Omelia s croce 2014

Page 1

Ritrovamento della Santa Croce Gerusalemme, 7 maggio 2014 Vorrei cogliere la sottolineatura di questa celebrazione, che non è tanto sulla croce, quanto sul suo ritrovamento. La croce era stata smarrita. Una donna tenace, la regina Elena, non si disperò di cercarla. La sua ricerca fu benedetta e questo oggetto prezioso venne ritrovato nel modo che conosciamo bene dalle letture di questa notte. La sua tenacia nella ricerca rese possibili per generazioni di credenti di rendere onore a quel pezzo di legno che ci rimanda alla testimonianza suprema di Cristo. Questa celebrazione ci dice che la croce rientra in quella dinamica, propriamente cristiana, per la quale il mistero di Dio va sempre di nuovo cercato, sempre di nuovo trovato. Questo dinamismo non è mai finito, non è mai dato una volta per tutte. Ricomincia sempre…, e il discepolo è chi accetta di entrare in quest’ottica del cercare, del ri-trovare, del perdere, del perdersi, del ricominciare… Cercare, trovare: sono due termini assai frequenti nella Bibbia. Si trovano riferiti all’uomo che cerca Dio: basta pensare a certe espressioni dei salmi, del Cantico dei cantici, a certi libri che sottolineano fortemente la ricerca di Dio, come in Giobbe, come la vita dei profeti. Le espressioni “cercare il volto del Signore”, “con tutto il cuore ti cerco”, “rispondimi Signore”, etc. risuonano nella nostra mente continuamente. Questi due termini, sono frequenti anche riferiti a Dio che cerca l’uomo; e forse non solo sono i più frequenti, ma anche i più “originari”. “In principio” è Dio che cerca l’uomo (Dove sei? Gen 3,9), e lo cerca proprio perché si è smarrito, l’uomo ha perso Dio e dunque se stesso, e si può ritrovare solo se si lascia cercare da Lui… Se non fosse per il desiderio di Dio, l’uomo sarebbe ancora nascosto nel giardino, per paura. E lungo tutto il corso dell’AT vediamo come sia proprio Dio a riprendere ogni volta il bandolo della matassa, che l’uomo perde continuamente, di questa relazione turbolenta. I patriarchi, la chiamata dei profeti, e così via, non sono altro che iniziative di Dio che vuole riprendere e ‘salvare’ questa relazione con Israele e con l’uomo. Dio continua insomma continuamente a chiedere: “Dove sei?”. Per venire ai brani neotestamentari, pensiamo alla parabola della pecora smarrita (Mat 18, 12-14); all’incontro con Zaccheo, dove Gesù stesso dice di essere venuto proprio per cercare ciò che era perduto… (Lc 19, 1-10). La dracma perduta nel pavimento a Cafarnao… (Lc 15, 9). Gesù ragazzo “smarrito” al Tempio… “Figlio, io e tuo padre ti cercavamo…” (Lc 2, 48). Perfino Maria e Giuseppe devono “cercarlo”. E pensiamo al mistero che possiamo chiamare del Sabato Santo, in cui Gesù scende negli inferi per cercare l’uomo perduto, per riportarlo a casa, per ridonargli la vita piena (At 2, 3; simbolo apostolico). La relazione tra Dio e l’uomo, dunque, passa attraverso questo duplice movimento: da una parte l’uomo che cerca Dio, e dall’altra Dio che cerca l’uomo.


Tutto questo ci ricorda che il mistero di Dio non è riducibile all’uomo stesso. Dio non sta semplicemente dentro le misure umane, ma in qualche modo lo eccede, lo supera. Sempre. L’incontro con Dio passa sempre attraverso una distanza che va colmata, e chiede un cammino, una conversione. Quando Dio non “eccede”, non è dio ma un idolo. L’idolo è un dio a misura d’uomo, un dio che risparmia la fatica del cercare perché ce lo siamo fatto noi, a nostra immagine. È la tentazione di sempre e che è oggi assai diffusa nei nostri ambienti sazi, che vogliono tutto a propria misura, perché hanno perso il senso del proprio limite e dell’essere creatura e con esso hanno perso il desiderio della ricerca che va oltre sé. Gesù stesso sottolinea questo aspetto quando chiede ai suoi, alla gente che lo incontra, di non dire a nessuno ciò che è accaduto in quell’incontro, o quando chiede ai demoni di non rivelare la sua identità. Il “segreto messianico” va inteso come uno spazio di sospensione, di silenzio, che diffida da una ricerca che trova subito l’oggetto del proprio cercare, che conosce la soluzione magicamente. Esso piuttosto si mette, umilmente, in uno spazio di attesa, nel quale ricevere il dono di una conoscenza che è grazia. Non si elegge Cristo come Re dopo il miracolo, insomma. Dopo l’evento che sazia la fame immediata dell’uomo, qualunque essa sia, non si acclama il Messia. Ma dopo la croce, si. È quello il momento in cui il Cristo si fa conoscere e trovare e che interpella l’uomo, chiamato a rispondere. E i modelli di risposta allo scandalo di un Messia e di un Dio sulla croce, li abbiamo proprio nel Vangelo: il centurione, i farisei, i discepoli fuggiaschi, i due ladroni, Giovanni, Maria… Vogliamo chiederci allora cosa significa, oggi, cercare la croce. Non significa certo cercare la sofferenza, e neppure riesumare una spiritualità che sottolinei il sacrificio, o pensare che una ricerca di Dio passi semplicemente attraverso l’identificazione con il mistero del dolore. Questo aspetto esiste, indubbiamente, ma non è il primo e immediato. La croce, intesa in questo senso, non è da cercare. S’impone da sola e per tutti, indistintamente. Per arrivare al punto, senza la pretesa di spiegare tutto, possiamo dire che parlare di croce in senso, cristiano significa parlare di compimento. La croce è il luogo dove tutto si compie (Gv 19, 30), dove il mistero della storia dell’uomo, dal suo principio, con tutti suoi smarrimenti, ritrova il suo fine, il suo senso: la croce è il consegnarsi di Cristo al Padre, e in questo sta il compimento a cui accennavo. E di conseguenza, per noi, cercare la croce significa, innanzitutto, cercare questa dinamica di compimento dentro gli eventi frammentati e dispersi della propria vita. Cercarne il senso, anche lì dove, apparentemente, questo sfugge al nostro sguardo, quando è nascosto. È ciò che abbiamo ascoltato domenica scorsa nel Vangelo dei discepoli di Emmaus, di questi uomini persi, perché non avevano la chiave di ciò che era accaduto. E la chiave era esattamente la croce come luogo di salvezza; era in 2


quel “bisognava” detto da Gesù ai due discepoli, nel quale sta il compimento e la pienezza. Il richiamo di questa nostra celebrazione, dunque, è ancora attuale per la Chiesa di oggi, per la nostra terra. Ritrovare la croce non è solo per onorarla, per accrescere la nostra devozione. Cercare la croce è cercare il senso di ciò che accade, e cercarlo con la fede di chi sa che la Pasqua è l’evento determinante per la storia di ciascuno e per la storia universale, di tutti, di sempre. Questo significa rendere ragione della speranza che è stata posta in noi (1Pt 3, 15). Come è possibile questo? A quali condizioni ci è dato di entrare in questa lettura nuova della storia? Non per le nostre forze, non per le nostre capacità, ma per la nostra scelta umile di lasciarci semplicemente attrarre. “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”, dice Gesù in un altro passo del Vangelo (Gv 12, 32). Dove lasciarci attrarre significa mettersi semplicemente in ascolto, come - appunto - i discepoli di Emmaus. Significa orientare in quel senso la nostra attesa. Significa lasciarsi trovare. Significa passare dalla nostra abituale dis-trazione a quella at-trazione di cui parla Gesù, sapendo che il contrario di distrazione non è attenzione, ma attrazione. Non c’è possibilità per noi di essere attenti a Cristo, se non perché lui ci attrae, ci cerca. È in questo modo che la propria vita è unificata, ha una sintesi, un compimento, intorno al quale si ri-compongono le storture, i fallimenti e tutte le morti della vita di ciascuno. Che rimangono, non scompaiono, ma hanno la possibilità di splendere della luce della Pasqua. I nostri problemi, dunque, non saranno risolti e probabilmente non staremo meglio. Non è questo lo scopo. Lo scopo è quello di trovare e risvegliare in noi l’affinità con la Pasqua, il desiderio della stessa consegna di Cristo, di tutto se stesso, della propria vita, al Padre. Pensiamo ora in particolare ai crocifissi – cristiani e musulmani – che abbiamo visto nelle immagini di questi giorni in Siria. Loro sono già entrati in questo mistero, nella consegna di sé al Padre. A noi forse non viene chiesto la stessa cruenta sorte. Ma la stessa testimonianza, si. È ciò che chiediamo in questa celebrazione, per noi qui presenti, per la nostra Chiesa, per la nostra terra. Fra Pierbattista Pizzaballa, ofm Custode di Terra Santa

3


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.