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BOND, MISSIONE RICONQUISTARE GLI INVESTITORI

Dopo il peggior anno di sempre, il recente riprezzamento ha fatto tornare l’interesse degli investitori per l’obbligazionario. Bisogna però distinguere la parte di rischio associata al movimento dei tassi e quella associata al rischio di credito dell’emittente.

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Il 2022 è stato l’annus horribilis per il mercato obbligazionario che dopo un decennio di eccessi è stato oggetto di un sensibile repricing a causa del ritorno dell’inflazione, cosi come accaduto all’azionario. L’easing monetario attuato dalle banche centrali a margine della Grande Crisi Finanziaria del 2008 ha modificato completamente la struttura dell’obbligazionario (più in generale di tutti i mercati), facendo sì che nel corso del tempo una parte consistente delle obbligazioni avesse un rendimento negativo.

Tra i bond sovrani, intere curve offrivano rendimenti pari a zero o negativi (come ad esempio in Germania).

Nell’universo corporate, offrivano rendimenti positivi solamente emittenti (o emissioni) con un grado inferiore e su lunghe scadenze, costringendo un investitore ad accumulare il rischio duration da un lato e rischio credito dall’altro.

Insomma, per diverso tempo l’asset class obbligazionaria è stata forse tra le meno amate dagli attori del mercato perché non era in grado di offrire un profilo rischio/rendimento adeguato. Il 2022 ha segnato il punto più basso della relazione tra investitori e obbligazioni perché queste ultime non sono riuscite a mostrare la tradizionale caratteristica di protezione dai cali dell’equity e diversificazione in tempi difficili.

Per dare un’idea in termini di numeri cosa è significato il 2022, si può prendere spunto dai benchmark elaborati da Bloomberg-Barclays. L’indice aggregato investment grade globale euro hedged (ticker bloomberg: LEGATREH) lo scorso anno ha riportato una performance negativa del 13.26%, quello globale high yield del -13.37% (LG30TREH), quello dei titoli sovrani globali del -12.77% e quello dei sovrani dei Paesi emergenti del -12.01%.

Non è sorprendente quindi il fatto che un tradizionale portafoglio bilanciato (ipotizzando un 60% di S&P500 e un 40% di T-bond a 10Y) nel 2022 ha centrato la peggiore performance annuale dal 2008. Lo scorso anno la correlazione tra azioni e bond americani è stata la più elevata dal 1996-1997 e a tutt’oggi il mercato obbligazionario statunitense sta osservando il più lungo drawdown della sua storia (32 mesi). Inoltre, nel 2022 si è osservato per la prima volta una discesa congiunta dell’azionario e dell’obbligazionario di oltre il 10% per ognuna delle due asset class. Eppure, questo recente riprezzamento ha fatto tornare l’interesse degli investitori per un mix di fattori. Il primo è che l’incertezza per il quadro macro e per le prossime azioni delle banche centrali fa si che l’equity risulti ancora poco attraente in termini di valutazioni (soprattutto il growth). Il secondo è che il “There is no alternative (TINA)” non è più vero ed ora i bond offrono un rendimento interessante in tutti i segmenti, in particolare quello ad alto merito creditizio. Il terzo è che anche in ottica speculativa l’asset class obbligazionaria ha un certo appeal dal momento che il rischio duration è finalmente remunerato (anche per chi volesse scommettere sull’arrivo di una recessione profonda che muterebbe notevolmente il pattern di politica monetaria).

Bisogna però fare delle precisazioni e distinguere bene la parte di rischio associata al movimento dei tassi e quella associata al rischio di credito dell’emittente. Se ci concentriamo sul rischio tasso, alcune curve scontano già l’arrivo di una recessione essendo fortemente invertite per cui la variabile steepening sarebbe deleteria per chi prendesse posizione sul rischio duration. Se ci si concentra sul rischio emittente invece va sottolineato che l’ambiente recessivo, così come quello stagflativo, comporta una certa cautela per emittenti con basso merito creditizio e strutture di business poco redditive con elevato uso della leva.

La volatilità implicita del mercato è elevata, se si osserva l’andamento dell’indice MOVE, soprattutto dopo le vicende legate alle banche regionali americane e a Credit Suisse. Da un punto di vista corporate, non tutti i settori sono attraenti perché alcuni, in contesti macro come quelli attuali, possono andare in crisi (ad esempio, il real estate).

Strategie Da Valutare

Per prendere posizione sull’asset class obbligazionaria senza avere troppi “mal di pancia” possono venire in soccorso alcuni gestori. Uno è il fondo Redhedge – Relative Value Ucits Fund la cui strategia si basa sulla costruzione di una posizione long e di una contestuale short su due bond dello stesso emittente investment grade in punti vicini della curva. L’obiettivo è sfruttare asimmetrie temporanee del mercato senza prendere direzionalità con lo stesso dato che sia il rischio tasso che quello credito vengono totalmente neutralizzati.

In questo modo, la strategia permette di ottenere un rendimento stabile proteggendo anche nei periodi di alta marea (come ad esempio a marzo 2020 quando il fondo riuscì ad ottenere una performance positiva dell’1.45%). Dal primo grafico qui sopra, comparando il fondo ad alcuni degli indici menzionati in precedenza, è evidente la stabilità dei rendimenti. Rimanendo sempre in tema basa correlazione e volatilità, un’altra alternativa è rappresentata dal fondo Lemanik Spring la cui strategia si basa su una combinazione di tecniche di asset liability management e total return focalizzate sia su Paesi sviluppati che emergenti (high yield corporate e sovrani).

L’incertezza sui mercati e del quadro macro impone una scelta di strategie che non abbiano una direzionalità particolare con i mercati. L’emotività, più tipica del segmento azionario, fa parte ormai anche dell’obbligazionario come osservato più volte nel corso di questi ultimi mesi e anni. Citando il leggendario Peter Lynch, gestore del Magellan Fund di Fidelity, il ritorno dell’inflazione fa sì che bisogna “sapere cosa possiedi e perché lo possiedi”.

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