Dagli Abba a Zappa. I vestiti della musica

Page 1


DAGLI

A ABBA

ZAPPA I VESTITI DELLA MUSICA

© 2019 Centauria srl – Milano

Publisher

Balthazar Pagani

Impaginazione

PEPE nymi – Milano

Proprietà artistica letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.

Prima edizione settembre 2019

Isbn 9788869214271

MATTEO GUARNACCIA

DAGLI

ABBA

ZAPPA I VESTITI DELLA MUSICA

Nessuno può imporre a uomo o donna che sia, un modo particolare di abbigliarsi

dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo Parigi, 1793

Oggi tutti noi possiamo attingere dall’armadio abiti di ogni foggia e colore, scegliendo quelli più adatti al nostro umore, per ogni occasione della giornata. Ma prima di poter godere di questa normalità è stato necessario percorrere molta strada, spesso accidentata. Gran parte del nostro modo di vestire è nato all’interno del mondo della musica pop, da cui è passato (incontrando più o meno resistenza) al mercato che l’ha sdoganato, normalizzato e consegnato ai brand. Senza Elvis Presley, Madonna, Prince o Eminem, tanto per fare qualche nome, ci vestiremmo in modo molto diverso. È per merito o per colpa della musica che le cose sono cambiate.

Sino a pochi decenni fa, eravamo ancora immersi in un sistema sociale strutturato in compartimenti stagni, dove ruoli e gerarchie dovevano essere puntigliosamente definiti e segnalati dagli abiti che ognuno indossava. Certamente le cose erano migliorate rispetto ai secoli precedenti, quando erano ancora le autorità civili, religiose e militari a stabilire obblighi e divieti per evitare qualsiasi violazione in merito. Attorno agli anni Sessanta del secolo scorso i divieti, spesso det-

tati dalle consuetudini e non più dalla legislazione, si erano affievoliti ma non erano scomparsi. Prima chi trasgrediva, usando tessuti, colori e forme destinati ad altri (di solito alle classi privilegiate) o esagerando con la libera espressione, passava dei guai. Oltre ad andare incontro alla pubblica riprovazione, poteva essere multato, imprigionato, fustigato, rischiava persino la pena capitale. Uno dei crimini più riprovevoli di chi si dava alla pirateria era quello di impadronirsi dei panni riservati alla nobiltà, per vestirsi in modo esageratamente elegante. I giovani corsari rendevano note le loro scorribande e accendevano la fantasia popolare anche attraverso le mise pittoresche, realizzate con materiali che nella vita “civile” nessuno del loro rango avrebbe mai potuto sfoggiare.

Per chi non aveva abbastanza fegato per fare il pirata, esisteva una specifica forma di sollievo legalizzato dalle costrizioni sull’abbigliamento: il Carnevale. Un evento temporaneo, in origine ben più selvaggio di quello che conosciamo oggi, durante il quale era permesso travestirsi e sbizzarrirsi nel cambiare ruolo, compreso quello sessuale. Poi c’era la zona franca del Teatro, con

Nessun cambiamento di stile nella musica può sopravvivere

se non è accompagnato da un cambio nel modo di vestire.

Frank Zappa

i suoi costumi proposti da figure eccentriche e spesso disdicevoli, che si esibivano nelle piazze (saltimbanchi) e nei teatri (cantanti lirici), dalla Commedia dell’arte all’Opera. Abiti disegnati per impressionare, abbagliare, provocare, divertire, folgorare una platea abituata all’uniformità. I costumi teatrali rimandavano ad antiche pratiche magico-religiose, quando erano parte integrante dell’armamentario di effetti speciali utilizzati per interrompere gli automatismi della quotidianità. Gli “abiti da spettacolo” erano veri grimaldelli tessili che, manovrati dai corpi di attori, musicisti, cantanti e ballerini, avevano lo scopo di sancire il divorzio tra gli spettatori e la realtà consensuale esterna per l’intera durata della rappresentazione. Nel 1793, lo stesso anno in cui spedisce al patibolo i vecchi sovrani, il governo rivoluzionario francese proclama che la libertà di abbigliamento è un diritto fondamentale degli uomini. Ciò che viene sancito è estremamente radicale: “Nessuno può imporre a uomo o donna che sia, un modo particolare di abbigliarsi”. Seppur nobile, il tentativo non otterrà il successo sperato, tanto che occorreranno ancora un paio di secoli e molte altre rivoluzioni per cambiare le cose.

Come abbiamo anticipato, un ruolo fondamentale

nella trasformazione lo giocherà, nella seconda metà del Novecento, la musica pop. La sua energia porta luce, divertimento e promesse di avventurosi sconfinamenti esistenziali, in un contesto sociale dove tutto appare immutabile, grigio e ripetitivo e dove i giovani si sentono condannati a seguire ruoli che qualcun altro ha scelto per loro. Una possibilità che si materializza in tutta la sua drammatica forza con l’avvento del rock’n’roll. Con questa musica, che fa da colonna sonora al gap generazionale, la ribellione individuale diventa uno spettacolo per le masse, a cui ognuno può accedere indossando il costume giusto. Il R’n’R pretende per i suoi esecutori – all’inizio giovani proletari del Sud degli Stati Uniti – costumi straordinari, pescati nei bauli delle realtà più nascoste agli occhi della cultura mainstream. Un guardaroba meticcio che via via ingloberà, masticandoli e rielaborandoli, i gusti del popolo afroamericano, dei cowboy, delle star hollywoodiane, delle minoranze sessuali più arrischiate, dei nightclub, dei supereroi dei fumetti, degli sportivi, dei frequentatori dei luoghi di detenzione o dei membri di sette esoteriche. Attraverso il R’n’R, nelle sue infinite declinazioni, si spalanca un immaginario sovversivo e arrivano segnali di un altro mondo, di un altrove magico e stregato dove le regole

Il mondo del rock è una delle poche aree nella vita
in cui puoi usare la fantasia.
Bill Whitten

sociali vigenti hanno poco o nessun valore. Ogni ragazzino/a arrabbiato/a impara in fretta che basta infilarsi un giubbotto di pelle per segnalare a chi gli/le sta intorno la propria rabbia e diversità.

L’industria dello spettacolo, che tradizionalmente ha offerto un santuario protetto ai devianti, registra in fretta gli eventi e spalanca le braccia a ogni sorta di tipologia umana, confortata dal fatto che tutto produce fatturato.

È passato più di mezzo secolo da allora. E oggi più che mai appare chiaro che non sono solo le canzoni a fare la musica. Per emergere nell’affollato mondo dello spettacolo, essere buoni musicisti o intrattenitori non basta. Bisogna saper scegliere un abito di scena adatto. Un trucco che si è andato sempre più affinando, superando una certa ingenuità iniziale, dando vita a tendenze che si sono trasformate in solidi movimenti globali. Dal rockabilly al punk, dal folk all’hip hop, sono numerosi i casi di popstar che hanno saputo caricare di significato capi di abbigliamento anonimi, offrendo loro un impagabile (e spesso inspiegabile) appeal che ha fatto la fortuna delle aziende di abbigliamento. Vestendosi, svestendosi o travestendosi, con giubbotti di pelle, jeans, camicie

da boscaiolo, maglioni dolcevita, uniformi militari, costumi da B-movie di fantascienza o lingerie, i musicisti hanno saputo trasmettere storie ed emozioni ancor prima di aprire la bocca e iniziare a suonare. Oltre a fare musica, dettano l’agenda stilistica ai brand della moda o diventano i loro migliori testimonial. Questo lavoro analizza i casi più noti dello show business e delinea la mappa dei guardaroba musicali più fortunati e iconici.

Clayton Perkins, Carl Perkins e W.B. Holland nel 1957 - Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images
Fai quello che vuoi ma non toccare le mie scarpine scamosciate blu.
Carl Perkins

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.