Monica Cecchi

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MONICA CECCHI

GALLERIA ANTONELLA VILLANOVA





Less is a Bore

Come una sorta di playground in cui ogni tipo di gioco è ammesso e praticato, l’universo creativo in cui prende forma il lavoro di Monica Cecchi è una piattaforma aperta ad accogliere le sollecitazioni e le sfide più varie e in cui ad organizzare l’espressione di una potenzialità visionaria mai satura e mai asettica è la grammatica della fantasia. Abolendo ogni forma di distinzione netta e gerarchica tra stili e generi, tra cultura alta e cultura di massa, tra rimandi culturali e slogan commerciali, l’alfabeto poliglotta di Monica Cecchi si esprime attraverso una sintassi stratificata che nella tensione tra elementi di differente polarità e nel soppesato utilizzo della citazione recupera il piacere della narrazione. Il suo reimpiego disincantato ed ironico della storia e dell’immaginario comune richiama in qualche modo una delle prassi proprie della cultura postmoderna: quella di riannodare i fili tra passato e futuro, tra ricordo e dimenticanza, per trasformare la memoria in fatto relazionale. Ponendosi come oggetti simbolicamente preposti a sviluppare una relazione sempre nuova con i suoi sempre diversi interlocutori, i gioielli di Monica Cecchi sembrano incarnare la sintesi lirica di questa modalità creativa e processuale, sebbene la poliedricità del suo approccio al lavoro lascia spazio ad una lettura ancor più ampia e che rifugge, per natura, definizioni univoche e circoscritte. Muovendosi sinuosamente tra rigore modernista (form follows function) e libertà postmoderna (form follows fiction), le sue “forme” sembrano infatti indistintamente seguire a tratti la funzione a tratti la finzione. Paradossalmente ma verosimilmente, il suo concetto di ornamento avrebbe potuto trovare accoglienza anche presso chi, come Adolf Loos, riconosceva nella decorazione una forma di oscenità visiva e di delinquenza estetica. In Ornamento e Delitto (1908) lo sfogo denigratorio di Loos nei confronti dell’orpello decorativo nasceva sì dall’intolleranza nei riguardi dell’esuberante espressività del 7



Secessionismo viennese, ma presumibilmente ancor più dal rispetto profondo che il padre del razionalismo nutriva per le forme originali e genuine di linguaggio, ovvero per quelle espressioni aurorali attraverso le quali l’essere umano da sempre instaura il proprio dialogo con il mondo. Secondo Loos le strutture semantiche “aggiuntive”, adottate tanto dalle popolazioni indigene quanto dagli abitanti della polis moderna e finalizzate a tramandare un segnale distintivo e identificativo, sono ammissibili soltanto quando non indugiano sul frivolo e non si manifestano come superflue, ma si pongono invece come espressioni integrate e aderenti all’ossatura del preesistente. Sottolineando il legame necessario tra l’innovazione e l’origine primitiva delle forme, in architettura così come nelle arti figurative e quelle applicate. L’ornamento pertanto, trova per Loos una plausibile giustificazione e ragion d’esser soltanto quando interpretato nella sua accezione etimologica alterata (“ord’nare”) ed è cioè in grado di ridare il giusto assetto ad un’estetica formale e costruttiva tradizionale e connaturata. E’ questo il terreno in cui i semi della modernità possono felicemente germogliare. Il gioiello, forma ornamentale e manifestazione estatica per eccellenza (ex stasis – fuori da se), rientra quindi a pieno diritto nella categoria degli orpelli, irritanti ed esibizionisti, denunciata da Loos, ma anche in questo caso è una “preziosità distillata” di forme e materiali e un atto creativo in grado di generare il nuovo dalla riorganizzazione dell’iconografia tradizionale a salvarlo, rendendolo ammissibile e quindi apprezzabile. Solo in tal senso il gioiello, quale ornamento fisico e quale estensione decorativa che rende manifesto il lato emozionale della carnalità, può divenire una forma di “oscenità” necessaria, “un estratto di meraviglioso” che scongiura il “delitto” attraverso un fenomeno che può considerarsi il suo esatto opposto: la creazione o, tanto meglio, la rigenerazione. Questo rovesciamento semantico che il pensiero radicale di Loos produce in merito al concetto di decorazione e decorativismo, e nello specifico intorno all’idea di orpello, interseca in qualche modo il processo creativo che sottende l’opera di Monica Cecchi, per cui il nuovo porta sempre su di se l’impronta di un segno originario in grado di rigenerarsi e di generare qualcosa di inedito e sorprendente. 9



Il suo lavoro nell’ambito del gioiello contemporaneo, pur restando fortemente connesso all’idea di relazione equilibrata tra armonia estetica e docilità ergonomica, si basa su una prassi progettuale che procede per contrasti e che, sovrapponendo con disinvoltura memoria ed attualità, recupero e innovazione, arriva a ristabilire una linearità di dialogo tra tesi e antitesi. Esemplare è in questo senso la scelta radicale, e in un certo senso incongruente, del materiale principe che l’artista sceglie per connotare le proprie creazioni, la latta, per antonomasia l’esatta negazione, estetica ed intrinseca, dell’idea di preziosità, ma che Monica Cecchi tratta con la stessa accuratezza con cui tratta l’oro, e anzi spesso a questo l’accosta. Anche sul piano esecutivo, la latta è lavorata con le raffinate tecniche dell’arte orafa tradizionale apprese durante gli studi svolti con maestri d’eccellenza quali Giampaolo Babetto e Manfred Bischoff, che sostengono l’intraprendenza sperimentale dell’artista, permettendole di dotare i propri gioielli di un dinamismo virtuoso fatto di meccanismi sofisticati votati a trasformare le sottili lamine di metallo in moduli tridimensionali e aggettanti, innocui e leggerissimi che, una volta congiunti, assumono la forma di elementi snodati e concatenati come frammenti narrativi. I ritagli di latta provengono dalle vecchie scatole utilizzate in passato per conservare alimenti, olii industriali e polveri da sparo e che riflettono da molti punti di vista la storia sociale e culturale del secolo scorso, incluso il concetto di ottimizzazione dei materiali che prevedeva, come in questo caso, la progettazione di prodotti duraturi e destinati ad essere riciclati. Negli anni, Monica Cecchi ha famelicamente accumulato un numero sorprendente di contenitori in latta, e costantemente ne è in cerca per arricchire quello che ormai è divenuto un vero e proprio archivio, iconografico, polimorfo e policromo, fatto di immagini, piccoli dettagli, scritte e marchi, texture o semplicemente di colori, ancora vividi e intatti oppure parzialmente svaniti e che riportano le ferite corrosive del tempo.

Da questo giacimento variegato di suggestioni e memorie di diversa natura ed entità, l’artista seleziona le “scatole sacrificali”, quelle che per idoneità cromatica o semantica andranno a fornire le porzioni del collage linguistico che connoterà il prossimo progetto, un nuovo gioiello. 11



Un mondo denso di sedimentazioni e di rimandi diversificati (alla cultura popolare, alla memoria collettiva ed individuale, all’infanzia, al gioco, all’universo fiabesco) e l’eco di certe esperienze e modalità dell’arte che labilmente affiorano senza mai banalmente porsi come citazioni tout court (dall’objet trouvé di Duchamp ai collages di Schwitters, dai mobiles di Calder alle lamiere recuperate di Chamberlain fino all’impiego del lettering pubblicitario in Schifano e in generale nella cultura Pop americana) concorrono a conferire ad ogni gioiello una accentuata individualità e un senso di irripetibilità che accresce l’aura di pregio di ogni manufatto. Alla felice libertà linguistica e compositiva, che le permette di convogliare e concertare visioni molteplici all’interno di un’unica opera, fa da controcanto una spiccata capacità immaginativa che si rivela appieno nell’utilizzo impavido del colore. Anche in questo caso, con destrezza funambolica Monica Cecchi si muove agilmente orchestrando toni armonici e toni dissonanti, monocromia e policromia e abbinando sapientemente texture variopinte e patchwork contrastanti. Mai subordinato al disegno e al volume, il colore nelle opere di Monica Cecchi non è semplicemente rivestimento passivo ma, tutt’uno con il supporto, ha un ruolo attivo, è dirompente, vivo, e conferisce ai gioielli la facoltà di parlare e di illudere, talvolta trasfigurando la natura del materiale di cui sono fatti: la latta in alcuni casi, infatti, sembra assumere all’apparenza l’aspetto di maiolica dipinta, in altri quello di carta lavorata ad origami, in altri casi ancora quello di tessuto. Per Baudelaire nel colore risiedeva in assoluto uno dei poteri più grandi, quello di essere autonomo, tesi sostenuta in qualche modo anche da Barthes il quale, sia in pittura che in fotografia, riscontrava questo importante ruolo del colore, “Se fossi pittore non dipingerei che colori: questo spazio mi sembra liberato sia dalla Legge (nessuna Imitazione, nessuna Analogia) che dalla Natura (perchè insomma, tutti i colori della Natura non vengono forse dai pittori?”. Rendere il colore indipendente dalla linea di contorno, sfalsarlo intenzionalmente dalla forma, è stato ciò che ha costituito per Warhol uno dei motivi del suo successo. Lo strabismo come facoltà di visione. La sensibilità di Monica Cecchi nel gestire un universo policromo così sfaccettato come quello con cui quotidianamente si confronta, sembra esprimere la comprensione e il 13



rispetto nei confronti dell’autonomia che endemicamente appartiene al colore. Ed è questa consapevolezza a far sì che in ogni suo gioiello il rapporto tra struttura formale e struttura cromatica venga ogni volta ridiscusso e rigenerato, arrivando a definirsi man mano, nel farsi. Raramente, infatti, dietro la realizzazione di un gioiello sta la predeterminazione di un progetto rigidamente definito a priori. Sono il materiale stesso e l’eloquenza del suo apparato iconografico, e cromatico appunto, a guidare il più delle volte il lavoro verso il raggiungimento della meta ideale e ad indicare la direzione narrativa più giusta da intraprendere. “Generalmente inizio da schizzi molto liberi cercando di mantenere la leggerezza e la spontaneità del gesto sulla carta. Durante la progettazione e l’esecuzione di un gioiello non escludo nessuna possibilità di cambiare il mio piano originario che la casualità o altri eventi possono ispirarmi. Cerco di raggiungere un risultato che possa stupirmi ma che al contempo abbia qualcosa di familiare”. I gioielli assumono così in qualche modo la forma di racconti a se stanti, autonomi, più o meno autobiografici, ognuno dei quali individua il proprio incipit nel dettaglio narrativo di una latta in disuso che l’artista resuscita incarnandola in una nuova foggia e ricollocandola all’interno di una nuova trama, e a cui regala un cuore nuovo di zecca, di cui risulta facile poi innamorarsi.

“Ora sono sicuro di avere un cuore... perché mi si sta spezzando.” Hickory, l’uomo di latta in The Wonderful Wizard of Oz,, L. Frank Baum, 1900

Emanuele Nobile Mino

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OPERE / WORKS

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Il Gioco dell’Oca Collana / Necklace, 2016 Latta Riciclata / Recycled Tin


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peperepeperepeppeper epeppeperepeperepepp eperepeppeperepepere erepeperepeppeperepe ppeperepeperepeppepe repeppeperepeperepep peperepeppeperepeper perepeperepeppeperep peperepeperepeppeper epeppeperepeperepepp Peperepeperepep Anello / Ring, 2012 Latta Riciclata / Recycled Tin


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Lame di Luce dal Centro Bracciale / Bracelet, 2011 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold Collezione Privata, Germania / Private Collection, Germany


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Made in Italy Spilla / Brooch, 2016 Latta Riciclata / Recycled Tin Made in Italy Italy Spilla / Brooch, 2016 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold


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Famous Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata/ Recycled Tin


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Ahh Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata/ Recycled Tin

H


H H 29


Olè Spilla / Brooch, 2016 Latta Riciclata / Recycled Tin


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Palle Palle Palle Collana / Necklace, 2016 Latta Riciclata/ Recycled Tin


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it smells like spring..

Primavera Collana / Necklace, 2012 Latta Riciclata/ Recycled Tin Collezione Privata, Stati Uniti / Private Collection, USA


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Easy Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata/ Recycled Tin


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Elefanti al Sole Anello / Ring, 2015 Latta Riciclata/ Recycled Tin


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L.I.F.E. Spilla / Brooch, 2016 Latta Riciclata / Recycled Tin


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Vanitas Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata/ Recycled Tin Collezione Privata, Italia / Private Collection, Italy


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Non Sono Io Bracciale / Bracelet, 2011 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold


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XoXo e altre Dolcezze Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold


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D’Io ed Io Collana / Necklace, 2010 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold


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La CittĂ Fortificata Bracciale / Bracelet, 2014 Latta Riciclata/ Recycled Tin Collezione Privata, Germania / Private Collection, Germany


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La Strada di Casa Mia Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata / Recycled Tin


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Addio alle Armi Collana / Necklace, 2016 Latta Riciclata, Oro / Recycled Tin, Gold


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Gebohren im Schwarzwald Omaggio a Manfred Bischoff / Homage to Manfred Bischoff Spilla / Brooch, 2015 Latta, Riciclata Oro / Recycled Tin, Gold


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Gheysha Anello / Ring, 2014 Latta Ricclata / Recycled Tin Colezione Privata, Stati Uniti / Private Collection, USA


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Less is a Bore

Like a sort of playground where any sort of game is allowed and engaged in, the creative universe in which Monica Cecchi’s work takes shape is open to a wide and varied range of stimuli and challenges; within it, the expression of a never-saturated, never-aseptic visionary potential is governed by the grammar of imagination. Abolishing any form of clear, hierarchical distinction between styles and genres, between high culture and mass culture, between cultural references and advertising slogans, Monica Cecchi’s polyglot alphabet is articulated through a multi-layered syntax that restores the pleasure of narration through contrasting elements of different polarities and a carefullyconsidered use of citation. In a certain way, her disenchanted and ironic use of collective history and imagery resembles a practice typical of postmodern culture: that of re-establishing links between past and future, between memory and forgetfulness, to transform memory into relational fact. Offering themselves as objects symbolically designated to develop ever-evolving relationships with their always-different interlocutors, Monica Cecchi’s jewels seem to embody the lyrical synthesis of this creative process, even as the polyhedric nature of her approach to her work leaves room for even broader interpretation that inherently eludes univocal, circumscribed definitions. Shifting sinuously between modernist freedom (form follows function) and postmodern freedom (form follows fiction), her “forms” in fact seem to follow function and fiction alternately, without distinction. Paradoxically but not improbably, her concept of ornament might have been well-received by those who, like Adolf Loos, saw decoration as a form of visual obscenity and aesthetic delinquency. Loos’ Ornament and Crime (1908), a denigrating rant against decorative gaudiness, arose from his intolerance for the exuberant expressiveness of Viennese Secessionism, but presumably even more from this father of rationalism’s deep respect for original and genuine 61


forms of language, those auroral expressions through which human beings have always instituted their own dialogues with the world. According to Loos, “supplemental” semantic structures, adopted by indigenous populations and inhabitants of the modern polis alike and aimed at sending a distinctive, identifying signal, are only admissible when they steer clear of the frivolous and avoid manifesting themselves as superfluous, but rather offer themselves as integrated expressions that adhere to pre-existing frameworks. Underscoring the necessary link between innovation and the primitive origin of forms, in architecture as well as in figurative and applied arts. So for Loos, the only plausible justification and raison d’être for ornamentation was to be interpreted in an altered etymological sense (as “order”) and thus to be capable of restoring the proper order to a traditional and deep-seated formal esthetic. This is a terrain in which the seeds of modernity can successfully germinate. Jewelry – ornamental form and ecstatic manifestation par excellence (ex stasis – outside the self) – thus rightly falls into the category of irritating and exhibitionistic embellishments denounced by Loos, but is also, in this case, a “distilled preciousness” of forms and materials and a creative act capable of generating something new by reorganizing traditional iconography and conserving it, consequently rendering it admissible and laudable. In this sense alone, the jewel, as a physical ornament and as a decorative extension that manifests the emotional side of corporality, can become a necessary form of “obscenity,” “an extract of the wonderful” that counteracts the “crime,” through a phenomenon that may be considered its exact opposite: creation, or rather, regeneration. This semantic reversal emerging from Loos’ radical notions on the concept of decoration and decorativism, and specifically the idea of frill or embellishment, somehow intersects with the creative process that underlies Monica Cecchi’s work, which always bears some original mark capable of regenerating itself and generating something novel and surprising. Her work in contemporary jewelry, albeit strongly linked to the idea of a balanced relationship between aesthetic harmony and ergonomic docility, is the result of a planning process based


on contrasts which, effortlessly superimposing memory and modernity, revival and innovation, manages to re-establish a linearity of dialogue between thesis and anti-thesis. Emblematic of this is her radical, and in a certain sense incongruous, choice of the main material for her creations, tin, the exact aesthetic and intrinsic opposite of the idea of preciousness. Monica Cecchi treats tin with the same care as gold, and in fact often juxtaposes the two. In terms of execution, the tin is worked using refined traditional goldsmithing techniques the artist learned while studying with the accomplished maestros Giampaolo Babetto and Manfred Bischoff. These techniques underpin the artist’s experimental intrepidness, allowing her to lend her jewels a virtuoso dynamism derived from sophisticated mechanisms that transform thin metal sheets into light, innocuous, three-dimensional projecting modules; once joined together, they take on the shapes of twisting elements that unfold and link together like fragments of narratives. The tin scraps she uses come from old cans once used for food, industrial oil and gunpowder, which in many ways reflect the social and cultural history of the past century, including the concept of optimization of materials by designing long-lasting products destined to be recycled, as in this case. Over the years, Monica Cecchi has enthusiastically accumulated a surprising number of tin containers, and is constantly on the hunt for items to add to what has become a true iconographic, polymorphous and polychromatic archive made up of images, little details, lettering and logos and textures, or simply colors, still vivid and intact or partially faded, bearing the corrosive wounds of time. From this variegated lode of suggestions and memories of all kinds, the artist selects the “sacrificial cans,” those chromatically or semantically suitable to provide parts of the linguistic collage that will give rise to her next project, a new piece of jewelry. A densely-packed world of sedimentary layers and diverse references (to pop culture, to collective and individual memory, to childhood, to games, to the fairy-tale universe) comes together with the echo of certain experiences and modes of art that pop up fleetingly but are never banally presented as simple citations (from Duchamp’s objet trouvé to Schwitters’ collages, from Calder’s mobiles to Chamberlain’s salvaged sheet metal, to Schifano’s use 63


of advertising lettering, and to American Pop culture in general) to give each piece an accentuated individuality and a sense of inimitability that strengthens its aura of preciousness. Counterpoint to the propitious linguistic and compositional freedom that allows her to assemble and arrange multiple visions within a single piece is the remarkable imaginativeness revealed in her bold use of color. Here again with acrobatic dexterity, Monica Cecchi moves nimbly, orchestrating harmonic and dissonant tones, monochrome and polychrome, and skillfully combining multicolored textures and contrasting patchworks. Never subordinate to design or volume, color in Monica Cecchi’s work is no mere passive covering, but is one with the structure and has an active role; it is bold and vivid, and lends her jewelry the capacity to speak and to delude, sometimes transfiguring the nature of the materials it is made from. In fact, in some cases tin seems to take on the appearance of painted majolica, in others of origami-folded paper, and in still others that of fabric. For Baudelaire, color held one of the greatest of all powers, that of autonomy; a theory supported to a degree by Barthes, who saw this important role of color in both painting and photography: “If I were a painter, I should paint only colors: this field seems to me freed of both the Law (no Imitation, no Analogy) and Nature (for after all, do not all the colors in Nature come from the painters?” Making color independent from contours, intentionally misaligning it from form, was one of the motives for Warhol’s success, in his own view. Strabismus as capacity for vision. Monica Cecchi’s capacity to manipulate the polychromatic universe she deals with daily seems to reflect her comprehension and respect for the predominant autonomy of color. And it is this awareness that allows the relationship between formal structure and chromatic structure to be constantly re-examined and regenerated in each of her jewelry pieces, which come to be defined little by little as they are being made. In fact, there is rarely the predetermination of a design rigidly set down a priori behind the creation of one of her jewelry pieces. The material itself, along with the eloquence of her iconographic and chromatic inspiration, most often guide her work towards an ideal destination and point her in the right narrative direction. “Generally, I start with very freely-drawn sketches in which I try to maintain a certain lightness and spontaneity of pen stroke on the paper. During the


design and execution of a piece, I don’t exclude any possible changes to my original plan that random chance or events might inspire. I try to achieve a result that can amaze me, but at the same time has something familiar about it.” Her pieces thus somehow take the form of complete, autonomous, more or less autobiographical little stories, each of which has its incipit in the narrative detail of a discarded tin can that the artist brings back to life, incarnating it in a new fashion and introducing it into a new plot. She gives every piece a brand new heart – one that’s easy to fall in love with.

“Now I’m sure I have a heart… because it’s breaking.” Hickory, the Tin Man in The Wonderful Wizard of Oz,, L. Frank Baum, 1900

Emanuela Nobile Mino

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CURRICULUM Born in Prato, Italy, 05th OCtober 1964 Training / Education 2009 2004-2008 2006 1999-2001

Workshop with Giampaolo Babetto, Le arti orafe; Florence, Italy Graduated at Libera Accademia di Belle Arti di Firenze, Florence, Italy Workshop with Giovanni Corvaja, workshop with Giampaolo Babetto Le arti orafe, Lucca Italy Specialization course with Giampaolo Babetto, Specialization course with Manfred Bischoff, Alchimia contemporary jewelery School, Florence, Italy

Solo Exhibitions 2012 2009

‘Take care of the can’, Gallery Birò, Munich Germany Gallery Previtali Milan, Italy

Group Exhibitions 2016 2015 2014 2013 2012 2011 2010

Under the Same Light, Munich, Germany Galleria Antonella Villanova, Artgenève, Switzerland Galleria Antonella Villanova, Design Miami, United States Winter Journey - Vienna, Austria, Galerie Slavik Private View – Vienna, Austria Most Excellent - Germany Premio Cominelli – Italy Alchimia: An Antology, Boston, United States International Metal Craft Competition in Taiwan – Finalist Award Schmuck 2014 a Project by Gallerie Birò in cooperation with Kulturreferat Munich ACG – ONOFF Award, Padova, Italy “On Off” Padova Italy, “Ring Party” Treviso Italy Schmuck 2013 a Projeckt by Gallery Birò in cooperation with Kulturreferat Munich Schmuck 2012 a Projeckt by Gallery Birò in cooperation with Kulturreferat Munich Gallery Louise Smit, Collect, London Gallery Louise Smit, Object, Rotterdam Gallery Louise Smit, Amsterdam, Netherlands,“17 curators-17 nominees” 25 Year Anniversary of Gallery Louise Smit Exhibition at “Casa Camilla” Arquà Petrarca, Padua Italy, curated by Giampaolo Babetto Artefiera Bergamo,I Gardini informali, biennale arte contemporanea, Empoli, Florence, Italy| 1st edition of international art festival, Italian and international artists show, Wison Art Center, Expo 2010,Shanghai,China Exhibition of international artists works, International Convention Center, Huang, He Ha, Shanghai, China

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2009 Micro Museum, New York, USA Studio Iroko/ Tortona Creativity “Anatomy Domain” Milano, Italy Jewelry created for Manon Lescaut 55° Festival Puccini di Torre del Lago, Lucca, Italy Jewelry created for Manon Lescaut Taetro dell’opera di Nice, Nice, France 2008 Trump Tower. New York, USA Italian art exhibitions “Art Miami 1°” Miami, Florida, USA “Come carne viva” Accademia Euteleti San Miniato, Pisa, Italy 2007 Art Miami Fine Art Fair, Miami Beach, USA Artexpo , New York, USA Kiaf Korea International Art Fair, Seoul, Korea Rose’s choice Museo Internazionale della donna nell’arte – Scontrone, Aquila, Italy To call to mind - Spazio Mondadori , San Marco, Venice, Italy Art Singapore fair, Singapore Euart “Contemporary European Art Showcase” exhibition in USA Alliance Francaise & Società Dante Alighieri, New Cultural Center, Miami, Florida, USA 2006 Collect, Victoria and Albert Museum, London, UK | “Women in jewelery” Alternatives Gallery, Rome, Italy 2005 T.5 , Velvet Da Vinci, San Francisco, USA 2004 Eco-jewelery, Gallery Alternatives, Rome, Italy Contact, Mobilia Gallery, Cambridge, USA 2003 Schmuck 2003, Munich, Germany Promo-Arte Project Gallery, Tokyo, Japan Contemporary Art Centre, Laren, The Netherlands 2002 Alchimia Gallery, Florence, Italy London Guildhall University, London, UK Design Podium, Inhorgenta, Munich, Germany Gallery Marcolongo, Padova, Italy 2001 International Graduation show, Gallery Marzee, Nijmegen, Nederlands “Midora” Jewelery Fair Leipzig, Germany “Cross Currents” SOFA, Chicago, USA 2000 Rassegna di grafica italiana, Museo Pecci, Prato 1999 Solo exhibition, Gallery La Spirale, Prato, Italy Arte usa non getta replay, Villa Pisani, Dolo, Venice, Italy Rosa Rosae, Gallery tuee’Arte, Prato, Italy 1998 Arte usa non getta, spazio espositivo S.Caterina, Prato, Italy Solo exhibition, Gallery LaSpirale , Prato, Italy


Publications: 2015 2014 2012 2011 2009 2005 2004 2003 2002 2001

International Metal Craft Competition in Taiwan 2015 Catalog Art Aurea” November 2015 Art Aurea” March 2014 Il gioiello contemporaneo May 2012 500 Rings” Lark books editions Metalsmith n.4 2011 vol 31 SOFA Santa Fe catalog Arte magazine n°436 December | “Arte-go” webmagazine 500 brooches, inspiring adornments for the body” Lark books editions Dizionario del gioiello italiano del XX secolo, L. Lenti&C.Bergesio Alemanni edizioni Umberto Alemanni & C. 1000 rings, inspiring adornments for the hand” Lark books editions Schmuck 2003 catalog Edition Handwerk G.Z. Art + design” international jewelry magazine, Autumn Abitare” magazine n° 412 December SOFA Chicago 2001 Catalog

Awards: 2015

COMINELLI Award 2015, Italy - First Winner International METAL CRAFT COMPETITION, Taiwan - Finalist Award ACG – Cisotto Award - ONOFF, Italy - Honorable Mention Ring Party

Collections (Private & Museum) Collezione Mignucci, Padova, Italy Alice and Louis Koch Collection Collection de la Ville Cagnes sur Mer, Espace Solidor Newark Museum, permanent collection

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Flora


MONICA CECCHI Catalogo edito da Galleria Antonella Villanova in occasione di Design Miami/Basel 2016 Basel, 13 Giugno 2016 Testo / Text Emanuela Nobile Mino Traduzione / Translation Theresa Davis Crediti Fotografici / Photo Credits Bruno Bruchi Giustino Chemello Progetto Grafico / Layout Galleria Antonella Villanova In Copertina / On the Cover ‘Grrr’ Spilla / Brooch, 2015 Latta Riciclata / Recycled Tin Collezione Privata, Italia / Private Collection, Italy Finito di Stampare presso / Printed by TAF Tipografia Artistica Fiorentina, Firenze © Monica Cecchi & Galleria Antonella Villanova


GALLERIA ANTONELLA VILLANOVA

Via del Parione 47/R 50123 Firenze Italy www.antonellavillanova.it


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