Vissi d'Alpe. Storie di uomini e di alpeggi

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Un progetto di I Raggi di Belen Associazione di volontariato

Comitato scientifico Loredana Barsanti Lorenzo Cesana Aniceto Guidi Anna Guidi Luca Lucchi Maria Maggi Mario Mencaraglia Roberto Natalini Annamaria Neri Valeria Tartarelli Ricerche e documentazione Valeria Tartarelli Revisione testi Lorenzo Cesana, Valeria Tartarelli Progetto grafico e impaginazione Jacopo Cannas Sabrina Mattei per la Franche Tirature snc Cura e Realizzazione Dvd Francesca Pardini Giovanna Selis Carlo Carmazzi Gaelle Pontrandolf Fabio Pacini Associazione di Promozione Sociale Archimede di Lucca Cooperativa Reset-Produzione audiovisive e Multimediali di Lucca Interviste classe V (scuola primaria) Elena Bertellotti, Marta Biagi, Martina Bichi, Danilo Bufalo, Nora Chibani, Jonathan Fruzza,

Angelica Intaschi, Jacopo Lorenzoni, Irissa Manattini, Lorenzo Milani, Sidorela Nika, Martina Novani, Benedetta Rossi, Ilaria Salsini, Viola Vannoni classe II B (scuola secondaria di primo grado) Andrea Bazzichi, Federico Bianchini, Elena Bufalo, Matteo Calistri, Fabio Cherubini, Ilyass Farik, Silvia Federigi, Thomas Fini, Alessandra Neri, Alessia Rossi, Sara Rossi, Diego Santini, Francesco Stagi, Beatrice Tessa, Nicola Turba con la supervisione delle maestre Maria Maggi e Antonietta Neri dell’Istituto Comprensivo “Martiri di Sant’Anna” di Stazzema Contributi fotografici Archivio Carlo Iardella 53 Archivio Giuseppe Faini 87 Archivio del Museo del lavoro e delle tradizioni popolari della Versilia Storica 14, 22, 34, 42, 48, 70, 81 Archivio Comunità di Pruno 66 Un particolare ringraziamento a tutti coloro che ci hanno trasmesso i loro ricordi e a coloro che questi ricordi, nonostante la tenera età, hanno saputo ascoltare e accogliere

Si ringraziano Cesvot Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca Consorzio di Bonifica della Versilia e Massaciuccoli Bernardo Ferrari Braga, direttore scolastico “Martiri di S. Anna” di Stazzema Comunità Montana Alta Versilia Banca di Credito Cooperativo della Versilia e della Garfagnana Costantino Paolicchi, direttore del Museo del lavoro e delle tradizioni popolari della Versilia Storica Maria Pacini Fazzi Editore per la gentile concessione alla pubblicazione di alcuni disegni di Lido Gherardi Un ringraziamento infine a Piera Elli, Carlo Iardella, Luca Santini, Andrea Tenerini, Sergio Viti, Andrea Binelli e alla famiglia Gherardi per i loro consigli e la loro disponibilità; a Lorenzo Marcuccetti per averci gentilmente permesso la consultazione di alcune pagine del volume “La lingua dimenticata” di prossima edizione; a Rita Benedetti, Zaverio Cappelli, Pietro Del Giudice e Maura Grillotti per aver parlato con noi e aver aperto la nostra conoscenza degli alpeggi anche oltre i comuni dello stazzemese


Prefazione Lorenzo Cesana presidente dell’associazione i raggi di belen

L’Associazione di Volontariato “I Raggi di Belen” ha presentato al CESVOT (Centro Servizi Volontariato Toscana) il progetto “Percorsi d’Alpe: gli alpeggi. Cultura, tradizioni e prospettive” nell’ambito del bando di finanziamento Percorsi d’Innovazione 2005, condividendolo con numerosi partner pubblici e privati. Questa pubblicazione rappresenta la conclusione della prima parte del nostro piano di lavoro, quella che ci ha visto impegnati nella ricerca delle testimonianze dell’ultima generazione che ha vissuto sugli alpeggi dell’Alta Versilia. Il risultato potrete valutarlo voi stessi! Per quanto ci riguarda, aver coinvolto tre diverse generazioni, quella dei ragazzi delle scuole, degli anziani che hanno vissuto sugli alpeggi e quella dei volontari e degli esperti che hanno lavorato alla ricerca e alla sua pubblicazione, è già un risultato soddisfacente. La nostra Associazione di Volontariato si è costituita nel 1999 e si occupa di ambiente e di cultura. Essa lavora in un territorio ricco di fascino e di bellezze paesaggistiche qual è l’Alta Versilia, nel Comune di Stazzema, Provincia di Lucca.

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La sua attività può essere sintetizzata in pochissime parole: valorizzazione, promozione e sviluppo compatibile di un territorio. Collaborando con il Parco Regionale delle Alpi Apuane, in cui è compreso il territorio oggetto della sua azione, e con le altre realtà istituzionali e non, l’Associazione progetta, propone, coordina e realizza numerose attività con il fine di far conoscere ed apprezzare sempre di più il territorio dell’Alta Versilia, non solo ai turisti, ma soprattutto ai residenti, che spesso sottovalutano l’ambiente disconoscendone la bellezza e l’alta qualità di vita. Grazie alla realizzazione di questo progetto, il territorio si doterà di un nuovo percorso didattico realizzato con la collaborazione di tutti, il quale, assieme ai mestieri e alle feste tradizionali, all’agricoltura montana e alla gastronomia locale, al lavoro nelle cave, nel bosco e nelle selve di castagni, ad una sviluppata e curata rete di sentieri montani che salgono verso 4

le più significative cime delle Apuane meridionali o collegano fra di loro le numerose frazioni del Comune di Stazzema, contribuirà ad ampliare l’offerta dei percorsi che costituiscono l’Ecomuseo di Pruno di Stazzema, progettato e realizzato assieme all’antica Fondazione dell’Opera Pia Mazzucchi.


La memoria degli alpeggi Manrico Testi presidente del centro tradizioni popolari della provincia di lucca

Il Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca nasce come associazione nel 1979, grazie all’opera di Gastone Venturelli, studioso lucchese e docente di Storia delle Tradizioni Popolari all’Università degli Studi di Firenze. Nel 1997 il Centro è diventato Istituzione, organo strumentale della Provincia di Lucca con il compito di provvedere alla conservazione, promozione, valorizzazione, studio e ricerca della cultura demoetnoantropologica in area lucchese. Il Centro si occupa di organizzare, coordinare e promuovere iniziative relative alle tradizioni popolari e dare il proprio sostegno ad Associazioni presenti sul territorio impegnate nello studio e nella valorizzazione della cultura e delle tradizioni locali. A tal fine ha sostenuto l’ambizioso progetto “Percorsi d’alpe: gli alpeggi. Cultura, tradizione, prospettive” realizzato dall’Associazione “I Raggi di Belen”: iniziativa che oltre a fissare la memoria storica sul fenomeno degli alpeggi, ha permesso di raccogliere e documentare testimonianze relative alla vita e all’economia degli abitanti di Pruno, Cardoso e di altri paesi dello Stazzemese, rendendo protagonisti gli anziani, le loro

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storie e permettendo ai giovani di conoscere realtà e tradizioni vicine alla loro cultura. Auspichiamo pertanto che questa pubblicazione, accanto alla funzione didattico – divulgativa, contribuisca a favorire quello scambio e quel dialogo intergenerazionale che sono fondamentali per favorire l’integrazione sociale e culturale della società moderna.

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La scuola e i percorsi d’Alpe Bernardo Ferrari Braga dirigente scolastico istituto comprensivo martiri di sant’anna, stazzema

Nell’ambito del percorso di educazione ambientale “Il bosco e la montagna nel paesaggio, nella cultura e nella tradizione”, gli alunni della classe V primaria e della classe II B della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo “Martiri di S. Anna” di Stazzema sono stati coinvolti con i loro insegnanti nel progetto “Percorsi d’Alpe: gli alpeggi. Cultura, tradizioni e prospettive”. Si è trattato di una serie di attività relative al recupero e al mantenimento della memoria storica degli alpeggi presenti nel nostro territorio. Attraverso incontri e interviste a persone che hanno vissuto l’esperienza diretta della vita all’Alpe, che ha rappresentato un’importante fonte di sostentamento per buona parte della popolazione dello stazzemese fino al secondo dopoguerra, i nostri ragazzi hanno avuto modo di conoscere una pratica agricola ormai quasi del tutto scomparsa, di raccogliere documenti e testimonianze utili per ulteriori studi e ricerche e di approfondire un altro aspetto del ricco patrimonio ambientale del nostro territorio. Un percorso formativo che hanno svolto con grande interesse ed impegno, partecipando con entusiasmo alle attività svolte sia in classe che “sul campo”.

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La riscoperta e la valorizzazione della terra Fortunato Angelini presidente del consorzio di bonifica versilia massaciuccoli

L’alpeggio racconta gran parte di storia della comunità versiliese. La storia di allevatori della piana che ogni primavera trasferivano i greggi sulle nostre montagne alla ricerca di foraggio fresco e aromatico, contribuendo a tramandare la specificità dei prodotti tipici ai giorni nostri per 8

continuare ad apprezzarne la loro genuinità. Il progetto teso alla riscoperta degli alpeggi, della sentieristica all’ovile, significa rafforzare le nostre radici e raccontare con semplicità una grande risorsa economica e sociale. L’adesione del Consorzio di Bonifica Versilia Massaciuccoli vuol significare la riscoperta e la valorizzazione della terra su cui quotidianamente operiamo.


La risorsa degli alpeggi Maurizio Verona presidente comunità montana alta versilia

La Comunità Montana Alta Versilia quale ente di coordinamento dellle politiche di Sviluppo Socio-economico del territorio dei Comuni di Stazzema Seravezza Montignoso e Camaiore ha partecipato con interesse ed entusiasmo a questo progetto, la cui tematica è compresa in un progetto più ampio che la Comunità Montana sta sviluppando. Si tratta del progetto ecomuseale della sentieristica che svilupperà più percorsi tematici, religiosi, storici-culturali, didattica ambientale, delle antiche tradizioni, percorsi naturalistici, pertanto la partecipazione a questo progetto atto a recuperare un territorio e tradizioni ad esso collegate è strettamente sinergico al nostro programma ritenendo gli alpeggi una risorsa da rivalorizzare. L’alpeggio era luogo dove si sviluppava l’agricoltura rurale e l’attività di allevamento quale mezzo di sussistenza e limitato all’autoconsumo, oggi sono teatri naturalistici unici, con la speranza che questa iniziativa riesca a ricreare un forte interesse intorno alla “risorsa alpeggio” la Comunità Montana ha messo ha disposizione le sue maestranze per recuperare i vecchi percorsi.

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Dedicato a Gianni Pirrotta: il tempo di un’amicizia si misura dalla sua intensitĂ


Storie di uomini e di alpeggi Valeria Tartarelli archivista

Il progetto “Percorsi d’Alpe: gli alpeggi. Cultura, tradizioni e prospettive” nasce con l’intento di riproporre le tradizioni e la cultura della vita degli alpeggi, luoghi d’altura dove le famiglie delle comunità montane dell’Alta Versilia erano solite trasferirsi all’inizio della stagione calda, che hanno rappresentato per secoli uno strumento fondamentale per la loro sussistenza. Tale lavoro segue un percorso già tracciato in precedenza dall’Associazione “I Raggi di Belen” nell’ambito del progetto de “L’Albero del pane”, relativo alla didattica del ciclo produttivo della castagna. Allo stesso modo infatti si intende continuare a promuovere la conoscenza del territorio dell’Alta Versilia e riconoscere in esso l’importanza degli insediamenti e del lavoro dell’uomo in un passato ancora recente. Il progetto “Percorsi d’Alpe: gli alpeggi. Cultura, tradizioni e prospettive” vuole mettere insieme la storia e la vita di diverse frazioni dell’Alta Versilia, che hanno condiviso per secoli usi, consuetudini e tradizioni, pur conservando ognuna propri caratteri specifici, e vuole essere così un contributo alla ricostruzione della storia economica e sociale delle nostre montagne.

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Esso ha come obiettivo primario quello di recuperare la memoria storica sugli alpeggi e sulle aree agricole limitrofe tramite il racconto dell’ultima generazione che ha vissuto questa esperienza, memoria che altrimenti andrebbe definitivamente persa. La struttura del progetto si articola in tre fasi tra loro successive. La presente pubblicazione e il video-documento ad essa allegato è il risultato di quanto è emerso dalla prima fase del lavoro di indagine, cioè il recupero della memoria attraverso la consultazione di fonti orali, svolto da alcuni alunni della scuola primaria e secondaria dell’Istituto Comprensivo “Martiri di S. Anna” di Stazzema. Essi si sono incontrati con gli anziani del loro paese che durante l’infanzia e la giovinezza hanno frequentato l’Alpe con la loro famiglia, li hanno intervistati e hanno individuato storie e sensazioni di quell’esperienza ormai lontana. Gli studenti hanno dunque trascritto e in parte realizzato registrazioni audio-video di queste 12

testimonianze, al fine di produrre materiale iconografico e videografico utile ad integrare e fissare la conoscenza sul fenomeno degli alpeggi. A ciò si è aggiunto inoltre un ulteriore documento filmato in occasione di alcuni incontri organizzati tra gli anziani dei paesi coinvolti nella ricerca, coordinati e seguiti dalla dott.ssa Francesca Pardini dell’Associazione di Promozione Sociale “Archimede”. Sulla base delle informazioni raccolte, la seconda fase del progetto prevede la realizzazione di un percorso didattico stabile nel territorio interessato dalla ricerca, attraverso l’impianto di pannelli informativi che segneranno l’itinerario dell’Alpe e illustreranno le tappe più significative e le informazioni necessarie alla scoperta dei luoghi e delle attività di alpeggio. La terza e ultima fase mira a coinvolgere sul campo gli studenti che hanno collaborato al lavoro attraverso una visita guidata agli alpeggi, in


seguito alla quale le nuove generazioni saranno invitate a produrre idee per la valorizzazione di questa realtà storica e a proporre ipotesi per un futuro sostenibile del territorio. Con questo progetto, indirizzato all’ambiente in cui l’Associazione opera, si mira a rendere protagonisti gli abitanti dei paesi, trasferendo dai più anziani la memoria della loro esperienza ai giovani, affinché essa diventi una risorsa per il futuro. Ciò ha nel contempo l’obiettivo di creare un collegamento tra diverse generazioni, valorizzare il ruolo degli anziani e favorire la loro integrazione sociale. Questo lavoro è indirizzato a tutta la comunità, a tutti coloro che vivono e hanno radici in questo territorio, o semplicemente interesse per la sua storia. In particolare il progetto desidera individuare i suoi interlocutori privilegiati nei giovani, che in esso, insieme agli anziani, hanno avuto contemporaneamente il ruolo di protagonisti e di destinatari principali. Oggi tutti noi abbiamo ancora una possibilità di ascoltare il nostro passato dalla voce viva di chi allora c’era, affidando alle nuove generazioni gli strumenti per costruire un ponte che ci porta da un passato più o meno recente a un futuro consapevole delle proprie origini.

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La vita all’Alpe nel territorio dell’Alta Versilia

La catena montuosa delle Alpi Apuane è compresa tra il fiume Magra a nord-ovest e il fiume Serchio a sud-est e digrada a sud-ovest verso le riviere Apuane e della Versilia, a nord-est verso le valli di Lunigiana e Garfagnana. Essa si distingue sia per il suo isolamento, sia per la sua particolare conformazione che richiama, almeno in parte, quella delle Alpi. L’antico prefisso preromano “alp/alb” in origine aveva probabilmente il significato di “terra comune, compascuo”. In seguito esso, attraverso la voce “Alpe/alpeggio“, presso le popolazioni dei Liguri-Apuani, che occuparono l’Appennino tosco-emiliano durante l’Età del Ferro, dal IX al II sec. a. C., e ancora abitavano la regione quando questa fu conquistata dai Romani verso l’inizio del II sec. a. C. (180 a.C.), ha iniziato a essere impiegato per indicare le terre comunitarie che costituivano il “pascolo estivo” oltre una certa quota. È opinione diffusa tra gli studiosi di storia locale che la pratica dell’alpeggio sia un retaggio delle consuetudini liguri-apuane. Il sistema affonderebbe dunque le sue radici nell’età del Ferro, quando si sviluppò una rete di insediamenti stabili, nelle cui zone di confine erano localizzate le aree di compascuo: esse erano sfruttate dalle varie tribù per il pascolo delle greggi,

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per la raccolta del legname e per esercitare i diritti collettivi di caccia e pesca. Più in alto erano collocati invece i compascui estivi, dove confluivano greggi di tribù diverse. Il loro uso collettivo era regolato da leggi che daranno in seguito origine ai cosiddetti usi civici. Citiamo a questo proposito alcune parti dell’ intervento di Lorenzo Marcuccetti, presente nel primo volume dell’ “Almanacco Versiliese” di Giorgio Giannelli, che alla voce “Alpe (alpeggio)” illustra con chiarezza in cosa consistesse tale fenomeno nel nostro territorio e quali furono verosimilmente le sue origini: “In Alta Versilia diversi paesi possedevano zone d’alpeggio che ancora oggi mantengono nel toponimo l’indicazione del loro uso. I comunelli dello Stazzemese, fino al loro accorpamento avvenuto nella seconda metà del XVIII secolo sotto il regime di Pietro Leopoldo I, strutturavano la loro economia e la gestione del territorio su questo modello seminomade, di origine 16

ligure, che esigeva la transumanza stagionale estiva sulle terre comuni, all’interno di unità demo-territoriali ben definite e spesso delimitate da corsi d’acqua, creste di monte o comunque confini naturali. (…) Gli alpeggi seguivano un disegno ed una razionalizzazione dalle radici profonde, riferibile secondo vari studiosi (…) alle unità demo-territoriali liguri-apuane”.1 La nascita dei molti alpeggi nella zona non è stata probabilmente un fenomeno simultaneo, in quanto essa è strettamente legata ad avvenimenti complessi, quali la configurazione dei beni collettivi in seguito al scomparsa di quelli signorili, l’incremento demografico delle singole comunità, la diffusione della coltura del castagno. In Alta Versilia le “case all’Alpe” sono frequenti soprattutto sui pendii montani posti sopra i villaggi di Terrinca, Levigliani, Pruno e Cardoso. Ogni paese aveva in genere diversi terreni di alpeggio, che erano a disposizione quindi di una comunità definita: possiamo citare a mo’ d’esempio gli Sciorti-


ni, le Gualdane, Raspagiana per i leviglianesi, Campanice per i terrinchesi, la zona di Puntato per entrambi, Collemezzana, Cima alla Ripa, La Fania per i cardosini. La maggior parte dei paesi del Comune di Stazzema, situati per lo più a un’altezza compresa tra i 400 e i 700 metri s.l.m., ha praticato questo sistema di transumanza stagionale fino al secondo dopoguerra, quando la loro economia era prevalentemente un’economia locale di sussistenza. L’agricoltura non era molto redditizia e alla coltura dei campi si associava l’allevamento del piccolo gregge posseduto dalla famiglia e lo sfruttamento dei boschi e delle selve. L’utilizzazione dei terreni dell’Alpe, al di sopra del limite delle abitazioni permanenti e sui versanti più dolci e favorevolmente esposti, era volta a sfruttare al massimo le potenzialità produttive della natura circostante ed è un esempio chiaro di come l’uomo abbia tentato di adattarsi a un ambiente difficile, isolato, diviso in piccoli centri di montagna, collegati tra loro da una fitta rete di sentieri e mulattiere. Nelle aree in cui la zona dell’Alpe si trovava abbastanza vicina a quella del villaggio, i contadini salivano e scendevano dall’alpeggio al villaggio ogni giorno durante l’estate, limitandosi a sostare all’Alpe per periodi molto brevi in caso di necessità. Dove invece, come è il caso più frequente sul nostro versante, il dislivello tra l’area di alpeggio e quella del paese raggiungeva o superava i 200 metri (per lo più tra i 300 e i 500 metri, con cammini che potevano richiedere circa un’ora, un’ora e mezza per essere percorsi), allora all’Alpe si trasferivano intere famiglie nei mesi più caldi. Qui esse praticavano l’allevamento, che era di tipo sia bovino, sia ovino e caprino: in montagna, rispetto alla collina, esso è prevalentemente ovino, ma in alcuni casi si avevano una o più mucche. Si potevano tenere anche muli, asini, galline e conigli, più raramente maiali e anatre. Contestualmen-

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te si seminavano cereali (segale, orzo, grano, farro), cavoli, cipolle, baccelli, fagioli, ortaggi vari e, dall’Ottocento, patate e mais. La pratica pastorale di cui parleremo si articola in limitati spostamenti nel periodo estivo, volti a utilizzare le distese erbose delle zone più elevate ma immediatamente sopra il paese, e concimarle facendovi sostare il gregge. La produzione agricola in quota sfruttava dunque un suolo reso fertile dal pascolo: essa garantiva la sussistenza del nucleo familiare per il periodo di permanenza all’Alpe e integrava quella principale, condotta nelle adiacenze dei villaggi. Questa attività agro-silvo-pastorale integrata dà vita al modello seminomade che è stato definito del “doppio villaggio”, in quanto l’allevatore e agricoltore limitava i propri spostamenti tra un villaggio stabile e concentrato, a quota più bassa, e un villaggio a carattere temporaneo e sparso, a quota più alta (l’Alpe appunto). 18

Ancora Marcuccetti afferma: “Sostanzialmente, dall’analisi delle varie strutture d’alpeggio fatta da Massimo Bertozzi di Seravezza in alcune sue ricerche, […] emergono due modelli di riferimento: il primo che potremmo definire di tipo “feudale”, dove la produzione era razionalizzata attraverso una destinazione d’uso dei suoli determinata dall’intera comunità al fine di ottenere il massimo dell’utilizzo per tutti; la seconda di tipo “imprenditoriale”, dove ciascuno cercava di trarre dal terreno a lui assegnato quanto riteneva opportuno, senza razionalizzazioni imposte dalla comunità. Esempi del primo tipo sono rappresentati dall’Alpe di Pruno-Volegno. Esempi del secondo tipo sono rappresentati dall’Alpe di Terrinca e dalla zona del retrocorchia”.2 Nel dopoguerra, a fronte di una generale ripresa economica a livello nazionale, l’economia primitiva dell’alpeggio, “che fu di prezioso sostentamento negli anni bui, non pagava più le fatiche”3, come confermano anche


le testimonianze raccolte: esse attestano che alcuni cessarono di frequentare l’Alpe proprio durante gli anni del conflitto o in anni di poco successivi, altri invece continuarono questa pratica fino agli anni Sessanta. Non tutti gli alpeggi si trovano oggi nelle medesime condizioni di conservazione: alcuni sono tuttora in parte frequentati, altri sono stati da tempo abbandonati e versano in rovina. Il racconto del maestro Ancillotti, noto e stimato insegnante e appassionato studioso della cultura della montagna, e soprattutto di quella versiliese, nato a Cardoso nel 1905 “tra selve e boschi, esigui campi e prati alpestri a non finire, fumar di metati in novembre e di carbonaie in estate, ruscellar d’acque e belar di greggi e picchiettio di mazzuoli sulle cave di macigno sparse qua e là intorno al paese”4, ci offre una testimonianza preziosa di un mondo che sembra ormai così lontano: “In uno di quei luoghi, Cupigliaia, ho trascorso le estati della mia infanzia e della mia fanciullezza. Ogni anno la mia famiglia si recava lassù, dal paese del fondo valle, e vi rimaneva dalla fine di giugno alla fine di agosto. Per andarvi attraversavamo prima campielli fatti a terrazza, come le piane di certi uliveti nei pressi di Pietrasanta. Da quei campielli la gente del paese traeva tutte le verdure necessarie ai bisogni della famiglia: fagioli, patate, ortaggi ed anche qualche frutta. Ci inoltravamo poi nelle selve e subito un’ombra odorante di muschi e felci ci avvolgeva, e un grande svolazzare di uccelli era intorno a noi, e un lieto e vario cinguettio ci accompagnava lungo il ripido e tortuoso sentiero, non di rado attraversato da serpenti. Ad un tratto uscivamo da quella galleria di verde e ci trovavamo in uno splendore di sole, di prati e prati a non finire. Ci veniva da essi un profumo di erbe aromatiche e un interminabile cantare di grilli. (…) La casetta, dove passavamo il periodo più caldo dell’estate, aveva intorno prati

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terrazzati, costruiti (…) dai bisnonni dei miei nonni per ricavarne erba e fieno per le bestie e piane da coltivarvi segale, farro e patate. Dove terminavano le piane (…) si estendeva un bosco formato da tante varietà di piante: carpini, querce, ontani, faggi, noccioli, ginepri e un gruppetto di betulle. (…) Lì feci conoscenza con tanti e tanti animali: lepri, volpi, faine, tassi, falchi, starne, pernici, poiane, merli, rettili di ogni specie. (…) Dal bosco mio padre otteneva la legna per il riscaldamento e per cuocere i cibi, il carbone, i pali per le viti di una vignetta che avevamo vicino al paese, i rulli (parati) per calare i blocchi di marmo giù dalle cave e, quando decise di fare una casa nuova, il bosco gli diede legna e legna per cuocere le pietre, perché diventassero calce viva. Vicino alla piazzetta dove innalzava le carbonaie ci sono ancora i ruderi della vecchia fornace. Anche il legname per le travi e le tavole del tetto e dei pavimenti era stato tratto dal bosco”.5 “Erano questi splendidi soggiorni anche per mia madre. Quando la fienagione e 20

la mietitura non l’impegnavano, io e lei andavamo per more e mirtilli. Andavamo pure a spigolare gran farro e a raccogliere erbi e certi bocci di fiori selvatici che mia madre trasformava in profumate ed appetitose frittate. Ricordo: andavamo lieti nel sole caliente magari cantando per la millesima volta la canzone spagnola di lei che busca, che cerca il perdido amor. Ci accompagnava l’insistente stridio dei grilli e di tanto in tanto il ronzio di uno sciame. Non era raro il caso di trovare in qualche poggio un favo ricco di miele o di fare l’incontro con qualche serpente. Non mancavano, durante queste scorribande, i racconti di storie inventate e storie vere di persone, animali e cose, storie che erano come il commento alla vita, anche aspra, che giornalmente andavamo vivendo”.6 “Qua e là per i prati, isolati, c’erano dei ciliegi, ad uno dei quali c’era sempre attaccata una fune per l’altalena che chiamavamo “pisalanca”. (…) A sera dai pendii alti della montagna calavano i greggi. Lo scampanellio e il belato, insieme ai richiami dei pastori, si perdevano in un’eco sempre più debole, di colle


in colle, di cresta in cresta, di burrone in burrone”.7 “Verso settembre pastori e greggi calano al piano e per coloro che rimangono sulla montagna c’è la raccolta delle castagne, il lavoro di essiccatura ed altro prima che il rigido inverno arrivi. Allor cominciano le lunghe veglie con lume a petrolio e si lavora ancora: c’è chi fa gli zoccoli o la corda per impagliare le sedie o chi accomoda o fabbrica agricoli arnesi e stie e canestri. Le donne cardan la lana e alla rocca la filano e fanno calzerotti e maglie e, chi ha estro, la trina”.8 “Alla casa in paese nel fondovalle riscendevamo finita l’estate. Per alcuni giorni era un gran trafficare, su e giù, con ceste e canestri sulla testa pieni di roba anche mangereccia, come formaggi e marmellate, tutto fatto con grande perizia da mia madre. Poi, lei riprendeva il normale lavoro di tessitrice”.9 “Quando facevamo ritorno al paese (…) i viaggi per portare roba e attrezzi, tanto all’andata che al ritorno, erano parecchi e faticosi”.10 “Passarono gli anni, venne la guerra, e questa riempì di lutti non solo il mondo degli uomini, ma anche quello della natura, delle piante, degli animali. Un giorno, ritornato da terre lontane, volli rivedere la mia rustica casetta, i miei prati, il mio bosco: volevo rivivere, almeno nel ricordo, quei tempi lontani. Fu un rivivere sì, ma carico di tristezza. La casetta stava ormai andando in rovina e il bosco era scomparso. Non v’erano più che magri cespugli. Ma ora (…) c’è chi ha ripreso la via dell’Alpe, con altri intenti, si capisce. Molte case e casette sono state restaurate o ricostruite interamente”.11 Marcuccetti in Giannelli, 2001, pp. 53-58 Ibidem 3 Angeli, 2003, p. 113 4 Ancillotti, 1989, p. 5 5 Ibidem, pp. 67-68 6 Ibidem, p. 22 7 Ibidem, p. 69 8 Ibidem, p. 158 9 Ibidem, p. 24 10 Ibidem, p. 69 11 Ibidem, pp. 69-70 1 2

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