Battuta di caccia - Annalisa Bertolotti

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Battuta di caccia Risultava davvero difficile immaginarlo in tenuta mimetica, appostato nella segretezza di un capanno in mezzo al fiume, armato della sua carabina, ad attendere che un ignaro pennuto si librasse in volo per colpirlo mortalmente, vederlo ricadere esanime sulle increspature dell'acqua, raccattarlo e gonfiarsi il petto per la propria prodezza. Che si trattasse di un'anatra selvatica, di un germano o di una pernice poco importava: veramente si faticava ad associare la sua corporatura longilinea, allampanata e persino un poco goffa alla fisicità lesta, agile e scattante di un cacciatore. Lui, il direttore di quella scuola media della Bassa- al secolo Settimio Ghironi, così altezzoso ed austero, talmente impeccabile nelle sue candide camicie dal rigido colletto azzimato, così pieno di boria e spocchioso persino nella sua andatura, sembrava uscito da un nugolo di polvere sollevata dalla caduta di uno di quei voluminosi tomi datati e obsoleti, stipati alla rinfusa nella soffitta della sua stessa scuola. Eppure, con la piccola schiera dei suoi “preferiti”, con quel minuscolo gruppo di insegnanti prodigo in languide piaggerie, egli non faceva che gloriarsi della sua mira infallibile, dell'ottima scelta delle sue prede e dei lauti manicaretti che sua moglie Edvige preparava con quella stessa selvaggina. Sì... risultava complicato immaginare... Però, se si analizzava il tutto da un'altra angolazione, se si elaborava la scena da una diversa prospettiva, si giungeva facilmente alla conclusione che uno sport vile e crudele come la caccia ben si coniugava con un essere senza cuore come lui. “Metteva tutti in riga”- come egli stesso era solito ripetere con vanto “Ché non si lavora per vivere, ma si vive per lavorare e il lavoro nobilita- non tanto le tasche quanto lo spirito”. Questo egli diceva ai suoi dipendenti che, di certo, guadagnavano molto meno di lui. E sfoggiava questo motto anche con i neo-assunti nella sua scuola, in quell'edificio di campagna decrepito e mai ristrutturato dove egli stesso, a suo tempo, era stato scolaro, peraltro nemmeno tra i più brillanti. All'esame di terza media sarebbe sicuramente stato bocciato se non fosse intervenuto suo zio, parroco in un vicino paese, che si preoccupò di andare a parlare con l'allora preside Orsi: “Lasêgh pasêr l'esâm...” implorò in dialetto, com'era allora consuetudine anche per pattuire gli affari “Dôp agh pèins mé a tirêrel dèinter in seminâri e agh fâgh fêr al prêt!” (Lasciategli passare l'esame...

Dopo ci penso io a mandarlo in seminario e lo faccio diventare sacerdote!)

Al tempo, la figura di un prete, incuteva rispetto. Per di più, Orsi era un uomo buono, comprensivo: ormai attempato e prossimo alla pensione non cercava, di certo, rogne. Così accomiatò il sacerdote con la promessa che Settimio ce l'avrebbe fatta; convocò la commissione esaminatrice e raccomandò l'alunno: “Domandine semplici...” esortò “ Tanto questo dovrà solo imparare a dir Messa...” E così venne promosso. Di fatto, però, Settimio disattese le aspettative di suo zio. Alla proposta di entrare in seminario egli oppose un atteggiamento di repulsione così forte da iniziare persino ad evitare le funzioni domenicali per dedicarsi-invece- a ciò che più gli piaceva fare: sparare. Dopo quell'agognata promozione, suo padre gli aveva regalato un Flobert. Fu quello il suo primo fucile... Un'arma a un solo colpo; sicuramente poco sofisticata... Però una carabina vera e propria costava tanto ed egli non disponeva di tutto quel denaro... Il sogno di imbracciare un fucile vero e proprio rappresentò la spinta che lo indusse a continuare gli studi sino a diventare professore di Applicazioni Tecniche. Insegnò per un quinquennio prima di decidere di sostenere l'esame da preside e, in quel lustro, tutto ciò che egli spiegò ai suoi alunni non si scostò mai dalle diverse marche di fucili, dalla balistica e dalle peculiarità dei vari tipi di prede. Ma ora... ora era il direttore di quella scuola media della Bassa dove aveva instaurato un clima di timorosa soggezione che investiva tutto il personale: dai professori ai bidelli sino a scendere persino agli alunni.


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