Nuova classificazione dei rifiuti urbani del D.Lgs 116/2020: effetti sull'assimilazione e sulla TARI

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Nuova classificazione dei rifiuti urbani: effetti su assimilazione e TARI di Paolo Pipere*, Giorgio Ghiringhelli**

2 igiene urbana igiene urbana ottobre-dicembre 2020

I decreti legislativi di recepimento del pacchetto di Direttive sull’economia circolare non si limitano a trasporre nell’ordinamento nazionale le nuove norme, che hanno confermato i principi fondamentali della precedente legislazione dell’Unione Europea sui rifiuti rafforzandone gli strumenti di attuazione, ma intervengono su questioni di importanza capitale per le imprese e per gli enti. Con il pretesto di dover conformare le norme nazionali alla modifica della Direttiva quadro sui rifiuti, con la quale è stata introdotta per la prima volta la definizione di rifiuto urbano, si è colta l’occasione per trasformare buona parte dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti dalle attività economiche, con l’eccezione di quelle industriali, in rifiuti urbani da conferire al servizio pubblico di raccolta. Nuova definizione di rifiuti urbani ed effetti sull’assimilazione Come è noto il D.lgs n. 152/2006, con l’articolo 195, comma 2, lettera e), attribuiva allo Stato la “determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello

smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani” [in realtà i criteri riguardavano l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani], mentre l’articolo 198, comma 2, lettera g), del medesimo decreto stabiliva in capo ai Comuni le competenze in materia di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri in precedenza citati. Con la Delibera del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984 - recante disposizioni per la prima applicazione dell’art. 4 del DPR 915/82 - sono stati definiti i criteri qualitativi di assimilazione. La ratio della disciplina era quella di individuare un elenco di tipologie di rifiuti aventi “una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani”. Con il termine “rifiuti urbani” si intendeva riferirsi, più propriamente, ai rifiuti domestici. La fissazione dei limiti quantitativi, invece, è stata di fatto demandata ai Comuni o agli ambiti territoriali ottimali. Erano quindi definiti “assimilabili” i rifiuti speciali non pericolosi (prodotti da un’impresa, da un ente o da un libero professionista) che lo Stato aveva ritenuto potessero essere recuperati o smaltiti in impianti originariamente progettati per trattare rifiuti urbani, mentre erano definiti “assimilati” i rifiuti che il Comune aveva deciso, sulla base di criteri qualitativi e quantitativi, di prendere in carico nel normale servizio di raccolta, trasformandoli quindi in rifiuti urbani. Il complesso metodo descritto ha nel tempo mostrato i propri limiti, fondamentalmente perché consentiva ad ogni Comune di giungere a una differente individuazione delle tipologie di rifiuti assimilati e a introdurre limiti quantitativi disomogenei per il conferimento al servizio pubblico dei rifiuti delle attività economiche. Fin dall’e-

poca del decreto Ronchi (D.lgs 22/1997) si attendeva una nuova disciplina della materia volta a garantire un’uniforme applicazione dei criteri di assimilazione. In sede di recepimento delle Direttive sull’economia circolare (in particolare il D.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio”, pubblicato nella G.U. dell’11 settembre 2020) è stato invece profondamente modificato il criterio di classificazione dei rifiuti in funzione della loro origine, con conseguenze molto preoccupanti in termini di incremento delle superfici assoggettate a tassa rifiuti per tutte le attività economiche, con l’eccezione degli insediamenti industriali. I nuovi criteri entreranno in vigore dal 1° gennaio 2021. Nel nostro ordinamento, come precedentemente descritto, vi era quindi già sia un’articolata definizione di “rifiuto urbano” sia un criterio, pur sicuramente da aggiornare e rendere omogeneo sull’intero territorio nazionale, per individuare i flussi di rifiuti prodotti dalle attività economiche che era possibile e opportuno ritenere simili a quelli urbani di origine domestica (assimilati). Ciononostante con il nuovo criterio introdotto nell’articolo 184, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 secondo il quale sono rifiuti urbani per origine anche i «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato Lquater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies», si è scelto di sovvertire completamente il precedente criterio di classificazione, senza peraltro


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