Gli Stranieri

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ISSN 1720-4402

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numero 1.2011 anno XVIII

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Viterbo Aut. C/VT/069/2010

Rivista quadrimestrale

Rassegna di studi e giurisprudenza

in questo numero

Bruno Nascimbene, Paolo Morozzo della Rocca, Chiara Gabrielli, Gilda Ferrando, Marco Ferrero, Valeria Piergigli, Annapaola Specchio, Martina Guidi, Ilenia Italiano, Ilaria Ottaviano, Giandonato Caggiano, Marcello Di Filippo, Giuseppe Morgese, Flavia Zorzi Giustiniani, Simone Marinai, Marco Fasciglione



numero 1.2011 anno XVIII

Rassegna di studi e giurisprudenza

Foto di copertina: © Elio Colavolpe / Emblema, Grand Hotel Scalo Lodi, Milano 2009 Dal concorso fotografico europeo 2010 “Ferrovie e integrazione. Identità e culture di una Europa multietnica”. Menzione speciale di Studio immigrazione.


Rassegna di studi e giurisprudenza quadrimestrale Comitato scientifico Paolo Benvenuti, Università Roma Tre Luciano Eusebi, Università Cattolica del Sacro Cuore Gilda Ferrando, Università di Genova Adriano Giovannelli, Università di Genova Bruno Nascimbene, Università di Milano Sandro Staiano, Università di Napoli Ugo Villani, Università Luiss “Guido Carli” di Roma Direzione Giandonato Caggiano, Università Roma Tre Aristide Canepa, Università di Genova Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino Fondatore e direttore responsabile Raffaele Miele Comitato di redazione Roberta Bonini, Chiara Gabrielli, Matteo Marchini, Ilaria Ottaviano Segreteria di redazione Giuseppina Guerrini, e-mail: redazione@glistranieri.it Progetto grafico e impaginazione Massimo Giacci Redazione e amministrazione Studio immigrazione sas Via del Giglio, 3 - 01100 Viterbo Tel. 0761 326685 - Fax 0761 290507 www.studioimmigrazione.it e-mail: amministrazione@studioimmigrazione.it Editore e proprietario della testata Studio immigrazione sas

ISSN 1720-4402 Registrazione Tribunale di Viterbo, n. 406 del 20 marzo 1994 Gli articoli firmati esprimono il pensiero dell’Autore e non impegnano la Rivista.


Sommario

Articoli Bruno NASCIMBENE La “direttiva rimpatri” e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento.

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Paolo MOROZZO DELLA ROCCA Rassegna critica della giurisprudenza in materia di coesione familiare con il minore affidato mediante kafalah.

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Chiara GABRIELLI La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il “governo dei giudici” in attesa dell’interpretazione pregiudiziale della Corte di giustizia.

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Gilda FERRANDO Il matrimonio degli stranieri “irregolari” tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata Marco FERRERO Il nodo irrisolto dell’ostatività alla regolarizzazione dell’Art. 14, comma 5 ter T.U. Nota all’ordinanza del Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria, n. 912 del 25.2.2011

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Valeria PIERGIGLI La legge regionale campana sulla integrazione sociale degli stranieri supera il vaglio della Corte costituzionale. Nota alla sentenza della Corte costituzionale 25 febbraio 2011, n. 61

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Annapaola SPECCHIO La mancanza di iscrizione anagrafica del cittadino europeo non ne legittima l’allontanamento in mancanza dei presupposti sostanziali del provvedimento. Nota alla sentenza della Corte d’Appello di Milano, 3 febbraio 2011

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Martina GUIDI La Corte europea afferma, ancora una volta, la violazione degli articoli 3 e 34 della CEDU da parte dell’Italia. Nota alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 5 aprile 2011, caso Toumi c. Italia, ricorso n. 25716/09

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Sommario

Ilenia ITALIANO La protezione dei diritti dei richiedenti asilo nella CEDU e nell’Unione europea non è necessariamente equivalente. 117

Nota alla sentenza MSS c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011

Ilaria OTTAVIANO Ancora sui diritti riconosciuti ad un cittadino di Paese terzo in quanto genitore di un minore cittadino dell’Unione: la Corte di giustizia estende la giurisprudenza Chen. Nota alla sentenza della Corte di giustizia, causa C-34/09, Zambrano c. Belgio.

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Elenco delle abbreviazioni

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Speciale Europa - Contributi Giandonato CAGGIANO Principi e prospettive del diritto dell’immigrazione nell’Unione europea al tempo della crisi del Mediterraneo.

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Marcello DI FILIPPO La migrazione regolare dei cittadini di Stati terzi.

145

Giuseppe MORGESE Gli sviluppi della politica dell’Unione europea in materia di asilo in base al Programma di Stoccolma.

155

Flavia ZORZI GIUSTINIANI Verso una politica comune europea di asilo. Il processo di revisione normativa.

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Speciale Europa - Approfondimenti Simone MARINAI Status familiari e libera circolazione.

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Marco FASCIGLIONE La direttiva sanzioni ai datori di lavoro.

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Articoli



Bruno Nascimbene *

La “direttiva rimpatri” e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento. SOMMARIO: 1. La disapplicazione delle norme nazionali contrastanti. - 2. Le ragioni della disapplicazione. Il rimpatrio volontario e il trattenimento. - 3. Il trattenimento come ipotesi eccezionale e strumentale al rimpatrio. Il rispetto del principio di proporzionalità e della tutela dei diritti fondamentali. - 4. Il contrasto con le norme nazionali e l’abolitio criminis. - 5. Le più recenti iniziative della Commissione europea in materia di politica d’immigrazione. Profili critici. - 6. Gli obblighi del legislatore nazionale: il recepimento della direttiva, in conformità alla sentenza.

1. Le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia nella causa El Dridi sono state immediate: nello spazio di pochi giorni sia la Corte di Cassazione, sia il Consiglio di Stato, come si dirà poco oltre, ne hanno tenuto conto, disapplicando le norme nazionali contrastanti con il diritto UE. Malgrado una lettura critica e riduttiva proposta da alcuni membri del Governo, la sentenza mette in dubbio la ratio stessa della criminalizzazione delle norme sull’ingresso e soggiorno dello straniero nel nostro Paese, richiedendo non solo una modifica delle stesse, ma anche un “ripensamento” 1. La sentenza è stata pronunciata su rinvio pregiudiziale della Corte d’appello di Trento e riguarda, precisamente, la possibile incompatibilità, poi ritenuta tale, *

Ordinario di diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano. La sentenza del 28.4.2011, causa C-61/11 PPU El Dridi, è in http://curia.europa.eu; ivi anche la presa di posizione dell’avvocato generale Mozák. Per i primi commenti alla direttiva si vedano, oltre al nostro Direttiva rimpatri: solo innovazioni di sistema superano l’inutile ricorso a strumenti penali (qui ripreso con modifiche e integrazioni), in Guida al Diritto, n. 20, 14.5.2011, p. 9 ss., ivi M. CASTELLANETA, Netta bocciatura per il sistema italiano troppo duro con chi ignora l’espulsione; G. AMATO, Nel caso di procedimenti già definiti va revocata la sentenza di condanna; S. ZANCANI, Con l’estensione del diritto penale europeo nuove opportunità di difesa per gli avvocati. Cfr. inoltre C. AMALFITANO, La reclusione degli immigranti irregolari per violazione dell’ordine di allontanamento del Questore non è compatibile con le prescrizioni della c.d. direttiva rimpatri, in Cass. pen., 2011, in corso di pub.; C. FAVILLI, Direttiva rimpatri, protezione temporanea e circolazione nell’area Schengen, in Guida al Diritto, 2011, in corso di pub.; F. VIGANÒ, L. MASERA, Addio articolo 14, in www.penalecontemporaneo.it. 1

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Articoli

dell’art. 14, comma 5-ter del t.u. immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) con la “direttiva rimpatri”, in particolare con gli artt. 15 e 16 che riguardano il trattenimento dello straniero, le modalità e le condizioni del trattenimento stesso. La Corte di giustizia ha, invero, censurato, non solo la specifica norma che punisce con la reclusione l’inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni, ma anche, «ogni [altra] disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva» 2. Le norme nazionali, insomma, contrastano con la ratio e l’effetto utile della direttiva, perché perseguono una finalità opposta a quella sottesa alla direttiva: in sostanza, la reclusione dello straniero irregolare anziché il suo rimpatrio volontario. Si tratta di norme che non sembrano, inoltre, rispettare i diritti fondamentali della persona destinataria del provvedimento di espulsione-rimpatrio, contrastando anche sotto questo profilo con la direttiva, fondata (come i considerando n. 2 e n. 24 della stessa espressamente affermano) sulla tutela dei diritti fondamentali. La disciplina nazionale in questione non poteva, dunque, che essere dichiarata incompatibile con la direttiva e deve essere disapplicata da giudici e autorità nazionali, in considerazione dell’efficacia diretta delle disposizioni rilevanti (artt. 15 e 16 citt.), la Corte avendo peraltro già affermato, in una precedente occasione, l’immediata applicabilità dell’articolo 15 3. La Corte sottolinea e “ricorda” al giudice nazionale che nel fare ciò deve tenere conto del principio della retroattività della legge penale più favorevole (lex mitior) allo straniero irregolare, che tale principio fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e ha natura di carattere generale nel diritto dell’Unione 4. Il giudice italiano (penale e amministrativo), come si dirà poco oltre, si è correttamente conformato a tale principio.

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Cfr. la sentenza El Dridi, punto 61. La “direttiva rimpatri” è la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 16.12.2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GUUE L 348 del 24.12.2008. Per un commento alla stessa si vedano, fra gli altri, M. BORRACCETTI, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, in Diritto immigrazione e cittadinanza, n. 1, 2010, p. 17 ss.; P. DE PASQUALE, Respingimenti, rimpatri e asilo: la tutela degli immigrati irregolari nell’UE, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2010, p. 19 ss.; F. MAIANI, Directive de la honte ou instrument de progrès? Avancées, régressions et statu quo en droit des étrangers sous l’influence de la Directive sur le retour, in Annuaire suisse de droit européen 2008/2009, Zürich, p. 289 ss. 3 Cfr. la sentenza del 30.11.2009, causa C-375/09 PPU, Kadzoev, in Raccolta, p. I-11189. 4 In questi termini, fra le altre, Corte di giustizia, 3.5.2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a., in Raccolta, p. I-3565, spec. punti 67-69; 11.3.2008, causa C-420/06, Jager, in Raccolta, p. I-1315, spec. punto 59.

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Paolo Morozzo della Rocca

Rassegna critica della giurisprudenza in materia di coesione familiare con il minore affidato mediante kafalah. SOMMARIO: 1. Il minore affidato è “familiare” ai sensi della Direttiva 2004/38/CE. - 2. Sull’applicabilità anche ai cittadini italiani delle norme sul ricongiungimento familiare di cui al D.lgs 286/1998, se più favorevoli. - 3. La kafalah come affidamento del minore e come titolo per l’esercizio del diritto all’unità familiare. - 4. L’adozione del minore affidato mediante kafalah.

1. Può la kafalah costituire una figura di affidamento del minore straniero idonea a consentire il rilascio dell’autorizzazione all’ingresso dell’affidato per motivo di coesione familiare o di ricongiungimento familiare? A questa domanda è divenuto più difficile rispondere – per lo meno in modo unitario – a seguito di una discutibile sentenza del Supremo Collegio - Cassazione, n. 4868 del 1 marzo 2010 1 – alla quale la giurisprudenza del merito sembra avere reagito perdendo l’orientamento faticosamente elaborato negli anni precedenti e dividendosi tra reazioni di ossequio al discutibile principio di diritto affermato dalla Suprema Corte ed il palese ma sconcertato dissenso 2. In quella decisione il Supremo Collegio non ha sollevato alcun dubbio sulla conformità all’ordine pubblico esterno italiano della kafalah, almeno nelle modalità in cui questa è oggi vigente nel diritto marocchino, confermando, seppure con un mero obiter dictum, l’orientamento già consolidatosi presso il giudice di legittimità che, ponendo fine ad una iniziale incertezza, riconosce ormai in questo istituto un opportuno strumento di tutela dell’interesse del minore proveniente da ordinamenti giuridici di ispirazione islamica e dunque idoneo a consentire il ricongiungimento familiare 3. 1

Pubblicata in Fam. e dir., 2010, 8-9, p. 780 ss., con nota di R. GELLI, Questioni relative al ricongiungimento del minore in kafalah al cittadino italiano, nonché in Nuova Giur. Civ., 2010, 78, 1, p. 831 con nota di J. LONG, Kafalah: la Cassazione fa il passo del gambero. 2 In questo secondo senso: App. Venezia, 24.2.2011 e Trib. Tivoli, 22.6.2010, entrambe inedite. 3 Hanno ritenuto che il provvedimento di affidamento possa essere considerato efficace in Italia come affidamento legittimante l’autorizzazione all’ingresso per motivi familiari: Cass., 20.1.2010, n. 1908 in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2010, 3, 790; Cass., 17.7.2008, n. 19734, in

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Articoli

Un istituto, quello della kafalah, certamente diverso dall’adozione e riconducibile piuttosto (seppure con alcune importanti differenze disciplinari, ma non certo ontologiche) al concetto di affidamento per scoLONGpi assistenziali, ben conosciuto dal nostro legislatore che lo ha disciplinato agli artt. 2 e ss. della legge 184/1983. La Cassazione ha però ritenuto che il ricongiungimento familiare del minore affidato con provvedimento di kafalah possa essere realizzato solo dai cittadini stranieri, ai sensi, appunto, dell’art.29 del Testo Unico sull’immigrazione e non, invece, da cittadini italiani; e ciò sulla base di due postulati entrambi decisamente controversibili. In primo luogo perché, secondo la Cassazione, al cittadino italiano non potrebbe applicarsi la disciplina di cui all’art.29 del Testo Unico sull’immigrazione, ma solo quella di derivazione comunitaria resa in materia di soggiorno dei familiari del cittadino italiano o europeo, ai sensi della quale, almeno stando alla lettera dell’art.2 del D.lgs 30/2007, il minore affidato (ed in particolare quello affidato in kafalah) non sarebbe incluso nella nozione di “familiare”. In secondo luogo il Supremo Collegio ritiene che, poiché “ad assicurare ai cittadini italiani l’inserimento nella propria famiglia, come figlio, di un minore straniero versante in stato di abbandono, è posta in via esclusiva la normativa di cui alla legge n. 184 del 1983”, non può essere ammesso per essi il ricorso alla kafalah, in quanto ciò costituirebbe un’inammissibile elusione di detta normativa. Nessuna delle due riportate affermazioni della Cassazione può essere condivisa. In particolare, riguardo alla prima, è certamente vero che l’art. 2 della direttiva sulla libertà di circolazione presenta un’elencazione tassativa al cui interno non è citato il caso del minore affidato. Tuttavia va anche osservato come non vi sia perfetta coincidenza tra la tassatività di un’elencazione e l’obbligo dell’interpretazione letterale, spesso ben poco affidabile, specie nel diritto comunitario così soggetto ad equivoci linguistici. Al riguardo una significativa indicazione ermeneutica sembra provenire da una comunicazione della Commissione europea al Parlamento ed al Consiglio europei, secondo cui “la nozione di parenti diretti in linea discendente o ascen-

Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2009, 3, p. 742, nonché in Nuova Giur. Civ., 2008, 10, 1, p. 1229, con nota di J. LONG; Cass., 20.3.2008, n.7472, in Fam. e Dir., 2008, 7, p. 674 con nota di R. GELLI, nonché in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2008, 3, p. 809. Per il conforme orientamento della giurisprudenza del merito, cfr., Trib. Acqui Terme, 15.7.2010, in Fam. e Dir., 2010, 11, p. 1054; Trib. Minorenni Brescia, 12.3.2010, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2010, 3, p. 760; App. Torino, 30.5.2007, in Giur. It., 2008, 12, p. 2730 con nota di D’ORO; App. Bari, 16.4.2004, in Fam. e Dir., 2005, 1, p. 61 con nota di R. GELLI. In senso contrario, invece: App. Torino, 19.11.2009, in Fam. e Dir., 2010, 8-9, p. 783 nota di R. GELLI; Trib. Torino, 4.5.2007, inedito.

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Chiara Gabrielli

La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il “governo dei giudici” in attesa dell’interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia. SOMMARIO: 1. Oggetto del lavoro, principi del diritto dell’Unione europea e richiesta di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia. - 2. La disciplina nella direttiva rimpatri. - 3. Segue: e nel Testo Unico sull’immigrazione. - 4. La circolare del Ministero degli Interni. - 5. La giurisprudenza sulla compatibilità tra le norme sui reati legati al mancato allontanamento dei migranti irregolari espulsi e la direttiva rimpatri. - 6. Ulteriori possibili profili di incompatibilità: il rimpatrio volontario. - 7. Segue: Il trattenimento nei CIE. - 8. Segue: Il divieto di reingresso. - 9. Questioni di legittimità costituzionale della normativa vigente. - 10. Conclusioni.

1. Alla scadenza del termine per l’attuazione della direttiva 2008/115/CE “rimpatri” 1, il legislatore italiano non ha adottato un atto di recepimento ad hoc, né modifiche al Testo Unico sull’immigrazione 2. La questione della diretta applicazione delle norme della direttiva rimpatri ha coinvolto gli organi competenti nell’ambito delle procedure di espulsione (prefetture, questure, giudici di pace, pubblici ministeri e giudici penali)3. Inoltre, la durata del trattenimento dello straniero (senza un limite temporale predeterminato e non rispettosa del principio di proporzionalità della pena) costituisce sia una violazione del diritto fondamentale alla libertà personale (art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), sia una violazione del corrispondente diritto previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani (art. 5, par. 1, lett. f)).

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V. direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GUUE L 348 del 24 dicembre 2008, pp. 98-107. Gli Stati membri avevano a disposizione due anni per il recepimento (fino al 24 dicembre 2010). 2 V. D.lgs. 286/98, Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, in GURI n. 191 del 18 agosto 1998, S.O. n. 139 e successive modifiche. 3 Tutte le sentenze, le ordinanze e i decreti penali citati nel presente lavoro sono disponibili nelle banche dati su: www.immigrazione.it e www.penalecontemporaneo.it.

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Articoli

L’inadempimento del legislatore italiano dell’obbligo di trasposizione della direttiva ha trasferito il compito di individuare le norme contrastanti sulle autorità giudiziarie e amministrative. L’opinione di gran lunga prevalente è che, dal raffronto tra la disciplina italiana in vigore e quella introdotta dalla direttiva, siano evidenti vari elementi di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea. Nei primi tre mesi dall’entrata in vigore della direttiva rimpatri si è formata una vasta e contraddittoria giurisprudenza, che si articola come una sorta di “governo dei giudici” volto alla disapplicazione, in tutto o in parte, di alcune norme del Testo unico 4. A tal fine occorre accertare quali norme siano scritte in maniera “chiara e precisa”, requisito per la produzione di effetti diretti da parte di una direttiva (self-executing) e l’eventuale disapplicazione delle norme interne contrastanti. Secondo la Corte di Giustizia, una volta scaduto il termine per l’attuazione di una direttiva 5, le norme possono trovare diretta applicazione negli ordinamenti nazionali quando risultino sufficientemente chiare, precise 6 e non condizionate 7 e conferiscano agli individui un diritto nei confronti dello Stato membro (c.d. “effetto diretto verticale”)8. Al fine del riconoscimento degli effetti diretti, non è necessario che la direttiva sia connotata da tali caratteristiche nella sua interezza, ma è sufficiente che alcune norme o parti di norme attribuiscano agli individui diritti chiari e non condizionati dall’emanazione di altri atti dell’UE o degli Stati membri. Sulla base del principio del primato del diritto comunitario, i giudici e la pubblica amministrazione sono tenuti a disapplicare le norme di diritto interno in contrasto con la direttiva non trasposta 9. In secondo luogo, l’elaborazione giu4

V. infra par. 5. V. le storiche sentenze 5 febbraio 1963, Van Gend & Loos, causa 26/62, in Raccolta, p. 3; 26 febbraio 1986, Marshall, causa 152/84, in Raccolta, p. 723. 6 V. sentenza 19 novembre 1991, Francovich, cause riunite C-6/90 e C-9/90, in Raccolta, p. I5357; sentenza 30 aprile 1996, CIA Security International, causa C-194/94, in Raccolta, p. I-2201; sentenza 15 maggio 1986, Johnston, causa 222/84, in Raccolta, p. 1651; sentenza 10 aprile 1984, von Colson, causa 14/83, in Raccolta, p. 1891. 7 V. sentenza 19 gennaio 1982, Becker, causa 8/81, in Raccolta, p. 53; sentenza 4 dicembre 1974, Van Duyn, causa 41/74, in Raccolta, p. 1337; sentenza 8 aprile 1976, Defrenne c. Sabena, causa 43/75, in Raccolta, p. 455. 8 V. sentenza 5 aprile 1979, Ratti, causa 148/78, in Raccolta, p. 1629. Viceversa, la direttiva inattuata, seppur dotata di norme precise ed incondizionate, non può produrre diritti nei confronti dei privati (c.d. “effetto diretto orizzontale”), v. sentenza Marshall, cit.; sentenza 14 luglio 1994, Faccini Dori, causa C-91/92, in Raccolta, p. I-3325; sentenza 5 ottobre 2004, Pfeiffer, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, in Raccolta, p. I-8835. Sull’argomento, v. U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, II ed., 2010, p. 265 ss. 9 Nella recente sentenza 19 gennaio 2010, Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG, causa C-555/07, non ancora pubblicata in Raccolta, la Corte ha stabilito che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la normativa nazionale contraria ad un principio generale di diritto; ha ribadito peraltro che il ricorso in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia non è un pre-requisito a tale disapplica5

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Gilda Ferrando

Il matrimonio degli stranieri “irregolari” tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale. SOMMARIO: 1. L’attuale disciplina del matrimonio dello straniero in Italia ed il suo ambito di applicazione. - 2. Diritto al matrimonio e regolarità del soggiorno. - 3. L’ordinanza di remissione del Tribunale di Catania. - 4. La sentenza della Corte di Strasburgo.

1. Il matrimonio dello straniero in Italia è disciplinato dall’Art. 116 c.c. secondo il quale egli può sposarsi liberamente, con un altro straniero o con un cittadino italiano, a condizione che presenti un nulla osta rilasciato dall’autorità nazionale competente. Il nubendo straniero deve inoltre soddisfare i requisiti inderogabili previsti dalla legge italiana (Articoli 85, 86, 87, n. 1, 2, e 4, 88, 89). Se ha il domicilio o la residenza in Italia deve fare la pubblicazione secondo le norme del codice civile. In seguito alla modifica introdotta dalla l. n. 94 del 2009, deve inoltre presentare “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. Tali documenti debbono essere presentati all’atto della pubblicazione del matrimonio, per consentire all’ufficiale di stato civile di compiere i necessari controlli, dovendo tuttavia il requisito della regolarità del soggiorno sussistere all’atto del matrimonio, giusto il disposto dell’Art. 116 c.c. 1. Il nulla osta vale a dimostrare che lo straniero si trova nelle condizioni richieste dalla sua legge nazionale per contrarre matrimonio, legge che, secondo l’Art. 27, l. n. 218/1995, regola le condizioni sostanziali per contrarre matrimonio. Esso evita all’ufficiale di stato civile di compiere indagini (complesse e difficili) sulla disciplina straniera. Nel contempo opera una ricezione, nell’ordinamento italiano, della valutazione sulla capacità matrimoniale compiuta da un altro ordinamento 2.

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Su questi profili, v. CLERICI, Il matrimonio dei cittadini all’estero e degli stranieri in Italia, in AULETTA (a cura di), Famiglia e matrimonio, in Trattato Bessone, II ed., Torino, 2010, p. 377 ss.; RENDA, sub art. 116 c.c., in BALESTRA (a cura di), Della famiglia, in E. GABRIELLI (diretto da) Commentario del codice civile, Torino, 2010, p. 218 ss. 2 In proposito, cfr. PANELLA, Il matrimonio del cittadino all’estero e dello straniero nello Stato, in ZATTI (diretto da) Tratt. dir. fam., I, FERRANDO, FORTINO, RUSCELLO (a cura di) Famiglia e matrimonio, Milano, 2002, p. 493; COSCIA, VELLANO, Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e del cittadino straniero in Italia, in FERRANDO (diretto da) Il nuovo diritto di famiglia, I. Matrimonio, separazione e divorzio, Bologna, 2007, p. 469.

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Articoli

L’assenza del nulla osta, dovuta a rifiuto o ad omissione da parte dell’autorità nazionale, non impedisce, tuttavia, il matrimonio, in quanto è possibile ottenere una verifica giudiziale del possesso delle condizioni prescritte dalla legge nazionale del nubendo. La Corte costituzionale ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell’Art. 116 c.c., inteso nel senso che lo straniero non possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo le leggi del proprio paese. La Corte ha infatti ritenuto che l’Art. 116, co. 1 c.c. nella maggior parte dei casi non limita, ma facilita l’esercizio della libertà matrimoniale da parte dello straniero. D’altra parte la pubblicazione è pur sempre ammissibile, disapplicando l’Art. 116, quando il rifiuto di nulla osta sia contrario all’ordine pubblico 3. Dunque il nulla osta ha la funzione di facilitare l’accertamento da parte del giudice del possesso delle condizioni per contrarre matrimonio previste dalla legge straniera, ma non impedisce al giudice di ovviare alla sua mancanza o al suo rifiuto. La presentazione del documento di regolarità di soggiorno ha una diversa funzione e la sua mancanza non pare altrimenti superabile. La nuova norma è stata introdotta al dichiarato scopo di porre un freno ai matrimoni di convenienza (fra cittadino italiano/a e straniera/o), al solo scopo di aggirare le norme sull’immigrazione o sulla cittadinanza. Questo scopo è peraltro già perseguito, in modo più efficace, dalle norme in materia di immigrazione (o di cittadinanza), secondo cui il matrimonio non è sufficiente per ottenere il permesso di soggiorno o la cittadinanza , se manchi la effettiva comunione di vita tra i coniugi 4. Si tratta di una

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V. Corte cost. 30 gennaio 2003, n. 14 che dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’Art. 116: “Considerato (...) che in subordine il giudice remittente (...) sospetta d’illegittimità costituzionale l’Art. 116 c.c. (recte: l’Art. 116, primo comma, c.c.) nella parte in cui non prevede che lo straniero possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo le leggi del proprio Paese ad eccezione, eventualmente, di quelle che contrastano con l‘ordine pubblico; che tale questione è manifestamente infondata, anzitutto in quanto il remittente ha erroneamente valutato l’ambito dei provvedimenti adottabili all’esito del procedimento ex Art. 98, comma 2, c.c., escludendo la configurabilità di una decisione autorizzatoria ed omettendo così di verificare la differente interpretazione della norma censurata derivante dalla possibilità di autorizzare le pubblicazioni, secondo una soluzione già più volte seguita dalla giurisprudenza di merito; che, inoltre, il giudice a quo considera isolatamente la norma impugnata, senza inquadrarla nel sistema, in particolare senza riferirsi al contesto normativo in cui l’applicazione della legge straniera è esclusa ove i suoi effetti siano contrari all’ordine pubblico”. 4 Per una critica del nuovo Art. 116 c.c., v. P. MOROZZO DELLA ROCCA, I limiti alla libertà matrimoniale secondo il nuovo testo dell’art. 116 c.c., in Fam. e dir., 2009, p. 1021 ss.; LENTI, Matrimonio dello straniero e regolarità del soggiorno, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 196 ss.; S. ROSSI, Il matrimonio clandestino e la Corte costituzionale (reperibile on line: www.forumcostituzionali.it).

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Marco Ferrero *

Il nodo irrisolto dell’ostatività alla regolarizzazione dell’Art. 14, comma 5 ter T.U. NOTA all’ordinanza del Consiglio di Stato - Adunanza Plenaria, n. 912 del 25.2.2011

SOMMARIO: 1. La vicenda. - 2. Contrasto tra Direttiva rimpatri e ordinamento nazionale.

1. L’attesissima ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta su una questione che interessa un numero molto ingente di lavoratori stranieri esclusi dalla regolarizzazione prevista contestualmente al Pacchetto sicurezza, con l. 102/2009. La questione rimessa all’Adunanza Plenaria ha visto nei mesi scorsi pronunce di segno opposto in ordine ai numerosissimi ricorsi proposti ai Tar di tutta Italia contro i provvedimenti di rigetto motivati dalla pretesa natura ostativa delle condanne riportate dal lavoratore ai sensi dell’Art: 14, comma 5 ter d.lgs. 286/98 per la mancata ottemperanza all’ordine del Questore di lasciare l’Italia entro cinque giorni a seguito di un’espulsione amministrativa. Infatti, l’Art. 1 ter, co. 13 della legge n. 102/2009 (cosiddetta regolarizzazione “colf – badanti”) esclude dalla regolarizzazione i lavoratori stranieri condanna per uno dei delitti ricompresi nel novero di quelli elencati negli Articoli 380 e 381 del c.p.p. rispettivamente ai fini dell’arresto obbligatorio o facoltativo1. Secondo l’interpretazione invalsa ben presto in molte Prefetture e confermata da una circolare del Ministero dell’Interno n. 1843 del 17.3.2010, a firma del Capo della Polizia, una condanna ai sensi dell’Art. 14, comma 5 ter T.U. sarebbe ostativa alla regolarizzazione perché rientrerebbe tra i reati ricompresi nell’Art. 381 c.p.p., laddove al primo comma si fa riferimento a pene edittali nel massimo non inferiore a tre anni, mentre nelle decine di ricorsi proposti ai Tar, avverso i provvedimenti di rigetto così motivati si argomenta come l’Art. 14, comma 5 ter T.U., che in forza delle modifiche apportate al testo previgente dalla l. 94/2009 pre*

Avvocato in Padova, professore a contratto di diritto dell’immigrazione all’Università Ca’ Foscari Venezia. 1 Oltre ai condannati per i reati di cui agli Articoli 380 e 381 c.p.p., la l.102/2009 esclude gli stranieri espulsi per gravi ragioni dal Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 13, co. 1, d. lgs. 286/98 e art. 3 d.l. 144/2005, o dal Prefetto per ragioni di pericolosità sociale ex Art. 13, comma 2, lett c) d.lgs. 286/98, e gli stranieri segnalati nel Sistema Informativo Schengen come inammissibili.

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vede nella prima parte la pena della reclusione da uno a quattro anni 2, non rientrerebbe né nell’Art. 380 c.p.p., il quale prevede pene edittali non inferiori nel minimo a cinque anni 3, né nell’Art. 381 c.p.p., che prevede per i reati in esso contenuti l’arresto facoltativo 4, (mentre, ai sensi dell’Art. 14, comma 5 quinques, per i reati previsti ai commi 5 ter, primo periodo, e 5 quater si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto). Dunque, in mancanza di una perfetta sovrapponibilità della fattispecie incriminatrice con alcuna delle norme sull’arresto in flagranza di reato, comporterebbe che riferire il reato previsto all’Art. 14, comma 5 ter T.U. all’una o all’altra implicherebbe una violazione del principio di tassatività e di legalità del diritto penale. Peraltro questo argomento non convince, essendo espressamente previsto l’arresto obbligatorio dallo stesso Art. 14, comma 5 quinques T.U., piuttosto ponendosi un problema di razionalità e proporzionalità del trattamento sanzionatorio. Più pregnante l’argomento, anch’esso sollevato innanzi a molti Tar dell’irragionevolezza di una presunta ostatività di una fattispecie penale diretta a sanzionare una tra le violazioni delle disposizioni sull’ingresso e soggiorno degli

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Art. 14, comma 5 ter, d.lgs. 286/98: “Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo nonché, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all’articolo 13, comma 3”. 3 Art. 380, comma 1 c.p.p. “Arresto obbligatorio in flagranza”: Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all’arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni. 4 Art. 381, comma 1 c.p.p. “Arresto facoltativo in flagranza”: Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

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Valeria Piergigli *

La legge regionale campana sulla integrazione sociale degli stranieri supera il vaglio della Corte costituzionale. NOTA alla sentenza della Corte costituzionale 25 febbraio 2011, n. 61

SOMMARIO: 1. La legge regionale campana n. 6/2010 nel quadro delle politiche regionali per gli immigrati. - 2. I motivi del ricorso governativo: analogia con le recenti impugnazioni di altre leggi regionali in materia. - 3. Il giudizio della Corte costituzionale: inammissibilità e infondatezza dei motivi di ricorso. - 4. Conclusioni: dalla Consulta la duplice conferma del ruolo (anche) regionale in materia di immigrazione e del riconoscimento dei diritti sociali fondamentali agli immigrati (anche se) irregolari.

1. Fin dagli anni ’90 del secolo scorso ma soprattutto, con rinnovata solerzia e ricchezza di contenuti, dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 286/1998 (“Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, d’ora in avanti T.U.) e la revisione dell’Art. 117 Cost. (l. cost. 3/2001), il legislatore regionale si è progressivamente attivato per regolare, modificare, correggere, perfezionare le normative dirette alla promozione ed erogazione di servizi e prestazioni sociali a sostegno degli stranieri immigrati 1. In base al T.U., infatti, i diritti fondamentali della persona umana devono essere riconosciuti anche allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello stato (Art. 2, co. 1); inoltre, lo straniero ha diritto alla parità di trattamento con il cittadino italiano nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge (Art. 2, co. 5). Quanto al ruolo delle regioni e degli enti locali, questi, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, adottano i provvedimenti necessari “al perseguimento dell’obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli *

Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nella Università di Siena. Prima della entrata in vigore del T.U. le regioni ordinarie avevano adottato iniziative legislative a favore degli immigrati ai sensi dell’Art. 117 Cost. che, nella versione originaria, contemplava la “beneficenza pubblica” tra le materie di potestà concorrente delle regioni e avevano parallelamente esercitato le competenze amministrative sulla base, dapprima, del d.p.r. 616/1977 (Art. 22) e, più tardi, del d. lgs. 112/1998 (Art. 128 ss.).

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stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelle inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana” (Art. 3, co. 5). Almeno fino alla riforma costituzionale del 2001, le disposizioni del T.U. costituivano “principi fondamentali” per la legislazione concorrente delle regioni ordinarie e “norme fondamentali di riforma economico-sociale” per le regioni a statuto speciale e le province autonome (Art. 1, co. 4 T.U.). In questa prospettiva, il T.U. ha contribuito dunque – ancora nella vigenza del vecchio testo dell’Art. 117 Cost. – a valorizzare il ruolo delle autonomie territoriali (regioni ed enti locali) per tutto quanto concerne la garanzia dei diritti sociali da assicurare agli stranieri immigrati anche in collaborazione con associazioni, fondazioni, organizzazioni di volontariato e altri soggetti privati, salvo differenziare – a seconda dell’ambito materiale di riferimento ovvero della tipologia degli interventi – i destinatari delle prestazioni che pertanto talora si rivolgono, in generale, agli stranieri 2, talaltra, più limitatamente, ai soli stranieri regolarmente soggiornanti, ai quali possono essere richiesti, accanto al requisito della residenza protratta per un certo periodo di tempo 3, adempimenti ulteriori, come la disponibilità di un reddito minimo, di un alloggio adeguato, di una assicurazione sanitaria ovvero l’esercizio di una regolare attività lavorativa per poter accedere a determinati benefici 4. Dopo la revisione costituzionale del 2001, materie come l’assistenza sociale, l’istruzione, la salute, l’abitazione sono state ascritte alla competenza legislativa residuale oppure concorrente delle regioni a statuto ordinario (Art. 117, co. 3 e 4), mentre spetta alla legislazione esclusiva dello stato la disciplina del diritto di asilo, della condizione giuridica dei cittadini di stati non appartenenti alla Unione europea e della immigrazione (Art. 117, co. 2, lett. a) e b), nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che 2

V., ad es.: Articoli 35 e 38 T.U., con riguardo, rispettivamente, alle cure mediche urgenti e all’obbligo scolastico. 3 V., in proposito, ad es.: Art. 2, co. 2, 3 e 4, per il godimento dei diritti civili, l’accesso al lavoro e la partecipazione alla vita pubblica locale; Art. 22 per lo svolgimento di attività lavorativa subordinata; Art. 34 per l’assistenza sanitaria; Art. 37 per le attività professionali; Art. 39 per l’accesso a corsi universitari; Art. 41 per provvidenze e prestazioni di carattere economico e di assistenza sociale, ripreso da Art. 2 l. 328/2000; Art. 42 per le misure di integrazione sociale. Inoltre, l’Art. 6 T.U., come da ultimo modificato con l. 94/2009, dispone l’obbligo di esibizione agli organi della pubblica amministrazione dei documenti inerenti la regolarità del soggiorno ai fini del rilascio di autorizzazioni, licenze, iscrizioni, ad eccezione dei provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, l’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’Art. 35 e alle prestazioni scolastiche obbligatorie. 4 V. ad es.: Art. 26 per l’esercizio di attività non occasionali di lavoro autonomo; Art. 28 ss. per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare; Art. 40 per l’accesso all’alloggio.

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Annapaola Specchio

La mancanza di iscrizione anagrafica del cittadino europeo non ne legittima l’allontanamento in mancanza dei presupposti sostanziali del provvedimento. NOTA alla sentenza della Corte d’Appello di Milano, 3 febbraio 2011

SOMMARIO: 1. Il caso e i principi affermati dalla sentenza. - 2. La libertà di circolazione e la Direttiva europea 2004/38/CE nell’interpretazione della Commissione. - 3. La libertà di circolazione in Italia e la dichiarazione di presenza. - 4. Conclusioni.

1. La Corte di Appello di Milano, sezione delle persone, dei minori e della famiglia, con una decisione del 3 febbraio 2011 1 – confermando quanto già precedentemente sostenuto dal Tribunale di Pavia – ha annullato un decreto di allontanamento emesso nei confronti di una cittadina rumena per non avere la stessa ottemperato all’obbligo di iscrizione anagrafica, per non esercitare alcuna attività lavorativa, per essere priva di risorse economiche sufficienti a non farla divenire un onere per lo Stato, per non essere iscritta a corsi di formazione, per non disporre di assistenza sanitaria, per non avere fissa dimora e, inoltre, per risultare denunciata per impiego di minori nell’accattonaggio. In particolare la Corte di appello sulla base di un’analisi giuridica puntuale e completa, ha affermato, tra l’altro, quanto segue: - “l’inciso ‘chi intende’ contenuto nel 1 comma dell’articolo 9 d.lgs. 30/2007 con valenza descrittiva, non autorizza a sostenere che nell’adozione del provvedimento di allontanamento l’autorità amministrativa debba avere riguardo ‘alle intenzioni del cittadino comunitario e alla natura del soggiorno’”; - “la mancata richiesta di iscrizione anagrafica non assume rilievo ai fini dell’allontanamento disposto dal Prefetto in quanto: l’articolo 21 del d.lgs.

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App. di Milano, Sezione delle persone, dei minori e della famiglia, decisione del 3 febbraio 2011, adottata in merito al ricorso Rg. 396/2010.

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30/2007 con riferimento all’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto al soggiorno ’, prende in considerazione solo le condizioni indicate agli articoli 6, 7 e 13, ma non connette la sanzione dell’allontanamento alla mancata iscrizione anagrafica”; - “la possibilità di riconnettere la sanzione dell’allontanamento alla mancata iscrizione anagrafica discussa durante l’iter di approvazione del c.d. pacchetto sicurezza venne fatta cadere perché contrastante con le pregresse direttive europee e non è invocabile in via interpretativa” e ciò sulla base anche della richiamata circolare del Ministero dell’Interno 400-a del 28.08.2009; - in merito poi al richiamato principio di “proporzionalità” ed al significato che “ad esso occorre attribuire con riferimento all’allontanamento per mancanza delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno” occorre sottolineare che il 16° considerando della direttiva europea precisa che “i beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (…)” e che lo stesso “dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanea e tenere conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento….”. Infine, a tale ultimo proposito, ed a supporto di quanto indicato vengono richiamate, altresì, la Risoluzione del Parlamento europeo approvata il 15 novembre 2007 e le Linee Guida contenute nella Comunicazione della Commissione delle Comunità europee al Parlamento europeo ed al Consiglio in data 2 luglio 2009. La suindicata decisione della Corte di appello interviene con fermezza giuridica su un fenomeno sempre più diffuso riguardante l’adozione di provvedimenti di allontanamento da parte delle Prefetture territoriali nei confronti di cittadini comunitari ed in particolare di cittadini romeni e/o di cittadini romeni di etnia Rom. L’abilità e la serietà della costruzione della riflessione di diritto che modula il testo della sentenza stimola a soffermarsi non solo sulla applicazione normativa di riferimento (peraltro nei suoi aspetti abbastanza chiara, conoscibile e fruibile) ma, in particolare, su una dilagante prassi di attuazione di misure volte a limitare il diritto fondamentale di ciascun cittadino alla libera circolazione all’interno dei Paesi UE e, questo, attraverso l’acquisizione e la diffusione di provvedimenti sommari e privi di un’adeguata istruttoria costruita sul caso specifico. La evidente necessità – che la Pubblica Amministrazione sta interpretando con fatti concludenti - i interventi diretti e denotati dal carattere dell’autorità è, probabilmente, sintomo di una carenza di adeguate misure di sostegno nei confronti dell’uomo e della collettività, di una diffusa incapacità di gestione di flussi migratori interni (che qui riguardano, relativi ossia ai Paesi UE), dell’assenza di

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Martina Guidi

La Corte europea afferma, ancora una volta, la violazione degli articoli 3 e 34 della CEDU da parte dell’Italia. NOTA alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 5 aprile 2011, caso Toumi c. Italia, ricorso n. 25716/09

Con sentenza del 5 aprile 2011 1 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver eseguito il rimpatrio di un cittadino tunisino, ritenuto un terrorista internazionale, nonostante il rischio di tortura in Tunisia e l’adozione di misura cautelare provvisoria ex art. 39 del regolamento della Corte, che ordinava la sospensione del provvedimento di espulsione per non privare di ogni effetto utile il ricorso pendente dinanzi alla Corte. Ignorando entrambe le condizioni ostative all’esecuzione del provvedimento di rimpatrio, secondo la Corte europea, l’Italia ha dunque violato sia il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, di cui all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sia il diritto di ricorso individuale affermato all’art. 34 della stessa Convenzione. Questa sentenza segue le pronunce su due casi simili – Saadi c. Italia 2 e Ben

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Questa sentenza non è definitiva, alla luce degli articoli 43 e 44 della CEDU. Queste disposizioni prevedono, infatti, la possibilità che una delle parti richieda di deferire la causa alla Grande Camera entro i tre mesi successivi alla pronuncia. Ove siffatto deferimento non venga richiesto, la sentenza diventa definitiva allo scadere del termine. In caso contrario, un panel di cinque giudici valuta se la causa sia meritevole di un ulteriore esame e, se del caso, la Grande Camera esamina il caso e si pronuncia con una sentenza definitiva. 2 Sentenza Saadi c. Italia, n. 37201/06, (Grand Chamber) – (28.2.2008). Per commenti alla sentenza, si vedano A. GIANELLI, Il carattere assoluto dell’obbligo di non-refoulement: la sentenza Saadi della Corte europea dei diritti dell’uomo, in RDI, 2008, p. 450 ss.; L. ZAGATO; S. PINTON, La tortura nel nuovo millennio. La reazione del diritto, Padova, 2010, p. 188 ss.; B. CONCOLINO, Divieto di tortura e sicurezza nazionale: il no della Corte europea dei diritti dell’uomo al bilanciamento nei casi di espulsione di presunti terroristi, in DPCE, 2008, p. 1109 ss.; A. SACCUCCI, Espulsione, terrorismo e natura assoluta dell’obbligo di non-refoulement, in Dir. U., 2009, p. 36; E. ROSI, La lotta al terrorismo non ammette deroghe alla tutela dei diritti umani, in Amm. civ., 2008, p. 100 ss.; S. SILEONI, La CEDU e l’espulsione di immigrati stranieri: il caso Saadi c. Italia, in Q. cost., 2009, p. 719 ss.

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Khemais c. Italia 3 – in cui la stessa Corte ha statuito la violazione dei richiamati articoli. I fatti all’origine della causa Il ricorrente, Ali Ben Sassi Toumi, è un cittadino tunisino, sposato con una cittadina italiana. A seguito di un procedimento penale a suo carico iniziato in Italia nel 2003, Toumi era stato condannato nell’ottobre 2007 a sei anni di detenzione per terrorismo internazionale con sentenza confermata in Cassazione nel giugno 2008. Tuttavia, il 18 maggio 2009 Toumi era stato rimesso in libertà, beneficiando di una rimessione della pena. Nello stesso giorno venivano adottati due atti di contenuto contrastante: da un lato, un’ordinanza del Prefetto di Crotone disponeva l’espulsione di Toumi e il suo rimpatrio in Tunisia; dall’altro, una misura provvisoria, adottata dal Presidente della seconda sezione in applicazione dell’art. 39 del regolamento della Corte, indicava all’Italia di sospendere il provvedimento di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento del giudizio dinanzi alla Corte europea. In assenza di un riscontro da parte delle autorità italiane e in considerazione dell’avanzamento del procedimento di espulsione a carico del sig. Toumi, la cancelleria della Corte ha ribadito la sussistenza della misura provvisoria, trasmettendo nuovamente la relativa comunicazione in data 19 maggio e 24 luglio 2009. Nonostante le ripetute comunicazioni che raccomandavano all’Italia di sospendere la decisione di espulsione, il sig. Toumi è stato rimpatriato in Tunisia il 2 agosto 2009. Il governo italiano ha giustificato il proprio provvedimento con le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità tunisine, che garantivano il rispetto della dignità e dell’incolumità di Toumi, il riconoscimento del suo diritto a un giusto processo, alle cure mediche e alle visite dei familiari o del suo legale durante la detenzione. Nello stesso documento le autorità tunisine assicuravano che non avrebbe proceduto contro Toumi per il reato di terrorismo. Il sig. Toumi sostiene, invece, di essere stato arrestato non appena rientrato in Tunisia, torturato dalla polizia durante la detenzione, privato di qualsiasi contatto con l’esterno e rilasciato solo a condizione di non denunciare i fatti. Non è stato possibile un accertamento dei fatti dichiarati dalle due parti in causa in un senso o nell’altro. La Corte europea si è fondata sulla presunzione che anche nei confronti di Toumi la condotta tenuta dalle autorità tunisine sia stata quella generalmente tenuta nei confronti dei detenuti, in generale, e dei soggetti ritenuti terroristi, in particolare. Le condizioni detentive in Tunisia sono state denunciate, perché in violazione dei diritti umani fondamentali, nei rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch già tenuti in considerazione 3

Sentenza del 24 febbraio 2009, caso Ben Khemais c. Italia (n. 246/07).

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Ilenia Italiano

La protezione dei diritti dei richiedenti asilo nella CEDU e nell’Unione europea non è necessariamente equivalente. NOTA alla sentenza MSS c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011

1. La sentenza MSS c. Belgio e Grecia 1 della Corte europea dei diritti umani ha per oggetto il trattamento dei richiedenti asilo in relazione alla violazione del divieto di trattamenti disumani (art. 3 CEDU) e la mancanza di adeguati strumenti di ricorso (art.13 CEDU). Il richiedente asilo ha nazionalità afgana ed è entrato nello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” dell’Unione europea attraverso le frontiere della Grecia, che lo arrestava e ne registrava le impronte nel sistema Eurodac. Ricevuto un ordine di allontanamento, grazie alla circolazione delle persone in assenza di frontiere interne, raggiungeva prima la Francia e poi il Belgio, dove chiedeva asilo. Il ricorso alla Corte riguarda la decisione delle Autorità belghe di trasferimento verso la Grecia sulla base del regolamento cd. “Dublino” 2. Dopo il trasferimento, il ricorrente è stato detenuto in Grecia in condizioni terribili e successivamente abbandonato a se stesso. Il ricorrente sostiene che in Grecia non

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M.S.S. v. Belgium and Greece [GC], no. 30696/09 – (21.1.11). Le sentenze e decisioni della Corte dei diritti umani vengono qui citate dal documento, List of Judgments, Advisory Opinions and Published Decisions in Alphabetical Order (disponibile on line). 2 Regolamento n. 2725/2000 che istituisce l’Eurodac per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino) e n. 407/2000 sulla sua applicazione che completano il “sistema Dublino” incentrato sul Regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GUCE L 50, del 25 febbraio 2003, p. 1) e regolamento di applicazione della Commissione n. 1560/2003 (GUUE L 222 del 5 settembre 2003). Per un quadro della posizione degli Stati membri, v. Updated UNHCR Information Note on National Practice in the Application of Article 3(2) of the Dublin II Regulation in particular in the context of intended transfers to Greece, 31 January 2011 (on line).

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

ha avuto accesso una tutela giurisdizionale effettiva ed ha rischiato di essere rinviato al Paese di origine. In considerazione dell’importanza della questione, la Sezione della Corte di Strasburgo investita del ricorso ha rinunciato alla propria competenza rimettendolo della Grande Camera (art. 30 CEDU e art. 72 dello Statuto della Corte)3 per l’esame dell’ammissibilità e del merito. La Corte ha accertato da un lato, le violazioni da parte della Grecia per l’inadeguata protezione dei richiedenti asilo; dall’altro, che talune violazioni potevano essere imputate anche al Belgio che, rinviando il ricorrente/richiedente asilo in Grecia, non ha tenuto conto del ridotto livello di protezione ivi assicurato. La sentenza evidenzia come il carattere minimale e inadeguato di armonizzazione a livello dell’Unione 4 non consenta un corretto funzionamento del sistema di Dublino tra gli Stati membri. 2. Negli ultimi anni, la Corte si è espressa in misura crescente sulla particolare criticità delle misure di trasferimento dei richiedenti-asilo verso la Grecia sotto il profilo dell’art. 3 CEDU 5. Nella sentenza KRS 6, la Corte aveva circoscritto l’ammissibilità di ricorsi contro lo Stato di trasferimento, competente secondo il sistema di Dublino, in casi di respingimento verso lo Stato di origine terzo, escludendo la valutazione delle condizioni di accoglimento e detenzione. La Corte aveva considerato la clausola del Regolamento di Dublino II (art. 3, par. 2) uno strumento idoneo a sospendere i trasferimenti qualora uno Stato membro ritenga che lo Stato competente non adempia ai suoi obblighi in materia di asilo. Successivamente, nella sentenza SD c. Grecia 7, l’ambito di applicazione dell’art 3 veniva esteso alle condizioni in cui il ricorrente era stato trattenuto in centri di detenzione e all’effettiva disponibilità di ricorsi nel diritto nazionale. Nella sentenza in commento, la responsabilità dello Stato membro di trasfe3

Sulla base delle regole in vigore precedentemente all’entrata in vigore del Protocollo 14. V. A ADINOLFI, Riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria: verso un sistema comune europeo?, in RDI, 2009, p. 673 e ss.. 5 Le condanne per violazione dell’art. 3 riguardano sia il trattamento riservato ai richiedenti asilo in territorio greco, sia il loro eventuale allontanamento, pur in presenza di un rischio reale di subire trattamenti contrari agli obblighi convenzionali nello Stato-terzo di origine, v., tra l’altro. 27.7.2006, Kaja v. Greece no. 32927/03 (Sect. 1) (fr); 10.5.2007, John v. Greece. no. 199/05 (Sect. 1) (fr); S.D.v. Grèce n. 53541/07 (Sect. 1).- (11.6.2009) (fr); Tabesh v. Greece n. 8256/07 (Sect. 1).(26.11.2009) (fr). Per un’analisi della situazione, v. M. MARCHEGIANI, Regolamento Dublino II e clausola di sovranità: il caso greco dinanzi all’Alto Commissariato per i rifugiati, in DUDI, 2/2010. 6 K.R.S. v. the United Kingdom (dec.), no. 32733/08. - (2.12.08). 7 S. D. c.. Greece, n. 53541/07 (Sect. 1) (Fr) - (11.6.09). 4

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Ilaria Ottaviano

Ancora sui diritti riconosciuti ad un cittadino di Paese terzo in quanto genitore di un minore cittadino dell’Unione: la Corte di giustizia estende la giurisprudenza Chen. NOTA alla sentenza della Corte di giustizia, causa C-34/09, Zambrano c. Belgio.

1. Con una recente pronuncia della Grande Camera (sentenza dell’8 marzo 2011, causa C-34/09, Zambrano c. Belgio), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha precisato il contenuto dei diritti garantiti ad un minore cittadino dell’Unione, ed ha fissato un importante principio, ampliando rispetto alla giurisprudenza Chen 1 il riconoscimento di un diritto di soggiorno ad un cittadino extracomunitario, derivato da quello alla libera circolazione del figlio minore in tenera età, cittadino di uno Stato membro. Nella sentenza la Corte ha statuito che l’articolo 20 TFUE osta a che uno Stato membro possa rifiutare di riconoscere ad un cittadino di un Paese terzo, che accudisca figli di minore età cittadini dell’Unione, un diritto di soggiorno nello Stato membro di residenza e nazionalità di quei bambini, e di concedere un permesso di lavoro al genitore, qualora tali decisioni privino i minori, cittadini dell’Unione, del godimento effettivo della sostanza dei diritti connessi allo status di cittadino 2. 1 Sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Kunqian Catherine Zhu e Man Lavette Chen c. Secretary of State for the Home Department. Nella dottrina italiana si vedano i commenti di G. PERIN, In margine alla sentenza Chen: il diritto di circolazione dei familiari di cittadini comunitari, in Diritto Immagrazione e Cittadinanza, 2005, p. 89 ss.; E. BERGAMINI, Il difficile equilibrio fra riconoscimento del diritto alla libera circolazione, rispetto della vita familiare e abuso del diritto, in DUE, 2006, p. 347 ss. 2 Sulla cittadinanza europea v. M. CONDINANZI, A. LANG, B. NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006; S. CARRERA, In search of the perfect citizen?: the intersection between integration, immigration, and nationality in the EU, Leiden, Boston, 2009; C. MORVIDUCCI, I diritti dei cittadini europei, Torino, 2010; E. TRIGGIANI, Cittadinanza dell’Unione e integrazione attraverso i diritti, in L. MOCCIA (a cura di), Diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione Europea, Milano, 2010, p. 137 ss.; L. MOCCIA, Il “sistema” della cittadinanza europea: un mosaico in composizione, ibidem, p. 165 ss.

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Rassegna di giurisprudenza annotata e commentata

2. I fatti all’origine della causa concernono i coniugi Zambrano, cittadini colombiani residenti in Belgio dal 1999, dove hanno presentato domande d’asilo politico e di regolarizzazione del soggiorno, sempre respinte. La pronuncia di rigetto della richiesta di asilo conteneva però una clausola di non rientro in Colombia a causa della guerra civile in tale Paese. A partire dal 2001, il signor Zambrano è stato impiegato a tempo pieno e indeterminato in una azienda belga, risultando in regola con i contributi sociali versati e ricevuti. Nel 2003 e nel 2005 i signori Zambrano hanno dato alla luce due figli in Belgio, ai quali è stata riconosciuta la cittadinanza belga sulla base della legislazione nazionale di settore (art. 10, primo comma, Code de la nationalité belge, vigente all’epoca dei fatti). Al momento della nascita del primo figlio il signor Zambrano disponeva, grazie alla sua attività professionale, di mezzi sufficienti a provvedere al suo mantenimento. Nel 2005 era stato invece colpito da un periodo di disoccupazione temporanea, a seguito della quale aveva presentato una richiesta di indennità di disoccupazione. Da tale richiesta era però emersa la mancanza del permesso di lavoro a favore del ricorrente. Nell’ottobre del 2006 il signor Zambrano è stato dunque licenziato dal suo datore di lavoro, senza indennizzo. Nell’ambito dell’esame d’una seconda domanda di indennità di disoccupazione, presentata a seguito del licenziamento, il tribunale del lavoro di Bruxelles ha effettuato il rinvio pregiudiziale oggetto della presente analisi. I quesiti sollevati miravano a comprendere se gli artt. 12, 17 e 18 TCE (attualmente artt. 18, 20 e 21 TFUE), da soli o congiuntamente, conferissero al cittadino dell’Unione un diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui ha la cittadinanza, a prescindere dal previo esercizio del diritto di circolare nel territorio degli Stati membri; se, in caso di cittadino di minore età a carico di un ascendente cittadino di un Paese terzo che disponga di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia, tali articoli, in combinato disposto con gli artt. 21, 24 e 34 della Carta dei diritti fondamentali, garantendo diritti al minore, potessero attribuire all’ascendente il diritto di soggiorno derivato di cui godrebbe qualora il minore a suo carico fosse un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di uno Stato membro diverso da quello in cui risiede; ed infine se i suddetti articoli dovessero essere interpretati nel senso che il diritto di soggiorno di detto minore debba comportare una dispensa dal permesso di lavoro a favore dell’ascendente che ha detto minore a carico e che – ad eccezione del requisito del permesso di lavoro – soddisfi le condizioni delle risorse sufficienti e del possesso di un’assicurazione malattia richieste dalla giurisprudenza comunitaria. 3. Precisato che non rilevava, nel caso di specie, la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza, la sentenza

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Elenco delle abbreviazioni

Amm. civ. - Amministrazione civile Ann. suisse d. eur. - Annuaire Suisse de droit européen Cass. pen. - Cassazione penale CDE - Cahiers de droit européen Dir. imm. - Diritto, immigrazione e cittadinanza Dir. U. - Diritti umani. Cronache e battaglie DPCE - Diritto pubblico comparato ed europeo DUDI - Diritti umani e diritto internazionale DUE - Il Diritto dell’Unione Europea EJML - European Journal of Migration and Law ELR - European Law Review L’Europe des Libertés, Revue d’actualité juridique Guida Dir. - Guida al diritto Q. cost. - Quaderni costituzionali Riv. Ass. It. Cost. - Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti RDI - Rivista di diritto internazionale RIDPC - Rivista italiana di diritto pubblico comunitario RIDPP - Rivista italiana di diritto e procedura penale RTDH - Revue trimestrielle des droits de l’homme SIE - Studi sull’integrazione europea Sud in Europa

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Speciale Europa

Bilancio delle politiche dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo nella prospettiva del Piano di Stoccolma.

I lavori corrispondono alla rielaborazione di alcuni degli interventi svolti nel Seminario Cittadinanza europea, Immigrazione, Asilo e Frontiere, svoltosi presso l’Università Roma Tre il 4 marzo 2011. Al Progetto PRIN“Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale fase del processo di integrazione”, coordinato dal prof. Ennio Triggiani, partecipano le Unità di ricerca delle Università di Bari, Palermo, Teramo e Roma Tre.


Speciale Europa

Contributi G. CAGGIANO, Principi e prospettive del diritto dell’immigrazione nell’Unione europea al tempo della crisi del Mediterraneo. G. MORGESE, Gli sviluppi della politica in materia di asilo. M. FASCIGLIONE, La direttiva sanzioni ai datori di lavoro. F. ZORZI GIUSTINIANI, Il processo di revisione degli atti normativi in materia di asilo. Approfondimenti M. DI FILIPPO, La migrazione regolare dei cittadini di Stati terzi. S. MARINAI, Status familiari e libera circolazione.

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Speciale Europa Contributi



Giandonato Caggiano

Principi e prospettive del diritto dell’immigrazione nell’Unione europea al tempo della crisi del Mediterraneo. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il bilanciamento tra sicurezza e diritti. - 3. Il principio di solidarietà. - 4. La politiche dell'immigrazione regolare e irregolare e gli strumenti della protezione internazionale. - 5. Il controllo delle frontiere e il regime di Schengen. - 6. Gli sfollati e la protezione temporanea. - 7. La giurisprudenza delle Corti di Lussemburgo e Strasburgo.

1. La crisi di alcuni regimi del Mediterraneo e la guerra civile in Libia sono in grado di determinare flussi straordinari di cittadini di Stati terzi verso l’Unione europea, così come accadde alla caduta dei regimi comunisti e durante la guerra civile in Kosovo. Anche se l’azione dell’Unione e il relativo contenzioso politico-giuridico sono in rapido mutamento, è ragionevole prevedere che, dalla crisi attuale, possa venire a medio termine una spinta ulteriore allo sviluppo delle regole di settore. In base alla qualificazione delle persone coinvolte e ai presupposti della loro fuga dal Paese di origine sarà possibile decidere sulle norme applicabili 1. Per i richiedenti il diritto di asilo e la protezione sussidiaria occorre attivare le procedure di qualificazione di queste persone “vulnerabili”, in situazioni di rischio per la vita a livello individuale o in situazioni di violenza indiscriminata (richiedenti protezione sussidiaria) nel Paese di origine. Per gli sfollati, l’attivazione del meccanismo per il rilascio di un permesso provvisorio richiede una decisione del Consiglio “caso per caso” sulla provenienza di massicci flussi migratori. Per gli immigrati irregolari, si potrà procede ai rimpatri tramite gli accordi di riammissione nel Paese di origine. Prima di qualsiasi approfondimento del tema, si deve ricordare che l’Unione esercita i poteri trasferiti dagli Stati membri a seguito delle revisioni dei Trattati 1

La qualificazione delle persone porta all’attribuzione di status diversi: immigrati regolari per motivi di lavoro o per ricongiungimento familiare; immigrati irregolari/illegali/clandestini/in soggiorno irregolare; richiedenti asilo e di protezione sussidiaria; sfollati/beneficiari di permessi temporanei.

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Bilancio delle politiche dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo

istitutivi. La Comunità europea non aveva alcun potere in materia sino al trattato di Amsterdam, che “comunitarizzò” le competenze su visti, immigrazione e asilo. Nell’attività legislativa di questo ultimo decennio è stato adottato un approccio “a due velocità” per la disciplina dell’immigrazione regolare e irregolare 2. Il Trattato di Lisbona riconosce all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in materia. Il quadro giuridico applicabile all’attuale situazione di crisi evidenzia l’importanza di principi e regole comuni in materia di immigrazione, asilo e frontiere. A riguardo appare utile delineare lo stato dell’arte, anche nella prospettiva di riforma degli strumenti giuridici applicabili. In periodi di gestione ordinaria del fenomeno, l’attraversamento in maniera irregolare delle frontiere via terra o via mare continua a rappresentare una modalità ridotta all’interno dell’immigrazione irregolare. Nella maggior parte dei casi, il “soggiorno irregolare” 3 nel territorio di uno Stato membro diventa tale per la scadenza o cessazione di un valido titolo autorizzativo di ingresso. 2. La disciplina dell’immigrazione, asilo e frontiere deve rispettare gli elementi costitutivi dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione, di cui è parte rilevante: la tutela dei diritti fondamentali; l’evoluzione della cooperazione civile e penale; la strategia della sicurezza. Nel programma di Stoccolma, le attività previste sono prevalentemente al “servizio del cittadino europeo”, che è destinatario principale del rafforzamento della tutela dei diritti. Il governo dell’immigrazione sembra dominato dalla prospettiva della sicurezza. Infatti, solo nella parte del Programma – denominata 2

Per un’analisi più ampia si rinvia ai nostri lavori: L’integrazione europea “a due velocità” in materia di immigrazione legale ed illegale, in DPCE, 2008, p. 1098 ss.; Le nuove politiche dei controlli alle frontiere, dell’asilo e dell’immigrazione nello Spazio unificato di libertà, sicurezza e giustizia, in SIE, 2008, p. 105 ss. e bibliografia ivi citata. 3 I termini “irregolare” o “illegale” o “clandestino”, dal diverso significato semantico nella lingua comune, vengono usati in maniera alternativa nei testi dell’Unione. La versione italiana (come quella francese) del trattato di Lisbona utilizza nella stessa norma le varianti “clandestino” e “soggiorno irregolare”, v. art. 79, par. 2, lett. c) (“immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare”; nella versione inglese, tedesca e spagnola si ritrova la traduzione di “illegale”. Nel precedente Trattato di Amsterdam (versione italiana) era presente il termine “irregolare”, v. art. 63, punto 3, lett. b) TCE (“immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare”). In sostanza, il testo del Trattato di Lisbona ha registrato i termini “illegale o clandestino”, affermatisi negli atti di diritto derivato e nelle comunicazioni della Commissione nel periodo precedente (1999-2007). Sulla questione, v. EU Parliament, Legal Opinion, 29 March 2010, Re: Libe, Article 79(1) and (2)(c) TFEU, “illegal immigration” and “unauthorised residence”, inconsistencies between language versions, possibility for the legislature to use different terminology (disponibile sul sito del Parlamento europeo).

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Marcello Di Filippo

La migrazione regolare dei cittadini di Stati terzi. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I visti di corta durata. - 3. L’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi. - 4. Considerazioni conclusive.

1. Il Trattato sul funzionamento dell’UE (d’ora in avanti: TFUE), ponendosi in linea di continuità con il Trattato di Amsterdam, riconosce alle istituzioni UE la competenza ad adottare una regolamentazione relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di Stati terzi in uno Stato membro e alla circolazione di detti individui all’interno dell’Unione europea. Nel periodo precedente l’adozione del Trattato di Lisbona e del Programma di Stoccolma, l’UE ha disciplinato in maniera organica l’attraversamento delle frontiere esterne (id est, l’ingresso sul territorio di uno Stato membro), il soggiorno fino a tre mesi e la circolazione per un periodo corrispondente all’interno dell’UE. Come sarà evidenziato più avanti, per gli ingressi finalizzati a un soggiorno superiore a tre mesi, per gli spostamenti all’interno dell’Unione europea per periodi superiori a tre mesi, e per la condizione giuridica del migrante regolare la normativa adottata è stata meno abbondante. Per comodità espositiva e per un coordinamento con altri contributi presenti in questa rassegna (in particolare, con quello di Caggiano), l’esame sarà concentrato su due aspetti: la materia dei visti di corta durata, in quanto incide sull’ingresso e sul soggiorno regolare fino a tre mesi; l’immigrazione regolare per periodi superiori a tre mesi. Per motivi di spazio, non sarà affrontato il tema della circolazione e il soggiorno all’interno dell’Unione europea dei cittadini di Stati terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro 1. Al fine di verificare la portata del Programma di Stoccolma in questa materia e di operare una prima valutazione degli atti sin qui adottati e dello sviluppo del

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In argomento, sia consentito rinviare (anche per i pertinenti riferimenti bibliografici) a M. DI FILIPPO, Unione europea e circolazione delle persone, in A. M. CALAMITA, M. DI FILIPPO, M. GESTRI (a cura di), Immigrazione, Diritto e Diritti. Profili internazionalistici ed europei, in corso di pubblicazione presso i tipi della CEDAM.

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Bilancio delle politiche dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo

dibattito sulle proposte della Commissione tuttora pendenti, verrà seguito il seguente schema espositivo: un breve richiamo delle pertinenti disposizioni del TFUE e dell’acquis in materia; una succinta descrizione delle indicazioni contenute nel Programma di Stoccolma; un’esposizione dei contenuti delle iniziative adottate e previste; alcune valutazioni critiche con particolare riferimento al piano di attuazione del Programma di Stoccolma pubblicato dalla Commissione europea 2. L’art. 77 TFUE (ex articolo 62 TCE) stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano misure riguardanti la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata. Originariamente disciplinata nella Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (d’ora in avanti: CAAS, in particolare gli artt. 9-17), nel regolamento CE n. 2317/95 e nell’Istruzione consolare comune (d’ora in avanti: ICC, adottata il 28 aprile 1999 dal Comitato esecutivo Schengen), oltre che in altri atti collegati, la materia dei visti di corta durata trova oggi collocazione in alcuni regolamenti, tra i quali meritano menzione in questa sede il regolamento (CE) n. 539/2001 che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (d’ora in avanti: regolamento liste), e il regolamento (UE) n. 810/2009 (d’ora in avanti: codice visti), che disciplina le varie tipologie di visti di corta durata, riconosciuti da tutti gli Stati membri. Nel Programma di Stoccolma (par. 5.2), il Consiglio europeo, nella prospettiva di creare le condizioni per poter passare a una nuova fase di sviluppo della politica comune in materia di visti invita la Commissione a presentare uno studio che vagli la possibilità di istituire un meccanismo comune europeo di rilascio dei visti di breve durata. Il Consiglio europeo invita altresì la Commissione a tenere regolarmente aggiornato l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono o non sono soggetti all’obbligo di visto, secondo adeguati criteri concernenti, ad esempio, l’immigrazione clandestina, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, che tengano conto degli obiettivi politici interni ed esterni dell’Unione. Per quanto concerne le iniziative sin qui avviate, risulta per ora inattuata la prima richiesta, mentre si può notare che alcuni paesi inclusi nella lista nera sono stati spostati nella lista bianca in ragione degli esiti della cooperazione nel controllo dell’immigrazione irregolare e del positivo andamento delle relazioni tra essi e l’UE. Così, in data 24.11.2010 è stato adottato il regolamento n. 1091/2010 3, che 2

V. COM(2010) 171 def., del 20 aprile 2010. Regolamento (UE) n. 1091/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo, in GUUE L 329 del 14 dicembre 2010.

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Giuseppe Morgese

Gli sviluppi della politica dell’Unione europea in materia di asilo in base al Programma di Stoccolma. SOMMARIO: 1. Introduzione. Cenni alla “prima fase” della politica dell’asilo. - 2. L’avvio della “seconda fase”: il Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo e il Piano strategico della Commissione del 2008. - 3. Il nuovo art. 78 TFUE. - 4. Le iniziative prefigurate nel Programma di Stoccolma del dicembre 2009 e nel relativo Piano d’azione della Commissione del 2010.

1. Lo sviluppo di una politica comune di asilo nell’Unione europea rappresenta uno degli obiettivi diretti alla realizzazione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG), come disciplinato nel Titolo V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e in particolare nei suoi articoli 67 e 78. Le iniziative prefigurate dal Programma di Stoccolma del 2009 1 e dal relativo Piano d’azione della Commissione del 2010 2 rappresentano, a oggi, il punto di arrivo di un articolato percorso che, prendendo le mosse dalle prime forme di cooperazione intergovernativa tra i Paesi membri della Comunità economica europea, negli anni ’80 del secolo scorso, passa attraverso la stipulazione della Convenzione di Schengen del 1985, della relativa Convenzione di applicazione del 1990 e della Convenzione di Dublino, anch’essa del 1990, per giungere alla cooperazione “istituzionalizzata” del Trattato di Maastricht del 1992 3 e infine alla

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Programma di Stoccolma - Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, adottato dal Consiglio europeo dell’11 dicembre 2009, in GUUE C 115, 4 maggio 2010, p. 1 ss., d’ora in poi “Programma di Stoccolma”. 2 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 20 aprile 2010, Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei – Piano d’azione per l’attuazione del programma di Stoccolma, COM(2010)171 def., di sèguito “Piano d’azione”. 3 Attraverso l’inserimento della politica di asilo nel c.d. “terzo pilastro” dedicato alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni.

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Bilancio delle politiche dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo

vera e propria “comunitarizzazione” 4 della materia a opera del Trattato di Amsterdam del 1997 5. L’art. 78 TFUE, com’è noto, differisce dalla corrispondente previsione del vecchio Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE). L’art. 63 TCE, frutto della predetta “comunitarizzazione” della materia, infatti, attribuiva all’allora Comunità europea – se si esclude la definizione di “criteri e meccanismi per determinare quale Stato membro è competente per l’esame della domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo in uno degli Stati membri” (par. 1, lett. a)) e la “promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi” (par. 2, lett. b)) – la competenza ad adottare solamente norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo (par. 1, lett. b)), all’attribuzione della qualifica di rifugiato (par. 1, lett. c)), alle procedure applicabili per la concessione o la revoca dello status di rifugiato (par. 1, lett. d)) e alla protezione temporanea agli sfollati che non possono ritornare nel Paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di protezione internazionale (par. 2, lett. a))6. Le tappe per l’esercizio di suddetta competenza erano state precisate nel Consiglio europeo dell’ottobre 1999, all’esito del quale veniva adottato il Programma di Tampere 7 in cui si indicavano, tra gli altri, gli atti che avrebbero dovuto rappresentare l’attuazione dell’art. 63 TCE. In particolare, i Capi di Stato e di governo sottolineavano la necessità di sviluppare una politica comune in materia di asilo che giungesse alla creazione di un regime europeo comune basato sulla Convenzione di Ginevra del 1951 e sul rispetto del principio di non-refoulement. Il Programma di Tampere per gli anni 1999-2004, dopo una “prima fase” 8 a oggi

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Pur se non completa e soggetta a regole particolari. In argomento, per tutti, L. ZAGATO, Le competenze della UE in materia di asilo dopo i Trattati di Amsterdam e di Nizza, e nella prospettiva del Trattato su una Costituzione per l’Europa, in ID. (a cura di), Verso una disciplina comune europea del diritto d’asilo, Padova, 2006, p. 133 ss. 6 Così A. ADINOLFI, Riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria: verso un sistema comune europeo?, in RDI, 2009, pp. 671-672. 7 Programma di Tampere – Verso un’Unione di libertà, sicurezza e giustizia, adottato dal Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2009, disponibile online all’indirizzo www.consilium.europa.eu/ ueDocs/cms_Data/docs/pressdata/it/ec/00200-r1.i9.htm. 8 La “prima fase” era diretta a introdurre un sistema per determinare lo Stato competente per l’esame delle domande di asilo nonché norme minime comuni per una procedura di asilo equa ed efficace, per l’accoglienza dei richiedenti asilo, per il ravvicinamento delle normative relative al riconoscimento e agli elementi sostanziali dello status di rifugiato e per l’istituzione di forme complementari di protezione che offrissero uno status adeguato alle persone bisognose di tale protezione. Si auspicava, inoltre, il raggiungimento di un accordo sulla protezione temporanea degli sfollati, basato sulla solidarietà tra gli Stati membri, e l’accelerazione dei lavori inerenti al sistema per l’identificazione dei richiedenti asilo (Eurodac). 5

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Flavia Zorzi Giustiniani

Verso una politica comune europea di asilo. Il processo di revisione normativa. SOMMARIO: 1. L’avvio del processo di revisione. - 2. La rifusione del regolamento Dublino II. - 3. La rifusione del regolamento EURODAC. - 4. La rifusione della direttiva accoglienza. - 5. La rifusione della direttiva qualifiche. - 6. La rifusione della direttiva procedure. - 7. Conclusioni.

1. Il Piano strategico sull’asilo, adottato dalla Commissione il 17 giugno 2008, definisce le misure da realizzare per porre in atto la seconda fase del sistema europeo comune in materia di asilo, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati dal programma dell’Aja. Com’è noto, la prima fase del processo (1999-2004) ha comportato l’adozione di diversi strumenti legislativi che pongono norme minime comuni circa le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, le procedure di asilo e i requisiti per l’attribuzione della protezione internazionale, e che stabiliscono altresì criteri per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una richiesta di asilo. Tali strumenti, che pure rappresentano un risultato importante, contengono una disciplina per molti versi lacunosa e lasciano spazio ad eccessive discrezionalità per gli Stati. Per questo motivo, nel Piano strategico si afferma la necessità di elaborare modifiche sostanziali agli atti citati 1. Dando seguito a quanto prospettato nel Piano strategico, la Commissione ha presentato il 3 dicembre 2008 un primo pacchetto di proposte intese a garantire un livello superiore di armonizzazione e una più completa protezione per i richiedenti asilo: si tratta in particolare della rifusione della direttiva 2003/9 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (cd. “direttiva accoglienza“), del regolamento 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo (cd. “regolamento Dublino II“) e del regolamento 2725/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’“EURODAC” (cd. “regolamento EURODAC“). Il 21 ottobre 2009 è stato poi avviato il processo di revisione delle altre due direttive 1

V. COM(2008) 360 def., del 17 giugno 2008, par. 3.

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Bilancio delle politiche dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo

vigenti in materia di asilo, ovvero la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (cd. “direttiva qualifiche”) e la direttiva 2005/85/CE del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (cd. “direttiva procedure“). 2. La relazione della Commissione sulla valutazione del sistema Dublino 2, così come i contributi trasmessi dalle parti interessate nell’ambito del processo di consultazione sul Libro verde, hanno evidenziato una serie di carenze per lo più connesse con l’efficienza del sistema istituito dall’attuale quadro normativo e con il livello di protezione garantito ai richiedenti asilo soggetti alla procedura Dublino. In particolare, problemi sono stati riscontrati con riferimento ai trasferimenti allorché lo Stato competente si trovi a far fronte a situazioni di particolare pressione e/o non fornisca ai richiedenti asilo una protezione adeguata. Sotto il profilo della tutela accordata agli asilanti, carenti sono apparse altresì le previsioni relative alle informazioni e alle garanzie procedurali nonché al ricongiungimento familiare. Nel corso delle consultazioni effettuate dalla Commissione l’UNHCR e diverse organizzazioni non governative proponevano di modificare il sistema vigente attribuendo la competenza in funzione del luogo in cui è introdotta la domanda di protezione internazionale. La Commissione non ha però potuto dar seguito a tale proposta in ragione delle resistenze statali avverso un simile cambiamento. La maggioranza dei Paesi membri, infatti, pur riconoscendo la necessità di intervenire sui punti critici appena riferiti al fine di migliorare l’efficacia complessiva del sistema, si sono radicalmente opposti alla modifica dell’impianto di base del regolamento in discorso. Nel tentativo di conciliare le preoccupazioni espresse dagli esponenti della società civile con le esigenze degli Stati, la proposta della Commissione, se da un lato mantiene fermi i principi che informano il regolamento, dall’altro introduce delle modifiche volte a garantire ad un tempo maggiore efficienza e una protezione più elevata 3. Allo scopo di garantire la coerenza con l’acquis UE, e specificatamente con la direttiva qualifiche, la proposta di rifusione in esame estende il campo di applicazione del regolamento per comprendere anche i richiedenti (e i beneficiari di) protezione sussidiaria. L’obiettivo di rendere più efficiente e nel contempo uni-

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V. COM(2007) 299 def., del 6 giugno 2007, Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla valutazione del sistema di Dublino. 3 V. COM(2008) 820 def., del 3 dicembre 2008, par. 3.

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Simone Marinai

Status familiari e libera circolazione. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il riconoscimento nell’Unione europea di status familiari acquisiti all’estero. - 3. L’esportazione di status familiari acquisiti sul territorio dell’Unione europea. 4. Prospettive in vista di una più ampia circolazione degli status familiari.

1. Il riconoscimento degli status familiari costituisce un presupposto della mobilità internazionale della famiglia. L’esercizio del ricongiungimento familiare, infatti, può essere ostacolato se lo status posseduto nello Stato di origine non può essere fatto valere nello Stato di destinazione. Le difficoltà che può incontrare il riconoscimento degli status familiari sono riconducibili al carattere marcatamente eterogeneo delle legislazioni statali in materia di famiglia. Tra gli Stati membri dell’Unione europea si riscontrano diversità significative nella disciplina di istituti quali il matrimonio e le convivenze registrate, che vengono talvolta aperti anche a coppie dello stesso sesso, oppure nella disciplina dei rapporti di filiazione, come pure in quella dei regimi patrimoniali tra coniugi o, ancora, dei rapporti di successione. L’eterogeneità normativa è ancora maggiore quando si prendono in considerazione ordinamenti di Stati terzi che differiscono profondamente per cultura, religione, modo di concepire i rapporti sociali e familiari. Le pertinenti normative statali, infatti, possono essere espressione di diversi modelli di famiglia e, spesso, anche di una diversità dei valori di riferimento. L’Unione europea non possiede una specifica competenza in materia. Essa può infatti adottare misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali soltanto nell’ambito delle competenze attribuite in materia di cooperazione giudiziaria civile (v. art. 81 TFUE). La carenza di una apposita base giuridica non è smentita neppure dalla normativa in materia di ricongiungimento familiare (v. le direttive 2003/86 e 2004/38) che, infatti, è stata elaborata in funzione del più ampio obiettivo della circolazione delle persone. 2. Con riferimento alla specifica problematica del riconoscimento degli status familiari, ad oggi, sono limitati i casi in cui le norme dell’Unione europea dettano soluzioni uniformi, mentre viene per lo più lasciata agli Stati membri ampia libertà di scelta al momento di riconoscere (o meno) status familiari acquisiti all’estero.

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Si pensi, ad esempio, al matrimonio poligamico o a quello tra persone dello stesso sesso oppure, per quanto riguarda i rapporti di filiazione, al caso di figlio affidato secondo l’istituto di diritto islamico della kafala. Con riferimento a tali fattispecie si può rilevare come l’Unione europea prenda posizione solo in relazione al matrimonio poligamico. In particolare, l’art. 4.4 della direttiva 2003/86 dispone che se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro, quest’ultimo non potrà autorizzare il ricongiungimento familiare di un altro coniuge. Di fatto, quindi, si consente di dar rilevanza ad uno solo dei matrimoni contratti nel Paese terzo e, in particolare, al rapporto con il coniuge che per primo si è trasferito nel Paese di destinazione indipendentemente poi dal fatto che si tratti del matrimonio contratto con la prima moglie o di uno successivo. Anche il ricongiungimento dei figli minorenni che il soggiornante ha avuto da un coniuge diverso da quello con lui residente sul territorio dello Stato membro può essere limitato in deroga alla previsione, di carattere generale, dell’obbligo di ammettere i figli minorenni. Al contrario di quanto avviene per il ricongiungimento di familiari di cittadini di Stati terzi, nessun riferimento espresso al matrimonio poligamico viene invece compiuto dalla direttiva 2004/38 per il ricongiungimento di familiari di cittadini di Stati membri. Quest’ultima, infatti, si limita a prevedere il ricongiungimento del “coniuge” ed a disporre che lo Stato ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevoli l’ingresso ed il soggiorno di ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non rientrante nella definizione di familiare accolta dalla direttiva medesima. Il silenzio della direttiva 2004/38 non significa certo che essa avalli la presenza sul territorio europeo di matrimoni poligamici. Si può ritenere, infatti, che in tale occasione le istituzioni UE non abbiano avvertito la necessità di soffermarsi sul problema della poligamia visto che, allo stato, gli Stati membri dell’Unione non consentono tali matrimoni. Se è indubbio che il caso di un cittadino UE poligamo sarà certo poco frequente, tale evenienza non può però essere del tutto esclusa. Si pensi, ad es., ad un cittadino marocchino, poi naturalizzato francese a seguito di un periodo di soggiorno in Francia e successivamente trasferitosi in Italia dove pretende di ricongiungere le due mogli che anni prima aveva sposato in Marocco. La direttiva 2004/38 si è certo “fidata” delle normative internazionalprivatistiche degli Stati membri e della operatività della clausola dell’ordine pubblico che dovrebbe impedire, in una simile ipotesi, la possibilità di ottenere il riconoscimento del matrimonio poligamico. Non è però da escludere che in futuro entrino a far parte dell’Unione europea Stati a prevalenza musulmana in cui venga praticata la poligamia. In tal caso, con ogni probabilità, la clausola dell’ordine pubblico non verrebbe fatta valere per vietare l’ingresso di matrimoni poligamici di cittadini UE che potrebbero quindi ottenere il ricongiungimento della seconda

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Marco Fasciglione

La direttiva sanzioni ai datori di lavoro. SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Il contenuto della ‘direttiva sanzioni’. - 3. Il regime sanzionatorio della direttiva: i criteri generali. - 3.1. Le sanzioni di tipo finanziario. - 3.2. Le sanzioni di carattere penale. - 4. Gli strumenti di controllo sul rispetto del divieto di manodopera straniera irregolare. - 5. Le disposizioni finali: il sistema di rapporti ed il recepimento.

1. L’adozione della direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009, “che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, si inserisce in quel quadro di sforzi messi in atto dall’Unione europea per elaborare una politica globale (europea) d’immigrazione. Più in particolare, essa rientra da un lato nella strategia del Consiglio europeo Bruxelles di rafforzamento della cooperazione fra gli Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale e di intensificazione a livello degli Stati membri e a livello dell’Unione europea delle misure da adottarsi contro il lavoro illegale (Cfr. Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles del 14-15 dicembre 2006, p. 9). Proprio da questo punto di vista la direttiva si basa anche sull’obiettivo strategico avviato con il programma di Stoccolma di elaborare una politica europea delle migrazioni basata sui principi di solidarietà e di responsabilità e, sotto quest’ultimo profilo, di lotta contro quei reati transfrontalieri particolarmente gravi che richiedano l’esigenza specifica di combatterli su basi comuni (Cfr. Programma di Stoccolma - Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, (2010/C 115/01), in GUUE C-115 del 4 maggio 2010, p. 1 ss. e p. 15 ss.). La direttiva persegue l’obiettivo generale di “disinnescare” quel “fattore di richiamo” dell’immigrazione legale nell’Unione che risiede nella possibilità di avere accesso ad un lavoro pur in assenza dello status giuridico richiesto e dei relativi requisiti, nonché tre obiettivi specifici: a) che tutti gli Stati membri si dotino all’interno dei propri ordinamenti nazionali di sanzioni sufficientemente elevate da avere un effetto deterrente; b) che le sanzioni applicate dagli Stati non siano eccessivamente difformi le une dalle altre al punto tale da permettere movimenti secondari di cittadini stranieri irregolari; c) che sia fissato un level playing field minimo e comune a tutti gli Stati membri dell’Unione che debba essere rispettato dai datori di lavoro (cfr. l’Impact Assessment della Com-

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missione, SEC(2007) 603, del 16 maggio 2007, p. 11). Nello specifico la direttiva mira all’adozione di misure per contrastare il summenzionato fattore di richiamo. Queste misure sono state individuate nella introduzione di un divieto generale di assunzione dei cittadini di paesi terzi non autorizzati a soggiornare nell’Unione europea accompagnato da una serie di sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che lo violino. 2. La direttiva prevede una duplice tipologia di obblighi la cui titolarità pende da un lato sugli Stati e dall’altro sui datori di lavoro. Sotto il primo punto di vista, l’articolo 3 introduce il divieto di assunzione di migranti irregolari ed impone agli Stati l’obbligo di prevedere all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici la proibizione di tale fattispecie. Sotto il secondo punto di vista, sono i datori di lavoro ad essere i destinatari finali della disposizione generale sul divieto di impiego di manodopera immigrata irregolare; inoltre ai sensi dell’articolo 4 par. 1 essi sono destinatari di una ulteriore triplice tipologia di ‘obbligazioni specifiche” che gli Stati membri devono imporre loro. Si tratta in particolare di a) a richiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido, o un’altra autorizzazione di soggiorno; b) a tenere, almeno per la durata dell’impiego, una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un’eventuale ispezione; c) ad informare, entro un termine fissato da ciascuno Stato membro, le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo. Va notato tra l’altro che ai sensi del considerando 10, al fine di ridurre al minimo l’onere amministrativo, agli Stati membri è concessa la facoltà di prevedere che tali notifiche siano effettuate nel quadro di altri sistemi di notifica (verosimilmente quelli relativi all’amministrazione fiscale e alla sicurezza sociale). Lo stesso considerando, inoltre, consente agli Stati membri di optare per una procedura semplificata per le notifiche da parte di datori di lavoro persone fisiche laddove l’impiego sia a ‘fini privati’; in proposito va evidenziato, peraltro, che nella proposta originaria della Commissione agli Stati era concessa la facoltà di esonerare siffatta tipologia di datori di lavoro dall’obbligo di notifica. Nella versione definitiva della direttiva tale waiver è rimasto ai sensi del comma 2 del paragrafo 2 dell’articolo 4 solo relativamente alle fattispecie attinenti lavoratori cui sia stato accordato uno status di soggiornante di lungo periodo in base alla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003. 3. Il regime sanzionatorio creato dalla direttiva 2009/52/CE è disciplinato dagli articoli 5 e ss. e 10 ss.; tale regime si basa, in via generale, su due criteri di carattere generale ed è incentrato intorno ad un sistema sanzionatorio ‘binario’.

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