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IL GRANDE UPUPONE
ad esso connessi” che si propone l’onorevole Vaccari.
Ve l’immaginate, un’Italia che funziona così?
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A parte gli scherzi, io mi chiedo come sia anche solo possibile proporre un’idea del genere, alla luce dello stato dei casinò nazionali, le cui upupe passano le giornate fra tribunali fallimentari, assemblee sindacali e anticamere di assessori provinciali invece che sul floor. Di che cosa, esattamente, sono modello? Per chi, esattamente, sono gestiti? E perché il passo più logico ed efficace, ossia quello di mettere a bando internazionale un numero di concessioni di casinò terrestri, compresi quelli esistenti, vincolati a piani di investimento e di importazione delle professionalità manageriali necessarie, non è nemmeno considerato?
Forse perché non si raggiungerebbe lo scopo di avere l’Italia piena di casinò in fallimento.
Un Wynn Resort a Monte Mario. Un Caesars sui Navigli. Un Sands in Costa Smeralda. Un Hard Rock a forma di chitarra a Riccione, Mgm che rileva le due sedi di Venezia, Melco a Sanremo, Casinos Austria a Campione e Mohegan a St.Vincent. Ecco, in tre righe, come concretizzare il “contrasto del gioco non autorizzato e clandestino nonché dei fenomeni malavitosi un mondo in cui la tecnologia e la digitalizzazione la fanno da padrone resta difficile il rapporto con queste due realtà e il settore di cui scrivo, quello dei casinò.
Certo che no. Nei talk show, su Twitter, in campagna elettorale sarebbero solo un sacco di noie, le proteste di piazza, le Sardine, i comitati di quartiere, i luoghi comuni che l’Italia non è Las Vegas, degli americani che ci colonizzano e speculano, dello sfregio al Papa di un casinò a Roma, dello sfregio a Firenze se il casinò sta a Pisa. Sta di fatto che qualunque persona onesta e razionale è costretta ad ammettere che la prospettiva di un piano di casinò pubblici non possa competere con la potenzialità di un ristretto numero di grandi resort integrati di gioco nelle località strategiche italiane, gestiti dalle migliori competenze internazionali. Il fatto che non esista neanche un marchio alberghiero globale di proprietà italiana (e non dico certo pubblica, qualcuno è sorpreso che la Cit sia fallita?) dovrebbe far pensare che forse non è il caso. Sostiene Natta che il problema siano i casinò online che hanno tolto il business ai casinò terrestri, e la ricetta di Natta per le case da gioco italiane è di puntare sui tavoli, riportare in auge giochi di classe come lo chemin de fer e introdurre nuove tipologie di giochi. Rispetto molto il suo punto di vista (trattasi di ancor più rara aves di upupa sveglia e saggia) ma temo che non basti. È la concorrenza che rende un casino migliore per i clienti, che stimola l’offerta e l’innovazione, che rende necessario l’impegno a offrire un’esperienza accettabile, che costringe ad alzare la qualità e la varietà dei servizi. Esattamente il contrario di ciò che propone il Pd, ossia unificare la gestione dei casinò, svincolarli dalla competizione, livellarli (al ribasso, come ordina la gravità, in assenza di una spinta contraria), e senza dubbio affidarli ad un Grand Upupone con un radioso passato in Poste ed Alitalia. In questi casi si dice: cosa potrebbe mai andare storto?
Un vero e proprio controsenso - e ne parlo per esperienza diretta seppure ormai datata - perché l’introduzione di processi organizzativi mediati e assistiti dall’introduzione della tecnologia, in particolare per il settore informatico, risale, nelle case da gioco italiane, ai primi anni ’80.
Un approccio che al tempo era finalizzato a semplificare e ad ottimizzare alcuni aspetti importanti del business quali l’organizzazione del lavoro nell’area dei giochi, che presentava e presenta tuttora aspetti gestionali alquanto complicati, così come le procedure di “accounting” e, non ultimo, il Crm, quindi la gestione della clientela a fini commerciali e di marketing. Posso affermare, senza tema di essere smentito, che per le aree che poco sopra ho citato, i casinò sono stati veri e propri pionieri nel beneficiare dell’innovazione tecnologica che progressivamente si è estesa a tutti gli aspetti cardine della gestione aziendale.
In base a queste premesse, parrebbe che il rapporto con la tecnologia sia sempre stato per i casinò una prassi consolidata. Non è stato così, purtroppo, perché nel momento in cui si è reso necessario combattere la concorrenza derivante
Si è persa per strada l’opportunità di promuovere, attraverso i canali di comunicazione social, i servizi collaterali che restano importanti per attrarre una clientela poco interessata al gioco, ma che amerebbe comunque provare l’emozione del giocare in un contesto elegante e divertente in cui trascorrere il proprio tempo libero.