Questo articolo su Taranto è parte di una pubblica corrispondenza con Francesca Biffi, che vive e lavora in California, avviata sul webzine Animamediatica. **** Cara Francesca, tu mi racconti delizie e crudeltà del Golden State, della duplicità folle che scorre nelle pieghe della società americana e minaccia l’esistenza di chi la abita: da una parte la natura dolce e rigogliosa, il modello di sviluppo tecnologico più avanzato del mondo e l’incessante tendenza a crescere, a espandersi, tipica del Puer Aeternus americano. Dall’altra la rarefazione del tessuto comunitario, i rapporti estemporanei, il consumo come guida delle relazioni tra persone, l’ingiustizia sociale senza remissione del neoliberismo, la violenza come pane quotidiano. La tua lettera mi ha suscitato un ricordo che avevo accantonato e che risale a tre mesi fa. Tu sai che io, pur avendo vissuto in vari luoghi, in Italia e all’estero, mantengo un legame identitario e affettivo con il nostro Sud. Infatti sono nato a Napoli, lì son cresciuto fino ai 15 anni, per poi seguire la famiglia a Cosenza fino ai 18. Roma, poi, dove dimoro da tanto tempo, io la considero una grande metropoli meridionale, ben tenendo presente quella inconfutabile asserzione di Leonardo Sciascia: che, dalla Sicilia, a poco a poco, “la linea della palma” sale sempre più in alto… Resterò napoletano e uomo del Sud anche se un domani dovessi trasferirmi a Oslo, e lo sarò sempre in maniera non appariscente, ma per ciò stesso più radicale. Vivo, infatti, il rapporto con la mia terra di origine con distacco esteriore e sostanziale ambivalenza. In verità, la costante nostalgia di quello che di buono il Sud potrebbe offrire ai suoi figli, se solo scegliesse di coltivare i doni dei suoi numerosi talenti, mi è compagna nella vita.
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