse, studenti battetevi in prima fila nelle lotte contro il massacro sociale, A TAPPE FORZATE VERSO per difendere l’istruzione pubblica “IL PROCESSO LUNGO” Tutti i processi contro Berlusconi e i corrotti boss borghesi finirebbero in prescrizione

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e per abbattere Berlusconi

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2 il bolscevico / massacro sociale

N. 34 - 29 settembre 2011

Approvata definitivamente dal parlamento nero a colpi di fiducia la manovra del massacro sociale sponsorizzata da Napolitano. E costui risponde a muso duro alla Fiom e ai giuristi che gli chiedono di non firmarla

54 MILIARDI TUTTI SULLE SPALLE DELLE MASSE POPOLARI L’aumento dell’Iva costerà 385 euro a famiglia. Anticipato al 2014 l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici del settore privato. Ridotti i tagli ai parlamentari. I grandi evasori non finiranno in carcere LA POLIZIA CARICA I MANIFESTANTI E I “SINDACATI DI BASE” CHE ASSEDIANO MONTECITORIO

Il 7 settembre al Senato e il 14 alla Camera il parlamento nero ha approvato a colpi di voti di fiducia la manovra del massacratore sociale Berlusconi, sponsorizzata da Napolitano e benedetta da Bruxelles. Una manovra ulteriormente aggravata dai rimaneggiamenti all’ultimo tuffo chiesti espressamente dal Quirinale per renderla “più credibile” agli occhi della Banca centrale europea (BCE), dopo il “lunedì nero” del 5 settembre che aveva visto un crollo del 5% della Borsa di Milano e schizzare verso quota 400 il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, e alla vigilia della riunione della BCE che doveva decidere se continuare ad acquistare i nostri titoli per evitare il fallimento dell’Italia. “Bisogna inserire nella manovra misure più efficaci, nessuno può sottovalutare il segnale allarmante che arriva dai mercati”, aveva avvertito Napolitano in un inatteso messaggio alle forze parlamentari che si accingevano a esaminare il provvedimento, suggerendo anche in via riservata a Berlusconi e Tremonti di “rafforzare” la manovra inserendo l’aumento dell’Iva e un “intervento strutturale” sulle pensioni, nonché di anticipare l’approvazione della manovra a prima della riunione di Bruxelles. Musica per le orecchie del neoduce, che non aspettava altro che un nuovo alibi dal Quirinale e da Bruxelles per tornare alla carica con l’aumento dell’Iva, da lui sempre proposto ma regolarmente stoppato da Tremonti. E per rimettere le mani sulle pensioni, dopo la figuraccia del precipitoso ritiro del taglio degli anni di università e di militare riscattati nelle pensioni di anzianità. Da qui una nuova frenetica trattativa con Tremonti e con la Lega per una ennesima modifica in corsa del maxiemendamento governativo presentato al Senato, che alla fine si è conclusa con l’inserimento dell’aumento di un punto dell’aliquota Iva del 20%, e con l’anticipo dal 2016 al 2014 dell’aumento progressivo dell’età pensionabile a 65 anni anche per le lavoratrici del settore privato. Berlusconi avrebbe voluto far partire l’aumento dell’età pensionabile già dal prossimo anno e tagliare anche le pensioni di anzianità per tutti, ma a questo la Lega si è per ora opposta: aveva già abbastanza problemi per far digerire alla propria base il voltafaccia sulla promessa che giammai avrebbe accettato che si mettessero le mani sulle “pensioni del Nord”, tanto che Bossi ha dovuto disdire un comizio a Treviso, per timore di contestazioni. Ma se ne riparlerà certamente molto presto, forse in una manovra aggiuntiva da inserire nella legge Finanziaria, insieme alla svendita ai privati dei beni pubblici e delle aziende di Stato. Come c’è da aspettarsi anche il ritorno del condono tombale (fiscale, edilizio e previdenziale insieme), che Berlusconi non ha mai smesso di accarezzare, tanto che lo ha fatto inserire in un ordine del giorno, a firma del suo recente

acquisto Scilipoti, approvato insieme alla manovra.

Rispunta una (mini) “tassa di solidarietà” Come foglia di fico in cambio dell’aumento dell’età pensionabile (il “do ut des” rivelato da Berlusconi alla festa dei rampolli fascisti di “Atreiu”), Bossi e Tremonti hanno voluto la reintroduzione del “contributo di solidarietà” a carico dei redditi medio-alti, quello che aveva fatto “sanguinare il cuore” al neoduce e che era riuscito a far sparire, ma solo per i dipendenti privati, autonomi e professionisti. Ma ad ogni modo ha fatto di tutto perché fosse ridotto a una misura puramente simbolica, il 3% (detraibili) per i redditi sopra i 300 mila euro l’anno, una misura che tocca appena 34 mila contribuenti, lo 0,075% del totale, e che frutterà solo 144 milioni in tre anni. Una norma oltretutto clamorosamente iniqua e anticostituzionale, poiché non solo stabilisce una odiosa disparità di trattamento con i dipendenti pubblici e i pensionati, che restano tassati ancora al 5% sopra ai 90 mila euro e al 10% sopra i 150 mila, e per giunta non detraibili, ma anche perché questi ultimi verrebbero tassati tre volte, dovendo subire anche un’ulteriore aliquota del 3% per la quota eccedente i 300 mila euro. Mentre i super ricchi sarebbero tassati solo un’unica volta al 3%. E i rentiers la farebbero addirittura del tutto franca, poiché le rendite non entrano in dichiarazione dei redditi essendo tassate alla fonte.

manovra già licenziata dal Senato il giorno dopo e approvata definitivamente dalla Camera la settimana successiva. Cosa che è stata sbrigata senza problemi da un parlamento nero per metà al soldo del nuovo Mussolini e per l’altra metà imbelle e rassegnata a fare solo presenza per non far mancare il numero legale. Mentre invece fuori dalle due aule, risuonava la protesta dei “sindacati di base” e dei manifestanti che hanno assediato Palazzo Madama e Montecitorio per tutta la durata delle due votazioni. Entrambe le manifestazioni sono state duramente caricate dalla polizia, con i manifestanti respinti a furia di manganellate e lacrimogeni che però non si sono dispersi, ma hanno percorso in corteo il centro di Roma portando la protesta anche davanti a Palazzo Grazioli, residenza del nuovo Mussolini.

Il blitz su Iva e pensioni Con questi ulteriori peggioramenti la manovra approvata dal Senato sale da 45,5 a 54 miliardi

bile per le donne del settore privato (nel pubblico era già entrato in vigore l’anno scorso), anticipato al 2014 dopo che già era stato avvicinato al 2016 nella versione di ferragosto, dovrebbe portarle a 65 anni come per gli uomini nel 2026 e non più nel 2032. Ma per effetto del sommarsi dello slittamento delle finestre di uscita e dell’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita, si stima che raggiungeranno i 65 anni già nel 2022. mentre nel 2026 andranno in pensione non a 65, bensì a 67 anni e 7 mesi.

Beffa sui tagli alla “casta” e sulle “misure antievasione” Le modifiche alle norme di “moralizzazione” dei privilegi della “casta” e a quelle “antievasione”, poi, sono una vera e propria beffa. Il taglio già irrisorio della indennità solo per i parlamentari che hanno anche un reddito autonomo superiore del 15% dell’indenni-

il grosso dei 120 miliardi annui di evasione stimata.

L’arroganza di Napolitano contro gli appelli a non firmare Ovviamente abbiamo parlato qui solo delle ultime modifiche alla manovra, che per il resto ha mantenuto invariate tutte le altre misure inique, antipopolari, fasciste e anticostituzionali che abbiamo già trattato in precedenza in altri articoli su “Il Bolscevico”: a cominciare dal famigerato articolo 8 della manovra, che sopprime di fatto i contratti nazionali e lo Statuto dei lavoratori, introduce la libertà di licenziamento e legalizza le nuove relazioni industriali mussoliniane introdotte da Marchionne con gli “accordi” capestro di Pomigliano e Mirafiori. A cui si aggiungono l’anticipazione di fatto delle modifiche liberiste e federaliste alla Costituzione attraverso le norme sulle liberalizzazioni e privatizzazioni (art. 4), i tagli ai

Ancora una resa totale della “opposizione” parlamentare

Voto di fiducia in un parlamento assediato Per soprammercato il neoduce ha ottenuto la drastica riduzione del contributo a carico dei parlamentari con doppia attività e un ulteriore allentamento delle misure “antievasione”. Dopo la cancellazione dei nomi dei contribuenti dalle dichiarazioni dei redditi online e dell’obbligo di inserire i dati bancari in dichiarazione, già decisa con le precedenti modifiche, ha voluto e ottenuto anche un ultimo blitz sulla norma “manette agli evasori”, quella che vietava la concessione della condizionale a chi evade più di 3 milioni, già evirata peraltro dalla mancata retroattività: ha fatto inserire cioè la postilla che tale somma deve rappresentare almeno il 30% del fatturato dell’azienda. Per puro caso rientrano in questa casistica anche i contenziosi fiscali in cui sono coinvolte le aziende del premier, come ad esempio la Mondadori. Oltre a tutto ciò, nel vertice a Palazzo Grazioli del 6 settembre, è stato deciso anche di blindare il maxiemendamento così modificato col voto di fiducia, il 49° di questo governo neofascista dal suo insediamento, in modo da avere la

sta antioperaio e disprezzo verso i diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione, da giustificare ampiamente l’appello che nell’ambito della richiesta di stralcio e non conversione in legge dell’art. 8, il segretario della Fiom, Landini, rivolgeva al capo dello Stato “in quanto garante della nostra Carta costituzionale”, a non firmare “una legge in contrasto con i principi costituzionali”. Appello a cui però il nuovo Vittorio Emanuele III rispondeva picche, con una nota dal tono arrogante in cui si dichiarava sorpreso “che da parte di una figura di rilievo del movimento sindacale si rivolgano al Presidente della Repubblica richieste che denotano una evidente scarsa consapevolezza dei poteri e delle responsabilità del capo dello Stato”. Una risposta infastidita e a muso duro che valeva implicitamente anche per l’appello rivoltogli dal gruppo di giuristi che hanno elaborato i quesiti referendari sull’acqua pubblica, e che hanno promosso una raccolta di firme sull’incostituzionalità dell’art.4 della manovra, invitandolo a non promulgarlo per impedire “che la fretta di privatizzare e liberalizzare ulteriormente l’economia al di fuori di una struttura di principi giuridici solidi e condivisi, lungi dal fare l’interesse del popolo italiano”, finisca per fare invece quello “degli speculatori internazionali che hanno generato la crisi”.

La protesta contro la manovra del massacro sociale davanti al palazzo di Montecitorio

di qui al 2013, senza contare la delega fiscale e assistenziale destinata a far salire la stangata a oltre 70 miliardi. E tutti, per un verso o per l’altro, a carico dei lavoratori e delle masse popolari. Secondo proiezioni della Cgia di Mestre, gli effetti combinati della manovra di luglio e di quella di ferragosto emendata, produrranno in media un salasso di circa 5.700 euro a famiglia da qui al 2014. Il solo aumento dell’Iva massima dal 20 al 21%, che la rende tra le più alte d’Europa, e che frutterà un gettito di 4,3 miliardi l’anno, costerà secondo i primi calcoli delle associazioni dei consumatori circa 385 euro a famiglia. All’aumento dei generi direttamente interessati si aggiungerà infatti anche quello indiretto dei generi di prima necessità e agevolati, attualmente tassati al 4 e al 10%, per effetto dei rincari di benzina, trasporti e costi di produzione vari. L’aumento dell’età pensiona-

tà stessa, scende dal 50% secco al 20% per la quota sopra i 90 mila e al 40% per la quota sopra 150 mila euro. É stato calcolato quindi che un parlamentare che guadagna 20 mila euro lordi extra (il 15% dell’indennità pari a 134.124 euro annui), non ne perderà più 67.062 come stabilito nella manovra versione ferragosto, bensì solo 8.800: un bel regalo del neoduce per tenersi stretta la maggioranza in parlamento. Quanto alle norme “antievasione”, non solo non è stato aggiunto nulla al maxiemendamento per far pagare chi evade ed elude le tasse, quel 10% cioè di ricchi (altro che solo lo 0,075%!) che possiedono il 45% della ricchezza nazionale, ma sono stati oltretutto graziati anche dalla galera se evadono più di 3 milioni, se la somma evasa non supera il 30% del fatturato dell’azienda. Il che favorisce sfacciatamente le grandi aziende, proprio quelle cioè che rappresentano

ministeri, alle regioni e agli enti locali, i ticket sanitari, il blocco delle liquidazioni dei dipendenti pubblici per due anni, la stretta sulle cooperative, l’imposta di bollo del 2% sul trasferimento di soldi all’estero degli immigrati, la soppressione delle piccole procure per mettere sotto controllo i pm troppo intraprendenti, il collegato sulla “riforma” fiscale e assistenziale che taglierà spietatamente tutte le detrazioni fiscali nelle buste paga e le pensioni di reversibilità e invalidità, e così via. Sul carattere fascista e anticostituzionale dell’art. 8 voluto a tutti i costi dal gerarca nero al “Lavoro e Welfare”, Sacconi, la dimostrazione più lampante e indecente viene dallo stesso Marchionne, che dal salone dell’auto di Francoforte ne ha apprezzato “la chiarezza bestiale”, sentenziando che con esso “quello che ci serviva ci è stato dato”. Una dichiarazione talmente sfacciata, per spirito revansci-

Al plauso ufficiale della Confindustria per le misure che “rafforzano l’efficacia della manovra”, e a quello del nuovo Vittorio Emanuele III e della BCE, ha fatto riscontro anche stavolta la resa totale della “opposizione” parlamentare, che pur votando contro si è guardata bene, obbedendo alle raccomandazioni del Quirinale, dall’ostacolare in qualsiasi modo la fulminea approvazione della manovra da massacro sociale. Le flebili proteste che si sono levate in parlamento sono state esclusivamente per il metodo (il voto di fiducia) e non sul merito (la manovra stessa). Del resto lo stesso PD, per bocca del liberale Bersani e altri dirigenti di quel partito, non aveva ripetuto fino alla noia che sui saldi, vale a dire sull’entità del massacro, non aveva nulla da eccepire? È anche per questo che il 6 settembre, alla festa democratica di Genova, il rinnegato D’Alema è stato contestato da decine di manifestanti che gli hanno urlato: “Vergogna, vergogna, state avallando i provvedimenti del governo, questa non è opposizione”. Ed è giusto, perché solo sollevando la piazza, e non con l’opposizione di cartone della “sinistra” borghese, si può affossare la manovra e abbattere il massacratore sociale Berlusconi.


massacro sociale / il bolscevico 3

N. 34 - 29 settembre 2011

MIGLIAIA IN CORTEO CONTRO IL MASSACRO SOCIALE

La polizia di Berlusconi e Maroni manganella la protesta davanti a Montecitorio Mercoledì 14 settembre, mentre a Montecitorio si recitava stancamente il copione del voto di fiducia per l’approvazione definitiva della manovra del massacro sociale, nella piazza antistante la Camera si faceva sentire la rabbia di coloro che quella manovra sono chiamati a pagarla e quel massacro a subirlo: studenti, precari, lavoratori e pensionati, convocati in piazza Montecitorio dai “sindacati di base”, dai comitati in difesa dei beni comuni e da altri movimenti di lotta per gridare la protesta e il disprezzo delle masse popolari al governo e al parlamento nero: istituzioni queste mai così isolate e odiate dal Paese reale, al punto da sembrare sempre più come un fortino assediato dalla marea montante della collera popolare, tenuta a bada solo da un uso sempre più massiccio e violento delle forze repressive dello Stato. Lo si è visto clamorosamente il 14 dicembre 2010, con lo storico assalto di massa di studenti e precari della scuola al parlamento nero degli inquisiti e dei venduti che riconfermava la fiducia al governo neofascista e stangatore di Berlusconi; ma lo si è visto anche

in questa giornata di lotta, sia pure in dimensioni certamente inferiori, ma con un identico significato politico. Era dal lunedì che i manifestanti presidiavano Montecitorio, dopo aver già assediato il Senato e subìto le cariche della polizia davanti a Palazzo Madama, durante il primo voto di fiducia alla manovra. Nella vicina piazza del Pantheon si svolgeva anche una manifestazione della CGIL, con la Camusso che si limitava a definire “iniqua, depressiva e sbagliata” la stangata da 54 miliardi tutta sulle spalle dei lavoratori e pensionati, e che alle 17 si affrettava a far togliere il presidio, prima che a Montecitorio iniziassero le votazioni. Intanto in piazza Montecitorio l’ex ministro delle Politiche comunitarie, l’autore della famigerata legge abolita dal referendum sull’acqua pubblica, il fascista Andrea Ronchi, recentemente uscito da FLI e ritornato nell’ovile del neoduce, si rendeva autore di uno squallido show contro i manifestanti protetto dalle sue guardie del corpo. Un manifestante gli ha gridato: “Io guadagno in un anno quel che tu guadagni in un mese, non ti vergogni”? Al che l’ex mi-

Roma, 14 settembre 2011. Un momento della violenta carica della polizia di Maroni e Berlusconi

nistro è andato su tutte le furie e si è messo a provocare i manifestanti, ma sommerso dai fischi e colpito anche da uno schizzo d’acqua in faccia, ha dovuto battere in ritirata, profferendo insulti sguaiati mentre veniva portato via di peso dai suoi gorilla. Verso le 19, alla notizia che nell’aula erano cominciate le dichiarazioni di voto, la protesta è esplosa in tutta la sua forza, al grido di “dimissioni, dimissio-

ni!” e col lancio di ogni sorta di oggetti: fumogeni, fuochi artificiali, uova, palloncini di vernice, ortaggi, monetine, e perfino frattaglie di animale, tra cui sembra anche un cuore, forse di maiale, a ricordare beffardamente il “cuore sanguinante” di Berlusconi per aver appena sfiorato i redditi dei più ricchi. A questo punto è partita, violentissima, la carica della polizia di Berlusconi e Maroni, inseguendo e bastonando a sangue

chiunque si trovasse davanti, tanto da rovesciare parecchi motorini parcheggiati nella piazza con i corpi degli studenti e dei precari travolti nella carica, diversi dei quali sono rimasti a terra feriti e contusi. Dopo essersi riuniti e riorganizzati presso il Pantheon, dando prova di un’ammirevole combattività, i manifestanti hanno però dato vita ad un corteo che dietro lo striscione della rete “Roma bene

comune” e al grido di “le nostre vite non sono in debito”, si è messo in marcia nel centro della capitale; mentre le “forze dell’ordine”, polizia, carabinieri e guardia di finanza, bloccavano l’accesso a tutti i palazzi del potere, dal Senato a Palazzo Grazioli. Il corteo si è diretto quindi da Largo Argentina verso Piazza Venezia e i Fori imperiali, lanciando slogan contro il governo e Berlusconi, per terminare sotto il Colosseo in oltre 2000 manifestanti. Per tutti l’appuntamento è stato dato al 15 ottobre, sempre a Roma, per la giornata di lotta europea contro le politiche antipopolari per far pagare la crisi ai popoli. Bisogna prendere esempio da questo tipo di lotte, abbandonando ogni illusione legalitarista, costituzionalista, pacifista ed elettoralista, senza rinunciare ad alcuna forma di lotta, pacifica o violenta a seconda dei casi e delle necessità poste dalla lotta di classe, purché siano lotte di massa e non avventuriste e di piccolo gruppo. Solo con un nuovo 25 Aprile e sollevando la piazza sarà possibile infatti liberarsi del nuovo Mussolini e della sua politica di massacro sociale.

NON SI FERMA LA MOBILITAZIONE OPERAIA CONTRO IL MASSACRO SOCIALE Non si ferma la protesta operaia contro la manovra del governo, un vero e proprio massacro sociale ai danni delle masse, dopo lo straordinario successo di partecipazione allo sciopero generale del 6 settembre indetto dalla CGIL e anche, autonomamente dai “sindacati di base” con oltre un milione di manifestanti nelle principali piazze d’Italia. Già il giorno successivo, in concomitanza col voto di fiducia sul maxi-emendamento del governo alla manovra finanziaria la mobilitazione è proseguita in modo diffuso nel Paese. Lavoratrici e lavoratori, delegati sindacali di fabbrica hanno organizzato con striscioni, bandiere rosse della CGIL e fischietti vivaci sit-in, manifestazioni e presidi davanti alle Prefetture, volantinaggi per spiegare i motivi dell’opposizione ai provvedimenti governativi. Motivi che si sono rafforzati e non indeboliti a seguito della quinta versione (in poche settimane) del testo della Finanziaria di ferragosto: vedi l’anticipazione al 2014 dell’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per le donne dei settori privati, vedi l’aumento dell’Iva dal 20 al 21%, vedi l’articolo 8, fortemente voluto dal ministro Sacconi, che porterà alla distruzione dei diritti dei lavoratori, del Contratto nazionale e dello Statuto dei lavoratori e che non è stato affatto migliorato come sostenuto da Sacconi e i sindacalisti collaborazionisti Bonanni e Angeletti. Iniziative di lotta di questo genere si sono succedute a Roma con un presidio in Piazza Santi Apostoli. In Sicilia con presidi davanti a tutte le Prefetture. Anche nel Veneto sit-in presso le Prefetture: a Venezia in Campo San

Firenze, 6 settembre 2011. Piazza Santa Maria Novella gremita di lavoratori al termine della combattiva manifestazione per lo sciopero generale organizzato dalla CGIL. Al centro si notano i cartelli del PMLI contro la manovra del massacratore sociale Berlusconi (foto Il Bolscevico)

Maurizio, a Belluno in Piazza del Duomo, a Treviso in Piazza dei Signori; così a Vicenza, Rovigo, Padova. A Roma la protesta si è svolta davanti al Senato. I lavoratori si sono fatti sentire anche a Perugia e in varie città della Basilicata esattamente a Potenza e Matera. In Toscana, i delegati della FIOMCGIL del Nuovo Pignone e G.E. Trasportation assieme a lavoratori e delegati della FILCAMS e del-

la Funzione pubblica sono andati in Prefettura di Firenze chiedendo e ottenendo un incontro per ribadire con forza la contrarietà della CGIL alla manovra. Mentre a Livorno un migliaio di lavoratori di alcune fabbriche hanno scioperato per due ore su indicazione unitaria delle RSU di FIOM, FIM e UILM e hanno occupato l’Aurelia rendendo visibile e palpabile il loro sentimento di avversione e rabbia

nei confronti dei provvedimenti economici e finanziari del governo e della sua decisione autoritaria e fascista di imporla in parlamento a colpi di voti di fiducia. In Campania, i manifestanti si sono dati appuntamento in Piazza Plebiscito a Napoli e a Salerno in Piazza Amendola. A Torino gli operai hanno dato vita a un presidio davanti la Prefettura in Piazza Castello. In Lombardia le Prefet-

ture sono state picchettate a Bergamo, Brescia, Lecco, Milano, Monza e Varese. A Mantova è stato organizzato un volantinaggio al Festivaletterario. Numerose le iniziative sindacali nei capoluoghi dell’Emilia-Romagna: Rimini, Forlì, Cesena, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Bologna e Parma. E ancora. Presidi a Bolzano, Cagliari, Oristano e in varie città della Calabria. Significativa e sacrosanta la protesta messa in atto dalle associazioni dei disabili a Roma l’8 settembre. Uno striscione gigante, 15 metri per 10, è stato calato dall’alto del Pincio con la scritta: “40 miliardi di tagli: Stop al massacro delle persone con disabilità”. Ossia ai tagli sull’accompagnamento, sulle pensioni d’invalidità, sulle agevolazioni per l’acquisto di auto e l’assunzione di badanti, sulle detrazioni Irpef per farmaci, sulle visite specialistiche non pagate dal servizio sanitario nazionale, sugli assegni familiari. “Non ci fermeremo qui – ha affermato Pietro Barbieri, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap - e, nonostante tutte le nostre difficoltà andremo avanti perché in gioco c’è la vita di milioni di persone, la loro dignità e il loro diritto all’inclusione sociale e lavorativa”. Sempre a Roma dopo 2 giorni di tendopoli di protesta a Piazza Navona davanti al Senato la protesta contro la manovra si è spostata il 10 settembre in piazza San Giovanni dove il Popolo Viola assieme a molte associazioni di disabili e a una folta rappresentanza di lavoratori in rappresentanza delle vertenze più note si è attendato per due giorni. Poi il 13 e 14 si è svolto

davanti a Montecitorio un presidio permanente in concomitanza del voto di fiducia alla Camera sulla manovra finanziaria del governo. Artefici della protesta i “sindacati di base” (Usb e Cobas), movimenti, gli studenti (Atenei in rivolta). Presenti anche molti iscritti, delegati e militanti della CGIL, oltre a delegazioni di lavoratori romani. Successivamente al voto di fiducia che ha approvato definitivamente la manovra la polizia ha caricato selvaggiamente i manifestanti (vedi il servizio a parte). Tutto ciò è solo un anticipo di quello che si prospetta come un autunno sindacale e di lotta molto caldo. Tra gli appuntamenti di carattere nazionale fissati nel calendario della mobilitazione: l’8 ottobre è in programma una manifestazione nazionale dei lavoratori pubblici e quelli della conoscenza a Roma; tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre sarà la volta dei pensionati dello SPI-CGIL. A seguire una grande manifestazione della CGIL per il lavoro. Per evitare che i loro iscritti gli sfuggano e di mano e aderiscano alle mobilitazioni della CGIL, come è successo in diversi casi in occasione dello sciopero generale del 6 settembre, anche la CISL e la UIL di Bonanni e Angeletti hanno preso ad organizzare dei presidi; anche se non è chiaro per che cosa, dal momento che nella manovra ci trovano cose interessanti e positive e che, di fatto, condividono i contenuti dell’art. 8 sul lavoro. Basti dire che la UIL ha annunciato uno sciopero del settore pubblico, uno sciopero “per e non contro”, ci ha tenuto a sottolineare Giovanni Torluccio, segretario generale FP-UIL


4 il bolscevico / massacro sociale

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Un mostro giuridico iperliberista e neofascista che riporta indietro il diritto del lavoro di 50 anni

L’ARTICOLO 8 DELLA MANOVRA DEL GOVERNO BERLUSCONI DEVE ESSERE ABOLITO Cancella il contratto nazionale e lo statuto dei lavoratori, permette le deroghe alle leggi, dà il via libera ai licenziamenti facili

MARCHIONNE RINGRAZIA SACCONI Noti e autorevoli giuslavoristi democratici lo hanno definito un mostro giuridico con chiari segni anticostituzionali che mette in discussione “l’intero diritto del lavoro”, “un vero tentativo di eversione dell’ordinamento”. La CGIL e i “sindacati di base” promotori sia pure autonomamente del recente sciopero generale del 6 settembre scorso lo denunciano come il più grave e distruttivo attacco degli ultimi 50 anni ai diritti sindacali e contrattuali dei lavoratori con ricadute pesantissime, intollerabili sulle loro condizioni di lavoro e di vita. Stiamo parlando dell’ormai famigerato articolo 8 contenuto nella manovra economica e finanziaria di oltre 50 miliardi di euro del governo del neoduce Berlusconi approvata definitivamente alla Camera con l’ennesimo voto di fiducia il 14 settembre. Condividiamo ambedue i giudizi. In questo articolo 8, voluto fortemente dal ministro del welfare, l’ex craxiano e oggi berlusconiano di ferro Maurizio Sacconi, fatto proprio dall’intero esecutivo e appoggiato da Confindustria e dai sindacati collaborazionisti CISL e UIL permette in sede aziendale di derogare dal contratto nazionale e, salvo alcune eccezioni, dalle leggi. Ciò porta, di fatto, alla demolizione del contratto nazionale di lavoro, alla cancellazione dello Statuto dei lavoratori, allo svuotamento del diritto del lavoro così come si è venuto a determinare fino ai nostri giorni. Nel testo dell’articolo è scritto infatti che a livello aziendale è possibile sottoscrivere, magari

da sindacati di comodo, contratti di lavoro che “operano in deroga alle disposizioni di legge” e “alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali”. Più chiaro di così! Tra le materie che possono far parte delle intese sottoscritte con un contratto aziendale svetta per importanza quella relativa al recesso del rapporto del lavoro. Tradotto, i padroni avrebbero la facoltà di non applicare le norme dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e quindi licenziare liberamente senza “giusta causa” con un semplice indennizzo di qualche mese di salario. Il fatto che ci sia qualche eccezione (il licenziamento discriminatorio, il licenziamento di lavoratrici in concomitanza del matrimonio e della gravidanza) non toglie nulla alla gravità iperliberista e neofascista del provvedimento. Dunque licenziamenti facili per i padroni ma non solo. Sulla base della formula sopra richiamata, innumerevoli risultano i campi in cui le deroghe possono intervenire. Per esempio le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate a progetto e le partite Iva. Il che significa che il sindacato potrebbe sottoscrivere dei contratti che prevedono l’impiego di lavoratori autonomi, quali sono formalmente i collaboratori e le partite Iva, come lavoratori dipendenti. Un atto questo considerato finora violazione di legge da sanzionare. Ma c’è di più, le deroghe permettono anche di cambiare il rapporto di lavoro da quello a

tempo indeterminato a quello a tempo determinato, magari sotto il ricatto del licenziamento e della chiusura delle attività. Sono in gioco innanzi tutto, è bene ribadirlo lo Statuto dei lavoratori e il contratto nazionale di lavoro. Dell’art.18 si è accennato. Sotto scacco anche l’art.4 che vieta il controllo dei lavoratori con impianti audiovisivi nel corso delle loro attività lavorative e ogni altro movimento; l’articolo 8 della manovra permette di derogarvi. Saltano anche le norme contrattuali che regolano l’orario di lavoro. Sulla base di specifiche intese aziendali i lavoratori si vedranno costretti a lavorare una settimana 60 ore e l’altra 20 sulla base delle uniche esigenze dell’impresa. Le pause alla catena di montaggio possono fare la stessa fine: essere diminuite, oppure cancellate. Non c’è più certezza nemmeno sulla qualifica professionale a cui il lavoratore ha diritto. Le deroghe contemplate nell’articolo 8 danno la possibilità alle aziende di attribuire a un operaio specializzato la qualifica di generico, senza tante discussioni, prendere o lasciare. Inoltre, le aziende potranno assumere giovani con un salario più basso, potranno spedire in un’altra città lavoratori non più considerati utili o non particolarmente graditi. Insomma, un salto indietro di 50 anni, una tabula rasa di diritti e conquiste realizzate in anni e anni di lotte da più generazioni del movimento operaio. In un appello promosso da un gruppo di giuslavoristi per chiedere l’abolizione

Roma, 14 settembre 2011. Il corteo di protesta, organizzato dopo le cariche poliziesche davanti alla Camera, si è diretto verso il Colosseo

dell’articolo 8 si legge che: “non è in gioco questa o quella legge protettiva, ma lo sono tutte, ovvero l’intero diritto del lavoro, perché l’art.8 consente ai contratti aziendali (o territoriali) di derogare non solo ai contratti collettivi nazionali, ma – e questo è davvero enorme – anche ai dispositivi di legge. Si tratta di un vero tentativo eversivo – continua – dell’ordinamento. Ed in specifico del principio fondante di gerarchia delle fonti del diritto, che da sempre prevede la prevalenza della legge sul contratto individuale e collettivo, e, in materia di lavoro, che le leggi siano inderogabili, perché i lavoratori siano protetti … contro la loro debolezza e ricattabilità”. Il provvedimento è, anche tecnicamente insostenibile e per più versi anticostituzionale “e come tale sarà” fermamente “combattuto da tutti gli operatori giuridici democratici”. Esso è stato scritto prendendo a modello gli accordi padronali imposti da Marchionne alla Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, sia nella

LePresidio fabbriche fiorentine ‘alzano la voce’ davanti alla Manetti&Roberts e corteo contro la manovra Redazione di Firenze

Giovedì 15 settembre lavoratori di aziende di tutta la provincia di Firenze, fra le quali Menarini, Gkn, Manetti&Roberts, Sims di Reggello, hanno partecipato alla marcia nella zona industriale di Calenzano organizzata da alcune RSU CGIL per protestare contro la manovra di macelleria sociale approvata dal parlamento e, in particolare, contro gli artt. 8 e 9 (libertà di licenziamento e reparti ghetto per handicappati). Nell’appello di convocazione le RSU hanno chiamato i lavoratori alla mobilitazione “per

fermare questa manovra devastante, contro lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e per il prolungato e costante attacco di Confindustria e governo al Contratto Nazionale e allo Statuto dei Lavoratori”. L’iniziativa “Alziamo la voce tutti insieme” è partita, intorno alle 12,30, con un presidio davanti alla sede della Manetti&Roberts in via Baldanzese: i combattivi lavoratori, armati di striscioni e campanacci, hanno attraversato in corteo la zona dove si trovano moltissime attività industriali e artigianali.

SPARI CONTRO LA SEDE CGIL A MANDURIA Calenzano (Firenze), 15 settembre 2011. La protesta dei lavoratori di alcune fabbriche contro la manovra

ABOLIRE L’ARTICOLO 8 DELLA MANOVRA L’inseguirsi quotidiano di proposte inique ed estemporanee che caratterizza il cammino tormentato della manovra finanziaria rischia di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla sorte dell’art. 8 del Decreto, ossia dalla norma che rappresenta l’attentato più grave – e quasi incredibile – che si sia avuto, fin dalla nascita della Repubblica, ai danni dei diritti dei lavoratori. Infatti, non è in gioco questa o quella legge protettiva, ma lo

sono tutte, ovvero l’intero diritto del lavoro, perché l’art. 8 consente ai contratti aziendali (o territoriali) di derogare non solo ai contratti collettivi nazionali, ma – e questo è davvero enorme – anche ai disposti di legge. Si tratta di un vero tentativo di eversione dell’ordinamento, ed in specifico del principio fondante di gerarchia delle fonti del diritto, che da sempre prevede la prevalenza della legge sul contratto individuale e collettivo, e, in materia di lavoro, che le leggi siano inderogabili, perché i lavoratori siano protetti anche contro sé stessi, contro la loro debolezza e ricattabilità. Proprio questo, invece, vogliono il Ministro Sacconi e la Confindustria: che ogni datore

musso, segretario generale della CGIL continua a rivendicare la cancellazione di tale articolo. Ma lo fa con una posizione debole e contraddittoria dal momento che contestualmente riconferma la validità dell’accordo interconfederale del 28 giugno contenente anch’esso le deroghe al contratto nazionale di lavoro. Da segnalare l’iniziativa assunta dal segretario generale della FIOM, Maurizio Landini. Il quale con una lettera ufficiale indirizzata a Giorgio Napolitano ha chiesto al presidente della Repubblica di non firmare la legge in questione poiché le norme in essa contenute sono “un attentato alla Costituzione”, oltre che “un regalo al Lingotto”. Ma Napolitano che spesso si vanta di stare dalla parte dei lavoratori, ha fatto orecchie da mercante. Anzi si è mostrato infastidito da tale richiesta e, come di consueto, ha dato via libera alla manovra di Berlusconi, da lui stesso d’altronde più volte sollecitata. Dal punto di vista degli operaie dei lavoratori c’è una sola strada vincente da seguire: quella degli scioperi e della mobilitazione di piazza per cancellare il decreto lavoro, affossare la manovra e buttare giù il governo del neoduce Berlusconi, il governo del massacro sociale e della distruzione dei diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per la sua battaglia contro caporalato e lavoro nero

Appello di esponenti del mondo politico e giuridico Pubblichiamo il testo dell’Appello lanciato da alcune personalità del mondo politico e giuridico contro l’art. 8 della manovra del nuovo Mussolini e massacratore sociale Berlusconi.

filosofia che nei contenuti concreti. In aggiunta prevede anche un principio di retroattività che nelle intenzioni vorrebbe di mettere in sicurezza questi accordi dai ricorsi giudiziari promossi dalla FIOM-CGIL. Logico quindi che Sergio Marchionne con una dichiarazione al Salone dell’auto di Francoforte abbia voluto ringraziare ufficialmente il ministro (dei padroni) Sacconi. “Ora abbiamo la certezza – ha detto – di poter gestire, che era la cosa importante per noi. Quello che serviva ci è stato dato, non solo a noi ma a tutti gli industriali”. Una faccia di bronzo senza pari quella del segretario della CISL, Raffaele Bonanni, quando afferma che che sull’articolo 8 si fanno troppi allarmismi e che il testo è stato migliorato con emendamenti richiesti dalla sua organizzazione. Secondo lui non c’è la libertà di licenziamento perché, sostiene mentendo, nessun sindacato firmerebbe intese che la prevedono. Salvo aggiungere che in casi di crisi si può fare. “La vicenda Pomigliano – ha detto – fa scuola”. Per disinnescare la protesta operaia Bonanni ha proposto a CGIL di fare un patto peloso che escluda dalle intese aziendali previste nel decreto lavoro i licenziamenti. Che sarebbe di nessuna efficacia nella pratica di fronte alla richiesta padronale di ottenere quanto la legge gli concede. Per il momento la Ca-

di lavoro possa eliminare una, più di una o tutte le tutele legislative dei suoi dipendenti (a cominciare, ovviamente, da quella contro i licenziamenti ingiustificati) solo concordandolo con un sindacalista locale, ricattabile o corruttibile o comunque “comprensivo”. In questo modo si seminano caos e ingiustizia perché il mondo del lavoro diverrebbe “la pelle di leopardo” a seconda che il rappresentante sindacale aziendale sia “rigido” o “cedevole” e si sparge altresì il seme della discordia civile, perché le reazioni degli interessati contro la svendita “al minuto” a livello aziendale dei loro diritti potrebbero divenire incontrollabili. È, invece, principio irrinun-

ciabile che su eventuali sacrifici che vengano loro richiesti – ma che mai possono comunque riguardare diritti legislativamente stabiliti – i lavoratori interessati si pronunzino direttamente, con referendum, in modo vincolante. L’art. 8 del Decreto è, anche tecnicamente, una norma insostenibile, e per più versi incostituzionale e come tale, se dovesse il Decreto esser convertito in legge, sarà fermamente combattuta da tutti gli operatori giuridici democratici nelle sedi di competenza, ma occorre adesso privilegiare il profilo politico, e cioè scongiurare la vergogna che una norma del genere possa, anche per poco tempo, divenire legge della nostra Repubblica.

Chi c’è dietro agli spari alla sede Inca-Cgil di Manduria (Taranto) del 26 agosto scorso? Le indagini in corso da parte degli agenti di polizia del Commissariato di Manduria e della Digos sono volte a far luce sull’eventuale ruolo che potrebbe aver giocato nella vicenda la criminalità organizzata. Ma i mandanti sono da cercare fra quella parte di padroni e proprietari terrieri che avrebbe tutto l’interesse a stroncare ogni attività di salvaguardia e tutela dei lavoratori svolte dalla Cgil contro il caporalato, il lavoro nero, lo sfruttamento bestiale nei campi dei migranti e delle donne. Dopo gli scandali delle ultime settimane per lo sfruttamento nei campi di migranti in Puglia, e soprattutto nel Salento (Nardò), questo grave atto intimidatorio non può che essere letto come una risposta per far abbassare ancor più la testa ai lavoratori che per proteggersi dall’inumano supersfruttamento si erano rivolti al sindacato. “È certo che da anni facciamo vertenze collettive o singole verso una parte di imprenditoria che

non rispetta le regole – afferma Luigi D’Isabella, segretario cittadino della Cgil - C’è il fenomeno del lavoro nero o del clima sempre più difficile nelle aziende agricole, metalmeccaniche e di servizi dove registriamo un costante peggioramento delle condizioni di lavoro che quotidianamente cerchiamo di ostacolare. Questo attentato è la prova che stiamo facendo il nostro lavoro, tra mille difficoltà ambientali”. Questa è una zona dove il cosiddetto “caporalato bianco” agisce indisturbato oramai da anni (Manduria, Grottaglie e Castellaneta, fino a Metaponto in Basilicata), il fenomeno dello sfruttamento nei campi riguarda non solo i migranti e gli stranieri ma i lavoratori italiani e, soprattutto molte donne. E di fronte alla nuova stangata antipopolare del macellatore sociale Berlusconi queste lavoratrici e questi lavoratori che già sono costretti ad accettare da caporali senza scrupoli lavori umilianti a salari da fame solo per sostenere le loro famiglie, cos’altro si possono aspettare?


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N. 34 - 29 settembre 2011

DIRETTIVO CGIL. NONOSTANTE IL SUCCESSO OTTENUTO CON LO SCIOPERO GENERALE Proprio in vista della riunione del direttivo nazionale tenutosi il 9 settembre, il Comitato centrale della FIOM, con un documento votato a larga maggioranza, aveva chiesto alla CGIL di ritirare la sua adesione sull’accordo interconfederale sul modello contrattuale e la rappresentanza sindacale del 28 giugno divenuto, di fatto, “carta straccia” a seguito della decisione del governo di inserire nella manovra l’articolo 8 i cui contenuti sono finalizzati a cancellare il contratto nazionale e lo Statuto dei lavoratori, a distruggere l’insieme dei diritti dei lavoratori; per giunta con il consenso di Confindustria e di CISL e UIL. Una richiesta questa rafforzata dallo straordinario successo di partecipazione allo sciopero generale del 6 settembre. Susanna Camusso, segretario generale della Confederazione, e dietro di lei la maggioranza del direttivo hanno fatto orecchie da mercante: pur esaltando il risultato della mobilitazione, pur continuando a rivendicare la cancellazione dell’articolo 8 della manovra, in modo contraddittorio e perdente, hanno confermato il giudizio positivo e la volontà di applicare l’accordo del 28 giugno. Non solo, hanno rifiutato la proposta ragionevole e precauzionale, avanzata dagli esponenti della sinistra organizzati in “La CGIL che vogliamo” di sospendere ogni decisione per verificare la disponibilità di Confindustria e di CISL e UIL per richiedere unitariamente al governo di togliere l’articolo contestato e comunque per concludere la consultazione tra gli iscritti e i lavoratori sul suddetto accordo. Nella sua relazione, la Camusso questa posizione l’ha giustificata così: “L’articolo 8 della manovra è stato fortemente voluto dal ministro del Lavoro e dal governo come reazione e negazione – ha affermato in modo assai discutibile – dell’accordo del 28 giugno. È dunque evidente – ha aggiunto mentendo – che l’ipotesi d’intesa raggiunta con CISL, UIL e Confindustria rappresenta … uno strumento di tutela dei lavoratori”. Su questa linea Camusso ha espresso la necessità di trovare una modalità che “impegni tutte le parti firmatarie ad applicare integralmente (comprese le deroghe al contratto

Camusso conferma la linea dell’accordo del 28 giugno La sinistra contesta: “Decisione sbagliata e grave” nazionale, ndr) dell’intesa”. Tempestivi sono giunti gli applausi del segretario della CISL, Raffaele Bonanni, cui faranno seguito, si presume, quelli di Angeletti e della Marcegaglia. L’Indirizzo impresso dalla Camusso su questo aspetto centrale della linea della CGIL ha suscitato molti malumori e aperte contestazioni da parte della sinistra. Per Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della FIOM, “con questa impostazione l’accordo del 28 giugno diventa la piattaforma con cui la Cgil va alla trattativa per ottenere qualche sconto sul decreto; ci si muove in una logica emendativa, in totale contraddizione con la radicalità del movimenti di protesta”. Il segretario generale FIOM, Maurizio Landini, ha ribadito che, con la manovra, “l’accordo del 28 è divenuto carta straccia” e quindi non ci si deve sentire impegnati verso di esso. Per Landini va rafforzata la mobilitazione anche con scioperi: “se bisogna approfondire le contraddizioni emerse negli altri due sindacati”, questa sembra essere la strada giusta. Su questo punto specifico, se confermare e o rigettare l’accordo del 28 giugno gli esponenti de “La CGIL che vogliamo” hanno presentato un documento alternativo di minoranza ricevendo 18 voti. In esso tra l’altro si legge: “Alla luce di tali stravolgimenti (quelli provocati dall’articolo 8 della manovra che cancella contemporaneamente il diritto del lavoro ‘garantiti dalla contrattazione nazionale e dallo Statuto dei lavoratori’, ndr) l’ipotesi di accordo del 28 giugno dal quale la CGIL dovrebbe ritirare il sostegno, non esiste più e la priorità per la CGIL, in questa fase è avviare una grande campagna di iniziativa” contro il complesso della manovra e contro la vergogna del-

l’articolo 8 “non escludendo nessuna iniziativa finalizzata alla sua cancellazione, compreso il referendum abrogativo”. Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de “La CGIL che vogliamo”, in una nota del 10 settembre ha definito sbagliate e gravi le decisioni assunte dal di-

rettivo CGIL relative all’accordo del 28 giugno e al suo rapporto con il decreto sul lavoro contenuto nella manovra del governo. Sbagliate perché “non può coesistere – ha affermato - il sostegno di Confindustria, CISL e UIL ad un Decreto che prevede la cancellazione del Contratto nazionale, del

diritto del lavoro, la legittimazione dell’accordo Fiat, con un accordo unitario su democrazia e regole sindacali”. C’è incompatibilità tra l’approvazione del Decreto lavoro “anche grazie al sostegno fondamentale di Confindustria, CISL e UIL, e la richiesta agli stessi soggetti di confermare l’applicazio-

ne dell’ipotesi di accordo”. Gravi perché il direttivo ha dato mandato alla segreteria di svolgere la verifica con CISL, UIL e Confindustria sulla loro disponibilità all’applicazione dell’accordo di giugno “e su questa base procedere alla firma”. “Come dire – ha aggiunto Rinaldini – che è stata abolita la democrazia interna, cioè il voto vincolante degli iscritti alla CGIL come previsto dalle nostre norme statutarie della nostra organizzazione”. “Si discute, si delibera, si decide sui contratti e sulla democrazia senza che i diretti interessati possano pronunciarsi e decidere liberamente”. Lungo questa strada, è la sua conclusione, si va verso una “vera e propria deriva che può riguardare la stessa mutazione genetica della CGIL”.

LA FIOM CHIEDE ALLA CGIL DI RITIRARE LA FIRMA ALL’ACCORDO DEL 28 GIUGNO Dopo lo straordinario successo dello sciopero generale del 6 settembre. la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori deve proseguire per contrastare e affossare la manovra economica del governo. In particolare dev’essere cancellato l’art. 8 di detta manovra di lacrime e sangue che cancella il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori in definitiva l’insieme del diritto del lavoro. In questo contesto, la CGIL deve ritirare la sua firma sull’accordo interconfederale del 28 giugno scorso. È quanto ha deciso, in sintesi, la FIOM-CGIL nella riunione del Comitato centrale del 7 settembre. Su quest’ultimo punto il segretario generale, Maurizio Landini, ha espresso una posizione molto netta, affermando che: “siamo di fronte a un governo che con l’articolo 8 della manovra ha emanato un provvedimento di gravità assoluta, che per decreto cancella in un colpo solo il diritto al lavoro e lo Statuto dei lavoratori, permette che a livello aziendale o territoriale, a un livello non previsto dalla

Costituzione, si balcanizzino i diritti dei lavoratori”. È un decreto fatto su richiesta di Fiat e Confindustria “e che mio malgrado registro – continua Landini – viene appoggiato da Cisl e Uil”. Si deve prendere atto che questa legge fa carta straccia persino dell’accordo del 28 giugno, ecco perché, dice rivolgendosi alla CGIL, “Togliere la sigla da quell’accordo mi sembra dunque coerente con la volontà di chi ha manifestato in piazza con noi”. La proposta di Landini è stata raccolta nel documento presentato dalla segreteria nazionale, approvato a larga maggioranza con 102 voti a favore; mentre quello presentato in contrapposizione dalla destra, rappresentata da Fausto Durante e Augustin Breda ha raccolto solo 27 preferenze. “La scelta del Governo condivisa da Confindustria e da Cisl e Uil -si legge nel documento della segreteria – di introdurre con l’articolo 8 una legge a favore della Fiat e che cancella il diritto al lavoro, il Contratto nazionale e lo Statuto dei lavora-

tori, rende “carta straccia l’ipotesi di Accordo del 28 giugno 2011”. A fronte di questa situazione la FIOM ritiene che “la Cgil deve ritirare il proprio sostegno ed adesione all’ipotesi di Accordo del 28 giugno perché messo in discussione dalla legge del Governo” ed anche per coerenza con le aspettative dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero generale del 6 settembre scorso. Una mobilitazione che deve proseguire “definendo un piano straordinario – continua il documento - di iniziative, diffuso nei luoghi di lavoro e sul territorio fino anche ad una grande manifestazione nazionale” per contrastare la “manovra sbagliata, inaccettabile e discriminatoria del governo e cancellare l’articolo 8”. Di segno opposto la posizione sostenuta da Durante e Breda, simile a quella della segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso, risultata in FIOM fortemente minoritaria. Secondo costoro la lotta va fatta “per ritornare allo spirito iniziale e all’impostazione originaria

dell’Accordo del 28 giugno” richiamando tutti i protagonisti, ovvero le associazioni padronali e i sindacati confederali, “alla loro responsabilità di soggetti firmatari”. La tesi sostenuta è che il governo avrebbe stravolto l’accordo “ledendo l’autonomia contrattuale della parti sociali”. Non dicono però che è proprio sulla base di questa intesa che, è bene ricordarlo, introduce relazioni industriali neocorporative di stampo mussoliniano e fa proprio il modello Marchionne, il governo si è spinto a varare una legge del genere, non dicono che per Confindustria e CISL e UIL essa non rappresenta affatto uno stravolgimento. La maggioranza FIOM ha perciò ragioni da vendere: una lotta contro la manovra del massacro sociale e della distruzione dei diritti dei lavoratori, una lotta che deve essere ampia e aggregante, efficace nei metodi di protesta e duratura, senza prevedere l’affossamento del suddetto accordo sarebbe monca e in definitiva perdente in partenza.

Le “forze dell’ordine” di Maroni caricano il corteo antileghista a Venezia È di alcuni feriti il bilancio delle cariche poliziesche alla manifestazione anti-leghista del 17 settembre. Il gerarca Maroni, ministro leghista degli interni, aveva tentato vanamente di impedire ai veneziani di manifestare contro il raduno della Lega nella loro città che si sarebbe tenuto l’indomani per celebrare con i soliti contenuti neofascisti e razzisti il mito di una Padania nella realtà inesistente. L’autorizzazione a percorrere il centro storico di Venezia era stata richiesta dagli organizzatori fin da agosto, ma all’improvviso il giorno prima della manifestazione era arrivato il fascistissimo divieto da Maroni in persona, che imponeva alle masse di non passare dal centro storico e di dimezzare la lunghezza del corteo. Il diktat di Maroni finalizzato a far fallire

il corteo ha prodotto un esito completamente opposto a quello sperato dal governo, infatti la prevista manifestazione ha raccolto ancora più adesioni, tra cui quella di esponenti della Fiom, sindacati, comitati locali, tra cui i No Tav, e centri sociali tutti compattati contro il Carroccio. I manifestanti sono scesi in piazza in un clima di festa e combattività. Un grande striscione su cui campeggiava la scritta “Lega ladrona, fuori da Venezia” veniva esposto in piazzale della stazione, come saluto ai manifestanti provenienti da altre città, tra cui gli antirazzisti delle Marche e dell’Emilia-Romagna, mentre centinaia di bandiere ‘Liberi dalla lega’ sventolano nel piazzale di fronte alla stazione. Nel corteo anche le bandiere dei “No Dal Molin” e dei

“No Tav”. Tra gli striscioni che avrebbero dovuto attraversare il centro di Venezia se il gerarca fascista non avesse vietato di manifestare quello “Venezia bene comune”, che apriva il corteo, e “Liberi dalla Lega”. Al microfono del sound system si susseguono gli interventi che chiedono di poter manifestare liberamente per la città, mentre in assemblea si decide di percorrere il percorso richiesto, rifiutando i diktat di Maroni. La piazza grida “corteo, corteo” e “Venezia libera” i manifestanti si avviano al percorso deciso dalle masse e vietato dal governo fascista. Uno smacco intollerabile per il ministro leghista che faceva schierare per tre ore un elicottero sui

tetti di Venezia e faceva presidiare Strada Nuova, accanto al Ponte degli Scalzi, vicino alla Stazione, dalle “forze dell’ordine” in assetto anti-sommossa. In più nel corso della notte precedente il corteo vi erano state provocazioni da parte di esponenti delle “forze dell’ordine” che seguivano ed insultavano gruppi di manifestanti con l’evidente scopo di innescare scontri. Migliaia di manifestanti già al concentramento cominciano a gridare “Venezia libera” e a cantare “Bella Ciao” Le cariche partono in maniera improvvisa e proditoria vicino al Ponte degli Scalzi. Anche questa volta la polizia di Maroni picchia con i manganelli con inaudita ferocia e lancia i famigerati lacrimogeni al gas cs, il gas vietato dalle Convenzioni internazionali usato

più volte di recente in Italia anche nello sgombero della Maddalena al presidio No Tav a Chiomonte (Torino). I manifestanti provano a difendersi usando le aste di bandiere e striscioni. Diversi i feriti negli scontri, tra cui uno rimasto a terra in stato di incoscienza per alcuni minuti. Anche mentre il corteo veniva caricato molti manifestanti hanno iniziato a cantare “Bella Ciao”. Si tratta dell’ennesima intolle-

rabile provocazione e repressione fascista nei confronti degli oppositori di questo governo. Esprimiamo la nostra solidarietà militante alle masse popolari veneziane e a tutti i manifestanti del corteo del 17 settembre a Venezia e anche a loro diciamo che c’è un’unica soluzione per difendere la libertà di manifestare in Italia e mettere fine a questa arroganza politica: sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale!

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6 il bolscevico / studenti

N. 34 - 29 settembre 2011

STUDENTESSE, STUDENTI BATTETEVI IN PRIMA FILA NELLE LOTTE CONTRO IL MASSACRO SOCIALE, PER DIFENDERE L’ISTRUZIONE PUBBLICA E PER ABBATTERE BERLUSCONI

Una manifestazione studentesca a Milano contro la scuola della Gelmini e di Berlusconi. In primo piano il manifesto con le rivendicazioni del PMLI (foto Il Bolscevico) Roma, 14 dicembre 2010. Piazza del Popolo. Gli studenti assaltano la cosiddetta “zona rossa” subito dopo aver appreso che il governo del neoduce Berlusconi ha ottenuto la fiducia alla Camera

Sono cominciati o stanno per cominciare in tutta Italia i nuovi anni scolastici e accademici all’interno di un quadro generale tutt’altro che roseo. Gli oltre 4 miliardi di tagli a scuola e università previsti per il 2012 (nell’ambito del maxi-taglio da machete di 13 miliardi fino al 2014), la riduzione progressiva della già misera quota del prodotto interno lordo (PIL) dedicata all’istruzione, i bilanci universitari che colano a picco, il 36% degli edifici scolastici che sono fatiscenti mentre il governo non dà altro che briciole, l’aumento dei prezzi dei libri di testo e l’accorpamento indiscriminato degli istituti scolastici sono fra i problemi più gravi con cui studenti, docenti e precari dovranno giostrarsi. A queste mazzate vanno ad aggiungersi gli effetti della manovra economica, che avrà conseguenze disastrose

sugli studenti provenienti dalle famiglie meno agiate che rischiano di non potersi nemmeno più permettere gli studi (lo dimostra il costante aumento della “dispersione scolastica”, ossia dell’abbandono), con l’elevato rischio di finire nel lavoro nero o di andare a ingrossare le file della disoccupazione giovanile. Il tutto nel quadro di una politica classista borghese di scuola e università. La manovra, cancellando senza pietà i diritti basilari dei lavoratori, fa sì che gli studenti di oggi rischiano di ritrovarsi domani a lavorare in condizioni ottocentesche, con paghe misere e senza alcun diritto, compreso quello alla pensione. Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio massacro sociale, il cui principale responsabile è il governo del neoduce Berlusconi, ma le cui radici affondano nel sistema

economico capitalistico nel quale viviamo. In queste condizioni non si può assolutamente stare a guardare. Le studentesse e gli studenti, che già cominciano a mobilitarsi, devono infiammare l’autunno e condurre fin da subito una lotta senza quartiere contro il massacro sociale, battendosi per la difesa della scuola e dell’università pubbliche (cominciando col rivendicare l’abrogazione delle “riforme” Gelmini, ma anche della precedente legislazione da Berlinguer in poi, il blocco dei tagli, il finanziamento dell’istruzione pubblica e l’abolizione di quello ai privati, e lo stanziamento di risorse per l’edilizia scolastica) e per buttare giù il massacratore sociale Berlusconi, partecipando in massa alle prossime mobilitazioni indette per il 7 e il 15 ottobre. Gli effetti e gli scopi della ma-

novra rendono assolutamente irrinunciabile legare le lotte studentesche alle lotte dei lavoratori, della FIOM, della CGIL, dei “sindacati di base”, per il lavoro, il contratto nazionale, i diritti sindacali, contro i licenziamenti, i tagli delle pensioni e il precariato. Solo con l’unità di tutti i movimenti, dei partiti e delle masse antigovernative si può vincere questa cruciale e fondamentale battaglia. La partecipazione degli studenti allo sciopero generale del 6 settembre è stato un primo segnale positivo in questo senso, ne dovranno seguire altri per compattare al massimo le varie lotte d’autunno contro il nemico del popolo. Per noi marxisti-leninisti un nuovo 25 Aprile è l’unica soluzione possibile per liberarsi del nuovo Mussolini. Memore delle esperienze dell’anno passato, il movimento studentesco deve perciò sbarazzarsi di ogni illusione legalitarista, costituzionalista, pacifista, governativa ed elettoralista

AL 29° POSTO SU 34

Bocciata dall’Ocse la scuola italiana Classi affollate, tagli alle risorse, stipendi da fame al personale

29a su 34. Questa la triste posizione che si è aggiudicata la scuola italiana nel recente rapporto “Education at Glance 2011” (“Uno sguardo sull’istruzione”) redatto dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sulla base di dati del 2009. L’Italia riserva all’istruzione il 4,8% del prodotto interno lordo (destinato a scendere sulla base delle manovre di Tremonti) contro la media OCSE del 6,1%; la percentuale precipita all’1% in riferimento specifico all’università, sempre più relegata infatti ai finanziamenti privati. La spesa annua per studente è di 9.200 dollari rispetto alla media OCSE di 9.860, ma va sottolineato che gli investimenti sono principalmente per gli studenti delle scuole primarie e secondarie, mentre quelli per gli universi-

tari sono ben sotto la media. Gli stipendi degli insegnanti sono tra i più bassi d’Europa e fra il 2000 e il 2009 si registra un calo in percentuale a fronte dell’aumento avvenuto in altri paesi. Inoltre i docenti devono attendere i 35 anni per raggiungere il massimo salariale (la media OCSE è 24 anni). Lontani comunque dalle aspettative di reddito per un laureato in Italia, aspettative in cui è lampante la discriminazione verso le donne laureate che guadagnano fino al 75% in meno rispetto agli uomini. Il Ministero dell’Istruzione si è pronunciato sui bassi stipendi scaricando la colpa sul fatto che ci sarebbero troppi insegnanti (uno ogni 10,7 alunni nella scuola primaria e uno ogni 11 nella scuola secondaria), chiudendo così anche sulla questione di quelle che la gerarca Gelmini

chiama “classi pollaio”, cioè le classi sovraffollate. In realtà le cose non stanno così perché dati del medesimo Ministero parlano, rispetto all’anno scorso, di 92 edifici scolastici in meno rispetto ad un aumento di 4.200 classi, quindi il problema delle classi sovraffollate è ben presente. A ciò si aggiunga il fatto che nel rapporto docenti/studenti sbandierato da viale Trastevere non tiene conto della significativa presenza degli insegnanti di religione cattolica. Sempre in tema di stipendi va ricordato che dal 2006 è scaduto il contratto nazionale e che le ultime manovre finanziarie hanno congelato gli scatti d’anzianità. Non va nemmeno dimenticato che i dati raccolti si fermano al 2009 e che negli anni successivi le forbici del governo non se ne sono state

affatto ferme. Il rapporto OCSE rileva anche che solo il 70,3% dei giovani fra i 25 e i 34 anni ha un diploma, rispetto alla media OCSE dell’81,5%. I laureati sono il 14% della popolazione e il loro tasso di occupazione è del 79%. Questo, come nota Giuseppe De Nicolao dell’Università di Pavia, tenuto conto che “il rapporto si riferisce ad una situazione antecedente ai tagli Tremonti-Gelmini per giustificare i quali è stato fatto credere che la spesa per la formazione universitaria fosse eccessiva”. “Cambiare rotta, aumentare gli investimenti in istruzione, rinnovare i contratti che questo governo ha bloccato fino al 2014”, queste le parole di Domenico Pantaleo, segretario della FLC-CGIL, in riferimento ai dati suddetti.

e non rinunciare ad alcuna forma di lotta di massa, comprese quelle più dure e violente, prendendo esempio dallo storico assalto al parlamento del 14 dicembre 2010. Dobbiamo prendere esempio anche dai “sindacati di base” e dai movimenti che in questi giorni si sono battuti davanti alla Camera contro l’approvazione della manovra. Non bisogna riporre nessuna fiducia nelle istituzioni rappresentative borghesi, dove destra e “sinistra” borghese sono pappa e ciccia al servizio del capitalismo, di Confindustria, delle banche e delle politiche di austerity, né pensare di poter delegare la lotta alle rappresentanze studentesche negli organi collegiali, dove si trovano in minoranza e prive di qualsiasi potere decisionale. Invece le scuole e le università devono essere governate in maggioranza dalle studentesse e dagli studenti. Le lotte d’autunno possono essere un’ottima occasione per tornare a discutere di come organizzare il movimento. La nostra proposta è di fondare il movimento sulla democrazia diretta, e quindi sul potere delle assemblee generali delle studentesse e degli studenti di ogni scuola, facoltà e ateneo, alle quali vanno riconosciute la definizione degli indirizzi politici, programmatici e organizzativi e l’elezione dei rappresentanti con diritto di re-

voca. Siamo convinti che così sarà possibile compattare al massimo il movimento e dargli una vita lunga, proficua e continuativa, assicurando la democrazia dal basso in cui possano esprimersi anche le organizzazioni studentesche, i collettivi, oltre ai singoli studenti. Allo stesso tempo le assemblee generali devono fungere da contraltare rispetto agli attuali organi collegiali. Lo scempio dell’istruzione pubblica per salvare il capitalismo in crisi e la creazione di una scuola e un’università sempre più classiste e sempre più chiuse ai figli del popolo dimostrano ancora una volta che, nel regime capitalistico, esse sono asservite alla classe dominante, cioè alla borghesia e ai magnati dell’industria e della finanza, che non si fanno scrupoli a demolirle per preservare i loro interessi economici. Ecco perché, per conquistare vittorie realmente stabili e durature, il movimento studentesco deve riscoprire e impadronirsi dell’anticapitalismo e farne la propria bandiera. Studentesse e studenti, battetevi in prima fila contro il massacro sociale, per difendere l’istruzione pubblica e per abbattere Berlusconi! Diamo battaglia per la scuola e l’università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti!

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N. 34 - 29 settembre 2011

ARRESTATO TARANTINI: PAGATO DA BERLUSCONI PER TACERE “Estorsione” da 850 mila euro

Il premier a Lavitola: “resta dove sei”. “Tra qualche mese me ne vado... vado via da questo paese di merda di cui sono nauseato”

Il primo settembre le divisioni investigative delle questure di Napoli e Roma hanno arrestato il trentaquattrenne imprenditore barese, Giampaolo Tarantini, già coinvolto nello scandalo della sanità pugliese e arrestato l’anno scorso nell’ambito dell’inchiesta della procura di Bari inerente il giro di prostituzione, detenzione e spaccio di droga nelle feste del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli a Roma, a villa La Certosa in Sardegna e ad Arcore. In manette è finita anche la moglie di “Giampy”, Angela Devenuto, detta ‘Ninni’ o ‘Nicla’, nonché amante di Lavitola. Per entrambi l’accusa è di “estorsione ai danni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”. Gli arresti sono scattati sulla base di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari (Gip) di Napoli, Amelia Primavera, su richiesta dei Pubblici ministeri (Pm) Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli titolari dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco. Alla retata è sfuggito il direttore ed editore dell’Avanti, Valter Lavitola: presunto “regista” dell’estorsione, tutt’ora latitante all’estero; massone, grande amico di Fabrizio Cicchitto e Sergio De Gregorio, imprenditore ittico con molti traffici in Centro America, già coinvolto in diverse altre inchieste fra cui quella inerente la P4 di Bisignani (che investe anche i vertici di Finmeccanica) nonché artefice, secondo i finiani, del dossieraggio contro il presidente della Camera e il caso Montecarlo-Santa Lucia. Indagati a piede libero anche suo cugino Antonio Lavitola e un suo collaboratore, Fabio Sansivieri.

D’ALEMA TIRATO IN BALLO NELL’INCHIESTA DI BARI SUL GIRO DI ESCORT E APPALTI DELLA CRICCA TARANTINI L’intreccio politico-giudiziario L’inchiesta di Napoli è strettamente connessa con l’indagine condotta dai Pm di Bari su Tarantini e la sua cricca che rifornivano di escort il presidente del Consiglio e i vertici della Protezione civile e di Finmeccanica per ottenere in cambio lauti appalti. Gli appalti sospetti sono almeno una quindicina; nel registro degli indagati figurano al momento solo 5 nomi tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e corruzione. Ma il loro numero è destinato a salire ora che, in seguito alla trasmissione degli atti dei Pm napoletani, la procura di Lecce ha messo sotto inchiesta anche il procuratore di Bari Antonio Laudati con l’accusa di aver ostacolato l’inchiesta sulle escort col chiaro obiettivo di favorire Tarantini e la sua cricca e soprattutto coprire il “bunga bunga” del premier evitando la notifica di fine indagini agli imputati per non rendere di dominio pubblico le vergognose intercettazioni di Berlusconi.

Coinvolto D’Alema Al vaglio della procura di Bari ci sono in particolare gli incontri per la spartizione degli appalti avvenuti fra Tarantini, il boss della Protezione Civile Guido Bertolaso, i vertici di Finmeccanica (tra cui spicca lo stesso presidente Pierfrancesco Guarguaglini) e soprattutto gli imprenditori Roberto de Santis, soprannominato il “banchiere di D’Alema” e il suo sodale Enrico Intini, dalemiano di ferro. Nella cricca c’era anche Lea Cosentino la famigerata

LA CASA AL COLOSSEO PAGATA 900 MILA EURO DALL’IMPRENDITORE ALL’EX MINISTRO PDL

Scajola e Anemone indagati per finanziamento illecito Il 29 agosto l’ex ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e il costruttore romano Diego Anemone sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta inerente la lussuosa casa di 180 metri quadri, con affaccio sul Colosseo, “acquistata a sua insaputa” e ristrutturata coi soldi del costruttore romano (vedi http://www.pmli. it/scajoladimesso.htm). L’accusa contestata dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dai Pubblici ministeri (Pm) Ilaria Calò e Roberto Felici è la violazione dell’articolo 7 della legge sul finanziamento dei partiti e “finanziamento illecito a singolo parlamentare”. Nel mirino dei magistrati, come si legge nell’invito a comparire inviato a Scajola, “l’acquisto e i successivi lavori di ristrutturazione dell’ immobile sito in Roma, in via del Fagutale 2”. Spese che, secondo l’ accusa, sono state pagate in gran parte dal costruttore, già al centro dell’ inchiesta di Perugia sugli appalti del G8. Le prove in mano agli inquirenti sono schiaccianti e confermano che del milione e 700

mila euro corrisposti alle sorelle Beatrice e Barbara Papa per l’acquisto di quell’immobile, 200 mila euro furono versati in contanti nel giorno del compromesso e altri 900 mila versati a rogito, sono arrivati direttamente dal costruttore romano. Fatti confermati anche dall’architetto di Anemone, Angelo Zampolini che ai magistrati di Perugia ha rivelato che al momento dell’ acquisto egli stesso versò su mandato di Anemone 80 assegni circolari della Deutsche Bank. Nei giorni scorsi sono stati ascoltati alcuni testimoni chiave dell’inchiesta, tra cui le sorelle Barbara e Beatrice Papa, che vendettero al parlamentare PDL l’immobile, il notaio Gianluca Napoleone, che sancì il passaggio di proprietà e Luca Trentini, il direttore della filiale della Deutsche Bank, dalla quale furono emessi gli assegni circolari necessari all’affare. Nel frattempo Scajola, il cui interrogatorio era previsto per il 21 settembre, ha già fatto sapere, tramite il suo difensore Giorgio Perroni, che non si presenterà davanti ai Pm romani.

“lady Asl” protagonista qualche anno fa dello scandalo della sanità pugliese. Il lavoro dei Pm napoletani si fonda proprio sulla gran quantità di intercettazioni telefoniche e ambientali a carico di Tarantini e dei suoi interlocutori fra cui spicca Lavitola che usava schede telefoniche panamensi e forniva “telefoni sicuri” anche allo stesso Berlusconi proprio per eludere la registrazione delle telefonate da parte degli inquirenti.

Il prezzo dell’omertà 850 mila euro è il prezzo “finora accertato” dell’ “estorsione” ai danni del premier che, scrive il Gip nell’ordinanza, è stato indotto a pagare per mettersi al riparo dai: “rischi connessi al clamore mediatico della vicenda (il giro di escort e droga ndr) resi più avvertiti in considerazione del previsto deposito di una serie di conversazioni intercettate in quel procedimento, dai contenuti scabrosi e quindi ritenuti gravemente pregiudizievoli per l’immagine pubblica dello stesso Berlusconi, presidente del Consiglio dei ministri”. Rischi derivanti da un possibile cambio di strategia processuale da parte di Tarantini, indagato a Bari per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di “una molteplicità di giovani donne”, tra cui Patrizia D’Addario, “le cui rispettive prestazioni sessuali erano state procurate a Berlusconi”. Infatti Tarantini davanti ai magistrati di Bari ha “sempre escluso ogni consapevolezza del Berlusconi in ordine alla natura mercenaria dei rapporti sessuali” con le escort che lui procurava al presidente del Consiglio e “ogni partecipazione economica del Berlusconi ai relativi costi”. Un silenzio pagato a peso d’oro da Berlusconi in quanto, ipotizzano i magistrati napoletani, Tarantini e Lavitola “minacciava-

no” di collaborare con gli inquirenti.

Le telefonate del premier A destare scalpore sono soprattutto le telefonate del presidente del Consiglio, che chiama il direttore dell’Avanti e si sfoga: “Tra qualche mese me ne vado... vado via da questo paese di merda di cui sono nauseato”. Un colloquio, quest’ultimo, che secondo il Gip Amelia Primavera conferma una “speciale vicinanza” tra i due, con Lavitola nel ruolo di “attivo e riservato informatore su vicende giudiziarie che, benché riguardanti terzi, appaiono di specifico e rilevante interesse dello stesso Berlusconi”. In un’altra telefonata datata 24 agosto 2011, secondo quanto riferito dal settimanale “l’Espresso”, il direttore dell’ Avanti mentre si trova a Sofia in Bulgaria per concludere affari per conto di Finmeccanica viene a sapere (grazie allo scoop, a dir poco sospetto, di “Panorama”, il settimanale della Mondadori ndr) dell’nchiesta a suo carico aperta dalla procura di Napoli. Il faccendiere chiama il premier e nel corso della telefonata, gli chiede: “che devo fare? Torno e chiarisco tutto?”. E Berlusconi risponde: “Resta dove sei”. Non solo. Il premier concorda con Lavitola anche la linea difensiva da seguire: ossia, che non esiste nessuna estorsione e che il presidente del Consiglio ha solo: “aiutato una persona e una famiglia con bambini che si trovava e si trova in gravissime difficoltà economiche”.

Berlusconi favorito dallo “scoop” di Panorama La procura napoletana sostiene fra l’altro che lo scoop del settimanale di casa Berlusconi ha favorito gli indagati e anche Berlusconi che in questa vicen-

da “compare formalmente come parte offesa”. Per il procuratore aggiunto Francesco Greco le indagini sono state “fortemente compromesse” proprio “dalla criminosa sottrazione di numerosi e rilevanti contenuti della richiesta di misura cautelare ad opera di ignoti a cui ha fatto seguito la pubblicazione degli stessi su alcuni giornali nazionali”. Secondo il procuratore capo, Giovandomenico Lepore, pubblicare notizie del genere “è come avvisare l’indagato del suo arresto. Vogliamo andare fino in fondo perché è un fatto gravissimo e non è la prima volta che accade”. I Pm hanno aperto un fascicolo di indagine sulla fuga di notizie, in cui viene ipotizzato il favoreggiamento. Tutto ciò ha permesso a Lavitola di evitare il carcere; mentre Tarantini e sua moglie hanno avuto il tempo di concordare una linea difensiva, tanto da stilare una memoria poi consegnata in carcere al giudice.

Il passaggio di denaro A concordare con Lavitola la consegna di consistenti somme di denaro in contanti è stata Marinella Brambilla, “da molti anni responsabile della segreteria personale di Silvio Berlusconi”, tramite Rafael Chavez, collaboratore peruviano del giornalista. Denaro che Lavitola ha girato in parte al cugino e a Sansivieri, che lo “reimpiegavano nelle comuni attività economiche e imprenditoriali”, in parte a Tarantini e alla moglie ai quali secondo gli inquirenti è stato corrisposto in definitiva un appannaggio di 20mila euro al mese: “14mila euro mensili oltre all’affitto della casa a Roma e le spese ‘legali’ e straordinarie”. Secondo i magistrati, comunque, una cosa è certa. E cioé che “le ragioni giustificative delle somministrazioni di denaro da parte di Berlusconi a Tarantini,

attraverso Lavitola (...) risiedono tutte nella vicenda processuale radicata a Bari dove Tarantini è indagato e Berlusconi è comunque coinvolto anche se solo mediaticamente”. E l’intento “ricattatorio” è dimostrato ancora una volta da intercettazioni nelle quali in particolare Lavitola si prefigge di mettere “con le spalle al muro” o “in ginocchio” Berlusconi, di “andargli addosso”, di “tenerlo sulla corda” e “sotto pressione”. Davanti ai giudici Tarantini ha detto che: a partire dall’estate 2010, dopo la revoca degli arresti domiciliari a suo carico per il caso escort, il premier si è fatto carico di tutte le nostre esigenze familiari. “Avevamo bisogno effettivamente di tanto denaro perché abbiamo un alto tenore di vita”, ha confermato sua moglie Nicla. Per almeno tre volte hanno incontrato il premier per ottenere denaro. Ricorda Tarantini: “Il primo incontro con il presidente avviene, tramite Lavitola, nel novembre 2010 a Palazzo Grazioli, ci va mia moglie. La seconda volta nel marzo 2011; dopo numerose insistenze, Lavitola ci accompagna a Villa San Martino, ad Arcore. Ero emozionatissimo, tra l’altro, perché non vedevo il presidente da due anni. E l’ultimo incontro è recente, agosto 2011, a Palazzo Grazioli”. Su tutto ciò la Procura di Napoli ha invano cercato di ascoltare Berlusconi come testimone e parte lesa. Il neoduce e il suo tirapiedi Ghedini si sono limitati a consegnare una ridicola memoria difensiva in cui si legge che le dazioni di denaro di Berlusconi a Tarantini tramite Lavitola non erano per pagare le escort ma per “aiutare Giampy e la sua famiglia in un momento di difficoltà economica”. Il termine fissato dai magistrati napoletani per la presentazione spontanea di Berlusconi è scaduto domenica 18 settembre e ora secondo la legge dovrebbe essere formulata la richiesta di un “accompagnamento coatto” del neoduce davanti ai Pm.

Marchionne annuncia la chiusura dello stabilimento di Grottaminarda (Avellino)

GLI OPERAI SI BARRICANO NELLA IRISBUS PER IMPEDIRNE LA CHIUSURA “Qualcuno pensava che saremmo crollati dopo poco, ed invece stiamo resistendo alla grande pur di difendere il nostro posto di lavoro. Questa classe operaia sta facendo scuola: stiamo insegnando a tutti cosa vuol dire oggi fare il lavoratore metalmeccanico all’interno di una fabbrica che si chiama Fiat”. Queste le parole di Dario Meninno del consiglio di fabbrica della Irisbus di Grottaminarda (Avellino) del gruppo Fiat, lanciate dal palco della manifestazione del 6 settembre scorso durante lo sciopero nazionale della Cgil, per denunciare pubblicamente la dura lotta che stanno portando avanti oramai da mesi in difesa del posto di lavoro contro il diktat del nuovo Valletta della Fiat, Marchionne. E così è stato: non hanno mollato dopo il fallimento della trattativa con governo, sindacati e Fiat rispondendo subito con l’assemblea permanente. Hanno impedito colpi di mano dell’azienda proclamando nell’assemblea del 13 settembre, l’occupazione della fabbrica. Ed ancora resistono nonostante gli oramai 80

e più giorni di lotta e il fallimento della vendita al molisano Massimo Di Risio, padrone della DR Automobiles Groupe, produttrice di suv che si avvale di mano d’opera esterna (leggi cinesi), e quindi con nessuna garanzia di mantenere i settecento lavoratori e la certezza di azzerare i posti di lavoro dell’indotto. Dopo tutto questo è arrivata la doccia fredda dell’autoritario e arrogante super manager Marchionne. Il 14 dal Salone di Francoforte, dopo aver ringraziato il governo per l’articolo 8 della manovra, ha comunicato che verranno avviate le procedure di dismissione della fabbrica, l’unica in Italia che produce autobus: 700 lavoratori diretti più 712 dell’indotto avellinese andranno tutti a casa. L’Irisbus-Iveco di Flumeri, gruppo Fiat Industrial, è uno dei quattro impianti siglati Irisbus per produrre pullman; Marchionne, dopo aver chiuso quello spagnolo di Barcellona, ora vuole chiudere quello in Campania, l’unico in Italia, preferendogli lo stabilimento francese e quello della Repubblica Ceca. La procedura è

sempre la stessa: delocalizzare, per meglio supersfruttare, licenziare, dismettere per salvaguardare i suoi superprofitti. Modello Termini Imerese. In 350 circa sono rimasti a dormire in sala mensa gli altri sostenuti da familiari e dalla popolazione hanno organizzato dall’esterno il sostegno e l’approvvigionamento alimentare. Dietro, una valle intera, quella dell’Ufita, che non vuole perdere uno dei pochi presidi produttivi rimasti in Irpinia. “Lunedì sera (il 12 settembre) - spiega il segretario provinciale della Fiom, Sergio Scarpa - si è radunata una folla spontanea di operai che hanno bloccato i cancelli. Se il Lingotto pensa di portare fuori i 21 pullman completi che ci sono all’interno sappia che può succedere di tutto. Basta una scintilla per innescare l’esplosione. È inutile inviare, come l’altra sera, polizia, carabinieri, vigili e pompieri perché non ce ne andremo”. I lavoratori chiedono un incontro con la Presidenza del consiglio entro il 21 altrimenti pianteranno le tende a Roma: “Vogliamo dal-

l’esecutivo i finanziamenti per il rinnovo dei fatiscenti mezzi pubblici italiani - conclude Scarpa - così vediamo se Fiat lascia”. E già, è la manovra economica da macelleria sociale del governo del nuovo Mussolini che ha dato “una mano” alle decisioni di Marchionne tagliando ben 1,5 miliardi ai finanziamenti agli enti locali per servizi come il trasporto pubblico. Ma quando i comuni metteranno a bando l’acquisto di nuovi autobus di linea, probabilmente il Lingotto porterà a casa le commesse facendo produrre i mezzi alle fabbriche Irisbus in Francia o in Repubblica Ceca. Non si può che sostenere la lotta degli operai dell’Irisbus e dell’indotto nei loro propositi di lotta: “Se Fiat dovesse decidere di andarsene, lo farà da sola. Prenderemo noi le redini dello stabilimento e lo lasceremo solo nel momento in cui verrà trovata una soluzione. È in gioco la nostra sopravvivenza e siamo disposti a tutto pur di continuare a costruire autobus con o senza Fiat”.


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N. 34 - 29 settembre 2011

IL RISULTATO DELL’INCHIESTA

“la P3 era un’associazione segreta” Dell’Utri, Verdini e Cosentino saranno processati per associazione a delinquere e corruzione L’8 agosto il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli hanno notificato gli avvisi di conclusione indagine inerenti l’inchiesta sulla cosiddetta P3 che vede in tutto venti indagati. In particolare rischiano il processo per il reato di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi che vieta la costituzione di società segrete, l’ex coordinatore nazionale del PDL, Denis Verdini e il senatore Marcello Dell’Utri che, secondo l’accusa, hanno “costituito, organizzato e diretto” un’associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata “di delitti di corruzione, abuso d’ufficio, illecito finanziamento, diffamazione e violenza privata”. Non solo. A carico di Verdini e Dell’Utri si concretizza anche un secondo capo d’accusa per corruzione in relazione ad alcuni episodi messi in atto da Carboni “in accordo con Verdini e Dell’Utri”, per favorire il business dell’eolico nella regione Sardegna. Dell’Utri e Verdini sono accusati di tre episodi corruttivi: il primo prende in esame la corruzione nei confronti di Pinello Cossu, anch’egli indagato, quale presidente del Consorzio Territorio e Ambiente (Tea). Cossu “accettava la promessa di utilità (consistente in un futuro rapporto di impiego o comunque di cointeresse nelle società gestite da Carboni) e riceveva la somma di 5.000 euro” proveniente dall’imprenditore romagnolo Alessandro Fornari. In particolare Cossu, sempre secondo l’accusa, dà come contraccambio informazioni, cura per conto della organizzazione dell’acquisto di terreni. In un secondo episodio Flavio Carboni promette del denaro al dirigente Area ambiente del Comune di Porto Torres, Marcello Garau, anche lui indagato, “per favorire la concessione di finanziamenti pubblici destinati alla bonifica di un’area in località Calancoi, nel comune di Porto Torres, e di proprietà di una società partecipata dallo stesso Carboni”. L’ultimo episodio di corruzione contestato ai due parlamentari è legato alla nomina come direttore generale dell’Arpa Sardegna

di Ignazio Farris, che avrebbe accettato la promessa di denaro e altre utilità, “che Carboni gli aveva fatto in accordo con Verdini e Dell’Utri”, quale contropartita e in vista di “atti contrari ai doveri d’ufficio”. Atti consistenti “nell’adozione di attestazioni circa la caratterizzazione delle aree da bonificare, potenzialmente destinate a ospitare impianti di energia rinnovabile; nell’emissione di pareri attribuiti alla competenza dell’Arpa Sardegna nell’ambito delle procedure di autorizzazione per la realizzazione degli impianti eolici; in informazioni e interventi diretti a favorire l’adozione di un regolamento regionale del settore eolico favorevole agli interessi di Carboni”. Tra gli indagati eccellenti spicca anche il presidente della regione Sardegna, Ugo Cappellacci, a cui si contesta il reato di abuso d’ufficio in riferimento alla nomina di Ignazio Farris a direttore generale per l’agenzia Arpa della Sardegna. All’ex sottosegretario all’economia, Nicola Cosentino, si contesta il tentativo di screditare la reputazione del candidato alla regione Campania, Stefano Caldoro, diffondendo notizie false e diffamatorie per far ritirare la sua candidatura; Cosentino, avrebbe agito assieme a Carboni, ad Arcangelo Martino, ex assessore comunale di Napoli, e all’ex giudice tributarista Pasquale Lombardi, attraverso la diffusione “a mezzo internet di false notizie di contenuto diffamatorio” nei confronti di Caldoro. “In particolare - si legge nella ricostruzione agli atti - facevano pubblicare un articolo su un blog che riferiva della frequentazione di transessuali da parte dell’attuale presidente della Regione Campania”. Un sodalizio “volto a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”, oltreché di “apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali”. Un sistema criminoso che si reggeva su tre personaggi chiave: il “faccendiere” piduista Flavio Carboni (già coinvolto nell’inchiesta sulla P2 di Gelli e l’omicidio del banchiere Roberto Calvi); il giudice tributarista, ex

DC dell’allevamento di De Mita ed ex sindaco di Cervinara, Pasquale Lombardi e l’imprenditore napoletano Arcangelo Martino, tutti e tre arrestati l’8 luglio del 2010.

I cinque filoni d’inchiesta L’affare dell’eolico in Sardegna: sono coinvolti direttamente Verdini e Cappellacci e potrebbe riservare ancora molte e inquietanti novità investigative in quanto la vicenda delle energie rinnovabili in Sardegna è un esempio, secondo la Procura, di come l’associazione segreta agisse in diversi settori grazie alle proprie ramificate conoscenze, intervenendo “su

rappresentanti e dirigenti di enti locali” per ottenere la nomina in cariche amministrative di vertice “di persone gradite al sodalizio” in grado di favorire il rilascio delle concessioni “a imprese da loro gestite”. La vicenda del contenzioso fiscale della Mondadori (in cui è coinvolto anche il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo) e per il quale la P3 si diede parecchio da fare per prendere tempo, tentando di evitare che la causa con l’Erario della casa editrice della famiglia del presidente del Consiglio finisse davanti a magistrati “troppo rigidi”. Obiettivo riuscito, in quanto secondo la procura di Roma, grazie alla P3 Berlusconi ottenne il rinvio alle

Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Le pressioni esercitate su moltissimi magistrati per cercare di sapere con anticipo come la Corte Costituzionale avrebbe deciso sul Lodo Alfano. La P3 si è adoperata per influenzare la decisione della Corte Costituzionale che doveva giudicare la legittimità del cosiddetto Lodo Alfano. “Intervenivano ripetutamente - si legge nell’atto di chiusura indagine - sul vicepresidente e sui componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (vicepresidente all’epoca dei fatti era Nicola Mancino) per indirizzare la scelta di candidati a incarichi direttivi (presidente della Corte d’appello di Milano e di Salerno, procuratore della Re-

pubblica di Isernia e di Nocera Inferiore)”. Il falso dossieraggio per cercare di screditare, attraverso false notizie su presunte frequentazioni sessuali di quello che oggi è il governatore della Campania, la sua candidatura e infine la questione inerente l’esclusione della lista Formigoni dalle amministrative. Insomma, un’attività criminale a 360 gradi che fra l’altro ha diversi legami con l’analoga inchiesta sulla P4 portata avanti dalla procura di Napoli fra cui l’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro per un pranzo a casa dell’avvocato Luigi Fischetti con il ministro Giulio Tremonti e il suo braccio destro Marco Milanese.

NELLE MANI DELLA P3 IL NERO BUSINESS DELLE MEGADISCARICHE Carboni: “La mia discarica piena di veleni è il più grande scandalo d’Italia” “La mia discarica piena di veleni è il più grande scandalo d’Italia. Lì c’è di tutto, anche la diossina”. A parlare è il faccendiere Flavio Carboni, amico di vecchia data di Gelli e Berlusconi, fin dai tempi dello scandalo P2-Ior-Banco Ambrosiano che portò alla morte dei banchieri in camicia nera Sindona e Calvi, intercettato nell’inchiesta sulla loggia P3, mentre parla al telefono col direttore generale dell’agenzia sarda per l’ambiente, Ignazio Farris. Il sito in questione è quello di Calancoi, alle porte di Sassari, una mega-discarica piena zeppa di metalli pesanti, amianto, residui di cantiere, rottami, pneumatici. In quindici anni in questa vecchia cava di tufo (terreno calcareo e quindi permeabile), su quella che una volta era una verde collina, si sono formati puteolanti torrentelli carsici che potrebbero aver già infiltrato la falda

acquifera. Secondo i Pm, Carboni la acquistò con l’obiettivo di ricoprire i siti contaminati, una volta stracolmi di veleni, con delle pale eoliche. Il piano prevedeva, attraverso una ragnatela istituzionale di sodali massoni, la depredazione dei fondi pubblici messi a disposizione per la bonifica, mai cominciata, dalla Regione Sardegna e dai Comuni di Sassari e Porto Torres, nonché gli incentivi per gli imprenditori dell’energia “pulita”. Lo rivelano quindici delle 66 mila pagine dell’inchiesta sulla P3. L’inchiesta rivela anche che il gruppo si preparava a mettere le mani su un secondo “sito di interesse nazionale”: il SulcisIglesiente-Guspinese e che attraverso la società “Fonte eolica spa” sta provando a planare anche su terreni di San Giovanni Suergiu, Gonnesa, Carbonia, Sarrabus. Chi sono gli altri politici e imprenditori in odore di P3 in-

teressati al grande affare? C’è Alessandro Alberani, del gruppo dei forlivesi, in contatto con Giuseppe Cipriani, il ristoratore veneziano titolare della catena di locali di New York, già indagato per crimini finanziari. Antonella Pau, amica storica, prestanome e nipote dell’uomo di Carboni nel Sulcis, Pinello Cossu, si lamenta del dietrofront di Alberani via sms con un´amica: “Dopo che gli abbiamo sistemato la moglie questa è la ricompensa”. La moglie di Alberani, Serena Salvigni, era stata infatti inserita nel coordinamento provinciale del PdL di Forlì-Cesena. L´uscita di scena del primo imprenditore avrebbe costretto secondo gli inquirenti la P3 a cercare nuovo denaro. Al telefono a Carboni sfugge un altro dettaglio importante: “L´invito a trovare altri finanziatori mi è arrivato da Roma. Stiamo preparando una grande offensiva”. Entrano in scena quindi Fabio Porcellini e Alessandro

Fornari, sempre di Forlì, accusati dai Pm di finanziamento illecito: “per aver versato 6 milioni a Flavio Carboni, al coordinatore del PdL Denis Verdini, al senatore Marcello Dell´Utri e al deputato Massimo Parisi”. Dai capi d’accusa notificati dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli, emerge il coinvolgimento dell’ex direttore dell’agenzia Unicredit di Iglesias. Stefano Porcu, cagliaritano di 44 anni, avrebbe partecipato alla presunta associazione segreta “promettendo la gestione riservata delle somme di pertinenza del sodalizio”. Ovvero il gruppo di politici e imprenditori che ruotavano nell’universo Carboni. Ugo Cappellacci, eletto presidente della Regione Sardegna nel febbraio 2009 per la banda berlusconiana, è indagato nell’ambito della medesima inchiesta, per abuso d’ufficio.

L’interminabile lista dei corrotti salvatisi con la prescrizione Filippo Penati (PD) non è il primo e certamente non sarà l’ultimo boss politico borghese che, nonostante i “gravi indizi di colpevolezza” e “l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione” da lui “posti in essere”, è riuscito a evitare l’arresto e forse anche il processo grazie al vergognoso istituto della prescrizione imposto con la legge Cirielli del governo Berlusconi. Basti pensare che solo tra Camera e Senato ci sono ben 84 parlamentari indagati tutti accusati di reati gravi e infamanti che vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa alla violazione della legge Anselmi sulle società segrete, ai reati più comuni di concussione, corruzione, abuso d’ufficio, abusivismo edilizio,

truffa. Su tutti spicca “ovviamente” il neoduce Silvio Berlusconi che grazie alla prescrizione si è salvato in ben quattro procedimenti: l’All Iberian 1 per le tangenti al Psi (condanna in primo grado a 2anni e 4 mesi per finanziamento illecito, prescrizione in appello), il processo per l’acquisto dal Torino del calciatore Lentini (prescrizione grazie alla riforma del falso in bilancio), il consolidato Fininvest e il Lodo Mondadori. A queste vanno aggiunte 2 amnistie e 2 assoluzioni per leggi “ad personam”. Nella compagine di governo una bella prescrizione se l’è regalata anche il ministro Roberto Calderoli, assieme al collega di partito Davide Caparini. Il leghi-

sta fu processato per gli incidenti con la polizia durante l’irruzione nella sede di via Bellerio: in primo grado fu condannato a 8 mesi di reclusione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma in appello la pena è poi scesa a 4 mesi e 20 giorni. Sentenza questa poi annullata con rinvio dalla Cassazione e, nel nuovo processo di secondo grado, per Calderoli e gli altri imputati è scattata la prescrizione. Prescrizione anche per il senatore PDL Marcello Dell’Utri, condannato in appello per “appropriazione indebita” nell’ambito della vicenda dei fondi neri di Publitalia. Dell’Utri ricorse in Cassazione alla ricerca di un’assoluzione piena ma la Suprema Corte nel marzo 2010 confermò

la sentenza d’appello dichiarando l’ex braccio destro di Berlusconi “non assolvibile”. La prescrizione ha salvato anche l’ex parlamentare PDL (ed ex militare della Guardia di Finanza) Massimo Maria Berruti, accusato di riciclaggio dei fondi neri del gruppo Mediaset. Fra i prescritti del PDL in parlamento vanno segnalati anche Maurizio Iapicca (rinviato a giudizio per false fatture, falso in bilancio e abuso d’ufficio), Luigi Grillo (era stato indagato per truffa sulla Tav Milano-Genova), Domenico Nania (condannato in primo grado per abusivismo edilizio, prescritto in appello), Carlo Vizzini (condannato in primogrado per lo scandalo delle tangenti Enimont, prescritto in

appello), Antonio Paravia (condannato in primo grado per corruzione, prescritto in appello) e Giuseppe Firrarello (condannato in primo grado a due anni e sei mesi per turbativa d’asta, prescritto in appello). Poi c’è Carmelo Briguglio (Fli) fu prescritto per abuso d’ufficio (assolto, nello stesso procedimento, per truffa e falso). Anche fra la cosiddetta “opposizione” parlamentare i casi di prescrizione si contano a iosa. Su tutti spicca Massimo D’Alema fu prescritto nel ’95 dall’accusa di aver preso una tangente dal “re delle cliniche pugliesi” Francesco Cavallari. La corruzione aggravata contestata a Lorenzo Cesa (Udc) gli viene prescritta nel 2005 anche

grazie alle leggi di Berlusconi. Pierluigi Castagnetti (Pd), accusato per una tangente del ’91-’92 (all’epoca era nella segreteria di Martinazzoli) fu prescritto nel 2003. Giovanni Lolli (Pd) vide prescritta l’accusa di favoreggiamento durante l’inchiesta sulla “Missione Arcobaleno”. Infine, fra casi più eclatanti, va sicuramente ricordata la vicenda del senatore a vita e storico leader della DC Giulio Andreotti con accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: reato prescritto in appello ma “concretamente ravvisabile” fino al 1980 scrissero i giudici nelle motivazioni poi confermate dalla Corte di Cassazione.


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N. 34 - 29 settembre 2011

Approvato il ddl 2657 dal Senato

IL GOVERNO SPINGE A TAPPE FORZATE VERSO “IL PROCESSO LUNGO”

Tutti i processi contro Berlusconi e i corrotti boss borghesi finirebbero in prescrizione A tappe forzate il governo Berlusconi ha fatto approvare il 29 luglio scorso al Senato il disegno di legge n. 2657 in tema di “modifiche agli articoli 190, 238-bis, 438, 442 e 495 del codice di procedura penale e all’articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354” detto anche ‘processo lungo’, il cui testo quindi è passato alla Camera per l’approvazione: come a suo tempo il disegno di legge n. 1880-B approvato dalla Camera il 13 aprile scorso ed ora passato in Senato in tema di ‘prescrizione breve’, il testo che vuole introdurre il ‘processo lungo’ è un vero imbroglio e una vera e propria beffa ai danni dei cittadini che desiderano giustizia. Il testo del DDL n. 2657 è diviso in nove articoli di cui quelli più rilevanti sono gli artt. 2 e 4. L’art. 2 modifica l’art. 190 del codice di procedura penale con la sostituzione dei primi due commi con i seguenti: “1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. L’imputato, a mezzo del difensore, ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo cari-

co, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Le altre parti hanno le medesime facoltà in quanto applicabili. 2. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza. A pena di nullità ammette le prove ad eccezione di quelle vietate dalla legge e di quelle manifestamente non pertinenti. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio”. Attualmente il codice di procedura penale stabilisce al comma 1 dell’art. 190 che il giudice può escludere le prove “che manifestamente sono superflue o irrilevanti”: la modifica è evidente, e consente ai difensori degli imputati di allungare il processo a tal punto da portarlo a prescrizione. Infatti secondo la normativa attuale il giudice può escludere di ammettere venti o trenta testimoni che abbiano visto o sentito lo stesso identico fatto, invitando il difensore dell’imputato a sceglierne al massimo due o tre (infatti venti o trenta testimoni sono assolutamente super-

flui, e tali da intralciare con la loro audizione la macchina della giustizia, in quanto normalmente in una udienza singola viene sentito un numero limitato di testi), ma con la sostituzione dell’attuale primo comma con quello del disegno di legge in esame il giudice non avrà più tale potere, e dovrà ammetterne venti o trenta senza poter esercitare alcun controllo, escludendo solo le prove vietate dalla legge o quelle chiaramente non pertinenti, come ad esempio testimoni che non erano presenti al momento della commissione del reato e che siano chiamati a deporre su fatti estranei al processo. Ma non finisce qui: infatti il difensore dell’imputato – se il testo così formulato diventerà legge - potrà chiedere nel processo “l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore”, cioè potrà chiedere tante perizie quante ne vuole o depositare tanti documenti quanti ne vuole depositare senza che il giudice possa rifiutarsi, ingolfando potenzialmente il processo in modo tale da farlo andare direttamente in prescrizione. Se

poi combiniamo le disposizioni dei due disegni di legge citati ne conseguirà che l’imputato potrà allungare oltre ogni ragionevolezza i tempi del processo – come prevede il progetto qui in esame - avvantaggiandosi contemporaneamente dell’abbreviazione della prescrizione ed esponendo contemporaneamente i magistrati che non rispettano i tempi rigorosi previsti nel disegno di legge n. 1880-B a responsabilità disciplinare dinanzi al CSM e garantendosi certamente il risarcimento dei danni che potrà chiedere allo stato a norma della legge n. 89 del 2001. È ovvio che tali mostruosi progetti servono immediatamente a Berlusconi per prescrivere più in fretta il processo Mills e contemporaneamente mandare alle calende greche il processo Ruby e gli altri procedimenti a suo carico, ma di riflesso anche i membri della combriccola politica parlamentare sia di ‘centro-destra’ sia di ‘centro-sinistra’ che hanno indagini a loro carico o processi in corso sguazzeranno pienamente in questo mare di norme antigiuridiche,

che risultano uno sfregio anche per l’assetto costituzionale borghese. Non meno perversa poi è la norma introdotta dall’art. 4 del disegno che, modificando l’art. 238 bis del codice di procedura penale che stabilisce ora che le sentenze irrevocabili possono essere acquisite in qualità di documenti in un altro processo come prova dei fatti in esse accertati, rende possibile al difensore dell’imputato di chiedere di nuovo (ed ottenere) al giudice l’audizione di quei testimoni ed il rifacimento di tutte quelle prove esperite nel processo per cui è stata emessa la sentenza irrevocabile, allungando ulteriormente i processi, ingolfando le sedi giudiziarie, esponendo decine di migliaia di processi, soprattutto quelli più complessi, a una sicura prescrizione. Queste norme, nate ovviamente per le esigenze di Berlusconi e della sua combriccola di deputati e affaristi, rischiano, se diverranno legge, di travolgere con la prescrizione soprattutto i processi più complessi. Si pensi al travagliato processo Eternit che riguarda migliaia di operai morti nella zona di

Casale Monferrato, le cui famiglie proletarie attendono con dignità giustizia e che rischiano invece di avere la prescrizione dei loro diritti, risarcimenti compresi. Il capitalismo è un sistema criminale che difende padroni che hanno ammazzato in fabbrica, palazzinari che hanno costruito con la sabbia e ucciso nel terremoto, smaltitori di rifiuti che stanno inquinando e intossicando intere regioni. Come si può esimersi dal denunciare un tale scempio delinquenziale di norme? Noi marxisti-leninisti, sappiamo bene che “nella società divisa in classi, ogni individuo vive come membro di una determinata classe e ogni pensiero, senza eccezione, porta un’impronta di classe” (Mao Zedong, Sulla pratica, in Opere scelte, vol. 1). E quale criminale impronta e quale marchio infame e contrassegno di classe porti il disegno di legge n. 2657 lo sappiamo fin troppo bene: l’impronta, il marchio ed il contrassegno di un regime neofascista putrido e da abbattere.

SEMPRE PIÙ SCANDALOSO IL “CONFLITTO DI INTERESSI” Per assegnare le sei nuove super-frequenze digitali, i multiplex, in grado di trasportare fino a sei segnali televisivi cadauno, generati dalla digitalizzazione dell’etere, il governo e l’Agcom, al posto di una normale asta competitiva, hanno organizzato, per il 20 settembre, una beauty contest, un concorso di bellezza. Ciò significa tre cose: 1) che il diritto di trasmettere per i prossimi 20 anni verrà assegnato, senza gara e senza sborsare un euro nelle casse dello Stato, 2) che a vincere la gara fasulla saranno i soliti colossi dell’etere, quelli cioè in grado di assicurarsi: “i punteggi più alti per requisiti tecnici e commerciali”. 3) che Mediaset andrà a rafforzare il suo monopolio di fatto delle frequenze disponibili, nell’ambito dello smisurato impero mediatico di proprietà del premier. Un altro scippo insomma nei confronti delle televisioni locali da parte dell’asse di ferro governo-holding di proprietà del Presidente del Consiglio. A realizzarlo,

Niente asta delle frequenze Tv per favorire Berlusconi i ministri Tremonti e Romani, che hanno congegnato il meccanismo normativo in modo da obbligare le emittenti private locali a cedere le proprie frequenze per fare spazio ai big. Possono usufruire di un risarcimento, oppure spostarsi sui multiplex di emittenti più grandi e di livello nazionale (Mediaset e Rai per l’appunto), con la certezza di perdere l’autonomia di operatore nei confronti del governo. È uno dei ricatti previsti nel Decreto Omnibus, a cui si aggiungono le intimidazioni contenute nella manovra economica, che nega il diritto all’indennizzo promesso (circa 240 milioni di euro da suddividere tra tutti i richiedente) “per le tv locali che libereran-

no le frequenze dopo il giugno del 2012”. Secondo le associazioni di settore tutto ciò si tradurrà nell’esproprio di circa 200 emittenti locali di proprietà di editori emergenti per un valore commerciale di oltre 300 milioni di euro. Visto che i proprietari delle emittenti locali rivendicano almeno il diritto al 20% dei ricavi totali per l’espropriazione delle risorse frequenziali”, ad evitare una caterva di ricorsi ci avrebbe pensato proprio la norma che blocca la possibilità di ricorrere al Tar. “E se le Tv locali non saranno acquiescenti con il governo– ha spiegato Vinicio Peluffo (Pd), membro della commissione di vigilanza

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Rai - oltre alla privazione del risarcimento, la polizia interverrà a blindare gli impianti, con l’avvio di procedimenti penali con reclusione fino a tre anni e addebito di danni e interessi”. Insomma continua l’uso personale e mafioso del denaro pubblico, del Parlamento e degli apparati dello Stato, da parte del neoduce Berlusconi. Sembra addirittura che il Mussolini di Palazzo Chigi, prima ancora dell’espletamento del concorso suddetto, abbia dato mandato a Mediaset di occupare gli spazi sul canale frequenza 58 del digitale terrestre.

Strategia piduista e monopolio dell’informazione Tutto ciò dimostra quanto andiamo ripetendo da decenni, ossia che “la regolamentazione capitalistica delle frequenze televisive è da sempre un far west che ha visto il cavaliere piduista usare mille sporchi stratagemmi in difesa delle sue tv, con le buone o con le cattive. A partire dalla legge Mammì del 1990 e poi quella Maccanico (di “centro-sinistra”, approvata anche col voto del PRC) del 1997, e giù giù fino alla porcata della legge Gasparri (2004), che tra l’altro assicura a chi già trasmette in analogico l’esclusiva sul digitale, tagliando fuori tutti gli altri, e traslando di fatto il monopolio dell’analogico sul digitale. Dimostra che in nome della “li-

bertà di antenna”, l’armata Berlusconi si è fatta strada col bastone e la carota, e a suon di corruzione, prima, per spezzare il monopolio della televisione pubblica, poi, una volta al governo, per militarizzarla ed epurarla, infine per spazzare via le ultime Tv locali private non allineate alla sua galassia e al suo governo. Dimostra che di golpe in golpe, il nuovo Mussolini, punta a ottenere il monopolio assoluto dell’informazione, e a completare, anche in questo fondamentale settore, il “piano di rinascita democratica” e lo “schema R” della P2 di Gelli, stracciando l’art. 21 della Costituzione e infliggendo un altro colpo mortale allo Stato di diritto.

L’opposizione ridotta a comparsa Ma non ci sarebbe mai riuscito se per rafforzare il suo impero mediatico anticomunista e fascista, non fosse stato spalleggiato da una “sinistra” borghese imbelle e complice. Che se n’è infischiata delle due sentenze della Corte costituzionale che imponevano a Mediaset di scendere da tre reti a due, nonché della sentenza della Corte di giustizia europea del 31 gennaio 2008 che ha dichiarato illegittime le leggi italiane in materia e che ha contrabbandato per “mirabolante” l’era digitale come garanzia di accesso alle trasmissioni per altri operatori privati. Una scempiaggine demenziale quella del “pluralismo del digitale” che Berlusconi ha utilizzato

per beffare l’ordinanza della Consulta, che stabiliva al 31 dicembre 2003, il termine ultimo per il passaggio sul satellite di rete 4, che di fatto continua a trasmettere senza concessione, nel silenzio di Bersani, Napolitano e compari. In barba alle norme che stabiliscono che un terzo delle frequenze digitali debbano essere destinate alle televisioni locali e a chi è stato costretto a liberare la banda destinata all’accesso a Internet, Berlusconi sta spingendo la residua concorrenza televisiva nel fondo più buio della galassia digitale, più o meno alle cifre triple del telecomando, per strangolarle con il crollo dei fatturati pubblicitari, fagocitati da Pubblitalia. L’azienda monopolista della raccolta pubblicitaria avrà a disposizione il più vasto bouchet di canali criptabili per avviare l’era della Tv a pagamento e continuare il torbido giro speculativo sulla produzione e l’aggiornamento del software e del firmware dei milioni di decoder. E non sarà difficile realizzare questo piano strategico, visto che l’opposizione è ormai ridotta a comparsa. Non è neanche da escludere l’ipotesi che il digitale terrestre serva da portaerei di lancio per la conquista del satellite, per ricongiungere cioè, “il monopolio della terra con quello del cielo”. Non a caso è da tempo che Berlusconi ha dichiarato una guerra senza quartiere al pescecane Murdoch e a Sky. Una guerra che si gioca anche sul marcio terreno dei mercati cinematografici e calcistici: “Infront, la società incaricata dalla Lega Calcio di raccogliere le proposte sui diritti del digitale terrestre e della Tv satellitare, ci sta consigliando di venderli dal 2012 a un prezzo bassissimo per fare un favore a Mediaset e a Berlusconi” - ha tuonato di recente il produttore cinematografico e padrone del Napoli Calcio- Aurelio De Laurentiis.


10 il bolscevico / PMLI

N. 34 - 29 settembre 2011

APPOGGIAMO, STUDIAMO E APPLICHIAMO IL DISCORSO DI SCUDERI SUGLI INSEGNAMENTI DI MAO SUL PARTITO Lo splendido, lungimirante e memorabile discorso pronunciato l’11 settembre 2011 dal compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, in occasione del 35° Anniversario della scomparsa di Mao, è una brillante sintesi del carattere, dell’ideologia, del modo di vita e di operare e della strategia del Partito rivoluzionario del proletariato in Italia. Chiunque abbia a cuore la causa del socialismo deve confrontarsi con esso, appoggiarlo, studiarlo e applicarlo nelle propria realtà. In primo luogo i militanti e i simpatizzanti del PMLI. Esso costituisce uno degli strumenti più potenti a nostra disposizione, insieme alla linea politica del 5° Congresso nazionale, per raggiungere il nostro principale obbiettivo politico-organizzativo, quello di dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso. Infatti l’analisi del Segretario generale, riprendendo in maniera scientifica, fedele senza essere dogmatica ma viva e concreta, la lezione di Mao sul Partito per calarla nell’attuale stadio di sviluppo del Partito del proletariato in Italia, fornisce a tutti noi indicazioni concrete per accompagnare l’odierna fase di crescita e il processo di radicamento in ogni realtà in cui siamo presenti. “Gli insegnamenti di Mao sul Partito del proletariato, il Partito marxista-leninista, - così afferma il compagno Scuderi a conclusione del capitolo Gli insegnamenti di Mao sul Partito - sono già largamente praticati a tutti i livelli del PMLI, d’ora in poi dobbiamo applicarli con maggior decisione, precisione e consapevolezza, con una coscienza ideologica, politica e organizzativa più alta e più matura”. Un’indicazione che va raccolta con la massima sollecitudine, considerando che il PMLI cresce ve-

locemente e nuovi militanti, spesso giovani o giovanissimi, non ancora conoscono adeguatamente i principi teorici e organizzativi di un Partito autenticamente comunista come il nostro, alzano per la prima volta le insegne del PMLI in nuove città trovandosi alle prese con la sfida di edificare una struttura autenticamente bolscevica. Considerando anche i passi in avanti organizzativi laddove eravamo già presenti, tra cui la nascita di nuove istanze di base, l’apertura delle splendide e rosse sedi di Catania e Fucecchio, il crescente numero di simpatizzanti attivi. È bene che tutti i militanti e i simpatizzanti del Partito studino e riflettano anzitutto a livello individuale sul discorso. Alle riunioni di Cellula o alle riunioni allargate ai simpatizzanti è opportuno curare una relazione incisiva e ricca di argomentazioni del testo di Scuderi con un occhio particolare alle contraddizioni e alle necessità organizzative della propria Istanza. Alcune Istanze del Partito si sono già mobilitate per organizzare tale studio, come la Cellula “Stalin” di Londra che dedicherà un’intera giornata di approfondimento al discorso commemorativo. Al contempo, si deve chiedere ai simpatizzanti e agli amici di inviare a “Il Bolscevico” il loro giudizio sul discorso, come hanno già fatto spontaneamente in diversi tra coloro che lo hanno ascoltato l’11 settembre o lo hanno letto successivamente. Tutti costoro hanno espresso giudizi di alto livello che riflettono la qualità, il forte legame al Partito, la crescita politica dei nostri simpatizzanti. Auspichiamo che grazie allo studio di questo importante documento “un numero sempre più grande di elementi avanzati, combattivi e coscienti, specialmente le

Richiedete il numero 33

operaie e gli operai, le studentesse e gli studenti, le intellettuali e gli intellettuali, capiscano l’importanza e la necessità storica della militanza marxista-leninista e si uniscano a noi senza più indugio sotto le rosse bandiere dei Maestri, del socialismo e del PMLI”. Il discorso di Scuderi, d’altro canto, guarda con un occhio attento al crescente interesse verso il Partito da parte di coloro, soprattutto giovani e giovanissimi, che, sempre più coscienti del fallimento teorico e politico dei partiti neorevisionisti e trotzkisti nati dallo scioglimento del PCI revisionista, sono alla ricerca dell’autentico Partito comunista in Italia, ma rischiano di rimanere intrappolati nelle maglie di organizzazioni sedicenti comuniste che nulla hanno a che vedere con la concezione e la struttura organizzativa del Partito del proletariato, e con la sua tattica e strategia rivoluzionarie. Una trappola del genere potrebbe concretizzarsi entro l’anno, all’ombra della parola d’ordine “Ricostruire il partito comunista” lanciata dal PdCI e dall’area dell’“Ernesto”. Ma già dall’appello che si richiama alla “strategia democratica e progressiva volta al socialismo” di gramsciama memoria, alla “difesa e rilancio integrale della Costituzione” borghese come base del programma politico, si evince che il futuro soggetto politico rimarrà sul piano organizzativo e politico entro gli asfittici confini di un partito riformista borghese e del capitalismo. Il nostro auspicio è che coloro che si professano comunisti e vogliono il socialismo e evitare di ripetere gli errori del passato, hanno il dovere di confrontarsi con la linea politica e organizzativa del PMLI, e, dunque, il dovere di studiare il discorso di Scuderi. A loro chiediamo di aprire un dialogo con il Partito, di esprimere pubblicamente su “Il Bolscevico” qual è il loro giudizio sul discorso “Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul Partito del proletariato”, che è sul sito del PMLI (http://www.pmli.it/scuderimao2011sulpartito.htm). A loro chiediamo di venire nelle nostre sedi o di incontrare i militanti del Partito per avviare un dialogo diretto con il PMLI. Se sono d’accordo con l’analisi e le proposte contenute nel discorso di Scuderi, non dovrebbero indugiare a schierarsi col PMLI, come militanti o simpatiz-

Firenze, 11 settembre 2011. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, risponde ai calorosi applausi dei presenti a conclusione del suo discorso per il 35° Anniversario della scomparsa di Mao

zanti attivi, per concorrere alla costruzione del Gigante Rosso e alla conquista dell’Italia unita, rossa e socialista. Alle rivoluzionarie e ai rivoluzionari che, in buona fede, pensano che il proletariato italiano non abbia ancora un autentico Partito comunista, chiediamo di studiare con attenzione il capitolo “Sulla storia del Partito del proletariato in Italia” e di riflettere su di esso, considerando il passaggio in cui si afferma chiaramente che “ormai il proletariato italiano ha il suo Partito, il PMLI, e quindi i sinceri fautori del socialismo e chiunque voglia veramente cambiare que-

sta società borghese hanno tutte le possibilità per capire da che parte stare e cosa fare, una volta che vengono a conoscenza del Partito”. O col socialismo o col capitalismo: non esiste una “terza via”. Se si vuole semplicemente moderare e addolcire il capitalismo, va bene un qualsiasi partito democratico borghese riformista. Se si vuol fare la rivoluzione, se ci si vuol liberare dal capitalismo non c’è altra via che militare nel PMLI o sostenerlo in qualsiasi modo anche da simpatizzante o amico. Appoggiamo, studiamo e applichiamo il discorso di Scude-

ri sugli insegnamenti di Mao sul Partito! Organizziamo lo studio del discorso tenuto dal compagno Giovanni Scuderi in occasione del 35° anniversario della scomparsa di Mao! Invitiamo i simpatizzanti e gli amici del Partito e i sinceri comunisti a intervenire su “Il Bolscevico” per esprimere il loro pensiero e le loro riflessioni sul discorso di Scuderi! Con Mao per sempre! Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista! Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

Il giudizio di un compagno della seconda linea sul discorso di Scuderi alla commemorazione di Mao

È UNA CARTINA DI TORNASOLE PER CAPIRE SE SIAMO NON SOLO NOMINALMENTE MA DI FATTO CON E DEL PARTITO

Le richieste vanno effettuate a: commissioni@pmli.it indirizzo postale: IL BOLSCEVICO - C.P. 477 - 50100 FIRENZE Tel. e fax 055 2347272

L’apoteosi rossa l’abbiamo toccata certamente col discorso del compagno Scuderi che, da una parte, ha fatto brillare come solo lui sa fare la stella di Mao, dall’altro ha fornito all’intero Partito uno strumento indispensabile per la sua crescita che tutti speriamo prossima e inarrestabile. Sì perché, in particolare il capitolo del discorso di Scuderi “Gli insegna-

menti di Mao sul Partito”, parla dritto a dirigenti e militanti del nostro Partito. Ci ricorda diritti e doveri della nostra militanza e ognuno di noi, qualunque posto di battaglia occupi, prima o seconda linea che sia, lo dovrà studiare e recepire velocemente. Un discorso come questo, dalle caratteristiche congressuali, ci mette allo specchio e permette a

ciascuno di noi anche di fare un bilancio immediato della nostra militanza passata, ma soprattutto odierna e futura. È insomma una cartina di tornasole per capire se siamo non solo nominalmente ma di fatto con e del Partito. Applicare gli insegnamenti di Mao sul Partito del proletariato vuol dire rispondere “presente!” alle esortazioni contenute nel mi-

rabile discorso del Segretario generale, che per profondità, dialettica, forza e sintesi (il capitolo “Sulla storia del Partito del proletariato in Italia” è un vero gioiello) si posiziona, di fatto, tra i suoi più importanti. Viva Mao! Viva il PMLI! Coi Maestri vinceremo! Ernesto


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N. 34 - 29 settembre 2011

Impressioni sulla commemorazione di Mao Continuiamo la pubblicazione di alcune impressioni di simpatizzanti e amici del PMLI che hanno partecipato l’11 settembre alla commemorazione del 35° anniversario della scomparsa di Mao.

Le nuove Cellule faranno diventare il PMLI un Gigante Rosso Cari compagni, una grande commozione e gioia rivoluzionaria è stata quella di aver potuto riabbracciarvi alla commemorazione di Mao, aver ascoltato il grande discorso del compagno Segretario Giovanni Scuderi che ci ha coinvolto emotivamente e indicato la giusta via da percorrere! Aver visto tanti giovani intervenuti sul podio, nuove Cellule che faranno crescere e diventare un Gigante Rosso il nostro amato Partito anche nel corpo! Tutti insieme, ciascuno con le proprie forze, lotteremo per abbattere il nuovo Mussolini che ha macellato l’Italia, il suo reggicoda Vittorio Emanuele III e tutta la loro famigerata cricca. Un fraterno, caloroso e militante abbraccio. Saluti marxisti-leninisti. Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Liliana, Anna, Maria Cuneo

Con Mao e i Maestri per sempre! Partecipare alla Commemorazione del compagno Mao è per me sempre un’esperienza nuova. Anche se sono pochi gli anni in cui ho partecipato a questa iniziativa devo sinceramente affermare che

Firenze, 11 settembre 2011. La commemorazione di Mao nel 35° anniversario della scomparsa. Dal podio il compagno Giovanni Scuderi pronuncia il discorso ufficiale

ogni volta provo una emozione che a parole è difficile spiegare. Voglio provarci. Sull’onda della partecipazione alla manifestazione di Firenze, in occasione dello sciopero generale indetto dalla CGIL il 6 di settembre, sono partito, con il compagno Franco dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello del PMLI, di buona ora per il luogo della Commemorazione, avendo preso l’impegno di aiutare i compagni nell’allestimento della sala. Grande è stato il piacere di essere stato delegato al montaggio del pannello raffigurante il manifesto che proponeva l’iniziativa. Il mio lavoro è stato un piccolo tassello alla riuscita della giornata, ne sono fiero perché so che se ognuno dà il suo contributo, sot-

Davanti al suo busto in Piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia)

OMAGGIO A LENIN

to qualsiasi forma, si può arrivare a realizzare un atto concreto. Per questo dico grazie a tutti coloro che hanno reso possibile il successo di questa giornata. All’inizio dell’evento il colpo d’occhio in sala ha un effetto ai miei occhi molto particolare ed emozionante. La coreografia imponente, le compagne e i compagni disciplinatamente seduti ai loro posti, la presidenza composta e attenta che dà il segno a chi è presente di un PMLI vivo ed organizzato. Ho seguito attentamente l’introduzione della compagna Martenghi e gli interventi dei delegati militanti e simpatizzanti, anche se, onestamente, non vedevo l’ora che prendesse la parola il compagno Segretario generale Giovanni Scuderi. Non avevo ancora avuto l’occasione di ascoltarlo dal vivo in un suo intervento. Ecco l’emozione nuova di cui parlavo prima! Anche se ho assunto il fatto che dobbiamo pensare ed agire in funzione di un’azione collettiva del Partito, mi sento di affermare che il nostro Segretario generale impersona ottimamente il pensiero marxista-leninista. Egli ci fa capire quanto grande e alta debba essere la coscienza con la quale dobbiamo operare per giungere all’instaurazione del socialismo. Il PMLI ci insegna la strada giusta da percorrere.

Felice di aver partecipato alla Commemorazione e “carico” per i prossimi impegni sindacali e di Partito ho concluso la domenica visionando il video prodotto dal PMLI “Con Stalin per sempre” che mi ero procurato il giorno stesso. Ai compagni che non hanno avuto ancora la possibilità di vederlo lo consiglio vivamente. È la storia di uno dei nostri cinque Maestri che, anche lui come Mao, insieme al popolo traccia il solco per l’avvento del socialismo e del comunismo. Un saluto marxista-leninista a coloro che erano presenti e ai compagni giovani e meno giovani con i quali ho avuto il piacere di dialogare alla Commemorazione. W Mao! W i Maestri! W il PMLI! Andrea, operaio marxista-leninista Borgo San Lorenzo (Firenze)

Ho visto i segni della crescita del PMLI, numerica e non solo Domenica 11 settembre ho partecipato alla Commemorazione di Mao e a tal proposito volevo sottolineare alcuni aspetti importanti. Questa commemorazione ha di certo mostrato una crescita spaventosa del PMLI visibile da alcuni fatti essenziali. Penso alle nuove

organizzazioni nate in quest’ultimo anno, come in Scozia (Aberdeen), Sesto S. Giovanni e Binasco, per fare qualche esempio, senza contare l’attenzione sempre maggiore e i consensi che attirano i compagni londinesi. Segni questi di una crescita, numerica e non solo, di militanti che vogliono spendere la propria vita per la causa del socialismo. Da qui si comprende che sempre meno gente crede alle menzogne che la borghesia giorno dopo giorno diffonde sulla grande esperienza storica e sale l’attenzione e l’interesse verso il sistema politico diretto dal proletariato. Tutto questo va a scapito della “sinistra” borghese che di tanto in tanto, per cercare consensi che giustamente ha perso, fa sorgere nuovi partiti e movimenti, con dirigenti e ideali trozkisti che sono quelli di sempre, ossia la conquista del “socialismo” tramite la partecipazione alle elezioni borghesi col fine di ricoprire le cariche istituzionali di un sistema politico costruito sugli interessi esclusivi della borghesia. Col passare del tempo e con gli eventi che si susseguono è ormai sempre più chiaro che tale concetto è utopistico e le illusioni svaniscono. Tuttavia la crescita del PMLI fa aumentare il pericolo di intrusione di agenti della borghesia volti

a infrangere la linea marxista-leninista del Partito per metterlo alla pari con gli altri partiti borghesi. Per scampare questo pericolo, oltre a vigilare e smascherare tali agenti, occorre attenersi allo Statuto del PMLI, rispettare il centralismo democratico e studiare le opere dei Maestri e la linea politica del Partito, sapendola poi applicare in modo adeguato alle varie situazioni di lotta che si presentano. Altro aspetto importante è il superamento dell’individualismo; questa tendenza è pericolosa per vari motivi: - un compagno potrebbe non accettare eventuali critiche giuste mossegli da altri compagni, togliendosi così la possibilità di trasformare se stesso in meglio e di lavorare in modo proficuo nel Partito; - qualcuno, spinto dalla voglia di autoaffermarsi, potrebbe invece cercare di creare correnti differenti all’interno del Partito che lo destabilizzerebbero, vista la difficoltà che a quel punto si creerebbe nel trovare la linea comune da portare avanti. Il Partito deve essere unito e il frazionismo va evitato! I danni del frazionismo sono ben visibili guardando i partiti della “sinistra” borghese che, grazie anche alla loro frammentazione interna, sono sempre più in crisi. La concezione del mondo non è poi da sottovalutare. Il materialismo-dialettico è la concezione del mondo marxistaleninista. Non vanno idealizzati gli eventi ma colti nelle loro contraddizioni, dalle quali ne dipendono i successivi sviluppi. Ad esempio non si deve dire che Berlusconi è un incapace o altre dicerie simili, ma che è il nuovo Mussolini e che sta mettendo la camicia nera all’Italia, realizzando il piano della P2. Così come non si deve sperare in un mondo migliore senza lottare affinché lo sia; solo la lotta porta ai cambiamenti in positivo e alla giustizia sociale. Queste sono le considerazioni che mi porto a casa da questa commemorazione e su cui rifletterò per capire le scelte migliori che dovrò fare per quanto riguarda la mia attività politica col Partito. W MAO! W il PMLI! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Andrea - Limbiate (Milano)

UN GRADITO DONO RICEVUTO DAL PARTITO

L’amore per i Maestri e per il PMLI nel video su Lenin prodotto dalle simpatizzanti di Cuneo 10 settembre 2011. Alcuni compagni biellesi rendono omaggio al monumento di Lenin a Cavriago (Reggio Emilia) (foto Il Bolscevico) Dal corrispondente

dell’Organizzazione di Biella del PMLI

Ogni anno l’Organizzazione di Biella del PMLI, il giorno precedente alla commemorazione di Mao a Firenze, si reca presso Piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia) per deporre un mazzo di garofani rossi ai piedi del busto di bronzo del grande Lenin che si trova al centro dell’omonima piazza.

Così è stato anche quest’anno: i compagni partiti da Biella si sono fermati a Cavriago e hanno deposto un omaggio floreale con allegato un biglietto: “Al grande capo bolscevico Lenin” con la firma dell’Organizzazione biellese. Dopo essersi fatti fotografare davanti al busto di Lenin i compagni sono ripartiti per Firenze per celebrare, il giorno successivo, il 35° anniversario della scomparsa del Grande Timoniere.

Dal profondo del cuore ringraziamo le compagne Maria, Anna e Liliana, simpatizzanti di Cuneo del PMLI, per il bel video dedicato a Lenin che hanno regalato al Partito in occasione della recente Commemorazione di Mao. Nella lettera di accompagnamento le compagne hanno scritto: “Cari compagni, da tempo desideravamo realizzare questo video dedicato al grande Lenin e a voi tutti compagni del nostro amato Partito. Sempre al vostro fianco per abbattere il nuovo Mussolini e marciare sulla via dell’Ottobre! Coi Maestri e il PMLI vinceremo!”. Nel video, intitolato “Arrivederci Lenin” le compagne trasfondono tutto l’amore che le unisce ai Maestri del proletariato internazionale e al PMLI. Nella dedi-

ca che lo apre scrivono: “Ai compagni e alle compagne che hanno lottato e che lottano per una Primavera Rossa”. Le belle immagini di Lenin, nelle piazze, nelle riunioni di studio sono accompagnate dalla colonna sonora dell’“Internazionale”. In un filmato originale del 29 marzo 1919 si ascolta la sua voce mentre esorta l’Esercito rosso a tenere duro nella lotta contro i grandi proprietari fondiari e le potenze imperialiste che avevano aggredito la giovane repubblica dei Soviet nel tentativo di rovesciarla. Nel video le compagne hanno inserito anche delle belle immagini del PMLI.

La copertina del video dedicato a Lenin


12 il bolscevico / PMLI

N. 34 - 29 settembre 2011

Mi interessa il modulo per l’ammissione al PMLI Salve, scrivo per il modulo di ammissione al PMLI. Attendo delucidazioni al riguardo. Pasquale, via e-mail

Apprezzato a Empoli il volantino del PMLI contro la manovra

Il PMLI produce un grosso sforzo per far giungere alle masse la sua voce anticapitalista, antiregime neofascista e per l’Italia unita, rossa e socialista. I militanti e i simpatizzanti attivi del Partito stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare. Il PMLI fa quindi appello ai sinceri fautori del socialismo per aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi finanziari. Nel supremo interesse del proletariato e della causa del socialismo. Più euro riceveremo più volantini potremo diffondere contro il governo del neoduce Berlusconi e il regime capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista e i suoi partiti. Aiutateci anche economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo e il potere del proletariato. Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare. Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviate i contributi al conto corrente postale n. 85842383, specificando la causale, intestato a:

Compagni, ho avuto modo di diffondere ai lavoratori della USL 11 di Empoli il volantino del PMLI contro la manovra di macelleria sociale presentata con l’avallo attivo di Napolitano, nuovo Vittorio Emanuele III. In tanti mi hanno ringraziato per il materiale che distribuivo e una collega mi segnalava le persone che passavano aiutandomi nella diffusione. Fabio - Empoli (Firenze)

Sono del PRC ma stimo le posizioni del PMLI e i suoi militanti Sono da pochi mesi militante di Rifondazione comunista, partito a cui mi sono iscritto quando ho iniziato a frequentare il loro circolo di Camucia (Cortona). Nonostante il vostro partito abbia molte divergenze con il mio, stimo molte delle vostre posizioni e rispetto i vostri militanti perché sono molto attivi sui territori nonostante siano molto meno di noi. Comunque, l’importante per i nostri partiti ora è fare un’opposizione d’acciaio, stare in mezzo al popolo, perché il capitalismo sta per finire e una volta finito, il proletariato moderno saprà su chi contare. E sarà il tempo di costruire un’Italia unita, rossa e socialista. Saluti comunisti. Tommaso provincia di Arezzo

DIFFUSO FRA LE MASSE IL VOLANTINO SUI PRIVILEGI AI PARLAMENTARI Riardo (Caserta)

Dal corrispondente

della Cellula “F. Engels” di Riardo I compagni della Cellula “F. Engels” di Riardo (Caserta) hanno fatto un’interessante diffusione del volantino del PMLI “Ai parlamentari non più del triplo del salario medio operaio. Cancellare tutti i privilegi e i benefici della ‘casta’” fra le masse di Riardo. La popolazione lo ha apprez-

zato molto, in particolare nella denuncia e nella rivendicazione del PMLI, sintetizzata nel suo Programma d’azione: “Gli stipendi del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio, dei ministri, dei parlamentari, dei presidenti, dei sindaci e degli assessori regionali, provinciali e comunali, così come quelli degli alti funzionari dello Stato, non devono superare il triplo del salario medio operaio dell’industria”.

IN PROVINCIA DI FIRENZE

Anche il PMLI al funerale del presidente dell’Anpi di Fucecchio Redazione di Fucecchio

Il 15 settembre è venuto a mancare il presidente della sezione ANPI di Fucecchio: Raimondo Genre, detto “il francesino” perché suo padre era esule in Francia. Era stato in carcere fin da ragazzo per la sua attività di

comunista e di antifascista. Ai funerali erano presenti i rappresentanti di molti partiti. Anche il PMLI ha voluto partecipare al funerale con la propria bandiera in onore al vecchio combattente partigiano che i marxisti-leninisti fucecchiesi conoscevano personalmente.

Vorrei una bandiera del PMLI o dei Maestri Cari compagni del PMLI, sono un giovane quasi 16enne simpatizzante del Partito. Vorrei avere una vostra bandiera o la bandiera dei Maestri. Sono stato militante in Rifondazione comunista ma mi hanno espulso per essere stato in disaccordo con loro. Fatemi sapere. Saluti da compagno. Luca - provincia di Salerno

Vorrei spiegazioni sulla linea del PMLI Compagni buonasera, vorrei un opuscolo che mi spieghi la linea del PMLI. Grazie. Giovanni - Caserta

Indignato da Obama che paragona il terrorismo al comunismo Sono molto indignato dalle parole di Obama in occasione dell’anniversario dell’11 settembre.

Quest’uomo, guerrafondaio e sostenitore di tutto l’apparato repressivo americano, che inganna col suo finto buonismo, così come Kennedy che aggredì Cuba e intensificò l’escalation in Vietnam, ha accomunato il terrorismo al comunismo. Ha affermato che gli USA hanno sconfitto il comunismo così come il terrorismo. Bisognerebbe ricordare gli 11 settembre che gli USA hanno provocato e causano in tutto il mondo con guerre, attentati e destabilizzazioni (la CIA è presente in tutte le trame in Italia e fu causa del colpo di stato che rovesciò in Iran Mossadeq). Accomunare terrorismo e comunismo è una sporca manovra. Fin quando esisteva l’URSS l’America giustificava l’opposizione al comunismo per motivi di sicurezza nazionale identificando comunismo e URSS; ora che l’URSS non c’è più esce fuori che l’odio era contro il comunismo. Arrestano chi brucia la bandiera americana e, invece, chi oltraggia i simboli di altre comunità è impunito. Viva il comunismo! Alfredo - provincia di Napoli

STALIN È GRANDE E ATTUALE Nel mese di agosto è stato studiato il discorso di Stalin alla riunione elettorale della circoscrizione “Stalin” di Mosca pronunciato l’11 dicembre 1937 nel gran teatro. In questo scritto Stalin oltre a dimostrare una grandissima modestia, dà dei consigli ai suoi elettori (come ad esempio quello di utilizzare la legge che consente agli elettori di far decadere il mandato dei deputati nel caso in cui essi deviino dal giusto cammino) di pretendere da essi (i deputati) che siano uomini politici di tipo leninista e non filistei politici. Stalin aggiunge che i filistei politici non sono solo nei paesi capitalisti, ma possono esservene anche nel paese dei Soviet. In questo discorso Stalin sostiene anche la tesi della scomparsa delle classi nel socialismo, tesi che correggerà nel 1952 con l’opera “Problemi economici del socialismo nell’Urss”. Da questo errore Mao trarrà

insegnamento e creerà la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato. Stalin parla anche del rapporto fra deputati ed elettori nei paesi capitalistici, dicendo che durante le elezioni i candidati civettano con gli elettori, promettono loro mari e monti, ma una volta finite le elezioni e i candidati divenuti deputati, essi si sentono completamente indipendenti dagli elettori, possono passare da un capo all’altro, possono impegolarsi in macchinazioni poco pulite, ecc. Questo discorso è l’ennesima dimostrazione della grandezza di Stalin oltre che di estrema attualità. Con Stalin per sempre! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Da un rapporto mensile dell’Organizzazione di Camposampiero (Padova) del PMLI

COMUNICATO DELL’ORGANIZZAZIONE DI RUFINA (FIRENZE) DEL PMLI

Solidarietà coi lavoratori della pelletteria MBM L’Organizzazione di Rufina del Partito marxista-leninista italiano esprime la propria solidarietà ai lavoratori della Pelletteria Emmebiemme che hanno di fatto perduto il proprio posto di lavoro ed agli altri, imprecisati, dell’indotto che risentirà in termini occupazionali della chiusura. Noi siamo al loro fianco e li esortiamo a lottare strenuamente per rivendicare il diritto al lavoro, assieme al pieno recupero degli stipendi non pagati fino ad oggi e ai contributi

non versati, in quanto il lavoro è un diritto inalienabile dell’uomo, assieme alla casa, che consente di vivere una vita economicamente indipendente e dignitosa. Non c’è mercato, non c’è profitto, non c’è altra ragione per la quale un lavoratore possa essere privato della fonte economica di base della sua esistenza. Sicuramente l’improvvisa chiusura della Emmebiemme è un pericoloso campanello d’allarme in quanto essa avviene proprio in un setto-

re, quello delle pelletterie, che le giunte locali, definiscono da sempre come un “fiore all’occhiello” della Valdisieve. Ponendoci quindi al fianco dei lavoratori, siamo pronti a sostenere qualsiasi iniziativa che vorranno promuovere da soli o assieme ai sindacati per contrastare quello che è l’ennesimo attacco ai diritti. In quest’ottica chiediamo l’intervento unitario di tutti gli organismi di tutela del lavoro stesso, a partire dalla CGIL

e dalle Amministrazioni locali, per la conservazione dell’occupazione e affinché si adottino misure future ed efficaci per combattere la deindustrializzazione e la precarizzazione anche in Valdisieve. L’Organizzazione di Rufina del PMLI Rufina, 7 settembre 2011 _______________ Il comunicato è stato pubblicato da Il Galletto

Affissioni per il proselitismo in Emilia-Romagna

PMLI - via Gioberti, 101 50121 FIRENZE Forlì

Ravenna

Bertinoro

Forlimpopoli


cronache locali / il bolscevico 13

N. 34 - 29 settembre 2011

I marxisti-leninisti catanesi intervengono all’assemblea in Piazza Stesicoro in preparazione della manifestazione nazionale del 15 ottobre

A FIRENZE, DOPO CHE AVEVA ATTACCATO LO SCIOPERO GENERALE DELLA CGIL

“SBARAZZARSI DEL MASSACRATORE SOCIALE CON UN NUOVO 25 APRILE”

Contestato Renzi con fischi e Striscioni

Dal corrispondente

Mercoledì 7 settembre il neopodestà piddino di Firenze Matteo Renzi è stato accolto da circa duecento manifestanti che lo aspettavano al Teatro Verdi, dove era atteso come ospite a una delle iniziative dell’incontro nazionale di Emergency, per dare seguito alle contestazioni del giorno precedente, quando tantissimi partecipanti al corteo per lo sciopero generale indetto dalla CGIL, sotto Palazzo Vecchio lo avevano bersagliato perché unico sindaco del “centrosinistra” toscano, si è ufficialmente dissociato dalla CGIL, verso la quale manda siluri un giorno sì e l’altro pure. Anche il PMLI si era fatto sentire al passaggio sotto le

della Cellula “Stalin” della provincia di Catania

Sabato 17 settembre ha avuto luogo in piazza Stesicoro a Catania un’assemblea di piazza “Contro la Crisi” organizzata da: Officina Rebelde Catania, Open Mind Catania, Movimento Studentesco Catanese, Forum Catania Acqua Bene Comune, Arci Catania, Confederazione Cobas-Catania, Rete Antirazzista Catanese, Prc Catania, partendo dal dolente tema della crisi economica internazionale e della catastrofica manovra finanziaria appena varata e delle conseguenze che essa avrà sulle masse popolari. Questa assemblea è stata organizzata per coordinare varie realtà catanesi al fine di costituire un percorso di lotte che sfoci nella manifestazione nazionale del 15 ottobre a Roma. La cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI era presente, con militanti e simpatizzanti. Per l’occasione sono stati distribuiti i volantini: “Studentesse, studenti battetevi in prima fila nelle lotte contro il massacro sociale, per difendere l’istruzione pubblica e per abbattere Berlusconi” e “Per fare uscire il capitalismo dalla crisi un massacro sociale senza precedenti”. L’assemblea ha avuto inizio con l’intervento di un membro dell’Arci che ha sottolineato come la manovra finanziaria appena varata causerà la perdita di migliaia di posti di lavoro, la diminuzione dei servizi pubblici con in testa scuola e sanità e l’aumento delle tasse; i privilegi dei parlamentari, invece, non vengono scalfiti. Sebbene siano stati giustamente smascherati i privilegi degli speculatori e dei banchieri e dei vertici dell’alta finanza con le crisi capitalistiche che poi devono essere

pagate dalla “gente comune”, la soluzione e il modello da seguire è stato individuato nelle lotte pacifiste degli Indignados spagnoli, greci ed islandesi. Ha successivamente preso la parola un esponente del Prc, che dopo aver fatto un excursus sulle conseguenze che la manovra finanziaria avrà sui lavoratori, ha inneggiato ad un risveglio di Catania e delle città italiane per “conquistare ciò che vogliamo”, senza però indicare come questo risveglio potrà nel concreto prendere forma, tralasciando il nodo capitale della questione: il principale responsabile del massacro sociale in Italia è il governo del neoduce Berlusconi, con l’aiuto dei suoi lacchè revisionisti e riformisti che concorrono a fomentare illusioni elettorali di cambiamento, rimanendo di fatto asservite a Confindustria, banche e “politiche di austerity”. Il portavoce del Movimento Studentesco catanese ha sottolineato l’importanza di un percorso

nuovo di partecipazione e di lotta in piazza, riprendendo alcuni slogan degli indignati spagnoli e inneggiando ad una “rivoluzione” e confondendo in effetti il movimento pacifista degli studenti spagnoli con la rivoluzione socialista e l’abbattimento del sistema capitalistico. Altri interventi sono stati quelli della portavoce dei Cobas che ha sottolineato l’importanza di fare fronte unito contro l’aziendalizzazione della scuola pubblica e contro le stangate che colpiscono i redditi più bassi. Il portavoce della Rete Antirazzista catanese ha sottolineato come i migranti sono le principali vittime delle manovre economiche in Europa e della necessità di coinvolgere i migranti nelle mobilitazioni e di avviare tagli alle spese militari, bloccare la detenzione dei migranti e investire piuttosto nella sanità e scuola pubblica. Un militante della Cellula “Stalin” della provincia di Cata-

nia del PMLI ha preso la parola affermando la necessità di sbarazzarsi di ogni illusione legalitaria, costituzionalista, pacifista ed elettoralista, poiché destra e “sinistra” borghese sono asservite al capitalismo. Il compagno ha aggiunto che è solo con un nuovo 25 Aprile che sarà possibile sbarazzarsi del nuovo Mussolini. Il movimento studentesco per fare fronte a questo massacro sociale, deve “riscoprire ed impadronirsi dell’anticapitalismo e farne la propria bandiera” e partecipare in massa alle prossime mobilitazioni indette per il 7 e il 15 ottobre, poiché sono i giovani di oggi che domani si vedranno privati dei diritti basilari dei lavoratori, compreso quello alla pensione. L’assemblea si è conclusa con questo ultimo intervento; i militanti marxisti-leninisti catanesi hanno preso vari contatti e registrato entusiasmo per i volantini e per la linea politica del Partito.

Formigoni vuole dimezzare i treni dei pendolari Tra le devastanti conseguenze, il rischio di licenziamento per 1.500 lavoratori di Trenord della Lombardia

Dopo l’ennesimo aumento del prezzo dei biglietti ferroviari ad agosto, il terzo dall’inizio dell’anno e che, sommato a quelli di febbraio e maggio, ha portato ad un complessivo +25% delle tariffe lombarde nel 2011, il dittatore ciellino Roberto Formigoni (PDL) minaccia di dimezzare dal 1° gennaio 2012 i treni dei 650.000 pendolari che utilizzano quotidianamente il servizio ferroviario lombardo. La mannaia del Pirellone prevede la cancellazione di 1.000 dei 2.200 treni attualmente in servizio, con conseguenze disastrose per i pendolari, i quali già oggi devono viaggiare con un tasso di sovraffollamento del

e rivendicato la “libertà di scendere o meno in piazza”, raccogliendo anche “in casa” fischi e urla “vergogna”, “torna ad Arcore”. I comportamenti antisindacali di Renzi non sono nuovi, per i dipendenti comunali è un padrone che rifugge il confronto, inasprisce le condizioni di lavoro, insulta i lavoratori, pretende dall’oggi al domani straordinari e prestazioni non concordate, vuole privatizzare il trasporto pubblico con la vendita dell’Ataf. In occasione dello sciopero CGIL ha voluto alzare il tiro, presentandosi, in pectore, come il candidato premier del “centrosinistra” più affidabile per la borghesia, aprendo una contraddizione anche con parte del PD locale.

Catania, 6 settembre 2011, sciopero generale indetto dalla CGIL (foto Il Bolscevico)

IN LOMBARDIA

Dal nostro corrispondente

Redazione di Firenze

150% dei posti offerti e che diventerebbe del 250%. In pratica, nelle ore di punta, un treno che oggi offre 650 posti a sedere dovrebbe accogliere 1.600 passeggeri! Gravi saranno le ripercussioni anche sull’occupazione dal momento che rischiano il licenziamento 1.500 lavoratori di Trenord, la società privata che gestisce il trasporto pubblico locale ferroviario in Lombardia. Senza contare che la soppressione dei treni e il conseguente obbligo per i pendolari di servirsi di mezzi privati, manderebbe in tilt la mobilità in tutta la Lombardia con code nelle strade stimate in 6.100 chilometri. Una vergognosa “soluzione” sarebbe stata ipotizzata dall’assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità, Raffaele Catta-

neo, che ha proposto di evitare il dimezzamento del servizio nientemeno che con un folle raddoppio delle tariffe. Così, ad esempio, un biglietto singolo sulla direttrice Milano-Lecco arriverebbe a costare 8,90 euro, quello sulla Milano-Bergamo 10,30 euro, per giungere a 11,30 euro sulla Milano-Varese e a 13,60 euro sulla Milano-Brescia! E lo stesso assessore Cattaneo tentando di giustificare la sua assurda proposta, ha avuto anche la faccia tosta di affermare che, per un buon funzionamento del servizio ferroviario, le tariffe andrebbero non raddoppiate ma triplicate. Formigoni definisce la sua una scelta “obbligata” dopo il taglio di 266 milioni di euro per il trasporto pubblico locale in

Lombardia contenuto nella manovra di lacrime e sangue del massacratore sociale Berlusconi. In realtà, considerando che Formigoni appartiene allo stesso partito del neoduce Berlusconi e ha sempre difeso a spada tratta il suo governo neofascista, le sue parole risultano un tentativo di giocare a scaricabarile, dal momento che il governatore ha sempre privilegiato in tema di mobilità progetti speculativi, inutili e dannosi per l’ambiente come la Brebemi, la Pedemontana, la Tav, o la Tangenziale Esterna di Milano infischiandosene invece di destinare risorse al potenziamento del trasporto pubblico su rotaia per merci e pendolari come invece chiede a gran voce da anni il PMLI.

Firenze, 7 settembre 2011. La contestazione al neopodestà Renzi davanti al Teatro Verdi. Nella foto i lavoratori del trasporto pubblico contestano la vendita dell’azienda

finestre del neopodestà. “Vergogna, buffone” hanno urlato i manifestanti, fuori e dentro il teatro, che lo hanno sbeffeggiato attaccando i ritratti di Renzi alle tradizionali rificolone (lanterne di carta colorata, tradizionali la sera del 7 settembre a Firenze). A contestare Renzi il Movimento per l’acqua bene comune, il Movimento Lotta per la Casa, Cobas e Rsu di Ataf, il comitato ‘No tunnel Tav’ e rappresentanti della scuola. Tra i temi della protesta la privatizzazione del trasporto pubblico e del settore scolastico per gli asili, i precari dell’amministrazione e le condizioni di lavoro dei dipendenti comunali, le “grandi opere” previste in città e gli sfratti in corso. “Non contro Emergency, ma contro Renzi” hanno sottolineato i manifestanti. L’antipopolare neopodestà, come suo solito, se ne è fregato della piazza e la sera del 10 settembre, in un dibattito alla festa del PD ha ribadito le sue posizioni

Il volpone governatore della Toscana Enrico Rossi, dal palco della CGIL si è dichiarato con gli scioperanti, e mentre il segretario del PD toscano Andrea Manciulli ha definito un errore del sindaco non partecipare allo sciopero della CGIL. Renzi ha replicato: ‘’Ma il segretario non è una maestrina’’. Alla citata festa del PD (e poi anche in un’altra ospitata tv nazionale) il neopodestà fiorentino ha rilanciato il suo apprezzamento e il suo feeling con il neoduce Berlusconi: “per me è giusto fare una manovra da 45 miliardi, sennò il Paese salta per aria’’. Le contestazioni di piazza a Renzi sono una ventata salutare nella nostra città, tradizionalmente asfissiata dalla cappa consociativa che ha legato per anni l’amministrazione con la CGIL e gli altri sindacati confederali. Questa è la strada per opporsi al massacro sociale di cui il boss di Palazzo Vecchio si fa sostenitore, complice e artefice.

Rimini

LA CRISI DELLA SCM METTE IN PERICOLO CENTINAIA DI POSTI DI LAVORO Dal corrispondente della

Cellula “Stalin” di Rimini

La crisi a Rimini lascia sempre meno speranze per il futuro dei lavoratori. La SCM, fabbrica di macchine per la lavorazione del legno, ha aperto la procedura per la cassa integrazione per 1.316 lavoratori su un totale di 1.960 dipendenti, di cui per 260 a zero ore e per 580 a rotazione. Praticamente tutti a parte gli addetti alla fonderia. I

lavoratori sono preoccupati perché sanno bene che la Cig a zero ore è l’anticamera del licenziamento. Sono in corso le trattative. I rischi per l’occupazione sono dunque forti, anche perché vanno a sommarsi con la crisi occupazionale che si registra nel settore dell’edilizia. Ed anche il polo trainante del turismo, quest’anno, come già accade da qualche anno, chiude la stagione in negativo, con un calo cospicuo di presenze.


14 il bolscevico / cronache locali

N. 34 - 29 settembre 2011

RIVOLTA CONTRO IL RINCARO MENSE SCOLASTICHE A CIVITAVECCHIA L’amministrazione del neopodestà Moscherini sotto accusa per le tariffe triplicate. Occupata l’aula consiliare. Il PMLI al fianco della popolazione in lotta Dal corrispondente

dell’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI La giusta rivolta dei genitori delle scuole materne ed elementari contro il caro-mensa della giunta di “centro-destra” Moscherini di Civitavecchia (Roma) ha avuto inizio con l’occupazione dell’aula consiliare al termine di un corteo il 13 settembre. “Pane e Vinaccia 1.000 euro al mese” (Vinaccia è il vice-sindaco), “La pasta è scotta la giunta pure”, questi gli slogan per denunciare il balzello che l’amministrazione ha imposto alle famiglie per la mensa scolastica, 6,17 euro al giorno per bambino, ben tre volte tanto quella dell’anno precedente. Nell’infuocata assemblea ha

Civitavecchia (Roma), 13 settembre 2011. La partecipata assemblea organizzata contro lo stratosferico aumento della mensa scolastica

preso la parola anche il rappresentante dell’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI per ribadire le gravi responsabilità del

neopodestà Moscherini e la necessità di una lotta di massa, anche occupando l’aula consiliare, per richiedere l’introduzione dei

Tariffe scolastiche alle stelle. Classi di 40 studenti A FUCECCHIO (FIRENZE)

TAGLI DAL GOVERNO, STANGATE DALLE AMMINISTRAZIONI LOCALI Redazione di Fucecchio

Quando le amministrazioni locali della Toscana affermano che il governo taglia senza pietà le risorse alla scuola pubblica dicono senz’altro una verità. Quando affermano che Regione e comuni riescono ad assicurare, seppur a fatica, gli stessi servizi senza pesare sulle tasche delle masse dicono una grossa bugia. La situazione nel comune di Fucecchio è davvero emblematica: per le materne e le elementari la mensa è passata in un anno

da 4,10 a 4,50 euro a pasto e lo scuolabus da 134 a 180 euro. Basta fare un rapido calcolo e arriviamo a una spesa di mille euro a bambino solo per il cibo e il trasporto con un aumento di quasi 120 euro in un anno. Ci vuole una buona dose di faccia tosta da parte del sindaco e del Comune per dire che sono stati salvaguardati i redditi delle famiglie. Le agevolazioni riguardano solo chi è sotto la soglia di povertà. All’istituto tecnico-commerciale Checchi, invece, il primo giorno di scuola si sono ritrovati

in 41 in una classe e gli studenti sono andati giustamente a protestare in comune. In questo caso gravi responsabilità ricadono sul governo Berlusconi e sulla Gelmini ma anche sulla Regione e sulla provincia di Firenze. Questi due fatti dimostrano come la scuola pubblica sia tartassata sia dal punto di vista economico che organizzativo a tutti i livelli: dal governo del neoduce Berlusconi anzitutto, ma anche dalle amministrazioni locali di “centro-sinistra” della nostra zona.

PRATO COMMEMORA I 29 PARTIGIANI TRUCIDATI DAI NAZI-FASCISTI A FIGLINE Una parte del corteo boicotta la parata anticomunista e il nuovo cerimoniale imposto dal neopodestà berlusconiano Cenni. Presenza attiva del PMLI Dal corrispondente della

Cellula “G. Stalin” di Prato In occasione del 67° anniversario della Liberazione di Prato dall’occupazione nazi-fascista, la sera del 6 settembre migliaia di ex partigiani, lavoratori, giovani, studenti, parenti e familiari delle vittime hanno preso parte al corteo in ricordo dei 29 partigiani della brigata Buricchi impiccati dai nazifascisti a Figline di Prato. A conclusione del corteo in Piazza 29 Martiri, una parte del corteo ha boicottato la parata anticomunista e il nuovo cerimoniale imposto dal neopodestà berlusconiano Cenni che fra l’altro ha tenuto l’orazione ufficiale nel piazzale antistante la chiesa in totale sfregio al monumento dei 29 martiri antifascisti che sorge proprio nel luogo dove i partigiani furono impiccati e dove fino ad oggi si era sempre svolta la celebrazione. In risposta all’infame ed ennesimo oltraggio alla Resisten-

za sferrato dalla giunta Cenni in camicia nera (che a partire dal 6 settembre 2009 ha imposto alla commemorazione l’intonazione de “La canzone del Piave” al posto di “Bella Ciao” poi ripristinata) militanti e simpatizzanti del PMLI organizzati dalla Cellula “G. Stalin” di Prato, presenti al corteo con le bandiere dei Maestri e del Partito e un cartello ad hoc

in onore dei partigiani e contro il regime neofascista, si sono uniti ai militanti di base del PDCI e del PRC e a tanti manifestanti nella denuncia dell’infame attacco di Cenni e hanno improvvisato sotto il monumento dei partigiani una emozionante celebrazione scandendo uno ad uno tutti i nomi dei 29 partigiani assassinati mentre tutta la piazza urlava “presente”.

Pubblichiamo alcuni servizi giunti in Redazione dopo l’ultimo giorno utile alla pubblicazione sul n. 32, ampiamente dedicato appunto allo sciopero generale del 6 settembre contro il governo del neoduce Berlusconi e il massacro sociale proclamato dalla CGIL.

RAVENNA Dal corrispondente

Figline di Prato, 6 settembre. L’emozionante celebrazione improvvisata dai compagni del PMLI, PdCI e PRC al monumento dei 29 martiri partigiani (foto Il Bolscevico)

Libere denunce dei lettori

Le malefatte del neopodestà di Civitavecchia navi e per fare un figurone con comandanti e ammiragli di navi italiane e non. La cittadinanza di Civitavecchia si è mobilitata, così come per il caro mense, che ha portato il neopodestà Gianni Moscherini (PDL) a mettere in ginocchio migliaia di famiglie rincarando la tariffa per le mense scolastiche

all’inverosimile, triplicandola, un vero dissanguamento in un momento così delicato per l’Italia. Domenica 18 settembre il corteo è partito da Viale Garibaldi nei pressi della Marina, fino a giungere dentro il porto per rendere la contestazione più visibile ai “gerarchi” del Porto di Civitavecchia. A. S. - Civitavecchia (Roma)

Manifestazione contro l’inquinamento da fumi delle navi Presente il PMLI

Civitavecchia, 18 settembre 2011. Il presidio contro l’inquinamento emesso dalle ciminiere delle navi (foto Il Bolscevico) Dal corrispondente

dell’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI L’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI ha aderito al Comitato “Nessun dorma” e domenica 18 settembre, indossando la pettorina con la scritta “No all’inquinamento da fumi delle navi” ha partecipato alla manifestazione. Tanti, e soprattutto molte famiglie con figli al seguito, hanno partecipato alla marcia di protesta per dire basta all’inquinamento soprattutto a quello provocato dalle navi ormeggiate nello scalo. Al grido “Nessun dorma” (dal gruppo nato su Facebook), il corteo è partito da via Garibaldi per poi sfilare fin dentro il porto storico e quindi sotto le finestre dell’autorità portuale di Molo Vespucci. Mentre il gruppo – scortato da agenti di polizia, carabinieri e vigili urbani – raggiungeva la sua meta dal comignolo di una nave usciva una lieve nube nera. Il sit-in si è sciolto annunciando un altro incontro del comitato

spontaneo prima del fatidico 26 settembre, data in cui una delegazione del Comitato incontrerà il presidente dell’autorità portuale, Pasqualino Monti, per chiedere “l’istallazione di una centralina nel porto, controlli costanti ed essere considerati parte attiva nel processo di elettrificazione delle banchine”. Dobbiamo stare all’erta, ha detto il dottor Marco Di Gennaro, primario di cardiologia dell’Ospedale di Civitavecchia, “questi fumi non solo causano tumori ma anche malattie cardiovascolari che, in particolari circostanze, possono condurre in pochi minuti alla morte”. Molto interesse ha suscitato da parte dei manifestanti la presenza del PMLI. Alcuni si sono intrattenuti a parlare col compagno che indossava la pettorina con lo slogan della manifestazione ma dove compariva anche la parola d’ordine “Buttiamo giù il neoduce Berlusconi, per l’Italia unita, rossa e socialista”.

SCIOPERO GENERALE DEL 6 SETTEMBRE

In piazza, più rossa di tutte, la bandiera del PMLI

Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina

Il neopodestà di Civitavecchia (Roma) se ne infischia della salute dei cittadini, a lui interessano i soldi portati dai croceristi, motivo questo, che lo ha spinto ad accettare navi che soffiano fumo denso e nero a poche decine di metri dalle abitazioni, a chiudere l’erogazione dell’acqua alla città, per far fare rifornimento alle

buoni pasto, l’esenzione dei disabili e che vengano riviste le fasce di reddito Isee per il nuovo anno. L’opera di pompieraggio da parte dei rappresentanti del “centro-sinistra” e della CGIL ha fatto sì che tutto fosse rimandato al giorno dopo, previa autorizzazione, per un incontro con il sindaco. Muniti di sacco a pelo i genitori si sono presentati all’appuntamento pronti all’occupazione fino a quando le loro richieste non fossero accolte. Oltre 400 persone, donne e uomini, bambini e anche anziani hanno ascoltato i diversi esponenti politici presenti (è già cominciata la campagna elettorale) che hanno tentato di prendere in mano la rivolta popolare monopolizzando la presidenza; infatti, il segretario PD di Civitavecchia, Patrizio De Felici, e il segretario della Cgil Cesare Caiazza, hanno dato la parola solo a chi loro gradito, negandola, fra gli altri, al rappresentante del PMLI con scuse puerili. Il sindaco Moscherini si è presentato all’assemblea, difendendo la sua delibera ma con le dovute “novità”, dettate ovviamente dalla giusta rivolta popolare. Esenzione dei disabili, il raddoppio delle fasce di reddito Isee, che va da 5 a 10 mila euro, così che anche le famiglie monoreddito sono tutelate; pagamento in due rate ai morosi e proroga della scadenza per l’iscrizione alla mensa scolastica al 3 ottobre, invece del 16 settembre. Sarà poi convocato un tavolo tecnico. La popolazione, tra urla e fischi, ha iniziato ad abbandonare la sala mentre il neopodestà Moscherini cercava di convincere la platea della “grande sensibilità per i più bisognosi...” di questa amministrazione.

CIVITAVECCHIA (ROMA)

dell’Organizzazione di Ravenna del PMLI Sciopero generale, finalmente! Piazza del Popolo di Ravenna piena di manifestanti. Operai, pensionati, giovani, tante donne lavoratrici, precarie, disoccupate, casalinghe. Tante bandiere rosse della CGIL. L’Organizzazione di Ravenna del PMLI era presente con la sua gloriosa bandiera, la più rossa di tutte. Diffuse alcune copie de “Il Bolscevico” e una copia del documento del Comitato centrale del PMLI sul lavoro giovanile recentemente riprodotto in libretto. Mancavano naturalmente le bandiere della CISL e della UIL; erano però presenti parecchi operai iscritti a questi sindacati diretti da personaggi che nulla hanno a che fare con la lotta di classe. Sul palco si sono alternati il sindaco Matteucci, il segretario provinciale dell’ANPI Artioli e un esponente dello SPI-CGIL. Niente di nuovo, soliti discorsi, solita retorica attendista per poco più

di mezz’ora poi la piazza ha intonato “Bella Ciao” a conclusione della manifestazione. Certo lo sciopero generale dovrebbe essere un’altra cosa, una mobilitazione totale delle masse dirette da veri sindacalisti, ma forse questo è solo l’inizio! Il PMLI farà la sua parte perché sia così!

PARMA Il 6 settembre a Parma si è svolto lo sciopero generale della CGIL contro la manovra economica del neoduce Berlusconi che rende sempre più dura la vita dei lavoratori e dei pensionati e porterà sempre più persone alla disperazione e alla fame. Il corteo della CGIL è partito da piazzale Santa Croce per

arrivare a piazza Garibaldi. Partecipavano alla mobilitazione i dipendenti di tutte le principali fabbriche di Parma. L’adesione allo sciopero quasi ovunque alta, attorno al 90%. Nonostante la pioggia gli scioperanti hanno partecipato in massa al corteo che alla fine ha contato circa 10 mila manifestanti. I simpatizzanti di Parma e provincia del PMLI hanno diffuso circa 200 volantini del Partito e portato la bandiera dei Maestri. Per dare una speranza a questi manifestanti ci vuole un’organizzazione di classe che sia in grado di dare fiducia e una prospettiva per il futuro, per l’Italia unita, rossa e socialista. I simpatizzanti di Parma e provincia del PMLI

CASERTA

Caserta, 6 settembre 2011 (foto Il Bolscevico). La cronaca è apparsa sul n. 32 del nostro giornale.


esteri / il bolscevico 15

N. 34 - 29 settembre 2011

Clamoroso dietrofront rispetto agli impegni presi per ridurre i gas serra

OBAMA: NON RIDUCE L’INQUINAMENTO PER NON DANNEGGIARE I PROFITTI Con un breve comunicato diffuso il 2 settembre il presidente americano Barack Obama ha comunicato di rinviare almeno fino al 2013 l’aggiornamento previsto adesso delle norme elaborate dall’Epa (Environmental Protection Agency, l’agenzia governativa di protezione ambientale, ndr) sui livelli più stringenti delle emissioni inquinanti delle industrie. Resteranno quindi ancora in vigore gli scandalosi limiti all’emissione dei gas serra definiti dall’amministrazione Bush. Rivedere le norme in questo momento di crisi economica creerebbe incertezza per le aziende e i governi locali, ha spiegato il presidente americano sottolineando la necessità di non imporre nuovi

vincoli mentre è “importante ridurre i lacci per le aziende”. Che possono avvelenare le acque e appestare l’aria, oltre che sfruttare i lavoratori. Un vero e proprio via libera all’inquinamento per non danneggiare i profitti che rappresenta un clamoroso e vergognoso dietrofront da parte di Obama rispetto agli impegni presi per ridurre i gas serra. Nelle vittoriose elezioni del 2008, Obama aveva promesso una “rivoluzione verde”. Abortita di fatto già nel luglio del 2009 quando, sotto la pressione dei repubblicani, aveva messo alla porta il suo consigliere speciale che avrebbe dovuto essere il grande regista del progetto. Deceduta con la decisione di rinviare financo gli aggior-

Wroclaw (Polonia)

GRANDE MANIFESTAZIONE DEI SINDACATI EUROPEI CONTRO LA RIUNIONE DELL’ECOFIN Oltre 50 mila lavoratori hanno partecipato il 17 settembre alla manifestazione a Wroclaw (Breslavia) indetta dalla Confederazione europea dei sindacati e dai sindacati polacchi Solidarnosc e OPZZ (Alleanza sindacale di tutta la Polonia) per protestare contro la riunione dell’Ecofin che si era

CGIL, CISL e UIL. Nel suo discorso il dirigente di Solidarnosc Piotr Duda che ha definito i banchieri e i finanzieri riuniti a Wroclaw ratti e sanguisughe. Ciò però non deve trarre in inganno le masse popolari polacche perché questo imbroglione anti-comunista ha fatto solo un discorso di facciata.

namenti dei livelli di inquinamento dell’ozono studiati dall’Epa per abbassare i livelli previsti dal Clean Air Act, la legge che regolamenta le emissioni di sostanze nocive nell’aria. Una modifica delle legge è prevista per il 2013, tanto vale aspettare quella scadenza ha sostenuto Obama. Che non ha convinto affatto le principali associazioni ambientaliste statunitensi che hanno denunciato la decisione della Casa Bianca come un ennesimo cedimento di Obama agli interessi delle lobby del petrolio e del carbone, che

sono tra i grandi finanziatori delle campagne elettorali sia dei democratici che dei repubblicani. La sezione di Greenpeace negli Usa ha denunciato che “le corporation inquinanti non devono preoccuparsi di demolire il Clean Air Act , sembra che il presidente Obama lo stia facendo per loro”, rinviando una modifica della legge che “avrebbe impedito 12 mila morti ogni anno a causa dell’inquinamento da ozono”. Dello stesso tono la denuncia del Sierra Club, una grande associazione ambientalista che

ha sostenuto Obama nella campagna elettorale, il cui direttore ha espresso la “condanna della decisione dell’Amministrazione Obama di ritardare l’attuazione delle tanto attese protezioni cruciali contro lo smog, un contaminante acido che quando viene inalato è come ricevere un eritema solare nei polmoni. Mettendo al primo posto gli interessi degli inquinatori del carbone e del petrolio, la Casa Bianca sembra volerci dire che ‘l’aria pulita può aspettare’”. “I leader dei più importanti

gruppi imprenditoriali americani – ha commentato un servizio del New York Times – hanno premuto sui responsabili dell’Epa e su alti funzionari della Casa Bianca all’inizio di questa estate cercando di moderare, ritardare o uccidere la regolamentazione. Hanno detto a William Daley, il capo dello staff della Casa Bianca, che il regolamento sarebbe molto costoso per l’industria e avrebbe fatto male alle possibilità di rielezione di Obama”. Che senza opporre resistenza ha ceduto su tutta la linea.

ANCORA UN GRAVE INCIDENTE IN MINIERA

Nel Galles 4 minatori muoiono intrappolati in galleria Dal corrispondente della

Cellula “Stalin” di Londra Giovedì 15 settembre è successo un grave incidente nella valle di Swansea, che prende il nome dalla omonima cittadina nel sud del Galles. In una delle tante miniere di carbone che si snodano in quella valle purtroppo hanno perso la vita 4 lavoratori. L’incidente è avvenuto alle ore 9,15 del mattino nella piccola e antica miniera di Gleision, 7 minatori stavano lavorando a una profondità di 90 metri, quando improvvisamente una delle pareti ha ceduto e la galleria è stata invasa dall’acqua e detriti. Tre di essi sono riusciti subito a mettersi

in salvo e uscire mentre gli altri 4 sono rimasti intrappolati. L’allarme è scattato immediatamente e i primi soccorsi sono arrivati dopo mezz’ora, tutti uomini altamente specializzati in questo tipo di operazioni. Ma si è visto subito che il recupero sarebbe stato difficile. Nel frattempo venivano resi noti i nomi dei minatori intrappolati. Phillip Hill 45 anni, Charles Breslin anni 62, David Powell anni 50, Garry Jenkins 39 anni. Sono state avvisate le famiglie, poi fatte accomodare in un centro di accoglienza nel vicino paesino di Rhos, dove sia la croce rossa gallese, la polizia e i cittadini stessi si sono prodigati con

viveri, letti e sostegno morale per quelle che sarebbero state lunghe ore di attesa per ricevere qualche notizia. Le speranze dei soccorritori erano che i minatori potessero essersi messi in salvo in qualche sacca d’aria o qualche piccola galleria, ma purtroppo non è stato così. Tutta la comunità di Swansea si è stretta intorno ai parenti delle vittime. Una solidarietà spontanea e di classe, dovuta anche al fatto che molte sono le famiglie che hanno mariti, figli, parenti che lavorano in miniera, e devono convivere col terrore di non vedere i loro cari tornare a casa dal lavoro. Infatti, incidenti di questo genere

non sono rari, anche se negli ultimi decenni l’estrazione del carbone è in declino, nonostante le lotte del sindacato dei minatori contro la chiusura delle miniere voluta dal governo di Margaret Thatcher negli anni ’84-85. La Cellula “Stalin” di Londra del PMLI solidarizza con i familiari dei 4 minatori deceduti e denuncia il governo per non aver migliorato nel corso degli anni le condizioni di sicurezza dei lavoratori delle miniere al fine di evitare tragedie di questo tipo, e più in generale il sistema capitalistico di cui i cosiddetti “omicidi bianchi” sono le vittime sacrificali offerte sull’altare del massimo profitto.

Soldi a palate ai dirigenti mentre venivano licenziati 21.000 dipendenti

IN SCOZIA MONTA LO SCANDALO DEGLI SPERPERI DELLA RBS La crisi finanziaria scaricata sui lavoratori e sulle masse popolari Dal corrispondente

Wroclaw (Polonia), 17 settembre 2011. La manifestazione organizzata dalla CES contro la riunione dell’Ecofin

tenuta il giorno precedente e che ha chiuso in anticipo i lavori temendo proprio la grande manifestazione. E difatti la manifestazione dei sindacati europei è riuscita perfettamente ed ha riscosso ampi consensi da parte delle masse lavoratrici polacche. Il grande corteo è partito dallo stadio olimpico di Wroclaw ed ha raggiunto il centro della città dopo circa due ore di marcia. I combattivi partecipanti hanno intonato slogan contro le lobby finanziarie ed i banchieri che stanno dissanguando le masse popolari europee. Quando i partecipanti sono arrivati in centro si è tenuto un comizio. I primi a parlare sono stati, la segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (CES-ETUC) Bernadette Segol, il dirigente nazionale del sindacato reazionario polacco Solidarnosc, Piotr Duda, seguito dal dirigente rinnegato del OPZZ Jan Guz. Tra i sindacati europei erano presenti le rappresentanze di

Duda in realtà insieme ai principali dirigenti reazionari di Solidarnosc sono dei tirapiedi dei padroni e grandi ammiratori della fascista del “Tea Party” americano Sarah Palin. Jan Guz ha criticato invece il governo reazionario di Tusk che sta massacrando le masse popolari polacche. Alla manifestazione era incredibilmente assente il PPP (partito polacco del lavoro). Il dirigente trotzkista Boguslaw Zietek preferisce preparare il suo partito alle prossime elezioni parlamentari le quali si terrano tra un mese, anziché stare a contatto con le masse polacche e sostenerle nelle loro lotte. Alla manifestazione ha preso parte una delegazione del KPP (partito comunista polacco). Alcuni compagni di base del KPP sono stati importunati da un provocatore fascista che è stato prontamente respinto dai compagni. A parte questa provocazione fascista non si sono registrati altri incidenti. Pao - Polonia

dell’Organizzazione di Aberdeen (Scozia) del PMLI In questi giorni i riflettori sono nuovamente puntati sui torbidi e macchinosi affari dei vertici della finanza della Royal Bank of Scotland (RBS), già nel mirino dei sindacati e dell’opinione pubblica per via degli altissimi bonus e remunerazioni pagati dalla banca scozzese ai suoi dirigenti che lo scorso anno avevano toccato i 14 miliardi di sterline, incuranti dell’ingente debito che i banchieri della RBS hanno nei confronti dei contribuenti inglesi. Grazie ad un’involontaria indiscrezione della Hays (società di lavoro interinale a cui si era rivolta la Royal Bank of Scotland) in un’e-mail, indirizzata ai vertici della banca ed erroneamente inviata a centinaia di dipendenti fissi, molti dei quali a rischio licenziamento, importanti informazioni sono state rese pubbliche circa i vertiginosi stipendi elargiti a dirigenti e quadri temporanei specializzati che guadagnano fino a 2 mila sterline al giorno - pari a 500.000 sterline annue. Tutto ciò in netta contraddizione con i

tagli di 28.000 posti di lavoro ai danni di dipendenti con contratto a tempo indeterminato dall’inizio della crisi economica e le altre centinaia di ulteriori tagli annunciati proprio di recente. La RBS, la più importante banca scozzese e la seconda nel Regno Unito, si era trovata nel 2007 ad un passo dal fallimento a causa delle clamorose perdite seguite all’acquisizione della banca olandese ABN AMRO e da varie operazioni finanziarie fallimentari, in primis i rischi assunti sui mutui subprime americani, concludendo il bilancio nel 2008 con perdite di decine di miliardi di sterline. Nel 2008 il governo inglese per evitare il fallimento della banca ne è diventato azionista di maggioranza, arrivando a controllarne ad oggi l’84% dell’intero pacchetto azionario mediante una ricetta anticrisi che ovviamente non scalfisce in alcun modo il carattere capitalistico della proprietà bensì getta i costi della speculazione e del parassitismo insiti alla finanza imperialista sulle spalle dei lavoratori. La reazione dei sindacati è stata netta e altamente critica. Già lo scorso febbraio Len Mc-

Clusky, segretario generale del sindacato Unite, denunciava: “I contribuenti sono sconcertati dal sapere che mentre possediamo l’84% (di RBS), la banca continua tranquillamente a premiare i suoi investment bankers. Parlo di un’istituzione dove più di 21.000 lavoratori al pubblico e di servizio sono stati licenziati. RBS però continua a rifiutare di prestare i soldi necessari per le piccole attività commerciali, mentre i suoi bonus sono pagati senza problemi. È solo grazie ai soldi dei cittadini che la banca sta gradualmente emergendo dal disastro provocato dall’avidità dei banchieri. Eppure il Ministro dell’Economia continua a tollerare questo premio di 950 milioni che vanno agli stessi colpevoli di quel disastro”. David Flaming, dirigente del sindacato Unite, ha recentemente dichiarato: “È del tutto inappropriato che RBS, sostenuta dai contribuenti, elargisca queste cifre a migliaia di imprenditori. Il sindacato Unite nutre seri dubbi circa l’impiego di questo personale altamente pagato mentre continuano i tagli ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato”.

Questa gravissima crisi economica capitalista si nutre delle preziose risorse economiche statali al fine di evitare il fallimento, gravando sulle spalle delle masse popolari mediante tassazione indiretta e diretta mentre i vertici dell’alta finanza non rinunciano ai propri privilegi ma ne rivendicano di nuovi. Come sottolinea il compagno Giovanni Scuderi, nel Rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI: “Quando le banche e le industrie sono in forte crisi e sull’orlo del fallimento è normale che intervenga lo Stato borghese, che è il capitalista collettivo, per salvarle, con i soldi pubblici, cioè del popolo. (...) I governanti borghesi a volte lasciano completo campo libero ai capitalisti e ai finanzieri, a volte ricorrono all’intervento dello Stato tramite le nazionalizzazioni per salvare le banche e le imprese che rischiano il fallimento, per poi riprivatizzarle quando sono state riassestate”. La parziale nazionalizzazione della RBS dunque non ha nulla di socialista ma è gravida di tutte le contraddizioni insite al sistema capitalistico, come dice Stalin: “Per eliminare le crisi occorre eliminare il capitalismo”.


16 il bolscevico / esteri

N. 34 - 29 settembre 2011

LE GRINFIE DI SARKOZY E CAMERON SUL PETROLIO LIBICO Visita lampo dei due leader imperialisti a Tripoli

La corsa per essere i primi leader stranieri a visitare la Libia una volta caduto il dittatore Gheddafi è stata vinta dal tandem anglo-francese formato dal premier britannico David Cameron e dal presidente francese Nicolas Sarkozy con la visita lampo a Tripoli il 15 settembre, ricevuti dal presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) Mustafa Abdel Jalil e dal premier libico ad interim Mahmud Jibril. I due principali protagonisti, assieme agli Usa di Obama, dell’intervento armato imperialista per scalzare Gheddafi, nonostante lo scopo ufficiale fosse quello di “proteggere i civili”, sono stati i primi a mettere piede nella nuova Libia per sottolineare la loro ambizione di mettere le grinfie sul petrolio libico. I bombardieri della Nato sono ancora in azione contro le forze rimaste fedeli a Gheddafi nella città di Sirte sulla costa mediterranea e a Bani Walid, nel sud del paese, provocando un numero imprecisato di vittime civili; la guerra non è ancora finita ma i due leader imperialisti sono già entrati in azione per mettere la loro bandiera nella piazza centrale di Tripoli. “Questo è il vostro Paese, è la vostra leadership, è la vostra rivoluzione, non la nostra”, ha depistato il premier britannico Cameron, “giovani di Bengasi, giovani di Libia, giovani arabi, la Francia vi assicura la sua amicizia e il suo sostegno”, gli ha fatto eco il francese Sarkozy, che ha ribadito come “la Francia, la Gran Bretagna e l’Europa saranno al fianco del popolo libico”. All’offensiva diplomatica anglo-francese l’imperialismo italia-

no, una volta in prima fila in Libia rispondeva con l’insediamento, sempre il 15 settembre, del nuovo ambasciatore italiano in Libia, il primo a ricevere il gradimento da parte del Cnt, sottolineava la Farnesina. Niente a confronto di quanto messo nel piatto da Cameron che a Tripoli ha annunciato lo scongelamento di beni libici mesi

sotto sequestro per l’embargo Onu del valore di 600 milioni di sterline che saranno messi a disposizione del Cnt. O di quanto si appresta a fare la Francia con una missione economica dei responsabili delle grandi aziende nazionali. In ballo il controllo delle riserve petrolifere libiche, fra le maggiori dell’Africa e preziose per l’alta

qualità e il basso costo di estrazione, e quelle di gas naturale. Certo l’italiana Eni lo scorso 29 agosto ha firmato un accordo con il Cnt di Bengasi per rimanere il primo operatore internazionale di idrocarburi in Libia. Non è detto che basti a fronte di un altro impegno del Cnt a concedere alla Francia le gestione del 35% del suo petrolio libico. Chi

Gheddafi aveva costruito una rete di acquedotti lunga 4 mila chilometri per portare l’acqua estratta in profondità dai pozzi del deserto fino alle città costiere. Una risorsa che fa gola alle multinazionali dell’acqua, soprattutto quelle francesi come Suez e Veolia che controllano quasi la metà del mercato mondiale privatizzato dell’acqua.

La Resistenza afghana attacca il quartier generale Nato e Usa Da circa due mesi è iniziata in Afghanistan la “transizione”, il passaggio della responsabilità della sicurezza dagli eserciti imperialisti occupanti a polizia e esercito del fantoccio Kharzai, salvo in alcune zone particolari come il centro della capitale Kabul dove il controllo è sotto la gestione americana. Questa operazione dovrebbe creare le pre-

messe per la riduzione dei contingenti imperialisti nel paese a breve scadenza, una diminuzione del numero di soldati che comunque resteranno a supporto del regime del presidente. Che altrimenti non si reggerebbe in piedi, come dimostra l’ultimo attacco della resistenza afghana nel cuore della capitale. Il 13 settembre un drappello di

una decina di talebani a bordo di un pulmino è riuscito a arrivare fino ai margini della superblindata “Zona verde” di Kabul e a prendere posizione in un edificio in costruzione, al limitare del quartiere delle ambasciate, da dove ha colpito con i razzi le sedi dell’ambasciata americana, del quartier generale della Nato, il palazzo

presidenziale e la sede dei servizi segreti afgani. E ha respinto per una decina di ore l’intervento delle forze di sicurezza afghane appoggiate dagli elicotteri delle forze imperialiste occupanti. Una battaglia nel centro della capitale che secondo il bilancio comunicato dal regime afghano avrebbe provocato una decina di

morti e più di 20 feriti. Il portavoce dei talebani, Zabiullah Mojahid, ha rivendicato l’attacco contro “due dei più importanti simboli della presenza diplomatica e militare” in Afghanistan, la sede del comando Nato e l’ambasciata Usa, con una prova di forza che è la più importante lanciata della resistenza a Kabul negli ultimi nove anni.

In risposta all’uccisione di 6 guardie di frontiera egiziane da parte dei sionisti

ASSALTO POPOLARE ALL’AMBASCIATA ISRAELIANA AL CAIRO Dal 18 agosto centinaia di manifestanti protestano quasi quotidianamente sotto la sede dell’ambasciata israeliana al Cairo, nel quartiere di Giza, contro l’uccisione di 6 poliziotti di frontiera egiziani uccisi quel giorno dai sionisti che inseguivano presso il confine lungo il Sinai esponenti della resistenza palestinesi che avevano attaccato un pullman militare presso Eilat. L’Egitto chiedeva le scuse ufficiali ma il gover-

no sionista di Netanyau era troppo impegnato nella rappresaglia contro la striscia di Gaza e il governo palestinese guidato da Hamas. Anche il primo ministro egiziano Sharaf e il Consiglio militare che governa il paese sembravano essersene dimenticati. Non i manifestanti che anche il 9 settembre erano tornati in massa in piazza Tahrir per chiedere la punizione dei colpevoli della repressione della rivolta che ha cacciato

il dittatore Mubarak e l’accelerazione delle riforme democratiche; nella serata dalla piazza è partito un folto corteo che ha raggiunto la sede dell’ambasciata israeliana e l’ha assaltata dando vita a una battaglia con la polizia durata tutta la notte. Il bilancio degli scontri è stato di 3 morti e oltre un migliaio di feriti. Il primo ministro Sharaf rassegnava le dimissioni che erano respinte dalla giunta militare. L’ambasciatore israeliano lasciava

NONOSTANTE LA REPRESSIONE DELL’ESERCITO

Continua la protesta in Siria contro il regime di Assad Le opposizioni danno vita a un Consiglio nazionale transitorio che chiede la fine della repressione e l’avvio di riforme La cronaca di un mese di proteste contro il regime del presidente Bashar al Assad registra il moltiplicarsi delle manifestazioni e l’aumento delle vittime tra i dimostranti. Il 22 agosto Assad ha di nuovo promesso l’introduzione del multipartitismo e elezioni ma ha continuato a mandare carri armati e blindati dell’esercito a reprimere le manifestazioni non solo nei centri della protesta, Hama e Homs, ma anche nei tanti villaggi in varie regioni del paese. Nella città di Rastan decine di soldati si sono rifiutati di sparare sui manifestanti e hanno disertato. Le proteste non sono arrivate al momento a coinvolgere parte della popolazione della capitale Damasco e della seconda città del paese, Aleppo. Secondo quanto comunicato alla riunione straordinaria del Consiglio per i diritti umani dell’Onu che si è tenuta a Ginevra il 21 agosto sono “oltre 2.200 le persone uccise da quando le proteste di massa sono iniziate a metà

vincerà tra Parigi e Roma? Ci perderà di sicuro il popolo libico che anche dopo Gheddafi non godrà i frutti delle risorse del suo paese. E non si tratta solo di petrolio e gas, si tratta anche dell’acqua, il sempre più prezioso “oro bianco”, che si trova nell’immensa riserva di acqua fossile che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Già

marzo” delle quali “oltre 350 uccise nel mese di agosto dall’inizio del Ramadan”. L’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay denunciava da parte dei soldati siriani “un uso eccessivo della forza, compresa l’artiglieria pesante, per stroncare pacifiche manifestazioni e riprendere il controllo sugli abitanti di varie città”. “La sicurezza del paese va garantita”, rispondeva il 22 agosto da Damasco il presidente Assad che respingeva la richiesta di dimissioni avanzata dal segretario di Stato americano Hillary Clinton e prometteva riforme democratiche e elezioni entro il marzo del 2012. Promesse già pronunciate in passato ma mai mantenute e subito denunciate da migliaia di manifestanti che scendevano in piazza a Homs e in alcuni quartieri di Damasco. Le forze di opposizione rispondevano con la formazione di un Consiglio nazionale transitorio, la cui nascita era annunciata il 29 agosto da Anakara. Il consiglio, composto da 94 membri, di cui 42

in Siria egli altri in esilio, sarà presieduto da Burhan Ghalioun, un professore di scienze politiche che vive a Parigi. Un portavoce dell’organismo ha dichiarato la disponibilità delle varie componenti dell’opposizione al negoziato col governo che potrà essere avviato solo se cesserà la repressione. Una delle componenti del Consiglio, il Comitato dei coordinamenti locali (Lcc) ha dichiarato che non vuole l’intervento internazionale come richiesto da alcuni manifestanti, una richiesta che considera inaccettabile: “qui la democrazia non passa per la Nato”. L’avvio di un processo di riforme in Siria è stato sollecitato il 29 agosto dal governo iraniano e dalla Lega araba. L’agenzia di stampa governativa iraniana Irna ha riportato dichiarazioni ufficiali dell’esecutivo di Teheran che invitava Assad a rispondere alle richieste della piazza. La Lega araba al termine della riunione al Cairo chiedeva a Damasco di “mettere fine allo spargimento di sangue” e a

“rispettare le aspirazioni del popolo siriano a riforme politiche e sociali”. In alcune capitali europee, dato per concluso l’impegno in Libia, si discute se aprire subito il capitolo siriano presentando una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu per imporre sanzioni alla Siria. Tira la cordata imperialista l’inglese Cameron, d’intesa con Francia e Germania. Una posizione appoggiata da Obama ma non dalle altre concorrenti imperialiste, da Russia e Cina, a Brasile, India e Sudafrica. In attesa degli sviluppi della difficile discussione all’Onu i paesi imperialisti europei sono andati avanti per conto proprio e il 2 settembre l’Unione europea (Ue) decideva di dare il via all’embargo sull’importazione del petrolio siriano, una misura già decisa dagli Usa e che potrebbe avere effetti pesanti sulla Siria dato che la Ue acquista quasi il 90% del greggio siriano, di cui circa la metà viene in Italia.

il paese rientrando a Tel Aviv, Già lo scorso 21 agosto alcuni manifestanti erano riusciti a salire fino al piano dell’edificio che ospita l’ambasciata di Israele e a sostituire la bandiera sionista con quella d’Egitto. La giunta militare aveva deciso di costruire un muro di protezione intorno alla sede diplomatica, un muro che ricordava quello illegale eretto dai sionisti contro i palestinesi, e che aveva sollevato altre proteste. I manifestanti che si trovavano sotto l’ambasciata iniziavano a demolirlo con sbarre di ferro e martelli nel pomeriggio del 9 settembre, un lavoro concluso in breve tempo dalla folla proveniente da piazza Tahrir e che ha consentito

a alcune decine di manifestanti di salire fino ai piani più alti in cui si trovano gli uffici diplomatici, di entrare nelle stanze dell’ufficio consolare, messo a soqquadro. Alcuni dimostranti lanciavano dalla finestra i documenti trovati e da sotto le finestre la folla applaudiva al grido di “abbasso Israele”; alcuni bruciavano bandiere sioniste. La polizia che presidiava la sede diplomatica si ritirava presso la vicina caserma di Giza, assediata per tutta la notte dai manifestanti. Gli scontri duravano diverse ore e la polizia solo con l’intervento dei blindati e l’uso delle armi riusciva a impedire che anche la sue sede fosse data alle fiamme e a disperdere la manifestazione.


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