POL Polloniato. PIENIARENDERE

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POL POLLONIATO

GALLERIA ANTONELLA VILLANOVA

PIENIARENDERE

POL POLLONIATO

POL POLLONIATO PIENIARENDERE

Firenze, 1 Aprile - 20 Maggio 2023

Florence, April 1st - May 20th 2023

TESTI DI | TEXTS BY

Irene Biolchini, Emanuela Nobile Mino

PROGETTO GRAFICO | GRAPHIC DESIGN

Giulia Francesca Bruchi

FOTOGRAFIE | PHOTO

Bruno Bruchi, Neil Barbisan

TRADUZIONI | TRANSLATIONS

Theresa Davis

STAMPA | PRINTED BY

TAF - Tipografia Artistica Fiorentina

SOMMARIO / CONTENTS POL POLLONIATO. L'ARCHEOLOGO DELLA FORMA Emanuela Nobile Mino DALLA POLVERE ALLA POLVERE Irene Biolchini 9 43 POL POLLONIATO. THE ARCHAEOLOGIST OF FORM Emanuela Nobile Mino DUST TO DUST Irene Biolchini 73 79 BIOGRAFIA | BIOGRAPHY 86

“Pieniarendere” è di per sè una metafora. Metafora del fare, del recuperare e del restituire. Sostanzialmente è una trasposizione di significato di un’espressione riferita a quella che è stata per molti anni in Italia una sana consuetudine perpetrata nell’ambito dell’economia domestica quotidiana, il “vuoto a rendere”, recentemente tornata in voga nell’ottica di una gestione piu responsabile del ciclo dei rifiuti. “Il vuoto a rendere” dava l’opportunita di smaltire le bottiglie in vetro, restituendole al venditore e ricevendo indietro una piccola somma di denaro. Un duplice vantaggio, economico ed ecologico, rispetto al “vuoto a perdere” che, non solo non comportava alcuna restituzione di denaro, ma produceva ingombranti accumuli di contenitori inutili e difficilmente smaltibili. Nel ribaltamento metaforico che POL Polloniato attua nei suoi “Pieniarendere”, questa basilare forma di baratto si traduce in un’azione di recupero culturale/circolare, sia fisico che simbolico, di frammenti ceramici, calchi d’archivio, scarti di dettagli iconografici desunti

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Emanuela Nobile Mino POL POLLONIATO. L'ARCHEOLOGO DELLA FORMA

dal repertorio classico della produzione ceramica, al fine di restituirli reintegrati all’interno di un nuovo sistema vitale e sensoriale. La procedura di restituzione di POL ha un carattere quasi performativo e una narrativita che in qualche modo ricorda quella della ricostruzione archeologica, nel tentativo di rimettere assieme piccole parti dissociate che icasticamente incarnano l’idea di una perdita, di un vuoto che l’artista, in questo caso, mira a colmare, tentando di dare nuovo ordine al disordine dispersivo dell’incuria, dell’abbandono e della dimenticanza. Il ciclo di opere “Pieniarendere” rappresenta una fase importante all’interno della ricerca di Polloniato perche segna il passo

“Il disordine non è l’assenza di qualsiasi ordine, ma piuttosto lo scontrarsi di ordini privi di mutuo rapporto” .

(R. Arnheim citando W. Kohler in “Entropia e arte”)

di uno stadio di maturazione del suo lavoro da diversi punti di vista: quello della forma e del contenuto, e quello della tecnica. E’ un progetto particolarmente cruciale anche perche rispecchia il consolidamento e l’affrancamento di un rapporto di lunga data che l’artista ha coltivato fin da giovanissimo con la ceramica e la sua secolare tradizione, con cui la sua famiglia vanta un legame e un dialogo intergenerazionali. Originario di Nove, storico distretto italiano per la lavorazione della ceramica artistica, e rappresentante dell’ultima generazione dei maestri ceramisti, POL ha trascorso la sua adolescenza tra la memoria e l’attualita di un lavoro artistico ed artigianale che dal XVIII secolo in avanti ha conosciuto periodi di grande fortuna e di sorprendente attivita produttiva - in modo particolare nel secondo dopoguerra - ma che, successivamente affievolitosi, ha lasciato sul territorio le tracce indelebili dei suoi fasti: gli edifici abbandonati delle manifatture dismesse e i loro scarti, stampi, frammenti di

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decorazioni e di suppellettili, materiali di risulta. Un panorama spettrale per certi versi, ispirazionale per certi altri, senz’altro per POL. Pregni di memoria, i residui incontrati da POL sul suo cammino artistico hanno acceso in lui l’intuizione che infinite potessero essere le potenzialita narrative e relazionali del frammento se reimpiegato attraverso una resiliente trasformazione semantica. Per riprendere le fila di quella storia fratturata, fondamentale era per POL intraprendere una via nuova, sperimentale che,

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pur partendo dalla conoscenza profonda della ceramica e delle tecniche tradizionali a questa correlate, arrivasse ad emanciparsi per permettergli di sviluppare una qualita espressiva individuale e una processualita artistica inedita e distintiva. La procedura di emancipazione che POL mette in atto in questa serie di lavori si declina su una traiettoria d’azione fondata su interferenze temporali che vedono fattori opposti innervarsi e legittimarsi a vicenda - il presente e l’antico, l’originale e la copia, la tradizione e l’invenzione - e sul ribaltamento dei canoni sia estetici che costruttivi del manufatto ceramico classico. Innanzitutto, infrangendo il criterio tradizionale utilizzato nella produzione delle sculture in ceramica, ovvero sostituendo al processo di colaggio verticale quello di colmaggio manuale degli stampi storici che, aperti e posti sul piano orizzontale, vengono a poco a poco riempiti di materia, “per via di porre”. A tale proposito POL incarna perfettamente la figura dell’artista faber, in senso contemporaneo. E’ colui che materialmente “fa”, è l’artefice e il responsabile della sorte delle proprie opere, dalla gestazione alla genesi, in un rapporto di osmosi quasi sentimentale tra creatore e materia (intesa nel senso piu atavico, mater, la terra, ovvero il grembo all’interno del quale si invera il miracolo della creazione). La prassi creativa di POL è, da un lato, cadenzata dai tempi che la materia e le sue esigenze di lavorazione gli impongono, e scandita quindi dalle trasformazioni naturali che la ceramica attua e subisce nelle fasi di plasmatura, asciugatura, cottura, fino alla “maturazione”, ossia il compimento nell’opera. Dall’altro, e al contempo, la sua è una prassi anche libera e spericolata, che si espone al rischio di risvolti inattesi e alle reazioni indomabili della materia, quando portata all’estremo delle sue potenzialita o addirittura oltre. L’utilizzo massiccio di materiale, l’accumulo di frammenti disparati, la traccia delle pressioni manuali - quasi intenzionali cancellazioni - restituiscono un immaginario morfologico in bilico tra l’iconico e l’aniconico, tra il figurativo e l’astratto, tra il somiglian-

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te e il dissomigliante, tra il riconoscibile e l‘informe, in cui l’immagine acquisisce una nuova ontologia, un nuovo ruolo, puntando sul prosciugamento progressivo della rappresentazione e sull’emancipazione dal colore, trovando compimento nell’aggregazione spontanea di indizi materici monocromi, bianchi. Emanciparsi dal colore significa emanciparsi dall’immagine e dal suo potere seduttivo. Dal punto di vista cromatico, infatti, i lavori di POL rinunciano drasticamente al fascino attrattivo immediato del colore, riducendosi al puro contrasto di luce e di ombra. Una forma di acromatismo che istintivamente riporta alla mente una sequela di esperienze artistiche e culturali diverse, dalla statuaria neoclassica al Suprematismo russo e al Modernismo fino al radicale azzeramento espressivo e al concetto di assoluto degli achrome di Piero Manzoni. Nei “Pieniarendere” il non-colore serve deliberatamente a negare ogni sorta di definizione linguistica ed interpretativa, annullando il confine tra il risolto e l’incompiuto, tra l’armonia e la sregolatezza, tra il canone canoviano e l’antigrazioso di Boccioni, al fine di porre il fruitore nella condizione di interagire in maniera libera, empatica e completamente soggettiva con l’opera: l’eco di forme e di immagini, affidata al contrasto del chiaroscuro, abbaglia e delocalizza lo sguardo, riplasmandosi in modo sempre diverso in base alla percezione e alla sensibilita di chi osserva. Di fatto POL non opera tanto sulla forma quanto sulla memoria della forma, sull’evocazione, ovvero sulla riorganizzazione - a tratti necessariamente casuale ed incontrollabile - del dato visivo, tra mimesi e trasfigurazione. Volendo osare, si potrebbe individuare alla base del suo processo creativo una regola che risponde ad un meccanismo quasi paradossale che vede cioe derivare la veridicita della forma (gestalt) dall’accidentalita del caos (l’indefinito), per cui la rappresentazione finale, informale e desublimata, sembra affiorare da un seducente disordine entropico messo sapientemente a sistema. E’ la forma che trasgredisce se stessa e che, pur celebrando l’armo-

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nia dell’iconografia tradizionale e archetipica, ne scompagina contestualmente la struttura melodica, restituendo puramente l’idea (eidos) dell’immagine piuttosto che l’immagine stessa (eidolon).

Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. (On ne voit bien qu’avec le coeur. L’essentiel est invisible pour les yeux).

Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, 1943

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BIANCA / WHITE TERRA EARTHENWARE

Hodierna #6, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

55 x 30 x 25 cm

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pp. 25-27

Hodierwall, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

78 x 43 x 5 cm

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Busto di bambina, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

37 x 21 x 16 cm

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pp. 31-33

Hodierwall, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware earth and water-based glaze

60 x 45 x 5 cm

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Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

55 x 19 x 19 cm

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Figura senza testa, 2022
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Bustini, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

10 x 6 x 6 cm

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Hodierna wall #2, 2023

Terra bianca in monocottura e smalto all’acqua

Single-fired white earthenware and water-based glaze

55 x 30 x 15 cm

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Nel 2001 POL entrava in una fabbrica abbandonata trasformandola in suo studio.

In quella piccola città che si muove attorno al Brenta, fiume di vita e di commercio, la ceramica è parte del ciclo continuo della terra e della storia. Qui le generazioni si sono inseguite passandosi i segreti di bottega. È così che la polvere (anche quella ceramica) torna alla polvere; un ciclo continuo di vita e morte, una naturale alternanza in cui respiro e produzione sono intimamente connessi.

Negli anni d’oro del miracolo economico, della crescita continua e smisurata, gli artisti erano ammessi all’interno delle fabbriche. Lì facevano i loro esperimenti tecnici. Tentativi e intuizioni che entravano nell’arte e poi di riflesso nella linea di produzione. Una di queste grandi fabbriche - che aveva accolto artisti e operai specializzati - è ormai un cadavere abbandonato e distrutto quando POL decide di trasformarlo nel suo primo studio.

Al lato opposto di quel Nord Est condannato e benedetto dalla

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Irene Biolchini DALLA POLVERE ALLA POLVERE

produzione continua (ragione e miraggio della vita tutta), a Genova si tiene un evento poi diventato un vero e proprio spartiacque: il G8. Qui i manifestanti lanciano una sincera preoccupazione per alcuni temi che si impongono già chiaramente all’orizzonte: rispetto delle località opposto ad una globalizzazione uniformante; attenzione al territorio e alle risorse; rispetto delle individualità che compongono qualsiasi filiera e organizzazione. Per la nostra generazione il G8 è stato uno slancio partecipativo, il modo di portare in piazza molte delle realtà aggregative e autonome.

Il 2020 è arrivato come la realizzazione di una profezia delineata dai movimenti giovanili di inizio 2000: sappiamo infatti ormai come la pandemia - e molte di quelle future - siano indissolubilmente connesse a una gestione scriteriata delle risorse di questo pianeta. Siamo giunti a questa soglia dopo diversi crolli, in un meccanismo della gestione della tragedia che ormai è diventato quotidianità. La crisi finanziaria prodotta dall’immobilità pandemica, infatti, si appoggia sul “crinale dei crolli” di questo paese, mai totalmente ripresosi dalla grande crisi finanziaria del 2008.

Ed è proprio nel 2008 che POL riguarda la sua città natale, ormai ridotta ad un cumulo di capannoni abbandonati, e decide che deve cambiare traiettoria artistica. Lasciare la pittura per tornare alla terra, anzi di più: tornare alla sua terra, o come è lui stesso ad affermare:

Negli Anni ‘90 ho iniziato la mia carriera artistica occupandomi di graffiti, per poi perfezionarmi con la pittura, la fotografia e le installazioni con vari materiali durante i primi anni del 2000, frequentando l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il filo conduttore di tutta la mia produzione è sempre stata l’analisi dello spazio fisico e il contesto sociale in cui vivevo. Questo mi ha portato, nel 2008, mentre era in atto un grave crisi economica del distretto di Nove e Bassano, a dedicarmi alla ceramica. Ci sono arrivato dopo un percorso

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Capriccio contemporaneo, 2014

Ceramica

Ceramic

28 x 33 x 17 cm

molto alternativo, fatto di esperienze altrettanto importanti. Una dedizione che, fin dall’inizio, si proietta verso l’analisi della storia del mio territorio, considerandola la linfa indispensabile per capire il tempo in cui mi trovavo.

Mi sono occupato di capire i successi e fallimenti di una comunità che ha dedicato intere generazioni alla produzione industriale della ceramica. Le rovine di un epilogo catastrofico a livello paesaggistico e sociale sono state le basi di partenza. Ho capito che il mio ruolo d’artista era e doveva essere dedito al recupero e all’evoluzione della storia, proiettandola verso nuove dimensioni e contesti1 .

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Nasce così un lavoro sistematico di riordino dei calchi delle aziende ormai chiuse: parti disomogenee vengono riassemblate e decorate con vedute contemporanee. Lì dove un tempo si dipingevano paesaggi e capricci, oggi POL sceglie di rappresentare il panorama industriale, l’apocalisse di un sogno a continua crescita produttiva che ha negli anni consumato terra e bellezza. Il lavoro su questi resti, o macerie, arriva al suo “pieno” compimento nel 2015 con, per l’appunto, la serie dei Pieniarendere . Parlando di questo passaggio fondamentale POL mi ha raccontato:

Nel 2016 stavo manipolando tutta una serie di forme in gesso piatte con impressi elementi decorativi (epoca Anni Cinquanta) di vario genere che avevo recuperato in una fabbrica chiusa: texture di materiali quotidiani, elementi floreali, figure animali, fregi in stile barocco. Le stavo usando per realizzare la serie di pannelli a muro in ceramica chiamati Metamosaic . Mentre lavoravo ci fu il drammatico terremoto nel centro Italia. Le scene che vedevo in televisione di quelle macerie miste di tutto (dai materiali edili agli affetti personali) mi colpirono profondamente. Un paesaggio, con tutte le sue componenti umane, in una frazione di tempo drammaticamente breve si era trasformato in una serie di volumi inerti, dove tante storie personali si erano di colpo frantumate. Ricordo che iniziai a riempire degli stampi di vasche barocche con le texture di terra che stavo usando per i Metamosaic . Volevo ritrarre quei volumi pieni, misti e inerti: i Pieniarendere stavano per nascere. Da quel momento iniziai a sperimentare una tecnica per riuscire a ottenere un pieno in ceramica (sfida ardita per i ceramisti ossessionati dalle bolle d’aria che fanno scoppiare le ceramiche in forno). La maturazione di questo lavoro è stata lunga: lavorandoci ho capito che la madre-forma del contenitore, che per anni era stata usata per finalità

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industriali, aveva cessato il suo senso di esistenza. Rimaneva un’impronta scultorea della silhouette della forma originale. Una forma piena. Fatta di macerie della nostra epoca. Pienoarendere è un gioco di parole. Di solito restituiamo i vuoti per farne un nuovo uso. Qui invece sono pieni di terra bianca in monocottura (tecnicamente materia inerte non riciclabile e da trattare in maniera differenziata) a essere restituiti allo spazio attuale, senza un secondo fine. Pieni composti da frammenti di texture e fregi che ci appartengono. Una presenza indelebile che diventa già ora memoria storica futura. In un certo senso i Pieniarendere chiudono un cerchio nella mia ricerca iniziata nel 2008: la forma su cui inizialmente decisi di sostituire il soggetto pittorico aveva subito un totale stravolgimento attraverso la fusione, ora di quella forma rimane la sua impronta spaziale (fatta degli scarti del tempo e della nostra evoluzione)2 .

I Pieniarendere arrivano a chiusura di un percorso di progressivo avvicinamento alla terra, di crescita e consapevolezza tanto nei mezzi manuali quanto concettuali.

Le figure che campeggiano al centro di questa mostra rielaborano forme note, o notissime; recuperano una tradizione di maestri entro i quali potersi riconoscere e specchiare nell’intenzione, riempiendone le forme fino allo svuotamento di senso.

Del resto per comprendere appieno il senso di questa ricerca bisogna tornare al processo che dona vita al lavoro: sono i resti a dare vita all’opera. È la cifra della nostra cultura: prima dell’avvento del capitalismo non esisteva scarto, tutto veniva riciclato e riutilizzato. La produzione di massa è fatta per incontrare le voglie di un pubblico in costante mutamento: tutto ciò che non rispecchia la qualità aziendale diventa oggi, automaticamente, rifiuto.

Ma quale è lo scarto di un’azienda fallita?

Una domanda - che sembra quasi una provocazione tautologica

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- guida la ricerca di POL in un procedere che rimane sempre interno alla materia, o meglio: alle derive tecnologiche, meccanicizzate e massificate della materia.

La produzione di Nove è collassata sotto la spinta di un mercato globale che ha allargato la competizione inserendola però in un contesto di reciproche interferenze su scala economica. Il 2008 è arrivato come una tragedia che ha chiuso e annientato moltissime fabbriche del territorio veneto, ma si è inserito all’interno di una progressiva riduzione di produzione. E se l’unico motivo per esistere era produrre in grandi quantità, dimenticando la storia qualitativa che ha reso un distretto unico rispetto ad altri, ecco che non appena si riduce la domanda collassa anche l’offerta.

Lo scarto, che aveva segnato il passaggio industriale, non è allora più elemento deteriore del processo, ma l’allegoria di una lavorazione ormai scomparsa. È lo scarto a ricordarci il senso, a riempire i fantasmi dei calchi abbandonati in fabbrica.

I fantasmi prendono vita, ma solo grazie alla voce di chi ritorna alla terra, alla pratica artigianale, al territorio. Ci sono voluti vent’anni per assimilare la lezione di Genova, altrettanti anni per vedere la ceramica entrare nei maggiori circuiti del contemporaneo. Adesso che ci accorgiamo del valore artistico della pratica artigianale non dimentichiamo però il valore contenuto in quelle mani che l’hanno creata. Perché una nuova forma di produzione è possibile, ma solo se ci ricordiamo da dove veniamo.

https://www.espoarte.net/arte/pol-polloniato-un-bianco-senza-tempo/

https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2020/05/intervista-ceramica-paolo-polloniato/

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BISCUIT / BISCUIT PORCELLANA PORCELAIN

pp. 55, 56, 57, 59

Testa #1, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

19 x 15 x 17 cm

Testa #2, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

18 x 12 x 12 cm

Testa #3, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

19 x 17 x 17 cm

Testa #4, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

12 x 13 x 14 cm

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pp. 61-63, 65

Figura #5, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

14 x 10 x 27 cm

Figura #6, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

11 x 8 x 19 cm

Figura #7, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

15 x 10 x 25 cm

Figura #8, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

10 x 12 x 20 cm

pp. 68-71

Figura #1, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

9 x 9 x 30 cm

Figura #2, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

8 x 7 x 29 cm

Figura #3, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

11 x 9 x 31 cm

Figura #4, 2022

Porcellana biscuit

Biscuit porcelain

13 x 9 x 29 cm

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Emanuela Nobile Mino POL POLLONIATO. THE ARCHAEOLOGIST OF FORM

“Pieniarendere” is a metaphor in its own right. A metaphor for doing, for recuperating and for rendering. Basically, it is a transposition of meaning of an expression that refers to what was for many years a healthy habit within the sphere of everyday home economics – the use of the “vuoto a rendere”, i.e. an empty bottle or container to return when empty, which has recently made a comeback in the interest of more responsible waste management.

The “vuoto a rendere” was an opportunity to return glass bottles to the point of sale and receive a small amount of money for them. A twofold advantage, economic and ecological, over other, throwaway containers that offered no return of deposit, but also produced accumulations of useless, hard-to-dispose-of containers.

In the metaphorical inversion of POL Polloniato’s “Pieniarendere”, this basic form of barter is translated into a physical and symbolic act of cultural/circular recuperation of fragments of ceramics, archived molds, and scraps of disused iconographic details from the classical repertoire of ceramics production, so as to give them back, reintegrated into a vibrant new sensory use.

POL’s process of “recycling” is almost performative, and has a narrative quality that recalls archeological reconstruction: the attempt to put back together dissociated little pieces that figuratively embody the idea of a loss – a void that the artist aims to fill, trying to lend a new order to the dispersive disorder of neglect, abandonment and forgetfulness.

The “Pieniarendere” cycle of works is representative of an im-

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portant phase in POL’s experimentation because it marks a phase of maturation of his work, from several points of view: in terms of form, content and technique.

It’s also a particularly significant project because it reflects the consolidation and the redemption of the artist’s long-standing relationship with ceramics and its ancient tradition, to which his family is tied in an ongoing intergenerational dialogue. Originally from Nove (a historic district in Italy for the production of artistic ceramics) and a representative of the last generation of master ceramists, POL spent his adolescence steeped in the memory and the reality of a type of artistic and artisanal work that had known periods of great success and surprising productivity since the 18th century – particularly in the post-WWII era – and which, having more recently faded, left indelible traces of its glory in the local territory: the abandoned buildings of no-longer-used factories and their scrap, molds, fragments of decorations and ornaments, and waste materials.

A spectral panorama in some ways, inspirational in others, as it certainly was for POL.

Imbued with memory, the residue POL found along his artistic path sparked the intuition that there could be infinite narrative and relational potential in these fragments if they were re-used in a resilient semantic transformation.

To pick up the thread of that broken story, it was fundamental for POL to set off on a new, experimental path which, although springing from a profound understanding of ceramics and its traditional techniques, could be freed from that knowledge and allow him to develop an individual expressive quality and a new, distinctive

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"Disorder is not the absence of all order, but rather the clash of uncoordinated order."
(R. Arnheim citing W. Kohler in “Entropy and art”)

artistic process.

POL’s process of emancipation in this series of works involved a trajectory of action based on temporal interferences in which opposing factors connected and legitimized one another – the present and the ancient, the original and the copy, tradition and invention - , as well as the overturning of both the aesthetic and constructive canons of classical ceramics production.

First and foremost, he broke with the traditional criterion used in the production of ceramic sculptures by swapping the vertical casting process for manual filling of antique molds which, opened and set on a horizontal surface, are slowly packed with material “via placement”.

In this regard POL perfectly embodies the figure of the artist-faber (maker) in the contemporary meaning of the term. The person who materially “makes” something; the artificer, the person fully in charge of the fate of his own works, from gestation to genesis, in an almost loving relationship between creator and material (in the most atavistic sense of mater, the earth, the womb within which the miracle of creation happens).

POL’s creative process is, on one hand, lent its cadence by the material and the constraints it imposes, and is thus punctuated by the natural transformations the clay undergoes in the phases of shaping, drying, firing and “maturation” or completion of the work. On the other hand, and at the same time, his practice is also unfettered and reckless, exposed to the risk of unexpected outcomes and the uncontrollable reactions of the material when it is taken to the extreme of its potential, or beyond.

The heavy use of material, the accumulation of disparate fragments, the signs of manual intervention – almost intentional erasures –generate a morphological image that is somewhere between iconic and aniconic, between figurative and abstract, between likeness and unlikeness, between recognizable and amorphous. The image takes on a new ontology, a new role, aiming for a progressive draining

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of representation and emancipation from color, finding fulfillment in the spontaneous aggregation of monochromatic white textural clues.

Emancipation from color means emancipation from the image and its seductive power. In fact, from the chromatic point of view, POL’s works drastically forgo the immediate draw of color, reducing themselves to pure contrast of light and shadow. A form of a-chromatism that brings to mind several different artistic and cultural experiences, from neoclassical statuary to Russian Suprematism, to Modernism, to radical expressive resetting, to the concept of the absolute in Piero Manzoni monochromatic “Achrome” works.

In the “Pieniarendere,” the lack of color is a deliberate means to negate any type of linguistic and interpretive definition, erasing the boundary between complete and incomplete, between harmony and unruliness, between Canova’s canon and the anti-gracefulness of Boccioni.The intention is to let the viewer interact with the work in a free, empathic and completely subjective way: the echo of forms and images generated through the contrast of chiaroscuro dazzles and de-localizes the gaze, shaping itself in ever-changing ways based on the observer’s perception and sensibilities. POL works not so much on form as on the memory of form, the evocation, or the reorganization – sometimes necessarily random and uncontrollable – of the visual datum, between mimesis and transfiguration. Venturing a rather bold interpretation, we might say that underlying his creative process is a response to an almost paradoxical mechanism by which the veracity of form (gestalt) is derived from the accidental nature of chaos (the undefined), so the final representation, informal and de-sublimated, seems to emerge from a seductive entropic disorder that has been artfully systematized. It is form that contravenes itself, and that, even while celebrating the harmony of traditional, archetypal iconography, contextually disrupts its melodic structure, expressing purely the idea (eidos) of the image rather than the image itself (eidolon).

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It is only with the heart that one can see rightly. What is essential is invisible to the eyes. (On ne voit bien qu’avec le coeur. L’essentiel est invisible pour les yeux.)

Antoine de Saint-Exupéry, The Little Prince, 1943

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In 2001, POL walked into an abandoned factory and transformed it into his studio.

In his town on the banks of the Brenta, river of life and of commerce, ceramics is part of the continuous cycle of the land and its history. Here, artisans’ secrets have been passed down for generations. Dust (including ceramic dust) returns to dust; a never-ending cycle of life and death, a natural alternation in which breathing and making are intimately connected.

During the boom years of the Italian economic miracle, years of constant, boundless growth, artists were admitted into factories. They did technical experiments there. Attempts and intuitions entered their art, and consequently the production line. One of these large factories – which had employed artists and specialised workers – had become a mere shell, abandoned and destroyed, when POL decided to transform it into his first studio.

Heading west to the opposite side of that North East Italy doomed and blessed with continuous production (raison d’etre and mirage of life), an event was taking place in Genoa that would become a watershed: the G8. Protestors voiced sincere concern regarding a few issues already clearly looming on the horizon: respect for the local in opposition to a standardising globalisation; attention for the local territory and resources; respect for the individual links that make up any chain or organisation. For our generation, that G8 was a moment of participatory zeal, a way to give visibility to numerous autonomous organisations and groups. 2020 came along and it seemed the fulfilment of a prophecy outlines by those youth movements in at the beginning of the 2000s.

Biolchini DUST TO DUST 79
Irene

In fact, we now know that the pandemic – and future ones, too - is inextricably connected to a reckless management of the planet’s resources. We have reached this threshold after a series of crises, stuck in a mechanism of “tragedy management” that has become routine. The financial crisis produced by pandemic immobility came on the crest of other crises, in a country that had never fully recovered from the great financial crisis of 2008. And it was in 2008 that POL took a hard look at his hometown, now reduced to a cluster of abandoned industrial sheds, and decided he had to change his artistic path. He left painting to get back to the land, and more specifically, back to his land, or as he asserts:

In the ‘90s I started my artistic career dealing with graffiti, and then moved on to painting, photography and installations with various materials during the early 2000s, attending the Academy of Fine Arts in Venice. The common thread running through all of my work has always been analysis of the physical space and the social context I lived in. This led me, in 2008 just as a serious economic crisis was striking Bassano’s Nove district, to turn to ceramics. I came to it after having followed a very alternative path made up of equally important experiences. From the start, with ceramics I projected myself towards analysing the history of my territory, considering it an indispensable lifeblood, necessary to understand the times I found myself living in.

I sought to understand the successes and failures of a community that had dedicated entire generations to the industrial production of ceramics. The ruins of a catastrophic epilogue, in landscape and social terms, were the starting point. I realised that my role as an artist was and had to be devoted to the reclamation and evolution of history, projecting it towards new dimensions and contexts1 .

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Thus began a systematic endeavour to reorganise moulds salvaged from now-closed firms. Non-homogeneous parts were reassembled and decorated with contemporary scenes. Where landscapes and whimsical architectural “capricci” were once painted, POL today chooses to depict the industrial panorama, the apocalypse of a dream of continual productive growth that consumed land and beauty. His work on these remains, or rubble, came to “full” completion in 2015 with the series of Pieniarendere . Talking about this fundamental passage, POL recounts:

In 2016 I was working with a series of flat plaster forms (from the 1950s) that I had salvaged from a closed factory with various types of embossed decorative elements: textures of everyday materials, floral elements, animal figures, baroque-style ornaments. I was using them to create the series of ceramic wall panels called Metamosaic. While I was working there was the tragic earthquake in central Italy. The scenes I saw on TV or that rubble of mixed-up everything (from construction materials to personal objects) had a profound impact on me. A landscape, with all its human components, in such a dramatically short fraction of a moment had been transformed into a series of inert volumes, in which so many personal stories had been suddenly shattered. I remember that I began filling baroque basin moulds with the textures of the clay I’d been using for the Metamosaic. I wanted to depict those full, mixed, inert volumes – that was the birth of the Pieniarendere. From that moment I started experimenting with a technique that would manage to create a fullness in ceramics (a bold attempt for ceramicists, who are obsessed with bubbles that make ceramics explode in the kiln). The maturation of this work was long: working on it, I realised that the mother-form of the container, which had been used for industrial purpos-

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es for years, had lost its raison d’etre. What remained was a sculptural imprint of the original form’s silhouette. A full form. Made of the rubble of our era. Pienoarendere is a play on words. We usually give back empties to make new use of them. Here, though, they’re full solids of single-fired white clay (technically inert, non-recyclable material to be treated separately) that are returned to the current space, with no ulterior purpose. Solids made up of fragments of textures and ornaments that pertain to us. An indelible presence that has already become a future historical memory. In a certain sense, the Pieniarendere close a circle in my experimentation that began in 2008: the form on which I initially decided to replace the depicted subject had been completely altered through casting, and now what remains of that form is its special imprint (made of scraps of time and our evolution)2 .

The Pieniarendere bring a close to a process of the artist’s progressive rapprochement with clay, one of growth and awareness of both manual and conceptual means.

The figures that grace the centre of this exhibition re-elaborate familiar or well-known forms, reclaiming a venerated tradition with which the artist can identify and find his intentions reflected, filling the forms to empty them of meaning.

To fully understand the sense of this experimentation, we need to go back to the process that breathes life into the work: ruins are what breathe life into the work. This is what distinguishes our culture: before the advent of capitalism, there was no waste; everything was recycled and reused. Mass production is intended to fulfil the desires of a constantly changing public: today, anything that does not meet the company’s quality standards automatically becomes scrap. But what is the scrap of a failed company?

The question – which seems almost a tautological provocation

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– guides POL’s experimentation through a process that always remains focused on the material, or rather, on the technological, mechanised, mass-produced tendencies of the material. Manufacturing in Nove collapsed under the force of a global market that increased competition, but inserted it into a context of reciprocal interference on the economic level. 2008 came along like a tragedy that closed and obliterated numerous factories in the Veneto region, but it happened within a more generalised, progressive reduction of manufacturing. And if the only reason they existed was to produced mass quantities of things, forgetting the qualitative history that made the district unique, then as soon as demand falls, supply collapses as well. Scrap, which had marked the shift to industrialisation, is no longer the worst element of the process, but an allegory of a now-vanished type of production. Scrap reminds us of the meaning, filling in the ghosts of moulds abandoned in factories. Those ghosts come back to life, but only thanks to the voice of someone who returns to his land, to artisanal practice, to the local territory. It took twenty years to assimilate the lesson of Genoa, and twenty years to see ceramics enter into the main circuits of contemporary art.

Now that we understand the artistic value of the artisanal practice, let’s not forget the value of the hands that created it. Because a new form of production is possible, but only if we remember where we came from.

https://www.espoarte.net/arte/pol-polloniato-un-bianco-senza-tempo/ https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2020/05/intervista-ceramica-paolo-polloniato/

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BIOGRAFIA / BIOGRAPHY

POL POLLONIATO (Bassano del Grappa, 1979) discende da una storica famiglia di Maestri Artigiani che da due secoli rappresenta un'eccellenza della produzione della ceramica di Nove.

La sua ricerca artistica spazia attraverso l’uso di diversi materiali, scelti e affrontati a seconda del progetto e delle sue finalità.

Dal 2008 la ceramica rappresenta la sua scelta principale, che usa attraverso la rivisitazione delle tecniche artigianali e dalla manipolazione di stampi antichi in chiave contemporanea.

Nel 2007 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia, e dal 2008 espone in mostre personali come Capricci Contemporanei, Manifattura Barettoni, Nove (VI). Jeux de corps, Galerie A. Gombert, Parigi (2012); Métamorphose, Galerie Geneviève Godar, Lille, Francia; Dès-forme à forma, Le Fil Rouge, Roubaix, Francia; Paolo Polloniato & Noemi Niederhauser, Puls Gallery Bruxelles, Belgio (2013). Metaforme, a cura di N. Caruso, MACC Museo Arte Ceramica Contemporanea, Torgiano (PG) (2016). 10 Ans Du Céramique, Musée de la Ceramique di Andenne, Belgio; Off Road, a cura di C. Casarin, Museo Ci-

vico di Bassano del Grappa (2019). Metamorfosi, in occasione della 56°edizione di Forme Nel Verde Palazzo Chigi, San Quirico d’Orcia, Siena (2021).Il bianco senza tempo, a cura di Elena Forin, Museo della ceramica Palazzo Sturm, Museo Civico di Bassano del Grappa (2022). #PIENIARENDERE, Galleria Antonella Villanova, Firenze (2023).

Dopo aver vissuto a Parigi e Bruxelles tra il 2009 e il 2013, attualmente vive in Italia e lavora a Nove (VI).

POL POLLONIATO (Bassano del Grappa, 1979) comes from a venerable family of Master Craftsmen who have exemplified excellence ceramics production in Nove for two centuries. His artistic experimentation employs a range of different materials, chosen and juxtaposed depending on the project and its aims. Since 2008, ceramics has been his main medium, which he uses by revisiting artisanal techniques and antique molds in contemporary ways.

In 2007 he earned a diploma from the Accademia di Belle Arti di Venezia, and since 2008 he has shown his work in solo

shows including Capricci Contemporanei, Manifattura Barettoni, Nove (VI). Jeux de corps, Galerie A. Gombert, Paris (2012); Métamorphose, Galerie Geneviève Godar, Lille, France; Dès-forme à forma, Le Fil Rouge, Roubaix, France; Paolo Polloniato & Noemi Niederhauser, Puls Gallery Brussels, Belgium (2013). Metaforme, curator

N. Caruso, MACC Museo Arte Ceramica

Contemporanea, Torgiano (PG) (2016). 10 Ans Du Céramique, Musée de la Ceramique di Andenne, Belgium; Off Road, curator C. Casarin, Museo Civico di Bassano del Grappa (2019). Metamorfosi, for the 56th edition of Forme Nel Verde Palazzo Chigi, San Quirico d’Orcia, Siena (2021).Il bianco senza tempo, curator Elena Forin, Museo della ceramica Palazzo Sturm, Museo Civico di Bassano del Grappa (2022).

#PIENIARENDERE, Galleria Antonella Villanova, Florence (2023).

After having lived in Paris and Brussels from 2009 to 2013, he now lives in Italy and works in Nove (VI).

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