La storia del calcio in 50 ritratti

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PAOLO CONDÒ

La storia del

ILLUSTRAZIONI DI

MASSIMILIANO AURELIO E GIORDANO POLONI

Paolo Condò

La storia del calcio in 50 ritratti illustrazioni di Massimiliano Aurelio e Giordano Poloni

Publisher

Balthazar Pagani – BesideBooks

Fact checking

Massimo Perrone

Editing della nuova edizione e fact checking

Fabia Brustia

Graphic design PEPE nymi

ISBN 979-12-221-0926-8

Nuova edizione aggiornata agosto 2025 ristampa 9876543210

anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso BALTO print, Utenos g. 41B, Vilnius LT-08217, Lituania nel mese di luglio 2025

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La storia del PAOLO CONDÒ

ILLUSTRAZIONI DI in 5O

MASSIMILIANO AURELIO E GIORDANO POLONI

Ad Andrea e Matteo i miei due campioni

SOMMARIO

50 RITRATTI

Ci sono tutti i migliori ma non sono i 50 migliori. In molti modi i loro talenti hanno influenzato il calcio. Sono i miei 50. Ora aspetto i vostri.

Paolo Condò

CARLO ANCELOTTI

10 giugno 1959 (Reggiolo, Italia)

Carlo Ancelotti è in piedi immobile accanto alla linea laterale, mentre attorno a lui l’intera panchina del Real Madrid si dimena, sospira, grida la propria angoscia, mormora una preghiera. Il cronometro segna 92’:45”, il recupero concesso dall’arbitro è di quattro minuti, l’Atlético Madrid è avanti di un gol e Luka Modrić va a battere un calcio d’angolo per il Real. Lisbona, finale di Champions 2014. Sono tutti impazziti per la tensione tranne Ancelotti, che è impassibile. La traiettoria tesa del corner supera il gruppo dei primi saltatori e non ha ancora iniziato a scendere quando impatta con la fronte di Sergio Ramos, un’arma impropria a quei tempi. Gol, 1-1, la finale muore lì: nei supplementari non c’è partita e il Real vince 4-1. A fine gara, in sala stampa, i giocatori irrompono mentre Ancelotti sta raccontando il match, e lo portano in trionfo davanti ai giornalisti. C’è spazio per una sola domanda: “Carlo, come mai era così tranquillo?”, “Beh, c’era ancora un sacco di tempo per fare gol. Mancava più di un minuto”.

Non c’è frase che spieghi meglio l’equilibrio e la saldezza di nervi di questo uomo di campagna saggio come un contadino, ma allenatore metropolitano capace di lavorare per i potenti della Terra (non solo calcistica) con la grazia di un diplomatico consumato. Il suo palmarès è irraggiungibile: cinque Champions (più due da giocatore) fra Milan e Real più gli scudetti dei cinque campionati principali. In Italia con il Milan di Silvio Berlusconi, cui lasciava molti meriti perché se ne avvantaggiasse in politica; in Spagna con il Real Madrid di Florentino Pérez, che ne approfittava per le sue battaglie industriali e politiche (la Superlega); in Inghilterra con il Chelsea di Roman Abramovič, l’oligarca russo più occidentalizzato, che dopo le sconfitte gli mandava un SMS con un inquietante punto di domanda; in Francia col PSG dello sceicco Al-Thani, impegnato nella conquista del lucroso Mondiale 2022; in Germania col Bayern, e almeno lì i suoi superiori erano antiche leggende del club come Rummenigge. “Un giorno scriverò un libro sui miei datori di lavoro” promette agli amici nelle sere d’estate. Il prossimo sarà il popolo brasiliano: Ancelotti guiderà la “Seleção” al Mondiale 2026. La responsabilità più prestigiosa. Il superattico di un condominio irripetibile.

ROBERTO BAGGIO

18 febbraio 1967 (Caldogno, Italia)

Eravamo tutti buddhisti, in quell’estate del 1994: buddhisti e zonisti, adepti del culto di Roberto Baggio e seguaci della religione di Arrigo Sacchi. Eravamo giovani e forti, e siamo morti soltanto all’ultimo ostacolo, quando “Baggino” –chiamavamo così Roberto per distinguerlo dall’omonimo Dino, un gigante detto “Baggione” – calciò alto l’ultimo rigore della finale mondiale, un Brasile-Italia bloccato e noioso, ma chi ci pensava in quei momenti, cullati dalla voce di Bruno Pizzul... Era un’Italia dura da rodere: sempre sull’orlo del precipizio eppure capace di cavarsela all’ultimo come gli eroi dei film. Prima perché Sacchi, con la Nazionale già sconfitta all’esordio e presto in dieci nella seconda partita, ebbe il coraggio di togliere “Baggino” mantenendo equilibrata la formazione e aprendo la strada al gol-vittoria di “Baggione”. Poi perché Roberto seppe rimontare psicologicamente quello smacco, ridiventando dagli ottavi il miglior giocatore del mondo.

Quel Mondiale lontano, assurdo, drammatico e ruggente è il Ricordo per eccellenza della mia generazione di giornalisti. “Baggino” ne fu il pifferaio magico, dal miracoloso pareggio all’88’ (ancora in dieci) con la Nigeria al rigore vincente nei supplementari, dal colpo risolutivo ancora all’88’ contro la Spagna alla doppietta ai bulgari in semifinale, caricate i bagagli che si vola a Los Angeles. Roberto viaggia con la gamba distesa, gli hanno tolto il sedile anteriore per far riposare l’arto: si è stirato dannazione, lo sospettiamo tutti anche se lo staff medico parla di contrattura. Dopo tre giorni di dubbi va in campo, ma non è lui. Se il finale è triste, però, il cammino resta indimenticabile. “Eravate sull’aereo per tornare a casa, e io vi ho tirato tutti giù”: dopo la Nigeria in pochi abbiamo la freddezza di attendere l’ultimo istante utile per aggiungere ai pezzi sulla partita una dichiarazione dell’eroe. In Italia era notte fonda. Ma nella mia memoria non uno di quegli attimi a dettare il bollettino di vittoria è andato perduto. Gliene sarò grato per sempre.

GORDON BANKS

30 dicembre 1937 (Sheffield, Inghilterra)

12 febbraio 2019 (Stoke-on-Trent, Inghilterra)

L’abbiamo rivista molte volte nello stesso giorno, quello triste della sua scomparsa: la “parata del secolo” di Gordon Banks, il formidabile colpo di reni col quale il portiere inglese tolse letteralmente dalla porta il magnifico colpo di testa di Pelé al Mondiale ’70. L’abbiamo rivista ed è sempre una meraviglia, perché lineare è l’azione, interamente interpretata da fenomeni: la suprema leggerezza con la quale Jairzinho guadagna la linea di fondo per il cross, l’aeronautica eleganza di Pelé mentre si alza nel cielo per colpire schiacciando verso terra, la reattività quasi soprannaturale di Banks nell’intuire la traiettoria del rimbalzo e piazzare la mano esattamente lì, puntuale al rendez-vous col pallone in transito. Narra la leggenda che Bobby Moore, dandogli una pacca mentre andava a posizionarsi per il corner, gli abbia detto allegro: “Stai invecchiando, una volta queste palle le bloccavi”; ma è una bugia, l’incrocio dura un istante, la versione più credibile è che il capitano gli abbia semplicemente mormorato: “Well done”, ben fatto amico mio. Di certo Pelé, che atterrando dal colpo di testa aveva già le braccia alzate, contribuì a innalzare quella parata dove ancora troneggia raccontando il suo sconcerto. Mai visto un intervento del genere.

Gordon Banks se ne è andato da un po’, soddisfatto dei suoi 81 anni e di una carriera che pur non avendogli riservato molto altro (soltanto due Coppe di Lega, oltre al Mondiale ’66), l’ha inserito senza discussioni nell’olimpo dei numeri uno. Erano anni in cui non si cambiava squadra facilmente e Banks si limitò a passare dal Leicester allo Stoke City nove mesi dopo il titolo mondiale, restando così a lottare per piazzamenti poco significativi: in campionato il top è il quarto posto del ’63, i due tornei europei giocati – Coppe ’61-’62 e Uefa ’72-’73 – si concludono il primo agli ottavi e il secondo al primo turno. Ma Gordon è il portiere dell’unica

Inghilterra vincente, e l’iconico protagonista della parata del secolo. Quella è sua, per sempre.

DAVID BECKHAM

2 maggio 1975 (Londra, Inghilterra)

David Beckham è il calciatore più bello di sempre, o per lo meno il più bello fra quelli bravi. Basta questo per guadagnarsi un posto fra i 50 personaggi che hanno segnato la storia del gioco? Sì, e per almeno due motivi. Il primo è che David era bravo sul serio, ma in fondo nessuno se n’è mai accorto perché l’esagerata bellezza – e il conseguente successo con le donne – finiva per inficiare il giudizio tecnico. La verità è che ci stava troppo sull’anima per ammettere che era pure forte. Negli anni di Manchester, e tutto sommato anche in quelli di Madrid, la capacità di arcuare il piede destro per cavarne cross al bacio o – specie su punizione – traiettorie mortali, aveva qualcosa di artistico. Eppure è un’altra la “sua” opera esposta alla National Portrait Gallery di Londra: due ore di video di lui che dorme, un autentico angioletto. Dicono che i primi tempi le code femminili davanti al ritratto fossero così imponenti da uscire su Trafalgar arrivando fino a Whitehall. Beckham è uno che ha vinto: sei campionati inglesi, uno spagnolo, uno francese col PSG più la mitologica Champions del ’99, rimonta e sorpasso sul Bayern nei minuti di recupero. Niente male come palmarès, ma da solo non varrebbe l’aura da rockstar, o meglio da icona pop, che lo avvolge – e siamo al secondo punto –fin dal matrimonio con Victoria , la più sexy delle Spice Girls, pietra angolare di una narrazione “belli, ricchi e famosi” che sbaraglia il campo su scala planetaria. Beckham segna la trasformazione del calciatore in idolo globale: non pubblicizza più – non soltanto – tute e scarpini, ma abiti delle griffe più esclusive, orologi costosissimi, macchine da sogno, gioielli, profumi, accessori di gran lusso. Los Angeles lo ingaggia per rilanciare il calcio negli Stati Uniti, Londra lo nomina padrino della sua Olimpiade, negli studios di Pinewood il suo nome circola a lungo come potenziale interprete di James Bond. Crossava benissimo, David Beckham. Ma quello – credetemi – è sempre stato il meno.

“CI

CON GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI

SONO TUTTI I MIGLIORI MA

NON SONO

I 50 MIGLIORI. IN MOLTI MODI I LORO TALENTI HANNO INFLUENZATO IL CALCIO. SONO I MIEI 50. ORA ASPETTO I VOSTRI”

Paolo Condò

Non solo calciatori, ma allenatori, e persino arbitri, che hanno incarnato rivoluzioni, feroci cadute, testardaggine, passione. Fra loro Paolo Condò ha scelto la sua personale formazione: una serie di 50 ritratti epici e commoventi accompagnati dalle illustrazioni di Massimiliano Aurelio e Giordano Poloni. Dagli eroi storici come Pelé e Diego Maradona, ai nuovi protagonisti come Kylian Mbappé ed Erling Braut Haaland. Fino ai miti moderni come Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Basta aprire il libro per trovare la gloria del calcio.

PAOLO CONDÒ

(Trieste, 1958) giornalista sportivo, dopo aver lavorato per oltre trent’anni alla “Gazzetta dello Sport”, nel 2020 è passato a “la Repubblica” e nel 2025 è approdato al “Corriere della Sera”. Dal 2010 è il giornalista italiano designato per la votazione del Pallone d’oro e dal 2015 appare anche come opinionista televisivo per Sky Sport. È coautore con Francesco Totti di Un capitano (2018). Ha scritto anche La storia della Juve in 50 ritratti, La storia dell’Inter in 50 ritratti, La storia del Milan in 50 ritratti, tutti pubblicati in queste edizioni.

MASSIMILIANO AURELIO

(Taranto, 1980-2024) è stato illustratore, dopo una carriera come art director. Ha collaborato con “la Repubblica”, “Il Sole 24 Ore”, “The Guardian”, “Rolling Stone”, “Wired” e varie case editrici. Ha illustrato anche La storia del Milan in 50 ritratti di Paolo Condò e Giuseppe Pastore.

GIORDANO POLONI

(Milano, 1980) è illustratore e ha collaborato con “The Guardian”, “Il Sole 24 Ore”, “Wired”, “la Repubblica”, “The NY Observer”, oltre ad aver disegnato copertine di libri. Fra i premi vinti, anche la medaglia d’oro della Society of Illustrators di New York e l’Award of Excellence della Communication Arts. Ha illustrato La storia del tennis in 50 ritratti di Paolo Bertolucci e Vincenzo Martucci.

© Luca
Taddeo

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