

TENNIS Paolo Bertolucci
Illustrazioni di GIORDANO POLONI con
Vincenzo Martucci
La storia del TENNIS
in
RITRATTI
Paolo Bertolucci con Vincenzo Martucci
La storia del tennis in 50 ritratti illustrazioni di Giordano Poloni
Publisher
Balthazar Pagani – BesideBooks
Fact checking e editing
Giulia Bilancetti
Graphic design PEPE nymi
ISBN 979-12-221-0925-1
Prima edizione aprile 2025 ristampa 9876543210
anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso BALTO print, Utenos g. 41B, Vilnius LT-08217, Lithuania nel mese di marzo 2025
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Paolo Bertolucci La storia del TENNIS
in
50 RITRATTI
Illustrazioni di GIORDANO
POLO NI
con
Vincenzo
Martucci
Ai miei genitori, a Irene e al mio amore.
P. B.
SOMMARIO
DA SPORT DEI RE
A RE DEGLI
SPORT
DA SPORT DEI RE A RE DEGLI SPORT
Come un passatempo nobiliare è diventato una passione universale
Le origini
Chi parla del tennis come dello sport inventato dal diavolo non sa quanto è vicino alla verità. Da tempi immemorabili, dagli Egizi ai Greci, dai popoli precolombiani ai Romani, c’è sempre stato qualcuno che ha preso a colpire una palla avanti e indietro: dapprima a mani nude, quindi con un guanto di cuoio che s’è via via trasformato e allungato, diventando un bastone ed evolvendosi nell’odierna racchetta.
Già nella Roma antica, tra i versi dell’Ars amatoria di Ovidio (composta tra l’1 a.C. e l’1 d.C.) spunta il termine reticulum, precursore etimologico della bacchetta magica dei tennisti, anche se forse il nome viene dall’arabo ràhat, che significa “mano”. Anche a Baghdad, alla corte del califfo Hārūn al-Rashīd, nell’VIII secolo d.C., si praticava un gioco con la palla lanciandola contro un muro in stanze chiuse: un passatempo che era molto diffuso tra i principi d’Oriente e che anticipa il gioco della pallacorda, antenato del moderno tennis.
Di quelle prime forme di tennis sappiamo poco o nulla. Solo intorno all’anno Mille dai monaci del Sud della Francia, ci arrivano le prime testimonianze chiare: i religiosi, nei monasteri, si cimentavano infatti in vari giochi con la palla, lanciandola contro il muro o passandosela fra di loro. Ed eccoci allo sport inventato dal diavolo. Cesario di Heisterbach, nel Dialogo dei miracoli, scritto all’inizio del Duecento, racconta di un chierichetto, tacciato di essere stupido per la sua me -
moria corta, che un giorno ricevette in regalo dal diavolo una pietra speciale e un monito: “Finché la terrai in mano, saprai tutto”. Da allora il giovane diventò un ottimo discepolo, ma quando, colto da un malore improvviso, morì, alcuni demoni gli strapparono l’anima e presero a lanciarsela per gioco da un versante all’altro di una valle di vapori sulfurei, aumentando lo strazio della “palla” via via che la picchiavano con i loro artigli da diavoli, affilati come chiodi. Di monastero in monastero, nel corso del Trecento, l’antenato del tennis diventò popolare in tutto il territorio italiano, dove già in precedenza i Longobardi avevano inventato e praticato un gioco all’aperto che sarebbe poi stato in seguito denominato “pallacorda”: consisteva nel lanciare una piccola palla con le mani verso l’avversario, cercando di superare una corda tesa a metà campo, una sorta di fusione fra la palla basca e la palla a muro. In Francia, fuori dalla corte del re, il gioco era severamente vietato da uno specifico editto, mentre invece i nobili impazzivano per il jeu de paume, il “gioco di palmo (della mano)”. La palla non aveva ancora lasciato il palmo della mano per sposare solo e soltanto la racchetta che già si registrava la prima attestazione della parola “tennis”, nella sua forma antiquata di “tenes”. Il giurista trecentesco Donato Velluti, un progenitore degli odierni cronisti sportivi, racconta infatti nella sua Cronica di Firenze di quando i ricchi della città furono contagiati dal jeu de paume in seguito alla visita di cinquecento cavalieri francesi: durante le partite, chi era al servizio doveva avvisare l’avversario prima di battere, urlando “Tenez!” (“Tenete!”). Secondo alcuni, invece, pur riconoscendo la paternità francese del termine, quel grido era il segnale con cui gli antenati dei raccattapalle passavano la palla ai nobili prima del servizio. Un’altra teoria, infine, fa risalire la parola “tennis” alla città egizia di Tanis, sul Nilo, famosa al tempo per la produzione di lino bianco, col quale venivano rivestite le palle. Quel che è certo è che quella tra i francesi e il tennis è una relazione molto stretta: già Carlo d’Orléans, durante la sua lunga prigionia in Inghilterra, dal 1415 al 1440, tradusse in versi quei momenti d’evasione sul campo. E in quegli stessi anni spuntò persino una prima tennista donna, tale Margot la Hennuyère. In quel periodo, il gioco si svolgeva ancora prevalentemente con la mano, ma nei primi anni del XVI secolo, sempre in Francia, fu introdotta la racchetta in legno. La prima rappresentazione pittorica di una racchetta cordata è del 1552, in un ritratto del futuro re Carlo IX , che da adulto sarebbe diventato un gran tifoso. A lui si deve anche il primo torneo, diviso in tre categorie: apprendisti, amatori e professionisti. E ben due membri della famiglia reale morirono in incidenti legati in qualche
modo al gioco: Carlo VIII, che impaziente di assistere a una partita cavalcava a una velocità tale da dare una ferale craniata contro un architrave uscendo alla luce del sole dopo una lunga galleria buia; il delfino Francesco di Valois, figlio di Francesco I, a causa di una polmonite fulminante contratta a seguito di una partita. A Parigi la febbre per il nuovo gioco salì talmente tanto che anche il Louvre divenne teatro di memorabili spettacoli, attirando folle sempre più numerose, insieme alle scommesse su quei vivaci e affollati confronti della domenica. Da regno a regno, dalla Francia all’Inghilterra, il jeu de paume trovò un fervente sostenitore in Enrico V, che in gioventù ne fu grande appassionato ed ebbe un ruolo importantissimo nella sua diffusione tra i cugini d’oltremanica. William Shakespeare, nell’opera a lui dedicata, nel primo atto cita le “tennis balls”, definendole “un tesoro”, con riferimento a quando, il 24 ottobre 1415, i francesi spedirono a Enrico un cestino pieno di palle da tennis per schernirlo. Adirato, il re replica: “Dite dunque al faceto vostro principe che con questo burlesco suo giochetto ha trasformato in palle da cannone le sue palle da tennis”, dando il via, l’indomani, alla battaglia di Azincourt. Anche i suoi successori mantennero saldo il legame con il gioco. Enrico VII ed Enrico VIII ne furono grandi estimatori, e si dice che quest’ultimo si trovasse proprio sul campo da gioco quando gli giunse notizia dell’esecuzione di Anna Bolena . La quale, a sua volta, pare venne arrestata mentre assisteva a un incontro di quello che gli storici avrebbero poi ribattezzato real tennis, giocato indoor, un misto fra il tennis moderno e lo squash.
Dimensioni del campo, forma delle racchette, incordatura, materiali e regole intrapresero da allora una lunga serie di trasformazioni ed evoluzioni che, come sappiamo, non si sono mai arrestate fino ai giorni nostri. Per lungo tempo le regole vennero trasmesse oralmente, dando luogo a interpretazioni così variegate che, forse per esperienza diretta dopo una lite sul campo, nel 1555 un prete italiano, Antonio Scaino da Salò, decise di pubblicare il Trattato del giuoco della palla, dedicando ad Alfonso d’Este le 315 pagine nelle quali fissava le prime indicazioni tecniche per il gioco e i giocatori, nonché le dimensioni del campo, che prima di allora non erano mai state definite. Ahilui, come succede ancor oggi, scritto in volgare il libro non ebbe fortuna, e così francesi e inglesi si sono attribuiti la paternità della codificazione del gioco.
Anche se il tennis nacque ufficialmente molto più tardi, il 23 febbraio 1874, in Inghilterra, quando il maggiore gallese Walter Clopton Wingfield depositò presso
la Camera dei Mestieri la sua invenzione: un campo trasportabile, perfezionato e dotato di reti, per giocare l’antico jeu de paume, che ribattezzò Sphairistike, termine col quale gli antichi greci indicavano il gioco con la palla, menzionato anche nella letteratura medioevale. Nel romanzo cavalleresco Sir Gawain e il Cavaliere Verde per esempio, Gawain Gwalltafwyn, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, giocava a una sorta di tennis con un gruppo di giganti. Come spesso accade nel campo delle invenzioni, anche questa in realtà invenzione non fu: qualche anno prima, nel 1858, un altro inglese, il maggiore Harry Gem, aveva già varato una specie di pallacorda su quello che fu il primo campo da tennis, tracciato sull’erba del suo giardino a Edgbaston. Per poi replicarlo nel 1870 nella sua nuova residenza, a Leamington, coniando anche il nome lawn tennis, “tennis su prato”, e inaugurando quindi anche il primo circolo quando invitò gli amici a cimentarsi in quel nuovo gioco al Leamington Lawn Tennis Club. Il brevetto del maggiore Wingfield, protetto per tre anni, poteva essere acquistato per 5 ghinee e comprendeva un equipaggiamento con alcune palline da gioco, 4 racchette, una rete e un manuale con le istruzioni per l’uso. Il campo, da disegnare sull’erba, si restringeva al centro, all’altezza della rete, assumendo la forma di una clessidra: misurava 18,29 metri in lunghezza, con una linea di fondo di 9,14 metri e una rete di 6,4, alta circa un metro e mezzo. Il gioco si presentava come un’evoluzione del jeau de paume e del real tennis. L’alta società vittoriana venne subito conquistata da quel magico kit, tanto che nel 1875 il maggiore – pioniere del marketing – pubblicò una lista di personalità che l’avevano acquistato, fra cui spiccavano 11 tra principi e principesse, 7 duchi, 14 marchesi, 60 fra conti e contesse, 105 visconti e 41 baroni.
Introducendo le regole, che incorporavano anche elementi del badminton, Wingfield definì il gioco come di facile apprendimento anche per i principianti, tanto da poter essere padroneggiato in soli cinque minuti. La nomenclatura del punteggio del lawn tennis risente molto del lungo e significativo transito in Francia del jeu de paume: il 40 pari viene indicato come “deuce”, che deriva dal francese “à deux le jeu”, “a entrambi il gioco”; lo zero è “love”, da “œuf”, “uovo”, che somiglia appunto al numero zero. Mentre il sistema di punteggio è rimasto quello insolito che conosciamo ancora oggi, legato forse al tempo medio, contato in minuti, necessario per conquistare i punti: 15, 30 e 40. Le sue teorie erano talmente coerenti che il trattato più autorevole, Tennis Origins and Mysteries di Malcolm Whitman, del 1932, le ha riprese e accreditate.
Dopo che l’aristocrazia britannica ebbe trovato nel lawn tennis il suo nuovo passatempo all’aperto, che presto avrebbe soppiantato il croquet nella scala delle preferenze, questo si diffuse rapidamente in tutto il mondo, trainato soprattutto dagli ufficiali dell’esercito. A cominciare dagli Stati Uniti, dove il lawn tennis fu giocato la prima volta nel 1874 a Staten Island, nella residenza della facoltosa Mary Ewing Outerbridge, e il desiderio di competere portò ben presto alla nascita dei primi club, nel 1881. Le Bermuda entravano così, di rimbalzo, nella storia del tennis statunitense: era stato infatti lì che Mary, in visita ai parenti, aveva scoperto il nuovo gioco del maggiore Wingfield grazie agli ufficiali di Sua Maestà di stanza nell’arcipelago. Così, quando rientrò in patria, portò con sé anche una rete, palline, racchette e le specifiche per le dimensioni dei campi. Quel curioso equipaggiamento rischiò però di esserle confiscato alla dogana, in quanto non sapevano come catalogarlo e quindi dare un prezzo a quella inedita attrezzatura: solo l’intervento del fratello, dirigente delle spedizioni, riuscì a sbloccare la situazione. Nel 1981, Mary Outerbridge sarebbe poi entrata nell’International Tennis Hall of Fame: pioniera dell’introduzione del tennis negli Stati Uniti e figura chiave della popolarità dello sport tra le donne.
Wimbledon
Wimbledon è stato il tennis da subito. Sin da quello storico 19 luglio 1877, quando Spencer Gore batté William Marshall per 6-1, 6-2, 6-4 in appena 48 minuti nella finale del primo Lawn Tennis Championship, come celebrò il giorno dopo il “The Morning Post”. Al torneo di tennis su prato avevano partecipato in 22, tutti dilettanti, versando per l’iscrizione una ghinea ciascuno, sperimentando gli accoppiamenti per sorteggio. Ci furono anche due rinvii: le semifinali erano terminate giovedì 12 luglio, ma il torneo fu sospeso per non sovrapporsi col tradizionale confronto annuale di cricket tra Eton e Harrow, e poi il lunedì le famigerate “showers” – gli scrosci di pioggia tipici di Londra – posticiparono la finale fino alle 15:30 di giovedì 19. La perseveranza dei duecento spettatori, che avevano pagato poco più di uno scellino per il biglietto, venne infine premiata, e così si ritrovarono a celebrare il primo campione di Wimbledon. Il ventisettenne Gore, giocatore di racket (antesignano dello squash) e di cricket, non proveniva dal real tennis come il suo avversario. Ma dietro quel primo torneo si condensava una sto -
il grande tennis è tornato. jannik sinner infiamma il pubblico, la passione per la racchetta è travolgente e questo sport si riscopre irresistibile. lasciati catturare dalle storie dei numeri 1!
Paolo Bertolucci, campione indimenticabile e oggi commentatore autorevole, e Vincenzo Martucci, da decenni testimone d’eccezione di sfide memorabili, raccontano il tennis attraverso i 50 giocatori e giocatrici che lo hanno reso leggendario. Dai miti del passato ai grandi rivoluzionari della racchetta fino alle stelle del presente, ogni atleta è celebrato in queste pagine con le vivide illustrazioni di Giordano Poloni, in una narrazione esperta, colorata e appassionante.
Per chi ha vissuto l’adrenalina delle epoche d’oro, per chi ne scopre ora la magia e per chi non smette mai di emozionarsi davanti a un match. Un omaggio allo sport dei re che è diventato il re degli sport.


Paolo Bertolucci è stato tra i più grandi campioni del tennis italiano, vincitore della Coppa Davis nel 1976 e di numerosi titoli internazionali. Oggi è uno dei commentatori del tennis più apprezzati e seguiti in tv.
Vincenzo Martucci, giornalista e scrittore, ha raccontato il tennis per oltre trent’anni su “La Gazzetta dello Sport”. Ha seguito oltre 100 tornei dello Slam e 30 finali di Coppa Davis.
GIORDANO POLONI è un illustratore pluripremiato, con collaborazioni per “The Guardian”, “Il Sole 24 Ore”, “Wired” e molte case editrici.