Gli Stranieri

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ISSN 1720-4402

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numero 1.2012 anno XIX

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Viterbo Aut. C/VT/069/2010

Rivista quadrimestrale

Rassegna di studi e giurisprudenza

in questo numero

Giandonato Caggiano, Arianna Pitino, Chiara Favilli, Isabel Estrada Carvalhais, Valeria Di Comite, Massimo Fragola, Gilda Ferrando, Elena Fiorini, Emanuela Giacobbe, Enrico Lanza, Chiara Gabrielli



numero 1.2012 anno XIX

Rassegna di studi e giurisprudenza

Foto di copertina: © Francesco Talarico, Un italiano e due stranieri sono uniti nell’attendere il proprio turno nella sala d’attesa comune all’ufficio denunce e all’ufficio immigrazione di una questura, Roma, 2011 Dal concorso fotografico nazionale 2011 “Destinazione Volontariato. Il treno unisce l’Italia che aiuta”. Menzione speciale di Studio immigrazione.


Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato scientifico Paolo Benvenuti, Università Roma Tre Luciano Eusebi, Università Cattolica del Sacro Cuore Gilda Ferrando, Università di Genova Adriano Giovannelli, Università di Genova Horatia Muir Watt, Sciences-Po Law School, Paris Bruno Nascimbene, Università di Milano Sandro Staiano, Università di Napoli Ugo Villani, Università Luiss “Guido Carli” di Roma Comitato di valutazione (vedi a pag. 197) Direzione Giandonato Caggiano, Università Roma Tre Aristide Canepa, Università di Genova Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino Fondatore e direttore responsabile Raffaele Miele Comitato di redazione Roberta Bonini, Chiara Gabrielli, Matteo Marchini, Ilaria Ottaviano Segreteria di redazione Giuseppina Guerrini, e-mail: redazione@glistranieri.it Progetto grafico e impaginazione Massimo Giacci Redazione e amministrazione Studio immigrazione sas Via Marconi, 10 - 01100 Viterbo Tel. 0761 092025 - 0761 092055 – Fax 0761 228033 www.studioimmigrazione.it e-mail: amministrazione@studioimmigrazione.it Editore e proprietario della testata Studio immigrazione sas ISSN 1720-4402 Registrazione Tribunale di Viterbo, n. 406 del 20 marzo 1994 Gli articoli firmati esprimono il pensiero dell’Autore e non impegnano la Rivista.


Sommario

Articoli Giandonato CAGGIANO Il completamento della disciplina dell’immigrazione legale nel diritto dell’Unione: verso la rifusione in un codice europeo dell’immigrazione?

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Arianna PITINO La tutela della salute dei cittadini e degli stranieri in Canada, Stati Uniti, Sudafrica, India (e qualche cenno all’Italia)

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Chiara FAVILLI L’applicazione ai cittadini di Paesi terzi del divieto di discriminazione per motivi di nazionalità

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Isabel Estrada CARVALHAIS L’Unione europea e l’immigrato extra-comunitario: la gestione dell’esclusione

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Valeria DI COMITE La difficile posizione degli stranieri familiari di cittadini di Stati membri dell’Unione europea e le discriminazioni a rovescia: una questione ancora aperta?

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Massimo FRAGOLA Considerazioni sul servizio diplomatico europeo e sulla protezione diplomatica dei cittadini Ue

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata Gilda FERRANDO, Elena FIORINI Minori stranieri, procedure di adottabilità e familiari residenti all’estero Nota alle sentenze Tribunale per i minorenni di Milano 21 novembre 2011; App. Genova, sez. min., 24 settembre 2011

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Sommario

Emanuela GIACOBBE Multa paucis. Cittadini extracomunitari e diritti calpestati Nota alla sentenza del 16 dicembre 2011 del Tribunale di Torino

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Enrico LANZA La sentenza della Corte costituzionale n. 331 del 2011 in materia di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina

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Chiara GABRIELLI Il rispetto dei diritti nella gestione delle politiche migratorie secondo la sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti umani

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Articoli



Giandonato Caggiano

Il completamento della disciplina dell’immigrazione legale nel diritto dell’Unione: verso la rifusione in un codice europeo dell’immigrazione? SOMMARIO: 1. Oggetto del lavoro, politica e misure sull’immigrazione legale. – 2. Il paradosso dell’affermazione di un mercato unico e di ventisette mercati nazionali per il lavoro degli immigrati. – 3. Le basi giuridiche e la divisione delle competenze tra Unione e Stati membri. – 4. Il patrimonio di diritti secondo la Carta dei diritti fondamentali. – 5. Il rigetto della proposta di un metodo di coordinamento aperto e la fragilità del sistema di monitoraggio stabilito dal Patto su immigrazione e asilo. – 6. La direttiva sul permesso unico e diritti dei nuovi immigrati. – 7. L’attuazione della direttiva sul ricongiungimento familiare. – 8. L’attuazione della direttiva sui lungo-soggiornanti. – 9. Conclusioni.

1. Immigrazione legale, economica o per motivi di lavoro sono sinonimi utilizzati negli atti dell’Unione in riferimento al trattamento degli immigrati regolarmente soggiornanti e alla gestione dei flussi migratori. Il presente lavoro intende evidenziare l’evoluzione e le questioni aperte della disciplina in materia, di cui si prevede una rifusione in un codice a partire proprio dall’immigrazione legale 1. Gli atti adottati secondo le competenze previste nel Trattato di Amsterdam in materia di “visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone” 2, dovranno essere rivisti per tener conto della politica dell’immigrazione, introdotta dal Trattato di Lisbona. In dodici anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, sono state adottate a livello europeo e trasposte negli ordinamenti interni, varie misure di armonizzazione delle legislazioni nazionali 3. La Commissione europea ha in1

COM(2010) 623 definitivo, del 27 ottobre 2010, Programma di lavoro della Commissione per il 2011, Vol. II, Allegati. 2 Titolo V art. 63, par. 1, punto 3, lett. a TCE ) e punto 4. 3 Sulla prima fase del dibattito istituzionale sull’immigrazione legale, v. il nostro precedente lavoro Le prospettive di sviluppo della competenza comunitaria in materia di immigrazione per motivi di lavoro, in questa Rivista, n. 3/2006, p. 207. Per un approfondimento generale e per la bibliografia precedente, rinviamo rispettivamente ai nostri lavori Le nuove politiche dei controlli alle frontiere, dell’asilo e dell’immigrazione nello Spazio unificato di libertà, sicurezza e giustizia, in SIE, 2008, p. 105 ss. e L’integrazione europea “a due velocità” in materia di immigrazione legale ed illegale, in DPCE, 2008, p. 1103 ss. Tra le opere più recenti, G. CELLAMARE, La disciplina

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Articoli

trapreso la ricerca di un difficile consenso nel Libro Verde sull’immigrazione economica 4, proponendo poi il Piano d’azione sull’immigrazione legale 5, ormai interamente completato. Infatti, il corpus legislativo in materia si comporrà di due direttive generali (ricongiungimento familiare e lungo-soggiornanti)6 e cinque direttive specifiche per categorie di immigrati (studenti e volontari, ricercatori, lavoratori altamente qualificati)7. Prossimamente si aggiungeranno la direttiva sul permesso unico 8 e due direttive settoriali (stagionali e lavoratori dell’immigrazione nell’Unione europea, Torino, 2006; M. CONDINANZI, A. LANG, B. NASCIMBENE Citizenship of the Union and free movement of persons. Leiden, 2008; G. CLAYTON, Textbook on immigration and asylum law, 3rd ed., Oxford, 2008; P. BENVENUTI (a cura di), Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Ripa di Fagnano Alto, 2008; S. CARRERA, In search of the perfect citizen?: the intersection between integration, immigration and nationality in the EU, Leiden, 2009; J. NIESSEN, T. HUDDLESTON (eds), Legal frameworks for the integration of third-country nationals, Leiden, 2009; E. GUILD, K. GROENENDIJK, S. CARRERA, Illiberal liberal States: immigration, citizenship and integration in the EU, Farnham, 2009; S. IGLESIAS SÁNCHEZ, Free movement of third country nationals in the European Union : Main features, deficiencies and challenges of the new mobility rights in the area of freedom, security and justice, in ELJ, 2009, p. 791 ss.; K HAILBRONNER (ed.), EU immigration and asylum law: commentary on EU regulations and directives, München, Oxford, Baden-Baden, 2010; C. GAUTHIER, M. GAUTIER (sous la direction de), L’immigration légale: aspects de droits européens, Bruxelles, 2011. 4 COM(2004) 811 def., dell’11 gennaio 2005, Libro verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione economica. 5 COM(2005) 669 def., del 21 dicembre 2005, Piano d’azione sull’immigrazione legale. La Commissione ha provato più volte a rilanciare la riflessione in un quadro organico, v. COM(2007) 780 def., del 5 dicembre 2007, Verso una politica comune di immigrazione; COM(2011) 248 def., del 4 maggio 2011 Comunicazione sulla migrazione. 6 Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, GUUE L 251 del 3 ottobre 2003, p. 12 ss.; direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, GUUE L 16 del 23 gennaio 2004, p. 44 ss. 7 Direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato, GUUE L 375 del 23 dicembre 2004, p. 12 ss.; direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, GUUE L 289 del 3 novembre 2005, p. 15 ss.; direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, GUUE L 155 del 18 giugno 2009, p. 17 ss. Su quest’ultima direttiva, v. M. FASCIGLIONE, L’attrazione di lavoratori stranieri altamente qualificati alla luce della nuova disciplina sulla ‘Blue Card’ europea: Utopia o realtà?, in questa Rivista, 2011, p.109 ss. 8 COM (2007) 638 def., del 23 ottobre 2007, Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro. Una prima votazione nel Parlamento europeo sulla bozza di Direttiva ha portato ad una

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Arianna Pitino

La tutela della salute dei cittadini e degli stranieri in Canada, Stati Uniti, Sudafrica, India (e qualche cenno all’Italia) SOMMARIO: 1. I diritti sociali come espressione dell’identità nazionale degli Stati. – 2. Tutela della salute e Costituzione. – 3. La cittadinanza come discriminante nella tutela della salute. – 4. La tutela della salute degli stranieri in Canada: malcelato opportunismo o diritto fondamentale? – 5. Gli stranieri residenti negli Stati Uniti qualified o not-qualified per Medicaid, la controversa nozione di emergency medical condition e la recente approvazione dell’“Obama Health Reform”. – 6. La Corte costituzionale del Sudafrica amplia la tutela dei diritti sociali degli stranieri. – 7. La Corte Suprema dell’India e il riconoscimento giurisprudenziale di un diritto alla salute debole ma necessario. - 8. Conclusioni.

1. La circolazione su scala planetaria dei modelli con cui si interpreta e si organizza l’esistente non riguarda soltanto i sistemi economici e produttivi che, pure, insieme ai più recenti mezzi di comunicazione, hanno dato vita al fenomeno della globalizzazione, ma interessa da molto tempo anche la conformazione giuridicocostituzionale degli Stati 1. In particolare ciò ha caratterizzato i sistemi di garanzia e di protezione dei diritti umani negli Stati liberal-democratici che, almeno per quanto concerne le principali libertà della persona, sono ormai concordi nel riconoscere loro una valenza universale 2. L’universalità in materia di diritti può però estendersi al massimo ai valori essenziali che si pongono a fondamenta dei diritti umani come, per esempio, quelli contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 3 (il di*

Ricercatrice di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Genova. S. STAIANO, I diritti fondamentali nelle giurisprudenze costituzionali, in M. SCUDIERO, cur., Il diritto costituzionale comune europeo. Principi e diritti fondamentali, vol. I, tomo III, Napoli, Jovene, p. 833 ss. 2 G. ROLLA, Tecniche di positivizzazione e clausole di interpretazione dei diritti fondamentali, in Studi in memoria di Giuseppe G. Floridia, Napoli, Jovene, 2009, p. 666 individua una “tensione universalistica che anima la protezione della persona”. Si veda anche M. ZANICHELLI, Il significato dei diritti fondamentali, in M. CARTABIA, cur., I diritti in azione, Bologna, Il Mulino, p. 513 e A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 43 ss. 3 S. GAMBINO, Stato e diritti sociali fra Costituzioni nazionali e Unione europea, Napoli, Liguori ed., p. 30, osserva come nonostante le Dichiarazioni e le Convenzioni internazionali abbiano spesso 1

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ritto di ogni individuo alla vita, alla libertà e alla sicurezza, oppure i divieti categorici contro la schiavitù, le pene e i trattamenti crudeli, inumani o degradanti). L’attuazione pratica dei diritti presuppone invece uno spostamento verso ciò che è relativo e storicamente influenzato dalle diverse tradizioni statali, non ultime quelle di tipo filosofico, politico e culturale 4. Soffermandosi in particolare sui diritti civili e su quelli sociali, si può osservare come essi si collochino in posizioni differenti lungo la retta che vede l’universalità da un lato e il relativismo all’estremo opposto. Molte delle più comuni libertà della persona derivanti dall’evoluzione degli originari diritti di habeas corpus partecipano di un grado elevato di universalità dato che, essendosi conquistate già da tempo un ampio consenso a livello internazionale 5, vengono di solito riconosciute a tutti senza tener conto della cittadinanza. In questo caso gli ordinamenti statali esprimono comunque la loro specificità giuridico-istituzionale attraverso le norme civili e penali e l’organizzazione del sistema giudiziario che, nel complesso, costituiscono i presupposti imprescindibili per una tutela effettiva di tali libertà. Il relativismo e la determinazione storica sembrano invece rivestire un ruolo ben più ampio nell’ambito dei diritti sociali 6. Certo, non si nega che anche questi diritti siano in parte riconducibili a valori universalmente condivisi, come la centralità che la salute umana o l’istruzione primaria hanno progressivamente assunto a livello internazionale ci dimostrano 7. Tuttavia, non esiste ancora una valida alternativa al fatto che la concreta attuazione dei diritti sociali resti affidata pressoché per intero alle scelte autonomamente compiute e poste in essere, principalmente in via legislativa, dai singoli ordinamenti statali. Ciò fa sì che nel modo una natura programmatica e svolgano un ruolo più politico che giuridico, esse adempiono all’importantissima funzione di mantenere visibili e di promuovere i diritti umani. 4 M. CARTABIA, L’universalità dei diritti umani nell’età dei “nuovi diritti”, in Quaderni cost., 2009, p. 556 parla efficacemente di diritti “al crocevia tra universalità e storia“. 5 Per ciò che attiene all’Unione europea e alla CEDU si veda, tra gli altri, A. GARDINO, Stati e Corte europea di Strasburgo nel sistema di protezione dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2005, p. 3 ss.; A. STONE SWEET, H. KELLER, The reception of ECHR into national legal orders, in H. Keller, A. Stone Sweet, cur., A Europe of rights. The impact of the ECHR on national legal systems, New York, Oxford University Press, 2008, p. 5 ss.; S. GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione europea. Una prospettiva costituzional-comparatistica, Milano, Giuffrè, 2009, p. 105 e 117; A. VON BOGDANDY, Comunità di diritti fondamentali come meta dell’integrazione? I diritti fondamentali e la natura dell’Unione europea, in Diritto Pubblico, 2001, p. 849 ss. 6 Anche la Corte costituzionale del Sudafrica nel Re Certification of the Republic of South Africa, 1996, CASE CCT 23/96, del 6 settembre 1996, par. 78, parlando della conformità della nuova Costituzione sudafricana del 1996 ai 34 principi costituzionali contenuti nella Costituzione transitoria del 1993, affermò che i diritti sociali “are not universally accepted fundamental rights”. 7 L. BERNIER, International socio-economic human rights: the key to global health improvement?, in The International Journal of Human Rights, vol. 14, n. 2, 2010, p. 251 ss.

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Chiara Favilli

L’applicazione ai cittadini di Paesi terzi del divieto di discriminazione per motivi di nazionalità Contributo sottoposto a peer review

SOMMARIO: 1. La nuova era del diritto antidiscriminatorio dell’Unione europea. – 2. Razza, origine etnica e nazionalità. – 3. La differente disciplina della discriminazione per motivi di nazionalità. – 4. L’applicazione del principio generale di non discriminazione ai cittadini di Paesi terzi. – 5. La differenza di trattamento tra cittadini dell’Unione europea e cittadini di Paesi terzi nel godimento dei diritti umani.

1. I divieti di discriminazione, contenuti nei Trattati istitutivi sin dalle origini delle Comunità europee, hanno avuto uno straordinario sviluppo giurisprudenziale e normativo, tanto da individuare un settore specifico del diritto dell’Unione 1. Elemento essenziale di questo processo è stato l’inserimento nel Trattato di quello che ora è l’art. 19 TFUE. Ciò ha consentito di ampliare i motivi di discriminazione espressamente menzionati nel Trattato. L’art. 19 TFUE, infatti, conferisce al Consiglio il potere di adottare misure per contrastare la discriminazione per motivi di sesso, razza e origine etnica, religione e convinzioni personali, età, disabilità e orientamento sessuale. Nonostante che l’art. 19 TFUE non sancisca un divieto, con esso per la prima volta sono state introdotte nel Trattato nuove cause di discriminazione, diverse da quelle tradizionali, costituite dalla nazionalità e dal sesso. Inoltre l’art. 19 TFUE ha un ambito di applicazione coincidente con lo stesso Trattato, andando ad integrare in maniera significativa il contenuto del diritto antidiscriminatorio europeo 2. 1

M. BARBERA, Il Nuovo diritto antidiscriminatorio, Milano, 2007. M. BELL, Anti-discrimination law and the European Union, Oxford, 2001; M. BENEDETTELLI, Il giudizio di eguaglianza nell’ordinamento giuridico delle Comunità europee, Padova, 1989; G. CHITI, Il principio di non discriminazione e il Trattato di Amsterdam”, in RIDPC, 2000, p. 872 s.; A. DASHWOOD, S. O’LEARY, The Principle of Equal Treatment in E.C. Law. A collection of Papers by the Centre for European Legal Studies (Cambridge), London, 1997; G. DE SIMONE, Dai principi alle regole: eguaglianza e divieti di discriminazione nella disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, 2001; L. FLYNN, The Implications of Article 13 E.C.- After Amsterdam. Will some forms of discrimination be more equal than others?, in CMLR, 1999, p. 1127 ss.; K. LENAERTS, L’égalité de traitement en droit communautaire: un principe unique aux apparences multiples, in CDE, 1991, p. 3 ss.; R. PLENDER, Equality and Non-discrimination in the Law of the European Union, in Pace Int. LR, 1995, pp. 57-80; A. SOMEK, A constitution for antidiscrimination: Exploring the Vanguard Moment of Community Law, in ELJ, 1999, p. 243 ss. 2

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Un ulteriore e significativo sviluppo si è avuto con il Trattato di Lisbona. Sono state inserite, infatti, nel sistema dei Trattati nuove affermazioni relative al rispetto del principio di uguaglianza (articoli 2, 4, par. 2, e 9 del TUE)3, mentre le norme già presenti sono state ricollocate tra i principi e le competenze dell’Unione nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea 4. Tra le norme completamente nuove spicca l’art. 10 TFUE in base al quale: “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. Questa disposizione impone che tutte le politiche dell’Unione debbano non solo non discriminare per i motivi ivi indicati, che sono i medesimi di quelli contenuti nell’art. 19 TFUE, ma anche concorrere ad eliminare le discriminazioni. Non si tratta né di un divieto di discriminazione (come l’art. 18 TFUE) né di una norma attributiva di competenza (come l’art. 19 TFUE), bensì di una norma che impone di perseguire la lotta alle discriminazioni in ogni settore di intervento del3

Art. 3, par. 2, capoverso 4: «[L’Unione] rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo». 4 La prima modifica riguarda il titolo I denominato “Categorie e settori di competenza dell’Unione” e non più “Princìpi”. La modifica del titolo è radicale dato che tutte le norme ivi contenute vengono abrogate o spostate, generalmente con riformulazioni, nel TUE o in altre parti del TFUE. Si scorporano così dal titolo sui “Princìpi” del TCE quelle norme che erano volte, più che a fornire basi giuridiche, ad individuare obiettivi e valori dell’Unione e che per questo vengono inserite nel Titolo I del TUE. Il titolo I del TFUE viene quindi dedicato prevalentemente ad individuare le competenze dell’Unione, specificando per ciascuna di esse la rispettiva categoria: esclusiva, concorrente o di sostegno, coordinamento e completamento. Il Titolo II dedicato alle “Disposizioni di applicazione generale” contiene alcune norme che individuano obiettivi trasversali alle varie politiche, in quanto il loro perseguimento presuppone un’azione concorrente in ogni settore disciplinato dal diritto UE. Alcune di queste disposizioni sono nuove, altre sono state spostate da altre parti del Trattato, come ad esempio gli articoli sulla protezione dell’ambiente e dei consumatori (artt. 11 e 12 TFUE). Ancora il Trattato di Lisbona prevede lo spostamento degli artt. 12 e 13 TCE nella seconda parte dedicata alla Non discriminazione e cittadinanza dell’Unione che comprende gli artt. da 18 a 25. Gli artt. 18 e 19 TFUE corrispondono, con lievi modifiche, agli artt. 12 e 13 TCE. La scelta dell’accorpamento delle norme sulla non discriminazione e sulla cittadinanza potrebbe essere stata determinata dalla volontà di raggruppare in un’unica parte del Trattato le norme relative ai diritti della persona, a prescindere dall’esercizio dei diritti derivanti dalle altre parti del Trattato ed in particolare da quelle relative al mercato interno. Con lo spostamento delle due disposizioni antidiscriminatorie dalla prima alla seconda parte, il legislatore comunitario ha depurato la prima dalle norme contenenti basi giuridiche mantenendovi solo quelle che propriamente definiscono i principi e le modalità di funzionamento di tutta l’Unione. Il fatto che tali norme non siano più collocate nei principi non significa una riduzione di rilevanza, dato che la Corte di giustizia ha raramente valorizzato sia il dato letterale sia quello della collocazione nell’ambito del Trattato per determinare l’importanza di una disposizione; sarà quindi sempre possibile riconoscere dei principi in qualsiasi norma del Trattato a prescindere dalla sua collocazione.

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Isabel Estrada Carvalhais

L’Unione europea e l’immigrato extra-comunitario: la gestione dell’esclusione (traduzione dal portoghese di Aristide Canepa)

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Decodificare la logica liberal-securitaria. – 3. La logica liberal-securitaria in atto. – 4. Immigrazione illegale: politica di prevenzione o politica della paura?. – 5. Politica europea di vicinato ed esportazione delle responsabilità per la sicurezza. – 6. Conclusioni.

1. Analizzando la prassi politica dell’Unione europea nel trattamento delle questioni legate ai flussi migratori provenienti da paesi terzi (o extra-comunitari), possiamo vedere come questa si fondi su una logica liberale di natura bivalente. Questa bivalenza si esplicita nella distinzione tra un’etica borghese che obbedisce al Capitalismo ed un’etica umanista nella quale si rimarca l’attaccamento della logica liberale ad un sistema di diritti umani considerati fondamentali, come, per es., il diritto alla libertà di circolazione. Sebbene le due etiche non coincidano totalmente, finiscono però entrambe per rafforzare la logica liberale nelle sue componenti di compromesso col Capitalismo e, in questo senso, la sua natura bivalente è ben lontana dal produrre un drammatico paradosso. Per quanto riguarda la libertà di circolazione, per esempio, il suo innalzamento alla dignità di diritto fondamentale dell’individuo dipende essenzialmente dalla stessa agenda liberale connessa agli interessi del funzionamento delle economie capitaliste 1. Orbene, nel presente lavoro cercheremo di esaminare come questa logica liberale presieda alle scelte politiche che l’Unione europea compie nella propria relazione con l’“Altro”, l’immigrato, e come la sua dimensione securitaria (espressa nelle politiche di esternalizzazione delle responsabilità, di lotta all’immigrazione illegale e al terrorismo, di difesa della migrazione circolare e di incentivazione del ritorno volontario) finisca per contrassegnare l’etica borghese, compromettendo in realtà l’etica umanista cui abbiamo precedentemente accennato. 1

Questo non significa che la dimensione umanista della logica liberale si riduca ad una pura e semplice strumentalizzazione da parte del capitalismo. Al contrario, essa possiede un’autonomia che si radica, almeno in parte, nel convincimento autentico, da parte di milioni di persone, dell’effettiva esistenza di Diritti Umani universali, dei quali fa parte anche la libertà di circolazione.

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2. L’utilizzo che facciamo qui del concetto di logica mira soprattutto ad esprimere una certa idea di intenzionalità – intenzionalità in rapporto (pro o contro) a valori e principi che informano l’azione. Il termine possiede così un’importante dimensione valoriale, sebbene non sia questa la sede per analizzare tutte le implicazioni ermeneutiche che ne discendono. Partendo da questa lettura basale, vogliamo quindi chiederci quali principi strutturali si evidenzino nella logica europea di gestione dei flussi migratori. Siamo coscienti del fatto che il lavoro di analisi volto all’identificazione di tali principi possa orientarsi molto facilmente verso l’utilizzazione della categoria (post)coloniale (Carvalhais, 2010: 146). In effetti, come abbiamo già affermato: “… non neghiamo che l’Europa ed i suoi stati avvertano ancora il peso della “frattura coloniale” (Stora, 1999; Blanchard et al., 2005; Laforcade, 2006) risultante dalla tensione che sono andati edificando tra il proprio “io” e l’“Altro” – lo schiavo, il colonizzato, lo scoperto, il conquistato e, da ultimo, l’immigrato. Sono mutati i riferimenti spaziali di questa tensione (che oggi si verifica principalmente nello stesso spazio europeo, in quanto spazio di società recettrici di “comunità immigranti”) e sono certamente mutati molti aspetti del linguaggio (giuridico, politico, sociale e culturale) in cui si era andato storicamente operando il dialogo tra questo “io” e l’“altro” (lo spazio degli imperi, delle loro colonie e dei possedimenti oltremare). Ma non tutto è mutato e in tal senso ci sembra corretto affermare che si dà una persistenza della logica coloniale nel modo in cui l’Europa si rapporta col proprio immigrante (e persino col proprio cittadino che essa insiste comunque a percepire come “immigrante” a causa dell’origine etnica, nazionale, religiosa), persistenza che d’altronde è alla base della maniera auto-centrata e confusa in cui l’Europa interpreta il multiculturalismo, non in quanto condizione naturale della sua stessa identità, ma in quanto carattere esterno aggiunto al proprio spazio dalla presenza dell’“Altro”.” (2010: 147; corsivi dell’a., NdT) Tuttavia, la manifesta sintonia di orientamenti tra il discorso securitario delle istituzioni europee e quello dei governi degli stati-membri non può essere spiegata solo con la forza della “frattura coloniale”. Infatti, sebbene nella storia della colonizzazione europea ogni Stato occupi un ruolo differente, tutti hanno contribuito, in maniera più o meno attiva, alla legittimazione della lettura securitaria dell’Europa in materia di immigrazione da paesi terzi, per lo meno dagli anni Settanta del XX sec., quando si è assistito alla fine del grande ciclo di espansione economica che l’Europa aveva conosciuto nel secondo dopoguerra (Messina, 2007). Il caso della Germania è illuminante, giacché essa, pur non possedendo l’esperienza storica di potenza colonizzatrice nel senso e nella dimensione di altri paesi, ha tuttavia incorporato, nella costruzione del proprio progetto politico e della propria identità collettiva, il tratto coloniale con ciò che questo esprime di una relazione con l’“Altro” da posizione gerarchicamente superiore e dominante.

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Valeria Di Comite *

La difficile posizione degli stranieri familiari di cittadini di Stati membri dell’Unione europea e le discriminazioni a rovescia: una questione ancora aperta? ** Contributo sottoposto a peer review

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il diritto dei cittadini dell’Unione al ricongiungimento con i familiari cittadini di Paesi terzi. – 3. La controversa posizione dei cittadini europei “statici” e le discriminazioni “a rovescio”. – 4. La sentenza Ruiz Zambrano. – 5. La giurisprudenza successiva: le sentenze McCarthy e Dereci. – 6. Il problema delle discriminazioni “a rovescio” e la soluzione offerta nell’ordinamento italiano. – 7. Conclusioni.

1. Il dibattito ancora attuale sulla natura dell’Unione europea che vede contrapporsi diverse posizioni in merito alla funzione e all’obiettivo del medesimo progetto di costruzione europea è divenuto negli ultimi anni ulteriormente fecondo 1. Non si tratta di questioni puramente teoriche poiché la forte tensione *

Ricercatore confermato di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Questo scritto è destinato al Liber Amicorum Augusto Sinagra. 1 La dottrina che si è soffermata su tale questione è talmente ampia da non poter essere qui ricordata in modo esaustivo. Si può però segnalare come nella dottrina prevalga un orientamento teso a evidenziare le peculiarità del processo di integrazione europea che si caratterizza per elementi di sovranazionalità che lo distinguono dalle altre organizzazioni internazionali. In tema, tra gli altri, cfr. V. COSTANTINESCO, L’applicabilité directe dans le droit de la C.E.E., Paris, 1970, p. 138 ss. (ristampa, Bruxelles, 2006); P. PESCATORE, Le droit de l’integration. Emergence d’un phénomène nouveau dans les relations internationales selon l’expérience des Communautés européènnes, Leiden, 1972, (ristampa, Bruxelles, 2006); ID., Federalisme et integration: Remarques liminaires, in E. W. MCWHINNEY, P. PESCATORE (eds.), Federalism and Supreme Courts and the Integration of Legal Systems, Heule, 1973, p. 5 ss. ristampato in P. PESCATORE, Études de droit communautaire européen 1962-2007, Bruxelles, 2008, p. 451 ss.; P. PESCATORE, L’ordre juridique des Communautés Européennes, Liege, 1975, p. 18 ss. (ristampa, Bruxelles, 2006); G. C. RODRÍGUEZ IGLESIAS, Consideraciones sobre la formación de un Derecho Europeo, in Gaceta Jurídica de la Unión Europea y de la competencia, n. 200, abril/mayo 1999, pp. 11-25, in specie p. 11 s.; R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino, II ed., 2010, p. 20 ss.; L. DANIELE, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2010, IV ed., pp. 38 ss.; A. MANGAS MARTÍN, D. J. LIÑÁN NOGUERAS, Instituciones y Derecho de la Unión Europea, Madrid, 2010, VI ed., p. 49 s.; L. MOCCIA, Il sistema della cittadinanza europea: un mosaico in composizione, in L. MOCCIA (a cura di), Diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione europea, Milano, 2010, pp. 165-194, spec. p. 168 ss.; G. **

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tra i sostenitori dell’idea di un’Unione europea finalizzata nel tempo a stabilire un’Unione politica connotata da elementi di tipo federale che superino le differenze nazionali, ma nella consapevolezza della loro esistenza, e i sostenitori dell’idea di un’Unione europea che sia invece fortemente ancorata a posizioni di tipo nazionale, e costituisca solo un’ulteriore organizzazione internazionale 2, come tante altre, si ripercuotono inevitabilmente sulla concreta realizzazione del processo di integrazione europea. L’altalenare delle diverse posizioni in alcuni momenti storici ha generato significative “battute di arresto” di tale processo. E una testimonianza di ciò è la mancata entrata in vigore del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, ma non ratificato da Francia e Paesi Bassi a seguito dell’esito negativo dei rispettivi referendum. Probabilmente le difficoltà incontrate erano anche motivate dalle implicazioni che esso avrebbe potuto avere sotto il profilo simbolico; non a caso in tale Trattato si prevedeva che il motto dell’Unione dovesse essere: “Unita nella diversità”. A prescindere dall’idea di Unione europea delle diverse correnti di pensiero, un elemento è certo: l’Unione europea oggi, come sempre, si fonda sul principio di attribuzione delle competenze e le sue istituzioni possono agire solo in base alle competenze che gli Stati hanno voluto attribuirle attraverso i Trattati costitutivi. Nel Trattato di Lisbona 3 – attualmente in vigore – emerge chiaramente la preoccupazione degli Stati nel voler ricordare e riaffermare questo principio 4.

C. RODRÍGUEZ IGLESIAS, M. LÓPEZ ESCUDERO, La Unión Europea, in M. DIEZ DE VELASCO, Las organizaciones internacionales, Madrid, 2010, XVI ed., pp. 581-616, in specie p. 593; G. STROZZI, Diritto dell’Unione europea, Torino, 2010, V ed., p. 1 ss.; G. TESAURO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2010, VI ed., pp. 2-3; U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, Bari, 2010, II ed., p. 8 ss.; ID., Il Diritto dell’Unione europea è ancora materia per internazionalisti?, in La Comunità internazionale, 2011, pp. 553-567, in specie p. 554 ss.; E. TRIGGIANI, L’Unione europea dopo la riforma di Lisbona, Bari, 2011, in specie p. 12 ss. 2 Secondo alcuni autori la Comunità europea (oggi Unione) sarebbe riconducibile alla categoria delle classiche organizzazioni internazionali, dovrebbe invece escludersi la tesi dell’esistenza di “un peculiare tipo di Organizzazioni (ma, in sostanza, ci si riferisce alla CE) dette sovranazionali, dotate di una limitata sovranità (nelle materie di loro competenza esclusiva) ceduta (o trasferita) dai loro stessi Stati membri e i cui ordinamenti costituirebbero una sorta di tertium genus tra l’ordinamento internazionale e gli ordinamenti interni” cfr. A. SINAGRA, P. BARGIACCHI, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Milano, 2008, p. 80. 3 Il nuovo Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) – entrati in vigore il 1° dicembre 2009 – sono il risultato della profonda riforma concretizzatasi con la firma del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007. In tema cfr. E. TRIGGIANI, op. cit., in specie p. 9 ss. 4 Sul principio di attribuzione di competenze si vedano, tra gli altri, gli articoli 5 TUE, 4, par. 1 TUE, 6, par. 1, 2° capoverso, e par. 2 ultima frase TUE, art. 13, par. 2 TUE, nonché la Dichiarazione relativa alla delimitazione delle competenze allegata al Trattato.

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Massimo Fragola *

Considerazioni sul Servizio diplomatico europeo e sulla protezione diplomatica dei cittadini Ue SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’istituzione del Servizio diplomatico Ue. La decisione del Consiglio dell’Unione europea del 26 luglio 2010 n. 2010/427/UE. – 3. Alcune note sull’origine della protezione diplomatica Ue con riferimento all’istituto di diritto internazionale. – 4. Analisi della norma sulla protezione diplomatica Ue nella sua evoluzione da Maastricht a Lisbona. – 5. Segue: dalla decisione attuativa ai documenti preparatori relativi ad una nuova normativa. Necessità di una disciplina più organica e dettagliata. Le proposte. – 6. La necessità di una protezione diplomatica e consolare condivisa in attesa di una protezione dell’Unione tout court. Gli sviluppi delle disposizioni dei trattati.

1. Tra le numerose novità che la riforma di Lisbona ha comportato, l’istituzione del “Servizio europeo per l’azione estema” (SEAE) appare meritevole di una particolare attenzione giacché foriero di possibili importanti sviluppi dell’Unione sul piano internazionale 1. Il nuovo Servizio diplomatico si pone alle dipendenze dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in quanto “mandatario” del Consiglio 2, e svolge la propria azione esterna in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri e con la Commissione dell’Unione europea 3. Va evidenziato che le missioni diplomatiche degli Stati membri e le delegazioni dell’Unione nei paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali cooperano tra di loro e contribuiscono alla formulazione e all’attuazione dell’approccio comune 4. Rileva pertanto il rinnovato ruolo delle delegazioni (un tempo) della Commissione europea, oggi delegazioni “dell’Unione” 5, che, in cooperazione *

Professore associato nell’Università della Calabria. Questo lavoro è pubblicato anche negli Atti del Convegno in memoria di Luigi Sico, Talitha Vassalli di Dachenhausen (a cura di), Napoli, 2011. 1 D’ora in avanti “Servizio diplomatico” anche se la dizione ufficiale non richiama testualmente alcunché di diplomatico che però, nella sostanza, è la funzione tipica che il SEAE va a svolgere. 2 Così testualmente l’art. 18, n. 2 TUE. 3 Giacché 1’Alto rappresentante è anche vice presidente della Commissione (art. 18, n. 4 TUE) e presiede il Consiglio “Affari esteri” (art. 18 TUE). Si noti pure il rapporto “congiunto” tra l’Alto rappresentante e la Commissione in ordine ai necessari collegamenti con le organizzazioni internazionali (art. 220 TFUE). 4 Art. 32, terzo comma TUE. 5 Il numero delle delegazioni già operanti è oggi 136 distribuite in tutti i continenti. Sul punto v. infra ultimo paragrafo.

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con le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri, “cooperano al fine di garantire il rispetto e l’attuazione delle decisioni che definiscono posizioni e azioni dell’Unione adottate” e “contribuiscono all’attuazione del diritto di tutela dei cittadini dell’Unione nel territorio dei paesi terzi di cui all’articolo 20, paragrafo 2, lettera c) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e delle misure adottate in applicazione dell’articolo 23 di detto trattato” 6. Così che, con riguardo all’attuazione della tutela dei cittadini dell’Unione nei paesi terzi, il Servizio diplomatico svolge un ruolo di tutto rilievo supportato dalle missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri nonché in cooperazione con le delegazioni dell’Unione. Non v’è dubbio che la struttura diplomatica Ue è una novità rilevante della riforma di Lisbona che si inserisce nella prospettiva della tutela diplomatica che l’Unione intende assicurare ai propri cittadini. Ma andiamo per gradi. Se l’istituzione del Servizio diplomatico appare come un’importante conquista per lo sviluppo del ruolo internazionale dell’Unione, giova analizzare la sua funzione non solo nell’ottica della politica estera e di sicurezza comune 7, bensì nella prospettiva della cittadinanza dell’Unione europea (d’ora in avanti “cittadinanza europea”) che ha rappresentato, e rappresenta, un esempio caratterizzante della specificità dell’Unione. Ciò perché la materia della protezione diplomatica dei cittadini Ue si inserisce proprio nel generale contesto delle prerogative dei cittadini Ue. Ma non solo in quanto diritto di cittadinanza bensì, come vedremo, in quanto diritto fondamentale 8. Nell’ottica della specificità della cittadinanza europea, l’istituto della protezione diplomatica, a giusto motivo, ne esalta il carattere più propriamente esclusivo e ne evidenzia il ruolo intenazionale, esterno quindi alla Ue 9. Com’è noto, il Trattato della Comunità europea, che ci ha accompagnato per più di cinquant’anni nell’avventura comunitaria, è stato “assorbito” nella nuova strutturazione del Trattato di riforma scomparendo quindi dai testi fondamentali 10, una 6

Art. 35 TUE. Con riguardo al Titolo V TUE, Capo 2. 8 Sulla protezione diplomatica come diritto individuale v. preliminarmente le sentenze della Corte internazionale di giustizia nei casi LaGrand (27 giugno 2001) e Avena (31 marzo 2004), su cui v. P. PUSTORINO, Recenti sviluppi in tema di protezione diplomatica, in Riv. dir. int., 2006, p. 75 ss. 9 In argomento, M. CONDINANZI, Commento all’art. 20 TCE, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, Milano, 2004, p. 263 ss.; A. LANG, Artt. 17-18 TCE, ivi, p. 248 ss.; M. ORLANDI, Cittadinanza europea e libera circolazione delle persone, Napoli, 1996, p. 28 ss.; E. TRIGGIANI, La cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale, in SIE, n. 3, 2006, p. 435 ss.; L. S. ROSSI, I cittadini, in A. TIZZANO, Il diritto privato dell’Unione europea, vol. I, Torino, 2000, p. 97 ss. 10 Per la genesi del Trattato di Lisbona, v. per tutti A. TIZZANO (a cura di), Una Costituzione per l’Europa, Milano, 2004; G. TESAURO, Un testo di revisione stilato a tempo di record che sacrifica partecipazione e valori condivisi, in Guida al Diritto, n. 6-2007, p. 8 ss. 7

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata



Gilda Ferrando, Elena Fiorini

Minori stranieri, procedure di adottabilità e familiari residenti all’estero NOTA alle sentenze Tribunale per i minorenni di Milano 21 novembre 2011; App. Genova, sez. min., 24 settembre 2011

SOMMARIO: 1. I casi. - 1.1. Il primo caso. - 1.2. Il secondo caso. - 2. Interesse del bambino e diritto alla famiglia. - 3. Quando il bambino è straniero. - 4. Dal principio del “best interest” alla sua concretizzazione. - 5. I presupposti di provvedimenti limitativi e/o ablativi della potestà nei casi esposti. - 6. Le garanzie procedurali, in particolare per le famiglie straniere. - 7. Il fattore tempo nell’accertamento giudiziale. - 8. Il tempo nell’accertamento del best interest.

1. Si riportano due casi di minori stranieri, molto diversi tra loro, ma che pongono interrogativi di fondo analoghi. Nell’uno e nell’altro caso i giudici debbono valutare se e come valorizzare i legami parentali che ancora sussistono tra il bambino e la famiglia d’origine o se, invece, rafforzare l’ inserimento del minore in Italia. Nell’uno e nell’altro caso siamo di fronte, se così si può dire, a vite sospese tra famiglia, cultura, paese di provenienza e famiglia, cultura paese di accoglienza. E la decisione del giudice può far pendere il piatto della bilancia nell’una e nell’altra direzione cambiando la vita e il futuro del minore. 1.1. I casi sono assai differenti tra di loro. Nel primo incontriamo un bambino haitiano nato nel 2006 che giunge in Italia nel 2010 insieme ad altri bambini, come lui arrivati grazie ad un intervento umanitario di soccorso alle vittime del terremoto. Quel che è certo è che il bambino si trovava in ospedale con gravi problemi di salute che richiedevano cure non disponibili in loco. Vi sono peraltro molte incertezze sulla sua storia, risultando agli atti del Tribunale versioni opache e talvolta contraddittorie sui fatti, sui rapporti tra il bambino e la sua famiglia. Un primo racconto ce lo raffigura abbandonato nell’ospedale di Haiti ormai da mesi all’epoca del trasferimento in Italia. Ma c’è anche un’altra storia, quella di una famiglia povera che a fatica mette insieme la cifra importante (quanto meno per la situazione isolana) necessaria per il ricovero, che va a trovare il bambino sempre più di rado, e poi interrompe le visite, per via dei costi del viaggio, della distanza, delle difficoltà. Una volta avute notizie del bambino e del suo ricovero in Italia,

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

peraltro, i genitori e la nonna materna chiedono di poterlo raggiungere nel nostro paese. Tuttavia i tentativi di organizzare il viaggio dei familiari (o almeno di uno di loro) incontrano difficoltà (vi sono versioni discordanti al riguardo da parte della Croce Rossa e del Consolato italiano ad Haiti). Il servizio sociale ambrosiano stabilisce un collegamento via Skype, abbastanza frequente, in cui il bambino mostra di riconoscere soprattutto il papà e la nonna, ma non la madre. Si verifica così una situazione di stallo, in cui il tempo passa ed il bambino resta solo in ospedale, sottoposto a cure di lunga durata. I provvedimenti giudiziali risentono delle incertezze della vicenda e della molteplicità delle sue raffigurazioni. Il bimbo viene affidato al servizio sociale del Comune e gli viene nominato un Tutore. Ma questa è una situazione giuridica provvisoria, destinata ad evolvere o verso una dichiarazione di adottabilità in Italia (ove risulti provato l’abbandono), o verso il ricongiungimento alla propria famiglia. Un primo provvedimento del Giudice tutelare – forse sottovalutando la situazione clinica del bambino – tendeva ad accelerare l’ingresso in Italia di uno dei familiari, in modo tale da consentirgli di incontrare i medici, apprendere le cure e le terapie necessarie per il minore, ed infine provvedere al suo rientro in patria di entrambi. Di fronte alle difficoltà di attuazione di questo progetto, il Giudice tutelare rimette gli atti al T.M. per la verifica dell’eventuale situazione di abbandono. Il 14 luglio 2011 si apre dunque la procedura di adottabilità. Nello stesso tempo, tuttavia, la famiglia, nei collegamenti via Skype, continua a chiedere di poter venire in Italia. E la CRI si dice disponibile a sostenere le spese del viaggio. Da parte sua, il difensore d’ufficio chiede il rientro del bambino ad Haiti. In questo contesto si colloca il provvedimento in epigrafe con cui il T.M., dando seguito alla procedura di adottabilità, da un lato, dispone (ex art.12, c.3, l. adoz.) che il console italiano ad Haiti provveda in loco all’audizione dei genitori per mettere a fuoco le circostanze del caso, la loro disponibilità ed effettiva possibilità di occuparsi del bambino, dall’altro sollecita il tutore, “anche al fine del possibile ingresso in Italia dei genitori del minore qualora la procedura di adottabilità si dovesse concludere con una pronuncia di non luogo a provvedere” ad attivare i suoi poteri di rappresentanza prevedendo, in particolare, che “egli possa chiedere, sin da adesso, un’autorizzazione ai sensi dell’art. 31 T.U. Immigrazione in loro favore al precipuo fine di garantire al pupillo il suo diritto a crescere nella propria famiglia”. Quanto tempo passerà ancora prima che questa vicenda si concluda, e quale ne sarà l’epilogo? Quali ferite la lunga fase di attesa e di incertezza (quasi due anni al momento del provvedimento infliggerà a questo bimbo haitiano ricoverato in ospedale, a Milano, il cui unico contatto con i suoi cari è lo schermo di un computer? Forse è tempo necessario ad evitare errori, può darsi. Forse era attesa evitabile. Resta il dubbio che non sia stato fatto abbastanza per far entrare

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Emanuela Giacobbe

Multa paucis. Cittadini extracomunitari e diritti calpestati NOTA all’ordinanza del 16 dicembre 2011 del Tribunale di Torino

SOMMARIO: 1. Il caso. - 2. Il diritto all’unione familiare. - 3. L’evoluzione normativa. - 4. La peculiare posizione dei cittadini somali.

1. La stringatezza del provvedimento del Tribunale di Torino rappresenta luminoso esempio di una giurisprudenza che ben sa svolgere il proprio “mestiere”, con poco “schiamazzo” e molta responsabilità. Non servivano, in fondo, molti giri di parole per risolvere una vicenda che, nella sua semplicità, avrebbe potuto – o forse avrebbe dovuto – comportare conseguenze sul piano diplomatico-internazionale enormi, oltre a calpestare i più elementari diritti fondamentali dell’individuo, dei quali pure la nostra Costituzione si è eretta custode. La fattispecie è piuttosto semplice. Tizia, cittadina somala e regolarmente soggiornante in Italia, inoltra istanza di nulla osta per ricongiungimento familiare con il proprio marito allo sportello unico presso la prefettura territorialmente competente, la quale rilascia il nulla osta, ai sensi del comma 7 art. 29 d.lgs. 286/1998 c.d. T.U. sull’immigrazione. Ai sensi della medesima disposizione il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento della autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti, per quanto qui interessa, di coniugio 1. La documentazione comprovante lo stato di coniugio, evidentemente, è rappresentata, ex art. 130 cod. civ., dall’atto di celebrazione del matrimonio estratto dai relativi registri, e la richiedente, in ottemperanza alle prescrizioni della nostra 1 Appare piuttosto evidente che la presentazione di documentazione falsa o contraffatta non potrebbe consentire il rilascio del visto, come pure specificato dal comma 7 art. 21 del regolamento CE 810/2009 che istituisce il codice comunitario dei visti.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

legge, presenta traduzione di certificato di matrimonio registrato presso l’autorità di Nairobi, con timbro siglato dalla Camera del Capo Cadì a Mombasa, Kenya, e dal Ministero degli affari esteri del Kenya 2. A questo punto si sarebbe potuto pensare che l’iter procedimentale fosse giunto la suo regolare compimento, sennonché l’ambasciata italiana di Nairobi, respinge la domanda di visto, da cui la controversia risolta dalla sentenza in commento. Il rifiuto del visto da parte della rappresentanza diplomatica italiana all’estero, di per sé, non crea di necessità particolare problemi, ché, anzi, proprio nella logica del citato comma 7 art. 29 t.u. immigrazione, l’intervento dell’autorità consolare italiana all’estero è proprio volto all’accertamento della autenticità della documentazione prodotta, accertamento che potrebbe essere malagevole ove svolto dalle autorità italiane in Italia 3. La concessione del diritto all’unità familiare, invero, si concretizza attraverso un procedimento complesso che si compone della valutazione effettuata dallo sportello unico, sfociante nel rilascio o diniego del nulla osta, seguita, in caso di esito positivo, dall’accertamento compiuto dalla rappresentanza diplomatica competente a rilasciare, o ancora a negare, il visto d’ingresso 4. Contro il diniego di nulla osta e contro gli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare l’interessato può, comunque, proporre opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria 5. Sennonché, nel caso di specie, il visto fu negato non già perché l’accertamento circa la autenticità della documentazione prodotta avesse dato esito negativo, ov2

La trascrizione del matrimonio nei relativi registri, e l’estratto del relativo certificato da questi, secondo la nostra legislazione ha funzione meramente probatoria di una celebrazione precedentemente avvenuta, la cui “esistenza” non può che decorrere dalla data della detta celebrazione e certamente non dalla data della intervenuta trascrizione, come pure ha dovuto sottolineare e ricordare Trib. Genova 1.08.2011, in Dir. immigr. e citt. 2011, p. 164, alla medesima ambasciata italiana a Nairobi, la quale aveva – illegittimamente secondo il tribunale – negato il visto di ingresso per motivi familiari alla moglie sulla base della circostanza che la citata registrazione, ma non già la celebrazione, era stata effettuata successivamente alla domanda di nulla osta. 3 Lo riconosce Cass. 5.01.2005 n. 209; sul riparto delle competenze tra le, all’epoca, questure e l’autorità consolare altresì App. 12.02.2001, in Gius., 2002, p. 326. 4 Cfr. da ultimo Cass. 30.03.2011 n. 7218. 5 Ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, rubricato Dell’opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, le controversie previste dall’articolo 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. È competente il tribunale in composizione monocratica del luogo in cui il ricorrente ha la residenza. L’ordinanza che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa.

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Enrico Lanza

La sentenza della Corte costituzionale n. 331 del 2011 in materia di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina SOMMARIO: 1. Introduzione. La politica della sicurezza. - 2. Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a seguito della riforma realizzata con la legge n. 94 del 2009. - 3. La questione di legittimità costituzionale relativa al comma 4 bis dell’art. 12 t.u. - 3.1. Il precedente in materia di mafia. - 3.2. Le decisioni in tema di delitti sessuali, di omicidio volontario e di traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope. - 4. La sentenza della Corte costituzionale n. 331 del 2011. Aspetti positivi e criticità della decisione.

1. Sia per fronteggiare il presunto incremento dei reati, che per rimediare alla ritenuta indulgenza del sistema penale, negli ultimi anni il legislatore ha introdotto nuove fattispecie incriminatrici, individuato soluzioni procedimentali maggiormente coercitive, intensificato il trattamento sanzionatorio di molti illeciti. L’assunto di base, a giustificazione di questo orientamento politico, è il convincimento circa l’efficacia preventiva degli strumenti di tipo repressivo. Sono riprove di tale tendenza il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, contenente «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», convertito con modificazioni nella l. 23 aprile 2009, n. 38, e la l. 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica» (anche nota come “pacchetto sicurezza”). Per quel che concerne l’oggetto specifico del presente lavoro, due sono le innovazioni, realizzate con le riforme del 2009, da segnalare. Con la l. n. 38 il legislatore, in materia di custodia in carcere, ha introdotto delle eccezioni al sistema cautelare ordinario, stabilendo che, per determinate fattispecie delittuose, la misura inframuraria dovesse costituire l’unica soluzione da adottare, ovviamente in presenza delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, come già previsto in materia di criminalità organizzata di stampo mafioso. Questa espansione della disciplina eccezionale, però, non è stata guidata da un criterio oggettivo, perché ha riguardato ipotesi incriminatrici eterogenee fra

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

loro sia per bene giuridico protetto che per trattamento sanzionatorio 1. Con la l. n. 94, poi, sono state modificate, fra l’altro, le disposizioni in tema di favoreggiamento dell’ingresso clandestino dell’art. 12 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, noto come testo unico sull’immigrazione (d’ora in avanti t.u.)2. 2. Ai sensi del nuovo primo comma dell’art. 12 t.u., «1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona». In confronto con la formulazione normativa della fattispecie precedente alla riforma del 2009, si può notare lo sforzo definitorio del legislatore, che ha provato a superare il difetto di determinatezza della nozione di “atti diretti a procurare l’ingresso di uno straniero nel territorio dello Stato in violazione delle norme del testo unico”. Con la novella, così, sono state indicate con maggiore precisione le forme di agevolazione della clandestinità sanzionabili, attraverso l’elencazione di quelle condotte che, nella tradizione normativa, costituiscono i ruoli qualificati all’interno delle organizzazioni criminali 3. Rispetto al passato, poi, la sanzione reclusiva è rimasta immutata, mentre è 1

Sono da notare altresì le diverse modalità con le quali è stato definito dal legislatore il ricorso al rimedio custodiale. Mentre, cioè, nella generalità dei casi la preferenza per la carcerazione cautelare è stata manifestata con una modifica dell’art. 275 c.p.p., per il favoreggiamento aggravato dell’ingresso clandestino è stato attuato un intervento sul testo unico dell’immigrazione, con l’inserimento del comma 4-bis nell’art. 12. Questa differenza potrebbe costituire un argomento a sostegno dell’idea, già espressa da tempo da molti studiosi, che esista l’intendimento politico di creare, nella materia degli stranieri, un vero e proprio sottosistema penale (secondo alcuni, un diritto speciale). In generale, sulla creazione di un diritto speciale per gli stranieri vd. A. CAPUTO, Verso un diritto speciale per gli immigrati?, in Quest. giust., 2000, pp. 1179 ss., M. PELISSERO, Logiche di esclusione e di inclusione nella politica criminale sull’immigrazione, ivi, 2007, pp. 696 ss. 2 In argomento G. L. GATTA, Il “reato di clandestinità” e la riformata disciplina penale dell’immigrazione, in Dir. pen. proc., 2009, pp. 1323 ss.; E. LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, CEDAM, Padova, 2011; A. PECCIOLI, Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella giurisprudenza e la riforma del 2009, in Dir. pen. proc, 2009, Speciale immigrazione, pp. 19 ss.; P. SCOGNAMIGLIO, Il Nuovo Pacchetto Sicurezza. Commento organico alla L. 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), Simone, Napoli, 2009. 3 Il tentativo è più simbolico che reale, poiché i comportamenti declinati all’interno della disposizione non sono quelli che hanno dato origine nella pratica a perplessità applicative, trattandosi di forme di favoreggiamento chiare. Riguardo a tutte le altre situazioni, che possono destare dubbi all’interprete, permane la formula vaga degli “atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato”.

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Chiara Gabrielli

Il rispetto dei diritti nella gestione delle politiche migratorie secondo la sentenza Hirsi della Corte europea dei diritti umani SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Aspetti procedurali e il riconoscimento della giurisdizione extra-territoriale. - 3. Sulla violazione del divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti: la posizione dell’Italia. - 4. Segue: la decisione della Corte. - 5. Il rischio di respingimento indiretto verso il Paese di origine. - 6. La violazione del divieto di espulsioni collettive. - 7. Sulla violazione del diritto ad un ricorso effettivo. - 8. Conclusioni.

1. Nella recente sentenza Hirsi 1, la Corte europea dei diritti umani (Grande Camera all’unanimità) ha condannato l’Italia per violazione del principio di non respingimento in alto mare (art. 3 Cedu) e per violazione del divieto di espulsioni collettive di stranieri 2 (art. 4 del Protocollo n. 4), svolgendo innovative considerazioni sul riconoscimento della giurisdizione in alto mare (ex art. 1 Cedu). La Corte ha altresì accertato la violazione del diritto ad un ricorso effettivo (art. 13). La sentenza si riferisce alla prassi dell’intercettazione di imbarcazioni in alto mare ed al respingimento di richiedenti-asilo o espulsione verso i Paesi di partenza, in particolare Libia 3 ed Algeria 4 ed al rischio di loro successivo ulteriore 1 Sentenza Hirsi Jamaa and Others v. Italy [GC], no. 27765/09 – (23.2.12). Il ricorso era stato presentato da alcuni somali ed eritrei, che insieme ad altre persone, provenienti dalle coste libiche a bordo di tre imbarcazioni, venivano intercettati (a 35 miglia a sud di Lampedusa nella zona Sar di Malta) dalle navi delle Autorità italiane. Tra i primi commenti, v. B. NASCIMBENE, Condanna senza appello della “politica dei respingimenti”? La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Hirsi e altri c. Italia, 2 marzo 2012 (disponibile on line su: www.iai.it). 2 Il primo caso era stato riconosciuto e condannato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Conka v. Belgium, no. 51564/99 (Sect. 3), ECHR 2002-I – (5.2.02). Per un approfondimento della questione, v. E. ZANIBONI, Il divieto di espulsioni collettive di stranieri nel diritto internazionale convenzionale, con particolare riguardo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in questa Rivista, 2004, p. 615 ss. 3 Tra le prime analisi della prassi, v. A. TERRASI, I respingimenti in mare di migranti alla luce della Convenzione europea dei diritti umani, in DUDI, 2009, p. 591 ss.; S. TREVISANUT, Immigrazione

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

respingimento o espulsione verso Paesi di provenienza, quali Somalia ed Eritrea. La responsabilità in discussione si riferisce a persone fatte salire a bordo di navi militari italiane, sulle quali i ricorrenti non venivano identificati né informati sulla destinazione o del diritto di chiedere asilo, ma consegnati alle autorità libiche senza alcun esame della loro posizione di “rischio individuale o generalizzato” (quali beneficiari del diritto d’asilo o della protezione sussidiaria 5) e del rischio di trattamenti disumani e degradanti nel Paese di espulsione. Una volta ricondotte sul territorio libico, le persone di varia nazionalità venivano detenute in appositi centri e sottoposte a trattamenti, qualificabili come disumani e degradanti. In generale, la situazione del rispetto dei diritti umani in Libia appariva quantomeno lacunosa in quanto non applica la Convenzione di Ginevra né dispone di normativa nazionale sul diritto d’asilo, mentre l’azione in loco dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) era risultata nel tempo intermittente ed inadeguata. 2. Per quanto riguarda le questioni procedurali, lo Stato convenuto mette in dubbio la validità delle procure esibite dai legali e le modalità di identificazione dei ricorrenti 6; afferma che si è verificata la perdita di contatto tra ricorrenti e difensori, come già nella decisione di irricevibilità Hussun and Others v.

clandestina via mare e cooperazione fra Italia e Libia dal punto di vista del diritto del mare, ivi, p. 609 ss.; F. DE VITTOR, Soccorso in mare e rimpatri in Libia: tra diritto del mare e tutela internazionale dei diritti dell’uomo, in RDI, 2009, p. 800 ss.; A. DI PASCALE, Migration control at sea: the Italian case, in (eds.) B. RYAN, V. MITSILEGAS, Extraterritorial Immigration Control: Legal Challenges, Leiden, 2010, p. 281 ss.; A. DEL GUERCIO, Respingimenti di migranti verso la Libia e obblighi dell’Italia in materia di rispetto dei diritti umani, in questa Rivista, 2/2010, p. 73 ss. 4 Nel corso delle operazioni di intercettazione nel Mediteraneo tra maggio e novembre 2009, solo in un caso i migranti sono stati ricondotti in Algeria, sulla base dell’accordo del 22 luglio 1999 in materia di lotta al terrorismo, criminalità organizzata, traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope e immigrazione illegale. Su tale accordo, v. G. LICASTRO, L’Accordo di cooperazione Italia-Algeria per contrastare l’immigrazione illegale, in DCSI, 2009, p. 357 ss. 5 V. art. 15 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in GUUE L 304, 30 settembre 2004, p. 12. Per l’interpretazione, v. sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 17 febbraio 2009, Meki Elgafaji e Noor Elgafaji c. Staatssecretaris van Justitie, causa C-465/07, in Raccolta, p. I-00921. Il testo della norma è stato confermato dalla nuova direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche sul contenuto della protezione riconosciuta, in GUUE L 337, 20 dicembre 2011, p. 9. 6 Sentenza Hirsi, cit., par. 45 ss.

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Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato di valutazione I contributi proposti per la pubblicazione sono sottoposti alla revisione di due membri del Comitato scientifico per la valutazione, scelti dalla Direzione sulla base dell’oggetto trattato dal contributo pervenuto. Il Comitato scientifico per la valutazione è suddiviso in tre aree di pertinenza (area privatistica; area pubblicistica; area internazionalistica e di diritto europeo). L’attribuzione ai valutatori avverrà rispettando l’anonimato sia degli autori che dei valutatori. In ciascun fascicolo della rivista sarà pubblicato l’elenco dei valutatori coinvolti, seguendo unicamente l’ordine alfabetico. In caso di parere discorde da parte dei valutatori la decisione in merito alla pubblicazione verrà adottata dalla Direzione. Ai fini della pubblicazione, all’autore è richiesto di adeguare il contributo considerando, anche criticamente, le considerazioni svolte dai valutatori. La Direzione si assume la responsabilità scientifica dell’intervenuta rielaborazione del contributo a seguito delle considerazioni svolte dai due valutatori. Resta facoltativa la sottoposizione a referees dei contributi quando l’autore sia docente di chiara fama. La Direzione può inoltre ammettere alla pubblicazione note a sentenza per decisioni che ritenga meritevoli di immediato commento. AREA PRIVATISTICA Edoardo Ales, Luigi Balestra, Guido Biscontini, Donato Carusi, Raffaele Caterina, Michele Comenale Pinto, Barbara De Donno, Maria Vita De Giorgi, Riccardo Del Punta, Angelo Dondi, Gilda Ferrando, Vincenzo Ferrante, Giampaolo Frezza, Emanuela Giacobbe, Francesca Giardina, Andrea Giussani, Leonardo Lenti, Paolo Pascucci. AREA PUBBLICISTICA Gregorio Arena, Andrea Carinci, Giuseppe Cipolla, Pierluigi Consorti, Giovanni Cordini, Cecilia Corsi, Antonio D’Aloia, Adriano Di Pietro, Luciano Eusebi, Silvio Gambino, Adriana Gardino, Silvia Larizza, Stelio Mangiameli, Enrico Marzaduri, Salvatore Prisco, Mario Ricca, Silvio Riondato, Marco Ruotolo, Sandro Staiano, Francesco Viganò. AREA INTERNAZIONALISTICA E DI DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA Maria Caterina Baruffi, Enzo Cannizzaro, Giuseppe Cataldi, Luigi Daniele, Patrizia De Pasquale, Costanza Honorati, Monica Lugato, Luigi Mari, Paola Mori, Claudia Morviducci, Francesco Munari, Lina Panella, Ornella Porchia, Francesco Seatzu, Ennio Triggiani.

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