ClassicheFORME 2021

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Concerti trasmessi in differita da RaiRadio3 Registrazioni e produzioni audio a cura di Carlo De Nuzzo - Audiogrill


MEDAGLIA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA alla Prima Edizione del Festival ClassicheFORME


PRESIDENTE ONORARIO

Il Festival Classiche Forme con Beatrice Rana e i suoi collaboratori è una garanzia della più alta qualità e un simbolo genuino dell’amore per la musica e del Sud! Antonio Pappano Sir Antonio Pappano dal 2005 è Direttore Musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dal settembre 2002 Music Director del Covent Garden di Londra. In passato ha ricoperto altri incarichi di prestigio: nel 1990 viene nominato Direttore Musicale della Norske Opera di Oslo e dal 1991 al 2002 ricopre lo stesso ruolo al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles. Nato a Londra nel 1959 da genitori italiani, studia pianoforte, composizione e direzione d’orchestra negli Stati Uniti. Fra le tappe più prestigiose della sua carriera sono da ricordare i debutti alla Staatsoper di Vienna nel 1993, al Metropolitan di New York nel 1997 e al Festival di Bayreuth nel 1999. Pappano ha diretto molte tra le maggiori orchestre del mondo, tra cui New York Philharmonic, Wiener


Philharmoniker,

Berliner

Philharmoniker,

Concertgebouw

di

Amsterdam,

Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, London Symphony Orchestra. Nel 2005 è stato nominato “Direttore dell’anno” dalla Royal Philharmonic Society e ha vinto il Premio Abbiati della Critica Musicale Italiana per l’esecuzione dei Requiem di Brahms, Britten e Verdi realizzati con i Complessi Artistici dell’Accademia di Santa Cecilia. Nel 2015 il premio Abbiati è stato attribuito allo spettacolo Les Troyensdiretto da Pappano alla Scala di Milano. Sir Antonio Pappano registra per Warner Classics e con l’Orchestra e il Coro di Santa Cecilia ha inciso diversi cd. Fra le incisioni più recenti l’Aida di Verdi (vincitrice di numerosi premi, fra cui il Gramophone Classical Music Awards 2016, l’ECHO Klassik Preis 2016 come “Direttore dell’anno” e il Preis der deutschen Schallplattenkritik, Premio della critica discografica tedesca), il Primo Concerto di Čaikovskij e il Secondo di Prokofiev con Beatrice Rana alla tastiera, il Concerto per violino di Brahms e il Primo Concerto di Bartók interpretati da Janine Jansen e il Concerto per pianoforte di Schumann con Jan Lisiecki (DG). Di recente pubblicazione il cd “Anna Netrebko. Verismo” (DG) e, per l’etichetta Ica Classics, la Seconda e Quarta Sinfonia di Schumann e In the South e la Prima Sinfonia di Elgar. Nel febbraio 2016 Pappano ha ricevuto il 58° Grammy® Award nella categoria “Best Classical Solo Vocal Recording” insieme al mezzosoprano Joyce DiDonato per il loro cd “Joyce&Tony” (Erato). Nel 2018 ha registrato con Santa Cecilia l'integrale delle Sinfonie di Bernstein in occasione dei 100 anni dalla nascita del compositore (Warner Classics). Il 16 aprile 2007 Sir Antonio Pappano è stato nominato Accademico Effettivo di Santa Cecilia. Nel 2012 la regina Elisabetta lo ha nominato Cavaliere per i servizi resi alla musica; nello stesso anno è stato anche nominato Cavaliere di Gran Croce dell’ordine al Merito della Repubblica Italiana. Nel 2015 gli è stata conferita la Laurea honoris causa in Musica e Spettacolo dall’Università Tor Vergata di Roma e la RPS Gold Medal - la più alta onorificenza della Royal Philharmonic Society - divenendo il 100° RPS Gold Medallist a partire dalla fondazione del premio, nel 1870.


Chi mi conosce da vicino sa del mio profondo amore e dell’indissolubile legame che mi unisce a Lecce, alle tradizioni, ai profumi e ai colori del Salento. Mi piace pensare a ClassicheFORME quasi come fosse un rito ancestrale che mi porta, ogni anno, per almeno qualche giorno, in diretta comunione con la mia terra. Questa V edizione è particolarmente sentita: non solo per via delle sue dimensioni più ampie, ma perché è stata pensata e programmata dopo un periodo tanto difficile per tutti noi musicisti.

Il

programma

del

Festival

prevederà

momenti

celebrativi

dedicati

all’

anniversario di Igor Stravinskij, brani della grande tradizione cameristica, l’esecuzione della composizione dell’amico Carlo Boccadoro per il Festival, due concerti destinati


a formazioni di artisti emergenti e due eventi che saranno realizzati “In campo aperto”. Per questi ultimi ho voluto pensare a un luogo in cui non esistono palchi e divisioni con il pubblico, non esistono etichette tra artisti emergenti e artisti affermati, ma a un luogo “aperto” in cui far immergere l'ascoltatore; un luogo in cui musica e natura vibreranno sulle stesse onde e gli spettatori saranno circondati da paesaggi mozzafiato. V

edizione

Protagonisti

della

grandissimo

prestigio:

di

Renaud

ClassicheFORME

Capuçon,

Liya

saranno personalità

Petrova, Pablo

di

Ferrández,

Grégoire Vecchioni, Andrea Obiso, Ludovica Rana, Massimo Spada, che si esibiranno

affianco

a

giovani

promesse

del concertismo con il Trio Eidos,

Trio Chagall, Trio Orione. Ancora, per l’evento

dedicato

a

Igor

Stravinskij

avremo

il

compositore

Carlo Boccadoro, il direttore d’orchestra Marcello Panni e il musicologo Gastón Fournier-Facio.

Per e

la

realizzazione

Culturale

della

del

Festival

Regione

ringrazio Puglia,

il Teatro Pubblico Pugliese, l’Amministrazione Carlo

Salvemini

l’Assessorato

rappresentato Comunale di

all’Industria Turistica da

Massimo

Lecce,

il

Bray,

Sindaco

e l’Assessore Fabiana Cicirillo, con cui è nata una nuova ed

entusiasmante collaborazione, il Rettore Fabio Pollice per aver accettato di ospitare alcuni degli eventi del Festival nella splendida cornice del Chiostro del Rettorato, la Fondazione Puglia per il rinnovato sostegno e lo sponsor Libera Terra.


Lecce - Chiostro del Rettorato


Lecce - Convitto Palmieri


Domenica 18 Luglio ore 21:00 Lecce - Chiostro del Rettorato CONCERTO INAUGURALE

Anton Webern

Langsamer Satz per quartetto d’archi, WoO 6

Carlo Boccadoro

Room 237 per violino, viola, violoncello e pianoforte Commissione ClassicheFORME 2021

Antonín Dvořák

Quintetto per pianoforte n. 2 in La maggiore, op. 81

Langsam mit bewegtem Ausdruck

Allegro ma non tanto Dumka: Andante con moto Scherzo (Furiant): Molto vivace Finale: Allegro

Andrea Obiso Liya Petrova Grégoire Vecchioni Ludovica Rana Beatrice Rana

Violino Violino Viola Violoncello Pianoforte


Lunedì 19 Luglio ore 21:00 Lecce – Ortale Teatro Koreja CAPITOLI PUGLIESI TRIO ORIONE

Ludwig van Beethoven

Trio in Si bemolle Maggiore Op. 11

Teresa Procaccini

Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte Op. 36

Raffaele Gervasio

Capitoli per clarinetto, violoncello e pianoforte

Nino Rota

Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte

Allegro con brio Adagio Allegretto con variazioni

Allegro vivace, impetuoso Andantino Presto

I. Andantino II. Allegro III. Andante IV. Scorrevole V. Andante mosso VI. Allegro VII. Andante mosso

Allegro Andante Allegrissimo

Gianluigi Caldarola Clarinetto Ludovica Rana Violoncello Stefania Argentieri Pianoforte


Martedì 20 Luglio ore 19:30 Squinzano (Lecce) - Azienda Agricola Taurino Masseria Ogliarola IN CAMPO APERTO

Programma a sorpresa

Pablo Ferrández Andrea Obiso Beatrice Rana Gregoire Vecchioni Edoardo Grieco Francesco Massimino Lorenzo Nguyen

Violoncello Violino Pianoforte Viola Trio Chagall Violino Trio Chagall Violoncello Trio Chagall Pianoforte


Mercoledì 21 Luglio ore 11:00 Lecce - Biblioteca Bernardini CONVERSAZIONI SU STRAVINSKY

A cura di: Carlo Boccadoro, Gastón Fourier-Facio, Marcello Panni Modera Fiorella Sassanelli


Mercoledì 21 Luglio ore 19:00 Lecce - Chiostro Convitto Palmieri ClassicheFORME YOUNG TRIO CHAGALL

Ludwig van Beethoven

Trio op. 70 n. 1 in Re maggiore “Spettri”

Johannes Brahms

Trio op. 8 in Si maggiore

Allegro vivace e con brio Largo assai Presto

Allegro con brio Scherzo (Allegro molto) Adagio Allegro

Edoardo Grieco Violino Francesco Massimino Violoncello Lorenzo Nguyen Pianoforte


Mercoledì 21 Luglio ore 21:00 Lecce - Chiostro del Rettorato LE SACRE DU PRINTEMPS

Ludwig van Beethoven

Sonata per violoncello e pianoforte n. 3 Op. 69

Wolfgang A. Mozart

Fughe per quartetto d'archi K 405 Trascrizione dal "Clavicembalo ben temperato" di Johann Sebastian Bach

Allegro ma non tanto Scherzo. Allegro molto Adagio cantabile - Allegro vivace

n° 2 in mi bemolle maggiore (BWV 876) n° 3 in mi maggiore (BWV 878) n° 5 in re maggiore (BWV 874)

Igor Stravinsky

Le Sacre du Printemps

Versione originale dell’autore per pianoforte a 4 mani

Pablo Ferrández Andrea Obiso Liya Petrova Beatrice Rana Ludovica Rana Massimo Spada Gregoire Vecchioni Hermes Mangialardo

Violoncello Violino Violino Pianoforte Violoncello Pianoforte Viola Visuals


Giovedi’ 22 Luglio ore 19:30 Supersano - Masseria Le Stanzie IN CAMPO APERTO

Io sono il tempo

Testo di Giulia Maria Falzea – Teatro Koreja Programma musicale a sorpresa

Pablo Ferrández Andrea Obiso Liya Petrova Beatrice Rana Ludovica Rana Massimo Spada Gregoire Vecchioni Giulia Loperfido Ivos Margoni Emanuela Pisicchio

Violoncello Violino Violino Pianoforte Violoncello Pianoforte Viola Trio Eidos Pianoforte Trio Eidos Violino Voce recitante


Venerdi’ 23 Luglio ore 19:00 Lecce - Chiostro Convitto Palmieri ClassicheFORME YOUNG TRIO EIDOS

Ludwig van Beethoven

Trio per archi e pianoforte Op. 1 n. 3

Dmítrij Šostakóvič

Trio per archi e pianoforte n. 1 Op. 8

Johannes Brahms

Trio per archi e pianoforte n. 3 Op. 101

Allegro con Brio Andante cantabile con variazioni Menuetto. Quasi Allegro Finale. Prestissimo

Andante Allegro Moderato Allegro

Allegro energico Presto non assai Andante grazioso Allegro molto

Ivos Margoni Violino Stefano Bruno Violoncello Giulia Loperfido Pianoforte


Venerdi’ 23 Luglio ore 21:00 Lecce - Chiostro del Rettorato SONATA A KREUTZER

Sergej Rachmaninov

Trio élégiaque per pianoforte, violino e violoncello Op. 9 Lento lugubre

Leós Janàček

Quartetto per archi n. 1 VII/8 ispirato a “La Sonata a Kreutzer” di Tolstoj Adagio. Con moto Con moto Con moto. Vivo. Andante Con moto (Adagio). Più mosso

Ludwig van Beethoven

Sonata a Kreutzer Versione originale dell’autore per Quintetto d’archi Adagio sostenuto. Presto Andante con variazioni Finale. Presto

Andrea Obiso Liya Petrova Grégoire Vecchioni Pablo Ferrández Ludovica Rana Beatrice Rana

Violino Violino Viola Violoncello Violoncello Pianoforte


Sabato 24 Luglio ore 21:00 Lecce - Chiostro del Rettorato RECITAL

Sergej Prokofiev

Sonata n. 1 in Fa minore Op. 80

Robert Schumann

Sonata n. 1 in La minore Op. 105

Sergej Prokofiev

Sonata n. 2 in Re maggiore Op. 94 bis

Andante assai Allegro brusco Andante Allegrissimo - Andante assai, come prima

Mit leidenschaftlichem Ausdruck Allegretto Lebhaft

Moderato Scherzo: Presto - Poco più mosso - Tempo I Andante Allegro con brio - Poco meno mosso – Tempo I - Poco meno mosso Allegro con brio

Renaud Capuçon Violino Beatrice Rana Pianoforte


Fondazione Puglia


CARLO BOCCADORO - compositore Carlo Boccadoro è nato a Macerata nel 1963; ha studiato al Conservatorio "G. Verdi" di Milano dove si è diplomato in Pianoforte e Strumenti a Percussione. Dal 1990 la sua musica è presente in importanti stagioni concertistiche e sale da concerto tra cui: Teatro alla Scala, Biennale di Venezia, Bang On A Can Marathon di New York, Orchestra Filarmonica della Scala, Gewandhaus di Lipsia, Aspen Music Festival, Gaudeamus Festival Utrecht, Monday Evening Concerts (Los Angeles), Detroit Symphony Orchestra, Musikverein di Vienna, Kunsthalle Bremen, Festival Enescu Bucarest, Salle Pleyel di Parigi, Teatro La Fenice di Venezia, Barbican Centre di Londra, Alte Oper di Francoforte, Festpielhaus BadenBaden,Concertgebouw di Amsterdam e molti altri. Ha collaborato con artisti provenienti da mondi molto diversi, tra i quali Riccardo Chailly, Omer Meir Wellber, Gianandrea Noseda, Simone Rubino, Daniele Rustioni, Luca Ronconi, John Axelrod,Tim Berne, Matt Mitchell, Ches Smith, Oscar Noriega, Franco Battiato, Gavin Bryars, David Lang, Enrico Dindo,

Donald Crockett, James MacMillan, Vicky Ray, Evan Ziporyn, Bruno Canino, Marcello Panni, Eugenio Finardi, Domenico Nordio, Mario Brunello e numerosissimi altri musicisti. E' tra i fondatori del progetto culturale Sentieri selvaggi, che comprende un Festival al Teatro Elfo Puccini di Milano e un Ensemble di cui è Direttore Artistico e Musicale. Dal 2017 è Direttore Artistico della stagione concertistica della Scuola Normale Superiore di Pisa. Svolge anche attività come direttore d'orchestra: ha diretto l'Orchestra del Teatro alla Scala, l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, la Royal Philarmonic Orchestra, e altre ancora. Presso l'editore Einaudi ha pubblicato diversi libri: Musica Coelestis Jazz!, Lunario della musica, Racconti Musicali, Analfabeti sonori; per l'editore Marcos Y Marcos ha pubblicato il libro di fiabe La grande battaglia musicale, presso l'editore Mondadori ha pubblicato Le 7 note per 7 musicisti. Nel 2018 presso SEM ha pubblicato 12 (Storie di dischi irripetibili, musica e lampi di vita). Collabora con Radio3 in programmi radiofonici di carattere musicale. Sue composizioni sono state registrate su diverse etichette discografiche, tra cui Deutsche Grammophon, Sony Classical, Delos, Da Vinci Records, Warner Classics, EMI Classics, EMA Records, Ricordi, Canteloupe Music,Agorà, Velut Luna, Materiali Sonori, Sensible Records, Phoenix Classics.


RENAUD CAPUÇON - violino Un grande impegno ed interesse nella musica da camera lo hanno portato a collaborare con artisti del calibro di Martha Argerich,Nicolas Angelich, Daniel Barenboim, Yuri Bashmet, Yefim Bronfman, Khatia Buniatishvili, Hélène Grimaud, Clemens Hagen,Yo-Yo Ma, Maria João Pires,Daniel Trifonove Yuja Wang, così come insieme a suo fratello, il violoncellista Gautier Capuçon, in festival internazionali rinomati quali Berlino, Lucerna, Verbier, Aix-en-Provence,Roque d’Anthéron, San Sebastián, Stresa, Salisburgo,Edimburgo eTanglewood. Renaud Capuçon ha anche rappresentato la Francia in alcuni dei più rinomati eventi internazionali: si è esibito con Yo-Yo Ma sotto l’Arco di Trionfo per la commemorazione ufficiale del Giorno dell’Armistizio nella presenza di più di 80 capi di stato e si è esibito per leader mondiali al G7 Summita Biarritz. Renaud Capuçon è Direttore Artistico di due

festival, il Sommets Musicaux de Gstaad, dal 2016, e il Festival di Pasqua di Aix-en-Provence, che ha fondato nel 2013. Recentemente è stata annunciata la sua nomina come Direttore Artistico dell’Orchestre de Chambre de Lausanne per la stagione 2021/22. Renaud Capuçon ha costruito una vasta discografia e registra esclusivamente con Erato / Warner Classics. Alcune recenti pubblicazioni includono: le Sonate di Bach con David Fray, Trii di Dvořák e Tchaikovsky con Lahav Shani e Kian Soltani, registrati dal vivo al Festival di Aix-en-Provence, i Concerti per due violini di Bartok con la London Symphony Orchestra e FrançoisXavier Roth, Brahms e Berg con la Filarmonica di Vienna e Daniel Harding e musica da camera di Debussy. Il suo album 'Au Cinema', che include alcune amate selezioni di musica da film, è stato pubblicato con gran successo di critica nell’ottobre 2018. Nel 2017, Renaud Capuçon ha fondato un nuovo ensemble, i Lausanne Soloists, composto da studenti attuali e precedenti della Haute École de Musique de Lausanne, dove detiene una cattedra dal 2014. Suona il violino Guarneri del Gesù 'Panette' (1737), che apparteneva a Isaac Stern. Nel giugno 2011 è stato nominato "Chevalier dans l'Ordre National du Mérite" e nel marzo 2016 "Chevalier de la Légion d' honneur" dal governo francese.


GASTÓN FOURNIER-FACIO Consulente Artistico dell’Orchestra Mozart Nato in Costa Rica, ha insegnato Storia della Cultura e Storia del Diritto presso l’Universidad de Costa Rica. È stato Coordinatore Artistico di prestigiose istituzioni lirico-sinfoniche italiane come il Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, a fianco del suo fondatore Hans Werner Henze, la Biennale Musica di Venezia, con il Direttore Artistico Sylvano Bussotti, Maggio Musicale Fiorentino, con il Direttore Musicale Zubin Mehta, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, accanto a Luciano Berio, Bruno Cagli, Myung-Whun Chung e Antonio Pappano, Teatro alla Scala di Milano, con Stéphane Lissner e Daniel Barenboim. Ha organizzato numerose registrazioni (CD e DVD) realizzate dall’orchestra e dal coro del Maggio Musicale Fiorentino (Firenze), dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (Roma) e della Gustav Mahler Jugendorchester (diretta da Claudio Abbado), con le etichette Deutsche Grammophon, Sony, Decca, EMI, RCA-BMG, Musicom, Foné, Philips ed

EuroArts. Ha realizzato tournée con l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino e con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Europa, Sud America, Oman, India ed Estremo Oriente con i direttori d’orchestra Zubin Mehta, Myung-Whun Chung, Mstislav Rostropovich, Daniele Gatti e Antonio Pappano. Dal 2007 ha organizzato tutti i progetti di co-produzione del Teatro alla Scala con i principali teatri e festival europei e americani, compresi il Royal Opera House Covent Garden, l’Opéra de Paris, la Staatsoper Unter den Linden Berlin, il Festival d’Aix-en-Provence, il Salzburger Festspiele, il Gran Teatre del Liceu Barcelona, la San Francisco Opera e The Metropolitan Opera. Ha curato il libro Dialoghi su Musica e Teatro: Tristano e Isotta di Daniel Barenboim e Patrice Chéreau (Feltrinelli, 2008). Ha pubblicato vari testi sulla vita e l’opera di Gustav Mahler per Electa, De Sono, The Boydell Press, EDT. Il suo progetto del Festival Alfredo Casella ha vinto il prestigioso Premio della Critica Musicale Italiana, il Premio Abbiati, “quale miglior Iniziativa musicale” del 2016. Nel 2005 è stato insignito dalla Repubblica Austriaca della Ehrenkreuz für Kunst und Wissenschaft (Croce d’Onore per l’Arte e la Scienza).


PABLO FERRÁNDEZ - violoncello Vincitore del XV Concorso Internazionale Tchaikovsky e artista esclusivo SONY Classical, Pablo Ferrández si annuncia come musicista di grande prestigio. Interprete accattivante, “Ferrández ha tutto: tecnica, coraggio, spirito, autorità come solista, espressività e fascino” ( El Pais). I momenti salienti recenti includono i debutti all'Hollywood Bowl con la Los Angeles Philharmonic sotto G. Dudamel, con la Bayersichen Rundfunk Symphony Orchestra sotto D. Gatti, con la Bamberg Symphony sotto C. Eschenbach, esecuzioni del doppio concerto di Brahms e del triplo concerto di Beethoven con Anne-Sophie Mutter, e apparizioni con la London Philharmonic, Israel Philharmonic, Rotterdam Philharmonic, Vienna Symphony e Orchestre National de France, tra gli altri. Come solista e musicista da camera, collabora frequentemente con artisti come Vadim Repin, Martha Argerich, Gidon Kremer, Yuja Wang, Nikolay Lugansky, Khatia Buniatishvili, Beatrice Rana, Denis Kozhukhin,

Maxim Rysanov, Ray Chen, Alice Sara Ott, Elena Bashkirova, Luis del Valle e Sara Ferrández. Nato a Madrid nel 1991, in una famiglia di musicisti, Pablo Ferrández è entrato a far parte della prestigiosa Escuela Superior de Música Reina Sofía quando aveva 13 anni per studiare con Natalia Shakhovskaya. Successivamente ha completato i suoi studi presso l'Accademia Kronberg con Frans Helmerson ed è ha frequentato la Fondazione AnneSophie Mutter. Pablo Ferrández suona lo Stradivari “Lord Aylesford” (1696) grazie alla Nippon Music Foundation.


ANDREA OBISO - violino Nato nel 1994, ha debuttato come solista a tredici anni con la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana" eseguendo il concerto per violino n. 5 di H. Vieuxtemps. Vincitore del "66 ° Concorso ARD 2017" a Monaco (Germania), ha vinto il 1 ° Premio e Premio del pubblico al Prix Ravel 2017, 2 ° Premio al XI A. Khachaturian Concorso Internazionale di Violino, il "Premio Speciale per “Virtuosistica Performance" al "6 °Concorso Tchaikovsky per Giovani Musicisti” in Corea. È stato semifinalista al "Shanghai Isaac Stern International Violin Competition". Andrea è uno studente "Artist Diploma" presso il "Curtis Institute of Music" di fama mondiale a Filadelfia, dove studia anche studia direzione, contrappunto nella composizione, improvvisazione ed estetica della musica. Dal 2005 al 2015 è stato il più giovane studente ammesso all'Accademia Chigiana di Siena (Italia) nello studio di Boris Belkin, con il quale ha studiato anche al Conservatorio di Maastricht. Le sue esibizioni più importanti sono

avvenute con la Bayerische Rundfunk Symphonie Orchestre, la Muenchener Kammerorchester, la Shanghai Symphony Orchestra, la Central Aichi Symphony Orchestra del Giappone, l'Orchestra Sinfonica di Roma, la State Youth Orchestra of Armenia, l'Orchestra del Teatro Bellini di Catania, l'Orchestra Filarmonica di Bologna, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Orkest der Lage Landen, Mosca Virtuosi, Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, Limburgs Symfonie Orkest, Orchestra Arturo Toscanini di Parma e molti altri, sempre acclamati da pubblico e critica. Andrea Obiso nel 2020 è stato nominato primo violino dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Condividerà la posizione con Carlo Maria Parazzoli. Attualmente Andrea Obiso suona un violino "Joseph Guarneri del Gesù 1741", prestato con grazia da "NPO Yellow Angel" e usa un arco "E. Pajeot" prestato da "Nippon Violin Co. Ltd.".


MARCELLO PANNI Direttore d’orchestra Marcello Panni compie gli studi di pianoforte, composizione e direzione d’orchestra nella sua città al Conservatorio di Santa Cecilia. Si perfeziona in seguito nella composizione all’Accademia di Santa Cecilia con Goffredo Petrassi e in direzione d’orchestra con Manuel Rosenthal al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi. Debutta come direttore nel 1969 alla Biennale di Venezia con un concerto dedicato a musiche di Petrassi. Da allora, Panni porta avanti le carriere parallele di compositore e di direttore d’orchestra. Esordisce come compositore con lavori quali Prétexte per orchestra, Empedokles - Lied per baritono e orchestra, Arpège per arpa e percussioni, D’Ailleurs per quartetto d’archi, Patience per coro e orchestra. Nel 1971 fonda l’Ensemble TeatroMusica. Con questa formazione compie tournées in tutta Europa, eseguendo e registrando opere di Schnebel, Cage, Pennisi, Berio, Bussotti, Clementi, Donatoni,

Feldman, e rappresenta alla Piccola Scala di Milano Klangfarbenspiel, pantomima musicale in collaborazione con Piero Dorazio e Mario Ricci (1972). Dalla fine degli anni ’70 è ospite regolare delle principali istituzioni musicali italiane e dei più importanti teatri lirici internazionali, quali l’Opéra di Parigi, il Metropolitan di New York, il Bolshoij di Mosca, la Staatsoper di Vienna. Dirige la prima esecuzione assoluta di Neither di Morton Feldman all’Opera di Roma (1976), Cristallo di Rocca di Silvano Bussotti alla Scala di Milano (1983), Civil Wars di Philip Glass all’Opera di Roma (1984). Dal 1980 al 1984 insegna composizione al Mills College di Oakland, California, titolare della prestigiosa Milhaud Chair. Panni ha composto diverse opere liriche: Hanjo, commissione del Maggio Musicale Fiorentino; Il Giudizio di Paride, scritta per l’Opera di Bonn (1996), The Banquet (Talking about Love), commissione dell’Opera di Brema (1998), ripresa nel 20012002 a Roma, Genova e Firenze. Ha ricoperto i ruoli di direttore artistico dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, direttore musicale dell’Opera di Bonn, direttore musicale dell’Opera e dell’Orchestra Filarmonica di Nizza, Direttore Artistico dell’Accademia Filarmonica Romana, dell’Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce e dell’Orchestra Sinfonica Siciliana di Palermo. Diventa Accademico di Santa Cecilia nel 2003.


LIYA PETROVA - violino Liya Petrova, è risultata vincitrice del primo premio all'International Carl Nielsen Violin Competition 2016 in Danimarca. “Il suo talento impressiona per il "virtuosismo senza sforzo" (The Strad), " la varietà sonora eccezionale" (Gramophone) e "suono splendido - maturo e argenteo; Fraseggio di maestosa ampiezza ”(The Times). Liya ha vinto numerosi premi in concorsi internazionali come il Concours International de Violon Tibor Varga, l'International Louis Spohr Competition e il Vaclav Huml Competition tra gli altri, e al German Music Competition che le ha dato la possibilità di accedere all’ensemble dei Solisti del DMR (Deutscher Musikrat). Come solista Liya si è esibita con molte rinomate orchestre come l'Orchestre Philharmonique Luxembourg, la Filharmonie Antwerp, l'Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, l'Orchestre National de Belgique, l'Orchestre de Chambre de Lausanne, la Sinfonia Varsovia e altre. Ha lavorato con direttori come Philippe Herrewege, Krzysztof Penderecki, Yan Tortelier, Nikolaj

Szeps-Znaider, Christopher WarrenGreen, Jesús López Cobos e Michel Tabachnik. Il suo primo album da solista con l'Orchestra Sinfonica di Odense diretta da Kristiina Poska, incluso il primo concerto per violino di Nielsen e Prokofiev per l'etichetta Orchid Classic (2018), le ha portato il plauso della critica internazionale. Ha collaborato con Ivry Gitlis, Renaud Capucon Augustin Dumay, James Ehnes, Nicholas Angelich, Frank Braley, Yuja Wang, Gerad Caussé, Autoine Tamestit, Gary Hoffman e Gautier Capucon in numerosi progetti di musica da camera. Tra gli altri, Liya ha suonato come ospite al Festspielen Mecklenburg-Vorpommern, al Rheingau Musik Festival, al Ludwigsburger Schlossfestspielen, al Festival de Radio France Montpellier, al Festival di Mentone. Liya Petrova è nata in Bulgaria circondata da una famiglia di musicisti. All'età di 11 anni ha iniziato i suoi studi in Germania come giovane studentessa presso la Hochschule für Musik und Theater Rostock. Dopo aver studiato lì con Petru Munteanu, Liya ha proseguito i suoi studi con Augustin Dumay alla Chapelle Musicale Reine Elisabeth in Belgio, Renaud Capucon all'HEMU di Losanna e Antje Weithaas alla Hochschule für Musik “Hans Eisler” di Berlino. Liya suona uno straordinario strumento costruito da Carlo Bergonzi nel 1737 a Cremona, su generoso prestito di Xavier e Josephine Moreno.


BEATRICE RANA - pianoforte Beatrice Rana ha scosso il mondo della musica classica internazionale, suscitando ammirazione e interesse da presentatori di concerti, direttori d'orchestra, critici e pubblico internazionale. Beatrice si esibisce nelle sale da concerto e nei festival più apprezzati al mondo, tra cui Konzerthaus e Musikverein di Vienna, Filarmonica di Berlino, Concertgebouw di Amsterdam, Lincoln Center e Carnegie Hall di New York, Tonhalle di Zurigo, Wigmore Hall di Londra e tanti altri. Collabora con direttori come Yannick NézetSéguin, Antonio Pappano, Fabio Luisi, Riccardo Chailly, Paavo Järvi, Valery Gergiev, Yuri Temirkanov, Gianandrea Noseda, Vladimir Jurowski, Trevor Pinnock, Kent Nagano, Zubin Mehta e altro ancora. Le apparizioni orchestrali includono la Royal Concertgebouw Orchestra, la London Philharmonic Orchestra, la City of Birmingham Symphony Orchestra, l'Orchestre de Paris, la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, la Toronto Symphony Orchestra, la BBC Symphony Orchestra, la Philadelphia Orchestra,

la Los Angeles Philharmonic, la Detroit Symphony Orchestra. Beatrice Rana registra in esclusiva per la Warner Classics. Nel 2015, il suo primo album con Prokofiev Piano Concerto No.2 e Tchaikovsky Piano Concerto No.1 con Antonio Pappano e l'Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma ha ricevuto il prestigioso Gramophone Magazine's Editor's Choice e il premio Newcomer of the Year della BBC Music Magazine. Il 2017 rimarrà una pietra miliare nella sua carriera con l'uscita delle Variazioni Goldberg di Bach. La registrazione è stata elogiata dai critici di tutto il mondo ed è stata incoronata da due importanti riconoscimenti: "Young Artist of the Year" ai Gramophone Awards e "Discovery of the year" agli Edison Awards. Il suo ultimo album con opere di Stravinsky e Ravel è stato pubblicato nell'ottobre 2019 e ha ricevuto numerosi premi tra cui Diapason d'Or de l'Année e Choc de l'Année Classica in Francia. Un album di Chopin uscirà nell'autunno 2021. Nel 2017, Beatrice ha avviato il suo festival di musica da camera «Classiche Forme» nella sua città natale di Lecce, in Puglia. Il festival è diventato uno dei principali eventi estivi in Italia. Nel 2020 diventa direttore artistico dell'Orchestra Filarmonica di Benevento. E’ appena stata nominata Accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.


LUDOVICA RANA - violoncello Nata nel 1995 in una famiglia di musicisti, Ludovica ha precocemente intrapreso l’attività come solista, esibendosi sia in recital presso importanti società concertistiche come la Società dei Concerti di Milano, Cremona Mondo Musica, Musica Pura di Pordenone, Festival Ritratti di Monopoli, Fazioli Concert Hall, Accademia Filarmonica di Messina, Varignana Music Festival, I concerti del Quirinale, Festival Villa Solomei, Festival Classiche Forme, sia come solista con diverse orchestre come l’Orchestra ICO di Lecce, l’Orchestra di Padova e del Veneto, Orchestra Sinfonica Siciliana. Numerose sono poi le collaborazioni, nell’àmbito della Musica da Camera, tra le quali quelle con la sorella Beatrice Rana, Enrico Dindo, Pablo Ferràndez, Giovanni Sollima, Bruno Giuranna, Oleg Kaskiv, Francesco Libetta, Massimo Quarta, Danilo Rossi, Alessandro Taverna, Pavel Vernikov. Diplomatasi in Violoncello nel 2014 con il massimo dei voti e la lode presso l’Istituto Musicale “Giovanni Paisiello” di Taranto nella classe del

M° Andrea Agostinelli, Ludovica deve anche la sua formazione al M° Enrico Dindo presso la Pavia Cello Academy e presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano dove ha conseguito il Master in Music Performance e, successivamente, al M° Giovanni Sollima, nel Corso di Perfezionamento in Violoncello presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove si diploma con il massimo dei voti. Sempre presso la stessa Accademia Nazionale di Santa Cecilia consegue il diploma con il massimo dei voti nel Corso di Perfezionamento di Musica da Camera sotto la guida del M° Carlo Fabiano. Si è formata inoltre con illustri violoncellisti come Conradin Brotbek, Michael Flaksman, Johannes Goritzki, Antonio Meneses presso l’Accademia Chigiana di Siena, Frans Helmerson presso l’Accademia di Montepulciano, Antonio Mosca, Asier Polo, Troels Svane, Rafael Wallfish. Suona un violoncello Claude Augustin Miremont del 1870.


MASSIMO SPADA - pianoforte Formatosi in importanti istituzioni con prestigiosi maestri del calibro di Benedetto Lupo, Lazar Berman, Elissò Virsaladze; nel 2008, all’interno dell’Accademia “Incontri col maestro”, con i pianisti Joaquin Soriano e Andrea Lucchesini, collabora abitualmente con musicisti come Roberto GonzálezMonjas, Beatrice Rana, Andrea Obiso, David & Diego Romano, Masha Diatchenko & Andrea Oliva. La sua intensa attività concertistica l’ha portato a esibirsi in moltissimi festival in Italia e Asia: a Roma, Al Parco della Musica, Torino, all’interno del Festival MiTo, ad Assisi nell’occasione dei “Festival Internazionali per la Pace”, all’interno della “Sagra Malatestiana” a Rimini, e in altre prestigiose rassegne musicali a Venezia, Padova, Bologna, Cuneo, Matera, La Spezia, Sulmona, Catania, Siracusa, Campobasso, Aosta, in Pakistan e Sri Lanka. Lavora anche abitualmente nel campo della promozione e diffusione della musica contemporanea, esibendosi in importanti sedi musicali, quali il Parco

della Musica, Palazzo Valentini e molti altri, proponendo spesso brani a lui dedicati. Dal 2011 è il pianista dell’Ensemble Novecento, diretto dal M° Carlo Rizzari, con il quale si è dedicato alla promozione della nuova musica di compositori emergenti. Nel 2013 è stato invitato a suonare presso l’Associazione Nuova Consonanza, ed ha tenuto la prima esecuzione italiana della Sonata per Viola e Pianoforte di Lowell Liebermann, esibendosi con il dedicatario della partitura, Neal Gripp, Prima Viola dell’Orchestra di Montreal. È docente di Pianoforte Principale presso il Conservatorio Morlacchi di Perugia, e a Roma presso l’accademia Avos Project, di cui è membro fondatore.


GRÉGOIRE VECCHIONI - viola Nato a Digione nel 1988, Grégoire Vecchioni ha studiato al Conservatorio Nazionale Superiore de Musique de Lyon con Françoise Gnéri, poi con Gérard Caussé e Antoine Tamestit a Parigi. Nel 2010, Grégoire è stato selezionato dalla Verbier Festival Orchestra che gli ha permesso per perfezionarsi con Valery Gergiev, Daniel Harding e Rafael Frühbeck di Burgos. Membro fondatore del quartetto Van Kuijk, è stato nominato “BBC 3 New Generation Artists "nel 2015 e" Rising Star "nel 2017. Nel 2015 ha vinto il 1 ° Premio della Wigmore Hall String Quartet Competition. La sua esperienza nella musica da camera gli permette di essere chiamato regolarmente sostituire in diversi quartetti: Modigliani, Psophos e Ebony. Dal 2015 fa parte dell'orchestra dell'Opéra National de Paris diretta da Philippe Jordan. Sempre curioso e interessato alle novità, è entrato a far parte del Sirba Octet nel 2019, Musica yiddish, fondata da Richard Schmoucler e composta da musicisti membri dell'Orchestre de Paris e dell'Orchestre National de France.

TRIO CHAGALL Nonostante la giovanissima età, il Trio Chagall si è recentemente imposto all’attenzione dell’ambiente musicale qualificato grazie agli straordinari risultati ottenuti alla XX edizione del prestigioso Premio “Trio di Trieste”. Oltre ad aver conseguito il Secondo Premio (con Primo Premio non assegnato) è stato insignito dei premi speciali "Dario de Rosa" per la migliore esecuzione di un brano di Schumann, "Fernanda Selvaggio" come miglior Trio del concorso e “Young award" come ensemble finalista più promettente. E’ inoltre risultato, con 20 anni d’età media, il più giovane gruppo da camera mai premiato nella storia del concorso. Fondato nel 2013 da Lorenzo Nguyen, Edoardo Grieco e Francesco Massimino presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino sotto la guida del M° Marco Zuccarini, attualmente studia con il M° Antonio Valentino. Nel 2018 è risultato vincitore assoluto della categoria di musica da camera e finalista del concorso Amadeus Factory e al Concorso di Giussano, ottenendo il 1° premio assoluto, il premio speciale “Il Progresso” e il


premio “Città di Giussano”, dedicato ai migliori concorrenti dell’intera edizione tra più di 100 iscritti. Parallelamente agli studi il Trio affianca un’intensa attività concertistica su territorio nazionale, che l’ha portato ad esibirsi in sedi prestigiose, tra cui la “Sala Verdi” del Conservatorio di Milano, il Teatro dal Verme, Palazzo Carignano di Torino, la Reggia di Venaria, il Teatro Vittoria per l’Unione musicale, i Musei Vaticani, “Sala Sassu” presso il Conservatorio di Sassari e Casa Verdi per la Società del Quartetto, sempre ottenendo notevole apprezzamento da parte dell’ambiente musicale qualificato. Il Trio è stato inoltre recentemente selezionato per entrare a far parte del progetto “le Dimore del Quartetto”. Dal 2016 il Trio si perfeziona presso l’Accademia di musica di Pinerolo Sotto la guida del Trio Debussy.

TRIO EIDOS Il Trio Eidos nasce come formazione stabile nell'estate del 2020 dall'incontro tra il violinista Ivos Margoni, il violoncellista Stefano Bruno, e la pianista Giulia Loperfido, Dall'ottobre del 2020 il Trio intraprende il Biennio di Perfezionamento in Musica da Camera nell'ambito dell'Avos Project, sotto la guida del Quartetto Avos. Parallelamente ha frequentato Masterclass con il Trio di Parma presso l'Accademia Perosi di Biella e con Andrea Lucchesini presso l'Accademia Nazionale di S. Cecilia. Nell'aprile del 2021 si esibisce a Roma presso l'Oratorio del Gonfalone e ha in programma collaborazioni con enti quali l'Accademia Filarmonica Romana, gli Amici della Musica di Firenze, il Festival "Classiche Forme", l'Accademia degli Sfaccendati e la Fondazione William Walton.


TRIO ORIONE Il Trio Orione, di recente formazione è formato da 3 giovani musicisti pugliesi, particolarmente dotati e con un’importante carriera concertistica. Gianluigi Caldarola, Primo Clarinetto Solista presso l’ Orchestra dell’ Opera Royal de Wallonie di Liegi, ha vinto numerosi concorsi e collaborato con varie orchestre tra cui la Cherubini fondata dal M. Riccardo Muti , l’ Orchestra Haydn di Bolzano, l’ Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova, l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. Svolge un’intensa attività solistica e cameristica; si è esibito nell’ ambito di importanti festival e sale prestigiose come la Helmut List Halle di Graz (Austria), il Teatro dell’Opera di Lille, e la Korzerthaus de La Seine Musical di Parigi. Ludovica Rana, violoncellista tra le più dotate del panorama musicale italiano, si è imposta al pubblico vincendo importanti competizioni musicali come il Vittorio Veneto, il Geminiani, il Premio “The Note Zagreb” al Concorso A. Janigro. Si è formata con prestigiosi maestri come E. Dindo, G. Sollima, F. Helmerson, A.

Polo e si è esibita in importanti sale prestigiose Società concertistiche in Italia e all’estero. Ha al suo attivo numerose registrazioni solistiche e cameristiche per Sony, Amadeus, MVC e per RAI Radio3. Stefania Argentieri, pianista, medaglia d’Oro al Premio Maison Des Artistes, suona regolarmente in tutto il mondo per gli enti più prestigiosi; ha registrato per Radio Vaticana, per EuroClassicPlanet e per l’Istituto Culturale Italiano di Los Angeles. Ha inoltre ottenuto il primo premio assoluto in numerosi concorsi si internazionali che nazionali.


GIULIA MARIA FALZEA – autrice

HERMES MANGIALARDO visuals

Nasce il 9 maggio 1985 nel sud della Puglia. Inizia a camminare presto e a parlare tardi. Per alleviare il dolore della dentizione mastica angoli di libri. Lavora nel Teatro Koreja di Lecce. Laureata in lettere, specializzata in giornalismo, master in economia dello sviluppo. Ha vissuto in nove città, fatto quattordici traslochi, collezionato agende. Conosce a memoria quasi tutta La Traviata. Ha lavorato, tra gli altri, per La Repubblica Bari e Save the Children. È autrice, con Claudia Gori di un’auto-produzione, Anatomia dei Sentimenti. Guida illustrata alle relazioni amorose. È autrice di testi per il teatro, un suo spettacolo, L’abito della Festa è tradotto anche in francese. È autrice di Nora racconto edito nella raccolta Secret Garden (Danilo Montanari Editore). Fa parte dell’antologia di racconti Musa e Getta (Ponte alle Grazie editore) con il testo Viva Verdi. Vita di Giuseppina Strepponi in Verdi. Suoi racconti saranno pubblicati sulle riviste on line e non Narrandom e Bomarscé.

Cartoonist, videomaker, Visual performer, 3D mapper, Hermes Mangialardo dal 2003 si occupa di tutto ciò che ruota intorno all'animazione digitale. I suoi cortometraggi sono stati proiettati (e premiati) nei più impostanti festival in giro per il mondo, ottenendo nominations e una serie di riconoscimenti prestigiosi (tra cui i “nostrani” Corti d’Argento e Giffoni Film Festival ). Nel 2008 crea per MTV la serie cult URBAN JUNGLE. Nel 2009 comincia la sua attività di visual performer (best italian VJ 2009) e 3D mapper, realizzando Architectural mapping in giro per l'Europa, e vincendo il primo premio al Pescara Mapping e l'audience award al Zsolnay Videomapping contest in Ungheria. Dal 2006, insieme ad uno staff di designer, ha creato Plasmedia (www.plasmedia.it), un'agenzia specializzata nella comunicazione digitale in generale (Web, animazioni, video, carta stampata, applicazioni multimediali, video arte).


Emanuela Pisicchio – attrice Nasce nel 1987 a Monopoli (Ba). Dopo aver conseguito il perfezionamento in “Linguaggi e Tecniche teatrali nell’educazione” presso l’Università Bicocca di Milano, prosegue la propria formazione in ambito teatrale con diversi maestri, tra cui Elena Bucci, Marco Sgrosso, Alfonso Santagata, Alessandro Serra, Cesar Brie, Maria Grazia Mandruzzato, Iben Nagel Rasmussen. Dal 2013 è attrice e pedagoga presso i Cantieri Teatrali Koreja. Partecipa a diverse produzioni tra cui Operastracci, Il naufragio, Paladini di Francia, Frame, Heroides. Dirige laboratori teatrali per bambini e adulti, tra cui il laboratorio permanente rivolto alla comunità di Borgo Pace.


Azienda agricola Taurino - Squinzano


GUIDA ALL’ASCOLTO Angelo Foletto*

Un’idea fissa. Il «classico» e le sue molteplici, inesauribili, derive (e forme, si capisce). Non un’ossessione ma quasi. Una sorta di spazio-tempo spirituale e operativo da cui è difficile staccarsi perché non ha pareti né dimensioni. Un calendario senza date. Un orologio solo con i numeri. O, meglio, un luogo, un calendario o un orologio da ‘arredare’ di volta in volta con suppellettili, giorni o lancette. Può essere il respiro pacato suggerito d’un’enunciazione agogica ordinaria come il Langsam(er) che intesta il torso quartettistico di Anton Webern. Ogni secolo, ogni autore si prende ciò che in quel momento gli sembra importante non per richiamarne in vita la natura classica. Per ricrearla, allineandola al proprio tempo. Com’è un vero «classico»? Un testo che – rubiamo la definizione a Italo Calvino – «non ha mai finito di dire quel che ha da dire» in quanto «ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima» perché «ogni prima lettura è in realtà una rilettura»; e che arriva a noi «portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)». Basta leggere sostituendo la parola testo con esecuzione, ascolto e analisi cioè con quell’argomentazione mentale e artistica riassumibile nel termine di «interpretazione» e l’esplicitazione dell’idea di classico in musica sarà evidente. Un ulteriore passo è considerare l’«interpretazione» non un atto che deriva da un pensiero esclusivo. Se chi ascolta è “musicista”, nella misura individuale e ‘critica’ di ascoltatore consapevole, allora è anche interprete. Esattamente come l’interprete-esecutore se è un musicista non superficiale è il primo storico e critico delle musiche che legge/analizza prima di scriverne-cioè-suonarle per noi. Il classico «non ha mai finito quel che ha da dire». Ma, allora, il nostro compito di “ascoltatori-interpreti” qual è? Preparare le


domande giuste. Cercando di immaginare quelle che l’autore aveva fatto, prima di soddisfarle con un pezzo nuovo di musica in cui il segno del classico – forme, lessico, titoli, eco lontana o calco insistente e via dicendo – è presente, in intestazione o nella sostanza interna. Perché Langsamer o Sonata o Élégiaque? Vale la pena di chiederselo. Partendo dalle intestazioni anche se può sembrare un approccio ingenuo, poco ‘scientifico’: sono quasi sempre un segnale, non solo un involucro editoriale. E se sulla prima pagina della partitura di un pezzo ancora fresco d’inchiostro (o di sistema di scrittura digitale) come Room 237 di Carlo Boccadoro c’è scritto «quartetto per pianoforte e archi» e non, che so?, «per piccolo ensemble», una ragione c’è. Pragmatismo del compositore? desiderio di alludere la storia musicale che il vocabolo “quintetto” richiama o al canone di ClassicheFORME che gliel’ha chiesto? per allearsi a quella storia o contrapporsi? ammiccamento alla competenza comune del pubblico sull’organico?... ognuno può continuare. Sono “domande” lecite, immediate e musicali: preconizzate “interpretazioni” della musica. Vanno fatte magari prendendola larga col ragionamento – e un po’ giocando; del resto, in quasi tutte le lingue del mondo, tranne la nostra, un solo verbo designa l’atto del suonare e del giocare – perché non ci sono teorie né dimostrazioni scientifiche a darci ragioni/risposte assolute. Ad esempio, rimaniamo sulla pagina aurorale di Anton Webern che dischiude il programma 2021 di ClassicheFORME: perché «Langsamer»? Perché di un quartetto per archi, forma classicissima, scrivere per primo il «tempo lento»? Anche all’interno di una logica di apprendistato compositivo, cui questa decina di minuti di musica appartiene, come mai il giovane autore iniziò dal movimento lento? Forse presentava meno difficoltà, rendendo marginale la scelta sul come impostarlo: ‘sonatisticamente’, con uno o più temi, seconda una progressione interna classica oppure rendendo meno squadrata la distinzione tra le varie sezioni tradizionali?


Aveva 21anni Webern, nel giugno 1905 quando mise mano a questo tempo per quattro archi. Rimase incompiuto per volontà o perché incalzava la stesura di un’altra pagina, analoga per organico, ma di ben altra sostanza? Nelle stesse settimane – le lezioni erano iniziate nell’autunno 1904; poche settimane dopo la conclusione dell’«Idillio per grande orchestra» Im Sommerwind, ultima composizione della stagione contestatoria e anti-brahmsiana – in cui il rapporto di discepolanza con Arnold Schönberg si stava trasformando in vincolo intellettuale oltre che tecnico inscindibile, Webern portò a termine un Quartetto completo. Lavoro ambizioso, suggestionato dal Trittico della Natura di Giovanni Segantini – e dall’attuabilità di trasporre alcuni principi della tecnica divisionista alla scrittura strumentale – il Quartetto «1905» fu l’opera più personale e ambiziosa, rispetto alle altre del periodo di studio conservate. Tra loro spiccano alcuni abbozzi per pianoforte e il Quintetto per pianoforte e archi che è un altro tempo unico (Moderato, in forma-sonata): fatto salvo il diverso organico, potrebbe essere ascoltato come il primo movimento che manca al Langsamer Satz col quale spartisce la scrittura non audace e la tinta armonica generale priva di spigolosità. Entrambe le pagine di Webern sono applicazioni scolastiche: frutto disciplinato d’un processo di riepilogazione/ esercitazione che ha come riferimento la temperie musicale più avanzata di quegli anni – nulla che faccia presagire il puntillismo seriale che graffierà l’anima e il lessico delle successive Sei Bagatelle op. 9 (1913) o del Quartetto op. 28 (1937-38) – e con un’applicazione estremamente libera delle regole costruttive ereditate dal sonatismo classico-romantico. Non stupisce, al di là della banale coincidenza anagrafica – Webern nasce pochi mesi dopo la morte di Wagner – che qualcuno abbia qualificato Langsamer Satz come «un Tristan und Isolde ristretto in dieci minuti», sintetizzando nella battuta la colorazione tonale ambigua e cromaticamente dilazionata del pezzo, e la temperatura musicale complessiva che guarda all’Ottocento. Il “classico” è l’opera di Wagner: mette ancora


soggezione e rappresenta un punto di non ritorno. Fatale rammentare che qualche anno prima a proposito di Verklärte Nacht di Schönberg (1899, un sestetto d’archi) era stato scritto che pareva frutto del passaggio di una spugna umida sul manoscritto di Tristan un Isolde. L’allievo Webern era in ottima compagnia. Ma la storia della musica l’ha potuto leggere e verificare con le proprie orecchie molto tardi: come numerosi altri lavori non pubblicati – solo il Quintetto era stato edito nel 1953 – Langsamer Satz fu ritrovato ed eseguito per la prima volta nel 1962. All’ascolto molte cose si chiariscono da sole. È subito evidente il baricentro melodico della pagina fondato su tre entità tematiche (non sul dialogo a due caratteristico da Beethoven a Bruckner). L’assetto armonico è agitato da modulazioni continue, prive di regole di simmetria ‘narrativa’ e la componente ‘coloristica’ – dinamiche, soluzioni strumentali, posizioni esecutive in funzione di soluzioni timbriche specifiche – tesse una trama compositiva già importante e personale. Di fronte a tale dovizia di giovanili audacie sbiadisce il riferimento (auto)biografico sebbene vada ricordato. Il brano nasce a seguito di un’entusiasta gita “amorosa” di Anton con la cugina Wilhelmine Mörtl di cui era innamorato: «camminare per sempre così, tra i fiori, accanto alla mia amata [...] Il nostro amore raggiunse altezze infinite, fino a riempire l’universo. Due anime furono rapite» scrisse nel diario (alcuni anni dopo sarebbe diventata sua moglie). Scrivere “sotto dettatura” di una cotta è anch’esso un «classico» del mondo ispirativo ottocentesco, e della sua aneddotica. Ma nello studenteWebern non frena né distrae la ricerca: il linguaggio concentrato e lucido non si disperde in facili giovanilismi. L’impaginato di ClassicheFORME accosta Langsamer Satz a due esperienze d’altra natura e dissimili maturità artistiche: Room 237 di Boccadoro – commissione dell’anno e partitura fresca d’inchiostro («Milano, 14 maggio 2021» si legge dopo la doppia stanghetta conclusiva), dedicata a Beatrice Rana – e il Quintetto in la maggiore per pianoforte e archi di Antonín Dvořák. Ma il dialogo tra loro avviene su terreni comuni. Per cominciare c’è la ricognizione sulle forme strumentali classiche


del camerismo per archi con e senza pianoforte; un’investigazione che si completa col campionario di combinazioni (e intenzioni) riunite dal festival. Ne fanno parte le traduzioni quartettistiche mozartiane delle Fughe di Bach, il tumultuoso tempo unico del Trio élègiaque di Sergej Rachmaninov o il Quartetto n.1 di Leoš Janáček con richiamo alla beethoveniana Sonata «a Kreutzer» di cui si ascolta l’affascinante e ‘sinfonica’ redazione per quintetto d’archi. Il far musica da camera per più strumenti, da tre a cinque, occupa per metà la rassegna. Combinandosi, e contrapponendosi virtuosamente, alla prospettiva ‘solistica’ rappresentata dal dialogo a due: la Sonata per violoncello di Beethoven – prosecuzione dell’esplorazione avviata del 2020 - quelle di Schumann e Prokof’ev per violino, e il “duetto” per quattro mani di Stravinskij che ci farà scoprire un Sacre du printemps non meno rivelatore e minaccioso della nota stesura per grande orchestra. Ragionare su come ogni autore ha interpretato il concetto di “classico” richiamato dagli organici – scegliendo gli strumenti e schierando per gerarchie e intenzioni le ‘voci’ strumentali – ci porterebbe lontano. Come nei libri-classici di Calvino, ogni composizione respira l’aria di ciò-e-chi è venuto prima: il Beethoven/Tolstoj evocato da Janáček, le regioni musicalespressive di Pëtr Il’ič Čajkovskij omaggiate da Rachmaninov. O accanto, com’è dichiarato da tinta e ritmi slavi del Quintetto di Dvořák (non è del tutto immotivato il sottotitolo “polka” che spesso si aggiunge tra parentesi al sincopatissimo Allegro finale), laddove l’amico Brahms avrebbe usato un evidenziatore popolare meno periferico e più viennese – quello ungaro-tzigano – o al contesto non ossessivamente colto che intonaca, soprattutto ma non soltanto, la linea-guida pianistica di Room 237. In questo caso, l’“accanto” potrebbe anche essere pensato in relazione alla dedica e quindi alla personalità della dedicataria: nel 2016 sulle qualità tecniche di Beatrice Rana Boccadoro scommise facilmente componendo Concerto per pianoforte, eseguito in prima assoluta nella Stagione della Filarmonica della Scala nel gennaio 2017, con Riccardo Chailly


sul podio. Il temperamento tecnico e artistico (ma anche il carattere personale, quotidiano) di chi suona diventa un suggerimento per chi ascolta per la prima volta la nuova partitura del compositore che di organici diversi e sapori musicali non ortodossi è un assiduo e creativo avventore. Allo stesso tempo ogni partitura aggredisce di originalità il proprio tempo e notifica la stagione creativa dell’autore. Ad esempio, l’ascolto del Quintetto ci richiama la predilezione per il pianoforte tra pochi strumenti di Dvořák. Pur non essendo pianista, e non avendo raccolto molto favore col Concerto in sol minore per pianoforte e orchestra, op. 33 (1876), ancor oggi troppo poco eseguito rispetto a quanto meriti, il compositore boemo fu tra i più assidui nel combinare la tastiera con gli archi. Quattro Trii, due quartetti. Mentre di quartetti ortodossi ne concluse quattordici, un numero quasi beethoveniano – e uno in meno di Dmítrij Šostakóvič – che la dice lunga sulla sua vocazione per la cameristica classica, oltre a ricordare la sua formazione da violista-violinista. Composto in poco tempo, tra il 18 agosto e il 3 ottobre 1887, il secondo dei quintetti con pianoforte nasce a quindici anni di distanza dal primo. Concettualmente se ne distanzia d’una stagione musicale più lunga, visto che qui la “classicità” non è il modello mozartiano quasi neoclassicamente evocato nell’Op. 5, ma un campo aperto di cui del prototipo originale rimane la suddivisione in quattro movimenti e la persistenza delle procedure tematico-sonatistiche. Qui la sagoma d’autore guarda semmai a Brahms e bada a integrare in un linguaggio ‘romantico’ aggiornato gli spunti folkloristici ma non etnici. L’«inventare il vero», reso celebre in una lettera da Giuseppe Verdi e messo in pratica in Aida per capirci, è la regola: Dvořák l’aveva già applicato nelle Danze slave del 1878 – Musorgskij, per dire, avrebbe usato melodie originali. Nel Quintetto è impiegato con garbata ispirazione. E senza margini nazionali: la Dumka, danza ucraina che l’autore avrebbe poi messo anche al centro del Trio per pianoforte n. 4 in mi minore «Dumky» (1891), diventa una pagina malinconicamente vibrante. Il motivo principale esposto dalla viola dischiude un episodio


meditativo che assolve benissimo al ruolo di oasi lenta, sospesa tra gli slanci e la foga degli altri tempi, tra cui lo Scherzo in forma di Furiant, altra danza ma boema. I due intarsi popolari non fanno dimenticare la bella sostanza costruttiva dell’Allegro ma non tanto d’avvio e dell’Allegro conclusivo (dove, s’è detto, le tracce popolari ci sono ma vanno cercate): vi si condensano vari caratteri espressivi e costruttivi, ora accentuando il dialogo tra gli strumenti – nel finale un breve fugato regala visibilità alle individualità – ora elaborando un modello cameristico brillante e dal profilo ‘concertistico’. Quasi sempre il pianoforte ha l’ultima parola ma gli archi non appaiono comprimari. La ricerca d’una gerarchia cameristico-strumentale si manifesta anche nelle due sezioni di Room 237 – per i non cinefili, è il numero l’inquietante camera dell’Overlook Hotel, l’albergo di Shining di Stanley Kubrick – disposte da Boccadoro come una sorta di Largo-Allegro. Un ‘classico’ primo tempo con episodi che vengono ripresi e variati, e con una strategia di dialoghi intrecciati tra archi e pianoforte. Trattato per buona parte della composizione con enfasi quasi percussiva, quella stessa che pare esplodere col glissato sforzat(issim)o e secco che apre il secondo episodio. Si ritrova poi nelle prescrizioni esecutive più volte ridette alla pianista (ritmico, marcatissimo, non legato e via dicendo) e che orientano la seconda ampia e sfaccettata sezione, tranne che per le brevi emersioni melodiche «legate e cantabili». Un altro percorso classico, reso insolito dalla rarità delle proposte di ClassicheFORME 2021, si lega alla trascrizione. A sua volta una ramificazione dei procedimenti di variazione che rappresentano il dna della musica. Chi ha detto per la prima volta che ogni musica nuova è una variazione/trascrizione di qualcosa di già scritto, non aveva paura della banalità e conosceva la musica. Da quando la creazione è approdata alla scrittura, e quindi alla fisicità grafica delle note, pratica e pedagogia musicale hanno elaborato un sistema compositivo – “un”, articolo indeterminato senza valenza numerica: ogni autore s’è fatto il suo, di sistema – nel quale il proporre una musica d’altri (o dello stesso autore) in veste diversa dalla


stesura originale era un gesto creativo. Ascoltarne il risultato – sempre nell’accezione ampia di atto consapevole e “interpretativo” anche per chi non è abile strumentalmente – è un’esperienza preziosa. Dice tanto. La trascrizione non è un cambio d’abito timbrico-strumentale ma analisi e approfondimento. Come la variazione moderna, che dalle bachiane «Goldberg» in poi, s’è buttata alle spalle la straordinaria letteratura di variazioni ornamentali barocche per darsi un cerimoniale compositivo più libero e mutante – di Veränderungen, Trasfigurazioni (e non variazioni), parla Beethoven già a proposito delle Variazioni op. 35 «Eroica» – la trascrizione spesso entra nel corpo vivo della composizione. Una sorta di autopsia. A volte vuole allungare la vita a qualcosa che la storia ha dimenticato, come fa Mozart con le Fughe bachiane accomodate per quartetti d’archi, in altre l’amplificazione delle voci funge da mappa per la miglior comprensione di un pezzo nuovo. Nella ripartizione per cinque archi della Sonata per pianoforte e violino in la maggiore n. 9, op. 47 «a Kreutzer», Beethoven sacrifica il profilo inedito, virtuosistico e drammaticamente propulsivo del pianoforte ma la nuova veste dà spicco unico all’architettura dell’innovativa pagina sonatistica. La proietta in una dimensione ‘spaziale’ sorprendente; non livella il carattere né le fiammate drammatiche e fa volare la rivoluzionaria concezione ‘sinfonico-concertante’ della composizione sulla quale l’autore per primo pose l’accento. «Sonata per il Pianoforte ed un Violino obligato, scritta in uno stile molto concertante, quasi come d’un concerto» (il seguito specifica e giustifica la gergalizzazione editoriale comune: «composta e dedicata al suo amico R. Kreutzer, membro del Conservatorio di Musica in Parigi, primo violino dell’Accademia della Arti e della Camera Imperiale, per L. v. B., op. 47»). Della complessità strumentale e concettuale dell’opera diedero conto già le prime cronache professionali. Recensendo nel 1805 la pubblicazione della musica già compiuta nel 1803, la Allgemeine musikalische Zeitung sottolineò che per eseguirla bene ci sarebbero voluti «due virtuosi» (cioè un pianista di prima classe non solo un


violinista). Del resto, la spettacolare intestazione citata, e già presente negli schizzi – la Sonata è l’unica che porta la dedica a un interprete; ma Roger Kreutzer, modello-e-collega di Paganini, non eseguì mai quella musica «scandalosamente incomprensibile» – è un mini-manifesto estetico e tecnico. «Quasi come di un concerto» notifica la complessità di scrittura che azzera le antiche gerarchie, nonostante sopravviva la dicitura barocca di «violino obbligato», ed è precisata dal «molto concertante» (ripensamento d’autore dell’aggettivo «brillante»). Preannuncia il dialogo ad armi pari tra violino e pianoforte. Analoghe composizioni avevano segnato l’allargamento del territorio – le composizioni da camera con pianoforte, prima di allora, erano di solito concepite per i dilettanti – ma il passo in avanti della Sonata in la maggiore è più risoluto: scandisce il passaggio dal carattere e dalla misura tecnica di una pagina destinata al salotto al formato più elaborato e ‘sonoro’ pensato per una sala e il pubblico da concerto. L’inaspettata cadenza iniziale del violino, la possiamo ascoltare come un’apertura di sipario. «Stravagante e arbitraria» avverte l’Allgemeine musikalische Zeitung, ma il linguaggio musicale del nuovo secolo ancora una volta si inchina all’audacia di Beethoven. Se vogliamo capire le distanze dalla «Kreutzer» dalla classica sonata per strumento solista possiamo richiamare alla memoria come nella Sonata in la maggiore per violoncello op.69, Beethoven ne accetti i principi costruttivi e sia in grado di scrivere, per così dire, in modo disimpegnato. Puntando alla continuità e non alla provocazione. Nella stagione delle grandi rivoluzioni compositive – la sonata fu elaborata tra il 1807 e il 1808 – il compositore mise a fuoco il carattere timbrico unico dell’abbinamento violoncello-pianoforte, le potenzialità ‘spaziali’ che le due “voci” strumentali sanno elargire senza forzare la classica quadripartizione, se non per la sequenza dei tempi (lo Scherzo precede l’Adagio). A differenza dalla «Kreutzer» scritta di getto, sulla terza Sonata per violoncello l’autore ci lavora mesi. Ne deriva una musica ‘riassuntiva’ della stagione di transizione estetica e tecnica – il superamento del


cosiddetto stile «eroico» cui l’Op.47 partecipa – che Beethoven compiva smistando esiti e forze. Alternando generi da camera e ‘grandi’ come il Concerto per violino, la Sinfonia n.6 e gli ultimi due Concerti per pianoforte. L’affermatività della Sonata per violoncello ci avvolge e affascina con naturalezza. La Sonata per violino nell’omologa tonalità solare di la maggiore ci artiglia; affonda le unghie e ci lascia drammaticamente turbati, e non sempre soddisfatti: il pensiero (e il suono) musicale è così denso che ci pare di non riuscire ad afferrarlo tutto. Così quasi mettendo in pratica ciò che l’Allgemeine musikalische Zeitung aveva scritto, della tumultuosa e teatrale Sonata furono approntate, vivente Beethoven, alcune trascrizioni “da salotto” e d’uso commerciale, destinate a formazioni amatoriali. Versioni firmate, come quella pianistica a quattro mani dell’allievo Carl Czerny, circolavano da anni ma furono stampate l’anno della morte di Beethoven. Pubblicato anonimo dalla casa editrice Simrock, nel 1832, fu invece l’arrangiamento per quintetto d’archi. La formazione col raddoppio del violoncello, collaudata da Boccherini e Cherubini, era meno diffusa dell’alternativa con due viole. A differenza di noi che l’associamo subito al Quintetto in do maggiore di Schubert, il pubblico e gli esecutori di allora nulla ne potevano saper visto che la prima esecuzione del capolavoro schubertiano scritto nel 1828, a poche settimane dalla morte del compositore, avvenne il 17 novembre del 1850. L’adattamento della «Kreutzer», oramai è assodato, fu realizzato o supervisionato dallo stesso Beethoven. Di certo nella distribuzione a cinque parti la trascrizione non è meccanica ma strutturale. Non procede per trasferimento ma per frammentazione e ridistribuzione delle linee musicali tra i solisti: per fare un esempio facile da verificare anche a orecchio, la cadenza d’avvio del violino è ripartita tra violino II, viola e violoncello; non triplicata. In genere tutti gli archi sono riuniti solo per sottolineare i passaggi musicalmente più significativi e densi. La rivelatrice trascrizione non è economica: se per l’originale ci vogliono due


solisti di spicco, qui ne occorrono cinque. Ma con vantaggi sul piano della comprensione/interpretazione dell’opera. Visto che l’ascolto consapevole dal vivo si fa anche con gli occhi, poter “vedere” come le idee originali passano da una mano, anzi da un archetto, all’altra dei cinque esecutori è un bel modo per entrare nel corpo vivo e incandescente della «Kreutzer». Per verificar la popolarità ottenuta dalla composizione, digitiamo “Sonata Kreutzer” su un motore di ricerca sul web: il primo riferimento indicizzato è per La Sonata a Kreutzer, il romanzo breve e «scandaloso» di Lev Tolstoj (la sua pubblicazione, nel 1890, due anni dopo la stesura, fu permessa solo grazie all’intercessione dello Zar sulla censura) imperniato sull’esplorazione del “rovinoso” potere della musica sui sensi. Statisticamente, il rimando letterario pone in secondo piano la nona Sonata per violino di Beethoven che dà titolo al libro. E c’è bisogno di sfogliare molte schermate per trovare un isolato rimando al Quartetto n.1 di Janáček soprannominato «Kreutzer Sonata» che nella sua architettura musicale e ispirativa si rubrica in diverse caselle d’ascolto. Sia per il riferimento, tramite Tolstoj, a Beethoven – un classico per il compositore moravo che si espresse con autorialità significativa dopo i sessant’anni – sia per l’appartenenza alla tradizione musicale cèca di Smetana e Dvořák, sia per la capacità di combinare dimensioni espressive diverse (autobiografiche anche) con forza unica. Componendo il suo primo quartetto ufficiale – a distanza di vari decenni dall’analoga opera giovanile, andata perduta – Janáček teneva sulla scrivania da un lato il racconto di Tolstoj (che nel 1908 gli aveva già ispirato un Trio per pianoforte e archi: non abbiamo la musica ma sappiamo che fu in parte rifusa nel Quartetto) dall’altro la Sonata di Beethoven di cui ogni tanto si coglie qualche allusione. La più riconoscibile, dal primo movimento, echeggia nel “Con Moto, Vivo, Andante” dove il tema originale subisce forti contorsioni. La partitura fu messa in bella copia nel giro di una settimana (30 ottobre-7 novembre 1923), sollecitata da una richiesta del Quartetto Boemo (České kvarteto) che lo suonò in prima


assoluta al Mozarteum di Praga il 14 ottobre 1924. La musica riflette il periodo concentrato di composizione e possiede immediata narratività. È naturalmente possibile ‘sceneggiarla’, cioè mettere il parallelo alcuni passaggi cruciali del romanzo con altrettanti episodi musicali. Sottolineando il carattere poematico-psicologico della scrittura di Janáček che ‘usa’ gli strumenti come personaggi – e i quattro movimenti come «atti» teatrali – le linee musicali appaiono come ‘vocaboli’ di un denso discorso affettivo. La pronuncia strumentale procede per ripetizione più che accumulo. Rielabora i materiali musicali aforistici e accentuativi; enfatizza il ritmo intrinseco della lingua/pronuncia boema attraverso ombreggiature di danza. Come quella introdotta nelle prime battute – il movimento nello spazio è ‘femminile’; adombra la protagonista del racconto beethoveniano, se ci piace l’idea di (melo)dramma stenografato che l’autore alimenta: «avevo in mente una donna infelice, tormentata, colpita mortalmente come l’ha descritta Tolstoj» – e che ritorna, una sorta di «idèe fixe», in tutta la composizione. Il fascino del Quartetto n.1 deve molto a questa sotterranea inquietudine narrativa e i quattro archi la rendono molto fisica. Autobiografica. Pochi anni prima Janáček aveva conosciuto Kamila Stösslová: la signora, sposata e molto più giovane di lui, sarebbe stata la figura femminile più forte, e ispiratrice, fino alla morte; anche se, o forse proprio per tale ragione ebbe così forza, pare rimanesse un’infatuazione non consumata. Sarebbe forzato mettere in circuito l’effetto (s)stravolgente della musica di Beethoven fatto esplodere dal racconto, con il fuoco senile del compositore ultrasessantenne che nel 1929, sei mesi prima della morte, riaprì la piaga sentimentale nel segno della più classica delle forme cameristiche, scrivendo di getto (29 gennaio-19 febbraio ratifica l’autografo) il Quartetto n. 2. «Ho cominciato un Quartetto, lo chiamerò Lettere d’amore. Posso finalmente scrivere della musica su di esse» confidò il 74enne Janáček a Kamila: «conterrà la nostra vita». L’opera doveva inizialmente intitolarsi così, poi Ricordi di Pisek (cittadina natale della donna); alla fine fu (sotto)titolata Lettere intime. Il Quartetto n.


1 «Sonata Kreutzer» gli è complementare. Il «programma» privato e letterario orienta la vibrante e mobilissima invenzione musicale – sulla linea di demarcazione tra tonalità e assenza di regole armoniche esposte, materiale tematico e negazione della dialettica post-sonatistica, immagini di segreta emotività e astrazioni melodiche arcaicizzanti, fuori dal tempo: una sorta di radiografia sonora dell’anima tormentata degli umani “protagonisti”. Insieme, i due lavori firmano un’esperienza di estrema condensazione del lessico quartettistico classico, assoggettato con pensiero novecentesco a essere strumento di indagine psicanalitico-musicale. In questa (comune) prospettiva e per certe tinte spettrali, il Quartetto n. 1 di Janáček, col dramma della donna che la musica beethoveniana ha «perduto» e letterariamente “condannato a morte”, si può accostare all’incubo per sei strumenti sceneggiato in Verklärte Nacht (ma senza il “perdono” finale). Al contrario la confessione del Quartetto n. 2 non stona ascoltata in parallelo alla Lyrische Suite (1925-26, altro sestetto: sarà un caso che siano sempre gli archi a ghermire e mappare le angosce dell’anima mentre sfregano le corde?) in cui Alban Berg, collauda la sintassi dodecafonica. Citando, non è una novità, Tristan un Isolde la più classica delle narrazioni moderne delle disperazioni/morti per amore. Qualcosa di intimo, in diversa accezione affettiva, è possibile “ascoltare” nel Trio élégiaque in sol minore che Rachmaninov scrisse nel 1892 – ma la pagina priva di numero d’opus fu pubblicata solo nel 1947. Oggetto dell’infatuazione del diciannovenne allievo del Conservatorio di Mosca – dove stava studiando pianoforte con Nikolaj Sergeevič (più tardi entrerà nella classe del cugino Aleksandr Ziloti), contrappunto con Sergej Taneev e armonia con Anton Arenskij – è il mondo di Čajkovskij, al quale un anno dopo, nei giorni immediatamente successivi alla morte, avrebbe offerto il più ampio Trio élégiaque n. 2 in re minore op.9 (con cui talvolta questo modellino si confonde). Protagonista non dichiarata ma dilagante, la personalità cajkovskijana – nei mesi in cui fu ospitato nella casa di Zverev, com’era comune per gli allievi di


talento, conobbe il compositore, tra i più assidui ospiti alle serate musicali che vi si tenevano – brilla fin dalla frase introduttiva del pianoforte, di cui si impossessa prepotentemente il violoncello: sarà una sorta di presenza ciclica ossessiva del tempo unico del Trio. Se il «Lento e lugubre» messo in frontespizio è un altro indizio da considerare, ancor più lampante è la somiglianza di quest’irresistibile apertura con le prime battute del «Pezzo elegiaco - Moderato assai», primo tempo del Trio in la minore op. 50 per pianoforte, violino e violoncello (1881-82) composto da Čajkovskij a Roma, in memoria di Nicola Rubinstein. Il singolare primo Trio élégiaque – in un solo movimento ma in dodici sezioni, e tematicamente ciclico – parte di slancio e via via si converte in marcia funebre. Fanno colpo sicurezza e personalità del giovane compositore che il 30 gennaio 1892 eseguì il Trio élégiaque nel suo primo concerto ufficiale, insieme ai Due pezzi per violoncello e pianofort e a pagine di Chopin, Liszt e Čajkovskij. L’abbinamento Bach/Mozart/Stravinskij di un altro programma ci suggerisce bensì un passo laterale (e all’indietro, visto che il tema riprende l’idea di variazione/trascrizione). Potremo titolare: quando l’armonia si fa orizzontale e la melodia si verticalizza. La traduzione quartettistica di Mozart ha come oggetto alcune Fughe del Clavicembalo ben temperato (dal Libro II, del 1744) realizzate per gli appuntamenti festivi dedicati alla ‘scoperta’ degli autori barocchi: «tutte le domeniche a mezzogiorno vado dal barone van Schwieten, dove non si suona nient’altro che Bach e Haendel», scrive a papà-Leopold il 10 aprile 1782. La versione per pianoforte a quattro mani del Sacre du Printemps che Stravinskij scrisse parallelamente alla prima stesura della partitura per orchestra – suonata a quattro mani con Claude Debussy sul Pleyel di Louis Laloy, musicologo, orientalista e biografo del compositore francese, nella primavera 1912 – fu la prima stesura a stampa del più «classico», e celebre, dei lavori d’avanguardia della musica del ‘900. Quattro settimane avanti il tumultuoso debutto del balletto creata per i Balletts russes di


Sergej Pavlovič Djagilev con scenografie di Nikolaj Konstantinovič Roerich e coreografie di Vaclav Nižinskij (anche protagonista in palcoscenico), il 29 maggio 1913. La prima annotazione storica ci ricorda che Johann Sebastian Bach, l’autore classico per antonomasia non fu obliato per ‘colpa’ della fama di alcuni figli, anzi. La sua musica, la strumentale anzitutto, circolava come oggetto di studio e di ammirazione. Non di pratica per così dire ‘concertistica’: lì si dovrà attendere la prima esecuzione moderna della MatthäusPassion BWV 244 voluta e diretta (e alquanto accorciata) da Mendelssohn alla Sing-Akademie di Berlino l’11 marzo 1829 – a cent’anni dal battesimo a Lipsia. Della diffusione riservata della fede-cultura bachiana furono promotori alcuni intellettuali musicofili come Goffried van Schwieten, prefetto della Biblioteca Imperiale di Vienna e già ambasciatore a Berlino (dove buona parte degli autografi del Kantor erano visibili). La scoperta del contrappunto bachiano, per Mozart e per Haydn (e, poi, per Beethoven e Schumann e via proseguendo), diede un impulso decisivo alla moderna concezione dell’armonia. Nella fase cruciale di passaggio da struttura che si regola sul rapporto tra figure accordali a logica compositiva che trova nel movimento tra le parti una ragione di vitalità e ‘drammaturgia’ armonica. Le trascrizioni per quartetto di Mozart non sono un gesto di omaggio-ripresa d’una grammatica del passato soltanto ma un modo garantito per appropriarsi d’un procedimento di scrittura musicale ‘moderno’ al di là della sua lunga storia. Ognuno di noi può continuare richiamando la memoria, in base alla propria competenza d’ascolto, su quanti autori del secolo successivo e del Novecento abbiano indagato l’inesauribile modernità del contrappunto bachiano, cominciando col “tradurlo” in altri organici. Tutti, verosimilmente, hanno iniziato sfogliando la redazione per quartetto per archi delle Fughe K 405. Da Bach, classico per antonomasia, a Stravinskij l’anticlassico che diventerà l’autore più classico del Novecento. Dopo aver tirato sassate contro la tradizione, scardinandola col Sacre du printemps, Stravinskij riformulò sempre col Sacre le comuni


gerarchie d’ascolto orientandole in modo moderno. La verticalizzazione della melodia, più vistosa in partitura d’orchestra per la componente timbrica che fin dal richiamo acuto che quasi snatura il colore tipico del fagotto vi domina, è frutto di un’ingegneria compositiva che conferisce all’elemento ritmico peculiarità costruttive e principali. Anzi prioritarie e autosufficienti. Non accessorie e a suo modo ‘cantabili’. La riprova l’abbiamo proprio verificandolo in questa versione in bianco-e-nero d’autore: l’omologazione percussiva del pianoforte suonato a venti dita – ogni corda musicale ha il suo destino scritto nel modo di essere sollecitata a produrre il suono – non sminuisce l’effetto destabilizzante e allo stesso tempo propositivo della partitura. Non facciamo affatto fatica a capire lo sconcerto che seguì all’esecuzione privata di cui Laloy fu testimone: «Quando ebbero [Stravinskij e Debussy, ndr.] terminato, non ci fu più ragione di abbracci e neppure di complimenti. Eravamo muti, messi a terra come dopo un uragano giunto, dalla profondità dei tempi, a strappare la nostra vita alle radici». A oltre un secolo dalla nascita, anche per noi – nonostante il titolo dal sintomatico significato arcaico sia stato per troppi anni massacrato dalla maldestra traduzione di «sacre» (rito, consacrazione, cerimonia) in «sagra» – Le sacre du printemps è ancora un “uragano” e un invito a procedere al resettaggio dei modi di approccio confortevoli. Se ogni ascolto d’un classico è/deve essere sempre una «prima volta», il balletto di Stravinskij, finanche in questa veste cameristica, lo è doppiamente (del resto, proviamo a pensarci: in quale delle stesure delle Variazioni su un tema di Haydn o dell’Op. 34 c’è “più Brahms”?). Perché le tracce dei suoi debiti con la storia sono aggrovigliate, e vanno sparigliate dai segni della modernità. Tendendo le orecchie non è difficile riconoscere nel Sacre du printemps il senso della forma ossessivamente spolpato dalle ripetizioni, le citazioni di canti popolari russi e il gusto armonico quasi chiesastico che i blocchi accordali assegnati ai tasti d’avorio splendono come certezze storiche. Rielaborazione d’un modello e creazione di un prototipo.


Altre volte l’ascolto-rilettura d’un classico non ha bisogno di assistenza. ClassicheFORME non si dimentica delle opere che ci arrivano con una ‘verità’ critica e poetica che non vuole essere spiegata. Composizioni che nel titolo e nella sostanza interna rispecchiano ciò che la forma scelta preannuncia. Così la Sonata in la minore di Schumann, la prima della coppia che vide la luce nel 1851 – fedele al suo metodo collaudato di lavoro, il compositore quando affronta un genere musicale, sente il bisogno ‘bachiano’ di reiterarlo, quasi a esaurirne la carica storica e prospettica interna – ripropone con appropriata evoluzione delle personalità solistiche il dialogo acceso da contrasti e libertà espressive che Beethoven aveva svelato possibile con la Sonata «a Kreutzer». E come il capolavoro beethoveniano avrebbe potuto ispirare altre “interpretazioni letterarie” basate sugli effetti trascinanti della musica sulla psiche. Tanto la Sonata è segnata da slanci e da una mobilità sentimentale che la prescrizione d’intestazione («Mit leidenschaftlichem Ausdruck/Con appassionata espressione appassionata») notifica con chiarezza. «Incantata e commossa», si dichiarò Clara dopo il primo ascolto, il 16 ottobre, nella casa di famiglia a Düsseldorf, dove Robert s’era trasferito nel settembre per assumere l’incarico di direttore musicale dell’orchestra e del coro. La Sonata è concisa, senza il movimento lento, così che la passionalità non respira mai: toglie il fiato. È strutturata con sicurezza attorno a materiali musicali tra loro affini – a parte la ripresa nel Lebhaft conclusivo di alcuni spunti tematici già uditi nel primo tempo, congegnato attorno a un disegno musicale unico – e in cui l’esuberante gestualità pianistica, caratteristica di Schumann, è un po’ autorazionata per duellare alla pari col violino. Se a fianco del pianista-Schumann che scrive per violino c’era lo spirito e l’archetto di Joseph Joachim, spalla a spalla con Prokof’ev c’era David Oistrach. L’estro letterario e la passione musicale di Jan Brokken (autore di Nella casa del pianista e Anime baltiche) su questa doppia coppia potrebbe scriverci un romanzo. Non ci accontentiamo di immaginarlo. Segnalando una coincidenza che non è rara – con Beethoven c’era stato


Rudolphe Kreutzer, il violoncellista Jean-Pierre Duport, Ignaz Schuppanzigh e il suo quartetto d’archi – e ci induce a laicizzare il concetto romantico di “ispirazione” d’artista. Che fu ed è un processo artigianale e mentale profondo, spesso non lineare, ma che si fonda sullo studio e l’esperienza, la conoscenza delle forme e degli strumenti; e spesso sul rapporto con i destinatari delle composizioni (vedi Room 237 di Boccadoro). Amico e sodale scacchista, Oistrach accompagnò la lunga gestazione della Sonata in fa minore (iniziata nel 1938, licenziata nel 1946), di cui suonò l’Andante assai iniziale nel 1953 ai funerali del compositore. Aveva fatto lo stesso per i Concerti violinistici con orchestra. Nel nostro rapsodico itinerario nel classico che non tramonta mai, la Sonata op. 80 è un cameo riassuntivo. Anche non tutti gli studiosi sono d’accordo sulla sostanza musicale della Sonata, considerata una pagina più professionale che ispirata, l’esperienza d’ascolto oggi offerta coglie subito il valore storico d’una composizione in cui la riflessione storica è rielaborazione critica è testimonianza – «traccia», avrebbe detto Calvino – di ciò che la sonata classica ha lasciato attraversando secoli, linguaggi e culture musicali. Ancor più il pensiero si adatta la seconda Sonata, l’Op.94bis che, come ricordano gli spettatori di ClassicheFORME l’anno scorso è stata proposta nella stesura originale per flauto. Secondo come ordine di pubblicazione – in realtà fu completata prima – l’adattamento fu sollecitato da Oistrach proprio perché il cantiere dell’altra era ancora aperto. Qui potremo riprendere anche il discorso relativo alla trascrizione che non è mai un trasferimento meccanico di note e timbri su una tavolozza strumentale (e aprire un sondaggio tra chi preferisce il flauto o chi il violino). Il lavoro, come abbiamo scritto dodici mesi fa, si può/deve ascoltare come una sorta di interludio d’autore. Un diversivo musicale rispetto alle monumentalità espresse negli stessi mesi in Guerra e pace e nella colonna sonora per Sergej Ejzenstejn. Qui non c’è teatro, non ci sono proclami di sorta. Prokof’ev lavora sul dettaglio, sceglie un modello esplicitamente volto al passato, dove «tecnica e forma musicale esigono chiarezza e semplicità» (lo


aveva scritto qualche anno prima a proposito dello stile augurabile per gli artisti sovietici). A parte l’inversione interna tardo-ottocentesca tra secondo e terzo tempo, nella Sonata la minore op.94, eseguita per la prima volta il 17 giugno 1944 nella sala piccola del Conservatorio di Mosca da Oistrach con Lev Oborin al pianoforte, la costruzione è tipica. Primo tempo in forma sonata con temi in precisa gerarchia tonale, uno scherzo con trio (in minore, ovviamente), un tempo lento in forma di canzone, e un rondò per finire. Non c’è il neoclassicismo arguto della Sinfonia «classica» (1917) ma un saggio dello stile lirico degli ultimi anni del compositore che non scarta sarcasmi timbrici e armonici né richiami a giovanili esuberanze strumentali. In questa chiave la serenità della forma e delle linee esterne, come l’elegante concezione dialettica tra i solisti, sono vigili ma non arrendevoli. E la scioltezza amabile dei materiali musicali, da cui traspare spesso l’accento umoristico, è velata da un cupo scetticismo. Un eco, (involontario o meno; con gli artisti russi non si può mai esserne certi) dell’immensa tragedia bellica che si stava abbattendo su quella parte di Europa – da cui la designazione di «Sonate di guerra» attribuita da Prokof’ev a queste e alla tre coeve Sonate per pianoforte – e che aveva indotto la propagando sovietica a favorire il non sempre volontario allontanamentosegregazione-pellegrinaggio dei propri artisti più rappresentativi nelle regioni asiatiche. A proposito di figure di artisti che hanno impostato tutta la loro vita su atteggiamenti di resistenza, attiva e passiva, nei confronti del regime, e di coincidenze: in quella medesima sala Čajkovskij del Conservatorio di Mosca, il 20 marzo 1923, lo stesso Oborin (allora diciottenne) era stato tra gli allievi scelti per suonare per la prima volta Trio per archi e pianoforte n. 1 in do minore op. 8 di un altro quasi coetaneo, il diciannovenne Šostakóvič. La composizione, in un solo movimento ma ben frazionata in episodi contrastanti – un altro ‘tema’ ricorrente’ nel nostro percorso – è un diario di formazione accademica, rivela una vocazione d’autore per il camerismo e la rivisitazione senza


soggezione del classico che non avrebbe avuto confronti di quantità e qualità nel secolo scorso. Tra i riconoscibili riferimenti storico-musicali al suo secolo scorso, il fantasioso Trio sostakoviano celebra il Trio op. 101 di Brahms con cui ha in comune la tonalità (do minore), e così ci suggerisce di leggere anche le altre pagine del programma di ClassicheFORME, rubricate come «Capitoli Pugliesi» e «ClassicheFORME Young». Lo possiamo fare per coincidenze – l’ordinale editoriale n. 8 ce l’ha anche il Trio in si maggiore, primo lavoro cameristico di Brahms – per relazioni con la programmazione 2020 – il Trio in do minore op. 1 n. 3 di Beethoven, un’altra un’alfa editoriale, c’era – e allusioni che intrecciano autori e i secoli. Prosegue la proposta del Trii di Beethoven seppure spartiti tra versioni per archi e per clarinetto, e la “persistenza del classico” diventa un discorso naturale quando le figure dominanti della storia sono accostati a importanti autori del camerismo novecentesco italiano. Pugliesi, di nascita o adozione, e ben radicati nel territorio musicale come direttori di conservatorio Teresa Procaccini, Raffaele Gervasio e Nino Rota in queste declinazioni moderne del formato clarinetto, violoncello e pianoforte raccolgono senza ubbie moderniste, anzi con vivace consapevolezza ‘plastica’, quasi teatrale, e neoclassica – evidente più dei lavori di Procaccini e Rota, che risalgono alla fine degli anni Sessanta – o con divertita libertà di linguaggio, le tracce formali e costruttive del passato. Dimostrando quanto illusorie sono le categorie critiche e d’ascolto quando si accontentano dei bigini che la storia della musica spesso la mappano solo per “capitali”, slogan e autori di prima divisione.


Angelo Foletto, giornalista e critico musicale italiano, dal 1981 al 2006 Angelo Foletto ha insegnato Storia della musica al Conservatorio di Verona, Piacenza e Milano. Collaboratore e critico musicale di La Repubblica dal 1978, ha partecipato all'ideazione delle collane di musica classica del Gruppo l'Espresso e firmato numerosi testi di accompagnamento alle relative pubblicazione audio-video. Vicedirettore per dieci anni di Musica Viva, scrive dalla fondazione su Suonare News, e collabora a Classic Voice, Amadeus, il Giornale della musica, altre riviste specializzate, e il quotidiano l'Adige. Autore di programmi di sala, tiene conferenze e seminari, firma voci musicali per enciclopedie, collabora con Rai3, RaiSat, Classica+, Radiotre, Mediaset, Radiotelevisione della Svizzera Italiana, Radiopopolare e la Compagnia di Glauco Mauri. Dal 1996 è presidente dell'Associazione nazionale critici musicali. Dal 2006 è presidente degli Amici della Galleria d'Arte Moderna di Milano (Villa Reale (Milano). Dal 2011 è presidente dell'Associazione Culturale "Achille Foletto" di Ledro, fraz. Pieve di Ledro. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La voce come strumento, (Mondadori, 1981), Lohengrin alla Scala. Origine e tradizione della scenografia wagneriana, (Edizioni della Scala, 1982), Carmen, guida all’opera (Mondadori, 1984), Carlo Maria Giulini (Edizioni San Paolo, 1997). Ha diretto l'enciclopedia a dispense “Classica”. I musicisti. Le opere. La società, 1985, Fabbri Editori; ha curato il volume Il coro del teatro alla Scala (1988, Amici della Scala), l'edizione italiana di Verdi. La musica e il dramma (1995, Electa/Gallimard), le schede musicali per Il mio Verdi (2001, Edizioni Socrates; ristampa ampliata 2013, Castelvecchio), l'introduzione-prefazione ai volumi Carmen, Madama Butterfly e Rigoletto e Italiana in Algeri di-e-con Davide Pizzigoni (2000-2007, Electa/Mondadori), i volumi fotografici Così fan tutte e Italiana in Algeri (2010-2011, Scala Memories), Forse. Verso un autoritratto-Daniele Lombardi (2013, Nardini).


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