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el 150° del regno d’Italia (1417 marzo /17 aprile 1861)1 di quando in quando è stata affacciata l’urgenza della traslazione in Italia delle salme dei suoi ultimi due sovrani, Vittorio Emanuele III di Savoia e Umberto II e delle rispettive consorti, Elena di Montenegro e Maria José, principessa dei Belgi. I massoni, e specialmente quelli della Gran Loggia d’Italia, hanno un motivo di attenzione in più nei confronti di Vittorio Emanuele III. Tra i documenti per la storia della Massoneria i repertori degli appartenenti alle logge rivestono particolare importanza. Per molteplici motivi ne manca un atlante aggiornato ed esauriente. Neppure le ricorrenze, che solitamente sollecitano studi innovativi, hanno fatto da volano a una vera svolta al riguardo. Per esempio, malgrado tanti propositi e auspici il bicentenario della creazione del Supremo consiglio del Rito scozzese antico e accettato, una data memoriale che ha impegnato a fondo la Gran Loggia d’Italia con convegni e pubblicazioni, non si è accompagnato alla pubblicazione del repertorio delle logge operanti in Italia nell’età franco-napoleonica. Eppure la loro mappa avrebbe dato e potrà dare una risposta convincente e fondata all’annosa disputa sul concorso della massoneria alla genesi del Risorgimento italiano: ora asserito, ora confutato, ora rivendicato ora relegato tra i vanti inopportuni. Essa concorrerebbe anche a meglio chiarire i rapporti tra la massoneria italiana della prima metà dell’Ottocento e quella francese, tanto più dopo l’acquisizione della certezza documentaria che il Supremo Consiglio venne istituito a Parigi il 16 marzo 1805 (e non a Milano, come ancora ripeté Gian Marco Cazzaniga, che su un errore di data incastella un’interpretazione fantasiosa della massoneria italiana di primo Ottocento, giacobina addirittura anziché, qual fu, napoleonica e imperiale senza per questo rinunciare a essere italiana (ma nel quadro dell’ universalità liberomuratoria). Tra i molti “elenchi” di massoni tuttora inediti ne spiccano due della Serenissima Gran Loggia per la Giurisdizione d’Italia e sue Colonie, la cui storia è stata riproposta al centro degli studi dagli Annali di Luigi Pruneti: la “matricola” su cui ha svolto importanti relazioni Marcello Millimaggi nei convegni di Cagliari e di Montesilva-
no (2009-2010 e un Annuario del Supremo consiglio scozzesista della Gran Loggia mostrato da Raoul Palermi a John H. Cowles. Come si legge in una relazione di Giuseppe Dosi, commissario capo della Pubblica sicurezza presso il Counter Intelligence Corps, Cowles ricordava che in quel “libretto rosso” Palermi figurava al n.2 mentre “il n.1 dei membri stessi era lasciato in bianco, affermando il Palermi che i profani non dovevano conoscere chi fosse (da fonte massonica si sa ora che era il re Vittorio Emanuele III)2. Circa l’affilia-
a Palazzo Reale dalla Fondazione DNArt (presieduta da Elena Fontanella), accompagnata da un poderoso catalogo aperto da un saggio del repubblicano Giuseppe Galasso, a conferma che la storiografia supera gli steccati e i pregiudizi: unisce. La rivalutazione del passato, fondata su una
zione massonica del terzo re d’Italia è stato scritto molto, senza conclusioni scientificamente concludenti. L’aiutante di campo di Vittorio Emanuele III, generale Arturo Cittadini, nel marzo 1922 rilasciò un’ampia “dichiarazione”, in cui il sovrano venne descritto agnostico e libero pensatore, ma rispettoso della religione praticata dagli italiani. Nel corso del 150° del regno d’Italia e durante la solenne evocazione del 140° di Roma Capitale almeno in alcune aree (Torino, Firenze, Roma stessa assai più che Venezia o altre antiche capitali di un’Italia che nella storia ne ha contate davvero molte: Pavia, Ravenna, Spoleto, Ivrea, sino ad Palermo e Napoli, Aversa e via continuando… passando Benevento che di capitale di un ducato longobardo conservò sempre fieramente la propria identità sino a quando divenne principato napoleonico, sottratto al Papa e tornò borbonica alla Restaurazione…) si è colto un rifiorire di sensibilità nazionale. Anche Napoli ne ha dato il segno con la bella mostra sulla Regina Margherita allestita
per l’unificazione e l’affermazione dell’Italia nella comunità internazionale quando la summa dei poteri era detenuta dalle corone del Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda, dagl’Imperi di Russia, Austria e dei Francesi, dalla Sublime Porta che racchiudeva potere politico-militare e suprema autorità dell’islam. Chi non era imperatore era re, come quelli di Prussia (poi a capo dell’Impero di Germania, una federazione di regni, principati, città… più che un blocco monolitico), dei Belgi, di Danimarca, Svezia comprendente la corona di Norvegia, Spagna e Portogallo. In quell’Europa, quando Europa significava il mondo (il Giappone venne costretto dalle cannoniere degli Stati Uniti d’America ad aprire i porti ai prodotti ‘occidentali’, nel 1859-60 Hanoi fu occupata dalle truppe franco-britanniche che imposero alla Cina di subire l’importazione dei loro prodotti (a cominciare dall’oppio), una repubblica italiana sarebbe stata considerata fattore di destabilizzazione e di tensioni incompatibili con la pax garantita dal
Storia conoscenza più equa ed equilibrata, si è sostanziata nella doverosa riscoperta della centralità del ruolo svolto da Casa Savoia
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