Il libro di Fede

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IL LIBRO DI FEDE OVVERO

LE VICENDE DELL’INFANZIA ADOLESCENZA E GIOVINEZZA DI

Federico

LUIGINA VENDRAMIN

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Fede va dove ti porta il cuore! Non avere paura. Fatti avanti nella vita, poiché non ti manca niente per farlo. Non essere mai triste. Pensa che hai 24 anni, l’età più bella.

Ciao Fede. T.V.B.

Questo libro, che dedico a mio figlio spero possa essere anche un sostegno per le mamme che hanno avuto “problemi” con la salute dei loro bambini.

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Questa è la storia di un piccolo aquilotto di nome Federico, venuto al mondo prima di aver messo le piume per poter volare. Quel giorno era il 19 ottobre 1987 ed era una giornata particolare poiché scadevano i sette mesi della mia gravidanza ed avrei dovuto recarmi in ospedale per eseguire un’ecografia per un normale controllo, considerando che i risultati della precedente ecografia erano nella norma si era del tutto tranquilli. Premetto che noi avevamo già una figlia di 15 anni e ricordo che per quella visita lei ha voluto seguirci per vedere la piccola creaturina che cresceva e che presto sarebbe venuta ad allietare la nostra famiglia. Nel monitor si vedeva bene che il nascituro era maschio, così il ginecologo sapendo che noi avevamo già una bambina ci disse che se volevamo ci avrebbe informato di che sesso era, ma a noi non importava, ci bastava che questo fosse sano o sana, mia figlia Melissa poi, aveva ‘deciso’ che questo evento doveva essere per lei una sorpresa, tanto è vero che non avevamo ancora scelto nessun nome. Anche la mattina del 19 ottobre, come al solito, mio marito Bruno che allora lavorava a Padova come Sottufficiale dell’Aeronautica, verso le quattro e mezza mi saluta accingendosi alla partenza (normalmente sarebbe tornato alla sera salvo trasferte improvvise). Non ho fatto in tempo di dirgli che quella mattina non mi sentivo bene, che, detto fatto mi si presenta una forte emorragia. Noi abitavamo al quarto piano di un condominio e mentre mio marito scendeva tutto trafelato per preparare la macchina per portarmi all’ospedale io cercavo in qualche modo con degli asciugamani di tamponare l’emorragia. Facevo tutto in silenzio perché non volevo che mia figlia svegliandosi mi vedesse in quelle condizioni e prendesse paura. Ma lei, non so come, sentì, e come una brava donnina mi aiutò a scendere le rampe delle scale e salire in auto. In quegli anni l’ospedale si trovava ancora in paese ad appena un chilometro dalla nostra abitazione e funzionava molto bene. In quel tragitto, seppur breve, tanti pensieri mi passarono per la mente ma quello di poter perdere il mio bambino no. Sentivo come una forza dentro di me che mi tranquillizzava, io ero convinta che la Madonna avrebbe protetto questa piccola creatura che aveva fretta di venire al mondo. Arrivati al pronto soccorso e poi in reparto, una brava ostetrica di nome 6


Lia si rende conto della gravità della situazione e incomincia a chiamare rinforzi per far fronte all’emergenza. Intanto erano arrivate le 6 del mattino e Lia mi tranquillizzava, ma gli aiuti chiamati non arrivavano. Passavano le ore ed io ero sempre serena nonostante fossi cosciente della gravità del momento, ripeto, io confidavo nella Madonna, lei che è mamma certamente non mi avrebbe abbandonata. Verso le ore 8 arriva il mio ginecologo da Verona e si spaventa per la situazione che trova. Mi fa un’ecografia, e subito si capisce che purtroppo l’emorragia era anche interna. Il mio Bambino ed io eravamo in collasso. Ricordo l’impotenza di questo dottore il quale non poteva intervenire se non arrivava il suo diretto superiore che era stato allertato telefonicamente.


Sono le 9 meno un quarto quando finalmente arriva chi di dovere! Le ultime parole che ho sentito dire prima di essere portata in sala operatoria sono state: ‘Presto o qui perdiamo mamma e anche bambino’. Ho un ricordo molto triste di quel momento, tante ore ad aspettare e poi qualcuno in fretta e furia mi toglie il vestito per mettermi le calze da sala operatoria, una cuffia in testa e via di corsa. Ricordo ancora lo sguardo triste di mio marito, la figlia l’avevo mandata a scuola…per tranquillizzarla. Mi fecero un cesareo d’urgenza ma il bambino era già nero per la sofferenza, non ci sarebbe stata salvezza se l’anestesista il Dottor Dusi, che ringrazio, non avesse proposto di chiamare l’elicottero di ‘Verona Emergenza’ che era in servizio in quel periodo in fase sperimentale per la provincia di Verona. Il bimbo (da ora lo chiamo per nome: Federico) pesava 1 kg e 6 etti, venne intubato e in 6 minuti fu portato all’ospedale di Verona di Borgo Roma e preso subito in cura da un’equipe medica. Mentre mi svegliavo udivo una voce che da lontano mi chiamava e diceva: ‘Dai svegliati hai un bel bambino!’ Ma prima io avevo già

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sentito tutto quello che si erano detti fra loro e cioè che il bimbo era troppo piccolo, e non respirava autonomamente. Intanto quello che era successo aveva mobilitato tutta la mia parentela, nessuno si aspettava che quella mattina sarebbe arrivata una simile notizia. Subito mia mamma arrivò in bicicletta dal paese di Roveredo di Guà e i miei fratelli e gli amici mi furono molto vicini. Anzi, gli amici hanno dimostrato di essere veramente tali, e ci hanno aiutato moralmente ma anche concretamente prendendosi cura di mio marito e di mia figlia nei giorni che sono rimasta in ospedale. Mi vennero a trovare moltissime persone, anche quelle che conoscevo solo di vista e tutte portavano una parola buona. Io allora avevo 37 anni ed era un fatto abbastanza raro ‘comprare’ a quella età, (non era come ora che il primo figlio arriva normalmente tardi), così non so se tanta gente è venuta a trovarmi mossa dalla curiosità per questo o per il fatto che era intervenuto l’elicottero da Verona oppure perché sapevano che il bambino era molto desiderato. In ospedale naturalmente mi hanno messo in maternità, in camera con le altre mamme. Quando vedevo i loro bambini io pensavo al mio, e mi dicevo, chissà come sarà bello. A proposito dimenticavo di dire che vista l’emergenza e non avendoci pensato prima il bambino era stato battezzato con il nome di Marco, ma poi deciso per il nome ‘Federico’ il primo è diventato il secondo nome. Quando chiedevo notizie del bambino, per non farmi correre il rischio di un crollo psico-fisico, i miei famigliari rispondevano che era bello e sano. Dopo otto giorni quando finalmente fui dimessa dall’ospedale, come prima cosa ho voluto vedere il mio bambino che si trovava a Verona. Mi prese un grande sconforto perché mi aspettavo di vedere un bambino piccolo, si, ma non così sofferente. L’infermiera di turno gentilmente tolse le bende che il piccolino aveva sugli occhi per riparaglieli dalla luce. Appena tolte le bende sembrava che mi guardasse. Aveva attaccato dei tubicini dappertutto ed una flebo sulla testolina. L’infermiera che era una brava ragazza mi disse che il bambino non aveva mai guardato con quell’espressione, forse sentiva vicino la sua mamma! Così, trascorsi otto giorni, riuscimmo a parlare con il primario il quale ci disse che piano piano Federico stava superando la crisi respiratoria ed io avrei potuto restare in ospedale con lui per poterlo


allattare e una volta raggiunto il peso di 2 kg e 6 etti avremmo potuto portarcelo a casa. Però, poveri noi! Non sapevamo ancora cosa ci stava succedendo. Una sera l’infermiera ci disse che il primario ci voleva parlare. Premetto che noi si andava da Cologna Veneta all’ospedale di Borgo Roma ogni sera, con grande sacrificio di mio marito perché come già vi ho detto, lui aveva il lavoro a Padova, quindi la sera quando tornava subito si partiva per Verona. Solo una sera non si è potuto partire perché si era alzata una fitta nebbia che non ci ha permesso di arrivare in tempo all’ospedale per entrare e vedere Federico. Che tristezza al ritorno, con il pensiero di non sapere come stava, se tutto andava bene o se qualcosa andava storto. Credo che le mamme abbiano come un ‘sesto senso’ che le mette in guardia che qualche cosa non va per il verso giusto e quel pomeriggio mentre mi preparavo ad entrare nella stanza sterilizzata dove c'erano le termoculle mi sentivo molto triste ed incominciai a piangere senza motivo. L’infermiera mi rincuorava dicendomi che di li a poco avrei accarezzato il bambino e che quindi avrei dovuto essere felice, ma io le risposi che sentivo che il piccolo aveva male la testolina. Il giorno seguente fummo convocati dal primario il quale ci informò che il piccolo aveva avuto, da oramai sei giorni, una piccola emorragia alla testa e che avevano aspettato a comunicarcelo nella speranza che il tutto si risolvesse naturalmente. Ci spiegò che ciò era dovuto probabilmente al parto che fu prematuro e doloroso per il bambino e che comunque erano cose che succedono e continuano a succedere più di quello che la gente possa immaginare anche nei parti di nove mesi, e che si risolvono da soli, senza interventi. Dopo otto giorni nulla era risolto, ma noi potevamo solo sperare in una risoluzione naturale del problema. Federico rimase all’ospedale di Borgo Roma per 20 giorni e ogni giorno venivamo a sapere di qualcosa di molto spiacevole, le cure ad esempio consistevano nel siringare il ‘liquor’ che si formava nella testolina e questo avveniva ogni 2 giorni inoltre ogni tanto gli agevolavano la respirazione. Ripensandoci ora mi chiedo dove trovavamo la forza per andare avanti. Ogni sera, quando arrivavamo in reparto temendo di non veder più nella culla mio figlio o di ricevere altre brutte notizie mandavo sempre avanti mio marito. Una volta infatti, ci dissero che l’emorragia avrebbe potuto compromettere la vista del piccolo. 10


Quando entravo nella camera sterilizzata non potevo toccarlo ma solo guardarlo, per cercare di superare il terribile dubbio, spostavo un po’ il telo che cera sopra la termoculla ed osservavo se Federico chiudeva gli occhi. Più tardi si tornava a casa più sollevati pensando che se chiudeva gli occhi voleva dire che la luce gli dava fastidio e che probabilmente ci vedeva. Ma qualche sera, al nostro test lui non reagiva chiudendo gli occhi e allora alla sera si ritornava a casa con grande sconforto. Erano giorni che se non avessimo avuto ‘fede’ non saremmo riusciti a superare la desolazione di quei momenti. Durante la notte, già poco si dormiva, in più dovevo intercalare il sonno ogni tre o quattro ore con il compito del prelievo del latte, fatto con una macchinetta e che alla sera avrei poi portato come al solito a Federico. Penso che questa operazione del prelievo del latte, oltre che necessaria sia stata anche una terapia che i medici mi avevano imposto per tenermi legata al figlio, per reagire e sperare. Quante preghiere fatte insieme con mio marito! Questo ci ha unito moltissimo. Finalmente Federico viene trasferito all’ospedale di Borgo Trento, sempre lì, a Verona, per fare un intervento, decisivo, che gli avrebbe salvato la vita. Bisognava mettere una 'valvolina' nella testa del bambino in modo che facesse il lavoro di regolazione del liquido cerebrale. La valvola di ‘Shunt’? Era la prima volta, che ne sentivamo il nome, e non pensavamo che questa ’cosa’ cosi importante, una volta installata nella testa, sotto pelle, fosse dopotutto, una volta conosciuto il funzionamento, anche semplice e sereno conviverci. Era la prima volta che parlavamo al medico neurochirurgo che aveva preso in cura nostro figlio, ed egli ci spiegò tutto. Così venimmo a conoscere un’altra parolona: ‘Meninventricolare’. Menin…subito pensai alla meningite o qualche cosa di simile e conoscendo la storia di un bimbo che abitava in un paese vicino al mio e che aveva avuto questa malattia, ho fatto una semplice domanda: La meninventricolare è pericolosa come la meningite? Lui senza tante parafrasi di contorno mi disse: Peggio, molto peggio signora! Vi lascio immaginare in quale sconforto siamo caduti. Non bastasse, passò poi ad elencarci i rischi che c'erano nel fare quell’operazione, ad esempio che poteva partire una nuova infezione. Insomma le peggiori cose ce le ha elencate tutte, e per


finire disse che probabilmente non potendo camminare sarebbe stato un handicappato bisognoso di carrozzina, ed infine c’era il rischio cecità. Eravamo distrutti…tanto che un dottorino che lo accompagnava disse: Si, va beh! ma digli anche che la settimana scorsa ne hai operato un altro ed è andato tutto bene. Ma fu subito ripreso dal neurochirurgo che disse: Questo non si dice mai perché ogni caso è un caso a sé. Il dottorino ci guardò e ci consigliò di andare a prenderci un caffè, penso che fossimo sbiancati. Un po’ più tardi quando siamo ritornati nello studio dello specialista, chiedemmo: Se fosse suo figlio, lo opererebbe? La risposta fu: Si almeno gli darei una possibilità di vita. Dopo 60 giorni di attesa fu decisa la data dell’intervento. Giovedì 17 alle ore 8 del mattino. Quel diciassette mi andava stretto, ma poi pensai che tutto sarebbe andato bene, anche perché in casa avevo allestito un altarino con tutti i santi possibili che pregavamo assiduamente. Il giorno dell’intervento alle 7 del mattino eravamo già in ospedale per poter vedere la nostra creaturina passare mentre veniva portata in sala operatoria. Eccolo! Viene avanti il nostro piccolo dentro la termoculla, ma siamo rimasti sorpresi, perché gli avevano messo una cuffietta rosa e sembrava una bambina che entrava in sala prima di Federico. L'infermiera addetta, ci chiamò, ce lo fece vedere e ci spiegò che la cuffietta rosa ce l’aveva perché era stata la prima che avevano trovato e così senza tutti quei tubicini che aveva in reparto e con la cuffietta rosa non lo avevamo riconosciuto. Cominciarono le ore d’attesa. Arrivarono le nove, le dieci, le undici. Oramai avevamo contato e ricontato tutte le mattonelle del corridoio e nessuno veniva a dirci niente, e non avevamo più il coraggio o la forza di rimanere li fermi ad aspettare e così andavamo avanti e indietro dalla chiesetta alla sala d’attesa. Verso le 13 finalmente si apre l’ascensore ed esce il neurochirurgo, stava andando a casa! Avendoci visto lì in attesa ci chiese se nessuno fosse venuto a dirci qualcosa su come era andato l’intervento. Rispondemmo di no. Ci informò che era andato tutto bene e che era terminato già da più di un’ora. Questa bella notizia cancellò stanchezza e stress. Ora bisognava osservare l’andamento del 'post operatorio' e tenere sotto controllo il pericolo della febbre. Ogni volta che squillava il telefono avevo paura che fosse l’ospedale che telefonava per dirmi che la febbre saliva o che il bimbo non reagiva. 12


Da allora Federico ebbe una costante ripresa. Pomeriggio del 23 dicembre 1987. Questa è per me una data importantissima quasi come il giorno della sua nascita, perché più di due mesi dopo il parto finalmente ho potuto prenderlo in braccio. Quella sera come al solito ci avvicinammo alla vetrata da dove si potevano vedere le termoculle e ci accorgemmo che Federico nella sua non c'era più. Lo abbiamo capito per il fatto che lui non stava mai fermo con le gambette, fatto sta che proprio in quel momento dalla sala esce un'infermiera e mi chiede se volevo allattare il bambino.

Immaginate la contentezza, sarebbe stata la prima volta che lo prendevo in braccio, e se il latte non potevo darglielo, perché me lo ero già tolto a casa per portarlo alla banca del latte, la gioia fu davvero tanta. Non scorderò mai quel bellissimo momento con Federico in braccio, questo tenero frugoletto che ha dovuto aspettare più di due mesi per venire nelle braccia della sua mamma. E mentre il papà seguiva tutto questo da dietro la vetrata io piangevo di gioia. Stringere al cuore il mio tesoro aveva cancellato tutte le sofferenze. Nella termoculla dove prima c'era Federico, ora c'era una bimba che aveva un problema al labbro; i suoi parenti alla vetrata, la volevano vedere, ma le infermiere non


avevano il permesso di accontentarli. Le infermiere che facevano il loro servizio in quell'ospedale erano come delle mamme, anche quelle che non avevano figli. Quello fu il Natale più bello della nostra vita matrimoniale, perché mio marito ed io sapevamo che di lì a pochi giorni ci avrebbero mandato a casa il bambino. Così il giorno di S. Stefano siamo andati in un negozio a comperare una culla. Quando siamo rientrati a casa, nostra figlia Melissa ci disse: Forza mamma, forza papà, oggi andate a prendere il mio caro e tenero fratellino! La cara centralinista aveva ricevuto l'ordine dall'ospedale di andare a prenderci Federico. Ricordo la gioia di nostra figlia, rideva e piangeva insieme. Ci spiegò poi, che quando ricevette la telefonata siccome era a casa da sola, si mise davanti allo specchio per poter festeggiare con qualcun altro. Ansiosi e felici nel pomeriggio siamo andati a Verona e subito un'infermiera ci convocò in uno studio ci spiegò la terapia da seguire e ci consegnò il bambino. Ero un po' terrorizzata dall'idea di non riuscire a gestire tutto. Lui era così piccolo e tenero ed erano appena 3 giorni che lo avevano tolto dalla termoculla. Aveva la testolina un po' grossa rispetto il corpo. Prima di andare a casa passammo dai nonni che erano ansiosi di conoscerlo ed è stato un incontro molto tenero! La sera stessa incominciammo con la terapia che consisteva nel tagliare una piccola compressa in quattro parti per poi schiacciarne un pezzettino e mescolarlo con dello sciroppo, questa operazione 'rito' la facevamo con molta cura in modo da evitare che il tutto andasse fuori dalla bocca. Passavano i giorni e intanto piano piano ci si abituava a gestire sempre meglio la routine quotidiana. Bisogna dire che da un lato siamo stati fortunati perché in paese aveva aperto uno studio pediatrico una brava dottoressa che aveva lavorato a Verona insieme al sopracitato neurochirurgo che avevamo contattato in ospedale, questo ci evitò di andare 2 volte alla settimana a Verona per il controllo generale e quello della circonferenza della testolina. Inoltre per 3 volte alla settimana lo portavamo a fare una ginnastica motoria specifica in paese. A nove mesi, la pediatra si accorse che la testolina cresceva, così riprendemmo i controlli a Borgo Trento, fino a ché i neurochirurghi presero la decisione che era meglio intervenire per la sostituzione della 'valvolina Shunt’ perché mal funzionate. 14


Otto giorni di ricovero e poi il ritorno a casa. La prima volta che abbiamo fatto noi la medicazione siamo rimasti sorpresi ed anche un po' male, perché nel pancino c'erano due tagli, e noi non ne sapevamo niente, così al primo controllo chiedemmo spiegazioni. Ci dissero che dalla prima incisione non riuscivano a prendere il catetere perché era troppo bassa, quindi era stato necessario tagliare più in su. Spiegazione tecnica: Dalla 'valvolina' innestata sotto la cute della testa parte una cannuccia che sempre sotto pelle e per altre vie viene portata fino al basso addome, una volta raggiunto la zona... bisognava intercettarla e installarla. Bastava dirlo! Il silenzio dei medici nei confronti dei genitori fa male due volte! Un altro episodio in cui noi genitori ci siamo sentiti dei 'poveri nessuno' è stato, sempre in relazione al primo intervento, quando dopo 5 ore di attesa, cioè dalle 9,30 alle due del pomeriggio attendavamo informazioni su come era il 'liquor' se si era stabilizzato dalle impurità, se si poteva fare l'intervento. Finalmente sentiamo qualcuno che sale le scale, guardiamo verso giù e il dottore ci vede, quindi senza più salire nemmeno di un gradino ci dice che se tutto va bene e continua così giovedì facciamo l'intervento. Si gira sui tacchi e se ne va. Queste sono cose che ti fanno riflettere. Una volta ritornati a casa, il bambino cresceva e reagiva bene, ed i controlli continuavano dalla pediatra 2 volte la settimana. Mi ricordo che quando stavo in sala d'attesa con le altre mamme, in silenzio osservavo cosa facevano gli altri bambini, facevo dei confronti e poi mi tranquillizzavo perché il mio si comportava esattamente come loro. Mi viene in mente quello che lo specialista mi raccomandava in quel tempo, e cioè che io dovevo parlare continuamente al bambino, anche se era ancora un neonato, anche se eravamo a passeggio da soli, come se avessi ricevuto poi una risposta. Insomma dovevo dialogare. Le nostre passeggiate le facevamo almeno due volte al giorno, non importava se faceva freddo, bastava che non


piovesse, e poiché nell'atrio condominiale non si poteva lasciare alcunché, per fare questo, dovevo portare giù dal 4° piano la carrozzina, poi tornavo su a prendermi il piccolo. Intanto quando portavamo Federico ai controlli programmati, il dottore rimaneva sempre più meravigliato dai progressi che lui faceva, ed un giorno mi chiese quale santo stessi pregando. Gli risposi che in casa avevo una mensolaaltarino piena di tutti i santi, lui ci sorrise e ci rispose: Si, ma anche di tanta buona volontà e pazienza, ed i risultati si vedono. Passarono gli anni ed arrivò il momento di andare all'asilo infantile, il nostro specialista ci consigliò di farglielo frequentare, così incominciò la scuola materna. Dopo un mese di frequenza il bambino si lamentava di avere male al collo, e disse che un compagno gli aveva fatto male al collo giocando. Tre giorni dopo era la data del suo 3° compleanno e la sera lo abbiamo festeggiato, ma appena gli amici se ne furono andati Federico incominciò a lamentarsi. Sudava freddo ed aveva male al pancino. Passò la notte, ma il mattino dopo ci recammo in ospedale, era sabato, ma allora queste strutture funzionavano a pieno ritmo anche nei giorni prefestivi. Gli fecero i raggi al torace, ed il medico, anche se non era uno specialista, ci disse che per conto suo, il catetere che aveva nella pancia si era spezzato, ed uno dei due pezzi vagando nell'intestino con la sua punta lo pungeva. Immaginatevi quanto gli avrà fatto male! Andammo 'sparati' a Verona a Borgo Trento. Ma abbiamo dovuto attendere un'infinità di tempo, ed il piccolo si lamentava e mi ripeteva in continuazione: Mamma dammi acqua che mi passa! Io credo che forse bevendo l'acqua la punta del catetere si spostava e per un attimo lui stava bene. Fatto sta che questa richiesta ci fu fatta per tre giorni interi. Mi ricordo di una bella ragazzina in sedia a rotelle, che era in sala d'attesa con noi mi colpì il suo modo delicato di parlarmi e intanto accarezzava Federico e lo tranquillizzava. Mi raccontò di avere 15 anni e di avere anche lei la 'valvolina' e che ora purtroppo bisognava cambiarla perché non funzionava bene. Aveva dei bellissimi e lunghi capelli neri che non voleva assolutamente tagliare, perciò si era raccomandata con il chirurgo di tagliarne il meno possibile. Con il fare di chi è adulto e di chi ha molta esperienza, mi spiegò che lei era in carrozzina da sempre non per la 'valvolina' ma perché aveva la spina dorsale bifida, in questo modo mi volle rassicurare che Federico camminava e che avrebbe camminato ancora. 16


Passarono diverse ore, infine ci assegnarono il letto e incominciarono a sfilare dottori su dottori, ma chi per un motivo: Io sono lo specialista della testa, non posso operare la pancia, chi per un altro: Io sono lo specialista della pancia, è una cosa che riguarda la 'valvolina' ed è quindi competenza di quello della testa. Intanto non prendevano decisioni. I giorni passavano e Federico si lamentava e insisteva con il solito ritornello dell'acqua. Eravamo tutti con il cuore a pezzi! Finalmente decisero di collaborare l'equipe della testa con l'equipe della pancia. Solo allora, dopo aver trovato l'accordo chissà come incominciarono ad aver paura che il piccolo facesse una peritonite. Il bambino non aveva più voce neppure per lamentarsi ed il nero degli occhi era come sparito, eravamo spaventatissimi! Lo operarono...Dopo quattro ore appare il chirurgo, ci rassicura che è andato tutto bene e poi commenta così: Povero piccolo ha tanta voglia di vivere, (per noi un'infelice battuta vista la sua lunghissima attesa) deve aver avuto moltissimo male poverino, perché il catetere era rotto a punta. (Come se fosse stata una novità, lo si sapeva fin dall'inizio). Dopo l'intervento, quando il bambino si svegliò si mosse un po' e disse la tante volte ripetuta frase: Hai mamma, male! Allora gli chiesi: Hai ancora male amore! Lui rispose così: Si mamma, male; ma no male. Sebbene così piccolo era riuscito con queste parole a farci capire che il dolore era diverso ed era quello della ferita. Federico fin da piccolissimo ha sempre dimostrato una grande sopportazione del dolore. Poi gli anni trascorsero abbastanza bene. Lo seguivamo con cura, ma senza pressioni, sempre con un po' più di riguardo ed attenzione rispetto ai suoi coetanei. Per esempio, se si presentava la febbre ed il vomito insieme correvamo al pronto soccorso. Dopo tanta tempesta un po' di mare calmo! Ora vi racconto dopo tanto ospedale, di come con la gioia nel cuore, decidemmo di andare in pellegrinaggio a Lourdes, per ringraziare la Madonna insieme alla comunità parrocchiale del mio paese. Era il 23 maggio 1996 e Federico otto giorni prima aveva fatto la 'Prima


Comunione'. Io ho sempre pensato che la Madonna si sia sempre presa cura di lui, ed anche quello che sto per raccontarvi mi porta a pensare che sia così. Dunque, la mattina della partenza era giunta, e veniva con noi anche la nonna Lina, mia mamma. Però la notte prima della partenza 'Fede' non era stato bene, inoltre aveva la febbre quasi a 39, di conseguenza non si sapeva cosa fare. Poi animati dalla fede abbiamo preso una decisione: Andiamo dalla Madonna, siamo sicuri che ci aiuterà! E così come in una fiaba, il pullman partiva e il bambino si sfebbrava, e nei giorni di permanenza a Lourdes è sempre stato bene e noi mai una volta ci è venuto in mente della febbre che aveva prima di partire. Solitamente il programma del giorno che si sarebbe passato a Lourdes, veniva spiegato dettagliatamente al mattino prima di uscire dall'albergo dal nostro Monsignor Don Antonio Corrà. Quel giorno si decise che ognuno poteva muoversi come si voleva a patto di trovarsi alle 4 del pomeriggio davanti la statua della Madonna dei Fiori. Anche noi, con un gruppetto di amici e con la nonna siamo stati qua e là, abbiamo riempito delle bottigliette d'acqua benedetta, qualcuno ha acceso qualche cero, e ci si spostava con Federico che essendo l'unico bambino della compagnia era la 'mascotte' per tutti, e stava un po' con uno un po' con l'altro. Si trovava allora con un nostro amico. Il piccolo a causa della calca di gente che c'era perse di vista questo nostro amico. Mentre questa persona tutta allarmata tornava verso il nostro gruppetto sperando di trovarci il bambino, Federico si guardò attorno e non vedendo più nessuno di quelli che conosceva non si perse d'animo e si portò in un posto ben preciso. Nel gruppo si diffuse il panico, ma io stranamente mi sentivo come quella volta che fui ricoverata d'urgenza, lo sentivo protetto dalla Madonna e mentre lo cercavo ero tranquilla. Però tutt'intorno incominciò un gran brusio ed una frenesia accompagnata dagli annunci ripetuti degli altoparlanti. Le guardie corsero ai cancelli che furono prontamente chiusi. Dicono che proprio lì a Lourdes ci sia qualcuno che vestito da prete, o se è donna vestito da suora, tenti ogni tanto di rapire qualche fanciullo. Il tempo passava e tutti si muovevano trafelati, ma di Federico non si sapeva niente. Lourdes è grande, chi correva di qua chi correva di là. Niente. Ad un certo punto arrivò l'autista del nostro pullman che non sapeva niente dell'accaduto, gli chiedemmo se per caso 18


aveva visto Federico e lui sorridendo ci disse: Si, è là alla Madonna dei Fiori, ma non ha voluto muoversi da lì perché dice che il Monsignore ci aspetta tutti lì alle quattro. Velocemente ci portammo nel luogo dove c'è la statua della Madonna dei Fiori credendo di trovarlo spaventato, invece con la genuina semplicità di chi ha otto anni ci tranquillizzò, e ci disse che si ricordò delle parole del Monsignore e dell'accordo fatto a tutti per ritrovarsi in quel luogo. Per noi tutti e per Federico in modo particolare Lourdes è stata un'esperienza importante, in quel luogo abbiamo visto tante sofferenze ma anche tante speranze.

Gli anni passarono e con l'età dello sviluppo incominciarono le prime avvisaglie che il catetere, in rapporto al corpo, si accorciava ed anche un mal funzionamento della 'valvolina'. Da quel momento il ragazzino subì diversi interventi, perché purtroppo non facevano mai una sostituzione completa del 'sistema' ma solo di qualche componente. Così per diversi anni si continuò ad andare avanti ed indietro, dentro e fuori l'ospedale di Borgo Trento. Ma Federico è sempre stato molto forte, e in quei momenti non tergiversava, ma invece diceva: Se bisogna farlo, poi tutto passa! Addirittura è capitato che più di una volta, quando l'infermiera dalla sala operatoria (oramai erano diventati amici) veniva a prenderlo per essere


operato, lui scherzoso l'aiutava a spingere il letto e con un gesto ci salutava alzando il pollice in un ok! che ci incoraggiava. Come se non bastasse, nel 2005 a Federico è successa un'altra avventura, che non aveva niente a che vedere con tutti i fatti precedenti. Lui soffriva di ripetute tonsilliti e laringiti, ma di solito era tutto nella norma. Ma questa volta invece, era una domenica mattina, il collo gli era diventato rosso ed incominciò a gonfiarsi in maniera rilevante mentre la febbre saliva a valori alti. Alle ore 16 siamo arrivati al pronto soccorso, io ogni tanto chiedevo un po' di ghiaccio da mettere attorno alla gola ma nessuno ci badava, a noi era stato assegnato il 'bollino bianco'. Abbiamo atteso fino alle ore 20, finalmente ci chiamano, la febbre è attorno ai 40 gradi. Trovo dei medici scorbutici, per non dire maleducati, io cercavo di illuminare la loro ignoranza sui problemi che Federico aveva avuto e che era portatore di questa benedetta 'valvolina' di cui il signor medico voleva sapere a tutti i costi il nome, non è che gli cambiasse qualcosa saperlo, lo faceva tanto per il gusto di mettermi a disagio, e insisteva... ma a me non veniva il nome 'Shunt'. Ad ogni modo l'infermiere ci tranquillizza e viene fatta un'ecografia alla gola e mentre il tecnico la faceva canticchiava tranquillo mentre noi non avevamo la forza di stare in piedi. Poi come se niente fosse ci domandò se non ci eravamo mai accorti che nostro figlio aveva una cisti, ci rispedisce al pronto soccorso e da lì a casa con appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo. Quella è stata la notte più lunga passata da noi tre insieme, la febbre non scendeva in nessun modo, Alle ore quindici eravamo un'altra volta in pronto soccorso e quando finalmente viene visitato dall'otorino, vedendo quanto era gonfio il medico prese paura e ci mandò subito a Borgo Trento per farlo incidere. Nel frattempo lui avrebbe telefonato a Verona in reparto per avvertire che stava arrivando questa emergenza. 20


Come abbiamo varcato la soglia dell'ospedale già un'infermiera ci aspettava, si prese cura di Federico e lo portò in uno studio. Poco dopo uscì un medico spiegando che c'erano due modi per intervenire, siringando, oppure, ed era più conveniente, incidendo la parte. Però senza anestesia perché quando c'è il pus questa non fa nessun effetto. Il ragazzo comunque, ci disse, aveva già deciso per la seconda soluzione, aveva troppo male e non vedeva l'ora che tutto finisse. Dopo l'intervento, il medico si congratulò con noi per la tempra del nostro ragazzo che comunque rimase degente a Borgo Trento per altri otto giorni. Il giorno dopo il ricovero passò a fargli visita l'otorino che lo aveva visto nell'altro ospedale, lì c'eravamo anche noi, ebbene ci spiegò che se avesse avuto i ferri sterilizzati avrebbe fatto lui l'operazione perché aspettare era molto pericoloso, e disse anche che telefonò per tre volte per sottolineare l'urgenza. Poi abbracciò il ragazzo e gli disse: Sai, ieri hai rischiato di morire, poteva subentrare una setticemia... e ciao! A quel punto noi spiegammo delle ore trascorse al pronto soccorso il giorno prima e poi di tutto il tempo passato per arrivare al giorno dopo. Ci disse che li aveva già strigliati tutti per bene. Ci spiegò poi che questa cisti di per sé non era niente, che tutti si nasce con delle parti molli che con il tempo queste parti dovrebbero diventare piccoli ossicini ecc ecc, ma a qualcuno rimangono molli con la possibilità che si infettino come è successo a nostro figlio. La felicità di aver saputo che tutto era sotto controllo era troppa per metterci a fare rimostranze per quello che era successo il giorno prima. Comunque dopo un mese Fede ha dovuto ritornare a Borgo Trento per un intervento definitivo rimanendo ricoverato per altri otto giorni. Pensate sia finita qui? Quando gli tolsero i punti un punto interno, non visto, gli procurò un'infezione che gli rigonfiò la gola e durante la notte si aprì la ferita ed uscì del pus. Si dovette ritornare in reparto per fare le necessarie e dolorose medicazioni. Solo in marzo finisce la storia della gola, rimane solo una cicatrice che oramai fa parte della storia di questo ragazzo come se fosse una gloriosa ferita di guerra. Arriva il 2007, ma già da quasi un anno il ragazzo non stava bene tant'è che venne anche ricoverato, a Borgo Trento un 15 giorni, Aveva la febbre ed i valori sballati, ma diedero la colpa alla gola, inoltre non presentava 'sofferenza', questo dato viene rilevato con l'osservazione oculare dell'iride. Insomma venne dimesso con diagnosi campate in aria.


Finché nell'agosto 2007, la febbre ed il male di testa ritornano forti e senza dare tregua. Viene ricoverato per l'ennesima volta a Borgo Trento e ci rimane per 15 giorni, coincidenti proprio con il periodo di ferie che gli avevano dato dove lavorava. Questo andamento creò confusione e dai medici ancora una volta vengono fatte varie supposizioni: Forse la 'valvolina' non funziona, forse non serve più, e lo dicevano sorridendo. Sembra che a qualcuno sia accaduto! Federico incomincia a sperare in un miracolo e noi pure! Bisogna sapere che nella testa il cervello è circondato da liquido che viene autoregolato come quantità e pressione in maniera naturale, cosa che invece per Federico il compito viene fatto da questa 'valvolina'. Insomma venne dimesso ancora una volta con una diagnosi campata in aria. Passarono quaranta giorni con degli alti e dei bassi, finché incominciò a stare malissimo, allora lo riportammo in ospedale e si ricominciò da capo con le flebo nel tentativo di abbassare la febbre. Dopo 3 giorni di estreme sofferenze mio figlio non ci rispondeva più, a gran voce chiamammo spaventatissimi gli infermieri, ed i medici accorsero e ci mandarono fuori dalla stanza. La nostra agitazione e disperazione era al limite. Dopo dieci lunghissimi minuti aprirono la porta e trasportarono Federico, che si era ripreso, a fare una 'tac', l'infermiera ci chiamò e ce lo fece salutare, intanto il medico gli diceva di consolare papà e mamma perché avevano preso un grosso spavento. Dopo la 'tac' decisero di intervenire d'urgenza. Io ero distrutta, così pensammo di telefonare a casa per avere un soccorso dai miei fratelli. Partirono subito, erano oramai le 15 pomeridiane quando arrivarono. Ebbero così modo di vedere l'estrema sofferenza in cui si trovava il loro nipote, e si dovette attendere fino alle 18,30 prima di vederlo portare in sala operatoria. Non ricordo quanto durò l'intervento. Quando questo finì ed uno dei chirurghi uscì, parlò con i miei fratelli perché io non potevo più reggere la tensione, e spiegò loro: Se non intervenivamo non sarebbe proprio arrivato a domani mattina; quando lo abbiamo aperto è stato come aprire una bottiglia di spumante tanto era la pressione... questo intervento avrebbe dovuto essere fatto ancora in agosto, poi aggiunse che: Per questa volta, l'intervento che avevano fatto consisteva nel portare dalla testa attraverso un catetere il 'liquor' in un contenitore per essere sterilizzato e purificato, poiché questo liquido non si sa come si era infettato. Poi sarebbe stato fatto un secondo intervento, (dopo quattro giorni) per togliere la vecchia 'valvolina' la famosa 'Shunt' 22


ma lasciando ancora il catetere di drenaggio appena sopra descritto. Infine dopo altri cinque giorni sarebbe stato rioperato posizionando la nuova 'valvolina' nel lato opposto della testa con un nuovo drenaggio interno, e avrebbero tolto quello esterno. Federico reagì al meglio e fu fatto tutto esattamente così. Ora, una piccola considerazione. Se la 'valvolina' non funzionava, e rimaneva chiusa, e a volte semichiusa ed altre volte completamente aperta, non è possibile che da dove il liquido andava a scaricarsi possa essere risalito qualche batterio che lo inquinò? Finalmente! Si ritorna a casa e si ricomincia la vita di tutti i giorni, qualche giorno di convalescenza e poi via al lavoro. Fede è sempre andato a lavorare volentieri, molto più che a scuola. Ricordo che nell'età scolare quando veniva la sera non voleva mai andare a dormire perché quando si svegliava era già ora di andare a scuola, mentre con il lavoro si alza subito ed è sempre contento. Passò un anno, ed i capelli gli si allungarono molto, a lui piacevano così perché gli tornavano utili anche per mimetizzare la zona della 'valvolina'. Un giorno che ci trovavamo in giardino, per passare un po' di tempo fra il verde, un raggio di sole passando fra i capelli gli illuminò il


collo appena dietro l'orecchio dove io notai un rossore ed un rigonfiamento. Volli vedere, ma lui non voleva più saperne di ospedali e dottori, e avrebbe voluto un po' ingenuamente rimandare il problema. Quel giorno era il mio compleanno, e come spesso accadeva le nostre corse all'ospedale coincidevano con compleanni, onomastici, festa della mamma, del papà...perciò corremmo subito a Verona. Lì lo presero in visione e gli fecero i raggi, la 'tac', ecc. Pareva a loro, che dovesse essere niente di importante, e ci rimandarono a casa con un appuntamento per la settimana dopo. La diagnosi ipotetica era: Forse una piccola perdita dalla 'valvolina' che 'forse' si 'sarebbe' riassorbita da sola. Così di settimana in settimana si andava al controllo all'ospedale di Verona. Arriva dicembre con tutte le sue feste, ed il rigonfiamento intanto era diventato grosso come una prugna e rosso come una ciliegia. I medici non decidevano nulla, ma adesso era Federico che non sopportava questa situazione, anche per un fatto estetico, ogni mattina era costretto a lavarsi i cappelli perché se erano morbidi gli coprivano meglio questa protuberanza. Finalmente a Verona decidono per un intervento in 'day hospital' da farsi dopo le feste natalizie. Così il 7 gennaio 2009 dopo quattordici mesi dall'ultimo intervento subito, ritorna in sala operatoria. Il chirurgo questa volta decise che l'operazione andava fatta in anestesia locale, un'esperienza da evitare secondo Federico, ma in questa occasione ci è stata utile, perché mio figlio ha potuto ascoltare tutto quello che veniva detto durante l'intervento. Si dissero: Guarda un po' qui che cosa c'è!! Una piccola garza! L'intervento si fece lungo sia come tempo che come cicatrice, quaranta punti in tutto. Quando Fede ritornò in camera fece il solito gesto di 24


vittoria e poi riferì al papà ed alla sorella quello che aveva sentito a proposito della garza. Subito mi telefonarono, non riuscendo a reggere l'ospedale io ero rimasta a casa. Quando mi dissero della garza mi sembrava di aver vinto alla lotteria per la felicità di sapere che non si trattava di un male irreparabile. Però! Riflettendoci, è mai possibile dimenticarsi una garza? Gli stessi medici ci hanno detto poi che con una semplice ecografia era individuabile. Ad ogni modo anche questa volta dovette rimanere ricoverato per otto giorni. Adesso va tutto bene e ci auguriamo che questo continui per sempre. Federico è un bel giovanotto alto 1,85 e conduce una vita del tutto normale, è circondato da belle ragazze, ama la vita ed è felice, e avendo 'già dato' così tanto, si spera che il futuro gli sia più benevolo. Tua mamma

Forse non tutti sanno che... Avere un fratello speciale come te è difficile da capire. Tu sei una persona che negli anni ne ha passate talmente tante che è difficile da comprendere, ma che comunque ha sempre avuto la forza e il coraggio di andare avanti. Che non si è mai scoraggiato di fronte ai grandi problemi che gli si sono presentati davanti ma che anzi ha affrontato sempre a testa alta e con il sorriso sulle labbra tutte le avversità della vita. Ti stimo tanto per questa tua forza di volontà, sei forte e anche se sei più piccolo di me posso considerarti il mio eroe. Grazie per questo tuo modo di essere perché mi fa capire quanto importante sia nella vita avere una persona come te che è di esempio per quando ci sentiamo giù o ci creiamo problemi immaginari che non contano niente ma che ci fanno solo angosciare e rattristare. Questo esempio possa essere di sprono anche per la mamma che molto spesso si butta giù, ma che deve capire che tu hai una forza di volontà che va sopra ogni cosa. Essere positivi vuol dire tanto nella vita Purtroppo non sappiamo mai cosa il futuro ci riservi ma se lo affrontiamo sorridendo di certo questo non potrà mai voltarci le spalle...Ti auguro per questo tuo 24° compleanno tutto il meglio che tu possa desiderare, la salute prima di tutto e che il tuo cuore sia sempre colmo di felicità e di gioia come già lo è... ti voglio bene, tua sorella Melissa


Quando sei nato, hai messo a dura prova le mie capacità di guida, facendomi scorrazzare per tutto il Veneto e oltre. Mi facevi tenerezza quando ti vedevo nella termoculla e confrontavo i tuoi piedini con i pollici delle mie mani e quando la mamma mi diceva, Bruno secondo te ce la farà (crescerà?) ma certo le rispondevo non vedi che con i piedini tocca il soffitto della termoculla. A proposito di crescere non avevamo scommesso che quando mi superavi in altezza avresti pagato un pranzo a base di pesce? Allora cerca di darti una mossa perché mi hai superato già da un pezzo. Nella vita hai affrontato moltissime difficoltà dimostrandoti un ragazzo molto coraggioso e di questo io ne sono fiero. Anche se ti è difficile, cerca di vedere il passato come un'esperienza di vita, spero che il futuro ti riservi le cose più belle, te le meriti.

Ti voglio bene, tuo papà. 26



Cologna Veneta 25 Dicembre 2011

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