
N°64 LUGLIO-AGOSTO 2024 - periodico bimestrale d’Arte e Cultura ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

N°64 LUGLIO-AGOSTO 2024 - periodico bimestrale d’Arte e Cultura ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele
Hanno collaborato:
Giovanna Alberta Arancio
Monia Frulla
Rocco Zani Miele
Lodovico Gierut
Franco Margari
Irene Ramponi
Letizia Caiazzo
Graziella Valeria Rota
Alessandra Primicerio
Enzo Briscese
Giovanni Cardone
Susanna Susy Tartari
Cinzia Memola
Concetta Leto
Claudio Giulianelli
Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20
ARIELE sta procedendo alla selezione degli artisti da inserire nel proprio stand alla 34° edizione di ArtParmafair, fiera mercato di arte contemporanea tra le più longeve manifestazioni nel mondo dell’arte in Italia, che avrà luogo dal 12-13 ottobre e 18-19-20 ottobre.
La fiera è indirizzata ad artisti interessati a promuovere la propria immagine in una prospettiva di crescita professionalee di mercato.
Infatti, grazie alla sua capacità di intercettare sia il mondo dei collezionisti d’arte sia un largo pubblico di appasionati, rappresenta per gli artisti un’opportunità esclusiva per posizionarsi realmente nel mercato dell’arte. Artparmafair si caratterizza per essere un’importantee
consolidata occasione di investimento, presentando ogni anno un’attenta selezione di grandi interpreti italiani e stranieri, dal futurismo all’informale, dall’Arte Zero alla pop art sino all’arte concettuale e all’arte povera.
Ariele all’interno del proprio spazio propone un’attenta selezione di artisti affermati o che stanno affermandosi e talenti emergenti.
Se siete interessati per informazioni potete contattare il numero 347.99 39 710 oppure scrivere a galleriariele@gmail.com
Restiamo a disposizione per ogni chiarimenti dal lunedì al venerdì dalle 15,00 alle 18,30
I soggetti ritratti da Alessia Zolfo hanno una carica empatica impressionante e riescono a mettersi naturalmente in diretto dialogo con chi osserva; l’artista mette in atto una pittura di ricerca e sperimentazione, con l’utilizzo di collages in cui si intravedono grafie e con un’importante componente segnica. Volti dai lineamenti marcati ma dolcissimi e dagli sguardi cristallini raccontano la loro perso-
nale storia di amicizia, nostalgia, fratellanza, tristezza e lo fanno grazie al talento espressivo di un’artista dallo stile originale e inconfondibile.
Luca Franzil critico e gallerista di ArtTime Udine
Mitologie
sperimento con vari materiali, tessuti anche di recupero, ma soprattutto carte di ogni tipo, trovate, gettate via, sottoposte a vari trattamenti, dove il disegno non è mai completamente completato ma volutamente interrotto o abraso. È impossibile determinare a priori cosa emergerà dalla superficie iniziale poiché la maggior parte del mio lavoro è frottage. I soggetti sono identità indefinite, non intendono ritrarre nessuno nello specifico, infatti spesso dipingo ciò che so a memoria. Le mie opere raccontano, tra ricordi personali, riferimenti letterari o storici e mitologici, quei temi filosofici dell’esistenza, della vita e della morte, che sento far parte della mia cultura e che mi hanno affascinato sin dai tempi del liceo. Quello che mi interessa è cogliere l’inquietudine, le ferite interiori. Molto spesso le storie raccontate riguardano esperienze intime e autobiografiche.
mail: zol317@gmail.com
tel. 349.444 4774
La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli.Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche
di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura.
Giovanna Arancio
mail.: enzobriscese6@gmail.com www.facebook.com/enzo.briscese.9/ tel. 347.99 39 710
Nasce a Venosa in Basilicata. Vive e lavora a Torino. Segue i primi studi artistici presso il maestro Lillo Dellino di Bari. Cresce in un ambiente intellettualmente stimolante, frequentato da musicisti, letterati ed artisti.
Nella prima giovinezza si trasferisce a Torino dove frequenta lo studio di disegno del maestro Giacomo Soffiantino e in seguito l’atelier di Giorgio Ramella.
Nella città di Torino, dove apre un laboratorio di disegno e pittura, si confronta con diverse ed importanti esperienze nel campo delle arti visive. Fra queste sono da evi-
denziare l’avvio del Centro Culturale Ariele, tuttora vitale, la gestione di spazi espositivi, la realizzazione di unna rivista d’arte diffusa a livello nazionale.
Come pittore elabora, attraverso una personale e rigorosa ricerca, una poetica coerente con il suo impegno sociale ma, soprattutto, capace di comunicare la sua forza espressiva grazie alla resa sicura del segno e ad un colorismo raffinato. I cicli tematici si susseguono declinando diversi linguaggi all’interno dei percorsi del figurativo e dell’astratto, densi di rimandi storici e di sapienti contaminazioni.
di Riccardo Cordero
A cura di Silvana Nota
Campus INRiM – Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica Strada delle Cacce, 91 - Torino
Dal 19 maggio 2024 al 20 maggio 2025 Aperture da calendario
Domenica 19 maggio 2024, presso il Campus INRiM, in Strada delle Cacce 91, a Torino, si è inaugurata la mostra di sculture dell’artista internazionale Riccardo Cordero. La mostra, con la curatela di Silvana Nota, ha per titolo “Connessioni Astrali, 7 alfabeti tra la terra e le stelle”, e si sviluppa secondo un concetto di Land Art attraverso un percorso di sculture installative dell’artista che ha studio a Torino, il cui profilo esprime lo spirito dell’iniziativa, proiettata nel mondo, ma attenta alla valorizzazione dell’eccellenza sul territorio.
Nato nel 1942 ad Alba, in provincia di Cuneo, titolare
della cattedra della Scuola di Scultura fino al 2001 presso l’Accademia Albertina di Torino, Riccardo Cordero è una figura rappresentativa della scultura internazionale la cui carriera di ininterrotti successi e in costante evoluzione, annovera, accanto alla presenza con una personale alla XLIX Biennale di Venezia e alla XIV Quadriennale di Roma, una vasta attività espositiva in Argentina, Brasile, Francia, Iraq, Germania, Spagna, Svizzera, Uruguay, e in modo particolare negli Stati Uniti e Asia, soprattutto in Cina, dove ha condotto progetti realizzati in residenze d’artista all’interno di parchi scultura, campus universitari e di ricerca scientifica.
Silvia Rege Cambrin ha sempre avuto una grande propensione per il disegno ed una spiccata attrazione per i colori. Pur non avendo compiuto studi artistici, l’amore verso l’arte l’ha spinta a sperimentare numerose tecniche come la pittura su ceramica, il carboncino, l’acquerello e l’acrilico. La sua attitudine artistica l’ha successivamente portata al perfezionamento della tecnica ad olio, attraverso cui riesce a produrre sfumature e morbidezze che appagano il suo senso del colore e le permettono di cogliere in qualsivoglia soggetto il lato più armoniosononché quelsoffio di perfezione che permea tutto ciò che esiste.L’ Artista intende l’Arte come la precisa rappresentazione del dato reale, della realtà percepita dai suoi occhi dando origine ad una
pittura minuziosa dove la luce assolve una funzione critica nello sviluppo dell’idea. La luce è come le parole per il poeta: le seleziona per formare la sua frase immortale. Ma seleziona anche quelle da non dire.L’accuratezza nella realizzazione dei dettagli , dalla fine e calibrata variazione di trasparenza dei calici, dalla delicatezza dell’incarnato fino ai morbidi drappeggi che riflettono la luce, intensifica il sorprendente lirismo delle sue opere offrendo alla vista di chi osserva una suadenteatmosfera che passa attraverso lo spazio del cuore, del sentimento, dell’emozione.
mail: elicriso@ica-net.it tel.: 335.298 696
L’intimità di dialoghi perduti in un “tempo contemporaneo” che inizia a scorrere forse troppo velocemente. Una spiritualità interiore, viene rappresentata attraverso dipinti ad olio e carta che ci parlano di uomini e donne, che vivono nel nostro tempo. Lacerazioni dell’anima. Speranze ricercate, per poi essere ritrovate. La pittura di Aurora Cubicciotti si muove in un contesto sociale, poco esplorato dagli altri Artisti. L’idea di pittura classica tradizionale, viene abbandonata, per dare maggiore spazio a quel processo di significazione, alla base di ogni lavoro di Cubicciotti. “Mi piace incollare la carta - spiega - e seguirla, perché, a mano a mano che la strappo, è lei a suggerirmi la strada da intraprendere: sono affascinata dall’effetto che si ottiene, restituisce il concetto di non finito, di antico e consumato. La formazione che ho ricevuto, la mia professione da insegnante, la conoscenza del restauro, della chimica dei colori - a volte mi preparo i pigmenti da sola - mi conduce a sperimentare, a far convivere diversi linguaggi, ad innovare, il tutto senza dimenticare la bellezza delle forme dell’arte classi-
ca”. La sua visione artistica è ben delineata: “Serve la tecnica, bisogna studiare le basi per dare corpo e anima alla propria creatività. L’artista - come spiega Aurora - ha il dovere di usare al meglio i propri mezzi espressivi affinché la sua arte agisca fortemente sulla sensibilità dello spettatore; l’opera d’arte deve essere la voce scavata tra i colori che in maniera assillante scuote gli animi umani per obbligarli a vedere la realtà”. Possiamo collocare la pittura di Cubicciotti all’interno dello spazio/tempo Caravaggesco, nel quale la dicotomia buio/luce diventa il punto di partenza per un nuovo racconto pittorico. Il contrasto tra luce e oscurità non crea dissonanza, piuttosto i due elementi opposti si completano, mettendo in evidenza un fatto importante: la luce diventa protagonista del messaggio della pittrice.
mail.: cubyaurora@gmail.com
Sito: www.facebook.com/ aurora.cubicciotti tel. 339.18 38 913
Dal 29.6 al 7.7.2024.
A proposito della personale dello scultore Roberto Fiasella “Cavallinità. La magia della forma”.
“(…) Fiasella non mi sorprende più per la costanza e l’impegno con cui porta avanti il proprio lavoro.
E’ giunto a questo livello poiché una delle sue doti è stata lo sforzo disciplinato, direi severo, nell’essersi reso conto – è un concetto cucito al passato e all’oggi – delle difficoltà del cosiddetto “tirocinio” onde arrivare alla completa espressione del proprio “Io”. Egli, ormai padrone della tecnica (Arte, in greco è tèkne), sa che l’arte significa fatica e serietà e pure quello che definisco “sentimento dell’essere e dell’esistere” ovvero credere alla bellezza e alla continuità della vita.
E’ giunto ad un alto grado espressivo grazie all’uso costante del disegno che reputo sempre indispensabile nella pittura come nella scultura; sa plasmare ottimamente la creta giungendo con facilità sino all’ultimo stadio sia della ceramica, sia della patinatura del bronzo.
Sensibilissimo, non manca in lui il dolore. Mi sia perciò consentito abbracciarlo idealmente anche per l’omaggio fatto alla memoria di Dominik Pastuszka, tragicamente scomparso all’Ippodromo di San Rossore, a Pisa, all’inizio del 2024. I disegni e i quadri e la scultura ne fermano l’attimo amaro della caduta – col suo cavallo War Brave – che però entra poi nella luce e nel mito. Si tratta di opere che, come lo hanno fatto a me, emozioneranno altri. Penso infine giusto dedicare all’artista che ben mi conosce e dopo averla letta, sa verso quali altri creativi la dirigo –una frase di Renzo Simi pronunciata nel 1939 nel presentare a Firenze una personale di Pietro Annigoni (1): “La probità artistica, lo spirito di abnegazione, il rispetto dell’arte e del proprio lavoro sono qualità morali indispensabili ad ogni artista serio e fanno parte del contenuto spirituale ed umano che ogni opera di vera poesia possiede””.
Lodovico Gierut Critico d’arte e giornalista
La galleria SpaziD’arte di Codroipo, si è proposta in ambito artistico presso la fiera mondiale di arte a Dubai, WorldArtDubai 2024 , decima edizione di questa fiera mondiale che ha raggiunto oltre le 12.000 visite.
La galleria presentava tre artiste: Alessandra Aita scultrice contemporanea che rappresenta sculture di corpi in simbiosi con la natura e l’amore, le suo opere si distinguono per la realizzazione minuziosa di assemblaggio del materiale.
Maria Stefania Fuso pittrice contemporanea, attiva da sempre e riconosciuta per le sue opere su legno di recupero , la caratteristica che la contraddistingue è la sua matericità.
Sandra Bresin pittrice, ha voluto rappresentare la ciclicità delle stagioni con la messa in opera di 12 cerchi , particolare il lavoro di cucitura, sua peculiarità principale nella produzione dell’opera. La proposta della galleria è stata improntata sul riuso e riciclo, tematica molto spinta in questo periodo. Il pubblico ha apprezzato moltissimo le proposte. Speciale attenzione è stata data alla fondazione Aquileia anch’essa presente nello spazio. Il sito UNESCO “Area archeologica di Aquileia e Basilica Patriarcale” è incluso nei siti definiti dall’UNESCO .
L’iscrizione dell’Area Archeologica e della Basilica Patriarcale di Aquileia nella World Heritage List risale al 1998. Oltre 25 anni di iscrizione , la presenza della Fondazione è stata molto apprezzata dal pubblico e ha avuto successo per le diverse attività proposte.
www.galleriaspazidarte.it
In: artgallery_spazidarte spazidartecodroipo@gmail.com
“Così vicini Così lontani” acrilico su cartoncino telato cm.80x60
Una sequenza di dipinti caratterizzati da una calligrafia espressiva di rilievo, che indaga l’universo immaginifico delle immagini onirico surreali provenienti in esclusiva dall’anima nobile di un Arista , gentiluomo del nostro tempo, che ha saputo coniugare forma e contenuto, in un sortilegio d’immagini fortemente interiorizzate, che nel loro
magico insieme, inducono alla silente riflessione, innanzi a cotanta bellezza estetica condensata in ogni dipinto, fra luci, direttrici iperboliche e soprattutto colore.
Aldo Albano
Minervino, piccolo paese delle Murge di Puglia: partire da ragazzo con una valigia pieni di sogni e tornare da adulto con una valigia piena di quadri. Cento dipinti ad olio, pitture, ceramiche, opere d’arte varia dove il colore esplode come la creatività di quel ragazzo irrequieto che si acquietava solo nel disegno, quando sulla Murgia si imbeveva di colori e paesaggi e chiedeva alla madre un vecchio lenzuolo per poterci trasferire sopra quei colori e quei paesaggi; o meglio le sue emozioni di fronte a quelli. Che uscivano scoppiettanti dalla sua straordinaria sensibilità al bello: un dono di natura. La pittura di Roccotelli non è descrittiva né narrativa, ma puramente emotiva. E’ una pittura dell’anima in quanto esprime un’anima murgiana, cioè legata alla terra e ai suoi ritmi, alle sue asperità, alle sue bellezze. Con questa acuita e coltivata sensibilità Roccotelli si è posto non solo di fronte alla terra-madre (Murgia), ma anche di fronte al mare, al vento, ai paesi che sbucano in lontananza fra colline e marine; ma, paradigmaticamente, di fronte al mondo.
Ha cominciato negli anni ’70 con la ritrattistica, dove la sua capacità di figurazione si è rivelata subito splendida: una sanguigna, un nudo di donna a metà, tagliato da una superficie piana, un nudo di madre...ecco la prima originalità dissonante. Quando mai gli artisti hanno dipinto una donna anziana, una madre, con le sole poppe nude, anche se pendule e sformate? Ecco che la nudità femminile ac-
quista un altro (il vero) significato femmineo: quelle poppe ci hanno nutrito nei primi tempi della nostra vita, quindi sono l’essenza e il simbolo della maternità e della vita. Ma esporle crea qualche imbarazzo alla madre. Allora la sua espressione si fa severa, il volto si tinge di rosso, lo sguardo si nasconde dietro un occhiale. E’ il pudore delle donne del Sud di una volta, che si coprivano totalmente di nero. Com’è in un secondo, più tradizionale ritratto della madre. Ma proprio in questi ritratti apparentemente banali, l’artista ancora una volta ha colto nel segno: non il corpo, non le forme ha messo sulla tela, ma i sentimenti, gli stati d’animo di chi è rappresentato e di chi guarda. Da questi due punti, l’esaltazione della vita e il dialogo col fruitore dell’opera, prende le mosse Roccotelli per volare alto, nella sua carriera fatta di umili apprendimenti e di grandi riconoscimenti. Scuole, accademie, mostre, confronti, lezioni-spettacolo con fuochi d’artificio gestuali e pittorici, hanno fatto di lui e della sua arte uno dei maggiori pittori pugliesi conosciuti e riconosciuti in tutt’Italia e anche all’estero (basti vedere l’elenco lunghissimo dei luoghi in cui ha esposto le sue opere). Molti hanno scritto di lui (e anche qui basta vederne l’elenco); molti e molto blasonati nel regno della critica d’arte. Tutti ne hanno apprezzato qualche aspetto del suo multiforme ingegno, che si materializza con pennelli e spatole, colori e manualità, idee e materia.
Di quegli aspetti qui cercheremo di evidenziarne solo qualcuno. Innanzitutto la sua evoluzione che procede pian piano dalla figura realistica alla figura geometrica, quando escono dal suo pennello quadri-finestre alla Mondrian, dove le superfici si intersecano e si sovrappongono con diverse visioni, ora di natura morta (un finocchio, un’aringa, delle uova,) ora di paesaggio straniato (un bosco, un’edera, delle spighe con un volto contadino) fino ad arrivare all’inquietante “testa d’agnello sul retro della tela” che dall’umile “capuzzell” delle mense contadine e pastorali, diventa un lacerto sanguinolento e terrificante alla Francis Bacon.
Poi Roccotelli attraversa il cubismo e l’espressionismo, per approdare a un astrattismo tutto suo, in cui il colore domina sulla forma, la pennellata violenta sull’esito tenerissimo, le esplosioni di energia sulla tranquillità di orizzonti marini, il grido del poeta sul silenzio della natura incontaminata. Fasci di erbe, tronchi spezzati e incrociati, schizzi di onde, petali sgocciolati, linee imperiose e curve armoniose: questa è la sua grammatica pittorica che vediamo coniugata in tutti i modi e con i colori più belli e accattivanti in tutte le opere dell’ultimo periodo, il XXI secolo che egli affronta con una giovinezza interiore, con una tecnica consumata, con un amore infinito per l’arte, per la natura, per la vita. In un canneto egli sente le voci e le dipinge; ma sulla tela tu non vedi né le canne, né le persone che in esse emettono voci, ma solo la loro trama verticale, i colori pastosi e soprattutto la luce che li trapassa e brilla. Ecco, la luce è un’altra delle grandi protagoniste della pittura di Michele Roccotelli. Una luce Mediterranea, Meridionale che fa impazzire i nordici quando lui porta i suoi quadri in Germania, in Belgio, in Austria e in altre contrade dove la luce scarseggia. Però anche noi meridionali, che di luce e di sole la sappiamo lunga, restiamo incantati dalle sue visioni materiche ed eteree insieme. La farfalla: morbide curve giustapposte di colori caldi e graduati nelle varie tonalità
della tavolozza. La nebbia: ti aspetti il velo, l’opacità, l’evanescente grigio, l’indefinitezza che tanti poeti del nord hanno cantato. Lui invece la nebbia la vede e la rappresenta in maniera corposa, con grigi forti attraversati da sprazzi gialli e fili bianchi: bello questo Nord visto dal Sud. Il colore s’impone ovunque, esalta la percezione visiva ma anche tattile, posto che l’artista usa fra i suoi materiali anche il cartone zigrinato e la carta stampata che assumono una loro particolarissima identità, nell’insieme della composizione, fra i colori, i volumi e le linee che sapientemente il pittore fa danzare in quel quadro. Roccotelli ha raccolto in quattro sezioni il cospicuo dono pittorico che ha fatto alla sua città natale, Minervino Murge che gli ha dedicato un’intera Pinacoteca. E sono: la sezione storica, i paesaggi dell’anima, l’urbe, il mare; oltre quelle che considero due appendici e cioè la ceramica e la grafica.
Personaggi inanimati ma vivissimi, i vegetali che animano questa pittura. Paesaggi dell’anima. A partire da quella Murgia primigenia che Roccotelli dipinge con furia e con amore gettando sulla tela spruzzi di verdi dei campi seminati e dei pascoli, bianchi abbacinanti delle albe, rossi violenti dei tramonti arroventati, tronchi e ramaglie in primo piano quasi fossero cornici di quel tesoretto che è al centro, in fondo: alcune piccole geometrie grigie, volumi pesanti gettati lì a caso, come uno jazzo, una masseria, un paese dell’altopiano che si intravvedono appena. I paesi: la dimensione urbana non è estranea alla poetica di Roccotelli. Anzi i paesi sono grappoli di rettangoli-quadrati sormontati da un triangolo; case e casette che ruscellano giù dalla collina, sovrastati dallo stigma di Puglia: la Cattedrale Romanica. Ogni paese ne ha una, qui ridotta all’osso, alle scarne linee di una facciata, di un occhiorosone, di una cimasa a capanna: il triangolo che svetta nel cielo. Così il tocco figurativo emerge dalla composizione cubista; i colori bianchi dei muri a calce si mescolano ai grigi delle pietre, le spatolate geometriche le fanno dritte o sbilenche, un disordine umano che fa il paio col disordine/ ordinato della natura. In simbiosi. Così appaiono visioni di urbe in rosso, di tetti in celeste, di campanili e chiese galleggianti su un parapiglia futurista. Linee, tagli di luce, superfici intersecantesi: questa è la città di Roccotelli. Ci sono Matera, Ostuni, Locorotondo, Alberobello, trulli e Sassi, cupole e torri. Ma su tutte c’è lei, la sua città: Minervino Murge
“Minervino è la mia tavolozza che mi dà alimento quotidiano, dove i pennelli sono le forchette che mi imboccano idee e i colori sono il buon vino rosso, che è sangue quan-
do arriva al cervello”.
Così dice Roccotelli e questa immagine di idee come cibo e colori come vino/sangue, è davvero formidabile per penetrare la sua arte. Quando titola una sua tela “Minervino” vi aggiunge “Inspiration”. Eccola la Musa Ispiratrice che lo spinge a “gettare” sulla tela tutta la sua forza creatrice, la sua fantasia eclettica, il suo estro caotico e irrequieto, la sua tecnica raffinata e filtrata da lunghi studi ed esperienze di vita e di arte. La sua città ispiratrice fa tutt’uno col suo paesaggio rurale, la Murgia. La quale sa anche incoronarsi di regalità e grandiosa architettura quando appare il castello dell’Imperatore. Castel del Monte è piccolo, quasi invisibile nei grandi paesaggi astratti di Roccotelli. Ma si vede lassù, lontano come un’apparizione o un miraggio di grandezza e di bellezza. In alto sulla collina, sembra caduto dal cielo. Anzi poggiato da un’immensa divinità come sul capo non di Federico II, ma della sua terra prediletta, la Puglia. Sotto quel piccolo-grande castello, un mare di rosse superfici spezzate fra cui emerge un frammento di muretto a secco, quasi a ricordare l’umile popolo dell’Imperatore. Lui è in alto con la sua casa di sogno, il popolo è in basso dove esplodono come da un mortaretto scintille di giallo (ginestre? senapi? verbaschi?), di rosso (papaveri? veccia? cardi?), di verde e azzurro e ocra e bianco. Il tutto sempre mosso, agitato come da una furia, da un vento... Anche il vento è protagonista dell’arte di Roccotelli. Un suo paesaggio si chiama “Ala al vento” ed è come un pennacchio che sorge dal basso e sventola in alto con rami, fiori, fili, macchie, schizzi di colori. Il vento e la luce dell’Adriatico ci portano all’altro grande amore di Roccotelli: il mare.
I Mondi Inapparenti non si identificano in luoghi fisici ma nelle dimensioni dell’Oltre, ben lontane dalla fragile e vacua esteriorità delle Cose che passano.
Le opere di questa esposizione sono apparizioni silenziose nel Sogno senza fine dell’Arte libera ed autentica Giancarlo Bonomo
Nel mondo dell’arte contemporanea, l’artista Rosaria Di Dio si distingue per la sua peculiare ricerca estetica e la sua filosofia artistica. “Nel dipingere non cerco il tratteggio, cerco il colore, è il colore che traccia i bordi entro cui si delinea la forma del mio tratteggio, come se dovesse “riempire” ogni forma di equilibrio incapace di sostenere l’armonia delle mie emozioni”. Questa frase rivela il cuore della sua pratica artistica, incentrata sulla potenza espressiva del colore e la sua capacità di trascendere i limiti del tratteggio. Rosaria Di Dio utilizza il colore come strumento principale per comunicare le sue emozioni e riflessioni interiori. L’artista abbraccia una tavolozza cromatica audace e vibrante, che va oltre i confini tradizionali della rappresentazione pittorica, per dar vita a opere intrise di energia e dinamismo. La sua arte si propone di evocare un’esperienza sensoriale coinvolgente e profonda, in cui il colore diventa protagonista assoluto e guida l’osservatore attraverso un viaggio emozionale.
Le tele di Rosaria Di Dio appaiono come dei microcosmi cromatici in cui il colore si espande liberamente, svincolato dalle regole del disegno e della prospettiva. L’uso audace del colore da parte dell’artista non è fine a se stesso, ma serve a sottolineare l’intensità delle emozioni, a suscitare reazioni e a stimolare la riflessione sull’essenza dell’esperienza umana. L’artista riesce a creare un dialogo
tra i colori, amalgamandoli in maniera armoniosa e fluida. La tensione tra le tonalità utilizzate diventa un equilibrio precario, che sembra sfidare le leggi della gravità e della logica, riflettendo la natura mutevole e inafferrabile delle emozioni umane. In questo modo, Rosaria Di Dio riesce a trasformare il caos cromatico in una sinfonia visiva, in cui l’osservatore può immergersi e perdersi.
L’arte di Rosaria Di Dio ci invita a riflettere sulla forza del colore come mezzo espressivo e sulla sua capacità di dar voce alle emozioni più intime e profonde. Le sue opere ci sollecitano a riconsiderare il ruolo del colore nella pittura e a riconoscere il suo potere evocativo e comunicativo, che va oltre i confini del trattamento tradizionale del disegno. Andrea Tapparini
La mia Pittura: Io non cerco il tratteggio, cerco il colore, è il colore che traccia i bordi entro cui si delinea la forma del mio tratteggio , come se dovesse” sporcare” ogni forma di equilibrio incapace di sostenere l’armonia delle mie emozioni…
È questa la mia tela…
Mail : didio.rosaria@icloud.com
Tel. : 3755102084
Instagram: Cre4rtive
Nata a Sassari il 3 gennaio 1940, inizia sin da piccola a disegnare e dipingere da autodidatta, incoraggiata dal padre che riconosce in lei del talento. Spicca da subito l’interesse per i colori caldi, per le forme sinuose, per le figure femminili e le scene quotidiane che anticipano l’attitudine gioiosa e celebrativa che caratterizzerà con sempre più evidenza le sue opere. Affina e corregge la tecnica pittorica e di disegno all’Accademia di Belle Arti di Venezia, frequentandone i corsi per dieci anni. Estremamente segnante l’esperienza del “Corso speciale libero di nudo” con Luigi Tito. Decisamente formante quella con il Gran Maestro Guido Carrer dal quale acquisisce la tecnica della pittura ad olio. È da questo momento che diventa marcatamente riconoscibile il tocco denso dell’olio che conferisce solidità e compattezza alle sue figure. Continua instancabilmente gli studi frequentando un corso di grafica all’Istituto Gazzola di Piacenza e un corso di nudo all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Hanno parlato della sua arte quotidiani e periodici, vanta numerose mostre in Italia e all’estero, ed il suo nome figura nel Grande Dizionario Artisti Italiani Contemporanei e nell’Archivio Storico per l’Arte Italiana del Novecento a Firenze. Ancora oggi Lalla dipinge ogni giorno, sperimentando luci, ambienti e colori sempre nuovi, ma immancabilmente accompagnata dalla stessa solida tenacia che ritroviamo impressa in ognuna delle sue creazioni. L’arte di Lalla Luciano oscilla in un delicato equilibrio tra forza maschile e femminile: i suoi tratti vigorosi ed energi-
ci infondono ai corpi forti, formosi e robusti, una vibrante energia che si declina contemporaneamente in potenza e grazia, raffinatezza e concretezza.
I suoi quadri sono una finestra che si apre sui suoi ricordi più belli e se anche l’osservatore si affaccia da queste cornici può sentire il sole della Sardegna sulla pelle, l’olio denso della tela diventare terra bruna e tangibile, i colori trasformarsi in profumi intensi di grano, mosto, fiori. Nei suoi paesaggi si respira la placida quotidianità di una vita che segue i lenti ritmi delle stagioni: le scene rappresentate hanno il sapore di un rituale che la vita contadina ha assorbito dalla natura.
I gesti, raffigurati sempre in corso di svolgimento, sono delineati in modo estremamente chiaro e raggiungono massima espressività nella sicurezza della ripetitività, o nelle intime pose del capo dedicate a momenti di più morbido riposo e serena contemplazione.
La naturalezza di queste pose carica di forza espressiva tutta l’opera: sguardi ed espressioni dei personaggi risultano estremamente diretti ed eloquenti nonostante la mancanza di dettagli anatomici nei loro volti. E’ così che questi dipinti riescono a toccare l’osservatore chiamandolo direttamente in causa: tu quegli occhi, che pure non sono rappresentati, te li senti addosso! Guardando i suoi quadri ti senti piccolo, ti senti amato, accolto o rimproverato.. ti senti parte di quella scena, di quel dipinto, di quel ricordo.. Sfonda la quarta parete con la stessa rapidità di un impatto ma la stessa delicatezza di un malinconico ricordo. Non sorprenda, dunque, che la sua arte non sia catalogabile in una cifra stilistica definita, poichè non è frutto di un’ideale rappresentativo ma è diretta espressione di una personalità e di un vissuto estremamente unici. Lalla Luciano è artista solida ed autentica, che dalla realtà della sua terra e dalla forza della sua natura di donna ha preso ispirazione per manifestare la propria personalità creativa, celebrando un’energica e intensa gioia di vivere in tutte le sue opere.
Cassisi Annalisa
Sabrina Marelli, nasce a Milano il 6 giugno 1970 e vive a Parma.
Amante di tutte le forme d’arte, da bambina pratica danza classica. Dallo zio materno, diplomato alla Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria del Castello Sforzesco di Milano, eredita invece la passione per la pittura, che coltiva da autodidatta.
Da sempre appassionata frequentatrice di mostre, cerca di carpire quali segreti si celano nelle opere famose della storia dell’arte e si adopera per darne nuova forma nei suoi dipinti.
Sabrina è un’artista dall’approccio immediato, le sue opere sono autentiche come il suo carattere e mai banali. Toccano le corde più profonde di chi le guarda, in quanto in esse vi è trasposta la sua complessa personalità. Ella sceglie ed armonizza colori e mezzi: quando i pennelli mostrano i loro limiti, allora le mani diventano un’esten-
sione del suo pensiero ed oggetti e materiali di uso comune il tramite per la stesura dei colori.
Le tinte sono definite, nette, eppure morbide. Soggetti apparentemente raccontati migliaia di volte, nelle sue mani si trasformano in percezioni.
Sempre sospesa tra sogno e realtà, è alla ricerca di atmosfere e concetti che suscitino stupore o solletichino la sfera intellettuale.
Incoraggiata e sostenuta da amici e conoscenti che, da tempo, apprezzano le sue produzioni, nel 2022 decide di uscire dalla sua comfort zone e di rendere pubbliche le sue opere. È apprezzata soprattutto per le composizioni oniriche a tema floreale, che la identificano nello pseudonimo Les Fleurs de Bisous e per i paesaggi crepuscolari nei quali, secondo la Teoria di Goethe, è la luce che plasma la realtà, il colore, come risultato dell’interazione tra la luce e l’oscurità.
Artista emiliano, Stefano Polastri scopre la sua passione per il disegno e la pittura già in tenera età, frequentando per un breve periodo lo studio del pittore Remo Bavieri. Prosegue, in seguito, lo studio della pittura da autodidatta realizzando diverse copie d’autore, passando dagli artisti seicenteschi (in particolare Caravaggio) agli impressionisti, per poi iniziare una propria ricerca personale che lo porterà a scoprire anche la scultura.
Nelle sue opere si palesa l’interesse per la natura (che ritroviamo anche nelle sculture, soprattutto per quel che riguarda il materiale adoperato, nella maggior parte dei casi costituito da tronchi d’albero).
L’artista mostra sicuramente una conoscenza dell’arte del passato, con riferimenti in particolare ai maestri della pittura veneta o ai pittori romantici, dando prova, altresì, della sua grande sensibilità e tecnica.
Nella sua produzione pittorica riscontriamo un grandissimo potenziale a livello comunicativo ed emozionale che emerge da tutta una serie di elementi e in special modo dal cromatismo e dai suggestivi effetti di luce dei suoi paesaggi o, altre volte, proprio dai passaggi chiaroscurali e dal realismo presenti nei suoi figurativi.
Sono opere che trasmettono, a mio avviso, una grande spiritualità e che in qualche modo ci portano ad una visione
più intimistica dell’arte... proprio perché instaurano un dialogo silenzioso con l’osservatore, un dialogo emozionale attraverso il quale quest’ultimo può ritrovare qualcosa di sé o riflettere su tematiche importanti”.
Storico e Critico d’Arte Francesca Callipari
Illuminante visione scultorea di un artista innovativo. Dal punto di vista genetico le opere divengono un connubio tra materie forti, robuste, connesse a superfici delicate forse a simboleggiare la simbiosi umana con la natura. Fanno riflettere le volute parti mancanti corporee davvero emozionali nelle sue sculture. In particolare spesso l’artista utilizza parti legnose (in special modo ricerca pezzi di radica) da cui ricava volti o teste umane di elevata bellezza come pochi sanno realizzare. Eclettico a 360 gradi affronta la pittura attraverso paesaggi tra impressionismo e tardo romanticismo ed eccelle nella figura umana dipinta su tela che minuziosamente prepara nel suo interessante laboratorio. Attraverso il suo straordinario intuito l’artista riesce a donare sacralità ed emozionare.
Critica redatta dal Maestro Critico Internazionale d’Arte Mario Salvo
di Giovanni Cardone
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura
Anselm Kiefer apro il mio saggio dicendo : Credo che alla base dell’opera di Anselm Kiefer ci sia un forte rifermento filosofico e antropologico, penso ad Emanuele Severino il quale evidenzia bene nel suo percorso la fine del mondo o meglio la fine dell’uomo : “Ponendosi in contrapposizione al punto di vista tecnicistico, che tende a negare la possibilità che la filosofia si occupi della tecnica, la riflessione di Emanuele Severino intende sottolineare l’esistenza di una stretta connessione fra le due forme di sapere. La tecnica infatti è tanto più potente proprio quanto più ascolta la voce della filosofia del nostro tempo, che ha dimostrato l’impossibilità dell’esistenza di un ordinamento assoluto, assolutamente vero, lasciando così allo sviluppo tecnologico un universo in cui non esistono limiti inoltre passabili e inviolabili. Se la progressiva simbiosi fra pensiero filosofico e operatività tecnica determina così il balzo in avanti inarrestabile di quest’ultima, Emanuele Severino ha però posto l’accento sul problema cruciale della destinazione della società tecnologica, soprattutto in relazione all’uomo. La tecnica, infatti, costituisce lo strumento utilizzato dalle grandi forze che guidano la nostra civiltà per realizzare e affermare la propria concezione di uomo. In questo conflitto è però inevitabile che i confliggenti tendano sempre più ad aumentare la potenza dello strumento e a non intralciare il suo funzionamento. Quando questo accade allora lo scopo di questa forza diventa ciò che dapprima era il mezzo di cui essa intendeva servirsi. In questo modo l’uomo, che era lo scopo del marxismo, del cristianesimo, dell’illuminismo o della democrazia, per fare alcuni esem-
pi, diventa ora mezzo, e in quanto tale muore. In questo senso Emanuele Severino parla di “morte dell’uomo”, affermando però al contempo la coincidenza dell’ “essenza della tecnica” con “l’umanità della tecnica”. Se infatti si assume la definizione di uomo soggiacente alle diverse concezioni, come centro cosciente capace di organizzare i mezzi in vista della produzione di scopi, questa concezione di umanità trova il suo inveramento proprio nella tecnica, nella forza cioè oggi dominante per organizzare mezzi in vista della produzione di scopi, o meglio ancora scopo essa stessa di questo meccanismo. In questo modo la tecnica oggi diviene quello che Dio era ieri, e cioè la potenza suprema alleandosi alla quale l’uomo si salva. È possibile, secondo Emanuele Severino, indicare un’ulteriore definizione di uomo alternativa sia a quella delle ideologie che a quella della tecnica: una definizione che si ponga al di sopra della volontà di potenza che tecnica e Dio hanno in comune”. E quello che fa Kiefer con le sue opere e con il suo linguaggio ovvero : la fine di cui ci occupiamo è la fine di un mondo, più o meno definibile, che ha ruotato intorno all’industrializzazione e ai suoi prodotti e che oggi possiamo chiamare Occidente. Questo mondo è oggi caratterizzato da cambiamenti sempre più rapidi e imprevedibili, messi in moto da azioni umane, che si manifestano nella forma di alterazioni del clima, perdita della biodiversità, degradazione del suolo, esaurimento delle risorse terrestri. In una parola questa situazione è stata definita Antropocene, un termine coniato negli anni ’80 da Eugene Stoermer , ma reso celebre solo nel 2002 da Paul Crutzen .
Egli propose di introdurre l’Antropocene quale nuova era geologica che metterebbe fine all’Olocene, sulla base della definizione formulata e pubblicata per la prima volta insieme a Stoermer nel 2000 secondo la quale a partire dalla Rivoluzione industriale di fine XVIII secolo l’attività umana iniziò a modificare il funzionamento del Sistema Terra a causa delle emissioni di anidiride carbonica provocate dall’utilizzo di combustibili fossili. La nozione di Antropocene cerca di dare un nome a questi ultimi secoli di dominio dell’anthropos sulla natura, ma ha suscitato numerose critiche come vedremo più avanti. La stessa presunta data di inizio di questa nuova era geologica è questione di dibattito; è stato proposto di anticiparla all’epoca della comparsa dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile intorno a 11 000 anni fa, o di posticiparla agli anni seguenti la fine della Seconda Guerra Mondiale, periodo definito Grande Accelerazione per via dell’intensificazione di alcuni processi caratteristici della modernità quali l’industrializzazione e l’urbanizzazione. La constatazione principale dei fondatori del concetto Antropocene riguarda la portata dell’azione umana la quale si è rivelata in grado di influenzare la composizione e le funzioni della sistema Terra: l’impresa umana moderna lascerà la sua traccia nelle rocce. A causa del grande impatto antropico sul funzionamento dell’ecosistema, assistiamo oggi alla presenza di numerosi processi i cui effetti potrebbero essere potenzialmente molto negativi per la vita della specie umana così come la conosciamo oggi. Questi processi, che comprendono il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani, la desertificazione del suolo, la perdita della biodiversità ecc. potrebbero condurre verso una catastrofe climatica, mettendo l’umanità di fronte alla possibilità della sua fine. All’interno della cultura occidentale abbiamo individuato delle eccezioni alla visione temporale dominante basata sulla linearità. Una di queste eccezioni è l’artista contemporaneo Anselm Kiefer. Egli infatti recupera una concezione antica del tem-
po e dunque della fine. Il suo lavoro può essere utile per preparare l’immaginario per i tempi imminenti, sperimentando inizialmente attraverso l’immaginazione artistica un diverso rapporto con il tempo. le immagini-mito di Kiefer si propongono in tutta la loro portata come emblemi simbolici di una narrazione nuova e insieme antica. Esse rispondono alla necessità di venire incontro alla passività insita in ogni soggetto, a quella culla dell’essere narrati che pervade come una necessità imprescindibile tutta la vita umana Nelle sue opere Kiefer pratica una mitopoiesi, in cui immagini della tradizione, occidentale prima di tutto, acquistano nuovi significati. La storia, come argilla, può essere riplasmata e mostrare delle forme alternative. Kiefer si muove in un eterno presente estraneo al tempo lineare, come se stesse seguendo il monito del nano dello Zarathustra: ‘Tutto ciò che è diritto mente’, mormorò il nano in tono di spregio. ‘Ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo’. Anselm Kiefer venne al mondo tra le macerie della guerra, l’8 marzo del 1945, a Donaueschingen, in Germania.
Quelle macerie che egli ha definito come il suo parcoghiochi, diverranno un elemento centrale della sua produzione artistica. Nel 1965 si iscrive all’Università di Friburgo per studiare giurisprudenza ma abbandona questa via l’anno successivo intraprendendo gli studi all’accademia d’arte, prima a Friburgo e poi a Karlsruhe. Successivamente studia a Dusseldorf dove diventa allievo di Joseph Beuys. La sua carriera artistica inizia con un difficile compito: come fare i conti con l’eredità culturale tedesca sulla quale gravano gli orrori del nazismo?
Il fatto di essere nato alla fine della guerra gli permette di confrontarvisi dalla prospettiva distaccata dell’estraneo; attraverso una maggiore oggettività è in grado di negoziare con i fantasmi del passato, producendo nuove memorie. Il passato può essere rielaborato e deve esserlo per poter comprendere il presente.
Questa prospettiva si riflette nel suo lavoro artistico: l’artista infatti non crea mai ex nihilo bensì plasma una materia già presente trasformandola in qualcosa di nuovo, mai definitivo né stabile bensì destinato a mutare continuamente. Durante gli anni ’50 infatti, la maggior parte degli artisti tedeschi aveva messo da parte la storia recente per dedicarsi alle avanguardie d’oltreoceano oppure ad altre correnti artistiche. L’intento di Kiefer era attuare un distaccamento ironico che allo stesso tempo rappresentasse un forte impegno politico. L’artista riproduce tale gesto cercando di calarsi nell’abito del nazista, non per identificarsi bensì per osservare la potenza del gesto, della postura, con l’unico scopo di comprendere la follia che vi sta dietro. Dal 1992 ha lavorato nel paesaggio bucolico di Barjac, nel sud-est della Francia, in un immenso spazio in cui ha costruito edifici, torri, scavato tunnel, cripte. Successivamente nel 2009 si è trasferito poco fuori Parigi in un enorme container all’interno del quale ha riunito tutti i suoi lavori e materiali, alcuni risalenti agli anni ’70. Nessun opera o parte di essa è mai stata abbandonata da Kiefer, poiché tutto è destinato a trasformarsi, e il mutamento è continuo, ogni oggetto potrebbe portare ad una nuova idea. Egli si sposta in bicicletta all’interno di uno spazio che dice essere come il suo cervello; gli oggetti corrispondono a sinapsi e talvolta trova nuovi collegamenti tra loro. Le rovine che in questo caso appaiono fonte di fascino sono quelle prodotte dalla civiltà occidentale il crollo della torre di cui parla Kiefer non avviene casualmente, ma secondo la modalità di crollo che il mondo che l’ha prodotta prevede. Non è un caso a nostro parere che Kiefer utilizzi come metafora un elemento tanto paradigmatico dell’Occidente moderno quale l’aeroplano. Le rovine non sono per Kiefer il segno di una catastrofe bensì rappresentano il momento in cui le cose possono rinascere a nuova vita, dismettere la propria forma per assumerne un’altra. Come la notte che ogni giorno si trasforma in un’aurora. Aurora rappresenta il momento in cui la natura si trasforma, in un passaggio graduale in cui la notte muore come oscurità e rinasce come luce. Tra il 2010 e il 2011 Kiefer è titolare della cattedra di creazione artistica al Collège de France; le lezioni da lui tenute vengono raccolte nel testo L’arte sopravvivrà alle sue rovine , citazione che egli sceglie come titolo senza riuscire a recuperarne la fonte, ma che ben si adatta alla sua concezione di arte. Tale citazione infatti esprime la potenza delle immagini in grado di durare nel tempo e di riaffiorare anche dopo l’eventuale distruzione o crollo del contesto che le ha prodotte. Una concezione che sembra richiamare quella di Aby Warburg per il suo concetto di Nachleben ossia di sopravvivenza delle immagini; studiando il Rinascimento fiorentino Warburg nota la ricomparsa di figure e forme (definite pathosformel, ossia formule di pathos, di gestualità espressive di pathos) proprie della classicità greca. Le immagini oltrepassano il tempo come durata ed esistono in un presente fuori dal tempo. Kiefer sembra trasportare questa idea ad ogni sua opera che, anche se abbandonata, non è mai veramente cancellata, può sempre essere recuperata, acquisendo nuovi significati per l’artista, instaurando una nuova dialettica con il presente. La sopravvivenza delle immagini non deve essere intesa come un processo statico: le forme che ritornano o vengono recuperate sono plastiche e in continuo divenire. Il superamento del tempo come durata è ciò che Nietzsche scoprì attraverso il pensiero dell’eterno ritorno nell’attimo convivono passato e futuro, come due sentieri che passano sotto la stessa porta
carraia, ma sono entrambi infiniti, quindi l’attimo presente appartiene al tempo cairologico piuttosto che a quello cronologico. Tutte queste concezioni vanno infatti nella direzione di un superamento del tempo cronologicamente inteso, come successione di momenti ed eventi, ed aprono perciò la possibilità di recuperare immagini e forme apparentemente passate, ma potenzialmente sempre presenti, in grado dunque di dare forma e senso a nuovi immaginari e nuove narrazioni. Il confronto con la tradizione occidentale è costante nel lavoro di Kiefer. Mentre la posizione del corpo, che sembra senza vita o nella posizione dello shavasana nella pratica yoga, sottolinea il legame tra il mondo terreno e quello celeste alludendo a un percorso iniziatico che consente di superare la paura della finitezza umana. Le sale centrali del percorso espositivo accolgono una serie di vetrine, una tipologia di opere che l’artista utilizza dalla fine degli anni Ottanta creando microcosmi in cui Kiefer inserisce materiali e oggetti collegati a scritte di suo pugno. Le vetrine creano un ambiente protetto e controllato in cui i materiali contenuti possono esistere nel loro spazio. Allo stesso tempo, rafforzano i temi dell’alienazione e dell’isolamento presenti nell’opera di Kiefer. Lo spettatore è costretto a confrontarsi con l’opera da una distanza, incoraggiato a riflettere sui diversi mondi e simbolismi che convergono nell’immaginario kieferiano. En Sof (L’Infinito, 2016) è dedicata al pensiero cabbalistico e alla mistica ebraica, Das Balder-Lied (La canzone di Balder, 2018) si ispira alla letteratura scandinava, Danae richiama la mitologia classica. Tra i materiali utilizzati spicca il piombo, materiale d’elezione di Kiefer, alla base di infinite sperimentazioni, apprezzato sia per la malleabilità e duttilità, sia per l’associazione a temi alchemici grazie alla sua natura metamorfica. Il cristallo delle vetrine funge invece da membrana che, come spiega l’artista, «è in qualche modo una pelle semipermeabile che collega l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica». In Locus solus (Il luogo solitario, 2019-2023), Kiefer fa riferimento all’omonimo testo del 1914, caposaldo della cultura surrealista, in cui l’autore francese Raymond Roussel descrive opere e congegni irrealizzabili, destinati a rimanere solo immaginati, nel locus dell’impossibile.
Non amo gli schemi; non piacciono neanche a Giorgio
Della Monica, a giudicare il suo attuale lavoro immaginifico e trasgressivo.
Chiudere un artista nella gabbia precostituita e cieca di uno schema significa privarlo della sua libertà, della sua curiosità verso il mondo che lo circonda e di cui fa parte; significa sottrargli il diritto di rivalutare, e probabilmente cambiare, le sue idee.
Solo gli stupidi non rinunciano mai alle proprie convinzioni: ne hanno bisogno (che siano fondate o soltanto illusioni poco importa), perché su di esse improntano le loro monotone e banali esistenze. Considerazione valida per qualsiasi essere umano,ancor più per un artista: l’artista, per sua natura, è sempre affascinato dalla scoperta di se stesso, dalla necessità di scavare nell’animo della gente e nella struttura delle cose, dall’assillo di non dare mai nulla per scontato.
Chi ha visto le opere figurative (al limite dell’iperrealismo) di Giorgio, difficilmente capirà il suo percorso odierno, intrapreso già da qualche anno con sempre maggiore consapevolezza: per entrare in questa sua nuova dimensione occorre una avvedutezza critica e un senso spiccato di quella curiosità sopra citata.
Infatti ora è il colore il protagonista assoluto dei dipinti di della Monica, della sua pittura materica e prorompente; un
colore sontuoso, avvolgente, coraggioso, privo di ripensamenti. Da quando, poi, ha individuato il nuovo supporto del polistirolo, queste sue peculiarità sonofortemente esaltate.
Dunque, dicevamo, il colore: nelle sue opere figurative esso era al servizio della rappresentazione, dell’allusione psicologica e dell’illusione percettiva, in quelle di matrice astratta Giorgio gli ha restituito una dignità e un valore diversi, affrancandolo dalla precedente sudditanza.
E se poi devo dirla tutta, le opere attuali rispecchiano maggiormente il carattere estroverso e simpaticamente guasconesco del Della Monica: se la tessitura precedente, anch’essa puntuale e forbita, lo costringeva comunque a una riflessione continua e faticosa, ora la sua esplosività non subisce più alcun vincolo, si esplicita con assoluta pienezza.
La materia cromatica si appropria della superficie, vi dilaga senza condizionamento inventando ritmi geometrici che si intersecano, si sovrappongono, si fondono, si inseguono senza sosta in un movimento vorticoso.
Il risultato per chi guarda è un caleidoscopio di sensazioni forti, vigorose, come volteggiare su una giostra di emozioni che catturano e stordiscono di felicità.
Virginio Quarta 27 settembre 2020
Nata a Braila, in Romania nel 1955, Mariana Papară si è laureata in pittura presso la prestigiosa Accademia d’Arte “Ion Andreescu” di Cluj Napoca, conseguendo successivamente il riconoscimento di artista professionista attraverso un ulteriore e severo percorso formativo triennale, richiesto nel suo Paese per l’accesso all’Albo dell’Unione Artisti Professionisti della Romania. In parallelo, si è dedicata allo studio di numerose tecniche specialistiche antiche e contemporanee come l’iconografia bizantina, la tempera all’uovo, il vetro cattedrale e la pittura su vetro, che ha sperimentato con personali esiti di “grafismo al rovescio”.
Per oltre vent’anni è stata docente di discipline pittoriche e disegno al Liceo artistico di Piatra Neamt, avviando al contempo, a partire dal 1978, una vasta attività espositiva che l’ha vista partecipare in veste di artista ospite in simposi internazionali, ed esporre presso gallerie e musei in Olanda, Belgio, Canada, Francia, Spagna, Svizzera e Italia.
(…) Il suo linguaggio fortemente comunicativo è frutto di lunghi anni di studi ed esperienze artistiche interdisciplinari, e si esprime su tavole lignee e installazioni, realizzate con materiali non solo utilizzati al servizio della forma ma concettualmente impiegati come trasmettitori di memorie e simbologie. Legni antichi, garze, pergamena, papiro,
chiodi, carte da imballaggio, colle, tempere, acrilici e olii, si addensano e si raggrumano in impasti materici, amalgamati all’interno di una scrittura segnica e gestuale che per antitesi ne smaterializza il peso, allevia la gravità, suscita il levitare dell’anima.
Raffinato e colto, il vocabolario di Mariana Papară sgorga da una consapevole capacità espressiva, dove ogni segno, ogni traccia, prende corpo e si traduce in immagine visiva, seguendo con esattezza il processo di pensiero che intende estrinsecare. I suoi lunghi e rigorosi studi accademici, e le profonde conoscenze di tecniche antiche e contemporanee sperimentali (spazianti dall’iconografia bizantina al vetro cattedrale, dalla tempera all’uovo alla pittura su vetro graffito con soluzioni personali per arrivare alla scultura miniaturizzata del gioiello d’artista e all’utilizzo del medium tessile) le permettono di approdare all’improvvisazione creativa, che, come succede per altre discipline quali la musica e il teatro, è territorio di chi ha percorso con umiltà molti cammini di apprendimento e confronto.
Con una scrittura di radice neo-espressionista e informale, dalla quale tuttavia si discosta con stile ed esiti del tutto personali, Mariana Paparà intesse un efficace e coinvolgente dialogo tra finito e infinito, da cui sgorgano parole silenti e tratti che esplorano il sudario per trovare la via verso la purezza della gioia.
.( Silvana Notta- critico d’arte)
Il suo e un impegno di ricerca che tuttavia non va da un luogo all’altro: mai dettato dalla casualita, rifugge l’odierna altrui superficiale e invadente consuetudine cucita alla casualita e all’ apparenza. Il percorso d’ogni dipinto include, înfatti, la stessa ‘ memoria’ per cui Marta Geirut, poetessa e artista scomparsa nel 2005, se l’avesse conosciuta, avrebbe senza dubbio detto essere ‘carta viva’. Tracce e tracciati, simboli.
In Mariana Papara vivono indiscutibilmente i segni della constante riflessione dove gli attimi vitali, composti anche da lamine dorate e argentee, da ferite rosso/ sacrificio e da vibrazioni astratte, conducono îl pensiero verso una pul-
sante tensione non priva di intimi accenti e ormai lontani echi figurali, si da evocare îl ‘mistero’. L’artista proseque un interessante viaggio interpretando il proprii tempo, ecco che sulle tavole e sulle tele e sulle carte vive un pensiero lirico concretizzato da uno spazio/colore funzionale ai propri valori morali indiscutibilmente significativi. In lei non c’e l’imitazione dell’oggetto o della materia, bensi una fantasia fata imagine in cui confluiscono, s’addensano e s’agrumano immagini di un ‘Io’ che dice e che fa, in un dare forme assestate e spiritualizzate, quasi come un voler consegnare continuativamente agli anni la generosita creativa di cui e dotata.
(Lodivico Geirut)
Trasferitasi a Torino nel 2000, ha fondato l’Associazione Artistica Internazionale “Aripa” Galleria e Scuola d’Arte, dando vita ad eventi, scambi interculturali e progetti mirati alla lettura delle più diverse espressioni dell’arte contemporanea.
Oltre ad organizzare mostre a carattere internazionale, si dedica con particolare attenzione alla didattica e in special modo all’infanzia.
Sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private.
E’ membro dell’Unione Artisti professionisti in Romania, Association of Romanian Creative Women in Fine Art Field, dell’Associazione Internazionale degli Artisti Professionisti – AIAP – Unesco
Piatra Neamt, Uap Romania - Filiala Piatra Neamt Tel.: +40 0736785363; mail: marianaaripa@gmail.com www.aripa.eu ; https://www.facebook.com/marianaaripa/
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Formato nello spirito della scuola di pittura ianese, dove si manifesta contemporaneamente la necessità di staccarsi dall’autorità un po’ classicizzata degli antichi maestri, lo studente e, in seguito, laureato all’Università delle Belle Arti, Stefan Potop si è manifestato presto nel senso imposto dalla modernità delle visioni. Percorrendo l’evoluzione nel senso di associare visioni non convenzionali con alcuni ritorni nelle cornici di un dialogo sensuale con la forma e il potenziamento dei cromatismi, ha scoperto la profondità della struttura affettiva dove c’è la potenzialità della grazia di catturare fisionomia e caratteri. La dimensione ironica e autoironica si identifica nel contesto di un’opera che nasce da un raffinato interprete dell’immediato, del paesaggio o del ritratto, sullo sfondo dell’esistenza di un umorismo vitale e vigoroso che sfruttava attraverso ironia e sottigliezza . Come puoi vedere, chi parla meno ha la possibilità di esprimersi sempre più profondamente. Analista in chiave non saliente – ironica, parodica o autoironica, il pittore ha configurato al tempo stesso una matrice e ha aperto verso se stesso un’autentica porta. Un emblematico Autoritratto - Il Pittore, di grandi dimensioni, premiato nel 2009 alla Biennale Lascar Vorel, ha stupito gli spettatori disposti ad
accettare i giochi dello spirito ma ha anche incuriosito il pubblico. Non lo interessava tanto il bisogno di scioccare, di generare polemiche, ma solo l’esibizione della dimensione ludica, sottile attraverso la capacità di rivelare intimità di tipo XXL. Tali immagini, dedicate agli adulti, insieme ad altre composizioni in chiave contemporanea, fanno di Stefan Potop un artista che non guarda il mondo dal buco della serratura e si limita ad avvertire che l’Imperatore è vuoto, a dispetto di chi vede solo l’inesistente Dio. La permanente inventiva gli permette non solo di sorprendere lo spettatore, ma anche di sedurlo. Ad ogni modo, la plasticità delle composizioni, l’idea di organizzare la superficie, i significati affinati attraverso intelligenza e umorismo esprimono un’opzione stilistica e un elemento basilare nella configurazione della personalità. Stefan Potop sa fare della lucidità una premessa di verità e del carattere un metodo di lavoro. Nell’intimità o semplicemente in prossimità di tali opere, la vita può sembrare dotata di un significato... Attraverso la sua creazione, a volte, ci viene restituito il diritto al sorriso, ancora intaccabile...
Valentin Ciuca-Critico d’arte
tel: +40(0)745 158 960
email: stefanpotop@yahoo.com
https://www.facebook.com/stefanpotopcom/
Carmen Croitoru, laureata all’Università Nazionale d’Arte, Bucarest, Facoltà di Arti Decorative e Design, sezione Tessile, nel 2001. Master in Arti Tessili (interior design) 2002. Professore d’Arte al Goethe German College dal 2001. Interior Designer da oltre 20 anni e Art Mentor nel suo laboratorio personale in Strada Frumoasa 51, a Bucarest. Questi sono solo alcuni dei dati rappresentativi della professione nel campo delle Arti, ma l’universo dietro l’attività contiene influenze molto più giovanili della rigidità della disciplina. Innanzitutto le persone che l’hanno guidata nella sua vita professionale, e non solo. I momenti in cui sono apparsi. I loro insegnamenti. Le esperienze maturate attraverso di loro. In poche parole: un vasto cocktail di per-
sonalità che ha creato densità su un nucleo delle Arti, già particolarmente fecondo fin dalla tenera età.
L’apertura alla complessità e alle infinite forme che il Bello può assumere. Perché il Bello va oltre l’Umano, e oltre la Natura. Il bello è esso stesso l’anello di congiunzione tra i mondi; la liana che collega il Cielo alla Terra e il Corpo all’Anima.
Le principali fonti di ispirazione sono: luce, acqua, cielo e vento. Quando dico vento, intendo onde di tessuti vaporosi sospinti dal suo respiro. I drappeggi sono i petali dell’Arte a cui il volto è maggiormente legato. La loro vivace fluidità, che dà movimento a qualsiasi materiale, ricorda loro le onde che ossigenano il ponte di contatto tra gli ambienti.
Oglindire 12 1,4m I mprimare serigrafica pe matase naturala
La loro delicatezza veste più felicemente la finezza con cui sfilano le Arti, sul podio delle nostre emozioni. I tendaggi sono i suoi fiori preferiti.
Carmen Croitoru è anche appassionata di Semplicità: la forma suprema della manifestazione della luce su superfici o forme. L’eleganza di Simplicity non può essere né copiata né migliorata, quindi il suo target professionale non può fallire. Allora, in quanti modi, e in quante emozioni si può interpretare un quadro?... Un’opera d’arte sentita e lavorata?
Per estrarre un’unica coordinata, come terreno di tutto ciò che è possibile in un uomo, possiamo dire di Carmen che merita pienamente la sua posizione di forza nelle Arti perché ha Inocenta come suo scudo. Argomenti di innumerevoli persone che respirano attraverso i polmoni della Bellezza.
Mihai Ciugulea ( poeta)
Studio- Str.Frumoasa, nr.51; sector.1; cod postal:10986 Bucuresti, Romania
https://www.facebook.com/carmen.croitoru.7
Laureata presso l’Università d’Arte Nicolae Grigorescu di Bucarest tra il 1995 e il 2000, dal 3° anno di college ho studiato presso il dipartimento di arte monumentale con il compianto professor Ion Grigore. Voto massimo per la tesi di diploma. Nell’ultimo anno di collegio ho varcato la soglia del monastero, proseguendo i miei studi e la tesi
di diploma sul tema dell’iconostasi tradizionale bizantina Nell’ultimo anno di università ho varcato la soglia del monastero, continuando i miei studi e la tesi di diploma sul tema dell’iconostasi tradizionale bizantina Con l’aiuto della direzione del monastero ho fondato un laboratorio di iconografia in cui ora lavorano 6 monache.
Ogni icona è un’esperienza unica.”Un modo di meditazione, in cui cerchi di esporre i tuoi dolori e le tue gioie, per avvicinarti a Dio. Ogni giorno è un divenire.
Ma forse la sua arte non si distingue per l’originalità, bensì per la propria visione dei temi e delle rappresentazioni sacre dell’arte bizantina. In sostanza, ogni pittore di icone apporta qualcosa di “nuovo” alla sua arte: il volto invisibile mostrato nelle proprie esperienze e un certo stile, nato dalla pratica continua del mestiere, ma anche dal bagaglio culturale di ciascuno. l’icona di Ana Maria Capitanu resta un’icona, sia nel suo spirito profondo, cioè nel suo fondamento teologico, sia nella sua forma. La forte tradizione bizantina indirizza anche le icone portatili e gli affreschi di Ana Maria dal punto di vista immaginifico e compositivo.
Le sue opere di pittura iconografica sono opere artistiche uniche, l’artista cerca soprattutto la parte spirituale dell’icona bizantina. L’icona in legno per l’artista è una finestra su Dio e sui suoi santi. La vita spirituale attraverso la preghiera è la chiave che apre la porta e l’avvicina a Dio attraverso l’icona. L’artista è uno strumento attraverso il quale si scopre l’icona e l’arte dell’icona diventa testimonianza di sacrificio e di fede.
Mariana Papara
Mănăstirea Buna Vestire, str Mesteacănului nr 300, Valea Roșie, Călărași popovicimariah@gmail.com Tel: 0756455423
E’ possibile ammirare i due capolavori di Diego Velázquez Immacolata Concezione e San Giovanni Evangelista sull’isola di Patmos, provenienti dalla National Gallery di Londra, affiancati da altri due dipinti raffiguranti l’Immacolata Concezione: una di Paolo Finoglio, proveniente dal convento francescano di SanLorenzo Maggiore a Napoli e l’altra di Battistello Caracciolo conservata nella chiesa della Natività della Beata Maria Vergine a Roccadaspide, nel Cilento.I dipinti sono allestiti nella sala dedicata alla prima stagione naturalistica tra Roma e Napoli, dove è abitualmente esposto il Martirio di sant’Orsola. L’eccezionale prestito dei due dipinti giovanili di Velázquez offre lo spunto per una riconsiderazione dei passaggi a Napoli del maestro sivigliano e, più in generale, degli scambi figurativi tra la pittura spagnola e napoletana nella prima metà del Seicento. La presenza di Velázquez a Napoli s’inquadra nell’ambito dei due soggiorni italiani del maestro: il primo, motivato da ragioni di studio, tra l’estate del 1629 e la fine del 1630; il secondo, più lungo e ufficialmente legato al suo ruolo di soprintendente alle opere d’arte delle residenze reali, tra il gennaio del 1649 e il giugno del 1651. Lorenzo Maggiore a Napoli e l’altra di Battistello Caracciolo conservata nella chiesa dellaNatività della Beata Maria Vergine a Roccadaspide, nel Cilento, fino al 14 di luglio alle Gallerie d’Italia – Napoli
L’esposizione di questi due capolavori della prima produzione sivigliana del maestro
permette di ripercorrere gli echi del naturalismo caravaggesco, sottolineando l’importanza per la formazione dell’artista dell’importazione a Siviglia di opere realizzate da Caravaggio e dai suoi seguaci, nonché di ricordare i soggiorni del maestro sivigliano nella capitale del Viceregno.
I dipinti sono allestiti nella sala dedicata alla prima stagione naturalistica tra Roma e Napoli, dove è abitualmente esposto il Martirio di sant’Orsola.
L’eccezionale prestito dei due dipinti giovanili di Velázquez offre lo spunto per una riconsiderazione dei passaggi a Napoli del maestro sivigliano e, più in generale, degli scambi figurativi tra la pittura spagnola e napoletana nella prima metà del Seicento.
Regione: Campania
Luogo: Gallerie d’Italia – Napoli, via Toledo 177
Telefono: 800/167619 Numero Verde
Orari di apertura: 10-19 da martedì a venerdì; 10-20 sabato e domenica. Lunedì chiuso
Costo: 7 euro; ridotto 4 euro
Dove acquistare: https://gallerieditalia.com/
Sito web: https://gallerieditalia.com/
Organizzatore: Gallerie d’Italia – Napoli, museo di Intesa Sanpaolo
Napoli - Cappella Palatina - Maschio Angioino retrospettiva dedicata al grande artista della Pop Art statunitense, scomparso nel 2013.
La mostra, ideata e prodotta da Matteo Lorenzelli per lorenzelli arte, in collaborazione con BlackArt e Black Tarantella, con il Comune di Napoli e l’Università degli Studi L’Orientaledi Napoli, ripercorre l’intera carriera dell’artista newyorkese, tra gli animatori della Factory di Andy Warhol e suo assistente per un decennio. Per la prima volta a Napoli, questa retrospettiva a cura di Roberto Borghi, Ivan Quaroni, Luca Palermo e Carla Travierso. Attraverso una curata selezione di 24 opere di diversa dimensione realizzate da Ronnie Cutrone, dagli esordi nei primi anni ‘80 fino al 2010, passeranno in rassegna alcune tra le sue tele più iconiche, raffiguranti personaggi di fumetti e cartoons, ritagli di pubblicità e continui rimandi alla bandiera americana. Un modo per osservare la natura umana e porre l’accento sulle implicazioni sociali e politiche.
Ronnie Cutrone è stato uno degli esponenti più influenti della New Pop Art. Appartiene alla prima generazione di artisti americani la cui educazione visiva si è formata tra televisione, miti di Hollywood, pubblicità, musica rock e mass media. Grazie al percorso di studi alla School of Visual Art di New York dal 1966 al 1970, Cutrone entrò in contatto con l’avanguardia artistica newyorkese, lavo-
rando come assistente di Warhol dal 1972 e contribuendo alla realizzazione di molte opere pop dell’epoca. Celebre è la sua partecipazione allo spettacolo “Exploding Plastic Inevitable”, dove ballò sul palco con i Velvet Underground e Nico.
In questa mostra sono presenti diverse opere rappresentative della sua carriera: sono esposti alcuni dei lavori della serie dei “Quilt”, che vedono personaggi dei fumetti ricamati sulle tradizionali trapunte americane, come nel caso di “The Phantom” (1996).
I personaggi dei cartoon sono i protagonisti indiscussi dei suoi lavori ma l’ironia delle opere di Cutrone si scontra anche con gli eventi drammatici che investono la realtà del suo paese. La retrospettiva include, infatti, una selezione di opere come “Crusade” (2005), in cui le forme di un rossetto e di un proiettile vengono accostate a evocare la loro inaspettata somiglianza e il ciclo delle “Red cross” (2002), croci dipinte su tela.
Nella Cappella Palatina è esposta anche “Birden”, una delle prime opere realizzate dall’artista in Italia su una bandiera italiana, in occasione della mostra di Cutrone presso la galleria partenopea di Lucio Amelio, nel 1982. E “Off the Rack, By the Slice, Mix&Match” (2010) l’ultima opera di Ronnie Cutrone realizzata in Italia per la sua personale a Milano.
Le opere di Ronnie Cutrone sono parte di collezioni di istituzioni internazionali come il WhitneyMuseum e il Museum of Modern Art di New York, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, il Boijmans Van BeuningenMuseum di Rotterdam, il Ludwig Museum di Colonia ed altre importanti gallerie e musei in tutto il mondo, tra cui la collezione d’arte contemporanea della Reggia di Caserta. Le sue opere, inoltre, sono parte delle collezioni private
di Cindy Crawford, Elle McPherson, Naomi Campbell e Claudia Schiffer.
Napoli - Cappella Palatina - Maschio Angioino
Apertura: 20/05/2024
Conclusione: 04/08/2024
Organizzazione: Matteo Lorenzelli per lorenzelli arte
Curatore: Roberto Borghi, Ivan Quaroni, Luca Palermo e Carla Travierso
Indirizzo: Via Vittorio Emanuele III, 310 - 80133 Napoli
Inaugurazione: sabato 18 maggio ore 18
Orari: dal lunedì al sabato (ore 10-13 e 14-17)
Ingresso gratuito
Sito web per approfondire: https://lorenzelliarte.com
Anche quest’anno, in occasione della X edizione di Cosenza Comics and Games, al Museo del Presente di Rende (CS) sarà possibile visitare alcune originali mostre ospitate appositamente in occasione dell’evento! Ben sei mostre: Fumetto Film Fest: Realizzata in collaborazione con la Fondazione Franco Fossati, questa mostra vi accompagnerà in un viaggio tra fumetto, cinema e televisione. Tre media “fratelli” che fin dagli albori si sono influenzati a vicenda, in un rapporto che negli ultimi anni si è fatto sempre più stretto.
Gatti Anime Made in Japan: Da Doraemon a Luna di Sailor Moon! La mostra dedicata ai gatti protagonisti degli anime e dei manga più micieschi della storia!
The Calabreser: Nato dalla mente di Giuseppe Talarico. The Calabreser nasce con l’obiettivo di raccontare la Calabria attraverso le copertine di una rivista immaginaria. Più di 30 opere realizzate da altrettanti illustratori intenti a celebrare luoghi e personaggi 100% made in Calabria!
Testadilatta: Street Art in mostra. I sentimenti incontrano la durezza e la freddezza del metallo. Lattine e bombolette ormai inutilizzate diventano opere d’arte sotto le mani di Rocco Del Franco, street Artist conosciuto con lo pseudonimo “Testadilatta” e che con le sue installazioni sta facendo gran parlare di se in tutta la regione.
Essenza Invisibile: Mostra interattiva Una mostra interattiva originale realizzata dall’illustratrice Aurora Stano e che vuole essere un viaggio interiore, fatto di dolori, incertezze e fragilità, ma anche di amore e fiducia in ciò che vorremmo essere.
Marcel: Il fumetto-thriller La mostra tratta dall’omonimo fumetto realizzato da Marco Grandinetti ed Ernesto Carbonetti per Green Moon Comics, un thriller di altri tempi che mescola abilmente elementi di mistero e tensione psicologica con la ricchezza dei personaggi e le loro storie di amori mancati e perduti.
La curatela delle mostre di Cosenza Comics and Games 2024 è affidata a Sante Mazzei e a Roberto Sottile, in collaborazione con Luca Bertuzzi, Rocco Del Franco, Simona Gregoraci, Giuseppe Talarico, Aurora Stano e Marco Grandinetti.
La mostra POLIETILENE di Giampiero De Santis. esposta a Catanzaro, si distingue per essere localizzata al di fuori degli spazi convenzionali dedicati all’arte. Il titolo suggerisce la presenza di opere realizzate con POLIETILENE, ossia la plastica che viene recuperata e trasformata in sculture e pannelli. Queste creazioni fanno parte della serie pigmenti plastici lanciata nel dicembre 2022 E comprende circa 30 opere. Il progetto pigmenti plastici si propone di sensibilizzare sul tema del riciclo della plastica e sull’importanza di ridurre il suo impatto sull’ambiente utilizzando la plastica recuperata come pigmento per creare opere artistiche. Si vuole dimostrare che è possibile dare nuova vita ai materiali di scarto e trasformarli in qualcosa di bello e creativo. Le opere realizzate con i pigmenti di plastica sono in grado di trasmettere un messaggio visivo potente e coinvolgente che spinge alla riflessione sull’importanza della sostenibilità e del consumo consapevole. Ogni creazione diventa così un’opportunità per sensibilizzare il pubblico sull’emergenza ambientale e per promuovere un cambiamento nei nostri comportamenti quotidiani. Inoltre il progetto si pone l’obiettivo di promuovere la collaborazione tra artisti designer e creativi per esplorare nuove possibilità di utilizzo della plastica riciclata e per stimolare la creatività e l’innovazione nel settore artistico. Grazie alla collaborazione e alla condivisione di idee è possibile creare opere uniche e originali che contribuiscono a valorizzare il concetto di economia circolare e di sostenibilità.
In conclusione il progetto pigmenti plastici rappresenta non solo un’espressione artistica originale e innovativa ma anche un messaggio di speranza e di cambiamento per un futuro più sostenibile e consapevole nel progetto di riciclo della serie pigmenti plastici. La plastica recuperata diventa pigmento colore sostituendo di fatto le tinte che in alternativa dovrebbero utilizzarsi. Tappi bottiglie e altre parti di plastiche recuperateviengono prima tagliate in piccole parti per poi essere ricomposte quasi mescolandosi in tinte di colori. Pannelli di fogli di cartone ondulati e cartoni recuperati sono le basi dove si imprimono i colori di plastica e che contengono i lavori finali. Alcune di queste creazioni sono state create digitalmente con forme geometriche e poi scomposte e riportate sul cartone o altro materiale, ricomposte e pitturate nei colori pensati dall’artista. Giampiero De Santis con l’aiuto delle sue due figlie ha avviato, anni fa, un progetto creativo che consiste nel dare nuova vita a vecchie scatole di latta e altri oggetti dismessi trasformandoli in burattini unici e magici. Il progetto chiamato i BURATTINI PAZZI ha visto la creazione di oltre 60 esemplari firmati e datati.utilizzando la tecnica dell’upcyclingper dare valore agli oggetti di casa abbandonati.
Tutto è iniziato nel 2018 per gioco quando De Santis era alla ricerca di un passatempo creativo e ha realizzato il suo primo burattino il SIGNOR DOTTO. Il progetto è diventato un modo per coinvolgere le sue figlie in un’attività creativa e originale che oggi continua a prosperare ed espandersi . Da allora Giampiero De Santis è diventato un vero artigiano creando burattini unici con materiali riciclati e dando nuova vita a oggetti dimenticati. Ogni burattino ha la propria storia e personalità realizzata con cura e passione. Il progetto dei BURATTINI PAZZI è diventato popolare con le creazioni dell’artista esposte in mostra e vendute in tutto il mondo. Grazie alla creatività e all’ecologia, Giampiero de Santis, ha trasformato il suo hobby in un vero e proprio lavoro artistico cercando sempre nuovi stimoli e nuove ispirazioni per le sue opere. La sua passione per il riciclo e la sua capacità di trasformare vecchi materiali in opere d’arte uniche lo rendono un’artista originale e creativo capace di dare nuova vita agli oggetti abbandonati e trasformarli in qualcosa di bello e sorprendente. Con la sua costante ricerca di nuove soluzioni e nuove idee Giampiero continua a stupire ed emozionare il pubblico con le sue creazioni dimostrando che l’arte e la creatività non conoscono limiti e che con un po’ di fantasia e immaginazione si possono realizzare opere straordinarie. Ogni burattino è un personaggio unico con le proprie caratteristiche e peculiarità. Ci sono burattini allegri e burattini malinconici o burattini curiosi e burattini timidi ognuno di loro porta con sé una parte di noi stessi una parte nascosta o dimenticata che viene alla luce grazie alla magia del teatro dei burattini . Gli incontri dei burattini pazzi sono casuali e imprevedibili ma sempre pieni di sorprese ed emozioni. Ci mostrano che anche le cose più inanimate possono avere una storia da raccontare una vita da vivere e ci insegnano che se guardiamo con occhi nuovi e aperti possiamo trovare la magia ovunque. IBURATTINI pazzi sono simbolo di creatività e immaginazione: una rappresentazione della diversità e della bellezza della vita che ci invitano a guardare il mondo con occhi diversi e a lasciarci sorprendere dalle piccole cose che spesso nascondono rendite
L’artista è un autodidatta con la passione per l’arte grafica e il disegno ha collaborato con piccole realtà locali, ha prodotto diverse grafiche, inoltre ha una passione per la storia economica e industriale. Si è specializzato in questo campo scrivendo una tesi sulla STORIA DELL’INDUSTRIA.Continua a produrre e a creare ricevendo molti apprezzamenti, conquistando alcuni riconoscimenti artistici e diffondendo il suo di talento al di fuori della sua terra