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PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLVI - N. 09 di dicembre 2014 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

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dicembre 03 l© editoriale Sulle elezioni regionali Antonio Zambonelli 06 l© società Il lavoro? 10 interviste Gemma Bigi 11 l© politica Islam: Intervista a Franco Corradini Glauco Bertani

iscriviti all’Anpi

29 l© 70esimi La fucilazione di Abele Fantini Giacomo Mazzali


sommario Editoriale 03 Sulle recenti elezioni regionali, di A. Zambonelli Società 06 Il lavoro? lo abbiamo chiesto a dieci giovani e meno giovani, di G. Bigi Politica 09 Cosa fare dell’area adiacente l’aeroporto?, di g.b. 11 L’islam a Reggio Emilia. Intervista a Franco Corradini, di Glauco Bertani Estero 13 Stato islamico: il terrorismo alla porte, di B. Bertolaso > Mentre eravamo a Febbio ho chiesto a mio nipote se mi aiutava a ricalcare la scritta cancellata sul monumento a Luciano Fornaciari (Slim) del quale ho scritto una storia tempo fa. Lo abbiamo fatto insieme io e lui e ora chi passa davanti al cippo può leggere le bellissime parole che vi sono scritte. Carla Maria Nironi <

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70esimi 29 La fucilazione di Abele Fantini, di G. Mazzali Storia 27 L’ing. Longhi e il partigiano comunista Fontanesi, di A. Zambonelli

Cultura 15 Progetto Kurdistan: “Per non dimenticare...” 17 Teatro della memoria, di L. Eroli 37 Quando il Po straripa, di a.z. 38 Sagra della street art a Trinità di Canossa, di F. Correggi

Ringraziamenti 29 L’ANPI di Rio Saliceto ringrazia Riomania, di C. Bellesia

Economia 19 Economia solidale. Intervista a Thomas Casadei, di g.b. 36 TTIP: un accordo commerciale segreto UE-USA Interventi 21 Il confronto politico democratico è faticoso ma è inderogabile, di G. Pellicciardi

22 e 30 Lettere 31 Lutti 32 Anniversari 35 I sostenitori Le rubriche 23 Cittadini, Democrazia, Potere, Claudio Ghiretti 24 Opinion leder, Fabrizio Tavernelli 25 Primavera silenziosa, Massimo Becchi 26 La finestra sul cortile, Sandra Campanini

Memoria 08 L’eccidio di Roncroffio, 29 settembre 1944

> quarta di copertina street art a Trinità di Canossa (foto Giovanna Strappazzon) <

10 Ancora “a spasso con la storia”, di a.z. - L’ANPI a Marzabotto, di W. Orlandi 14 Olinto Cigarini ucciso a 20 anni 16 Legittimi i risarcimenti di guerra 18 L’ANPI della Bassa Ovest a S. Anna di Stazzema - Pietro e Livio Battini a 70 anni dalla morte, di G. Davolio 20 Tre amici che ci hanno lasciato, di A. Zambonelli

Street art, pag. 38, nella foto ritratto di Alda Merini Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 C.F. 80010450353 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Angelo Bariani (fotografo), Massimo Becchi, dott. Giuliano Bedogni, dott. Carlo Menozzi, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini,

Anna Fava, Nicoletta Gemmi, Claudio Ghiretti, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2-03-1970 Dicembre 2014 chiuso il 20 novembre 2014 Impaginazione e grafica Glauco Bertani Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 CCP N. 3482109 intestato a: Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI


editoriale Sulle recenti elezioni regionali DOV’E’ FINITO > QUEL GRAN PEZZO DELL’EMILIA <? di Antonio Zambonelli

Dov’è finito “quel gran pezzo dell’Emilia” di cui poteva an-

cora scrivere, con affettuosa ironia (nel 2004) il bravissimo Edmondo Berselli (1951-2010)? Le elezioni regionali del 23 novembre u.s., con il crollo di partecipazione al voto, sembrano aver rivelato un profondo mutamento in peggio. Come ANPI reggiana le avevamo affrontate con l’appello che segue, un appello che ha avuto scarso successo di diffusione (soltanto Telereggio lo ha diffuso in coda a un telegiornale). Un appello alla partecipazione abbastanza tradizionale per delle associazioni resistenziali, a cominciare dalla nostra ANPI. Questa volta lo abbiamo scritto nella consapevolezza che il clima generale tra la gente era di un certo “disamore” per la politica in generale, o meglio per i partiti in generale, anche in seguito a vicende (con risvolti giudiziari) che proprio a ridosso delle elezioni hanno riguardato quasi tutti i consiglieri regionali, in modo trasversale. In sostanza ci aspettavamo un calo di partecipazione. Ma la vera e propria frana che ha portato i votanti molto al di sotto del 50 percento nella nostra Regione molti di noi 1’hanno vissuta come una vera e propria sberla in faccia. «Le associazioni partigiane ANPI e ALPI-APC, nell’imminenza delle elezioni di domenica 23 novembre per il rinnovo del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna fanno appello, innanzitutto, alla più larga partecipazione dei cittadini al voto, cioè all’esercizio di quel diritto che fu negato dal fascismo e che fu conquistato anche grazie al sacrificio dei 626 partigiani reggiani caduti durante la Resistenza”. Inoltre segnalano il rischio che l’attuale situazione di crisi economica e sociale lasci il campo a populismi ed estremismi vari forieri di quelle regressioni che l’Italia e l’Europa hanno già conosciuto nel secolo scorso. Per questo, non essendo le nostre associazioni legate a questo o quel partito politico, fanno comunque

appello a che le scelte degli elettori siano compiute in coerenza con quello spirito di solidarismo che costituisce uno dei “caratteri originari” della nostra storia di emiliano-romagnoli. In particolare, tenuto conto di recenti non felici manifestazione di singoli politici, è indispensabile che col nostro voto si creino le condizioni perché gli eletti a cariche pubbliche esercitino la loro funzione “con disciplina e onore” e con osservanza della Costituzione (art. 54 Costituzione). Più in generale riteniamo necessario che i cittadini sappiano reagire, anche con la partecipazione al voto, ai rischi di frantumazione del tessuto sociale, rischi evidenziati anche da ricorrenti fenomeni di esasperata conflittualità fino ai casi, a livello nazionale, delle cosiddette “guerre tra poveri”». Se il nostro auspicio circa la partecipazione è andato grandemente deluso, abbastanza vicino al vero l’accenno ai rischi di frantumazione sociale e di regressioni verso derive populiste. Infatti, mentre prendiamo atto senza dispiacere della tendenza al dissolvimento degli eredi diretti di Berlusconi, dobbiamo nel contempo avvertire come un campanello di allarme l’exploit della Lega “verde-nera”, come è stata definita da molti al recente consiglio nazionale dell’ANPI. Il martellamento di Salvini in tutta l’Emilia-Romagna, con una

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DOV’E’ FINITO “QUEL GRAN PEZZO DELL’EMILIA”?

propaganda basata su di una bieca campagna lepenista contro i diversi e gli immigrati, è riuscito a produrre qualche effetto preoccupante. Sfruttando situazioni di disagio reale a cui si fatica a trovare risposta adeguata, è riuscito ad ottenere improvvisi ed elevati consensi. Un dato per tutti, nel comune di Reggio: il balzo della Lega dal 5 al 31 percento nel seggio di Via Veneri, zona popolare ex OMI Reggiane, dove il disagio sociale e il rischio di guerra tra poveri si è fatto più acuto. Un dato che ci ricorda quelli, che parevano destinati ad essere fuochi di paglia, ottenuti da Le Pen padre in certe periferie operaie un tempo “rosse” di città francesi, già qualche lustro addietro. Il fatto che oggi il Front national di Marine Le Pen

risulti essere il primo partito di Francia deve suonare per noi un fragoroso scampanellio di allarme. Se questo accade nella Francia dell’89, della Comune di Parigi, della Résistance e dei “landemains qui chantent”, non è detto che non possa ripetersi anche al qua delle Alpi. Prima fu Le Pen padre a copiare la destra neofascista italiana a partire dal simbolo: fiamma tricolore su di un sarcofago. Segno di rinascita (come l’araba fenice) dello spirito di Salò da noi, di quello di Vichy dai nostri cugini. Facciamo in modo che ora non accada il reciproco. E soprattutto che non accada con gli esiti elettorali francesi. C’è al riguardo anche un ruolo particolare dell’ ANPI. Lo ribadisce Giacomo Notari nel testo che segue:

PERCHE’ ESSERE NELL’ANPI

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ono passati 70 anni dalla conclusione della grande stagione della Resistenza con la grande vittoria del 25 aprile 1945. Dopo quella data vittoriosa l’Italia ha conosciuto una buona stagione di conquiste politiche e sociali. Basterebbe fare riferimento al voto alle donne nel 1946, alla conquista della Repubblica, alla promulgazione della Costituzione e alla progressiva applicazione di alcuni dei suoi principi. In concreto: diritto alla cultura, con la scuola obbligatoria fino a 14 anni, anche per i figli dei ceti subalterni, alla salute, alla pensione, al superamento, nelle campagne, di rapporti semifeudali come la mezzadria. Conquiste previste sì dalla Costituzione ma che furono messe in pratica non senza lotte anche dure. Non va dimenticato che alla vittoria contro il nazifascismo si debbono anche i 70 anni di pace per il nostro Paese nel contesto di una Patria più grande, l’Europa. Per la realizzazione di tali conquiste l’ANPI fu sempre in prima fila. Anche nel luglio ‘60. Ora, a ormai 70 anni dalla Resistenza, si riaffacciano in Italia, in Europa e nel mondo gravi minacce di involuzione, focolai di guerre, spinte di forze eversive che minacciano la libertà, la democrazia, la Pace. Va poi rilevato che mentre l’umanità non ha mai conosciuto concentrazioni così grandi di ricchezze e tanto sviluppo culturale e scientifico in ogni campo, centinaia di milioni di esseri umani soffrono miseria e fame, malattie, perdita della speranza. Anche papa Francesco non perde occasione di sollecitare rimedi a tanta sofferenza umana. Questa situazione di grave disagio economico e sociale, come

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ci insegna la storia del secolo scorso, può sfociare in scelte pericolose, tali da porre i popoli nelle mani di forze reazionarie di tipo fascista. Le elezioni regionali del 23 novembre in Emilia-Romagna contengono elementi di allarme, a partire dal grave fenomeno di diserzione dalle urne. Qualcosa di totalmente inedito e preoccupante, sintomo di una ribellione a fenomeni di malcostume politico che ci deve interpellare. Occorre, per quanto ci riguarda come emiliani, tornare a gestire la cosa pubblica con la serietà che contraddistinse i primi decenni della Repubblica. Per il raggiungimento di tale obbiettivo c’è un ruolo dell’ANPI. Che non è e non vuole essere un altro partito, ma è portatrice dei valori della Costituzione, coscienza critica della nazione. Noi più anziani, noi che fummo partigiani, consegnamo una eredità importante alle nuove generazioni. Una eredità che insieme dobbiamo mettere a frutto rafforzando e radicando sul territorio la nostra associazione, nelle sezioni comunali, nelle frazioni maggiori, nella scuola. Insieme per esercitare una funzione di stimolo alle forze politiche democratiche affinché sappiano trovare l’unità necessaria per superare la crisi sociale e politica in atto. Per fare sì che le prove di matrimonio “verde-nero” tra i Salvini e i movimenti fascisti nostrani da un lato ed il Fronte nazionale francese (in preoccupante crescita) dall’altro, non possano andare in porto mettendo a rischio la democrazia in Europa. Giacomo Notari


il nostro giornale Caro Lettore, eccoci qua per segnalare le difficoltà a cui si trova di fronte il “Notiziario”, che, non essendo oggetto di “abbonamento”, in teoria dovrebbe venire spedito gratuitamente ai circa quasi 4.000 iscritti ANPI della provincia di Reggio, più altri destinatari reggiani e non. Il tutto con dei costi, tipografici e postali, ormai insopportabili. Occorre sapere che molti degli iscritti, che pure avrebbero il diritto teorico a ricevere il Notiziario, versano per la tessera non più di 10 o 15 euro. In sostanza, e senza entrare nei dettagli, grave è lo sbilancio tra entrate e uscite (le quali ultime frutto anche delle “offerte” di cui rendiamo conto su ogni numero della rivista) . In pratica ci si è posti più volte, in Presidenza e in Segreteria ANPI, l’interrogativo circa la possibilità economica di continuare a pubblicare il “Notiziario”. Pensiamo che sarebbe davvero doloroso, proprio nel 70° della Resistenza, cancellare un’esperienza iniziata oltre 25 anni fa, quando Giuseppe Carretti trasformò il vecchio bollettino ciclostilato in una rivista che diventò luogo di incontro tra diverse generazioni ed ispirazioni culturali , in un intreccio virtuoso tra passato e presente, cioè tra storia e memoria e problemi politici e culturali attuali, facendo della Resistenza la bussola con cui orientarsi nei problemi di oggi: la corrispondenza o distanza fra Costituzione repubblicana e stato delle cose nel no-

stro Paese, rapporti fra i popoli, le guerre e la pace, la difesa dell’ambiente, le varie rubriche specializzate… Tutte tematiche da allora sempre presenti su queste pagine, comprese quelle del numero attuale. A questo punto, Che fare? Il primo numero del 2014 lo abbiamo prodotto solo in veste informatica, come esperimento. Non è stato un bell’esperimento. Forse anche perché affidato all’improvvisazione da parte nostra. Da molte parti ci è stato segnalato che la veste cartacea rimane ancora assai importante, anche se non si potrebbe escludere il doppio binario. Una versione on-line più agevolmente fruibile da un pubblico giovane e quella cartacea gradita soprattutto da un pubblico più “tradizionale”. Per intanto sarebbe necessario che da parte dei nostri lettori, se ritengono che lo strumento “Notiziario ANPI RE” debba continuare a vivere, venisse un sostegno finanziario ricorrendo magari, almeno una volta all’anno, ai bollettini che alleghiamo. Cogliamo l’occasione per augurare un 2015 migliore dell’anno che stiamo lasciando. Un cordiale saluto, La Presidenza ANPI Reggio Emilia La Redazione del Notiziario ANPI

Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 CCP N. 3482109 intestato a: Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI

La sezione ANPI Cittadina DORINA STORCHI “Lina” ha aperto la campagna di Tesseramento 2015 Sarà un’occasione per incontrarci, riflettere sul difficile momento che sta attraversando il Paese, per parlare di antifascismo, di lavoro come fondamento della Repubblica, di rinnovamento della politica, di democrazia e delle recrudescenze del fascismo che si manifestano sempre più spesso. Per la distribuzione delle tessere gli uffici di Reggio Emilia - Via Farini, 1 sono aperti tutti i giorni, sabato compreso, dalle ore 9 alle ore 11. Ai residenti delle zone decentrate, la tessera verrà consegnata dai responsabili di zona. Per fissare appuntamenti sulla consegna o il ritiro in orari diversi, si invita a contattare il n. telefeonico 0522 432991 o cell. 347 4201344. dicembre 2014

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società

IL LAVORO?

LO ABBIAMO CHIESTO A DIECI GIOVANI E MENO GIOVANI di Gemma Bigi E’ ormai una costante parlare di lavoratori come massa e sempre meno come persone che sì necessitano di occupazione, ma anche di sostanza, perché lavorare occupa la maggior parte della nostra giornata e la ricerca di un lavoro, o la tensione della precarietà, vincolano e condizionano la nostra vita. Come Notiziario Anpi, nei giorni successivi alla votazione del Job Act, abbiamo intervistato alcuni lavoratori appartenenti a varie categorie, generazioni e settori, sia scettici che a favore della manovra. Non abbiamo pretese di scientificità, ma la volontà di dare voce ai protagonisti di crisi e riforme. Abbiamo constatato che l’ottimismo scarseggia alquanto, anche se negli under 30 ben collocati nel mercato del lavoro certamente c’è una prospettiva di miglioramento più che di sopravvivenza. Vi presentiamo i nostri intervistati: R. libera professionista di 60 anni, laureata F. impiegata a tempo indeterminato, 28 anni, diplomata e con un percorso di professionalizzazione altamente qualificato D. Consulente editoriale, redattore freelance/P.Iva a regime dei minimi, 34 anni, laureato A. educatrice/P.Iva - disoccupata di 36 anni, laureata AB 45 anni, impiegato a tempo indeterminato, diplomato E. educatore, impiegato, coordinatore, 36 anni, due lavori part time a tempo indeterminato, laureato G. trentenne, responsabile commerciale a tempo indeterminato, laureato C. funzionario pubblico, 28 anni, a tempo indeterminato, laureata CM libera professionista, 47 anni, laureata V. 27 anni, laureata, senza un’occupazione fissa

Innanzi tutto inquadriamo la loro esperienza lavorativa.

Per tutti gli intervistati la presenza sul mercato ha avuto inizio negli anni post diploma e/o universitari. Cambia invece in base all’età e al settore il numero di lavori svolti nel corso degli anni. E., sul mercato da quindici anni, afferma di non aver mai cambiato lavoro, “ne ho aggiunti”. Molto diversa l’esperienza di AB, lavoratore da venticinque anni tutti nella stessa azienda con, unicamente, qualche cambiamento di mansione. R., operativa da 39 anni, ha cambiato tre lavori, ma dai 17 ai 21 anni, quindi mentre frequentava l’università. Dopo si è collocata sul mercato da libera professionista e fino ad oggi ha mantenuto un proprio studio e un’attività. F., invece, sul mercato da 9 anni, ci risponde in merito al numero di lavori svolti ad oggi: “Circa 6, non tenendo conto di mansioni sporadiche”, e già questo dà la misura di un mercato del lavoro sclerotizzatosi negli ultimi tempi, dove la formazione e la professionalità non solo non viene premiata, ma nemmeno cercata. Dai datori di lavoro, il risparmio è inseguito più della capacità operativa del lavoratore. V. , invece, in tre anni sul mercato del lavoro, di lavori ne ha cambiati quattro. G. in 6 anni ne ha cambiati 3. Un po’ tutti i più giovani presentano vissuti simili in questo senso. Emerge chiaramente un cambio di tendenza drammatico fra l’esperienza degli under 30 e quella degli over 40.

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D., partita iva per cause di forza maggiore da pochissimi anni, dice di non aver mai praticamente firmato un contratto in dieci anni di lavoro. In tutto ha cambiato quattro lavori, senza contare le collaborazioni sporadiche. A., attualmente è disoccupata poiché la scadenza del contratto ha coinciso con l’inizio della sua gravidanza, motivo per cui non può nemmeno cercare un nuovo impiego salvo - precisa ironicamente - “qualche lavoro in nero”. Entrando nel merito, abbiamo chiesto ai nostri intervistati, se avessero o meno seguito le discussioni in merito al J.A. LR si è documentata ed è netta riguardo al cosa aspettarsi dalla riforma del mondo del lavoro: “Un revival: i nuovi servi della gleba!” e, sul cosa invece ritiene andrebbe proposto, altrettanto nettamente risponde che tanto non corrisponderebbe agli obiettivi governativi. Viene, insomma, percepito uno scollamento fra la realtà dei lavoratori e le riforme. C. invece risponde, con pari convinzione, che aspetta dal Job Act “l’abolizione dell’art. 18, la riduzione delle forme contrattuali atipiche, ad esempio rivedendo le forme di apprendistato e tirocinio, spesso utilizzate per assumere nell’immediato e poi usate come facile scusa per assumere qualcun altro e non stabilizzare.” Più o meno come V. che trova assolutamente necessario riformare un mercato del lavoro che “ad oggi ha prodotto solo una disoccupazione giovanile a livelli esagerati.”


società Altri intervistati non si sono particolarmente informati, lasciando trapelare, più che superficialità, una vera e propria sfiducia in questa ennesima manovra, al punto da non volerci perdere tempo. Come AB, che alla domanda: hai seguito le dichiarazioni in merito al Job Act, ci ha risposto: “Poco. Mi pare, però, l’ennesimo giro di giostra”, e al cosa si aspetta: “Pochissimo per chi ha bisogno di lavorare con un minimo di serenità e sicurezza. Non dico il posto fisso e blindato, ma un minimo che permetta di superare la giungla in cui oggi vivono la maggior parte dei lavoratori”. Oppure A.: “Realmente non mi aspetto niente dei palazzi, ma dalla strada.” G. è più possibilista e afferma che gli obiettivi e l’approccio della riforma gli sembrano efficaci. “La riforma garantirà migliori condizioni per i precari e per i disoccupati, grazie al contratto a tutele crescenti, allo sfoltimento dei contratti precari e al rafforzamento delle politiche di formazione e riqualificazione. Il dibattito sulla restrizione del reintegro, sostituito dall’indennizzo, in caso di licenziamento illegittimo è fuori dal tempo – aggiunge – E’ giusto limitare il reintegro solo ai casi più gravi, ma tanto il posto di lavoro a vita non esiste più.” Anche CM la pensa più o meno così: “Dalla riforma mi aspetto che modernizzi il mondo del lavoro: più tutele per tutti, più attenzioni alle nuove professioni, contratti flessibili con sicurezza (flexsecurity)”. Lapidario invece E.: hai seguito le discussioni in merito al J.A.? Risposta: “no!” Cosa ti aspetti dalla riforma?: “Nulla!” F. non ha seguito tanto i media, ma ha letto autonomamente il testo dell’emendamento ed entra nel merito di ciò che, ritiene, andrebbe fatto: “Auspico un ridimensionamento delle detrazioni in busta paga. Maggiore tutela per le donne in maternità, che preveda una piena reintegrazione nel posto di lavoro. Una reale incentivazione alle aziende all’assunzione di giovani e alla trasformazione dei contratti in tempo indeterminato. Servirebbe – aggiunge – maggiore omogeneità nelle retribuzioni. Pensionamento in età decente. Maggiore ragionevolezza nelle detrazioni fiscali. Un orario che tenga maggiormente conto delle singole esigenze (compatibilmente con la mansione svolta). Maggiore definizione dei diritti del lavoratore”. Abbiamo così domandato anche gli altri intervistati se avessero un’idea di cosa dovrebbe essere fatto. Ovviamente E. ci ha risposto: “No!”. AB: “Non sono un esperto. Sicuramente non è riducendo i diritti che si migliora il mondo del lavoro”. Mentre V. è convinta che “il Job Act non tolga dei diritti, perché tanto le forme contrattuali oggi esistenti nemmeno riconoscono i diritti che si vogliono toccare con la riforma.” A. ci risponde che: “Servirebbero contratti di lavoro dignitosi, dopo una fase iniziale. Contratti duraturi, con garanzie e tutele. Ma anche controlli (e conseguenti procedure esecutive certe) su certri altri tipi di contratti. Contratti che permettano di “avere un lavoro” e una vita senza ansie e favoriscano così i rapporti sociali dignitosi e quindi coesione sociale”. D.: “I lavoratori freelance dovrebbero essere considerati al pari di quelli contrattualizzati dal punto di vista delle tutele previdenziali. Si dovrebbe favorire la conciliazione tra lavoro e vita privata, lavorare per la parità salariale uomo/donna, fare in modo che per gli uomini possano essere previsti congedi per paternità più lunghi e incentivare le assunzioni a tempo indeterminato riducendo o eliminando l’Irap per le imprese”. Credi che la tua vita sia stata condizionata, nel bene o nel male, in base al tipo di contratto? LR., libera professionista per scelta, non ritiene che il mercato abbia condizionato le sue scelte. F., sicuramente rassicurata da una solida formazione in un ambito professionale ancora alla ricerca di persone qualificate, ha

privilegiato più che la sicurezza lavorativa la soddisfazione personale e ci ha risposto: “La mancata incentivazione a contratti adeguati alla posizione ricoperta mi ha portato a cambiare continuamente lavoro. Il pensiero comune ‘lasci un lavoro sottopagato ma sicuro per l’incertezza’ è diventato un ossessione anche per i giovani, io fondamentalmente ‘ho rischiato’ e mi è andata bene”. AB onestamente risponde: “In bene, ma sinceramente mi vergogno di condividere a volte le mie fatiche con giovani sottopagati senza speranze o quasi”. Ancora una volta invece sono i precari, con un’età che esigerebbe qualche prospettiva, ad offrirci considerazioni amare e nette. In merito al se è stata o meno condizionata A. afferma: “Certo. Dalla più piccola decisione alle più grandi. Oltre che nel sentire intimo di non poter dire di avere una professione, un lavoro e quindi anche un’identità in questo senso. Bisogna avere molta forza per costruirsi comunque un ruolo nella società”. D.: “Assolutamente condizionata in male: in dieci anni di lavoro non ho mai avuto una sicurezza – né contrattuale né economica – tale da permettermi di fare progetti a lungo termine”. E anche C, che oggi si ritiene fortunata con il proprio tempo indeterminato, afferma che “il precariato e la necessità di trovare contratti più stabili ha influenzato notevolmente la sua vita privata”. L’idea che chi ha fatto le interviste ha del mondo del lavoro da quando ha avuto inizio questa fantomatica crisi economica è di qualcosa di astratto, un macro sistema bisognoso di norme lontane dalla realtà che non si possono capire come singoli, ma che tuttavia hanno un rapporto diretto con noi e con la nostra vita. Abbiamo quindi chiesto ai nostri intervistati come sentono che il mondo del lavoro si rapporta con loro, se si sentono inutili, sfruttati o da rottamare. R. parla di “svilimento delle libere professioni, anche a causa dell’autoreferenzialità e omissione del ruolo sociale”. V. è convinta che “Il mondo del lavoro oggi tenda a sottovalutare le persone. Troppo spesso si tiene conto della produttività del lavoratore e non del lavoratore come persona.” F. è molto ludica e propositiva e sottolinea anche potenziali obiettivi: “Mi sento molto fortunata al momento, la retribuzione è adeguata alla mansione svolta. Ma le esigenze personali cambiano, e un’azienda del futuro è quella che tiene conto in primis delle capacità personali e delle competenze acquisite col tempo, promuovendo la crescita interna dei dipendenti con aumenti retributivi o una adeguata ricollocazione, invece che prediligere la staticità di stipendi e posizioni. Stimolare il lavoratore a crescere professionalmente con una reale prospettiva”. CM, libera professionista, vive il proprio rapporto con il lavoro con un “senso di sfida”. G. si ritiene anch’egli “fortunato, ma lavoro tanto, forse troppo e anche per questo sarei contento se il lavoro che c’è venisse maggiormente redistribuito fra tutti.” AB, da persona con molte passioni e, allo stesso tempo, con una sicurezza contrattuale: “Non ho mai pensato di realizzarmi nel lavoro. Fa parte della vita. Confesso che mi stupisce ancora come tanti puntino tutto sul lavoro e non sulla vita privata, gli affetti o gli interessi. E’ un po’ come pensare di diventare ricchi alla roulette. Succede, ma non di frequente”. D.: “Dipende dai giorni, onestamente. Ma la sensazione prevalente è quella di lavorare sempre in emergenza e con obiettivi poco chiari, e questo non aiuta senz’altro né a sentirsi utili né ad affezionarsi al lavoro che si fa”. A.: “Difficile definire il “mondo del lavoro”, da un punto di vista contrattuale non c’è nessuna cura della persona, e quindi anche del valore del lavoro. Ugualmente è avvilente che data la dicembre 2014

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memoria possibilità di essere completamente ingiusti tanti datori di lavoro, pur apprezzandoti scelgono di farti questi tipi di contratti”. E.: “Nel settore in cui lavoro sicuramente c’è una buona dose di sfruttamento”. Inevitabile concludere l’intervista chiedendo cosa si immaginano nel loro futuro lavorativo e pensionistico. R. è sempre caustica: immagina “di morire sul posto di lavoro, non per scelta ma per necessità (e sono fortunata, altri vivendo con pensioni da fame se la passeranno peggio). F. è più possibilista, anche se la realtà italiana non può che preoccupare: “Mi immagino, o comunque spero, di non arrivare mai a considerare il lavoro solo un modo per guadagnare. Vorrei fosse, nei limiti del possibile, anche una realtà stimolante, dove la maggior parte del tempo ci può piacere stare. Anche perché alla fine occuperà molti anni della nostra vita. Ah, e magari se mi riuscisse di non andare in pensione in età da pannolone lo apprezzerei”. A. non riesce proprio ad immaginarselo, dice, “troppe incognite”. Stessa risposta la dà E., sempre netto: “Non lo immagino” e così, sorprendentemente, anche AB: “Non riesco ad immaginarlo. E credo di non essere l’unico”. Ed anche CV, che pure

ha un tempo indeterminato, ritiene che “la pensione sia un orizzonte ancora troppo lontano per fare opportune valutazioni.” D. appare disincantato più che amareggiato: “Continuo a immaginare un lavoro precario e a sperare in un po’ di stabilità. Ma non mi aspetto di accumulare contributi sufficienti per godere di una pensione”. Ed anche G. è “preoccupato per la vecchiaia. Realisticamente le mie prospettive pensionistiche sono molto negative. L’unica soluzione per migliorare la mia situazione futura – dice – è quella di prendere delle scelte dure oggi, come quella di passare tutti al sistema contributivo abolendo in via retroattiva il sistema retributivo”. Insomma, di riforme nel mondo lavorativo e contrattuale negli ultimi venti, venticinque, anni se ne sono viste diverse, ma mai che al centro fosse, nei fatti, il reale interesse della persona/lavoratore. Vedremo se questa sarà l’ennesimo spot elettorale, ulteriormente deleterio come sostengono alcuni, o un necessario svecchiamento che pareggerà, in meglio sostengono altri, diritti e doveri dei lavoratori. Un dato è certo, l’urgenza c’è ed è il momento che si smetta di farla scontare sempre alle solite categorie.

RICORDATO L’ECCIDIO DI RONCROFFIO DEL 29 SETTEMBRE 1944 1944

Aurora di fine settembre / triste sole risplende./ Il paese a un tratto di terrore è invaso:/ sferragliare di mezzi cingolati / e grida di soldati./ Cinque minuti ci danno con le mani / cinque minuti per fuggire / – e non si sa dove – / come cani. / Pesava il braccio della vecchia madre / al mio appeso / e muti mi guardavano smarriti / gli occhi miti dei figli. / La strada era un inferno:/ colpi di mitra, muggiti d’armenti / - perché non ho dimenticato quei momenti - / Appena il tempo di voltarsi indietro / tra scoppi e bagliori il paese bruciava./ I nostri morti là, dietro la casa. Clara Borghini Bussi

In attesa dello scoprimento della targa dedicata alle vittime di Roncroffio. Tra la folla si scorgono anche il Presidente ANPI provinciale Giacomo Notari e la partigiana Giacomina Castagnetti

Conferenza d’organizzazione Anpi Reggio Emilia

Sabato 27 settembre il Comune di Castelnovo Monti ha comme-

morato il 70° anniversario della sanguinosa rappresaglia compiuta da truppe germaniche nella borgata di Roncroffio, dove vennero uccisi quattro civili, saccheggiato e incendiato il paese . Caddero insieme, Giuseppe Bussi, 49 anni, lo suocero Luigi Borghini, 81 anni, il nipote Gino Borrini, 29 anni e Gino Manfredi, 49 anni, commerciante di Felina. A quella tragica giornata ha dedicato pagine toccanti Clara Bussi Borghini, moglie di Giuseppe, figlia di Luigi e zia di Gino. Pubblichiamo qui la sua poesia 1944. Nella mattinata di sabato 29 una messa di suffragio si è celebrata nell’oratorio di Roncroffio. Nel pomeriggio, a Castelnovo, inaugurazione della targa Piazzale Vittime di Roncroffio. Assieme ai Familiari dei caduti, il Sindaco Enrico Bini, la Giunta comunale e autorità varie 8

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Reggio Emilia, Centro Insieme, 18 ottobre 2014: da sinistra il presidente ANPI nazionale Carlo Smuraglia, la partigiana Maria Montanari ed Eletta Bertani della Segreteria Anpi provinciale


politica

Cosa fare dell’area adiacente all’aeroporto?

Ne abbiamo parlato con l’assessore Farncesco Notari, con il capogruppo del M5S in Consiglio comunale Norberto Vaccari e con Giovanna Boiardi del Centro per la Riconciliazione dei popoli, il Disarmo universale e la Difesa del Creato. di Glauco Bertani

La destinazione d’uso dell’area adiacente l’aeroporto è in que-

sti mesi al centro di un interessante dibattito. Vi sono idee e proposte molto diverse da quelle prospettate dal programma elettorale del sindaco Vecchi che prevede la creazione in essa di una grande arena spettacoli. L’Associazione partigiani (ANPI) di Reggio ha appoggiato la creazione di un bosco urbano dedicato alla figura del partigiano e ambientalista Paride Allegri (Sirio), una proposta avanzata alcuni anni fa dal Centro per la Riconciliazione dei popoli, il Disarmo universale e la Difesa del Creato. Ma oggi l’idea di che cosa fare di quell’area si è arricchita di ulteriori contributi. Abbiamo chiesto, innanzi tutto, all’assessore competente Francesco Notari, qual è oggi la posizione dell’Amministrazione comunale su questo progetto: “Si tratta – ha risposto – per il momento di un’idea in fase di valutazione, la cui fattibilità è legata ad argomentazioni di carattere politico e a temi di ordine amministrativo e finanziario. Si ricorda, a tal proposito, che l’area adiacente a quella aeroportuale, fino a poche settimane fa, utilizzata per manifestazioni e spettacoli è di proprietà del Demanio dello Stato ed è anch’essa vincolata da normative aeronautiche non agevolmente superabili, qualunque sia il progetto alternativo che si volesse mettere in campo”. Il comune avrebbe degli oneri? “E’ escluso un impegno economico diretto del Comune e si stanno sondando soggetti operanti nel settore degli eventi musicali dotati di adeguati mezzi finanziari, affinché si possa dar corso all’operazione con le dovute garanzie sia sul lato dell’investimento che su quello della funzionalità della struttura…”.

Quindi? “E’ evidente che il percorso esplorativo recentemente avviato porta con sé numerose incertezze e che, quindi, superati gli ostacoli di natura amministrativa che si frappongono all’utilizzo discrezionale delle aree in questione, è opportuno aprire il dibattito anche a soluzione alternative e ad idee innovative che possano rivitalizzare e valorizzare questa parte di città”. E noi abbiamo provato, quindi, ad aprirlo il dibattito interrogando per il M5S Norberto Vaccari, capogruppo in Consiglio comunale, promotore, nell’ottobre scorso, di un convegno dedicato a quell’area, e per il Centro per la Riconciliazione dei popoli, Giovanna Boiardi. “Sono e siamo – dice Vaccari – sempre stati contrari all’ipotesi di costruzione di una inutile arena per spettacoli musicali nell’area del campovolo”. Le posizioni sono piuttosto distanti, come lo sono quelle sostenute da Giovanna Boiardi: “Da parte del Centro – dice – si è andata precisando la proposta complessiva [non solo un grande parco urbano, N.d.I.] riguardo a questa vasta area: costruzione di un parco didattico a favore delle scuole e di orti urbani-orti di pace; destinazione poi di una piccola area dedicata all’incontro estivo per rappresentazioni culturali, teatrali, di danza ecc. e possibile inclusione dell’area in una più vasta “area di prossimità” alla città con coltivazioni biologiche e biodinamiche a disposizione dei cittadini e la vicinanza della Facoltà di Agraria presso l’ex Istituto S. Lazzaro potrebbe avere ulteriori sviluppi”. La contrarietà del M5S si articola in diverse proposte, alcune delle quali in sintonia con quanto sostenuto dal Centro per la Riconciliazione dei popoli, un polmone verde che potrebbe “ospitare altre e più importanti attività quali, ad esempio, degli orti urbani gestiti dicembre 2014

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memoria da cittadini per la propria sussistenza e anche per la vendita diretta, dando vita a progetti anche sperimentali sia di diversa occupazione che di agricoltura di prossimità al servizio diretto della città”. Queste attività potrebbero interferire con le attività aeroportuali? “No, anzi potrebbe diventare un’ampia area di svago e fruizione naturale dell’ambiente in diretto contatto con un’area urbana ampia e densamente abitata quale è, a sud, il centro storico, l’asse della via Emilia fino a San Maurizio, a ovest via Adua e il quartiere Santa Croce esterna”. Ma quali sono i vostri timori riguardo la proposta dell’Amministrazione comunale? “Un’arena dedicata ai grandi eventi sarebbe certamente una cattedrale nel deserto, utilizzata poche volte l’anno considerando il nostro clima. Questo rende difficilmente sostenibile la proposta dal punto di vista economico. Da ciò nasce il timore fondato di una speculazione edilizia mascherata, ovvero che l’iniziativa possa aprire i ‘cancelli’ a una diversa destinazione dell’area, molto più ‘proficua’ per la rendita immobiliare e la vicinanza dei grandi volumi edificabili nell’area Reggiane non consente di escludere questa possibilità di eventuali delocalizzazioni. E la possibilità, per niente remota, di una possibile cessione di tutta l’area, attualmente in proprietà del Demanio statale, alla Regione ed una successiva acquisizione da parte

ANCORA “A SPASSO CON LA STORIA”

del Comune non ci consente di restare tranquilli”. Secondo lei quale potrebbe essere un’aera giusta per l’arena spettacoli? “Gli eventuali grandi eventi potrebbero essere organizzati all’interno dell’area aeroportuale, come è avvenuto fino ad adesso, oppure localizzati in aree più opportune, tipo l’area di via Filangeri, meglio collegata sia all’autostrada che alla stazione Mediopadana”. Vaccari, infine, ci può spiegare molto semplicemente e, soprattutto in poche parole, che cosa significa prospettare una città di tipo medievale? “E’ una analogia in uso da tempo presso chi studia le evoluzioni economiche, sociali ed ambientali degli agglomerati urbani. Parte dalla considerazione di come le città medievali fossero autosufficienti e trovassero al loro interno tutte le risorse di cui necessitavano. Il riferimento alla città medievale è quindi un riferimento al concetto di “resilienza” [cioé il ritrovato equilibrio di una comunità o di un sistema ecologico successivo alle alterazioni causate, ad esempio, dalle attività umane, N.d.I], che tali città erano in grado di disporre. Per fare questo più che nelle immani risorse economiche di cui disponiamo, dobbiamo fare conto sempre più e meglio sulle nostre risorse tecnologiche, sulle nostre risorse umane, in particolar modo le menti giovani e fresche che dovranno salvarci dai disastri da noi prodotti”.

L’ANPI A MARZABOTTO di Wassilj Orlandi

5 ottobre 2014. Il presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia

Il 31 ottobre u.s. siamo stati, grazie allo SPI-CGIL, e all’impegno La sezione ANPI di Castelnovo ne’ Monti e Felina hanno orga-

personale di Marco Bonacini, “a spasso con la storia”, conducendo due classi di 5a elementare della scuola “Neria Secchi” di Bibbiano. Obbiettivo alcuni luoghi di interesse storico della città di Reggio Emilia: ex Caserma Zucchi (attuale sede Unimore), Palazzo Ancini, sede della Camera del Lavoro dal 1901 al 1923, attuale sede anche dell’ANPI, la Sinagoga di Via dell’Aquila, Monumento e Sacrario della Resistenza in Piazza Martiri del 7 luglio, la Camera del Lavoro, in Via Roma (antico setificio), breve sosta davanti all’ex Carcere di San Tommaso. In ciascuno dei luoghi indicati abbiamo fatto rivivere le vicende storiche ad essi legate, con particolare riferimento alla storia del Novecento (fascismo e Resistenza), dialogando con gli scolari, diversi dei quali impegnati ogni volta a prendere appunti. Una bambina, Giorgia Randazzo, ha trovato modo, durante una pausa, di realizzare con rapidi tratti il gustoso schizzo che pubblichiamo. Il personaggio con coppola sarebbe il sottoscritto. La bambina alza una delle bandierine tricolori ricevute in omaggio dall’ANPI. Durante la sosta nella Sala Di Vittorio della CdL i circa quaranta scolari hanno consumato la merenda offerta da Sigma di Barco. (a.z.) 10

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nizzato la partecipazione al 70° di Marzabotto. La riuscita dell’iniziativa è stata possibile per la fattiva collaborazione del Provinciale e delle sezioni ANPI di Reggio città, di Rio e Villa Minozzo. E’ sempre commovente la partecipazione a questo evento: le testimonianze dei sopravvissuti e/o dei loro famigliari inducono a profonde riflessioni, la capacità comunicativa e la competenza degli oratori promuovono sentite discussioni. Ha colpito la platea, nel contesto della pericolosità della deriva neo-nazista/fascista, il pensiero di Primo Levi, ripreso da più oratori e così semplificato: “Ciò che è accaduto può ritornare”. Ha strappato applausi e consensi l’oratore ufficiale i Presidente nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia. In un susseguirsi di flash l’oratore ha toccato i temi della Pace, della lotta alle guerre, della Giustizia e delle lotte intraprese dall’ANPI per la Giustizia stessa, del pericolo dell’indifferenza, della forza dei giovani, dell’inettitudine della politica per gli “Armadi della Vergogna”. Ma soprattutto forte è stato il richiamo all’unità di intenti per non disperdere i valori che contraddistinsero la Resistenza. Invitato sul palco, Adelmo Cervi, ha portato la sua testimonianza che è stata molto apprezzata. Nel pomeriggio prima del rientro è stata fatta una breve sosta al Museo Cervi a Campegine.


politica

L’ISLAM A REGGIO EMILIA Ne abbiamo discusso con l’ex assessore alla Sicurezza del Comune di Reggio Emilia Franco Corradini

di Glauco Bertani E quindi esistono a Reggio? Va detto, in termini positivi, che le moschee sono state un punto vero di mobilitazione a sostegno della Primavera araba e in questo contesto vi erano molte articolazioni anche a favore dei Fratelli Musulmani. Penso ci sia sempre molto dibattito su questo punto, come va detto che vi sono pressioni da parte dei paesi arabi per influenzare le attività delle moschee , pressione che a quel che mi risulta vengono puntualmente respinte. Potrei citare il Qatar che è disposto a riversare milioni di euro per fare moschee, però vuole avere la leadership di quelle moschee, lo stesso Marocco che ha finanziato la moschea a Torino. A Reggio Emilia va dato atto alle moschee di aver condotto un dibattito interno che ha teso a salvaguardarne l’autonomia . Franco Corradini

A Reggio ci sono tre moschee: in via Monari, in via Gioia e in via

Picard. Qual è quindi la geografia dell’Islam a Reggio Emilia? C’è differenza fra moschea e centro islamico? Ci sono tre moschee, tre luoghi in cui si va a pregare: uno è quello storico di via Flavio Gioia, in cui non solo si va pregare ma è anche un centro di cultura islamica e ricreativo. Successivamente c’è stata una “migrazione” in via Monari, ove vi è una attività di carattere culturale/ricreativo e, da circa un anno, ha aperto una terza moschea in via Picard che ha l’ambizione di aprire, ad esempio, un asilo per bambini, quindi non solo un luogo di preghiera. Naturalmente ci sono delle differenze fra questi tre luoghi, all’interno di questi luoghi una costante dialettica… Fra queste tre realtà o con l’amministrazione? Diciamo che, andando per gradi, all’interno di questi luoghi c’è una dialettica, un confronto che ha teso progressivamente “a emarginare le posizioni più oltranziste” cercando di aprire questi luoghi alla cittadinanza tutta. Ad esempio in via Flavio Gioia dove costantemente si sono tenute attività che hanno cercato di parlare alla città. Segnalo una mostra fatta con Istoreco in occasione della giornata della memoria dove hanno ospitato una mostra plurilingue arabo-ebraico-italiano di musulmani albanesi che diedero ospitalità a trecento ebrei, accompagnata da un convegno sia all’interno della moschea sia all’interno della sinagoga. Ugualmente la presenza di amministratori o comunque di questo dibattito si è sviluppato anche in via Monari. Tutte le moschee hanno fatto raccolte di solidarietà nei momenti di crisi economica come lo fanno le parrocchie e dove hanno distribuito beni di prima necessità. Attività che assomigliavano a quelle che fanno i nostri circoli. Ci sono alcune connotazioni precise fra queste tre moschee? Certamente, ma comunque non stanno con l’ISIS, gli imam provengono per lo più dall’Egitto, dal Nordafrica e vi è sicuramente un costante dibattito al loro interno... Scusa se ti interrompo, ma quando nel giugno del 2013 fu deposto in Egitto Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, a Reggio ci fu una manifestazione… Sì, c’è stata una manifestazione a favore dei Fratelli musulmani

Voi come amministrazione avevate pressioni o eravate bypassati? Che tipo di “interferenze esercitavano i paesi di cui parlavi? Ma l’amministrazione pubblica fornendo dei servizi non ha in un certo misura l’obbligo di monitorare... E’ evidente che in alcune situazioni ci sono state delle collaborazioni molto forti, perché Comune e moschee hanno avuto l’interesse a mostrare alla città il volto dialogante. Sono state in particolare due occasioni. La prima, quando alcune associazioni di immigrati fecero dichiarazioni non così edificanti sul ruolo delle donne e a quel punto ci fu una polemica. L’amministrazione comunale e due imam, collaborarono e vi fu capacità di apertura delle due moschee. Noi dicemmo, molto chiaramente, che non potevamo collaborare con moschee che fanno finta di niente di fronte a dichiarazioni in cui si dice che le donne devono portare il burqa o che le donne devono avere ruoli inferiori ... Su questi temi importanti le due moschee convennero, fecero dichiarazioni sia pubbliche sia all’interno, con noi presenti, che l’Islam non dice che la donna è un essere inferiore, è obbligata a vestirsi col velo quando cammina per strada, ma è obbligata a mettersi il velo solo quando va in moschea... Su questo si è innescato un dialogo tra l’amministrazione che ha teso ad aprire le moschee ai cittadini. Gli imam e chi gestiva le moschee convennero su questa idea e inviarono messaggi chiari. Inoltre ci fu un problema in occasione della festa del sacrificio d’Abramo per trovare i luoghi dove celebrarli? Bene il Palasport in centro, che sia visibile a tutti, e le autorità sono andate a portare il saluto dell’Amministrazione, infatti, una volta andò la presidente del Consiglio comunale, una donna. Qualcuno innescò su questo una polemica, ma la stessa moschea disse che era la rappresentante di un’istituzione e aveva il diritto di stare lì. La seconda questione, più spinosa dal punto di vista pratico, fu quando si fece un protocollo con la Provincia e il Comune in occasione della festa del sacrificio. C’è una normativa nazionale che regola l’uccisione degli animali, che tutela il benessere degli animali, che per diversi anni ci fece discutere. C’era gente che sgozzava gli agnelli in casa o li sgozzava sull’argine del Crostolo nella Bassa. Partendo da queste situazioni c’è stata una grande opera di mediazione culturale che alla fine vide la collaborazione degli imam e si trovò una soluzione rispettosa della leggi italiane e della tradizione dell’islam. dicembre 2014

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Forse la situazione oggi è un po’ cambiata rispetto a pochi mesi fa quando ancora eri assessore alla sicurezza, con l’entrata in scena dell’Isis. E’ giusto discuterne, talvolta erroneamente siamo portati a pensare che le moschee siano un luogo di reclutamento e di propaganda dell’Isis. Va detto che per ora abbiamo visto moschee schierarsi a sostegno della primavera araba, della democrazia e non certo dell’Isis e questo è un dato di fatto. Ad oggi sappiamo che in molte realtà italiane si sono condotti confronti che hanno isolato le posizioni dell’isis e va anche detto che il “reclutamento” avviene attraverso forme e modalità che priviliegiano i social o i rapporti informali. In ogni caso è bene discuterne direttamente con le stesse moschee. Sulla base di questo penso si debba aiutare il dialogo, che significa porre idee molto chiare sulle quali non si transige: la libertà individuale, il diritto delle donne, insomma la Costituzione italiana. Voglio citare un’esperienza attualmente in atto gestita in collaborazione con la Ambasciata degli Stati uniti in Italia dove si realizzò un protocollo, fatto tramite Mondoinisieme, tuttora in vigore che prevede degli spettacoli, dei confronti annuali tra ragazzi statunitensi e reggiani, di religione musulmana. Questi scambi sono fatti nella consapevolezza che non c’è solo la moschea da monitorare. Dopo l’11 settembre 2001, tutto è sempre in movimento e il confronto deve sempre essere costante evitando i luoghi comuni e il pregiudizio. Dobbiamo essere molto preoccupati per ciò che sta succedendo in Iraq e Siria a causa dell’Isis . In particolare per le fasce più giovani occore un lavoro specifico che tenga conto dei diversi modi di comunicare e della necessità di interagire, perché se ci limitiamo a valutare tutto in termini di pericolo allora si militarizza tutto. Si utilizzi il dialogo, che le persone si possano mostrare per quello che sono, quindi nessuno si tenga dentro, un odio verso l’Occidente per come è stato accolto o perché pur essendo laureato e lavorando detesta il “sistema”. A Reggio dov’è maggiormente concentrata la realta islamica, qual è la loro provenienza e se ci sono differenze religiose fra le varie aree di provenienze, quali nazionalità frequentano maggiormente le nazionalità anche nel rapporto con l’Amministrazione? Sì, la moschea più numerosa è in Flavio Gioia dove vedi anche un islam africano (senegalesi, nigeriani e non solo), presenze attive anche in via Monari, mentre in via Picard, per quel che conosco, vi era molto il nord Africa, in particolare l’Egitto. Io ho partecipato a una grande manifestazione al Mappamondo,

forse più di un anno fa, promossa da un’associazione che fa riferimento, soprattutto, alla nazionalità del Senegal e Marabou Babacar Sy è il loro leader. Era iniziata a mezzanotte e durò fino alle quattro del mattino, una manifestazione incentrata a un dialogo sulla spiritualità e sul ruolo della religione nel guidare le persone e lì c’erano soprattutto senegalesi della città ed erano gruppi non così estesi ma con un forte impegno. Possiamo dire quindi che non ci sono solo le moschee come momento di aggregazione, ma ci sono anche dei meeting che vengono tenuti da parte di associazioni. Ricordo che l’UCOII per due anni chiese spazi a Reggio Emilia, ma per motivi tecnici non furono mai concessi: una volta chiesero di andare alle Fiere, poi andarono a Rimini, e l’anno scorso chiesero il palazzetto dello sport il 26 dicembre, ma la struttura non era disponibile. Certo concedere degli spazi a chi sostiene posizioni estreme… “Estremi”… è più corretto dire, forse integralista… un po’ come la differenza che c’è nella sinistra italiana fra massimamalisti e riformisti. Poi è uscita la notizia che due moschee reggiane non sono state correttamente registrate come luogo di culto, una sorta di abusivismo… E’ evidente non c’è una normativa chiara nazionale: tu costituisci un APS e puoi aggirare anche le norme urbanistiche. Il diritto alla preghiera è riconosciuto e non può essere normato attraverso regolamenti edili: sarà interessante vedere il confronto come evolve. Comunque il regolamento edile va rispettato. La moschea di via Gioia è la più vecchia di Reggio… Sì, ora l’immobile è stato acquistato dalla comunità musulmana: è un segnale che vogliono rimanere in zona. In passato si era aperto un confronto, un tavolo di lavoro per identificare un’altra ubicazione, poi hanno deciso di investire in via Gioa, zona strategica vicino al Malguzzi, al Tecnopolo. Quindi il compito dell’amministrazione è fare in modo che il “tessuto” non si strappi… Sì, rendere visibile alla città questa realtà anche con le contraddizioni e i limiti , per poi affrontarli e chiedere a tutti a cominciare dai leader delle comunità di farsi carico delle diverse realtà e situazioni. Le nazionalità che abitano Reggio sono concentrate in zone particolari o sono, diciamo, sparpagliate sul territorio. Cominciano ad essere presenti in diversi quartieri della città, a parte quella cinese. Direi che la zona nord della citta è più connotata dalla presenza di cittadini di origine straniera.

Fonte Comune di Reggio Emilia

Alcune nazionalita’ straniere abitanti a Reggio

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Stato islamico: il terrorismo alle porte

estero di Bruno Bertolaso

E’

decisamente improprio definire Stato un movimento jihadista, che sta sì stupendo il mondo per il rapido controllo militare di un vasto territorio del Medioriente, ma che rifiuta sia il concetto di frontiera, che di gran parte delle normali istituzioni statali. La nascita del movimento in essere ha avuto origine in Iraq, quando, dopo l’invasione statunitense del 2003, un gruppuscolo di vecchi mujahidin, reduci dalla guerra in Afghanistan, ha dato vita ad una “figliale” di Al-Quaeda. La loro strategia politico-militare si è staccata progressivamente da quella della Casa madre, arrivando fino a scatenare una guerra confessionale “in casa” fra sunniti e sciti, limitandola, quindi, al loro specifico campo di influenza territoriale e inglobando, tra le loro fila, volontari affluiti sul posto da Paesi terzi. E’ necessario, peraltro, evidenziare un fatto, fatto che ha fondamentalmente determinato il successo militare e politico del neonato Stato islamico, il coinvolgimento cioè dei regimi iracheno di Nuri al Maliki, di quello siriano di Bashar al-Assad, che per combattere il terrorismo hanno messo in piedi un’opposizione di stampo sunnita, sostenuta anche da Washington e Mosca, contribuendo così a radicalizzare un conflitto, nel quale è entrato anche l’Iran, sempre pronto ad appoggiare qualsiasi sacca di miliziani sciti. Da non dimenticare, al proposito, l’appoggio finanziario all’economia islamista da parte delle monarchie del Golfo e la disponibilità della Turchia a tenere aperta la sua frontiera con la Siria ai jihadisti, giunti da ogni parte del mondo. Nel giro di due anni lo Stato islamico non solo è fiorito nel confuso intrico politico della zona, ma ha dilagato, invadendo grandi città come Raqqa, Falluja e Mossul, riuscendo, per la prima volta nella storia, a far uscire dalla marginalità il movimento jihadista. Risulta evidente come la attuale strategia dell’Isis miri a consolidare gli insediamenti territoriali occupati, grazie anche al disinteresse dei governi siriano e iracheno, mentre la decapitazione di prigionieri occidentali, prima monetizzati, ha dato solamente il segno di un cambiamento di strategia, mentre è rimasta chiara l’impressione che il movimento non si voglia impegnare più di tanto per combattere nemici molto più forti e meglio armati di loro. Comunque lo Stato islamico ha ben poco da offrire alla sua cittadinanza. La situazione disastrosa di Mossul lo evidenzia chiaramente, mentre le notevoli risorse di cui dispone si dimostrano inadatte a qualsiasi tipo di redistribuzione, mentre i principali atti di governo si fondano, in modo anacronistico, sulla resurrezione della pratiche del profeta dell’Islam, mettendo in essere una visione più codificata della guerra, visione, peraltro, conseguente se confrontata con quella degli altri gruppi armati del

territorio, che si limitano a praticare la semplice criminalità. La situazione, che più inquieta l’Occidente, è forse il fatto che lo Stato islamico è diventato progressivamente “la foglia di fico” di un vuoto politico generalizzato, che rifiuta una vera e propria riflessione sui dilemmi sociali e politici che la regione mediorientale pone. Si giustificano ormai tutti gli eccessi della fuga in avanti, accettando il maggiore settarismo sciita dell’Iran, i compromessi delle elite del mondo arabo, che prese nell’orgia di una violenza contro-rivoluzionaria e in presenza di una crescente alienazione delle minoranze nazionali, danno vita a forme di repressione, che servono solamente ad aggravare le confuse situazioni locali. I bombardamenti di Obama entrano nel contesto dell’evidente vuoto politico della regione, bombardamenti, che non possono essere definiti neutri, dal momento che gli stessi, visti con gli occhi del poi, hanno un loro, specifico senso. Non è un caso, infatti, che gli stessi siano avvenuti ad un mese esatto dal più cinico disinteresse degli USA per i civili sepolti dalle bombe a Gaza e fanno capire agli attori della regione, che la potenza statunitense è adesso pronta alla guerra “contro il terrorismo e alla “protezione delle minoranze”. Un invito per dimenticare la mancata protezione delle minoranze palestinesi di Gaza. Nella situazione tragicamente confusa del Medioriente, lo Stato islamico trova la sua strada, aperta dai principali attori mediorientali, che sfruttano la sua invadenza per giustificare ed assolvere i propri errori, ridefinendo i rapporti di vicinato, basati sulla conduzione di una specie di “guerra santa”, che diviene in fondo una cosa fine a se stessa. Lo Stato islamico diventa, nel succitato contesto sistemico, una forma di redenzione, un alleato di circostanza, un ascensore sociale per quegli ambienti sunniti, che stanno attraversando una crisi profonda. Funge anche da spauracchio, che concentra le paure degli attori dei governi locali, messi di fronte ai propri fallimenti. Il governo turco è la reale evidenza di tutto ciò e mentre Kobane, malgrado gli eroici sforzi dei peshmerga curdi, sta cadendo nelle mani degli jihadisti, “finge” cinicamente di trattare la concessione di basi alla coalizione e consente il passaggio dei peshmerga iracheni, pur nella “paura” che si rafforzi il legame tra PKK e i curdi siriani. L’evidente successo dello Stato del terrore, si nutre, infatti, della confusione, che caratterizza l’attuale situazione, basata su quei cambiamenti caotici, che coinvolgono ormai tutto il Medioriente. dicembre 2014

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memoria

Villa Bagno 5 marzo 1945

Olinto Cigarini ucciso a 20 anni dall’ amico-carnefice Con la presente, e in occasione del 70esimo dall’uccisione, sono a chiedere l’oppor-

tunità di una celebrazione ANPI in ricordo di Olinto Cigarini, ucciso il 5 marzo 1945, a 20 anni, dalle brigate nere al cimitero di Villa Bagno, oggi in via Olinto Cigarini. Nel punto dell’esecuzione (ora all’interno del cimitero), esiste una lapide che commemora Cigarini e Umberto Branchetti, un altro mezzadro catturato e ucciso lo stesso giorno. Cigarini e Branchetti sono citati negli Albi della Memoria tra le vittime civili di operazioni nazifasciste e i loro nomi sono compresi anche nell’elenco dei caduti del sacrario del parco Santa Maria. Un ricordo ANPI, nei modi che riterrete opportuni e con la nostra totale collaborazione, oltre a tenere viva la Memoria dei sacrifici che ci permettono di vivere in democrazia, sarebbe di grande conforto all’unico testimone vivente, mio padre Domenico Cigarini, all’epoca 15enne, e di monito alle nuove generazioni di Cigarini cresciute nel rispetto dei valori civili. Stefania Cigarini Cara Stefania, per il 5 marzo 2015 l’ANPI organizzerà certamente – e doverosamente – la commemorazione dell’uccisione di Olinto e dell’amico Umberto. Grazie per la scheda che ci ha inviato. Approfondiremo ulteriormente la vicenda tragica e nello stesso tempo di grande interesse per il contesto ( quel rifugio, quella via San Martino-Montagna…) in cui si colloca e anche per quel Prospero “amico-carnefice”, su cui cercheremo di conoscere qualcosa in più . La terremo informata. Cordialmente

Antonio Zambonelli

Olinto Cigarini – scheda Olinto Cigarini era nato a Salvaterra, in comune di Casalgrande, l’11 dicembre 1924, ultimo di nove figli di Ennio ed Adalcisa Pinelli, mezzadri. Poiché a quell’epoca, in casa Cigarini i bambini frequentavano solo fino alla terza elementare, Olinto venne mandato da uno zio – Vittorio Cigarini – affituario a Cacciola, per frequentare l’intero ciclo scolastico. Lì Olinto divenne amico del figlio della maestra, Prospero Bonaccini. Un’amicizia che durò fino a quando entrambi, nel 1942, partirono per il militare e persero ciascuno le tracce dell’altro. Olinto, bersagliere, era di stanza a Perugia, in giugno del 1944, quando giunsero gli alleati e comandarono il rientro fino a nuovo ordine. Tornato a Villa Bagno – dove i Cigarini coltivavano le terre della parrocchia retta da don Cirillo Albenghi – Olinto scelse di non lo unirsi all’esercito di Salò e di vivere in clandestinità. La casa dei Cigarini fu in diverse occasioni – secondo la testimonianza di Domenico Cigarini, oggi 85 anni, nipote di Olinto – punto di rifornimento e di appoggio per i partigiani (in particolare il gruppo di Adani) sulla direttiva San Martino-montagna. Anche a questo scopo era stato costruito un nascondiglio: una grossa botte interrata sotto la concimaia alla quale si poteva accedere da una greppia della stalla. Olinto era nascosto lì, la mattina del 5 marzo 1945, e solo la voce del suo amico Prospero – che vide da uno spioncino, vestito in borghese – lo fece uscire dal nascondiglio. Poi l’amara scoperta: sotto il trench Prospero vestiva la divisa delle brigate nere, come un paio di uomini, con lui, prima nascosti. I fascisti presero Olinto e Umberto Branchetti, al servizio della famiglia Piccinini, i mezzadri vicini e li portarono al cimitero di Bagno. Olinto, rimproverato per non aver scelto l’esercito repubblichino, venne freddato dal proprio amico al muro del cimitero. La via oggi porta il suo nome. P.S. Abbiamo poi appurato che Istoreco sta preparando un’accurata ricerca sulla vicenda. Intanto possiamo anticipare, grazie alla cortesia dell’amico dott. Massimo Storchi, una risposta all’esigenza di “conoscere qualcosa in più sull’amico carnefice”. Prospero Bonaccini, agente ausiliario di polizia, partecipò assieme a militi della brigata nera all’uccisione di Olinto e di Umberto. Nel dopoguerra fu condannato a 27 anni di reclusione, finendo poi , come tanti altri fascisti, amnistiato dopo una breve detenzione. Un’ampia e documentata ricostruzione della drammatica vicenda verrà pubblicata su “RS-Ricerche storiche”, la rivista di Istoreco. 14

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cultura

Progetto Kurdistan: “Per non dimenticare…” > I l 10

ottobre

u.s.

ho

situazione in

inviato

V enezia , I rak , T urchia e S iria

kurda che vive e lavora a

una

lettera ,

di R eggio , a G ulala S alik , cittadina K urdistan irakeno . N egli ultimi mesi la a causa della guerra dei jhadisti dell ’ISI, contro la cui della minoranza kurda .A lleghiamo la risposta di G ulala . <

a

nome

dell ’ANPI

chiedendole di darci notizie del si è aggravata

disumana crudeltà combattono i partigiani peshmerga

Gentilissima Fiorella, in una situazione di guerra o conflitti, la stampa esagera nel modo di raccontare, ma, purtroppo, questa volta i giornali e le tv riportano esattamente quello che sta succedendo ai kurdi. Noi stiamo subendo un altro genocidio! Abbiamo subito e siamo stati perseguitati dai regimi dittatoriali per anni e anni; abbiamo subito non a distanza di tanti anni, il genocidio dove sono scomparsi 182.000 persone tra uomini, donne, anziani e bambini. Siamo stati bombardati con armi chimiche che hanno causato la morte di 5.000 persone e di oltre 10.000 feriti e ancora nascono bambini malformati per causa di contaminazione. L’unica colpa che abbiamo è quella di essere kurdi. Il mondo è rimasto in silenzio, nessuno ha parlato di noi, della nostra lotta che dura da tanti anni, di ciò in cui noi crediamo e del sangue versato dei nostri martiri. Noi del kurdistan iracheno, abbiamo avuto l’autonomia e la pace, ci siamo ricostruiti la nostra terra, la terra dei kurdi che in questi 15 anni era la zona più sicura. Oggi, noi kurdi musulmani e noi kurdi yazidy viviamo un altro genocidio, perché siamo kurdi. Auspichiamo che la comunità internazionale faccia una vera e seria riflessione affinché si assuma la propria responsabilità politica e giuridica ma soprattutto morale. Ora il mondo sa che siamo solo noi kurdi che combattiamo contro il terrorismo dell’Isis che è un pericolo e una minaccia per l’Europa e per il mondo. I partigiani combattono contro questa minaccia con le più semplici armi. Hanno bisogno di aiuti, di avere altri al loro fianco a combattere; hanno bisogno di solidarietà. Più di un milione di persone sono fuggite dalle loro case per salvare la propria vita; hanno bisogno di aiuto per mangiare, per vestirsi. Con la situazione che viviamo, in Italia, magari, con l’associazione e anche con i cittadini è difficile spiegare il tipo di aiuto di cui hanno bisogno i partigiani. Aiutarli moralmente e stare al loro fianco. Invece per le donne, le mamme e i bambini c’è bisogno di aiuto e, forse, è più facile e possibile darglielo. Chiediamo il vostro sostegno politico e morale per i nostri partigiani che sono sul campo di battaglia e chiediamo anche solidarietà e sostegno alle nostre donne, mamme e bambini con tutti i tipi di aiuto. Con questo messaggio ti allego il progetto che ti avevo anticipato al telefono, speriamo di riuscire a fare anche una cosa più semplice, sotto il nome della pace, della solidarietà e di un rapporto umano, con la vostra associazione. Attendo tue buone notizie e sono a disposizione per uleriori chiarimenti. Un caro saluto al presidente e a tutti i compagni. Gulala Salih l progetto “Kurdistan. Per non dimenticare…” a cui accenna Gulala Salih – promosso dal ministero dell’Istruzione del Kurdistan dell’Iraq e associazione “Kurdistan save the children” che prevede il coinvolgimento del ministero dell’Istruzione italiano – richiamandosi alla “Convenzione diritti dei bambini;approvata dell’assemblea generale delle nazioni unite

il 20 novembre 1989” – dall’Italia ratificata con la legge n.176 del 27 maggio1991 – intende informare “gli studenti e i giovani italiani sulla tragedia civile che sta vivendo il popolo Kurdo del Kurdistan Iracheno”. Il progetto, proposto alla Scuola materna, primaria e secondaria di 1° e 2° grado, parte dagli articoli della Convenzione che trattano della famiglia, della salute, dell’istruzione e si concentra su ciò che serve ai bambini che vivono direttamente le atrocità della guerra in atto.L’iniziativa intende attirare l’attenzione delle Istituzioni pubbliche, delle associazioni, dei giovani studenti italiani per creare un canale di solidarietà con la realtà curda e per costruire le premesse di un gemellaggio. Il progetto si articola su due incontri per ogni classe secondo la disponibilità della scuola e numero di classi aderenti. Nel corso delle lezioni verrà illustrata la situazione attuale dei bambini e dei giovani studenti che vivono e studiano in una situazione di guerra. Successivamente nei laboratori didattici verrà allestita una mostra con i disegni dei bambini e dei giovani studenti italiani; saranno confezionati dei braccialetti “dell’amicizia” e una bandiera della pace e verrà scritta una favola sulla pace. Tutto il materiale sarà inviato alle scuole del Kurdistan. Al termine del lavoro di studio-laboratorio è prevista la redazione di un documento-appello sulla condizione dei bambini per presentarlo all’ONU e al Governo italiano. Non a caso, infatti, il documento ha per titolo “La voce dei bambini e dei giovani studenti”. Il progetto – partito dalla provincia di Venezia – attraverso Skype, può essere esteso, affermano gli organizzatori, alle classi di tutt’Italia. “Questa iniziativa – si legge alla fine del documento – offre l’occasione per sensibilizzare i bambini e i giovani studenti su ogni forma di discriminazione e di pregiudizio nei confronti degli stranieri e dei loro figli, dei compagni di scuola, in un periodo di forte accentuazione del fenomeno dell’immigrazione in Italia. Un’occasione anche per far capire la diversità di ‘status’ fra la condizione di immigrato e quella di rifugiato in fuga dalla guerra”.

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memoria LEGITTIMI I RISARCIMENTI DI GUERRA - In ottobre si è avuto notizia del pronunciamento della Corte costituzionale italiana che tenderebbe a rovesciare il verdetto della Corte internazionale dell’Aia secondo cui la Germania è immune dal giudizio dei tribunali di altri stati circa i risarcimenti per crimini di guerra commessi da forze armate tedesche durante la 2a guerra mondiale. Il pronunciamento della nostra Corte parrebbe dunque rendere legittima la richiesta di risarcimento avanzata a favore dei familiari delle vittime della strage do Cervarolo e fatta propria dal Tribunale con la sentenza di condanna dei responsabili superstiti Abbiamo chiesto a Ernesto D‘Andrea – che ha rappresentato l’ANPI, nazionale e locale, 30 famigliari di vittime, la Provincia di Reggio Emilia e il Comune di Villa Minozzo nel processo di Verona per la strage di Cervarolo – come valuta i possibili effetti della recente sentenza della Corte Costituzionale. L’avvocato D’Andrea, in tema di risarcimento danni, è stato il primo degli avvocati a chiedere e depositare la citazione della Germania, come responsabile civile, per i crimini commessi dai nazisti chiedendo la condanna al pagamento di circa 60 milioni di euro alle famiglie. Per rispondere alla domanda dividerei l’argomento in due parti: nella prima parte sottolineerò ciò che ritiene la legge; nella seconda parte vi dirò come la penso io. Se si vuole comprendere la problematica, relativa all’impossibilità di chiedere il risarcimento dei danni alla Germania per i crimini di guerra, commessi in Italia, dobbiamo distinguere la Corte Costituzionale Italiana, dalla Corte Internazionale di Giustizia. La Corte Costituzionale, per quanto autorevole e organo giurisdizionale, massimo, in materia di controllo di legittimità sulle leggi del nostro Stato, ha un’operatività limitata: difatti, le sue sentenze fanno stato solo per gli organi giurisdizionali italiani; in particolare, gli effetti delle sue sentenze hanno una valenza solo all’interno dei confini italiani. La Corte Internazionale di Giustizia, meglio conosciuta come Corte dell’Aja, è il massimo organismo giudiziario dell’ONU (Nazioni Unite) soprattutto, ma non solo, in materia di applicazione e interpretazione del diritto internazionale e nel risolvere i contrasti che si manifestano fra tutti gli Stati membri dell’ONU. E’ chiaro, quindi, che per gli stati membri dell’ONU, come l’Italia e la Germania, le sentenze della Corte dell’Aja sono inderogabilmente vincolanti e devono recepirsi nel diritto interno di ciascun paese membro dell’ONU. Proprio per questo principio, l’Italia con legge n° 5 del 2013, ha dovuto recepire la sentenza della Corte dell’Aja, emessa il 3 febbraio 2012, che ha stabilito l’immunità della Germania, in materia di crimini di guerra, e l’impossibilita delle vittime del nazismo, e del nostro Stato, di chiedere alla stessa Germania un risarcimento economico. Purtroppo, mentre la sentenza della Corte Costituzionale non avrà alcuna efficacia oltre i confini nazionali, diversamente la sentenza della Corte dell’Aja è quella che “fa diritto” tra l’Italia e la Germania. In conclusione, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, i Giudici della Corte dell’Aja, ritengono che i famigliari delle vittime non potranno agire nei confronti della Germania, al fine di ottenere un risarcimento economico per i crimini commessi durante la seconda guerra mondiale. Personalmente, penso che la giustizia talvolta non sia tale e, in alcuni casi, come quello che ci riguarda da vicino, sia anche incomprensibile. Durante la seconda guerra mondiale sono state commesse delle atrocità, è stata calpestata la dignità umana, sono state distrutte intere famiglie e altre private di tutto, an16

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che di quella minima speranza di ricominciare serenamente “un nuovo giorno”. La sentenza emessa nel processo per i fatti accaduti a Cervarolo parla chiaramente di “crimini contro l’umanità” e, in questi casi, il ragionamento fatto dalla Corte Costituzionale è assolutamente condivisibile e legittimo: è ingiusto, a mio parere, privare le tante vittime della possibilità di ottenere un risarcimento oltre che morale, anche di natura economica. Se si osserva quanto accaduto, la sentenza della Corte dell’Aja, che impedisce la richiesta di risarcimento economico, purtroppo, non fa giustizia sino in fondo; nega ai famigliari delle vittime il diritto di ottenere un giusto risarcimento economico. A questo punto, ritengo che un atto di giustizia, reale, potrebbe essere un accordo tra l’Italia e la Germania, in modo che quest’ultima risarcisca i danni di tanti famigliari di vittime, che hanno sofferto le atrocità naziste”. Sulla questione è intervenuto anche Carlo Smuraglia, presidente dell’ANPI nazionale. Ponendosi la domanda Quali saranno gli effetti pratici di questa fondamentale sentenza?, ha risposto così: “Difficile dirlo: il decorso del tempo (troppi anni sono passati dal momento di quei tragici eventi) non lavora per noi; le aperture della Germania, che pure ci sono state per quanto riguarda le ammissioni di responsabilità ed alcune misure di riparazione, si sono sempre arrestate di fronte al tema del risarcimento ed è possibile che non vadano oltre neppure adesso (e se ne avvertono i primi sintomi). Vedremo. C’è sempre la speranza, in ogni caso, di eventuali aperture e di un incremento di quelle attività di ‘riparazione’ che sono già in essere da qualche tempo (si pensi, ad esempio, all’“Atlante” delle stragi). Del resto, già la decisione della corte Dell’Aja aveva lasciato aperta la strada ad intese fra gli Stati, al di là dei princìpi e delle formulazioni di diritto. La sentenza della Corte Costituzionale costituisce, in ogni caso, una robusta spinta in quella direzione. Io confido che i rappresentanti più avveduti della Germania capiscano che sta in questa “apertura” la possibilità di raggiungere una memoria, certo non condivisa, ma almeno più “storicizzata”, che aiuti a superare antiche forme di odio e manifestazioni, pur comprensibili, di rancore. Ma spero anche che la sentenza parli, contemporaneamente al Governo, alle Istituzioni italiane, perché finalmente assumano anche le responsabilità che competono al nostro Paese, perché anche qui c’è molto spazio (necessario) almeno per le “riparazioni”, per l’accertamento della verità, per il raggiungimento della giustizia. Bisogna che tutti sappiano che tutto questo è dovuto, da parte della Germania e da parte dell’Italia, alle vittime dell’orrore indicibile, ai superstiti (sempre più rari, anche se indomiti), ai famigliari. Non possiamo restituire famiglie, figli, fratelli, spose, case: non possiamo ridare le vite perdute, ma almeno possiamo cercare, tutti, di favorire il compimento di un cammino, indispensabile, sulla via della verità e della giustizia”.


cultura

Teatro della memoria - Gli appuntamenti con ANPI e Associazione 5T -

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di Linda Eroli

cendono dai mezzi o arrivano a piedi. Si muovono tutti insieme a piccoli passi con sguardi smarriti e assonnati. Borse pesanti sulle spalle, scarponi e capelli arruffati. Entrano in massa capendo a fatica ciò che devono fare e dove devono andare. Si siedono. Si spengono le luci e tutto ha inizio. Un’ora dopo si riaccendono le luci e ti accorgi che anche gli sguardi sono accesi. La sala è animata da una bella energia, domande, curiosità. Una scommessa non facile portare a Teatro classi di preadolescenti per parlare di pace, diritti, uguaglianza, memoria, costituzione; una scommessa che ogni anno si rinnova grazie grazie ai risultati e al coinvolgimento

delle scuole sempre straordinariamente numerose. Anche quest’anno, in occasione delle celebrazioni per 70°, il progetto TEATRO DELLA MEMORIA rinnova i suoi appuntamenti del calendario civile, con una rete di collaborazioni e iniziative che assieme ad ANPI e Associazione 5T anche quest’ anno vede coinvolti diversi comuni e istituzioni sul territorio reggiano e realtà di gestione degli spazi teatrali. ll Teatro offre un canale privilegiato per affrontare prospettive complesse e temi profondi, a volte vissuti come estranei, perché coinvolge in maniera mai banale, toccando corde inattese.
 Le chiavi del Teatro, offrono agli studenti la possibilità di viaggi emozionali e forniscono loro un insostituibile bagaglio su cui formulare nuove domande e curiosità. I docenti, a loro volta, possono trovare preziosi spunti per approfondimenti interdisciplinari e godere di una piacevole alleanza artistica. Gli eventi proposti sono scelti con cura tra le molteplici produzioni che ogni anno, il panorama nazionale, rivolge al pubblico giovane sui temi civili e storici. Una selezione che mira ad un coinvolgimento non retorico degli spettatori che solleciti pensieri ed emozioni grazie alle armi pacifiche che le performance dal vivo riescono a esprimere.Musica classica, pop e rock, storie di ragazzi e ragazze vissuti in altre epoche e condizioni, storie delle nostre terre e della nostra identità, azioni teatrali e immagini sono gli ingredienti di una narrazione che non si esaurisce nella parola ma coinvolge diversi linguaggi espressivi. Alla visione degli spettacoli è possibile affiancare momenti di incontro con testimoni di ieri e di oggi, sempre particolarmente apprezzati sia dagli studenti che dagli insegnanti, che hanno così modo di dare corpo e voce alle nozioni scolastiche.

I principali appuntamenti in calendario Piccolo Teatro in Piazza Sant’Ilario d’Enza 19 gennaio ore 21 – 20 gennaio ore 10 Il Melarancio - VIAGGIO AD AUSCHWITZ A/R Cinema Rosebud 3 febbario – ore 9 e ore 11 Alessia Canducci e Flexus - E PER QUESTO IO RESISTO Cinema Rosebud 21 Aprile – ore 9 e ore 11 Stefano Cenci e Flexus - LA COSTITUZIONE SIAMO NOI Teatri Metropolis Bibbiano 28 Aprile – ore 10 Teatro dell’ Orsa - CUORI DI TERRA Sono inoltre previste proiezioni cinematografiche per le scuole, organizzate dalla Multisala Novecento di Cavriago. Gli spettacoli presentati, non esauriscono l’articolazione del progetto ancora in via di definizione. Per informazioni: tel 0522 382963 – cinqueti@gmail.com www.cinqueti.it

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memoria L’ANPI della Bassa Ovest a Sant’Anna di Stazzema

Da sinistra Paolo Cervi, sindaco campegine, Cristina Ferraroni assessore Poviglio, Giorgia Bia assessore di Boretto

Il primo sulla sx è il sindaco di Brescello Coffrini al centro il presidente ANPI Brescello Montani (foto Bianchi Ballano)

Il 21 settembre u.s. 90 persone, organizzate da ANPI, AUSER,

Quel giorno di agosto uccisero i nonni, le madri, figli e nipoti. Uccisero paesani e sfollati. Uccisero il parroco.Proprio in concomitanza con la visita degli amici della Bassa ovest era in corso un raduno delle ANPI toscane con la presenza del presidente nazionale Carlo Smuraglia. La salita al sacrario e la deposizione di una corona d’alloro da parte dei reggiani è avvenuta insieme alle delegazioni toscane.

e SPI-CGIL dei comuni della Bassa Ovest, hanno compiuto un Viaggio della Memoria a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, dove 70 anni or sono (12 agosto 1944) fu perpetrata una delle più terribili stragi nazifasciste di civili della 2.a guerra mondiale. Autori ne furono reparti di SS aiutati da fascisti locali, 560 furono le vittime.

Pietro e Livio Battini a 70 anni dalla morte S

abato 11 ottobre 2014 la sezione Anpi di Campagnola Emilia ha commemorato il 70° anniversario dell’uccisione di Pietro e Livio Battini, cattolici e mezzadri, avvenuta ad opera di un gruppo di militi fascisti. Alla cerimonia erano presenti due classi terze della Scuola Secondaria di primo grado “G.Galilei”, il Sindaco, i rappresentanti delle varie associazioni di volontariato del paese ed alcune decine di cittadini. La commemorazione. Dopo un minuto di silenzio e l’omaggio floreale al cippo che ricorda l’evento, il vicepresidente Anpi – Valerio Saccani – ha illustrato ai presenti lo svolgimento dei fatti, che hanno portato al tragico epilogo di quella giornata, leggendo anche due testimonianze lasciate da persone presenti quel giorno sul luogo del misfatto. La parola è poi passata ad una testimone, che attira l’attenzione generale degli studenti, esprimendo, non senza commozione, le proprie impressioni su un avvenimento che, anche a distanza di settant’anni, ha lasciato un segno indelebile sulla comunità locale. La commemorazione si è poi conclusa nella sala del Consiglio Comunale, in Municipio, alla gradita presenza di una nipote dei due martiri, con interventi del Presidente onorario dell’Anpi locale – Gaetano Davolio – e del Sindaco Alessandro Santachiara. Come integrazione al lavoro svolto, pubblichiamo anche la copia di un ritrovato articolo di un noto quotidiano locale, risalente a qualche anno fa, che riguarda le vicissitudini di Jolanda Battini, dopo la morte del padre Pietro e del fratello Livio. Riportando alla luce questo triste episodio, come tantissimi altri accaduti su tutto il territorio nazionale, la 18

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nostra Associazione vuole sempre rimarcare come la scelta, non obbligata, di tante persone di schierarsi da quella parte, che il giudizio inappellabile della storia ha decretato fosse quella giusta, abbia avuto come risultato il raggiungimento della libertà, della democrazia e della pace in un’Europa in precedenza martoriata da otto secoli di conflitti. (g.d.)

I fatti

Nel pomeriggio del 7 ottobre 1944 un numero imprecisato di squadristi della Brigata Nera giunge in paese, dopo che alcuni partigiani al mattino avevano assaltato la locale sede del fascio, rubato armi e viveri e disarmato i componenti del presidio, ma avevano risparmiato loro la vita, contravvenendo così alle disposizioni del comando di Brigata. I fascisti, provenienti da Reggio Emilia per lavare ugualmente l’onta subita, si recano a casa dei Battini cercando Lino, antifascista della prima ora; non trovandolo, prelevano il padre Pietro ed il fratello Livio ed appiccano anche fuoco alla loro abitazione, che sarà semidistrutta. Pietro viene condotto in via Garfagnana, trucidato e lasciato sul ciglio della strada come monito per la popolazione; la stessa sorte spetta al figlio Livio, ucciso in località Boschi di Novellara. I due cadaveri vengono poi raccolti pietosamente da due staffette partigiane e riportati nella loro dimora dopo alcuni giorni.


Economia solidale

economia

Una legge della Regione Emilia-Romagna Intervista a Thomas Casadei, consigliere uscente

Thomas Casadei

Tu sei stato tra i promotori della legge sulla promozione e il sostegno dell’economia solidale approvata dalla Regione Emilia-Romagna nel luglio scorso. Puoi spiegare in breve di cosa si tratta e di cosa si occupa e perché c’era bisogno di una legge? Ci sarà un Assessorato con delega all’economia solidale? Nella premessa al progetto di legge si constata che i limiti dell’attuale modello di sviluppo basato sulla massimizzazione degli utili e sul profitto, sulla frenesia della produzione e del consumo, su una finanza distorta, sono ormai fin troppo evidenti, contribuendo a far aumentare drammaticamente le disuguaglianze, le fragilità, le insicurezze, la povertà, invece di contrastarle. Come ha affermato il sociologo ed economista Jean-Louis Laville in un convegno sull’economia in tempi di crisi organizzato dalla Regione Emilia-Romagna, “dobbiamo passare dall’obiettivo della crescita all’obiettivo collettivo del benessere”. Non si tratta solo di ridistribuire la ricchezza, ma di ridefinire un sistema di valori, di coniugare uno sviluppo di qualità con il rispetto dell’ambiente, di organizzare tutto il sistema economico in relazione ai bisogni reali delle persone e delle risorse disponibili. La legge è il frutto di una stesura collettiva, di un percorso partecipato, che ha coinvolto tantissime persone. Nel corso degli anni – a partire da ottobre 2011 – si sono tenuti incontri con i rappresentanti e i mondi dell’economia solidale (che hanno poi dato vita al CRESER-Coordinamento Regionale per l’Economia Solidale in Emilia Romagna: http://www. creser.it), si sono discussi, insieme anche ad alcuni tecnici ed esperti regionali, documenti programmatici sui beni comu-

ni, sulle reti di economia solidale, sulla sovranità alimentare, sulla finanza etica, mutualistica e solidale, sull’abitare solidale. Infine, si è elaborato insieme l’impianto normativo. L’intento non è quello di assegnare un sostegno economico generico ad alcuni attori del sistema (come ad esempio i Gruppi di Acquisto Solidale) ma quello di promuovere realmente, mediante le istituzioni, tutte le buone pratiche di economia solidale partendo dalle prassi già avviate sul territorio. Con la legge l’Emilia-Romagna riconosce il modello dell’economia solidale quale strumento fondamentale per affrontare la crisi, si impegna a sostenerlo e promuoverlo in tutti gli ambiti e settori in cui esso opera. Cosa sono i RES, i DES e i GAS? e che peso ha nell’economia globale della nostra Regione l’economia solidale? Com’è distribuita in Regione? Quali prospettive di sviluppo? Partiamo da alcune definizioni che abbiamo condiviso e che si trovano ora in legge: Rete di Economia Solidale (RES), l’insieme dei soggetti singoli ed organizzati, dei distretti, delle reti settoriali di economia solidale, collegati in vario modo fra di loro che costituiscono la Rete di Economia Solidale (RES). Distretto di Economia Solidale (DES), il soggetto associativo costituito in forma giuridica che costituisce una rete locale dei soggetti impegnati a diffondere e praticare l’economia solidale e il consumo critico nelle sue diverse declinazioni. Ne fanno parte soggetti economici e non economici, quali: gruppi informali, associazioni, imprese, artigiani, professionisti, cooperative sociali, istituzioni pubbliche, soggetti di finanza etica mutualistica e solidale e altri soggetti che si riconoscono nei principi dell’Economia Solidale e ne condividono obiettivi, criteri e modalità di lavoro. Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), i soggetti associativi, senza scopo di lucro, costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e servizi e di distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale, di sostenibilità ambientale e di salvaguardia del potere d’acquisto dei

redditi, in diretta attuazione degli scopi istituzionali e con esclusione di attività di somministrazione e di vendita. La domanda di economia solidale non è di nicchia: il 70 percento degli italiani ogni anni fa almeno un acquisto etico. Sul piano occupazionale, il settore con la maggiore crescita è quello agricolo: +10,1 pe di lavoratori dipendenti, questo per esempio nel secondo trimestre 2012. Lo stesso trend di crescita riguarda anche il settore della finanza etica, mutualistica e solidale. Anche l’agricoltura biologica e biodinamica resiste all’impatto della crisi. I mercati dei produttori hanno registrato, in tempi recenti, un +13 percento. L’Emilia-Romagna, per numero assoluto di operatori, è in testa alla classifica delle Regioni, in particolar modo nel settore della filiera corta, e si conferma l’unica regione classificata tra le prime cinque in tutte le otto tipologie di operatori prese in esame dal Rapporto. (a cura di g.b.)

GLI STRUMENTI della regione

riconoscimento delle forme di coordinamento e rappresentanza dei soggetti impegnati nell’ambito dell’economia solidale; - istituzione, all’interno della Giunta, di una Delega specifica; - organizzazione di un Forum Regionale e del Tavolo Regionale per l’Economia Solidale, presieduto dal titolare della Delega all’Economia solidale e formato dai rappresentanti dei soggetti di economia solidale; - istituzione di un Osservatorio che verificherà e monitorerà le attività realizzate e predisporrà analisi e rapporti annuali relativi al circuito dell’economia solidale in Regione, anche su scala territoriale; - attivazione di un portale web dedicato all’economia solidale per informare in merito alle azioni e ai progetti realizzati; nonchè per consentire la conoscenza e la diffusione di buone pratiche; - creazione di Centri per l’Economia Solidale per la collaborazione degli Enti Locali; - promuovere lo sviluppo di strumenti finanziari dal basso, una politica fiscale che agevoli le realtà di microcredito che si ispirano ai principi di finanza etica, mutualistica e solidale; - creazione di un Fondo regionale per le realtà di finanza etica destinato all’abbattimento degli interessi passivi sui prestiti concessi a esperienze di economia solidale; - promozione di strumenti di scambio non monetari e del dibattito sulle monete complementari.

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memoria TRE AMICI CHE CI HANNO LASCIATO > ITALO CARPI Gianni

Il 24 settembre u.s., dopo una lunga malattia, è morto Italo Carpi, detto Gianni, originario di Cadelbosco. Aveva 77 anni. Per chi ha una certa età, come il sottoscritto, Carpi è stato l’indimenticabile, competente e garbato direttore della Libreria Rinascita di Via Squadroni. Una libreria che fu per anni, da fine Sessanta ai primi Settanta del secolo scorso, luogo d’incontro e di formazione per tanti giovani reggiani. Incontri spesso affollatissimi, sulle gradinate coperte da una moquette azzurra, per dibattere sul rinnovamento della scuola, sul Vietnam, sulle lotte operaie. Una vera e propria palestra intellettuale dove si esercitarono studenti e giovani laureati come Ermanno Cavazzoni, Adriano Vignali, Nanni Scolari, Beppe Anceschi, Giuseppe Gherpelli… Una palestra che fu anche oggetto di un attentato incendiario da parte di un oscuro personaggio in bilico tra fascismo e servizi deviati, un certo Paolo Pecoriello. A Carpi mi legava il ricordo di suo fratello, Alvise Carpi, Mosé e di mio zio materno Camillo Pezzarossa, Golver, partigiani della 144a Garibaldi, caduti insieme (e dati per dispersi) il 21 novembre 1944 alle pendici del Monte Caio (PR). Insieme furono ritrovati, sepolti in un cimiterino della zona, nella tarda estate 1945.

> BEPPE ANCESCHI

Il 6 novembre u.s. ci ha lasciato, a 78 anni, il prof. Giuseppe Anceschi, Beppe, per tanti che gli furono amici. E’ morto dopo lunga malattia che lo aveva progressivamente fiaccato nel corpo, ma non nello spirito e nella viva intelligenza. Gli fui vicino, nell’agosto 2013, nella stanza del commiato del cimitero di Coviolo dove volle essere presente per l’ultimo saluto al suo fraterno amico prof. Ettore Borghi. Con Ettore, Beppe era stato tra i fondatori di Iniziativa Laica. Entrambi si erano formati all’Università di Bologna, con Maestri come Luciano Anceschi e Ezio Raimondi. Entrambi erano eredi di una tradizione culturale che da Piero Gobetti a Rosselli giunge fino a Bobbio, una tradizione coerentemente antifascista e “radicale” come fu quella di Giustizia e Libertà. Ho un vivo ricordo di come Beppe mi abbia proprio detto, in un’occasione – berlusconismo dilagante – queste parole: “Io che non sono mai stato iscritto al Pci, sento adesso il bisogno di difenderne la storia”. Beppe è stato per anni, nella sua Scandiano, insegnante e preside, oltre che civilmente impegnato anche come Assessore e Vice Sindaco. Grande è l’eredità di studi e pubblicazioni che ci lascia. Giustamente gli amici del “Centro studi M.M.Boiardo” (creatura di Beppe medesimo) intendono promuovere “un’iniziativa in suo onore, che ci impegnamo a celebrare con la riconoscenza e l’affetto che gli sono dovuti”. Ci associamo in pieno, magari col suggerimento di onorare, assieme a quella di Beppe, la memoria di Ettore.

> PIETRO ALBERGHI Il 5 novembre è morto il prof. Pietro Alberghi, nato a Cervarolo di Villa Minozzo 87 anni or sono. Da anni viveva a Modena, dove era stato professore di storia e a lungo anche insegnante comandato al locale Istituto per la storia della resistenza. A Cervarolo, nella tomba di famiglia, è stato tumulato il giorno 6 novembre. A Cervarolo, alla strage nazifascista del marzo 1944, Pietro aveva dedicato uno dei suoi primi studi con la pubblicazione di Morte sull’aia (1964). Molte altre furono poi le ricerche e gli studi di Alberghi sulla Resistenza e sul fascismo relativi al Reggiano, al Modenese e all’Emilia-Romagna. Con Alberghi e col nostro Guerrino Franzini, verso metà anni Settanta, ebbi l’occasione (ero a mia volta il “comandato” all’Istituto storico reggiano) di collaboarre all’ allestimento del Museo della Repubblica di Montefiorino, sulla base di un progetto dell’architetto reggiano Osvaldo Piacentini. Alla vedova di Pietro, Sandra Zambonini, alla figlia dott.ssa Donatella, giungano le condoglianze mie personali e quelle dell’ANPI reggiana. (a.z.) 20

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interventi > Con la lettera di Guido Pelliciardi, che qui di seguito pubblichiamo, continua la discussione sull’ultima festa della Liberazione a Reggio Emilia, sull’iniziativa elettorale della Lega e sulla manifestazione del centro sociale AQ16 <

Il confronto politico democratico è faticoso ma è inderogabile

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er il 25 aprile la libertà di parola deve essere garantita a tutti nei limiti previsti dalla Costituzione, nel rispetto delle leggi democratiche e ognuno si deve prendere la responsabilità di cosa dice e di come si esprime. Il nostro obiettivo deve essere quello di allargare il consenso all’antifascismo, non di fare inutili classifiche tra chi è più “duro e puro” e chi è “assopito”. Vietare alla Lega, lo scorso 25 aprile, la possibilità di organizzare un incontro elettorale pubblico in un hotel a Reggio Emilia con il loro leader nazionale Salvini, come avrebbero dovuto fare le autorità di pubblica sicurezza sollecitate dal Comune così come sostenuto nello scorso numero del Notiziario ANPI da Fabrizio Tavernelli e Rino Montanari, a mio parere sarebbe stato un errore. Non si dovrebbero poi avere dubbi nel dissentire profondamente dalla manifestazione del centro sociale Aq16 tesa a provocare uno scontro con i leghisti. Il tutto, penso, per almeno due diversi motivi. Primo, perché la libertà di pensiero e di parola è stata una conquista della Resistenza poi sancita dalla Costituzione italiana, e dalle leggi nazionali che ne fissano ovviamente limiti e vincoli: tra questi il divieto di ricostituzione del partito fascista e l’introduzione del reato di istigazione al razzismo. La manifestazione della Lega aveva come slogan l’uscita dell’Italia dall’euro, un’idea che mi risulta tra l’altro condivisa anche da diverse componenti della sinistra radicale, e non altri contenuti diretti contro la Resistenza, l’antifascismo o contro altri valori democratici. Questo ovviamente non significa che io condivida i loro messaggi barbari e codardi (perché espressi spesso con sotterfugi lessicali che dicono una cosa e ne lasciano intendere un’altra) di ostracismo verso gli immigrati stranieri e di razzismo nei confronti dei meridionali: ma il disaccordo profondo sulle loro idee politiche non ci deve spingere a pensare che sia giusto censurarli a prescindere, sempre e comunque. La storia delle dittature ci insegna che si è spesso iniziato con i divieti all’espressione di opinioni scomode per arrivare poi a vere e proprie persecuzioni, se non addirittura alla soppressione fisica, di chi dissentiva dal pensiero dominante. Noi, figli e nipoti degli antifascisti che hanno lottato per la libertà e la democrazia, non possiamo avere dubbi. Secondo, perché lo scontro politico radicale provocato più volte il 25 aprile dai centri sociali nelle piazze delle città destinate ad ospitare la festa della Liberazione, contro amministratori pubblici della destra italiana e, in alcuni

casi, anche contro rappresentati istituzionali del centrosinistra e della sinistra cosiddetta moderata (così come, ad esempio, mi è stato raccontato da amici antifascisti di Bergamo e di Palermo), fa un pessimo servizio a favore della partecipazione popolare alla festa voluta per omaggiare la Resistenza e la Liberazione e per promuovere i valori fondanti della nostra Repubblica. Oggettivamente fa il gioco di chi può poi proporsi come “vittima dei soliti antifascisti” (Pansa docet!) senza trascurare che può dissuadere diversi cittadini e famiglie dal partecipare serenamente e gioiosamente alle manifestazioni della più importante festa civile nazionale. Non sono poi neanche d’accordo di escludere dalle manifestazioni celebrative, dai palchi da cui vengono fatti i discorsi ufficiali, esponenti di forze politiche che a nostro parere hanno poco a che fare con l’eredità resistenziale. Non nascondo che anch’io personalmente, alcuni anni fa quando ero amministratore comunale a Correggio, ho provato disagio e fastidio nell’essere accanto a esponenti leghisti o della destra illiberale. Le loro culture politiche sono in contrasto con le aspirazioni antifasciste dei miei nonni e dei miei genitori che hanno tanto sperato che con la Liberazione, con la sconfitta del fascismo e del nazismo, potesse rinascere un Paese in pace, più giusto e democratico, più libero e solidale. Ma prima di tutto dobbiamo considerare che sarebbe un fatto solo positivo se le idee della Resistenza conquistassero sempre più persone, compresi i politici non ascrivibili alla sola sinistra o al centrosinistra che dir si voglia. In ogni caso, proprio perché noi abbiamo idee radicalmente alternative al fascismo, a quella dittatura che negò diritti e libertà, dobbiamo essere coerenti con questi principi anche nei confronti di tutte le forze politiche costituzionali. La critica, o anche se vogliamo lo scontro dialettico, verso formazioni razziste e non democratiche a mio parere deve essere portata esclusivamente sul piano politico e culturale. Dobbiamo contestare quelle idee che offendono la Resistenza, i sacrifici e l’impegno sostenuti 70 anni fa dalla maggioranza degli italiani per regalarci un Paese nuovo che potesse legittimamente sperare in una vita migliore per se stessi e per i propri figli. Dobbiamo ricordare loro che i sacrifici delle lotte di Liberazione hanno permesso all’Italia di rinascere, dopo che si era macchiata delle infamie del fascismo, delle persecuzioni e delle violenze verso chi protestava o anche solo dissentiva o perché considerato “diverso”, compiute sia sul territorio nazionale così come in Africa e nell’ex Jugoslavia; dalla vergogna di essere stata complice attiva della Shoah e pure della soppressione di tanti oppositori politici torturati, deportati e poi fatti morire nei campi di concentramento nazisti. Con la Resistenza il nostro Paese ha potuto riconquistarsi la dignità, ha potuto essere riconsiderato una democrazia e uno Stato civile, sconfiggendo poi gradualmente una povertà di massa e un livello di sfruttamento inaccettabile che il fascismo aveva provocato e alimentato. Questo e tanto altro dobbiamo sostenere nei confronti della Lega e della destra illiberale. Dobbiamo incalzarli sul terreno delle idee. Dobbiamo chiedergli se le loro proposte sono o meno coerenti con l’eredità che ci è stata donata dalla Resistenza. dicembre 2014

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Dobbiamo chieder conto del perché il 25 aprile anziché festeggiare la Liberazione hanno preferito rintanarsi in un hotel per proclamare a fini elettorali il No all’euro e anche, eventualmente, per propagandare la volontà di non soccorrere i migranti in mezzo al Mediterraneo, che corrono il rischio di perdere la vita per fuggire da condizioni drammatiche e inumane vissute nei propri paesi d’origine. Dobbiamo evidenziare come sono loro a rinunciare a celebrare il 25 aprile e non noi a escluderli. Dobbiamo parlare e confrontarci con chi vota per la Lega, per la destra e anche per qualche altra forza politica “trasversale” che non si fa scrupoli a veicolare messaggi razzisti contro i clandestini per

paura di perdere un po’ di consenso: il riferimento ai sostenitori del duo Grillo-Casaleggio è da me espressamente voluto! Il confronto politico democratico è faticoso, anche personalmente in diversi casi l’ho vissuto con un certo peso e molto sacrificio. Ma è giusto, inderogabile e alla fine anche molto più efficace di qualsiasi altra scorciatoia per provare ad affermare le proprie idee. Chiuderci solo al nostro interno, per comporre presunte classifiche con in vetta i più duri e puri, i “militanti veri” e, in fondo, gli “aderenti assopiti”, comporterebbe, forse, di correre un rischio letale per la crescita dell’antifascimo e di conseguenza per lo sviluppo della nostra civiltà democratica. (g.p.)

Caro Giacomo, Sono un insegnante di Scuola media e le chiedo

scusa se mi permetto di essere così confidenziale con lei, solo per averla incontrata a Casa Cervi, l’otto Ottobre passato. Mi permetto di scriverle perché la sua storia mi ha colpito più di tante altre, forse saranno state le sue note biografiche, che ho colto nel libro “Volti di libertà” o forse sono state le sue parole sincere e appassionate che ho ascoltato con emozione quando si è rivolto ai ragazzi presenti all’incontro. Voglio ringraziarla ancora per la sua passione e per il coraggio che l’ha sempre contraddistinta. E voglio ringraziarla per aver combattuto per la nostra povera Italia che ancora oggi non è riuscita a realizzare i vostri sogni: la persona al centro della società e dei cittadini che abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità, la libertà. Valori che furono codificati in quella carta chiamata Costituzione, che regola, o meglio avrebbe dovuto regolare, la nuova società nata dopo tanti anni di sangue. Un sogno che sembrava realizzato, un sogno messo nero su bianco, accuratamente scritto proprio per non essere frainteso, ma che lentamente, noi che avremmo dovuto raccogliere i frutti del vostro albero, ci stiamo lasciando sfuggire dalle dita giorno per giorno. Con i ragazzi in classe abbiamo discusso di questo e altro ma è rimasta l’impressione che non siamo più noi il centro dell’interesse, non siamo più gli attori principali delle nostre scelte e la nostra dignità di persone, viene svenduta sempre di più per pochi denari. Se la dignità di una persona passa, anche attraverso il lavoro, questa dignità la stiamo perdendo e l’arroganza di molti nostri governanti la fanno pesare ancora di più. Oggi una nazione si ferma quando un uomo pubblico muore per cause naturali, è un 22

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Lettere

dramma sicuramente, ma non prestiamo la stessa attenzione quando un lavoratore muore sul posto di lavoro. Perché ci si indigni deve avvenire una strage, ma poi tutto viene dimenticato in fretta e si ricomincia come prima. Ma non voglio scriverle per tediarla su cose che lei saprà sicuramente meglio di noi, voglio scriverle per avere da lei una parola di speranza da regalare ai miei ragazzi. Poche parole, una frase da poter utilizzare sull’arma più potente che un insegnante ha a disposizione: il libro. Un libro di testo che ho deciso di scrivere dopo trenta anni di insegnamento, da regalare gratuitamente ai miei alunni, perché come recita l’articolo 34 della Costituzione Italiana: “La scuola è aperta a tutti… è obbligatoria e gratuita…”. Perché la cultura deve girare libera, il sapere e le informazioni devono essere accessibili e condivise da tutti.La giovanissima Malala, premio Nobel per la pace 2014, in un discorso all’ONU ha detto:” Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. L’istruzione è la prima cosa”. Io sono d’accordo con le parole della giovanissima pachistana e non avrei saputo dire di meglio, intanto la ringrazio per l’attenzione e se vorrà farci questo regalo noi ne saremo contenti. La saluto con stima infinita. 13 ottobre 2014

Prof. Pier Luigi Lunerti

Sopra: i ragazzi di Ripatransone a Casa Cervi; a sinistra Giacomo Notari e il prof. Lunerti


Cittadinidemocraziapotere di Claudio Ghiretti www.governareggio.it

I DOLORI DEL TRASPORTO PUBBLICO REGGIANO

Da un po’ di tempo i disservizi del tra-

sporto pubblico reggiano riempiono le pagine di cronaca dei giornali locali. Con l’inizio delle scuole i problemi si sono acuiti. Autobus stracolmi di studenti, treni in ritardo, rotture continue. Tuttavia, i disservizi non sono una novità e, se si guarda sotto la superficie, si scopre che sono soltanto sintomi di una grave malattie che da molti anni affligge il trasporto pubblico locale la cui guarigione è divenuta molto complessa. Facciamo qualche esempio per capirne di più. Partiamo da una domanda semplice. Chi è responsabile dei trasporti pubblici e della mobilità reggiana? Per cominciare incontriamo ben tre soggetti politici: il Comune di Reggio per il trasporto e la mobilità urbana, la Provincia per quella extraurbana e la Regione. La responsabilità gestionale del servizio autobus è di Seta spa, società controllata al 51 percento dagli enti locali di Modena, Reggio e Piacenza, la quale, però si avvale di diversi sub-appaltatori. Quelli reggiani detengono il 17,86 percento delle azioni e dopo i modenesi, sono i soci più importanti. Ma Seta, con i suoi sub-appaltatori, gestisce soltanto gli autobus e la loro guida, perché le linee, le fermate, le frequenze, ecc. sono stabilite da TIL srl l’agenzia della mobilità di proprietà del Comune di Reggio e di altri enti reggiani. Ma c’è anche la vecchia ACT il consorzio dei comuni reggiani con la Provincia, che svolge funzioni di holding, cioè proprietaria di quote azionarie delle società operative. Per i treni, invece, responsabile della gestione passeggeri è TPER spa (Trasporto passeggeri Emilia-Romagna), ma responsabile delle infrastrutture e del materiale rotabile delle storiche linee locali è FER srl, una società della Regione. Insomma, si tratta di un ginepraio in cui le responsabilità sono talmente spezzettate che, di fronte ai disservizi e ad evidenti necessità di ammodernamento, non è facile trovare chi sia il soggetto responsabile e chi sia tenuto a trovare i soldi per far funzionare il servizio. Vediamo alcuni altri aspetti. Uno dei problemi più critici è rappresentato dai mezzi circolanti troppo vecchi. Non ci sono soldi sufficienti per

rubriche sostituirli perché, il servizio attuale costa molto e ha entrate molto basse. Il servizio autobus costa tre euro a km, ma l’incasso derivante dai biglietti e dalla pubblicità è soltanto di un euro. I due euro. che mancano li mette la Regione Emilia Romagna. A causa della necessità di ridurre la spesa pubblica, da anni, le società di gestione non sono finanziate adeguatamente e quindi, queste, non hanno rinnovato il parco mezzi circolante, non hanno fatto adeguate manutenzioni e così via. Sul versante treni locali è ancora peggio. I treni costano molto. FER ne ha ordinati tre, ma ci vogliono tre anni per averli. Torniamo sugli autobus. L’età media è di 12 anni. E’ troppo alta. Questo spiega le frequenti rotture. Seta dispone di 800 autobus suddivisi nei tre depositi provinciali. Consideriamo che ogni autobus costa 220.000 euro. Per abbassare ad una età media ragionevole di ottoanni, SETA dovrebbe sostituire cento mezzi ogni anno. Per mantenere gli attuali livelli d’indebitamento la gestione dovrebbe produrre utili per almeno 22 milioni di euro ogni anno. Come abbiamo visto, SETA oggi dispone di entrate che coprono soltanto un terzo delle spese e chiude in pareggio perché il suo deficit è azzerato dai soldi della Regione. Ma ci sono anche corse troppo affollate, come si spiega questo fatto? Si spiega con il numero dei mezzi troppo basso. Le ore di punta richiedono, mediamente, la disponibilità di circa 650 automezzi su un totale di ottocento. Una quantità di automezzi compresa fra cinquanta e cento sono sempre fermi in officina per manutenzione. Quindi è difficile assicurare corse doppie quando ce n’è bisogno. Inoltre, è sufficiente la concomitanza di un evento di maggiore richiesta con un evento di maggiore manutenzione che si creano i disservizi. Ma i costi sono elevati anche perché passata l’ora di punta a Reggio, gli autobus circolano semi-vuoti. La carrellata dei problemi potrebbe continuare a lungo. Basta ricordare che a Reggio sono in servizio ben 54 autobus a gas liquido che d’estate si surriscaldano e rallentano enormemente la marcia causando ritardi e salti di corse. C’è una quantità notevole di utenti che non pagano il biglietto. Insomma, i problemi sono tanti e profondi. In un prossimo articolo, affronteremo il tema delle possibili soluzioni, ma un primo, necessario, passo fondamentale è quello di rendersi conto che non ci possono essere soluzioni facili a problemi tanto complessi. Con questo articolo, confidiamo di aver dato un primo contributo in questa direzione. dicembre 2014

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Opinion leder di Fabrizio Tavernelli

25 Aprile 2015: Materiale Resistente > Oggi, un gruppo di artisti che aveva partecipato alla prima edizione si sta facendo le stesse domande e dopo percorsi personali diversi (magari anche controversi) vuole dare una nuova lettura, una nuova visione, una contemporaneità al prossimo 25 Aprile <

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Questo articolo vuole essere una anti-

cipazione o meglio portare a conoscenza gli iscritti Anpi del percorso che ci porterà ad una nuova edizione di “Materiale Resistente” in occasione della ricorrenza del settantesimo della Liberazione. A Correggio si è dunque attivato un tavolo di lavoro che già si sta confrontando con diversi interlocutori per costruire questo evento. Molte volte ci siamo detti che esiste un prima e dopo Materiale Resistente. Una affermazione, un pensiero che non deve sembrare altezzoso o sopra le righe ma invece una oggettiva constatazione di quello che si è mosso, si attivato, si è innescato dopo quell’evento del 1995 rimasto ben saldo e impresso in una memoria collettiva. Già perchè è stata ancora una volta la memoria, la protagonista di quell’iniziativa che a metà anni novanta ha portato ad incontrarsi su un territorio comune diverse generazioni. Generazioni chiamate in causa, catalizzate, messe in connessione sul comune tema “Resistenza”. Materiale Resistente nasce dall’idea di attualizzare la grande eredità partigiana utilizzando nuovi linguaggi, più urgenti, immediati e vicini ai più giovani. Tutto questo mantenendo il valore etico dell’esperienza resistenziale ma togliendo gli aspetti più retorici e ridondanti. Il clima politico-sociale dell’epoca era particolarmente caldo e in un certo modo nuovo, carico di domande, paure, risentimenti, reazioni. Berlusconi era sceso in campo da poco e stava iniziando la sua era politica che avrebbe contaminato il nostro paese, incantato da un vero e proprio illusionista del marketing capace di usare i media, la persuasione spettacolare, la propaganda (e purtroppo da allora questo è stato il modello politico-comunicativo adottato dai successivi governi, centro-sinistra compreso). La sinistra di allora disorientata dal successo popolare del cavaliere, trionfante nel suo populismo, faticava a trovare risposte o proprie vie per uscire da questo torpore mediatico. Forse l’unico rifugio era la memoria, il cercare ragioni nelle radici, nella storia più vicina, nella lotta partigiana. Da lì poi, occorreva ripartire per cercare nuovi stimoli, nuovi ideali, nuove resistenze, nuove guerriglie culturali. Il fascismo non era sparito ma aveva cambiato forme, si era mimetizzato, aveva compiuto una mutazione. Materiale Resistente nasce a Correggio, nella provincia. Si passano giorni a discutere, a ragionare, a fare “brainstorming” e da lì nasce il conio “Materiale Resistente”

due parole che mettono in moto meccanismi prima arrugginiti. Una formula che racchiude in sé un concetto, un richiamo al passato e una tensione verso il futuro. A Correggio nasce l’idea di valorizzare i luoghi, da qui la scelta di tenere un grande concerto presso una casa di latitanza ancora in piedi. Si crea una mappa e una installazione sonora per riportare attenzione sui cippi sparsi nel territorio. Piano piano, nel frattempo la cosa si ingrandiva, coinvolgeva altri resistenti, musicisti, artisti, registi. Ecco dunque l’apporto dei Dischi del Mulo e Consorzio Produttori Indipendenti insieme ai gruppi della factory che nella decade dei Novanta ha proposto il meglio della musica alternativa italiana. Ecco l’apporto dei registi Davide Ferrario e Guido Chiesa, capaci di confezionare in un prezioso docu-film, l’essenza dell’operazione. Quel giorno, quei volti e quel palco in mezzo alle campagne dove i gruppi reinterpretano canti partigiani, canti di liberazione. Quel palco che accoglie Germano Nicolini, segnando pèr la prima volta l’incontro di un ex partigiano con l’avant rock italiano. C’è stato tanto altro di contorno in quel giorno : un libro, un cd compilation, il Manifesto a supportare l’uscita discografica e la stampa nazionale a portare luce su questo nuovo modo di leggere la Resistenza. Da quel giorno in poi, altri saranno i progetti, come se finalmente si fosse sbloccato qualcosa che ci teneva immobili sulle celebrazioni ufficiali. Materiale Resistente diventa un modello che sarà emulato un po’ in giro per l’Italia Resistente, un caposaldo, un marchio ben custodito e ormai indelebile nella memoria. Tante volte ci siamo detti che quell’esperienza doveva rimanere unica e irripetibile ma oggi è ancora la coscienza, il difficile momento che stiamo passando, il debordare di nuove destre e nuovi fascismi in tutta Europa a chiederci di rispolverare quel Materiale per fare sì che ritorni ad essere Resistente. Oggi, un gruppo di artisti che aveva partecipato alla prima edizione si sta facendo le stesse domande e dopo percorsi personali diversi (magari anche controversi) vuole dare una nuova lettura, una nuova visione, una contemporaneità al prossimo 25 Aprile. Tutti sono di nuovo chiamati a raccolta, a coalizzarsi, a risvegliare la propria coscienza, a riattivare e aggregare, perchè ancora una volta ci sarà bisogno di Materiale Resistente!


PRIMAVERA SILENZIOSA di Massimo Becchi

Il mal Comune > La 21° edizione di Ecosistema Urbano il rapporto di Legambiente sulla vivibilità ambientale, fotografa la situazione ambientale dei capoluoghi di provincia italiani Reggio Emilia perde parecchie posizioni dalla scorsa edizione e si classifica solo al 44° posto <

Dal rapporto emerge che le prime cin-

que città in classifica sono Verbania, Belluno, Bolzano, Trento e Pordenone ma per capire la brutta aria che tira nei nostri centri urbani basta sbirciare le prestazioni dei comuni che dovrebbero essere al top. Trento, per intenderci, ha valori eccessivi di biossido di azoto, Verbania e Belluno perdono un terzo dell’acqua immessa in rete, Pordenone depura poco più della metà dei suoi scarichi fognari. Non è difficile, allora, immaginare qual è la situazione in fondo alla classifica, dove si collocano Agrigento e Isernia, Crotone e Messina, Catanzaro e Reggio Calabria. Nel nostro paese, prevale un format decisionale che guarda alla città da prospettive parziali, ciascuna delle quali persegue logiche di settore spesso contraddittorie e in reciproca elisione che favoriscono un’incoerente destinazione delle risorse e una perniciosa disorganicità nelle azioni. Ma diversamente vanno le cose in numerose città europee. Barcellona, Bilbao, Londra, Malmö, Copenaghen, Vienna e Amburgo, per citarne solo alcune, mostrano ognuna a modo suo una capacità di ripensarsi: la rigenerazione passa o almeno tenta di passare attraverso piccoli e grandi interventi di trasformazione tesa a cancellare gli errori del passato e accrescere la qualità dei servizi e la vivibilità. E il confronto con i nostri vicini europei è fondamentale per leggere correttamente le classifiche di Ecosistema Urbano, che quest’anno si concentra sulla qualità delle politiche ambientali dei nostri capoluoghi di provincia, per osservare in modo più approfondito quello che l’amministrazione locale fa, o non fa, per migliorare la mobilità, la gestione dei rifiuti e delle acque e, in generale, la qualità del proprio territorio. L’insieme dei dati ci dice, ancora una volta, che le città italiane vanno a tre velocità: sono lente, lentissime e statiche. Non va meglio per la nostra città dove in un solo anno passiamo dalla sesta posizione alla 44°, anche se va tenuto conto di alcune variazioni degli indicatori e della suddivisione della classifica dello scorso anno per fasce di città grandi, medie e piccole. Di fatto primeggiamo per le piste ciclabili (siamo i primi in Italia), ci difendiamo sui consumi idrici, con 133 litri circa ad abitante al giorno e sulle perdite di rete (con il 19 percento dell’acqua immessa che se ne va) e sull’offerta di trasporto pubblico, mentre abbiamo un peggioramento su altri fronti: produciamo 698,7 kg di rifiuti ogni abitante all’anno, dato in aumento rispetto agli scorsi anni e la raccolta differenziata è ferma al 55,6 percento, praticamente uguale agli ultimi due anni. Per la qualità dell’aria non primeggiamo certo, con i nostri 31 microgrammi/metro cubo di polveri fini di media, accompa-

rubriche gnato da 68 auto ogni 100 abitanti, dato stabile ma molto alto (il maggiore della regione) con una incidentalità stradale di 1,13 (numero di vittime ogni 10.000 abitanti), superato solo da Ravenna in regione, mentre sono ancora poche le energie rinnovabili installate su edifici pubblici (solare termico e fotovoltaico) con 1,89 KW/1000 abitanti. Anche la nostra città manca di un obiettivo ambientale ambizioso di medio/lungo periodo, con una strategia positiva di trasformazione. In assenza di obiettivi chiari e ambiziosi infatti non si non andrà da nessuna parte: non basa lavorare sulla mobilità ciclabile, ma serve una politica urbanistica che porti allo sviluppo zero di Reggio, riutilizzando le aree dismesse e rimettendo in circolo le migliaia di alloggi vuoti ed inutilizzati, senza più contare solo sul consumo di suolo e di risorse naturali. La concentrazione poi di risorse sulla costruzione di nuove strade (fatte ed in progetto) non fa altro che spostare la mobilità sul mezzo privato a scapito del mezzo pubblico, sceso quest’anno a 63 viaggi per ogni abitante in un anno, a fronte dei 98 del 1995. Abbiamo perso quindi un terzo degli utenti degli autobus cittadini in circa 20 anni. E’ quindi necessario ripensare il nostro modello di città, per renderla più vivibile e sostenibile, evitando azioni di facciata inconcludenti e controproducenti come le limitazioni al traffico scattate ad ottobre, del tutto ambientalmente inutile e culturalmente fuori tempo massimo. Certamente la mancanza di un Assessore all’Ambiente ha pesato negli ultimi anni, delega in capo all’ex sindaco Graziano Del Rio, che dal 2011, quando è diventato presidente di Anci è nei fatti mancato a questo ruolo e nulla è valsa la designazione successiva per un anno all’assessore Del Bue, creando un vuoto ormai di quattro anni che si ripercuote su molti indicatori ambientali. Quest’anno, sono 18 gli indicatori selezionati per confrontare tra loro i 104 capoluoghi di provincia italiani. Tre indici sulla qualità dell’aria (concentrazioni di polveri sottili, biossido di azoto e ozono), tre sulla gestione delle acque (consumi, dispersione della rete e depurazione), due sui rifiuti (produzione e raccolta differenziata), due sul trasporto pubblico (il primo sull’offerta, il secondo sull’uso che ne fa la popolazione), cinque sulla mobilità (tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali), uno sull’incidentalità stradale, due sull’energia (consumi e diffusione rinnovabili). Quattro indicatori su diciotto selezionati per la classifica finale (tasso di motorizzazione auto, tasso di motorizzazione moto, incidenti stradali e consumi energetici domestici) utilizzano dati pubblicati da Istat. dicembre 2014

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La finestra sul cortile di Sandra Campanini

“Jimmy’s Hall Una storia d’amore e libertà”

> Ken Loach torna in

modo inusuale a raccontare quell’Irlanda che già in passato era stata al centro del suo cinema. Il piacere, l’allegria e la leggerezza intrecciate alla passione politica e alla lotta per i diritti nella storia (vera e commovente) di Jimmy Gralton, ambientata nell’Irlanda del 1932 < 26

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Il film racconta la storia vera di Jimmy

Gralton, unico irlandese ad essere stato espulso senza processo dal suo paese nel 1933 perché “comunista”. La colpa di Gralton, rientrato in Irlanda nel ‘32 dopo un esilio politico volontario di dieci anni negli Stati Uniti, è quella di ricostruire nelle remote campagne della contea di Leitrim, al suo ritorno, la vecchia Hall abbandonata appunto dopo la partenza per l’America. La Hall è un luogo dove una volta e ora di nuovo si balla, si canta, si impara a cucire, si pratica la boxe e si studia, si dimenticano le angherie dei giorni e si impara a fronteggiarle l’indomani. Si legge molto, testi di ispirazione socialista che rimandano alle antiche battaglie fra i proprietari terrieri e i contadini, i soprusi della Chiesa, le gesta eroiche dei resistenti. La ricostruzione della Hall coinvolge decine e decine di persone, donne e bambini, ragazzi che fanno cinquanta chilometri in bicicletta per andare a lavorare la domenica, la sera, a risistemare quel vecchio edificio. Ricostruita diventa il luogo della felicità, degli amori e dei balli, della libertà. Ken Loach torna nell’Irlanda che aveva messo al centro del suo cinema ne Il vento che accarezza l’erba e lo fa in modo apparentemente inusuale. Perché al centro di questa storia ci sono uomini e donne che difendono quello che un tempo avremmo definito un dancing. La musica che accompagna le dure immagini della Depressione americana potrebbe aprire un film di Woody Allen ma il contesto è e resta quello più amato dal regista inglese: la vita di uomini e donne che cercano nella condivisione di idee e di spazi quel senso della socialità che altri vorrebbero controllare il più possibile. Quello che Jimmy Granton (attivista

Ken Loach socialista realmente esistito) edifica per due volte è di fatto un centro sociale ante litteram in cui si possono condividere saperi ma anche la gioia dello stare insieme. Definire ‘peccaminose’ le danze che vi si praticano è, per la chiesa locale e per gli esponenti della destra, solo un pretesto per impedire la circolazione di idee ritenute pericolose. Chi frequenta la Pearse-Connolly Hall è spesso anche un buon cristiano che partecipa alla messa domenicale. È proprio questo che va colpito e debellato da quel potere ecclesiastico che però, a differenza dei reazionari più retrivi, è ancora capace di comprendere l’onestà degli intenti dell’avversario. Il film esce in un tempo in cui a Roma siede un pontefice che ha dichiarato di saper ballare la milonga e di non sostenere ovviamente il comunismo ma anche di aver conosciuto tante brave persone che erano comuniste. Jimmy’s Hall potrebbe piacergli. Ma anche se non gli piacesse a noi non interessa granché.


storia OMI “REGGIANE” 1944-1946

L’ING. LONGHI E IL PARTIGIANO COMUNISTA FONTANESI di Antonio Zambonelli

L’ing. Roberto Longhi

Sulla stampa locale è apparsa la notizia

(fonte l’ex operaio delle Reggiane Campari) delle 4 interessantissime lettere che l’ing. Roberto Longhi (1903-1994), progettista di aerei alle “Reggiane” dal 1936 al 1945, scrisse dagli Stati uniti d’America, fra l’agosto 1985 e il maggio 1988 ad un conoscente reggiano, Melchiorre Fontanesi (1912-1992). Lettere che gettano una luce inèdita sulle possibili cause dello smantellamento di quella che lungo decenni fu per i reggiani “l’Officina” per antonomàsia. Perché l’ing. Longhi scriveva al Fontanesi? Chi era Fontanesi? Vediamo di chiarire quali erano i rapporti preesistenti tra i due interlocutori epistolari. Di Longhi abbiamo accennato su queste pagine già nell’ottobre 2012, a proposito dello scatto emotivo che avrebbe avuto il 28 luglio 1943, in occasione della sparatoria contro gli operai delle Reggiane che manifestavano per la pace. Secondo l’allora operaio e futuro partigiano Piccinini, Longhi avrebbe voluto uscire dal reparto Avio con una mitragliatrice da aereo per reagire. Rimane ancora da chiarire se sia vera la versione, cui facevo cenno, secondo cui Longhi, già apprezzato progettista di aerei in USA, sia stato nel 1936 “sequestrato” da agenti dei servizi del governo fascista italiano e portato in Italia per lavorare al settore Avio del

nostro grande stabilimento industriale. Qui Longhi ebbe tra i suoi collaboratori, come apprezzato“modellista”, proprio il Fontanesi. Ciò che di decisamente inèdito emerge del rapporto fra i due, è la collaborazione di ben altro genere continuata anche nel periodo della lotta di liberazione. Dopo il bombardamento delle “Reggiane” (8-9 gennaio 1944), gran parte delle lavorazioni (e relativi macchinari superstiti) vennero dislocate in varie località del reggiano e soprattutto della provincia di Varese. L’ing. Longhi continuò a progettare aerei a Correggio, mentre risiedeva a Villa Sesso. Fontanesi, che abitava a Villa Argine di Cadelbosco, dal canto suo assunse frattanto un ruolo importante nella resistenza sia come dirigente del Pci clandestino nella bassa ovest che come comandante (nome di battaglia Lionello) del 2° distaccamento della 77a SAP operante nella stessa area. Dalle lettere si evince che i due ebbero diverse occasioni di incontro anche a Villa Sesso, in casa Longhi, nel quadro di un rapporto politicamente assai intenso, tale da far scrivere a Longhi, nella sua lettera del 13 agosto 1985, “Nella mia vita da partigiano ho un solo rimorso, di aver salvato la vita [tramite Didimo Ferrari “Eros”, mediatore Fontanesi, NdR] alla spia X pagata dai tedeschi alle dirette dipendenze del Col. Wolf, capo per Reggio della polizia tedesca”. Le autorità militari germaniche presenti a Reggio, avevano un occhio particolare per Longhi, dal quale si aspettavano che, nel suo ufficio di Correggio, portasse a termine la progettazione di un aereo da guerra di concezione assai avanzata e tale da costituire elemento decisivo per sollevare le sorti della Luftwaffe. Proprio per questo Longhi riuscì a far liberare Fontanesi - facendosi garante presso i tedeschi – dal carcere dei Servi, dove fu ristretto fino al 13 settembre 1944, dopo l’arresto del 4 agosto a Santa Vittoria quale sospetto capo partigiano.

“D’accordo con Lei e i partigiani – scrive ancora Longhi – io promisi di andare avanti col lavoro, però il RE 2006 e il RE 2007, ancora in studi, non avrebbero mai volato per le forze dell’Asse. Quando il cap.tedesco Boehm […] fece venire a Correggio i due colonnelli tedeschi dello stato maggiore aereonautico, per così ottenere i due motori a reazione per il RE 2007, e così poter iniziare il lavoro, Lei d’accordo mi disse di andare pure avanti, però se venivano pronti per le forze dell’Asse, i partigiani li avrebbero fatti saltare in aria”. Questi precedenti, sono rimasti fino ad oggi sconosciuti. Quando il partigiano e dirigente ANPI Fontanesi morì, nel 1992, sulle pagine di questo periodico venne pubblicato un necrologio nel quale si legge soltanto che dai Servi “uscì grazie l’aiuto di un ingegnere delle “Reggiane” che riuscì a convincere i tedeschi della innocenza del Fontanesi”. Le lettere che Longhi scrisse al vecchio e fidato amico (anche se si trattarono sempre con il Lei), recentemente consegnate a Campari, e di cui si è dara notizia

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sulla Gazzetta di Reggio, oltre a fornire elementi di novità su aspetti sconosciuti della Resistenza reggiana, gettano nuova luce su di un tema peraltro non sconosciuto alla storiografia locale: quello della possibile conversione produttiva delle Reggiane e dell’infuttuoso dibattito che vi si accompagnò concludendosi con lo smantellamento del grande complesso industriale. “Dopo la liberazione – scrive per esempio Spreafico – si trattò di tradurre in pratica le prime tappe del programma, gravi contrasti vennero delineandosi fra gli esponenti della direzione [...] da un lato alcuni, per esempio il direttore amministrativo F. Bellelli e il direttore tecnico A. Vischi, propendevano per un immediato ridimensionamento dell’azienda dall’altro l’ing. Alessio , direttore generale, mirava [...] alla totale rinascita dell’azienda [...]. Il contrasto fra le due correnti era soprattutto vivace a proposito della possibilità o non di riprendere la posizione aereonautica...iniziare la produzione di aerei da trasporto” (S. Spreafico, Un’industria Una città, 1969, p. 302, 303).

“Si aggiunga la decisa presa di posizione delle maestranze che, portate a intravedere in una realizzazione del piano Alessio una possibile ripresa della produzione bellica, sfilarono per le vie della città trascinando la carcassa di un aereplano, al grido di basta con la produzione di guerra. Prevalse il criterio della riduzione dell’attività dell’azienda a dimensioni più modeste” (p. 304). Alessio venne anche sconfitto politicamente. Scrive nelle sue memorie “il 1° [giugno] 1945, tre membri del CLN delle Reggiane, Bondoni, Loschi e Tirelli, mi hanno invitato a lasciare il posto di direttore generale sotto accusa di essere stato uno sfruttatore degli operai” (citato in Melossi et All, Restaurazioni capitalistica e piano del lavoro, 1977 p. 38) Ora le affermazioni del Longhi circa la possibilità di un rilancio del grande stabilimento proprio puntando sul settore Avio (“si sarebbe potuto dare lavoro a 25.000 operai”, scrive l’ingegnere), anche con la produzione di grandi aerei per il trasporto civile, non sono le generiche “opinioni” di uno che passava per caso dalle

nostre parti. La sua specifica competenza sia tecnica (già conclamata tra gli anni Trenta e i Quaranta), come progettista, sia manageriale (dispiegatisi in pieno in America), debbono condurre ad una riflessione, almeno sul piano storico, su ciò che le Reggiame avrebbero potuto essere. Longhi fu sconfitto anche per colpa di un pregiudizio ideologico “pacifista” delle sinistre reggiane, nella contesa tra “ferrovieri e aviatori”, ma nelle lettere ha parole di fuoco soprattutto per quei cinque manager che gli si opposero e puntarono sul “ridimensionamento”. “Cinque loschi individui, che per solo profitto personale distrussero un’industria”, scrive ancora nella lettera del 13 agosto 1985. Tornò in America, con la famiglia, nella primavera del 1946, su invito del comando superiore dell’aereonautica USA. Progettista di aerei a reazione, nel 1950 finì per assumere ruoli manageriali di altissimo livello in una grande holding con stabilimenti in tutta l’America del Nord. Fu forse uno dei primi “cervelli in fuga”?

L’Anpi di Rio Saliceto ringrazia Riomania

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a anni (saranno 25 nel 2015) opera a Rio Saliceto un’associazione giovanile nota come Riomania, che aveva come scopo originario quello di realizzare una festa musicale estiva dedicata ai giovani del paese. All’epoca si trattava di qualche giorno – giusto una fine di settimana – ed era seguita principalmente dai ragazzi e dalle ragazze del paese. Poi, passo dopo passo, grazie all’inventiva degli organizzatori, la festa si è ampliata nei tempi e negli spazi fino a diventare un appuntamento della durata di 10 giorni – ricorrente nel mese di giugno – che, nel parco 28

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principale del paese, intrattiene ogni sera centinaia di giovani. Ma non soltanto. Infatti, da manifestazione squisitamente giovanile Riomania è diventato l’appuntamento irrinunciabile anche per molte famiglie del luogo. E’ da rimarcare inoltre come si sia riusciti a coinvolgere altre associazioni locali nella gestione di alcuni spazi di ristoro, e di come singoli volontari si occupino della pulizia degli spazi: tra questi alcuni iscritti alla locale sezione dell’Anpi. Riomania, istituita come associazione di promozione sociale, ha da sempre devoluto i propri

incassi sia in interventi infrastrutturali per migliorare il parco comunale, che a favore delle istituzione sociali del paese. Quest’anno tra i beneficiati dall’Associazione vi è l’Anpi di Rio Saliceto, con un contributo di 1.000 euro quale riconoscimento per l’opera di volontariato svolta. Ringraziamo pertanto l’Associazione Riomania per il contributo, ma ancor più per quanto fanno con passione, ma anche fatica, decine di giovani di Rio Saliceto a favore della collettività. Corrado Bellesia


70esimi Ciano d’Enza, Natale 1944

La fucilazione di Abele Fantini > Il 25 dicembre di quest’anno ricorre il settantennale della morte del partigiano Abele Fantini “Pietranera”, dopo nuove e accurate ricerche ecco un breve sunto di ciò che veramente accadde al giovane partigiano di Gaida e al suo compagno di prigionia Giovanni Fucili “Quarto”.< di Giacomo Mazzali

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lungo ho pensato a come descrivere la figura di Abele Fantini, ma dopo lunghi tentennamenti ho deciso di raccontare senza tanti fronzoli ed elogi la vita e la triste quanto incredibile vicenda di questo giovane partigiano. La sua biografia non è diversa da quella di molti altri giovani patrioti che presero parte alla lotta contro i nazi-fascisti. Di famiglia contadina, povero, poco più che ventenne, entrò in clandestinità nei primi giorni di dicembre del 1944. Fu inquadrato nel distaccamento “Brenno Casini” della 144a brigata Garibaldi, che operava principalmente nella Val d’Enza, e il 19 dicembre prese parte con i compagni ad un azione contro i tedeschi. Due giorni dopo, il distaccamento Casini, che si avviava a rientrare in Appennino per nascondersi dalle rappresaglie naziste, fu vittima di un’imboscata tesa loro dalle truppe tedesche della Scuola anti-ribelli di Ciano d’Enza presso Macigno di San Polo. Nella disordinata ritirata Abele Fantini rimase tagliato fuori dal resto dei compagni e fu catturato. Successivamente la colonna tedesca si scontrò presso Grassano con un altro gruppo di partigiani. In questo secondo scontro i tedeschi riuscirono a ferire gravemente e a catturare l’intendente di Polizia partigiana Giovanni Fucili. Sempre a Grassano i nazisti presero come prigionieri due uomini del posto accusati di aver dato rifugio ai partigiani. Condotti a Ciano d’Enza “Pietranera” e “Quarto” vennero rinchiusi nella famigerata “cella della morte”, luogo dalla quale nessuno era uscito vivo, in attesa di essere interrogati dai loro aguzzini. Il carcere di Ciano rappresentava un punto di non ritorno per la maggior parte dei partigiani prigionieri che vi venivano portati. Qui infatti venivano abitualmente praticate torture, abusi e violenze inaudite nei confronti dei malcapitati che vi venivano condotti dai nazisti. Vi operavano militari tedeschi (supportati da alcuni interpreti e spie italiane) che avevano come specifico ordine quello di mettere a ferro e fuoco

la montagna reggiana, terrorizzando la popolazione civile e massacrando tutti i partigiani che capitavano nelle loro mani. Giovanni Fucili, che all’epoca aveva appena diciannove anni, nonostante avesse riportato due gravi ferite da arma da fuoco al braccio e al polmone destro venne ripetutamente colpito e pestato dai militari tedeschi. A salvarlo fu l’intervento del medico del presidio G. Pasquali che face notare ai nazisti che con quelle percosse e le già gravi condizioni di salute il prigioniero avrebbe avuto solo poche ore di vita. Nei giorni seguenti i due sfortunati compagni di cella vennero più volte interrogati dal personale del carcere, Abele Fantini fu anche torturato, ma nessuno dei due crollò. Curiosamente questi due ragazzi che si erano trovati in circostanze così tragiche erano di pensiero politico completamente opposto, se Fantini era marxista e di cieca fede comunista, Fucili, proveniente dal ceto urbano, era cattolico praticante e di pensiero moderato. Infine, la notte di Natale, un manipolo di tedeschi venne a prelevare “Pietranera”, egli, rendendosi conto immediatamente di ciò che di lì a poco sarebbe successo rivolse queste ultime parole a Fucili che era raccolto in preghiera: “Giovanni prega anche per me tu che sei buono.” Pochi minuti dopo “Pietranera” venne giustiziato presso il “Prato della fiera”. Circa un mese dopo, il 22 gennaio, Giovanni Fucili, che nel frattempo si era

incredibilmente ripreso dalle gravi ferite, riuscì a evadere da Ciano grazie all’aiuto di un militare tedesco. Dopo aver attraversato l’Enza ed essersi rifugiato presso le formazioni partigiane parmensi “Quarto” venne messo in contatto con il CLN di Reggio e trasferito in un luogo sicuro sul nostro Appennino. Le informazioni che ebbe modo di raccogliere durante la sua prigionia furono di fondamentale importanza per la resistenza reggiana tanto che ad interrogarlo furono i vertici di essa. Una volta liberata Ciano il 10 aprile 1945 ai partigiani toccò anche il gravoso compito di riesumare dalle fosse comuni i corpi dei loro compagni giustiziati dai nazifascisti nei mesi precedenti. Il corpo di Abele Fantini venne portato poi nel suo paese natale, Villa Gaida, e lì, il 29 aprile 1945, vennero celebrati i suoi funerali. Durante la cerimonia civile, che si tenne nella sua casa posta lungo la Via Emilia, la folla numerosa bloccò il traf-

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70esimi fico di auto e mezzi militari che fluivano verso il nord Italia appena liberato. Da una di queste automobili ferme in coda scese il Reggente Umberto II, futuro Re d’Italia, che informatosi di quello che stava accadendo s’avvicinò alla bara del giovane partigiano e, dopo un istante di raccoglimento, abbracciò uno dei fratelli del defunto, Remigio, nonché mio bisnonno. Dopo un breve scambio di battute, Umberto di Savoia ripartì e la vita di quella povera casa tornò a riprendere come prima dello scoppio della guerra che oramai era finita. Se non fosse stato per la fondamentale testimonianza di Giovanni Fucili, degli

ultimi giorni e della tragica fine del mio prozio Abele Fantini non si sarebbe mai saputo nulla. I suoi compagni lo diedero per morto il giorno in cui egli fu catturato, come riportato dal diario della brigata, e ancor oggi il suo certificato di morte ufficiale attesta come data del decesso il 22 dicembre. Tuttavia, grazie alle diverse testimonianze che il suo compagno di cella “Quarto” rilasciò su giornali e libri dopo la fine della guerra il ricordo di Abele non è scomparso e sebbene i testimoni di quell’epoca e di quegli orrori siano ormai rimasti pochissimi l’esempio del sacrificio del partigiano “Pietranera”, a distanza di settant’anni, non è affatto dimenticato.

Giovanni Fucili

i 70 anni DELL’Anpi cARLO sMURAGLIA SULLA COSTITUZIONE 18 ottobre 2014: Anpi Reggio Emilia, Conferenza d’organizzazione

Caro direttore, il prof. Carlo Smuraglia ha tenuto a Reggio una magnifica lezione sulla Costituzione. L’occasione era data dalla Conferenza di organizzazione dell’ANPI in vista del 70° della sua fondazione. Dall’alto dei suoi 90 anni il presidente ha dimostrato che la “rottamazione” degli anziani è una vera sciocchezza. Infatti, si dovrebbero “rottamare” solo gli stolti, anche se giovani. La Costituzione italiana, oltre che applicata, può essere modificata con intelligenza e misura, non col passo dell’elefante infuriato, ma soprattutto deve essere prima conosciuta e compresa nella sua struttura profonda di valori e impegni per la Repubblica. E’ una vera missione che l’ANPI persegue da tempo e che dovrà moltiplicare, specie dopo l’accordo con il ministero dell’Istruzione. Ma, oltre alle scuole, questo impegno di informazione va esteso a tutti i cittadini, molti dei quali, disinformati o immemori, cadono spesso vittime del populista di turno. E’ quello che ci dobbiamo proporre in tanti, singoli e associazioni, enti e organi di stampa. E’ il caso recente della fiducia pretesa dal Governo sulla legge delega per il lavoro, atto legisla30

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tivo estremamente urgente e importante, ma arrivato buon ultimo sulla scena parlamentare. Senza entrare nel merito di esso, il metodo è stato quanto mai rozzo e sommario. Come dovrebbe essere noto a tutti, nella proposta di legge-delega, devono essere dettagliati con precisione casi e limiti (principi e criteri direttivi, tempo limitato e oggetti definiti dice l’art. 76) perché il Parlamento non avrà più modo di intervenire sui decreti legislativi che il Governo emanerà in seguito. Questo richiede una discussione preventiva ampia ed esaurien-

Lettere

te su tutti i punti. Questa discussione non si è avuta, anzi il Governo ha imposto il voto di fiducia, che significa – in sostanza – prendere o lasciare. Sembra proprio un’ennesima forzatura della Costituzione, che molti invece hanno ritenuto segno di sveltezza politica. Ci sarà modo in seguito di parlare dei contenuti, per adesso vedremo se ci sarà l’approvazione definitiva. Con il sostegno dell’ANPI i cittadini potranno essere più vigili. Mauro Bortolani

Il sindaco di Reggio Luca Vecchi al microfono mentre porta il saluto dell’Amministarzione ai lavori dell’ANPI. Al tavolo da sinistra, Giacomo Notari, Carlo Smuraglia, Alessandro Frignoli e Fiorella Ferrarini (foto G. Bertani)


I FATTI DI BUVOLO

ODETTA MARMIROLI (FIORELLA)

6 ottobre 1944

IN RICORDO DI ODETTA MARMIROLI, LA STAFFETTA PARTIGIANA “FIORELLA”

un imponente rastrellamento che investì una zona molto ampia compresa tra i territori di Ciano, Vetto, Casina e Castelnovo Monti. Dopo quasi una giornata intera di combattimenti, sotto una pioggia incessante, la situazione per i partigiani della 144a Brigata divenne tremendamente pericolosa, l’unica via di salvezza da quello che sarebbe stato il sicuro annientamento era il passaggio attraverso il fiume Enza per raggiungere così la sponda parmense. Il 4° Battaglione si portò in zona Buvolo-Compiano verso sera, procedendo ad attraversare l’Enza tramite una fune stesa a pelo d’acqua. Il fiume era enormemente ingrossato dalle piogge di quei giorni, la corrente lo rendeva impenetrabile, inoltre i tedeschi continuavano a mitragliare la zona, nonostante la copertura del distaccamento “Cervi” appostato già dal mattino sulla sponda di Parma. In quella tragica giornata caddero alla fine tre garibaldini che investiti dalle raffiche di mitraglia, abbandonarono la fune nel disperato tentativo di salvarsi aggrappandosi a qualche tronco, ma la vorticosa corrente del fiume li prese con sé. Eros Capellini “Raul” di Reggio Emilia, Angelo Canepari “Gianni” di Quattro Castella, Bruno Cavandoli “Muìeta” di Ciano d’Enza, sono questi i loro nomi e questa è stata la loro tragica sorte. A loro e tanti altri migliaia di ragazzi di quei giorni, va il nostro pensiero, sincero e commosso. Essi non esitarono a dare la vita per ognuno dei loro compagni ed anche per quanti sarebbero venuti dopo. Il loro non fu eroismo, fu coraggio e amore per la vita, essi seppero scegliere senza indugio di combattere dalla parte giusta nella Resistenza e non di servire, seppur in buona fede, quella “patria” che il fascismo aveva svenduto agli invasori, violentando, torturando e massacrando complicemente al loro fianco.

Ricordare e onorare persone come “Fiorella” è un dovere di riconoscenza, ma anche un compito non facile, perché si ha a che fare con persone modeste, che non vogliono e non desiderano assolutamente una parola in più rispetto a quello che effettivamente sono state durante la loro vita, soprattutto nei momenti più difficili. Odetta è deceduta il 22 giugno 2014 a Canolo di Correggio, dove aveva formato la sua famiglia. Da ragazza aveva vissuto con i genitori e i suoi fratelli – Oddone, Ondino e Maddalena – in via Garfagnana a Campagnola Emilia: era ben conosciuta, dotata di una bellezza naturale e di un vivace carattere, che la rendeva di una piacevole simpatia. La sua famiglia era di origine contadina: il padre Gilberto, la madre Mafalda e gli zii paterni Alfeo, Enrico ed Orlando (falegname a Correggio) erano fermi e sicuri nei loro ideali socialisti, orgogliosi e coraggiosi, anche quando le squadracce fasciste perseguitavano gli antifascisti, li picchiavano, li arrestavano e li obbligavano a bere l’olio di ricino, per poi portare in carcere chi non accettava la dittatura fascista. Furono infatti improvvisate alcune visite a casa dei Marmiroli, ma non fu mai trovato nulla di illegale. A soli 17 anni Fiorella si rese conto che il regime fascista si inaspriva contro gli antifascisti e quindi iniziò a pensare al futuro della propria famiglia. Arrivò l’8 settembre 1943: i fratelli Marmiroli, Odetta e Oddone, fecero la scelta di coscienza corrispondente agli ideali dei loro genitori e quindi si misero dalla giusta parte dei combattenti per la libertà, che, pur essendo coscienti dei pericoli e delle difficoltà che avrebbero incontrato, scelsero di lottare per la fine della guerra e per cancellare per sempre il fascismo ed il nazismo. Riteniamo di grande valore il documento che Odetta ci ha lasciato in quanto raccomanda la memoria storica e invita a continuare la battaglia per la pace, ancor oggi così opportuna, tanto che anche Papa Francesco ha lanciato un appello accorato affinché non muoiano più bambini ogni giorno in guerra o a causa di combattimenti. Desideriamo quindi riportare il pensiero e l’invito che Odetta fa nell’ultima pagina del suo diario: “Ragazzi e Ragazze, non lasciatevi sedurre da falsi miti, difendete sempre la Pace, la libertà, la vostra dignità, beni così preziosi che meritano una vigilanza perpetua”. Vogliamo ricordare Odetta/Fiorella per sempre così, espressiva e lungimirante, come quando,

Il 6 ottobre 1944 i tedeschi iniziarono

La commemorazione del 70° dell’avvenimento si è svolta il 12 ottobre scorso con l’orazione di Giancarlo Ghirelli, vice-sindaco di Montecchio Emilia, e con la presenza di ARONNE RUFFINI, vicesindaco di Vetto, ENZO MUSI, sindaco di Canossa, EDMONDO GRASSELLI vice-sindaco di SAN POLO D’ENZA.

Lutti

nel recente passato, veniva con noi a festeggiare il 25 aprile. Ai famigliari esprimiamo sentite condoglianze da parte della sezione ANPI di Campagnola Emilia. Gaetano Davolio

Bice Montanari Giovanni Bertolini

20/11/1921-05/11/2014

Il 5 novembre u.s. si è spenta, in età di 93 anni, Bice Montanari, vedova del compianto Giovanni Bertolini, “Paolo”, valoroso combattente antifranchista in terra di Spagna, poi partigiano garibaldino sulle nostre montagne. Insieme, Bice e Giovanni, ebbero la gioia di un emozionante viaggio in Spagna (5-12 novembre 1996) nel 60° dell’inizio della guerra civile. Nella circostanza giunsero da varie parti del Globo oltre trecento superstiti interbrigadistas. Insieme Bice e Giovanni vengono ricordati da Giglio Mazzi “Alì” e dalla moglie Dea, sorella di Bice, con un’offerta al Notiziario. Affettuose condoglianze per la morte della cara Bice, da parte della nostra redazione, ai figli Anna e Paolo.

MADDALENA CERLINI (CICCI)

19/07/1920-30/09/2014 Il 30 settembre scorso è venuta a mancare la partigiana Maddalena Cerlini “Cicci”, appartenente alla 77a BGT SAP “F.lli Manfredi”, vedova del partigiano Demos Cocconcelli “Spartaco”. I figli Armando, Armanda e Luigi in suoi onore e memoria offrono pro Notiziario. dicembre 2014

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Anniversari 5° ANNIVERSARIO

CARLO SONCINI

La nipote Marina, in occasione del 5° anniversario della scomparsa dello zio Carlo, sottoscrive in suo onore a sostegno del Notiziario.

RICCARDO SONCINI

13° ANNIVERSARIO

Il 31 agosto ricorreva il 13° anniversario della scomparsa del Patriota Riccardo Soncini di Poviglio. Nel ricordarlo sempre con tanto affetto, la moglie Maria Frigeri e la figlia Marina, in sua memoria, sottoscrivono pro Notiziario.

10° ANNIVERSARIO

WALTER CERVI (JAGO)

Il 28 novembre ricorreva il 10° anniversario della scomparsa del partigiano Walter Cervi “Jago” di Campegine.Nel ricordarlo con immutato affetto, la moglie Eletta, i figli Catia e Roberto, gli adorati nipoti Simone, Alice e Giorgia insieme alla pronipote Matilde, sottoscrivono in sua memoria.

IN MEMORIA

ARRIGO RIVI (ASKAR)

Arrigo, il Partigiano “Askar”, avrebbe raggiunto l’ambito traguardo dei 90 anni il 9 dicembre 2014, ma nonostante fosse un combattente, ha aperduto la sua battaglia il 22 giugno 2013. Uomo onesto, generoso, dedicò la sua vita alla famiglia e all’impegno civile. La moglie Giuseppina e la sua Famiglia lo ricordano nel modo in cui Lui avrebbe voluto, sostenendo il Notiziario.

9° ANNIVERSARIO

SENNO RICCO’ (MISCIA) IVO SPAGGIARI (TELIN)

3° ANNIVERSARIO

Nel 9° anniversario della scomparsa dei Partigiani Senno Riccò “Miscia” e Ivo Spaggiari “Telin” della 76a Bgt. SAP, la Staffetta Ida Adis, rispettivamente moglie e sorella dei Defunti, li ricorda sempre, unitamente alle famiglie, con immutato affetto e sottoscrive a favore del Notiziario.

ALICE SACCANI RENATO GIACHETTI

ANNIVERSARI

Una vita insieme di amore e e di lotta per un mondo migliore. I figli Giancarlo e Giuliana, unitamente ai nipoti, nel ricordare i genitori partigiani Alice Saccani (8/7/1918-2/11/2000) e Renato Giachetti (2/7/1903-24/8/1964), sottoscrivono a sostegno del Notiziario. 32

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BRUNO LODESANI (JOSE’)

Il 20 dicembre ricorre il 3° anniversario della scomparsa di Bruno Lodesani “Josè”. La moglie Franca, i figli Ivan e Anna Maria lo ricordano a quanti apprezzarono le qualità di uomo, di partigiano e di antifascista con un offerta al Notiziario.

29° ANNIVERSARIO

ODORADO BULGARELLI (MODENA) SEVERINA BISI

Nel 29° anniversario della scomparsa del Partigiano Odoardo Bulgarelli “Modena”, avvenuta il 30 novembre 1985, lo ricordano con immutato affetto insieme alla moglie Severina Bisi, Staffetta partigiana, deceduta il 15 marzo 2009, i figli Paris e Sirte, i nipoti, i pronipoti e i famigliari sottoscrivendo pro Notiziario.


Anniversari 13° ANNIVERSARIO

ALDO BALLABENI (ALDINO)

CARLO PORTA

Il 26 novembre scorso ricorreva il 7° anniversario della scomparsa di Carlo Porta, presidente dell’ANPPIA di Reggio Emilia. Lo ricordano con affetto la moglie Lea e la figlia Vanna sottoscrivendo pro Notiziario.

Il 17 novembre ricorreva il 13° anniversario della scomparsa del Partigiano Aldo Ballabeni Aldino. Lo ricordano la moglie Norma Catellani e la figlia Fulvia che sottoscrivono pro Notiziario.

AGIDE VERONI

1° ANNIVERSARIO

9° ANNIVERSARIO

EDGARDO MISELLI (GARDO)

L’11 ottobre scorso ricorreva il 9° anniversario della scomparsa di Egardo Miselli “Gardo”. Era nato il 10 maggio 1925. La sorella lo ricorda offrendo a sostegno del Notiziario.

Il 29 novembre 2014 ricorreva il 1°anniversario della Partigiano Agide Veroni “Nino”. La moglie Dafne Albarelli, i figli Cinzia e Angelo con la famiglie, i nipoti, ne ricordano le doti umane e la passione civile per la libertà e la giustizia.

ANNIVERSARI

RENZO FERRARINI (BUOZZI) BENIAMINA MAGLIANI

7° ANNIVERSARIO

ALDO GOVI

50° ANNIVERSARIO

Le figlie Fiorella e Verenna Ferrarini per ricordare e onorare i genitori Renzo Ferrarini “Buozzi”, appartenente al Comando unico reggiano e Beniamina Magliani offrono a sostegno del Notiziario.

Nel 50° anniversario della scomparsa di Aldo Govi, attivista della Federazione giovanile comunista di Reggio Emilia e del PCI, diffusore dell’“Unità” e anitifascista, le famiglielo ricordano sottoscrivendo pro Notiziario.

14° ANNIVERSARIO

13° ANNIVERSARIO

ANGIOLINO MARGINI (TEMPESTA)

Il 15 novembre ricorreva il 14° anniversario della scomparsa del Partigiano Angiolino Margini Tempesta della 143a Brg. Garibaldi, attiva nel parmense. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Adolfina Bussei, la figlia Luciana, il genero, la nuora, i nipoti e i parenti tutti. Per onorare la sua memoria sottoscrivono pro Notiziario.

DANTE CAVAZZONI (FIGARO)

In occasione del 13° anniversario della scomparsa del Partigiano Dante Cavazzoni “Figaro”, appartenente alla 77a BGT SAP “F.lli Manfredi”, la moglie Bruna Menozzi offre a sostegno del Notiziario. dicembre 2014

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Anniversari IN MEMORIA

SELVINO LANZONI

DOMENICO BAISI (RENZO)

IN MEMORIA

Sono passati tanti anni, ma le sorelle Delcisa e Franca, con il marito Nino, ricordano sempre con tanto affetto il fratello Partigiano Selvino Lanzoni della 77a BGT SAP ucciso dai tedeschi a Casoni di Luzzara il 23 marzo del 1945. Per mantenere vivo il suo ricordo sottoscrivono pro Notiziario.

E’ un anno che ci manchi, ma la tua presenza rimane tra noi: i “suoni” delle tue abitudini sono sempre vivi tra le mura di casa. Abbiamo ristrutturato il “nostro” appartamento così come sarebbe piaciuto tanto a te; e non hai avuto il tempo di portare a a termine il tuo deisderio. Ciao Renzo, proteggici ancora, se puoi. Giovanna

14° ANNIVERSARIO

IN MEMORIA

ARTURO LUSETTI (LUPO)

Il 3 dicembre ricorreva il 14° della scomparsa del Partigiano più giovane dell’Emilia Romagna: Arturo Lusetti, Lupo, di Villa Cella.I valori della Resistenza furono la sua vita quotidiana. “Mi manca la tua mano forte che stringeva la mia nei momenti difficili della vita. Ci manchi tanto e sempre ci mancherai. Tua moglie Edda, i figli Vanni e Rossana, i nipoti Davide, Vanessa e Beatrice”. Per onorare la sua memoria la Famiglia sottoscrive a favore del Notiziario.

MARCO MARASTONI

Laila e Lucia Grossi in memoria dell’amico Marco Marastoni offrono pro Notiziario.

4° ANNIVERSARIO

ALFIO MAGNANI (IVANO)

Il 6 dicembre 2010 moriva il Partigiano della 77a SAP Alfio Magnani, “Ivano”, di San Martino in Rio, per tanti anni attivo dirigente dell’ANPI locale. Era nato a Rio Saliceto il 7 dicembre 1924. Per onorarne la memoria la moglie Irma e la figlia Marzia sottoscrivono pro Notiziario.

EMILIO GROSSI (OBRAI)

IN MEMORIA

In memoria del papà Emilio e di tutti i parenti defunti Laila e Lucia Grossi offrono pro Notiziario.

17° ANNIVERSARIO

MARIO CATELLANI

4° ANNIVERSARIO

E’ sempre più duro per noi affronatre l’oggi e il domani senza il tuo ottimismo, la tua forza e il tuo coraggio. Ci siamo fatti nostri i tuoi valori, i tuoi insegnamenti uniti a quelli di zio Ferdinando dei cugini Remo, Ulderico Miselli e del cugino Sergio Davoli uccisi dai nazifascisti. Forse bisognerebbe fare di più per fare conoscere a tanti ragazzi di oggi delusi e amareggiati quanto coraggio tutti VOI avete avuto. Grazie! Annamaria, Lorenza, Renza e la tua Chiara Mario è deceduto il 28 gennaio 2011. 34

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ELIO TROLLI (SERGIO)

Sono passati 17 anni dalla scomparsa del Partigiano Elio Trolli Sergio, avvenuta il 20 dicembre 1997, ma il ricordo di lui, della sua passione, del suo impegno per il turismo amatoriale sono più vivi che mai in coloro che hanno avuto la possibilità di verificare la sua instancabile opera organizzativa in occasione dei tornei e dei raduni sui sentieri partigiani. Per onorane la memoria, le figlie Laila e Lilia, il genero e i nipoti, nel ricordarlo sempre con affetto e nostalgia, sottoscrivono pro Notiziario.


Anniversari 22° ANNIVERSARIO

ALESSANDRO DATTERI (FRANCO)

Il 26 novembre scorso ricorreva il 22° anniversario della scomparsa del Partigiano Alessandro Datteri Franco. Lo ricordano la moglie Ave Rosati e i figli Fiorella e Cesare e in sua memoria sottoscrivono per il Notiziario.

RENZO CAGOSSI

18° ANNIVERSARIO

In memoria di Renzo Gagossi, nel 18° anniversario della scomparsa, la moglie Albertina Bagnacani, il figlio e tutta famiglia offrono a sostegno del Notiziario

I sostenitori euro

euro

- NEREO GRASSI – sostegno .......................................... 20,00 - ANNA SALSI – sostegno ................................................ 50,00 - FRATELLI COCCONCELLI – in memoria della madre Maddalena Cerlini .......................................................... 50,00 - NORMA CATELLANI – in memoria di Aldo Ballabeni .....100,00 - FRATELLI GIACHETTI – in memoria dei genitori Renato ed Alice Saccani ................................................ 400,00 - GIOVANI SOCIALISTI Duesseldorf – sostegno ............. 200,00 - WILLIAM GANDINI – sostegno ..................................... 25,00 - GIOVANI in visita Museo Cervi – sostegno .................. 50,00 - FAM. LODESANI, San Martino in Rio – in memoria di Bruno Lodesani ...............................................................100,00 - ERIO LELLI – in memoria dei familiari defunti ............. 100,00 - MAURO SACCANI Correggio – sostegno ..................... 30,00 - SALVATORE CODA – sostegno ..................................... 20,00 - SEZ. ANPI RIO SALICETO – sostegno ......................... 100,00 - FRANCA e DELCISA LANZONI – in memoria del fratello Selvino ............................................................................ 50,00 - FAMIGLIE GOVI – in memoria di Aldo Govi ................. 100,00 - MARIAVILDE MISELLI – in memoria del fratello Edgardo Miselli ................................................................ 50,00 - VANNA PORTA – in memoria del padre Carlo Porta ....... 50,00 - GIACOMO NOTARI – in memoria del fratello Giuseppe Notari “Meri” ................................................. 50,00 - PARIS BULGARELLI – in memoria dei genitori Odoardo e Severina Bisi ............................................................... 100,00 - ALBERTINA BAGNACANI e fam. – in memoria del marito Renzo Cagossi ................................................................ 100,00 - FIORELLA FERRARINI – in memoria dei genitori ........... 50,00 - LORETTA GIARONI – sostegno ...................................... 50,00 - SEZ. ANPI CAVAZZOLI BETONICA – sostegno 300,00

- FAM. DATTERI Castelnovo Monti – in memoria di Alessandro Datteri .......................................................... 50,00 - SECONDO MARCIALI Castelnovo Monti – sostegno ...... 50,00 - SPI – CGIL REGGIO EMILIA – sostegno ........................ 150,00 - IDA COTTAFAVI – sostegno ............................................ 50,00 - BRUNO MENOZZI – sostegno ........................................ 50,00 - PATRIZIA RIVI – in memoria di Arrigo Rivi .................... 50,00 - IOLE SPAGGIARI – in memoria di Senno Riccò e Ivo Spaggiari .................................................................. 50,00 -GIGLIO MAZZI e DEA MONTANARI – in memoria di Bice Montanari e Giovanni Bertolini ............................... 250,00 - DAFNE ALBARELLI e fam. – in memoria di Agide Veroni .... 100,00 - GIUSTINA SPADONI – sostegno .................................... 50,00 - FAM. MARGINI – in memoria di Angiolino Margini ........ 50,00 - FAM. CAVAZZONI – in memoria di Dante Cavazzoni ....... 50,00 - MAURO SACCANI – sostegno ........................................ 30,00 - ENZO RABITTI – sostegno.............................................. 50,00 - ANNAMARIA PATERLINI – in memoria di Mario Catellani .. 100,00 - ALBERTINA BAGNACANI – in memoria di Arto Bagnacani .. 30,00 - MARCO COSTA – sostegno ............................................ 20,00 - IRMA ROSSI e MAGNANI MARZIA – in memoria di Alfio Magnani .................................................................. 50,00 - EDDA TAGLIAVINI – in memoria di Arturo Lusetti “Lupo” .. 80,00 - CIRCOLO ARCI RONDO’ per Trofeo Resistenza – sostegno . 500,00 - LAILA e LUCIA GROSSI – in memoria di Emilio Grossi, Marco Marastoni e tutti i parenti defunti ........................ 100,00 - EMO GHIRELLI “PINO” – sostegno ............................... 50,00 - LAILA E LILIA TROLLI – in memoria di Elio Trolli “Sergio” ... 110,00 - GIOVANNA BIANCHI – in memoria del marito Domenco Baisi “Renzo” .................................................. 30,00 - DAVIDE ZAMBONI – ...................................................... 20,00 dicembre 2014

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economia

Ttip: un accordo commerciale segreto UE-USA Abbiamo fatto una domanda sul tema a thomas casadei consigliere regionale uscente

Da un anno Europa e Stati Uniti stanno negoziando il Trattato transatlantico sugli investimenti (Ttip), un accordo commerciale che creerà la più grande area di libero scambio del mondo, con il rischio però di stravolgere le regole sui controlli e sulla sicurezza alimentare. Cosa ne pensi? Va subito detto che si tratta di negoziati segreti – lo sono ancora, in parte – accessibili solo ai gruppi di tecnici che se ne occupano, al governo degli Stati Uniti e alla Commissione europea. La questione della segretezza è stata e continua a essere uno dei maggiori punti di opposizione al trattato, denunciato da molte e diverse organizzazioni sia negli Stati Uniti che nei paesi dell’Unione Europea. E io sono certamente d’accordo su questo profilo di critica. Nel documento diffuso dalla UE, che è comunque l’unico ufficiale, il TTIP viene definito «un accordo commerciale e per gli investimenti». L’obiettivo dichiarato dell’accordo (piuttosto generico) è «aumentare gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato veramente transatlantico, generando nuove opportunità economiche di creazione di posti di lavoro e di crescita mediante un maggiore accesso al mercato e una migliore compatibilità normativa e ponendo le basi per norme globali». L’accordo dovrebbe agire quindi in tre principali direzioni: aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, uniformare e semplificare le normative tra le due parti abbattendo le differenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB), migliorare le normative stesse. L’accesso al mercato riguarderebbe quattro settori: merci, servizi, investimenti e appalti pubblici. Si prevede l’eliminazione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali di merci «con lo scopo comune di raggiungere una sostanziale eliminazione delle tariffe al momento dell’entrata in vigore dell’accordo». La liberalizzazione riguarda anche i servizi e gli appalti pubblici, l’obiettivo sarebbe «rimuovere gli inutili ostacoli agli scambi e agli investimenti compresi gli ostacoli non tariffari esistenti» Le barriere non tariffarie sono misure adottate da un mercato per limitare la circolazione di merci e che non consistono nell’applicazione di tariffe: quindi non si parla di dazi. Sono limiti di altro tipo: limiti quantitativi, per esempio, come i contingentamenti (che consistono nel fissare quantitativi massimi di determinati beni che possono essere importati) o barriere tecniche e di standard (cioè di regolamento). Un esempio tra quelli più citati dai critici è il seguente: negli Stati Uniti è permesso somministrare ai bovini sostanze ormonali, nell’UE è vietato e infatti la carne agli ormoni non ha accesso a causa di una barriera non tariffaria al mercato europeo. L’ultimo punto dell’accordo prevede un miglioramento della compatibilità normativa ponendo le basi per regole globali. Sono compresi i diritti di proprietà intellettuale. Si dice poi che vanno favoriti gli scambi «di merci rispettose dell’ambiente e a basse emissioni di carbonio», che vanno garantiti «controlli efficaci, misure antifrode», «disposizioni su antitrust, fusioni e aiuti di Stato». Come si può apprendere da vari spazi di discussione – come per esempio il blog di Luca Sofri - diversi studi hanno concluso che l’accordo avrà benefici sia 36

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per gli Stati Uniti che per l’UE. Gli studi favorevoli al trattato hanno inoltre stimato che il PIL mondiale aumenterebbe (tra lo 0,5 e l’1 percento pari a 119 miliardi di euro) e aumenterebbe anche quello dei singoli stati (si stimano 545 euro l’anno in più per ogni famiglia in Europa). Si avrebbero infine dei benefici derivanti dalla semplificazione burocratica e dalle regolamentazioni. Vari soggetti si oppongono all’accordo si va dall’organizzazione internazionale Attac a una rete di associazioni (compresa Slow Food) di vari paesi europei e statunitensi, fino a studiosi ed economisti vari. E certamente io mi sento molto più in sintonia con queste posizioni. Una delle principali critiche ai negoziati, oltre alla loro segretezza e mancanza di trasparenza, è il fatto che ad aver condotto il principale e più citato studio sui benefici dell’accordo sia il Center for Economic Policy Research di Londra, finanziato anche da grandi banche internazionali. Il punto principale di entrambe le analisi è comunque che l’armonizzazione delle norme sarebbe fatta al ribasso, a vantaggio non dei consumatori ma delle grandi aziende (così sempre traendo spunto da quanto si mette in rilievo nel blog di Luca Sofri). • I paesi dell’UE hanno adottato le normative dell’Organizzazione dell’ONU che si occupa di lavoro (l’ILO), gli Stati Uniti hanno ratificato solo due delle otto norme fondamentali. Quindi si rischierebbe di minacciare i diritti fondamentali dei lavoratori. • L’eliminazione delle barriere che frenano i flussi di merci renderà più facile per le imprese scegliere dove localizzare la produzione in funzione dei costi, in particolare di quelli sociali. • L’agricoltura europea, frammentata in milioni di piccole aziende, finirebbe per entrare in crisi se non venisse più protetta dai dazi doganali, soprattutto se venisse dato il via libera alle colture OGM (su questo punto non ci sono però ancora notizie precise). • Il trattato avrebbe conseguenze negative anche per le piccole e medie imprese, e in generale per le imprese che non sono multinazionali e che con le multinazionali non potrebbero reggere la concorrenza. • Ci sarebbero anche rischi per i consumatori perché i principi su cui sono basate le leggi europee sono diverse da quelli degli Stati Uniti. • I negoziati sono orientati alla privatizzazione dei servizi pubblici quindi secondo i critici si rischia la loro scomparsa progressiva. Sarebbe a rischio il welfare e settori come l’acqua, l’elettricità, l’educazione e la salute sarebbero esposti alla libera concorrenza. • Le disposizioni a protezione della proprietà intellettuale e industriale attualmente oggetto di negoziati potrebbero minacciare la libertà di espressione su internet o privare gli autori della libertà di scelta in merito alla diffusione delle loro opere. Credo occorra restare molto vigili e di certo contrastare, come propongono i critici, alcune tendenze che affermerebbero prassi liberiste senza freni su scala globale, ancora più di oggi.


cultura BASSA OVEST, NOVEMBRE 1951-2014

QUANDO IL PO STRARIPA

Novembre 2014 ha riproposto ai reggiani, a quelli della Bassa in modo del tutto particolare, il tema in alcuni casi drammatico della esondazione del Po. Nel manifestare la solidarierà dell’ANPI alle popolazioni toccate, pubblichiamo alcune foto scattate nella zona di Brescello dal nostro Angelo Bariani. Cogliamo l’occasione per un rimando storico. Esattamente 53 anni or sono, nel novembre 1951, i giornali davano notizia di nubifragi e alluvioni nel Nord Italia. In cronaca di Reggio “Il Giornale dell’Emilia” (che pochi anni appresso tornerà a chiamarsi “Il Resro del Carlino”) segnalava, quel 13 novembre, la piena del Crostolo e dell’Enza. Il giorno 14 il Po rompeva un argine in provincia di Rovigo; nel reggiano si aveva la rotta del Baccanello: l’argine sinistro del Crostolo era stato tagliato per impedire che la pressione delle acque rifluenti dal Po rompesse sulla destra allagando Guastalla, Luzzara e Novellara continuando poi la rovinosa corsa verso Sud-Est fino all’Adriatico. Le acque si riversarono così verso l’abitato di Gualtieri, da dove la popolazione preavvertita era già stata fatta evacuare. Lunghe teorie di autocarri, carri agricoli pieni di

masserizie, colonne di bestiame, si dirigevano verso Santa Vittoria e Cadelbosco. Fin dai primi di novembre il famoso astronomo Bendandi, dal suo osservatorio di Faenza, aveva previsto per il giorno 9 turbolenze solari che avrebbero avuto influenze negative sulla Valle Padana. Il 12 novembre, di fronte alla minaccia che veniva dal Po, era entrato in campo anche il vescovo Beniamino Socche, che aveva benedetto le acque verso la Biliana, per fermarle. Ma due giorni dopo l’alluvione arrivò e in poco tempo invase il territorio dei comuni di Gualtieri e Boretto, la maggior parte di quello di Brescello, 1200 ettari del territorio di Castelnovo Sotto (2.000 castelnovessi dovettero abbandonare le loro case), la parte bassa del territorio di Santa Vittoria. In pratica il territorio della Bassa ovest alluvionato aveva la forma di un triangolo isoscele con base lungo l’argine sinistro del Crostolo, da Camporanieri alla foce in Po, un lato lungo l’argine maestro del Po medesimo, fino a Brescello capoluogo, che divenne il vertice del triangolo; il terzo lato da Brescello alla bassa povigliese, ai territori di Meletole e Cogruzzo per finire a Camporanieri. dicembre 2014

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cultura A Meletole l’acqua raggiunse i quattro metri di altezza. Vi era giunta anche nel 1765, quando don Giuseppe, parroco di Fodico, aveva lasciato la sua chiesa da una finestra del campanile imbarcandosi su di una “navàssa” e trovando poi modo di descrivere la propria avventura ed il paesaggio sommerso, in una lettera ad un amico in cui leggiamo fra l’altro: “non si vedeva che cielo ed acqua, et populorum extrema et quercum annosarum [e le sommità dei pioppi e delle vecchie querce]”. Nel 1951,soltanto verso Natale le acque cominciarono a defluire. Il 24 dicembre le terre più alte di Meletole e tutte quelle di Cogruzzo erano sgombre. L’alluvione del 1951, si verificava, con conseguenze dolorose per tanta gente, poche settimane dopo la chiusura delle O.M.I. Reggiane, a conclusione dell’epica e sfortunata “lotta” durata per sedici lunghi mesi per salvare quello che era stato il più importante stabilimento industriale dell’Emilia. Finivano così sul lastrico 5.000 lavoratori. Furono tempi amari e duri.

In luglio di Francesca Correggi

I reggiani seppero uscirne in modi che meriterebbero di essere conosciuti. Riflettere su quel passato, sulla solidarietà che vi si manifestò, potrebbe dare una mano ad affrontare le sfide dei giorni presenti. (a..z.)

Il parroco di Brescello don Evandro Gherardi con il “Cristo parlante”; (le foto sono di Angelo Bariani)

Sagra della street ar t a Trinità di Canossa

Una mattina come tante, in centro a Reggio Emilia. Una mat-

tina di luglio una ragazza rientra sconsolata al parcheggio di via Cecati, gira dietro il deposito delle biciclette per recuperare la sua auto, scoraggiata dopo l’ennesimo colloquio di lavoro non andato proprio a buon fine. Ma da un lato del deposito incontra il volto sorridente e beffardo della poetessa Alda Merini, che qualcuno aveva disegnato riportando anche alcune delle sue parole: “il grado di libertà di una persona si misura dall’intensità dei suoi sogni”. Si stupisce di quella piccola sorpresa, di quel piccolo gesto di bellezza e umanità intravisto mentre si affrettava sovrappensiero alla macchina. In quel momento le è sembrato fosse lì per lei. In un attimo la strada e la situazione sono diventate ai suoi occhi diverse, meno nemiche.Spesso capita di imbattersi in immagini del genere sui muri delle nostre città, malgrado la legge non le riconosca come lecite. Ma come nascono? E cosa sono? Vandalismo? O inaspettate opere d’arte? Ne abbiamo parlato con alcuni degli organizzatori della “Sagra della street art”, una sorta di festival dell’arte di strada che si è tenuto in luglio a Trinità, una frazione di Canossa. Per incontrarli siamo andati nel vecchio casello del borgo di Vedriano, da tempo inutilizzato e ora trasformato in un grande laboratorio e luogo di incontro. “Una sera eravamo al Calamita a Cavriago – ci raccontano – e ci siamo chiesti cosa potevamo fare per mettere in moto la creatività e la voglia delle persone di stare insieme. La street art ci è sembrata lo strumento migliore. Abbiamo chiamato diversi artisti, anche dall’estero, che hanno raccolto con entusiasmo l’idea di cimentarsi sui grandi muri delle stalle e dei fienili. Anche perché, in realtà, l’arte di strada non è solo un fenomeno urbano: in Italia soprattutto si possono trovare nume38

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Foto sopra e quella in basso nella pagina a fianco sono di F. Correggi

rose opere sulle facciate delle case abbandonate in campagna”. Uno di questi ragazzi viene proprio da Vedriano e da lì si è mosso per contattare i proprietari di case, depositi, fienili, silos e stalle, che di buon grado hanno messo a disposizione i propri muri per una combinazione mai vista prima: una sagra della street art che si è svolta contemporaneamente alla tradizionale festa del grano di Trinità. In quei giorni un gallo è comparso all’ingresso dell’Osteria Notari, un grande ritratto di Matilde di Canossa su una casa di Vedriano, una volpe coloratissima dal fruttivendolo, lupi, scoiattoli, uccelli e altri animali un po’ dappertutto, mentre in paese sfilavano i trattori e le mietitrebbie.


cultura

Un esperimento di arte e di socialità nato in realtà molto tempo prima a Reggio Emilia, da quando questi giovani graffitari hanno iniziato a visitare e dipingere i vecchi muri delle Officine Reggiane, lasciate fino a quel momento all’abbandono e ai senzatetto. Da allora le Officine Reggiane sono diventate uno dei luoghi più “pittati” d’Italia, uno dei più grandi laboratori di arte di strada, dove murales enormi campeggiano tra i vecchi carroponti e le macerie.Da luglio anche Trinità e le frazioni attorno non sono certamente più le stesse e la bellezza delle colline e dei boschi si incontra con opere stupefacenti dove nessuno se le aspetterebbe. “Il fatto di rendere attrattivi questi luoghi non era tra i nostri principali obiettivi, quello che ci ha mossi è stata la voglia di stare insieme, ritrovarsi per far due chiacchiere, “cateres” insomma… con semplicità e spontaneità. E nel frattempo fare qualcosa che non fosse il solito lamentarsi del fatto che qui non c’è nulla e che ci si annoia. La resistenza oggi per noi è questo: avere il coraggio creare, trovare il modo di esprimersi e non arrendersi alla noia e all’individualismo. E’ il nostro modo di metterci in gioco. ”L’arte di strada per questi ragazzi è dunque una faccenda che ha decisamente a che fare con la socialità e la partecipazione, e anche con la libertà e i sogni, un po’ quelli di cui parlava anche l’Alda Merini del deposito in Via Cecati. “Vorremmo che il nostro fare arte non sia un circuito chiuso, limitato alle gallerie o alle mostre. Le nostre scelte artistiche sono spontanee e rivolte alla collettività. I graffiti, secondo la normativa, non sono legali, ma in realtà nessuno ci ha mai procurato noie se ci trovava a decorare un muro. E sapere che le nostre immagini qua e là siano a disposizione di tutti, che possano stupire positivamente qualcuno, migliorare la sua giornata, strappargli un sorriso, è per noi la più bella delle soddisfazioni”.

Le foto della pagina precedente e quella sopra sono di F. Correggi, quella sotto di Giovanna Strappazzon

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ISCRiVITI ALL’ANPI


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