Storie

GILBERTO CERVELLATI

STORIE

Questo progetto prende spunto da un amore non corrisposto, quello tra me e la fotografia. Per tre decenni ho corteggiato quest’arte ma lei non mi ha mai veramente ricambiato. Mi ha spesso incoraggiato e io mi sono altrettanto illuso che un giorno lei sarebbe stata la mia professione. Tutto questo non è accaduto, ho trascorso qualche bel momento con la mia amante ma non ho mai avuto una vera relazione soddisfacente. La fotografia ama altri e non me.

Perché è accaduto questo? Perché, come nelle vere relazioni, non ho avuto coraggio per osare e dimostrare con passione il mio sentimento. Sono stato cauto e diffidente verso la fotografia, non ho mai dimostrato di potere e volere abbandonare tutto per lei, mettere tutto me stesso nelle sue mani e così l’Arte ha scelto amanti più coraggiosi e determinati. Siamo comunque rimasti amici con molti rimpianti da parte mia.

Quando ho preso coscienza che non sarei mai stato un fotografo completo ho realizzato che la storia migliore che avevo da raccontare fosse proprio la mia.

Baricella è un piccolo paese tra Bologna e Ferrara, dove c’è poco da fare e forse ancor meno da vedere. Questo agglomerato di circa cinquemila anime verso la fine degli anni Settanta e poi per tutto il decennio successivo, in realtà, è stato anche vivo. Proprio in questo periodo io ho iniziato a fotografare; stavo imparando e riprendevo quello che avevo sotto mano sognando la vita avventurosa del reporter. C’era il carnevale con la sfilata dei carri allegorici, sicuramente i più grandi della provincia, poi la fiera d’ottobre e la politica con un Partito Comunista sostenuto da percentuali bulgare. C’era il ricovero per “vecchi lavoratori” che per me fu l’occasione di emulare il fotografo Gianni Berengo Garden e i suoi lavori a sfondo sociale. Poi gli amici, ritratti più volte, giocando a fare il fotografo di moda o il ritrattista.

Forse l’età, non so, mi ha fatto riflettere sul valore di questo materiale e ho deciso di raccontare questa storia attraverso le fotografie fatte in quegli anni, seppur brutte e tecnicamente incerte. La mia intenzione non è quella di raccontare la storia di Baricella, ma la mia, ricordando le persone, gli eventi e le cose che mi sono passate davanti all’obiettivo. La scelta del bianco e nero: in realtà non amo molto il colore; sono sostanzialmente pessimista e razionale e il colore mi distrae. Usare il colore certe volte è inevitabile, ma quando posso preferisco la capacità di sintesi e la pulizia della scala di grigi.

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Il Circolo Le date sono la mia maledizione: infatti non ricordo nemmeno in che anno ho iniziato a fotografare. Ricordo che i primi rullini li ho fatti con la Kodak Instamatic 133 di mio padre, ero a Porretta Terme e forse avevo una decina d’anni. Ho conservato quella macchina e dentro c’è ancora un rullino. Poi sono passati alcuni anni, durante i quali non mi sono interessato di fotografia.

L’insana passione è cominciata verso i 16 o 17 anni, ero alle scuole superiori e le cose andavano abbastanza male. Scarso rendimento e nessuna integrazione con i compagni; quando mi sono diplomato non ho più voluto incontrare nessuno di quella scuola. Fotografare rappresentava esattamente il mio stato d’animo, stare dietro il mirino mi permetteva di vedere il mondo senza farne realmente parte, mi sentivo protetto.

Rispolverata la Kodak di mio padre mi iscrissi al neonato circolo fotografico di Baricella. Imparai a sviluppare e a stampare da Orlando Zuppiroli, mentre il mio critico di riferimento fu Silvano Mantovani. In quegli anni i fotoamatori partecipavano ai concorsi e così ho cominciato a farlo anch’io. Ripresi mia nonna Elvira seduta su uno sgabello e con Orlando facemmo la stampa. Al concorso della fiera, a Baricella, la mia foto fu “segnalata”, cioè non premiata ma messa in evidenza dalla giuria.

A questo punto la questione era l’attrezzatura, mi serviva una macchina decente. A scuola andavo male e mio padre tentò d’incentivarmi con la promessa di una reflex se fossi stato promosso a giugno; naturalmente andai male e fui rimandato a settembre. Mio padre non mantenne il patto, ma mi acquistò comunque la macchina, una Topcon. A settembre fui promosso dopo un’estate trascorsa tra libri e camera oscura. Così la fotografia divenne il mio mondo, quello alternativo a una scuola e una classe che odiavo e non andai più a settembre. Arrivarono i premi e anche l’idea di essere bravino.

Poi nel ‘77, l’Italia sprofondava nel terrorismo, Paolo Pedrizzetti scattò la famosa fotografia della “P38”. Tante persone che conoscevo partecipavano alle manifestazioni mostrando alla polizia le due dita come se fossero la famigerata pistola. Cresciuto dai miei nel culto della prudenza e del non schierarsi mai, ero comunque affascinato dallo scontro ed essere fotografo mi pareva un buon compromesso tra l’esserci e il non prendere necessariamente posizione. Questa è una cosa che ho capito molto tempo dopo, sta di fatto che desideravo vivere

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certi eventi “forti” ma non avevo il “fegato” di infilarmici. Tra il 1977 e il 1982 andava in onda una serie televisiva, intitolata Lou Grant, ambientata in un grande giornale americano e naturalmente uno dei personaggi era il fotoreporter. Non ne persi nemmeno una puntata.

Fu così che nacque in me il desiderio di giornalismo; “fantasia” la chiamava disperata mia madre che già presagiva il disastro.

Nonostante una partenza zoppicante arrivai al diploma, tutto sommato, dignitosamente: mia madre mi voleva ingegnere, allora mi iscrissi all’università. Due anni dopo, il disastro che mia madre temeva si avverò: preso atto che invece di dare esami andavo sui camion di bietole per fotografare la vita dei camionisti, decisi di abbandonare l’università e trovarmi un lavoro. Mia madre ancora oggi non mi ha perdonato quella scelta, ma per me abbandonare ingegneria è stata tra le cose migliori che mi abbia portato la fotografia.

Nei gloriosi anni Ottanta, dopo il congedo dal servizio militare, dopo aver abbandonato università e avviato il lavoro, con la fotocamera in mano ho battuto il territorio costruendo l’archivio su Baricella. Come ho già detto il paese non era un granché, ma in quel periodo è stato relativamente vivo. In occasione di certi eventi mi trasformavo in un fotoreporter, o credevo di farlo, probabilmente rendendomi anche ridicolo fotografando la fiera, il carnevale, varie ed eventuali. Nel frattempo il circolo si era sciolto e io avevo smesso di partecipare ai concorsi fotografici e più che le singole foto, mi ero convinto che il reportage giornalistico sarebbe stato il mio genere fotografico.

Dal 1995 collaboro con una rivista a diffusione nazionale e dal 2002 ho in tasca la tessera di giornalista. Sono riuscito a buttarmi dentro qualche situazione difficile e, devo ammetterlo, mi sono anche divertito. Niente di eclatante, ma l’adrenalina è corsa ugualmente nelle vene. Sono stato all’estero appena quel tanto che basta per vedere fame e guerra, come si addice ad un fotoreporter, ma questo mi è piaciuto molto meno. Alcuni servizi che ho pubblicato sono oggettivamente molto fuori della portata di maggior parte delle persone che, possedendo una fotocamera, si fregiano del titolo di fotografo. Nonostante ciò continuo a pensare di non essere un fotografo completo.

Tutte le fotografie sono belle se invecchiano?

All’inizio mi pareva di avere le idee relativamente chiare su come dovesse essere una bella fotografia: se non altro, nel dubbio, mi fidavo dell’autore. Oggi non ho più la stessa certezza, soprattutto quando

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guardo le mie. In questi ultimi anni tutti fotografano tutto ed è quasi impossibile riprendere qualcosa di nuovo. In un mondo completamente invaso da fotografie, un’immagine di trent’anni diventa interessante già per diritto d’anzianità, quindi riguardando il mio archivio trovo facilmente buone immagini. In realtà la cosa è diversa, entra in ballo la memoria e il fatto che il tempo cambia le cose reali ma non quelle ritratte; questo ha un fascino irresistibile ed è la natura stessa della fotografia.

Non possiedo la cultura sufficiente per un discorso serio sulla fotografia, in giro c’è gente che può dire tanto su questo tema, ma usando semplicemente il buon senso si capisce che poter rivedere quello che è passato ha un fascino innegabile. L’età potrebbe bastare a rendere un’immagine interessante... ma non bella. Ecco, questo è un altro punto: quando, un’immagine è bella? Riesco a riconoscere con sicurezza certe brutte immagini ma ho difficoltà a riconoscere una fotografia veramente bella.

Mi sono reso conto che rivedendo le immagini dopo un certo tempo, quello necessario ad attenuare il ricordo, queste appaiono diverse.

Posso percepirne la composizione, la luce ed i dettagli del soggetto.

Probabilmente, dopo un po’ di tempo, io vedo le mie fotografie come le vedono da subito coloro che non erano presenti quando le ho scattate. Fare passare del tempo mi sembra un buon metodo per valutare una fotografia. Alcune delle fotografie di questa raccolta non hanno nulla di artistico, sono testimonianze asciutte di qualcosa che è accaduto. Altre invece hanno qualcosa in più: la capacità di mettere ordine in una scena, trarne semplicità e chiarezza. Quando le rivedo provo un piacere in più e non solo il risveglio di un ricordo. Vedo una storia nuova nata anche con il contributo del fotografo.

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Elvira Era mia nonna materna, nata nel 1902, ha vissuto 88 anni.

Sapeva leggere ma non sapeva scrivere e durante la sua vita ha fatto sempre e solo la bracciante lavorando anche in risaia. La sua passione era allevare galline che insultava quando non facevano l’uovo. In quasi un secolo di vita ha visto: le nostre guerre coloniali, due guerre mondiali, l’epidemia di spagnola, una monarchia, una dittatura, una repubblica, l’invenzione della radio, del telefono, della televisione, dell’auto, dell’aereo e l’uomo sulla luna.

Forse tutto questo non le è piaciuto.

Abitava a Baricella.

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Novella Era la mia nonna paterna.

Nata nel 1903 ha vissuto per 93 anni.

Dopo la prima guerra mondiale ha contratto la terribile influenza spagnola ma è sopravvissuta.

Ha perso il marito, mio nonno, quando aveva 40 anni, nonostante questo non ha mai perso le sua terribile grinta e voglia di vivere.

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Novella era decisamente piccola e d’inverno si arrampicava su un alto scranno per stare meglio alla luce della finestra.

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Raffaele Io lo chiamavo zio ma in realtà era uno degli zii di mio padre.

Tutti lo conoscevano come Pelloni in “onore” del famoso brigante Stefano Pelloni, “il Passatore”.

Il soprannome se lo è guadagnato in gioventù ma nessuno sa veramente il perché.

Era una formidabile forchetta.

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Nella Era un’amica di mia nonna Novella ed io, in estate, rubavo i rusticani dall’albero che aveva in giardino.

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Venturoli Siamo in un pomeriggio (o mattina?) all’interno della trattoria Venturoli. Gli avventori stanno giocando a carte, nello specchio rotondo è riflesso, da dietro, l’oste.

La foto è stata scattata nei primi anni ‘80 e l’unica persona di cui conosco il nome è quella con il cappello: lo chiamavano “Ninì” ma il suo nome di battesimo era Nominoe Golinelli. Sullo sfondo Donato Convertino e di spalle Rocco La Maida. Questo locale è gestito dalla stessa famiglia da quattro generazioni.

Oggi il Ristorante Venturoli ha tra le sue specialità le rane ma questa tradizione è partita quando le rane erano un piatto poverissimo che si serviva nelle osterie.

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Ancora l’osteria Venturoli con alcuni affezionati avventori.

Da notare che tre soggetti su quattro portavano il cappello anche all’osteria.

Il secondo da sinistra era lo zio di mio padre Benvenuto Cervellati.

Feci queste fotografie quando stavo sviluppando un progetto proprio sulle osterie.

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Giovanni Moretti È stato un personaggio veramente eclettico. Io l’ho conosciuto come scultore e l’ho fotografato vicino al busto della bisnonna da lui stesso scolpito. Il figlio, Leonardo, mi ha raccontato che suonava il piano, il mandolino ed il violino e si narra che fosse anche un batterista. Amico di Luciano Minguzzi autore del monumento al Partigiano e la Partigiana posto presso Porta Lame a Bologna e della “Porta del bene e del male” nella basilica di San Pietro a Roma.

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Renzo Magnanini Fu scultore e pittore nato il 18 ottobre 1920 a Fabrico.

Ha frequentato l’Accademia di Venezia, combattuto in Africa, 1940, all’Amba Alagi con il duca di Aosta, prigioniero in Sud Africa. Durante la prigionia si dedica alla pittura ed alla scultura; alcune opere sono esposte alla Galleria di Arte Moderna di Pretoria. Ritornato in patria continua la sua attività di pittore ed è sua una pala d’altare in San Domenico, Bologna.

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Altre suo opere sono esposte al museo Ermitage di San Pietroburgo.

Per Baricella, nel 2003, Renzo ha realizzato un’opera scultorea simboleggiante la lotta tra il bene ed il male.

Ho seguito, fotografando, tutto il processo di realizzazione dell’opera e fui anche testimone della grande fatica che sopportò.

Renzo Magannini è morto nel 2006 ed ora riposa nel cimitero del paese.

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Valerio Bandiera Valerio abitava a fianco a casa nostra, da bambino ho sempre pensato che fosse un idraulico ma era anche un abilissimo archibugiere. Ha potuto carpire i segreti dei Zanotti, tra i piĂš apprezzati archibugieri italiani. Da giornalista ho scritto un piccolo articolo su di lui.

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Bar Michele Non ho mai saputo il cognome di Michele, il titolare, che nella foto sta scagliando la boccia da biliardo.

Questo bar poteva serenamente essere il Bar Sport descritto nell’omonimo libro di Stefano Benni.

Nell’angolo, in fondo, di questa sala c’era anche la cabina telefonica con gli elenchi telefonici di tutte le province.

Con le tasche piene di gettoni ci si andava a fare le telefonate che in famiglia non si dovevano sentire.

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Tabaccheria Boselli La tabaccheria era divisa solo da una serranda, di quelle a fisarmonica, dal Bar Michele e di fatto quasi ne condivideva gli avventori. In tabaccheria si giocava la schedina con i pronostici maturati nelle lunghe discussioni al bar.

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Il Carnevale Uno dei due eventi di rilievo a Baricella era il carnevale.

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I Cannoni Il carro dei cannoni era l’anima goliardica della sfilata dei carri.

Per questo carro non era stata spesa nessuna qualitĂ artistica ma solo tecnologica e ludica. Sulla sua sommitĂ vi era un cannone, a ripetizione, che sparava coriandoli.

I suoi bersagli preferiti erano le finestra delle case che davano sulla sfilata. Con il tempo anche dai balconi sono spuntate delle canne in difesa.

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La fiera e la lotteria Questa fotografia risale, approssimativamente al 1985. Da sinistra: Paolo Ceccardi - segretario comunale del PCI, Carlo Manferrari - funzionario commerciale FIAT, Iago Masotti - titolare dell’officina alle sue spalle, un “signore di Passo Segni”, Tiziano Pelotti responsabile finanziario del PCI ed Ezio Zucchini - segretario PCI della sezione di Baricella.

Tutti questi signori stanno consegnando la macchina al centro della scena al “Signore di Passo Segni” che l’ha vinta alla lotteria che il PCI aveva organizzato per la “Fire di Sdaz”.

Qualcuno ricorderà quando verso la fine della giornata della fiera, dal balcone di quella che una volta era la Coop Consumatori, si celebrava l’estrazione dei premi.

Nella seconda fotografia, in basso, la consegna della bicicletta a Ione Mazza da parte della solita rappresentanza del partito. Ione sembra quasi preoccupata. Alla sua destra, Enrico Parenti, titolare del negozio di biciclette.

Questa signora, per anni bidella all’asilo d’infanzia, ha custodito generazioni di baricellesi.

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Casbah A Baricella, nei primi anni ’80, iniziò l’attività della Casbah.

Un’associazione dedicata all’organizzazione di attività sportive e culturali. La Casbah organizzò il primo corso di yoga della provincia di Bologna ed anche il primo corso di computer sugli storici Vic 20. Tra gli eventi più famosi organizzati dalla Casbah ci fu Ugolabella, uno spettacolo che metteva in scena un finto concorso con parodie di canzoni famose.

Per la messa in scena di Ugolabella, la Casbah noleggiava un tendone da circo. Lo spettacolo finì anche in Ungheria.

Con i proventi delle sue iniziative dal 1995, l’associazione ha adottato 300 bambini orfani del conflitto jugoslavo.

Un’attività che prosegue tutt’ora con aiuti ai “nuovi orfani” di quelle zone. Oggi la Casbah registra oltre 200 tesserati ed organizza corsi di ginnastica dolce, yoga, pattinaggio, psicomotricità ed atletica leggera.

La fotografia a destra: da sinistra Graziano Zanacchini, Athos Cristiani e Patrizia Calcaterra durante “Baluseiland”, una festa dove si gareggiava al tiro a segno con fionda e castagne, cercando di fare centro su una padella.

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Fulvio De Nigris e Francesco Mescolini Il primo a sinistra è l’attore cesenate Francesco Mescolini ed al suo fianco Fulvio De Nigris. Quest’ultimo fonderà la Casa dei Risvegli Luca De Nigris, struttura innovativa per la riabilitazione, formazione e ricerca nel campo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA). Francesco Mescolini reciterà a fianco di Benigni nel film premio Oscar “La vita è bella”.

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La Casbah quasi al completo in una sera, presso la biblioteca comunale, durante un corso di teatro.

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Epifania Una delle Epifanie organizzate da Polisportiva e Casbah. Distribuzione delle calze, da sinistra Renato Bottazzi, Lamberto Forni travestito da Befana, Patrizia Calcaterra e Sandro Bottazzi.

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Concerti Augusto Daolio è stato il cantante storico dei Nomadi.

Anche questo gruppo passò da Baricella, come la PFM, Ron, Vasco ed i mitici Nirvana.

Sopra l’allestimento del palco nel vecchio campo di calcio dove d’estate si teneva la festa dell’Unità.

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Polisportiva Una della tante iniziative della polisportiva Baricellese.

A sinistra Renato Bottazzi l’anima della polisportiva.

Di sicuro si trattava della premiazione di una gara ciclistica amatoriale ma molto di piÚ non è stato possibile sapere.

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Nel 1986 l’Ungheria era alla vigilia della sua svolta democratica che avvenne dolcemente negli anni successivi. Quell’anno il Baricella si gemellava con Miske, un comune di 2000 abitanti nel Bács-Kiskun e in Ungheria il Baricella va a giocare una partita di calcio. La squadra del Miske ricambiava la visita nel 1987.

Nella foto il capitano del Baricella, Alain Frulla, un attimo prima del calcio d’inizio sul campo di casa.

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La partita di andata si chiuse a favore dei locali per 2 a 0 mentre quella di ritorno ebbe un esito cosÏ disastroso per il Baricella che oggi si è persa memoria del punteggio.

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Marozzi Tra la fine del 1984 e l’inizio dell’85, la merceria Marozzi liquida tutto e chiude. Nel 1959 la camera di commercio di Bologna premia la merceria Marozzi con una medaglia d’oro per i suoi 49 anni di attività in Baricella e questo ci fa dedurre che l’inizio di tutto debba risalire al 1910. Dal 1925 l’attività si è spostata nel palazzo ritratto nella fotografia e qui è rimasta fino alla chiusura. L’attività fu avviata dalla nonna Teresa Romagnoli, continuata da Osvaldo Marozzi e poi dal figlio e la moglie.

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Gelateria Fero A Baricella c’erano palazzi che erano anche dei riferimenti.

Uno di questi era il palazzo di Fero, nella foto poco prima della sua demolizione. In questo palazzo, al piano terra, c’era l’omonima gelateria. Alla gelateria Fero si mangiavano i ghiaccioli da 50 lire e lì si inventò il gelato “ufo” fatto da due cialde, tipo dei piattini, con in mezzo il gelato.

A destra il retro del palazzo, quella piccola porta bianca era l’ingresso dello studio del dottor Pistani.

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Villa Mariani Queste fotografie sono molto vecchie e sono state scattate all’interno della villa Mariani.

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Nevicata Tre foto invernali. Di sicuro gli spalatori di via XXV Aprile sono quelli della nevicata del ‘77. La mitica fontana della chiesa è ancora la nevicata del ‘77 ma non sono certo della villa Baracca, forse è di una nevicata successiva. Forse.

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Chicago A Baricella c’erano due cinema: quello parrocchiale, il cinema Santa Maria, e quello “profano” l’Excelsior. Nel primo ci andavamo noi bambini aspettando di avere l’età per andare all’Excelsior.

Qui proiettarono anche l’”Ultimo tango a Parigi” e noi “cinni”, termine dialettale che sta per monelli o simile, aspettavamo quella fatidica soglia dei 14 anni per fare il salto di qualità.

L’edificio che ospiterà poi il Chicago divenne per un periodo il cinema Excelsior, spostato dalla sua prima sede.

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Poi fu una sala da ballo e una anonima discoteca di provincia, in seguito anche il Chicago fece il salto di qualitĂ diventando il punto di riferimento per un certo tipo di avventori decisamente molto alternativi. I suoi avventori furono causa di non pochi problemi con sabati sera movimentati. Il Chicago venne chiuso e dopo un lungo periodo di abbandono fu abbattuto.

Quando lo demolirono andai a fotografarlo.

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Le sfilate Una delle frequenti ricorrenze era, ed è, la sfilata di moda organizzata con la collaborazione dei negozianti del paese.

Le indossatrici erano reclutate tra le ragazze del paese.

Nella fotografia Monica Cevenini.

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Cesarino Volta Giornalista e direttore di vari giornali locali. Interprete presso l’associazione Italia-URSS, è vissuto in Unione Sovietica dal 1959 al 1961. A Baricella ha ricoperto la carica di sindaco dal 1970 al 1974. Durante la sua amministrazione ha ridato vitalità alla Fire di Sdaz, costruito le scuole medie ed il parco di villa Baracca.

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La politica Forse era il ‘92 e Ottaviano Del Turco venne a fare campagna elettorale anche a Baricella.

Quello che fu l’ultimo segretario del PSI era candidato 68

anche nel nostro collegio... o giù di lì. Non si era mai visto a Baricella un esponente politico di “taglia” nazionale e fece notizia. Poco dopo l’essere stato eletto, Del Turco, abbandonò lo schieramento per passare al gruppo misto. Alcuni non la presero bene. Sopra l’inaugurazione dell’asilo d’infanzia dopo il suo restauro da parte del sindaco Paolo Ceccardi. In basso a sinistra, nel 1984, il sindaco Gianluigi Baldi, con l’architetto Reggiani e il presidente di regione Lanfranco Turci, inaugura la villa Baracca ristrutturata per accogliere la scuola media.

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Cassa Rurale e Artigiana Siamo nel 1985 e si celebra il 90esimo della fondazione della Cassa Rurale di Baricella.

Da sinistra Giovanni Dalle Fabbriche, presidente Federazione Casse Rurali Emilia Romagna, il Cardinale Giacomo Biffi, da solo un anno a Bologna (1984-2003), il presidente della Cassa Rurale il comm. Carlo Forlani , il Mons. Don Pierpaolo Sassatelli allora parroco di Baricella e l’onorevole Emilio Rubbi sottosegretario al bilancio.

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Il ricovero Quello che tutti chiamavano il ricovero era la “Casa di Riposo del Cooperatore” ancor prima di una istituzione era una minaccia: ti mando al ricovero dicevano figli insofferenti, nuore irrispettose o consorti esauste. Nel nostro comune la casa di riposo era già in funzione dal 1800 ed i primi ospiti furono i braccianti e gli scariolanti che lavoravano nelle bonifiche. Negli anni divenne di proprietà della CIMA (Cooperativa Interregionale Muratori ed Affini) per poi passare definitivamente sotto la gestione del Comune di Baricella. Scattai queste fotografie ispirato dei fotografi come Gianni Berengo Gardini e volevo fare qualcosa di “sociale”. Nella fotografia in alto Delfina La Maida, al centro.

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Gli amanti Se il portico di villa Baracca potesse parlare racconterebbe storie di alcune generazioni di adolescenti che sotto quelle volte si sono scambiati baci, confidenze e spesso anche spinelli.

Questi due giovani amanti sono tutt’ora sconosciuti.

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Loriano Macchiavelli Nel marzo del 2002 lo scrittore Loriano Macchiavelli fu ospite nella biblioteca di Baricella nell’ambito di una serie di incontri con vari autori.

Macchiavelli, nato a Vergato nel 1934, è stato organizzatore ed autore teatrale.

Dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco divenendo uno dei più noti e letti autori italiani. Molto nota la sua collaborazione con Francesco Guccini con il quale ha scritto alcuni romanzi.

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Chiesa Nel 2005 ebbe inizio il restauro dell’importante crocefisso custodito nella chiesa parrocchiale di Baricella. Il restauro, finanziato dalla famiglia Bibi Ballandi, terminò nel 2006 e l’11 febbraio dello stesso anno fu rimesso nella sua nicchie e presentato ai parrocchiani alla presenza di monsignor Ernesto Vecchi. Il parroco era don Dante Martelli.

Il crocefisso è risalente al XVII secolo e fu donato nel 1612 dal senatore Bianchetti alla parrocchia.

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Purtroppo non mi è stato possibile contattare tutte le persone ritratte nelle immagini o citate, alcune non sono più tra noi. Mi scuso se per qualche ragione gli interessati o i loro parenti si siano sentiti toccati in qualche modo. Le stesse informazioni sono il frutto di interviste e ricordi personali quindi suscettibili di inesattezze. Eventuali rettifiche verranno pubblicate sulla pagina: “www.facebook.com/StorieVecchie”.

Gilberto Cervellati

Progetto grafico: Graph-x Studio Stampa: Ideostampa Finito di stampare nel mese di dicembre 2016

Questo libro è composto da immagini provenienti dal mio archivio fotografico. Ho preso in mano la prima macchina fotografica quando avevo 15 anni e, dopo 38 anni di scatti piÚ o meno disordinati, da questo archivio vengono fuori immagini dimenticate e le loro storie, spesso incomplete.

Gilberto Cervellati

Da sempre vive a Baricella, piccolo centro tra Bologna e Ferrara, qui coltiva la passione per la fotografia ed il giornalismo che sperimenta riprendendo la vita di amici e concittadini. Nato nel 1962, dopo studi tecnici ed una professione nel settore dell’informatica, diventa giornalista nel 2002 collaborando con alcune riviste specialistiche. Ha pubblicato diversi reportage sulle Forze Armate e corrispondenze dai teatri operativi esteri.