FUTURA UMANITA PROPAGANDA

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FUTURA UMANITÀ

FEBBRAIO 2025 | Nº 1 GIOVANI DEMOCRATICI

“PROPAGANDA”

FEBBRAIO 2025 | Nº 1

Giornale Mensile dei

Giovani Democratici Torino

Redazione

Bossi Juri

Del Peschio Giosuè

Geromin Jacopo

Houmi Yasmina

Luppino Davide

Nicosia Diego

Raia Federico

Voerzio Paula

Grafiche Geromin Jacopo

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MELONI NEL CILINDRO

Difficile la vita da premier, soprattutto quando si passa dal gridare all’onestà in piazza al doverla praticare nel governo. Giorgia Meloni sta attraversando settimane di autentica tempesta politica, tra scelte discutibili e scandali che si accumulano come bollette non pagate. A gennaio, il governo ha pensato bene di liberare un criminale di guerra ricercato dalla Corte Penale Internazionale, una decisione che ha fatto sobbalzare persino i diplomatici più cinici. Se qualcuno sperava che il peggio fosse passato, si sbagliava di grosso: a seguire, il governo ha collezionato un rinvio a giudizio per la

ministra del Turismo, Daniela Santanchè, e una condanna per il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Dimissioni? Neanche l’ombra, perché in questo esecutivo la responsabilità politica è un concetto flessibile, come la coerenza nei discorsi elettorali.

E Meloni? Quella che in opposizione urlava “dimissioni!” a ogni refolo di vento giudiziario, oggi sembra aver sviluppato un’improvvisa passione per il silenzio.

In effetti, deve essere difficile mantenere la stessa intransigenza quando gli scandali bussano alla propria porta invece che a quella degli avversari.

Mentre il governo arranca tra polemiche e imbarazzi, l’unico dato certo è che la coerenza politica è diventata merce rara Nel frattempo, gli italiani assistono a questo teatrino con un misto di sconcerto e rassegnazione, chiedendosi se la prossima puntata di questa tragicommedia riserverà nuove sorprese.

La Meloni ha ormai delineato chiaramente il suo modus operandi, e il caso Almasri ne è la prova più lampante Tralasciando l’importanza della questione di merito, ciò che inquieta maggiormente è il comportamento del Presidente del Consiglio, sempre più incline a una comunicazione unidirezionale e priva di confronto.

Emblematico è il video con cui ha annunciato di essere sotto indagine: una dichiarazione social, senza contraddittorio, con un tono che la pone al di sopra delle istituzioni, quasi ex cathedra Ma a preoccupare davvero sono i contenuti del messaggio: una premier che attacca il potere giudiziario e grida al complotto, una strategia ormai collaudata in questo governo, dove anche Salvini sembra attingere a piene mani dal manuale del vittimismo politico.

Le parole, i toni e l’atteggiamento ricordano epoche politiche che si speravano superate. La frase “chi è contro di me è contro il bene dell’Italia” non è solo un messaggio autoritario, ma rappresenta una deriva pericolosa per il dibattito democratico.

La Meloni continua a delegittimare la magistratura, dipingendo i giudici come una congrega di pericolosi bolscevichi assetati di sangue. Un atteggiamento da leader autoritaria più che da capo di governo, che evidenzia il disprezzo per le istituzioni e per il principio di separazione dei poteri. Non soddisfatta del danno d’immagine già arrecato, ha poi avuto la brillante idea di evitare il Parlamento come la peste, rifiutandosi di riferire dopo il rilascio del trafficante. Semplicemente, si è data per dispersa, lasciando agli italiani solo l’eco dei suoi video propagandistici sui social

Forse crede davvero di poter governare il Paese da uno schermo, riducendo i cittadini a una massa di spettatori inermi, privi di diritto di replica e costretti ad applaudire a comando. Il suo messaggio è chiaro: lei decide, gli altri si adeguano. Un’idea di democrazia che fa accapponare la pelle

Mentre il governo si dimena tra scandali e giustificazioni ridicole, il Paese resta in balia di un potere sempre più autoreferenziale.

E così, abbiamo appena scalfito la superficie dell’oceano di nefandezze che questo governo sta vomitando sul Paese Se volessimo davvero addentrarci nei suoi deliri legislativi – dal famigerato DDL sicurezza alla deportazione dei migranti in Albania con un cinismo che farebbe invidia ai peggiori regimi, fino alle promesse elettorali infrante con la disinvoltura di un truffatore navigato – servirebbe un’enciclopedia E voi lettori, se voleste davvero scorrere ogni capitolo di questa discesa nel ridicolo e nel dispotico, dovreste sacrificare giorni interi Merita, infine, evidenziare uno degli eventi più recenti: la strada che si sta percorrendo verso l’esclusione dell’Unione Europea dai trattati di pace sulla guerra in Ucraina Anche qui il materiale per un’intera inchiesta sarebbe sterminato, ma soffermiamoci sulla figura della Meloni. Dopo essersi vantata della sua amicizia con Trump e aver presenziato con entusiasmo alla sua investitura, oggi si ritrova relegata in un angolo quando si tratta di questioni realmente importanti Mentre i grandi della politica mondiale decidono il futuro del conflitto, lei viene spedita a dormire in stanze secondarie, lontana dai tavoli che contano Un’umiliazione che riflette perfettamente la realtà del suo governo: tanta propaganda, ma poca rilevanza concreta nello scacchiere internazionale

Un trionfo, insomma, per chi voleva riportare l’Italia al centro della scena internazionale… peccato che il centro, a quanto pare, sia sempre più lontano Questa carrellata di fatti tragicomici è il frutto di una politica italiana destinata a regalarci ancora un'infinità di sorprese, e che, senza ombra di dubbio, ci fornirà tonnellate di materiale per costruire un'opinione diametralmente opposta a quella del governo.

Paula Voerzio

M(ERITO), L’INGANNO

DEL SECOLO

Chiara e Angela sono due giovani coetanee che nello stesso periodo hanno conseguito la laurea triennale la prima e la laurea magistrale la seconda. Dopo la fine degli studi hanno iniziato entrambe a lavorare. Chiara ha iniziato a insegnare in una scuola superiore, Angela è stata assunta con un tirocinio in un’impresa di produzione dolciaria. Lo stipendio di Chiara era inizialmente più alto di quello di Angela, ma dopo pochi anni la situazione si è invertita; Chiara ha continuato a insegnare con uno stipendio poco più alto di quello iniziale, Angela invece ha acconsentito a trasferirsi all’estero per un paio d’anni ed è stata promossa. Dopo vent’anni dall’inizio della carriera lavorativa gli stipendi di Chiara e Angela sono molto differenti, infatti, la seconda guadagna tre volte tanto la prima. Angela merita la ricchezza che ha guadagnato? Considerando solo gli elementi descritti potremmo concludere di sì, ha studiato più a lungo, si è laureata più in fretta e ha accettato di spostarsi per lavoro Tuttavia, questa conclusione può facilmente essere ribaltata considerando il background delle giovani:

Angela è cresciuta in una famiglia con entrambi i genitori laureati, benestante che le ha consentito di dedicarsi a tempo pieno agli studi. Inoltre, ha avuto alcune difficoltà con un paio d’esami e i suoi genitori le hanno pagato diverse ripetizioni Infine, provenendo da una famiglia benestante, Angela non ha subito la pressione e la fretta di trovare subito un lavoro, ha avuto più tempo per cercarne uno che meglio si adattasse con le sue aspettative per poi essere assunta nell’azienda il cui proprietario è un caro amico di famiglia

L’origine famigliare di Chiara è invece molto più modesta. I suoi genitori sono separati, il papà lavora come fresatore e la mamma cucina in una mensa scolastica. Entrambi avrebbero preferito che andasse subito a lavorare per contribuire alle spese familiari, ma Chiara ha insistito e si è pagata gli studi lavorando per tutta l’università, come cameriera nei fine settimana e dando ripetizioni a studenti delle scuole superiori nei giorni feriali. Questo piccolo esempio ci aiuta a mettere

a fuoco un aspetto che ormai nelle nostre società è talmente interiorizzato in ognuno di noi che difficilmente viene discusso; il mito del self-made man Nell’immaginario collettivo, una persona di successo è diventata tale grazie ai suoi sforzi, al suo duro lavoro, quindi, merita di godere del suo status privilegiato Ne consegue che se una persona vive in condizioni precarie, con contratti a tempo determinato, sottopagato, demansionato evidentemente, quella persona, non si è impegnata molto nella vita, ha oziato e non ha lavorato duro. Quindi è colpa sua. Dobbiamo, invece, cominciare a pensare che, vivendo in una società dove le diseguaglianze pongono dei vincoli alle possibilità delle persone, non può esistere vero merito e dobbiamo chiederci se effettivamente sia mai esistito Innanzitutto, dobbiamo definire cosa si intende per “disuguaglianza”. In generale possiamo definire il fenomeno come la diversa distribuzione delle risorse materiali e immateriali che danno luogo a condizioni di vita e opportunità migliori o peggiori. “Disuguaglianza” non è sinonimo di “differenza” poiché la “disuguaglianza” presuppone un ordine gerarchico, una stratificazione della società (la “differenza” no, non contiene altre accezioni) Sostanzialmente sono l’una la precondizione dell’altra. In altre parole, se esistono delle diseguaglianze tra le persone è proprio perché esiste una

società organizzata in strati o classi nelle quali reddito e ricchezza non sono distribuiti in maniera equa

Le disuguaglianze si stratificano tramite diversi meccanismi come il genere, l’istruzione, lo status sociale e la condizione economica e questi meccanismi ordinano la società; i privilegiati stanno al di sopra della stratificazione mentre i meno privilegiati stanno alla base Le disuguaglianze diventano strutturali soprattutto grazie alla capacità di essere trasmesse da generazione in generazione in maniera longeva Uno studio condotto da Banca d’Italia ha dimostrato che i cognomi delle famiglie più ricche di Firenze sono gli stessi da seicento anni. Già questo mette profondamente in discussione il mito dello zio d’America

Le diseguaglianze generazionali si trasmettono tramite quattro canali principali:

Il canale genetico, relativo ad alcuni tratti come abilità e soft skills trasmesse per via ereditaria.

Il canale economico, relativo all’impatto del reddito e della ricchezza della famiglia.

Il canale culturale, relativo all’ambiente familiare condiziona le scelte future die propri figli

Il canale sociale, relativo alle sollecitazioni della rete di amicizie e conoscenze dell’individuo

I canali di trasmissione delle diseguaglianze operano in diverse fasi della vita e possono interagire tra loro creando numerosi feedback negativi o positivi sulle scelte individuali e di conseguenza sulle prospettive socioeconomiche future L’istruzione è considerata il veicolo tramite cui le persone possono emanciparsi dalle proprie condizioni di vita e puntare a posizioni di sociali più redditizie Effettivamente è così; l’istruzione è lo strumento di mobilità sociale per eccellenza. Ma persino l’istruzione è soggetta, se non condizionata, alla stratificazione delle diseguaglianze

Prendiamo l’esempio descritto in precedenza. Chiara e Angela non provengono dalla stessa classe sociale Angela proviene da un contesto agiato mentre la famiglia di Chiara è decisamente più modesta. I genitori di Angela, entrambi laureati, hanno potuto assicurare alla loro figlia un percorso di studi stabile mentre i genitori di Chiara, vivendo in condizioni

precarie, avrebbero preferito che dopo il diploma trovasse subito un lavoro Magari già nelle scelte delle scuole superiori i genitori di Angela e Chiara hanno giocato un ruolo di indirizzamento. A meno che non crediamo fermamente che le famiglie benestanti vogliano più bene ai propri figli rispetto alle famiglie povere, non possiamo trascurare il fatto che le condizioni economiche delle famiglie d’origine influenzano per necessità le scelte e le prospettive future.

A conferma del fatto che ci troviamo difronte ad un fenomeno complesso, possiamo affermare che la trasmissione delle disuguaglianze non sembra esaurirsi nel tempo ma anzi continua ad operare persino dopo il completamento degli studi In media, il figlio di un dirigente aziendale, a parità d’istruzione del figlio di un impiegato, ha un reddito annuo superiore del 17% Essendo la nostra una società omofila, nel senso che le persone sono portate a stringere rapporti con altre persone con le quali condividono lo stesso status sociale, è molto probabile che una famiglia abbiente si relazioni con altre famiglie abbienti intrecciando ampie reti sociali di un certo spessore. E quì casca l’asino

Due persone con lo stesso titolo di studio ma con un background diverso avranno inevitabilmente possibilità e opzioni di vita diverse Per capire se una persona è effettivamente meritevole di un determinato trattamento bisognerebbe conoscere la sua storia e tener conto degli sforzi e delle difficoltà riscontrate per poter superare un obiettivo. Ma il merito così com’è declinato nelle nostre società contemporanee non tiene conto dell’effettivo background individuale ma valuta la sola performance. Se si è ricchi, facilmente lo si rimane ma se non lo si è difficilmente lo si diventa

SANITÀ E SALUTE NON SONO NEGOZIABILI

Il disegno di legge delega per la riforma dell'accesso ai corsi di laurea in Medicina, Odontoiatria e Veterinaria è stato approvato dal Senato il 27 novembre 2024. Ad oggi è in attesa di essere discusso alla Camera dei Deputati per la prosecuzione dell'iter legislativo.

Il tradizionale test d'ingresso sarebbe eliminato, la selezione posticipata di 6 mesi Tutti gli aspiranti studenti potrebbero iscriversi liberamente al primo semestre e al termine di questo periodo, una selezione basata sugli esami sostenuti determinerà chi potrà proseguire nel percorso accademico e chi dovrà trovarsi una laurea di ripiego.

La riforma di propaganda voluta dal Ministero dell’Università, sotto la direzione dell’onorevole Bernini, è insostenibile, inutile e illude migliaia di ragazzi. Urge fare chiarezza sulla condizione attuale del Sistema Sanitario Nazionale in termini di organico e risorse, sulla formazione medica e sulla condizione delle Università italiane

In Italia ci sono 410 medici ogni 100 mila abitanti, un dato superiore a paesi come Francia (318 medici per 100 mila abitanti) o Paesi Bassi (390 medici per 100 mila abitanti) È lampante che il vero problema della carenza di personale nel SSN non sia la quantità di medici, ma il fatto che molti preferiscono lavorare nel privato o emigrare all'estero a causa delle pessime condizioni di lavoro e delle retribuzioni contrattuali non adeguate. A ciò si aggiunge che il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) secondo la recente legge di Bilancio vedrà una riduzione significativa, passando dal 6,12% del PIL nel 2024 al 6,05% nel 2025 in contrasto con paesi come la Francia e la Germania che destinano circa il 10% del PIL in sanità. Il Sistema Sanitario deve essere messo in condizioni di attrarre i medici già formati che oggi preferiscono le cliniche private o emigrare all’estero A tal proposito, aumentare il Fondo Sanitario Nazionale al 7,5% del PIL è la soluzione per salvare il SSN

La proposta di riforma Bernini è formulata ad hoc per raccogliere qualche consenso politico, ma ignora completamente la sua insostenibilità sul lungo termine, le pesanti

ricadute sulle università italiane e sugli studenti e soprattutto non serve a migliorare le condizioni del SSN È fondamentale infatti chiarire che la formazione di un medico specialista in Italia prevede il superamento di diverse tappe Sei anni di Laurea Magistrale a ciclo unico all’Università di Medicina e Chirurgia, al termine dei quali ci si può iscrivere all’Ordine Professionale dei medici ed è possibile svolgere esclusivamente le seguenti mansioni: sostituzione del medico di base (MMG) o pediatra (PLS); lavorare come Guardia Medica in servizio di continuità assistenziale; lavorare come medico per eventi sportivi, fiere, manifestazioni; lavorare come medico dell’INPS, INAIL; effettuare prelievi nei laboratori analisi; tenere corsi di primo soccorso per la sicurezza sul lavoro Successivamente, solo dopo aver sostenuto un Test univoco, che si tiene nello stesso giorno e alla stessa ora per tutti i candidati in Italia il medico chirurgo può accedere alla graduatoria nazionale per potersi iscrivere alla Scuola di Specializzazione

L’accesso dei medici alle Scuole di specializzazione di area sanitaria è a numero programmato. Per essere ammessi ad una Scuola di specializzazione occorre essere in possesso di un titolo di laurea in medicina e chirurgia, con obbligo di conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo entro la data di inizio delle attività didattiche, e superare un concorso azionale di ammissione per titoli ed esame bandito annualmente dal MIUR (fonte: mur gov it)

SANITÀ 08

La durata del percorso di Formazione Specialistica è compresa fra i 4 e 5 anni Fanno eccezione le scuole di formazione specialistica in MMG che dura 3 anni. Solamente al termine, quindi di almeno 10 anni di Formazione Universitaria, il Medico Specialista può essere assunto dall’ASL e può lavorare in un reparto d’ospedale.

Come può una riforma del test di ingresso all’università di medicina, che si ricorda essere solo il primo gradino della formazione decennale di un medico, rispondere alla carenza odierna di medici strutturati nel nostro SSN?

È evidente che l’unico vero fine della riforma sia “accalappiare” consensi nelle famiglie dei giovani aspiranti medici, facendo leva sulla preoccupazione di genitori, nonni, zii che pur di assecondare i sogni dei loro giovani figli o nipoti farebbero di tutto.

La riforma voluta dalla ministra di destra è un tentativo meschino di aggirare elettori angosciati e soprattutto poco informati. Pur assecondando per un attimo la politica meschina e priva di ogni morale della Bernini, risulta evidente la sua insostenibilità in termini pratici.

Nel 2024, i posti disponibili per l'accesso ai corsi di Medicina nelle università italiane sono stati circa 20 000, a fronte di 53 763 candidati al test di ingresso di maggio e 44.450 candidati a quello di luglio. È evidente che l'idea di aprire indiscriminatamente il primo semestre del corso di laurea a chiunque voglia intraprendere la carriera medica è insostenibile, sia in termini di infrastrutture che di docenti Senza un adeguato piano di investimenti e di supporto al sistema formativo, la riforma non farà che aggravare una situazione già critica, ingolfando le Università italiane

Se oggi le università possono ospitare al massimo 20 mila studenti, come possono all’improvviso fronteggiare quasi il triplo degli iscritti?

All’Università di Torino, la sede di Via Chiabrera dispone di aule per tutti i corsi di Medicina e Chirurgia, tutti i corsi della triennale in Scienze Motorie (SUISM), numerosi altri corsi delle facoltà di Fisica, Scienze Naturali, Ostetricia e Infermieristica Pediatrica Durante il primo semestre intere classi sono state obbligate a seguire le lezioni per settimane, nelle sale del cinema al centro commerciale Lingotto Il sistema universitario è già in serie difficoltà, la riforma Bernini mira al collasso.

Basare la selezione sui risultati ottenuti negli esami del primo semestre è un metodo estremamente iniquo Ogni candidato avrà competenze differenti, che verranno valutate in modi differenti a seconda dell'ateneo e soprattutto del docente Questo approccio non solo introduce disuguaglianze nella selezione, ma amplifica anche le disparità tra le università, perpetuando un divario significativo tra gli atenei

Senza un adeguato piano di investimenti e di supporto al sistema formativo, la riforma non farà che aggravare una situazione già critica, senza risolvere i problemi strutturali che affliggono il settore della salute e dell'istruzione in Italia.

Il Sistema Sanitario Nazionale è in crisi e va ristrutturato; aumentare il Fondo Sanitario Nazionale è indispensabile per poter auspicare in un miglioramento.

Rimane una incognita dove finiranno gli studenti e le studentesse che non riusciranno a dare tutti gli esami: verranno esclusi per sempre dalla possibilità di studiare medicina? Saranno indirizzati verso corsi di laurea di serie B per studenti e studentesse meno capaci?

Tutto ciò è assurdo e per queste ragioni il dicembre scorso siamo scesi in piazza, al fianco degli studenti e dei rappresentanti d’ateneo, ma non ci fermeremo qui, vogliamo andare fino in fondo. Lo scopo della giovanile è quella di rappresentare le nostre istanze nelle istituzioni e per questo abbiamo lavorato alla stesura di un Ordine del giorno affinché il consiglio regionale prenda posizione contro la riforma È il momento di opporci

Giosuè Del Peschio

CONGO, UN CONFLITTO NUOVAMENTE DIMENTICATO

Una nuova crisi umanitaria è implosa nella Repubblica democratica del Congo. Nel Kivu acqua e cibo cominciano a scarseggiare tra gli sfollati Detto così, sembrerebbe che la quiete congolese sia stata interrotta a Goma dai miliziani dell’M23 (Movimento del 23 marzo), organizzazione paramilitare della Repubblica Democratica del Congo considerata storicamente un gruppo filoruandese per la presenza dei tutsi Invece conflitti e violenza lì sono purtroppo la norma. I milioni di morti conteggiati dalle guerre degli anni ’90 a oggi sono la tragica costante dei conflitti interetnici intersecati dagli interessi predatori dei gruppi armati (oltre cento) che si contendono l’estrazione di oro, diamanti e le materie prime strategiche (cobalto, coltan, rame, uranio, ecc ) alla base delle nostre transizioni digitali, energetiche e via dicendo. Ora però si paventa l’innesco di un’ulteriore guerra ad alta intensità Presa Goma, l’M23, con l’inconfessato supporto del Ruanda, dice che proseguirà fino alla capitale Kinshasa, per rovesciare il governo. Di sicuro punta al resto del prezioso distretto del Kivu La Turchia, coltivando il suo peso africano, si propone per la mediazione, ma è stato già respinto il tavolo negoziale suggerito dal Kenya, mentre a dicembre è saltato quello allestito in Angola nel tentativo di moderare lo scontro di lunga durata tra governo e guerriglieri, rilanciato da questi

ultimi dal 2023. Il presidente congolese Tshisekedi ha chiamato alla mobilitazione generale, pur patendo le fragilità e i contrasti nelle forze armate Un conflitto allargato potrebbe trascinare altri Stati della regione, chi per timore di reazioni a catena al loro interno, chi per strappare altri ricchi territori, replicando le dinamiche delle guerre esplose dal 1996 in poi. Ad aizzarsi sarebbero anche altre milizie ribelli che flagellano internamente il Congo In alternativa, il conflitto potrebbe circoscriversi al Kivu, con effetti catastrofici per i civili bloccati sotto il fuoco incrociato

Prima che agli scenari possibili, serve guardare ai moventi attuali. L’M23, nato nel 2012 come espressione dell’etnia tutsi, accusa il governo di appoggiare le prevaricazioni perpetrate dagli hutu Sulla spallata a Goma forse ha influito il rinnovo per un altro anno del mandato Onu ai caschi blu della Monusco, rinviando la smobilitazione Il presidente ruandese Kagame respinge i dossier sui suoi finanziamenti al gruppo ma rivendica il diritto di difesa dal Fdlr (Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda), organizzato dai guerriglieri hutu spostatisi in Congo quando la minoranza tutsi, vittima del genocidio del 1994, prese il potere con il Fronte patriottico guidato da Kagame e sostenuto dall’Uganda. Ma c’è altro. Il Ruanda, privo di miniere, deve buona parte del PIL ai minerali congolesi

illegalmente estratti e tradotti oltre confine Adesso la politica dei “due forni” di Tshisekedi ne minaccia i proventi: profittando della concorrenza tra investitori cinesi e statunitensi, Kinshasa va negoziando condizioni di maggior favore con Pechino e Washington, puntando su industrializzazione, infrastrutture e controllo del territorio. Ciò taglierebbe fuori gli interessi ruandesi, spiegando i ritorni che il governo di Kigali ricaverebbe dalla destabilizzazione in un Congo da cui allontanare capitali e progetti esteri. Durante la dittatura di Mobutu (19651997), il Paese fu sotto prelazione occidentale. Chiuso il bipolarismo UsaUrss, deposto il regime sguarnito dell’ombrello antisovietico, Kabila aprì alla Cina, giunta negli anni a surclassare gli investimenti dall’Occidente, pompando capitali e realizzando opere per ostentare un atteggiamento cooperativo sulla scia del maoismo terzomondista Ma oggi gli

Stati Uniti, in risposta ai rami africani delle Vie della Seta, mettono in cantiere il Corridoio di Lobito: 1300 km di ferrovia per collegare le economie tra Zambia e Angola via Congo.

Le proteste sulle vie di Kinshasa e i recenti assalti alle ambasciate mostrano i sospetti popolari sulle collusioni occidentali con il Ruanda, quale agente agitatore ingaggiato in funzione anticinese. La piazza recrimina la predilezione dell’anglosfera per Kigali, certificata da Kagame con l’adozione dell’inglese a lingua ufficiale. Al che si aggiunge il memorandum con l’Ue per la raffinazione sostenibile dei minerali, di fatto però predati in Congo Eppure, ancora sulla traccia del “cui prodest”, si troverebbe anche una spiegazione speculare, con la Cina interessata a contrastare il ritorno di fiamma statunitense, suffragata dal rifiuto del Ruanda di partecipare a triangolazioni infrastrutturali con Congo e Usa, in cambio di una stretta sull’M23 D’altronde è possibile che le rivalità tra Usa e Cina si elidano, lasciando che la partita sia tutta locale, in attesa di gestirne gli esiti (“business is business”) ma senza soffiare sul caos foriero di incognite. Al netto delle accuse, il senso della protesta a Kinshasa si riassume in uno dei suoi slogan: “Goma comme Gaza” (Goma come Gaza). Un misto di rabbia e timore per l’inerzia e per i doppiopesismi imputati ai maggiorenti della cosiddetta “comunità internazionale” Complici l’indifferenza e le omissioni interessate,

riservate ai drammi africani troppe volte, troppo a lungo Un’alleanza di milizie di cui fa parte anche l’M23, il gruppo che la scorsa settimana ha preso il controllo di Goma, città orientale Repubblica democratica del Congo, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale a partire da martedì 4 febbraio. La ragione, stando al comunicato del gruppo, sono «motivi umanitari» Nel comunicato si legge anche che, contrariamente a quanto era stato detto nei giorni scorsi, i miliziani non hanno intenzione di prendere Buvaku, una città a sud di Goma, né altre aree del paese La scorsa settimana diverse testimonianze avevano riferito di scontri a sud di Goma e diretti verso Buvaku e giovedì uno dei leader del gruppo aveva detto che l’obiettivo dell’M23 era conquistare il potere in tutto il paese e rovesciare il governo dell’attuale presidente Felix Tshisekedi

Non è chiaro se con questa dichiarazione l’M23 intenda lasciare all’esercito congolese il controllo di Goma, capoluogo della regione di Kivu Nord, molto ricca di metalli preziosi, oppure no Nel comunicato si legge che il gruppo ha intenzione di «difendere e proteggere la popolazione civile e le proprie posizioni» Negli ultimi giorni gli scontri tra l’esercito e i miliziani hanno causato 25 milioni di congolesi che hanno bisogno di assistenza sanitaria, due milioni di profughi di cui più di 630 mila persone sono state costrette a fuggire dalle loro case a causa della violenza nel Nord Kivu, 5 milioni di morti dal 1998 a oggi, il bilancio più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale, che si sono aggiunti a 10 milioni di morti negli ultimi 28 anni nelle miniere per aver raccolto materiali di elementi tecnologici sotto il silenzio assordante della comunità internazionale. Bambini e donne sono le prime vittime: ogni mese centinaia di minori ricevono diagnosi di malnutrizione e denutrizione grave, mentre la violenza sessuale viene usata come arma di guerra.

Le organizzazioni umanitarie, tra cui l’Onu, hanno parlato nei giorni scorsi di una situazione umanitaria molto grave, messa nuovamente in ultimo piano in quanto riguardante uno dei Paesi meno sviluppati del mondo

Yasmina Houmi

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TRE PROPOSTE PER TORINO: LA VOCE DEI

GIOVANI CHE IL GOVERNO

IGNORA

Essere giovani oggi in Italia significa affrontare una crescente precarietà, il disagio psicologico e un sistema politico che troppo spesso non presta ascolto alle nuove generazioni Come Giovani Democratici di Torino, riteniamo che la politica debba tornare a essere uno strumento di cambiamento concreto, capace di rispondere ai bisogni reali delle persone Per questo abbiamo elaborato tre proposte fondamentali, con l’obiettivo di rendere la nostra città più equa, inclusiva e attenta alle esigenze di chi guarda al futuro con speranza ma si scontra quotidianamente con difficoltà e ostacoli..

Educazione alla legalità: prevenzione e responsabilizzazione

Nel dibattito pubblico sulla sicurezza, il governo sembra promuovere esclusivamente politiche repressive, ignorando il ruolo fondamentale della prevenzione e della formazione I dati dimostrano chiaramente come la microcriminalità e il coinvolgimento giovanile nella criminalità organizzata siano fenomeni in crescita:

Nel 2023, i reati di microcriminalità a Torino sono aumentati del 7% rispetto all’anno precedente, con un incremento del coinvolgimento dei minori

Secondo la Direzione Nazionale

Antimafia, la criminalità organizzata ha intensificato il reclutamento giovanile, sfruttando la marginalità sociale e le piattaforme digitali

L’ISTAT evidenzia che i giovani tra i 14 e i 18 anni rappresentano la fascia più esposta al rischio di devianza, specialmente nelle periferie urbane

Di fronte a questi dati, riteniamo indispensabile l’istituzione di un Servizio di Educazione alla Legalità nelle scuole secondarie di primo e secondo grado. Attraverso un programma strutturato e continuativo, vogliamo sensibilizzare i giovani sui principi della legalità, della giustizia sociale e della cittadinanza attiva

La creazione di percorsi educativi mirati, in collaborazione con associazioni territoriali e istituzioni, può rappresentare un’alternativa concreta alla criminalizzazione e alla repressione, promuovendo un modello di sicurezza basato sulla consapevolezza e sulla responsabilizzazione

Educazione affettiva: prevenire la violenza di genere attraverso la cultura del rispetto

Gli episodi di violenza di genere continuano a rappresentare una drammatica emergenza sociale, eppure le risposte istituzionali risultano spesso inadeguate. La prevenzione della violenza non può limitarsi a misure emergenziali: è necessario un intervento strutturale che parta dall’educazione. I dati sono eloquenti:

Il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita Nel 2023, sono stati registrati 120 femminicidi, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole riduce del 50% il rischio di relazioni violente e discriminazioni di genere

Per queste ragioni, chiediamo che nelle scuole torinesi venga istituito un Servizio di Educazione all’Affettività, con programmi mirati a promuovere la cultura del consenso, del rispetto reciproco e della parità di genere. Riteniamo fondamentale coinvolgere esperti qualificati – psicologi, educatori, sociologi – per garantire un approccio scientificamente fondato e multidisciplinare. Solo attraverso un’educazione adeguata è possibile contrastare stereotipi dannosi e prevenire situazioni di violenza, favorendo la costruzione di relazioni sane e consapevoli

Salute mentale: garantire l’accesso ai servizi psicologici

Il disagio psicologico tra i giovani rappresenta un’emergenza sempre più evidente, ma la risposta istituzionale appare ancora insufficiente Il problema non riguarda solo la crescente incidenza di disturbi d’ansia e depressione, ma anche l’accessibilità ai servizi di supporto, spesso preclusi a chi non dispone di adeguate risorse economiche. Alcuni dati significativi:

Il 31% degli adolescenti italiani soffre di disturbi d’ansia o depressione

Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 29 anni

Le richieste di supporto ai servizi di salute mentale sono aumentate del 36% tra i giovani tra i 18 e i 24 anni

Di fronte a questa situazione, riteniamo essenziale l’attivazione di un servizio di supporto psicologico gratuito a livello circoscrizionale, con spazi dedicati e campagne di sensibilizzazione volte a combattere lo stigma ancora presente sulla salute mentale. È fondamentale garantire un accesso equo ai servizi psicologici e psicoterapeutici, affinché nessuno sia costretto a rinunciare a un diritto fondamentale a causa di ostacoli economici o burocratici.

Queste tre proposte non sono semplici dichiarazioni di principio, ma rappresentano un impegno concreto per

migliorare la qualità della vita dei giovani torinesi Crediamo che la politica debba tornare ad ascoltare e rappresentare le nuove generazioni, mettendo al centro temi spesso ignorati dal dibattito nazionale Se vogliamo costruire una città e un Paese più giusti, dobbiamo partire da qui: dall’educazione, dal rispetto e dalla salute. Noi siamo pronti a portare avanti questa battaglia

Federico Raia

IL PIÙ AMATO D’ITALIA

Sandro Pertini nasce nel 1896 a Stella, in Provincia di Savona Si laureò in Legge e in Scienze Sociali, e partecipò alla Prima Guerra Mondiale in qualità di tenente nei mitraglieri. Nel 1924 si iscrisse al Partito Socialista Unitario di Turati sotto l’onda emotiva del ritrovamento del cadavere di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti. Collaborò nell’alveo antifascista con personaggi che sarebbero divenuti altrettanto celebri, come Piero Gobetti, Antonio Gramsci, e i fratelli Rosselli. Venne condannato al carcere per aver diffuso dei volantini antifascisti nel 1925 e, successivamente, nel 1927 per aver aiutato Filippo Turati a fuggire in Francia l’anno prima. Anche Pertini, fiutata l’aria, riuscì a fuggire in Francia nel 1926, grazie all’aiuto offerto da Carlo Rosselli, Camillo e Adriano Olivetti, e Ferruccio Parri. In Francia vi rimase fino al 1929, e lì fu uno dei più importanti attivisti della Concentrazione antifascista, e della Lega italiana per i diritti dell’uomo. Tornato in Italia, in aprile venne scoperto da un fascista a Pisa, che lo denunciò Venne arrestato e condannato a più di dieci anni di reclusione Ne scontò 7 in carcere, condividendolo con Antonio Gramsci e venne confinato a Ponza e a Ventotene Qui entrò in contatto con Altiero Spinelli e altri autori del Manifesto di Ventotene, una delle opere fondamentali per la costruzione della

Unione Europea. Nel 1943 venne liberato da Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, con cui ridiede vita al Partito Socialista, e si impegnò particolarmente nella resistenza al nazifascismo. Nell’ottobre ’43 venne nuovamente arrestato e condannato a morte dalle SS, ma nel ‘44 fu liberato, e divenne dirigente del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale di Alta Italia). A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, dedicò tutta la sua vita alla politica. Fu Deputato all’Assemblea Costituente, Senatore, Deputato, Presidente della Camera, Direttore dell’Avanti! (giornale del Partito Socialista) e, infine, Presidente della Repubblica. Oltre ad essere il Primo Presidente della Camera socialista, e ad essere stato il primo Presidente della Repubblica ad affidare l’incarico del Governo ad un non democristiano, è stato uno dei pochi politici italiani ad essere entrato nella cultura di massa popolare molto a fondo Fu uno dei primi a dare inizio all’usanza di assistere agli eventi sportivi della nazionale italiana, infatti l’immagine più famosa a rappresentarlo è la sua esultanza ai Mondiali dell’82, o anche la partita a scopone scientifico con i giocatori della squadra. Sono diventati celebri i suoi discorsi appassionati, le sue invettive contro tutto ciò che non andava nel Paese, come la denuncia del ritardo dei fondi ai terremotati in Irpinia, i discorsi contro la mafia a seguito dell’omicidio La Torre, ma anche la sua capacità di comunicare la propria solidarietà anche soltanto con la presenza, come accadde durante i soccorsi immediatamente dopo la Strage di Bologna, o quando presenziò ai funerali di Guido Rossa e, in seguito, di Enrico Berlinguer. Ovviamente questo piccolo testo è soltanto un breve riassunto della vita di Sandro Pertini, ma mi sembrava doveroso, visto anche il suo carattere spigoloso, far trarre le conclusioni a lui stesso Speriamo che le sue parole, nella loro purtroppo ancora attuale modernità, vi siano d’ispirazione.

Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale La libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame

Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani, Palazzo del Quirinale 31 dicembre 1982

Davide Luppino

FOIBE: OGNI ANNO ANNO LA STESSA STORIA

la legge del 30 marzo 2004, n 92, istituisce il «giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati La data del 10 febbraio è stata scelta per ricordare il giorno in cui, alla Conferenza di Parigi del 1947, vengono ridefiniti i confini dei Paesi sconfitti durante la Seconda Guerra Mondiale Proprio in quell’occasione, si discussero le modifiche dei confini italiani, tra cui anche quelli orientali Sembrerebbe una ricorrenza piuttosto condivisibile, tuttavia, ancora prima della discussione sull’approvazione di questa Legge, una parte della politica ha tentato di rendersi più presentabile e di delegittimare gli avversari, strumentalizzando queste vicende e il dolore dei sopravvissuti. Ma andiamo con calma. Alla questione delle foibe manca sempre una corretta contestualizzazione storica della geografia, delle popolazioni coinvolte e della cronologia. Il territorio analizzato va dal Friuli VeneziaGiulia, fino all’Istria, e può essere genericamente definito come “Alto Adriatico”. Fino al 1918 era dominato dall’Impero Asburgico, ed era un crogiuolo di popolazioni diverse e dominava parti dell’Italia attuale comprendendo Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Trentino Alto-Adige e Sud Tirolo. Alla fine della Prima Guerra Mondiale si dissolse e l’Italia, che la Guerra l’aveva vinta, occupò, secondo il principio dell’”autodeterminazione dei popoli”, le cosiddette “Terre Irredente” ovvero territori a maggioranza italiana, ma anche territori che non erano popolati da una maggioranza italiana, come Bolzano, l’Istria e la città di Zara nella costa dalmata. Trieste, in particolare, era il centro della cosiddetta Mitteleuropa, un grande melting pot di cultura italiana, slava e tedesca e nonostante la lingua più parlata fosse quella italiana, non fu mai considerata “completamente italiana”; una testimonianza di questa identità mista si può notare nello pseudonimo di un grande scrittore triestino, Hector Schmitz, ossia Italo Svevo I cosiddetti “italiani” abitanti di quei territori erano abitanti della Repubblica veneziana che, nei secoli, si erano mescolati con i locali; l’idea stessa di “italiani” è un’invenzione del

nazionalismo ottocentesco, e la patente di connazionalità venne estesa anche agli “altri italiani” dominati da una potenza straniera e da liberare come (ulteriore) movente per muovere guerra all’Impero Asburgico. Durante il luglio del 1920, il Regno d’Italia si trovava in uno stato di grave tensione col vicino Regno dei Serbi, dei Croati, e degli Sloveni, e vi erano state anche delle scaramucce tra i vari gruppi nazionalisti dell’area Il 13 luglio, durante un comizio fascista, la tensione fece sì che morisse un ragazzo innocente, Giovanni Nini, e i fascisti ne approfittarono per incendiare la Casa del Popolo slava di Trieste ma già durante gli ultimi governi dell’Italia liberale antecedenti al fascismo, in quelle zone occupate si procedette ad una vera e propria “italianizzazione” delle popolazioni locali, considerate addirittura “allogene”, ossia composte da cittadini di razza o stirpe diversa dalla maggioranza della popolazione Si vietò l’insegnamento del croato e dello sloveno, nelle scuole pubbliche, e i maestri vennero sostituiti con insegnanti italiani. Nel ‘29, grazie al Concordato con la Chiesa, il fascismo riuscì anche a mettere le mani sulle nomine dei prelati, sostituendo figure scomode al regime. A partire dal 1927, ogni associazione culturale, ricreativa ed economica slovena e croata fu sciolta Molti contadini slavi si ritrovarono senza alcun tipo di sostegno economico, e vennero espulsi dai propri terreni Questi furono requisiti dall’Italia, e vennero affidati a cittadini italiani. Nel febbraio del ‘42, l’Italia occupò la città di Lubiana. La città fu circondata dal filo spinato, e i fascisti gestirono per numerosi mesi la quantità di rifornimenti da dare alla città. Tutto questo veniva portato avanti con l’idea che queste azioni avrebbero spezzato la volontà di resistenza della popolazione civile e dei partigiani jugoslavi Proprio per questa ragione, molti uomini jugoslavi, e in certe zone intere famiglie, vennero internati nel campo di concentramento di Gonars Il bilancio delle vittime di Lubiana parla di 13.000 morti, in una città abitata da 340.000 abitanti. Questi sono solo alcuni degli esempi di violenza perpetrata nei confronti delle popolazioni slave dagli “italiani brava gente”, per avere un quadro più completo di ciò che state leggendo, vi invito a consultare i lavori condotti degli storici Perciò arriviamo alle foibe; A partire dal 1943, lo Stato italiano si trovava nel caos. Circa la metà del suo territorio era occupato dagli Alleati, mentre l’altra metà dai nazisti, e questo caos si rispecchiò anche nelle zone alto-adriatiche

PILLOLE DI STORIA

occupate dall’Italia durante la guerra, che vennero abbandonate dall’esercito italiano In un contesto in cui non vi era più la forza dell’esercito italiano a mantenere un controllo esclusivo del monopolio della forza, vi fu un incredibile rigurgito di violenza all’interno di questa vicenda Sostanzialmente gli ex occupati ebbero l’occasione per rivalersi sugli ex occupanti. Se i partigiani jugoslavi tendenzialmente (non sempre) indirizzarono le loro azioni belliche contro la classe amministrativa degli occupanti, la popolazione slava si rivalse anche contro la popolazione civile, attuando processi sommari e uccisioni, ricorrendo all’uso delle foibe. Gli italiani che vennero uccisi in questo modo non furono colpiti “in quanto italiani”, bensì in quanto invasori che, per circa un ventennio, li avevano invasi, spogliati della loro lingua, cultura, autonomia e, a partire dall’occupazione del ‘42, anche della vita Possiamo affermare che l’opera di epurazione portata avanti dal neonato Stato jugoslavo avviene non su base etnica o nazionale, bensì su base politica. Vennero colpiti tutti coloro accusati di collaborazionismo con il precedente regime di occupazione. Parliamo di uno Stato che sta costruendosi (in quel momento) su una base stalinista, perciò vi furono eccessi e massacri In questo contesto, tra il 1945 e il 1954, avviene il cosiddetto Esodo Giulianodalmata, ossia il trasferimento di 250.000 italiani da quei territori da poco facenti parte della Jugoslavia Gli accordi di pace di Parigi del 1947 prevedevano la possibilità per le popolazioni locali, di decidere in quale Stato abitare Sebbene il contesto del nuovo Stato per molti italiani fu di fatto ostile, lo Stato jugoslavo non obbligò mai gli italiani a lasciare il Paese come fece, per esempio, con le minoranze etniche tedesche Sicuramente la dirigenza jugoslava aveva dei pregiudizi e diffidenze verso gli italiani a causa degli anni dell’occupazione. Come ogni anno, anche il 2025 non è escluso dalla ennesima e sterile polemica relativa al 10 febbraio Eric Gobetti, probabilmente uno, se non il maggiore storico italiano sul tema delle foibe, è stato accusato di essere un negazionista È un attacco assolutamente inaccettabile, com’è altrettanto inaccettabile che lui, ogni anno debba subire tali diffamazioni e, com’è capitato negli anni passati, anche minacce Per rispondere a questa accusa, invito a leggere il suo libro “E allora le foibe?”, che, oltre ad essere stata un’eccellente fonte per la scrittura di questo articolo, sviscera a fondo non solo l’argomento storico, ma anche le fake news e le strumentalizzazioni

della destra italiana. L’iniziativa della Legge sul 10 febbraio, a parer mio, sarebbe lodevole se non l’avessero scritta ex fascisti, da usare come clava politica per manipolare la realtà e attaccare la sinistra e sminuire l’antifascismo, su cui si fonda la nostra Repubblica Questa giornata, in teoria, fa il paio con il 27 gennaio, il Giorno della Memoria ma, in realtà, è stata voluta da chi non riesce a dichiararsi antifascista, e per controbilanciare il 25 aprile Gli italiani sono “brava gente”. Mussolini ha sbagliato solo quando si è alleato con Hitler e quando ha fatto le Leggi Razziali I treni arrivavano in orario Anche i partigiani hanno ammazzato un sacco di gente. Almirante era una brava persona. E allora le Foibe? Quante volte avete sentito queste frasi? Dobbiamo dirlo chiaramente, gli italiani hanno inventato il fascismo, ne hanno esportato il virus in altri Paesi del mondo, ma non ne hanno mai affrontato le conseguenze Ricordare le vittime delle foibe e dell’Esodo Giulianodalmata è giusto, ma dovremmo anche ricordare l’antefatto, il contesto e le conseguenze di quel periodo storico in modo critico e scientifico, smettendo di criminalizzare chi studia seriamente questo tema, e affrontando le conseguenze della nostra storia, nel bene e, in questo caso, nel male

Davide Luppino

FUTURA UMANITÀ

ANALISI POLITICHE, OPINIONI E APPROFONDIMENTI

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