

TANTE LE NOVITÀ PER L’EDILIZIA
E STOP ALL’INCENTIVAZIONE
SULLE CALDAIE A COMBUSTIBILE FOSSILE
HA VINTO L’EUROPA?
Vogliamo cominciare questo editoriale e questo numero di Hydra con una esclamazione, seguita da una domanda provocatoria, e che deve servire non come l’ammissione di una sconfitta o peggio la consapevolezza dei propri limiti, ma come sprono verso un mondo fatto di nuove possibilità.
Energeticamente parlando, stiamo attraversando un cambiamento epocale, e lo stiamo vivendo noi, la nostra generazione. Noi abbiamo il diritto ed il dovere di viverlo. Non dobbiamo spaventarci, non dobbiamo farci travolgere, abbiamo tutte le carte in regola per saperlo gestire. E per questo ci vuole conoscenza, preparazione e, perché no, anche un po’ di sana competitività. Il cambiamento che stiamo affrontando è l’abbandono, che non può che essere graduale, dei combustibili fossili (si legga metano/ GPL per riscaldamento e benzina/gasolio per i trasporti) che per mezzo di un processo fisico chiamato combustione, c’ha dato energia per tutto il ventesimo secolo, c’ha permesso di svilupparci, di progredire come esseri umani, alla ricerca costante di un benessere che sembrava illimitato!
Questo purtroppo, se era vero, lo era solo in parte, nel senso che il nostro progresso, la nostra evoluzione ed il nostro benessere, è andato a scapito della nostra Terra, che una è, e come un campo di grano a cui non viene applicato il processo della rotazione delle colture, ad un certo punto si inaridisce, si impoverisce e non ci da più i sui frutti. Stiamo vivendo l’era della decarbonizzazione. C’è chi ancora spera e vive nella consapevolezza di trovare un valido sostituto del metano (per il riscaldamento) e della benzina (per i trasporti); si parla di idrogeno, ancor meglio di idrogeno verde (ne parliamo anche noi a pagina 5) e chi invece preferisce la strada della diversificazione, guardando il futuro del metano fatto, non solo da un’unica sorgente, ma da un insieme di risorse che, sommate, fanno proprio l’attuale forza del combustibile fossile. Lo stop al metano è ben evidente anche nella “penna” del legislatore italiano che, per mezzo dell’ultima Legge di Bilancio, Legge 30 dicembre 2024, n. 207, ne decreta praticamente la fine. In realtà vedremo che non è proprio così, la fine riguarda la possibilità di incentivarne la sostituzione, per mezzo di bonus fiscali quali il Bonus Ristrutturazione o l’Ecobonus, ma in pratica il percorso è tracciato, la strada verso il 2040. Ancora 15 anni quindi e poi non si potranno più produrre e vendere caldaie uniche alimentate a combustibili fossili. In pratica possiamo vedere questo recente stop agli incentivi come una “fase intermedia” in vista della prossima dismissione. Quindi bonus fiscali decisamente ridimensionati, come possiamo vedere anche dall’infografica riportata a pagina 15. Ma qualcosa rimane e può essere sempre sfruttato dai cittadini per effettuare delle migliorie ai loro impianti termici, stiamo parlando del Conto Termico 3.0. Conto termico che non è stato ancora pubblicato nella sua versione definitiva ma alcuni documenti comunque ufficiali sono presenti sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Attualmente è in fase di discussione con le Regioni per l’approvazione definitiva. La lettura di questi documenti c’ha permesso di argomentarlo nella sostanza e di approfondirlo nel nostro articolo di pagina 14. L’Europa, per mezzo della Direttiva Case Green da cui tutto nasce, non ci dà imposizioni o stop, ma ci dà la possibilità di evolverci, verso un futuro sostenibile e verso una maggiore autonomia energetica. Sta a noi cogliere queste opportunità.
Aprile 2025
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Attualità
LEGGE DI BILANCIO 2025
Tante le novità per l’edilizia e stop all’incentivazione sulle caldaie a combustibile fossile
DIVIETO DI UTILIZZO DI CALDAIE A COMBUSTIBILI FOSSILI, QUALI LE ALTERNATIVE ?
Idrogeno: una possibile alternativa
In primo piano
RECUPERO, RICICLO E RIGENERAZIONE DEGLI FGAS
Opportunità da cominciare a prendere in considerazione
ACQUADOLCE VIAREGGIO
Un nuovo volto per l’arredobagno e il design
Impiantistica
TRATTAMENTO DELL’ACQUA: IL CALCARE NEGLI IMPIANTI IDROSANITARI
CALEFFI eCAL®: la nostra soluzione per proteggere i sistemi e l’utente finale
Il prodotto 13
LA VMC DAL DESIGN COMPATTO PER SINGOLI AMBIENTI!
Un passo avanti nella transizione energetica
Normativa 14
CONTO TERMICO 3.0
Una visione futura per l’efficienza energetica del parco edilizio italiano
La Legge di Bilancio 2025, Legge 30 dicembre 2024, n. 207, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2024, contiene importanti novità per il settore delle costruzioni.
L’aggiornamento dei bonus edilizi, concretizzato praticamente in una rimodulazione delle aliquote fiscali, è senz’altro l’aspetto più importante per il nostro settore, ed è quello che andremo ad approfondire.
Due righe sul Superbonus, nel 2025 resta solo per i lavori già avviati. La detrazione del 65% per le spese sostenute nell’anno 2025 spetta esclusivamente per gli interventi per i quali, alla data del 15 ottobre 2024 risulti:
• presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), se gli interventi sono diversi da quelli effettuati dai condomini;
• adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), se gli interventi sono effettuati dai condomini;
• presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo, se gli interventi comportano la demolizione e la ricostruzione degli edifici. L’aliquota al 110%, per il solo 2025, resta operativa solo per quelli immobili situati nelle zone colpite da eventi catastrofali.
Bonus Casa
Per gli interventi edilizi e tecnologici che accedono alle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie che comportano risparmio energetico e/o l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia (art. 16-bis del D.P.R. 917/1986) viene mantenuta la classica detrazione al 50%, ma solo per interventi su abitazioni principali effettuati nell’anno 2025. Se gli interventi non interessano l’abitazione principale l’aliquota di detrazione sarà del 36% per l’anno 2025 e scenderà al 30% per gli anni 2026 e 2027. Il tetto massimo di spesa resterà invece di 96.000 euro per tutto il triennio.
Ecobonus
Per gli interventi di riqualificazione energetica le aliquote si allineano a quelle del Bonus Casa, andando a perdere la distinzione di aliquote per tipologia di intervento, rimarranno in essere i tetti massimi di spesa che sono specifici per le differenti tipologie di intervento. Anche in questo caso le aliquote saranno più vantaggiose per interventi eseguiti sulle abitazioni principali che vedranno per tutto il 2025 il 50%, mentre per gli anni 2026 e 2027 scenderanno al 36%. Per il resto degli immobili l’aliquota sarà del 36% per l’anno 2025 poi scenderà al 30% per gli anni 2026 e 2027. Dal 1° gennaio 2028 questo bonus non ci sarà più.
Detto questo, ci vogliamo soffermare un attimo sul concetto di abitazione principale, a nostro avviso dirimente per capire se il beneficiario potrà avvalersi dell’aliquota ordinaria al 36% o aumentata al 50%. La definizione di abitazione principale è codificata dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi e dal D.L. 101/2011 ed è legato principalmente al luogo in cui un soggetto ha la propria residenza, o meglio la propria dimora abituale. Il TUIR stabilisce all’art 10 che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente”. Il D.L. 101/2011 fornisce, invece, la seguente ulteriore definizione: “Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente […]”.
Riprendendo quanto sopra, affinché un immobile possa essere considerato abitazione principale, devono quindi presentarsi 3 condizioni:
1. il possesso/proprietà (o altro titolo reale quale ad esempio l’usufrutto o il diritto di abitazione);
2. la residenza anagrafica;
3. la dimora abituale intesa come elemento che sussiste continuativamente nel tempo.
Terminiamo parlando forse della novità a nostro avviso più importante, pensiamo anche al fatto che non era contenuta nella prima bozza della legge di bilancio e che alla fine è stata inserita solo in fase di conversione e grazie ad un emendamento!
Stiamo parlando del blocco che hanno avuto gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili.
Dal 1° gennaio 2025 non sarà più possibile incentivare in nessuna maniera l’installazione/sostituzione degli apparecchi alimentati a combustibile gassoso (metano/GPL) o combustibile liquido come il gasolio, gli incentivi rimarranno solo per gli impianti ibridi, composti cioè da una pompa di calore e da una caldaia, controllate da una centralina unica.
Anche l’Italia ha recepito così una delle più stringenti indicazioni della Direttiva (UE) 2024/1275 sulla prestazione energetica nell’edilizia, meglio nota come direttiva “case green”, evitando così il rischio di incorrere in una probabile procedura di infrazione.
IDROGENO: UNA POSSIBILE ALTERNATIVA
Un percorso indispensabile per il raggiungimento della decarbonizzazione
A fronte del recente stop che hanno avuto gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, con riferimento agli incentivi sull’installazione di cui beneficiavano e che abbiamo avuto modo di approfondire nell’articolo precedente, vogliamo in questo articolo provare ad approfondire un combustibile, che ogni tanto viene riproposto. Stiamo parlando dell’idrogeno.
L’Italia, affrontando un percorso di politiche condivise con gli altri Stati Membri, vede nell’idrogeno una possibile alternativa ai combustibili fossili tradizionali e un importante risorsa da incentivare e perseguire, indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione in coerenza con gli impegni assunti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al 2030 e nel Net Zero al 2050. L’idrogeno è una risorsa rinnovabile e a bassa emissione di CO2. Per approfondire il concetto prendiamo spunto dalla recente pubblicazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (novembre 2024) di un importante documento, che prende il nome di “Strategia Nazionale sull’Idrogeno”.
In quanto documento di “strategia nazionale” l’ambito industriale la fa da padrone, nel senso che nell’industria viene visto il principale settore di utilizzo del potenziale combustibile. Tuttavia il settore civile potrebbe assicurare una domanda di idrogeno stabile e sufficiente a permettere degli investimenti nelle strutture di produzione dello stesso. Affermazione rafforzata anche dal fatto che, il documento, dedica un intero paragrafo dal titolo “la possibile domanda di idrogeno nel settore civile”, al settore civile. Stime affrontate nel documento, elaborazioni di scenari possibili, valutano il contributo dell’idrogeno alla decarbonizzazione del settore civile attorno all’ 1% del gas prelevato attualmente dalle reti di distribuzione. Poca cosa rispetto alla domanda di gas naturale del nostro paese. Domanda di gas naturale che al 2024 si attestava comunque su circa 61,7 miliardi di mc (fonte GME). Di questo gas, circa 27 miliardi, ovvero più o meno il 44%, veniva destinato al settore civile, gas utilizzato principalmente per il riscaldamento e l’ACS. Facendo due conti, in un futuro non troppo lontano, l’idrogeno che
potrebbe fluire nelle nostre reti di distribuzioni domestiche potrebbe essere pari a circa 270 milioni di mc. Secondo dati ARERA, una famiglia standard, composta da 4 persone, consuma in media 1.400 mc all’anno. Se facciamo una semplice divisione vediamo come, sempre nel solito futuro non troppo lontano, circa 195.000 famiglie potrebbero beneficiare di questo combustibile. Detto così non sembra così poco, vero?
In un tale contesto, molto ambizioso e articolato quindi, anche l’idrogeno, potrebbe a medio-lungo termine fornire un contributo alla decarbonizzazione del settore.
Già oggi del resto possiamo vedere come parte delle apparecchiature a combustione immesse sul mercato siano certificate per lavorare con miscele di metano e idrogeno fino al 20%. In un medio-lungo termine l’impiego di caldaie a idrogeno o sistemi di cogenerazione a idrogeno potrebbero essere una delle opzioni, in particolar modo per edifici non collegati ad una rete di teleriscaldamento o per edifici per i quali le pompe di calore non possono essere tecnicamente e/o efficientemente utilizzate.
Concludiamo dicendo che quanto emerge dai rapporti e dai documenti europei: Green Deal con il quale si mira a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro e a inquinamento zero entro il 2050 e Fit for 55, che stabilisce l’obiettivo vincolante dell’Unione di riduzione interna delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, è senza dubbio la volontà di decarbonizzare il più possibile i nostri consumi energetici interni in favore dell’elettrizzazione.
Quindi è evidente che se il “vettore energetico” privilegiato è l’energia elettrica, si legga pompe di calore, è anche vero che non sempre l’installazione della tecnologia è perseguibile. Ed è qui che anche l’idrogeno può giocare la sua partita, in particolar modo in Italia dove più del 70% degli edifici sono stati costruiti prima del 1980 e dove la maggior parte degli impianti sono di tipo autonomo, 65% delle famiglie italiane, e dove ancora il metano è la fonte di alimentazione più diffusa, 68% dei casi per i sistemi prevalenti di riscaldamento e nel 70% per l’ACS.
Alla luce delle recenti disposizioni legislative, nello specifico con la recente pubblicazione del nuovo Regolamento Europeo (UE) 2024/573 sui gas fluorurati a effetto serra, che ha abrogato l’ormai superato regolamento (UE) n.517/2014, ci sembra utile ed interessante approfondire un tema, riguardante il possibile riutilizzo degli Fgas recuperati da un’apparecchiatura.
Se è vero che il Regolamento (UE) 2024/573, con riferimento ai limiti di utilizzo dei gas vergini nella manutenzione e nell’assistenza, ha maglie abbastanza larghe per il settore HVAC (si parla di stop dal 1° gennaio 2026 ad Fgas con GWP 2500), la stessa cosa non si può affermare per quanto riguarda interventi di manutenzione ed assistenza sui refrigeratori fissi, i chillers. Qui dal 1° gennaio 2025 è già scattato il limite di soglia sugli Fgas con GWP 2500 e dal 2032, questo limite, si abbasserà ulteriormente a GWP 750. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che dal 1° gennaio 2032, un qualsiasi intervento di manutenzione o assistenza su un chiller non potrà più contare sui dei gas con un potenziale di riscaldamento globale maggiore di 750. Per fare un esempio, l’HFC R410A, non potrà più essere utilizzato, vergine.
Il concetto di Fgas vergine, o meglio sostanza vergine, è ben riportato nel Regolamento, si parla infatti di sostanza “che non è stata usata in precedenza”, ed è naturalmente diverso dal concetto di “riciclo” e di “rigenerazione”. Con riciclo si intende il riutilizzo di un Fgas recuperato, previa effettuazione, di un processo di depurazione di base, quale filtrazione ed essiccazione.
Rigenerazione è, invece, il ritrattamento di un Fgas recuperato, al fine dell’ottenimento di un Fgas con prestazioni equivalenti a quello di una sostanza vergine.
Diciamo questo perché gli Fgas, riciclati o rigenerati, godono di una vita temporale un pochino più lunga, rispetto alle sostanze vergini. Per ritornare all’esempio dell’R410A, se riciclato o rigenerato, potrà essere utilizzato nei refrigeratori, fino al 2050. Alla luce di questo, diventa quindi a nostro avviso sempre più importante capire se e come fare un riciclo di un gas refrigerante.
Per fare questo, possiamo consultare una normativa tecnica di riferimento, la UNI EN 378-4, tra l’altro recentemente tradotta in lingua italiana (luglio 2024). La parte 4 della normativa, ha proprio ad oggetto la conduzione, la manutenzione, la riparazione ed il recupero di sistemi di refrigerazione e pompe di calore.
L’Fgas, previo recupero, potrà essere gestito secondo il presente schema, tratto dalla normativa stessa:
In sintesi la normativa consente il riciclo sia per riutilizzare il gas nella stessa apparecchiatura, sia in apparecchiature simili a quella da cui è stato prelevato il gas, purché il riciclaggio avvenga con idonea strumentazione certificata ISO 11650. Il riutilizzo diretto invece, senza cioè effettuare la procedura di riciclo, è consentito solo per la stessa apparecchiatura previo superamento test antiacido e test di umidità.
Infine la rigenerazione del gas consente di reimpiegare il gas in qualunque situazione, ma l’operazione deve essere effettuata da aziende qualificate. Sembra superfluo affermare ciò, ma è evidente che per capire quando si possono fare l’una o l’altra operazione, serve competenza.
Già a partire dal recupero, al manutentore, è richiesto di saper usare un recuperatore Fgas e tutta l’attrezzatura necessaria per effettuare l’operazione di recupero: gruppo manometrico, pompa del vuoto, bombola ricaricabile, bilancia digitale, eventuale cercafughe elettronico, DPI. Effettuato il recupero, andrà altresì etichettata la bombola, ai sensi del Regolamento di esecuzione (UE) 2024/2174, per indicare che sostanza contiene e, per poter riutilizzare il gas, dovremmo fare almeno un test antiacido (secondo i criteri definiti dallo Standard AHRI 700/2015) e un test di umidità. Il tutto dovrà essere accompagnato da un report, che evidenzi i risultati dei test e la storia dell’impianto.
Parliamo di riciclo invece quando le operazioni di recupero vengono effettuate con apparecchiature conformi alle disposizioni della norma ISO 11650. Rigenerazione quando il gas viene recuperato da un impianto e opportunamente trattato, allo scopo di ottenere un rendimento equivalente a quello di una sostanza vergine, tenendo conto del suo uso previsto. La rigenerazione è in teoria sempre possibile, a patto che l’Fgas sia conferito all’azienda che si occuperà della procedura di rigenerazione e sia opportunamente recuperato in bombole divise per tipologia di gas (è fatto assoluto divieto di miscelare più gas diversi) e che il refrigerante recuperato non sia già irrimediabilmente compromesso.
Se il riutilizzo, il riciclo o la rigenerazione non fossero possibili (si pensi per esempio a possibili contaminazioni dell’Fgas dovuti a bruciatura del compressore) non rimane che l’opzione smaltimento, che tra l’altro è d’obbligo, a fronte dell’impossibilità di effettuare una delle opzioni precedenti.
Si ricorda infatti che è assolutamente vietato disperdere in atmosfera HFC e di conseguenza ogni volta che si procede al recupero di gas refrigerante da un impianto non si hanno altre possibilità se non quelle citate sopra, di cui lo smaltimento costituisce in buona sostanza l’ultima risorsa.
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La presenza di calcare rappresenta una delle problematiche più diffuse legate all’utilizzo dell’acqua in ambito residenziale, commerciale e industriale.
Questo fenomeno si manifesta soprattutto all’interno degli impianti idrosanitari, dove può compromettere nel tempo l’efficienza e la durata di componenti come caldaie, scambiatori di calore, rubinetti e tubazioni. Le incrostazioni di calcare riducono infatti il passaggio dell’acqua, ostacolano lo scambio termico e comportano un conseguente aumento dei consumi energetici.
Oltre ai disagi pratici, i depositi calcarei generano inefficienze energetiche significative, riducono la vita utile degli impianti e comportano costi elevati legati a interventi di riparazione o sostituzione. In un contesto in cui sostenibilità ed efficienza energetica sono sempre più centrali, diventa fondamentale adottare soluzioni di trattamento dell’acqua in grado di prevenire la formazione del calcare, senza comprometterne la qualità. È importante sottolineare che ogni sistema di trattamento deve rispettare le normative vigenti, come previsto dal Decreto Legislativo 18/23, art. 11, e dalle linee guida ISTISAN. Tali disposizioni garantiscono che le soluzioni adottate siano conformi ai requisiti di sicurezza e igiene, tutelando la salute delle persone e la qualità dell’acqua sanitaria.
Una corretta gestione della rete idrica richiede accorgimenti tecnici mirati, orientati sia alla protezione degli impianti nel lungo periodo, sia alla sicurezza e al benessere dell’utente finale.
In quest’ottica, la prevenzione del calcare assume un ruolo chiave, in particolare nelle aree geografiche caratterizzate da elevati livelli di durezza dell’acqua.
La durezza è determinata dalla concentrazione di bicarbonati di calcio e magnesio, insieme ad altri sali disciolti nell’acqua. Si tratta di un parametro naturale, variabile in base alla composizione minerale delle sorgenti. Una durezza elevata favorisce la formazione di depositi calcarei, con impatti diretti sull’efficienza degli impianti e sulla frequenza degli interventi di manutenzione.
La durezza si misura tramite specifici indici, tra cui uno dei più utilizzati è il grado francese (°f): 1°f corrisponde a 10 mg di carbonato di calcio (CaCO₃) per litro d’acqua (1°f = 10 mg/l = 10 ppm).
Dopo un’analisi chimica, i contenuti di calcio e magnesio vengono convertiti in CaCO₃ per determinarne il livello complessivo.
In Italia, la durezza dell’acqua varia sensibilmente in base ai fattori geologici e climatici locali.
Secondo i dati forniti dai diversi enti gestori, molte aree del Paese presentano livelli medio-alti di durezza, con valori che possono superare i 30°f in alcune zone del Nord e del Centro, mentre altre regioni registrano valori più contenuti.
Comprendere queste differenze è fondamentale per valutare le ricadute sull’efficienza degli impianti e per decidere se adottare soluzioni di trattamento dell’acqua. Questo permette di individuare dispositivi mirati, capaci di migliorare la qualità dell’acqua utilizzata quotidianamente.
Le incrostazioni calcaree, causate dalla precipitazione dei carbonati di calcio e magnesio, rappresentano una criticità concreta, in grado di provocare nel tempo: - Riduzione dell’efficienza energetica dei sistemi dovuta ai depositi;
- Danni a elettrodomestici, caldaie e rubinetteria; - Incremento dei costi legati alla rimozione del calcare, alla manutenzione o alla sostituzione delle apparecchiature danneggiate; - Impatto sulla qualità dell’acqua, con residui visibili su superfici o sulla pelle.
Esempi di incrostazioni:
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza sull’importanza della qualità dell’acqua e sulla necessità di prevenire la formazione di calcare. Per questo motivo, il mercato ha visto l’introduzione di numerosi dispositivi progettati per contrastarne la formazione.
Tra le soluzioni disponibili vi sono sistemi elettrolitici, elettronici o elettromagnetici, dispositivi a nucleazione mediante granuli, dosatori di polifosfati e addolcitori.
Noi di Caleffi abbiamo sviluppato la nostra soluzione per proteggere l’acqua e la salute dell’utente finale, garantendo nel tempo il corretto funzionamento dell’impianto e dei dispositivi ad esso collegati.
Il nuovo CALEFFI eCAL® è il nostro dispositivo anticalcare elettrolitico con filtro e magnete che riduce di oltre l’85% i depositi di calcare e offre una protezione continua senza l’uso di sostanze chimiche, preservando le caratteristiche dell’acqua potabile e mantenendo inalterata la sua durezza. È realizzato in materiale antidezincificazione a bassissimo contenuto di piombo, non richiede elettricità e non necessita di sostituzioni o manutenzioni frequenti a differenza di molti dispositivi anticalcare presenti sul mercato che, a seconda della tipologia, richiedono ricariche periodiche e frequenti di polifosfati, granuli o sali. Un ulteriore plus è la presenza del filtro incorporato all’interno del dispositivo anticalcare che non solo permette di risparmiare tempo e spazio durante la fase di installazione, ma assicura un funzionamento ottimale evitando che sabbia o impurità possano compromettere il prodotto.
In che modo il nuovo CALEFFI eCAL® rivoluziona la protezione contro il calcare?
La sua tecnologia innovativa sfrutta l’azione elettrolitica per proteggere impianti, generatori, elettrodomestici e rubinetteria in modo efficace e sostenibile. Il dispositivo elettrolitico sfrutta l’effetto pila: grazie agli elementi interni, costituiti da elementi in lega di rame-zinco/titanio, disposti in serie ed immersi in un flusso di acqua, viene generata una differenza di potenziale elettrico. Questo campo elettromagnetico provoca la prima formazione di piccoli cristalli di carbonato di calcio sotto forma di aragonite anziché calcite. Calcite e aragonite sono due delle forme cristalline più comuni del carbonato di calcio (CaCO3). Sono fondamentalmente il risultato della stessa reazione chimica ma in diverse strutture cristalline a causa delle condizioni ambientali e termodinamiche durante la loro formazione. Il calcare è formato dalla precipitazione di carbonato di calcio sotto forma di calcite, che aderisce alle pareti formando una struttura compatta e resistente, difficile da rimuovere.
Grazie al principio di funzionamento del nuovo CALEFFI eCAL®, quando, a causa del calore, si forma il carbonato di calcio, questo non precipita come cristallo di calcite (soggetto a formazione di calcare) ma come cristallo di aragonite.
Quest’ultima, a differenza della calcite, forma cristalli sospesi nell’acqua che non si depositano facilmente sulle superfici interne delle tubature e degli apparecchi, riducendo così la formazione di incrostazioni. I cristalli di aragonite invece scorrono liberamente, rimanendo in sospensione e fluendo fuori dal rubinetto e dagli apparecchi, evitando così la formazione di calcare o depositi all’interno delle tubazioni.
La forma dei dischetti crea un effetto vortice all’interno del dispositivo, esaltando il fenomeno di modifica della struttura cristallina.
L’acqua attraversa prima una maglia filtrante che cattura le particelle di impurità di dimensioni fino a 50 μm [Img. 4a].
Funzionamento del CALEFFI eCAL®:
Successivamente viene convogliata verso il fondo del dispositivo dove un magnete, non a contatto diretto con l’acqua, trattiene le impurità ferromagnetiche per proteggere ulteriormente l’impianto e migliorare la sua efficienza [Img. 4b].
Giunta sul fondo, l’acqua inverte il suo flusso e passa infine attraverso la cartuccia contenente gli elementi in lega di rame-zinco/titanio disposti in serie. Grazie all’effetto pila descritto in precedenza e al moto vorticoso generato, si formano i cristalli di aragonite [Img. 4c].
Tutti gli elementi interni sono progettati per garantire l’efficienza del dispositivo durante la vita operativa, in media 7 anni dall’installazione. CALEFFI eCAL® è la nuova soluzione contro il calcare che ti permette di proteggere a lungo il tuo impianto preservando le proprietà dell’acqua potabile. GARANTITO CALEFFI.
Un ruolo cruciale nella trasformazione
Negli ultimi anni, l’Italia ha compiuto passi significativi verso la promozione dell’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale attraverso l’adozione di piani di incentivi come il Conto Termico e le detrazioni fiscali.
Il Conto Termico 2.0, tutt’oggi in vigore, ha rappresentato una delle principali leve finanziarie per promuovere l’adozione di sistemi di riscaldamento efficienti, impianti solari termici e altre tecnologie sostenibili, contribuendo a ridurre significativamente le emissioni di gas serra e il consumo di energia nel settore edilizio italiano. Strumento concepito con un duplice obiettivo: da un lato, ridurre le spese energetiche per i cittadini e le imprese; dall’altro, contribuire attivamente alla riduzione delle emissioni inquinanti, in linea con gli obiettivi internazionali di sostenibilità previsti dall’unione europea. Questo tipo di incentivazione ha giocato un ruolo cruciale nella trasformazione energetica del paese, inventivo sfruttato perlopiù dalla pubblica amministrazione piuttosto che dai privati, che di fatto hanno preferito sfruttare altri sistemi si sostegno economico come le detrazioni fiscali.
L’impegno di spesa annua, il costo cumulato degli incentivi impiegati e soprattutto il numero di richieste di incentivo sono consultabili attraverso il “contatore del conto termico”, strumento che analizza i dati relativi al progetto. Nella home page del sito un grafico mostra l’impegno di spesa nell’anno corrente annuale, numero e tipologia di interventi, l’analisi del portale aiuta a percepire quanto l’incentivo venga sempre più utilizzato anno dopo anno. Basti pensare che nell’anno 2026 erano impegnati 35.7 milioni di euro, mentre nel 2024 l’incentivo è sfruttato per 424.9 milioni di euro e per il 2025 le attese sono ancora migliori.
L’idea iniziale dell’incentivo era quella di destinare annualmente 700 milioni ai privati e 200 alla pubblica amministrazione, aspetto che è stato necessario rimodulare nel tempo portando quasi al pareggio la disponibilità della spesa annua che oggi risulta disponibile in 500 milioni per privati e 400 per le imprese, mantenendo sempre il totale di 900 milioni di euro che lo stato mette a disposizione annualmente. Per il 2024 il numero degli interventi effettuati dalle pubbliche amministrazioni sono 1/20 degli interventi effettuati dai privati, ma in termini economici gli incentivi erogati sono simili, dato dal fatto che i privati promuovono tanti piccoli interventi rispetto ai pochi interventi, ma di importo lavori molto più elevato, proposto dalle pubbliche amministrazioni.
È anche interessante notare che mentre le pubbliche amministrazioni promuovono perlopiù sostituzioni di impianti di climatizzazione con pompe di calore (ben oltre il 50% degli interventi), per i privati circa il 60 % degli interventi effettuati sono volti all’installazione della biomassa, il
25 % per l’installazione di solare termico e la percentuale di interventi finalizzati all’installazione delle pompe di calore ammontano a circa il 15%. (Percentuali valide per l’anno 2024).
Alla luce di questi dati e degli obiettivi da raggiungere per il 2030, l’Italia ha deciso di rafforzare questa fonte di incentivazione pubblicando un nuovo conto termico 3.0, attualmente in bozza, ma se ne prevede la pubblicazione in gazzetta tra breve tempo.
Tra le novità rilevanti che saranno introdotte dal Conto Termico 3.0 possiamo elencare:
• Aggiornati i costi massimi specifici di spesa;
• Esteso al 100% il limite massimo di contributo per alcuni edifici pubblici
• Per i soggetti privati che accedono tramite una ESCO se l’incentivo è inferiore a euro 15.000 l’erogazione avviene in un’unica rata;
• Sono state introdotte modeste variazioni al calcolo dell’incentivo;
• È leggermente ampliato l’elenco degli interventi ammissibili, soprattutto per pubbliche amministrazioni che beneficiano di incentivi per impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica.
Nella comparazione tra il vecchio conto termico e la bozza del nuovo è interessante valutare anche l’incremento di incentivo per alcune tipologie di intervento come l’installazione di pompa di calore e sistema a biomassa.
Prendendo a esempio l’installazione di una pompa di calore Idronica da 10.8 kW in potenza resa in caldo e COP di 4.20 installata in zona climatica D, si ottiene un incentivo di circa 2.330 euro.
Per la medesima macchina per il calcolo dell’incentivo dà conto termico 3.0 deve essere preso in considerazione il COP stagionale, la cui sigla è SCOP, in questo caso pari a 3.58 e l’incentivo ammonta a 3.330 euro.
Portando ad esempio l’installazione di un generatore a biomassa da 21 kW in zona climatica E, attualmente l’incentivo è di circa 2.100 euro. Effettuando il calcolo con le nuove regole in arrivo, l’incentivo, se il particolato primario non è inferiore almeno del 20% rispetto alle emissioni minime per la classificazione 5 stelle l’incentivo, ammonta a 1.907 euro, mentre se le emissioni di particolato sono estremamente ridotte l’incentivo può arrivare anche a 2.860 euro.
Possiamo concludere che, in entrambi i casi e specie se il generatore è ad alta efficienza e a basso impatto ambientale, la nuova regolamentazione sarà più vantaggiosa.
Rimane, come del resto è già adesso, che il maggior vantaggio economico sarà per le zone climatiche più fredde dove gli impianti stanno accesi per un maggior numero di ore all’anno.