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Mete G R A N D

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EDITORIALE Marco Zanzi

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L’INTERVENTO Carlo Sangalli Renzo Iorio Bernabò Bocca

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VENEZIA, IL CARNEVALE PIÙ BELLO Davide Rampello Piero Rosa Salva Marino Finozzi

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PALERMO Castelbuono

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DA TERMINI IMERESE ALLE MADONIE Targa Florio

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TRAPANI Antonino Zichichi La città tra due mari Franco Billeci

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SALEMI Un museo diffuso

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DOVE NACQUE IL BELLINI Harry’s Bar

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TURISMO RELIGIOSO Paravati di Mileto

I SEGRETI DI TRIESTE Villa Fausta

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LECCE BAROCCA Paolo Perrone

POLITICHE TURISTICHE Piero Gnudi Paolo Rubini Roberto Corbella Cinzia Renzi Ferruccio Dardanello

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ITINERARI PUGLIESI Martina Franca

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I SAPORI DELLA MURGIA Dal primo al dolce

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CILENTO Il parco nazionale Paestum Sapori locali Lucio Cafaro

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NON SOLO CASSATA Gaetano Basile FRA ERICE E PALERMO Gioacchino Azzolini

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COSTIERA AMALFITANA Salvatore Criscuolo

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UN’ANTICA LOCANDA Aurelio Barattini

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SCORCI PARTENOPEI Luciano De Crescenzo Maurizio Marinella

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TORINO La Venaria Reale

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PRODOTTI MEDITERRANEI Paolo Esposito

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APPUNTAMENTI Borsa internazionale del turismo

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FIRENZE Il giardino di Boboli

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LA VECCHIA MILANO Luisa e Ciro Finizio

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I LUOGHI DEL MAESTRO Torre del Lago

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FESTIVAL PUCCINIANO Dalla Tosca alla Bohème

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Editoriale

TURISTI PER CASO? on esiste il turismo esistono i turismi, “abiti su misura” per clienti esigenti. E l’Italia è attrezzata. Almeno così sembra… Arte, cultura, enogastronomia, life style, paesaggi, made in Italy. Quante volte ci siamo riempiti la bocca con questi termini? Parole che ci fanno sentire un po’ i primi della classe. Noi non avremmo i conti dello Stato ancora in ordine, il debito pubblico è alle stelle ma vuoi mettere Venezia, Firenze, Roma, il mare della Sardegna, Michelangelo e Raffaello, la Valle dei Templi, i paesaggi toscani, la cucina emiliana, i vini Piemontesi, via Montenapoleone? E sono solo i primi esempi che ci vengono in mente.Tutto vero, ma allora perché in tutta Europa il turismo cresce mentre in Italia è fermo, anzi cala? Lo dice una fonte attendibile quale l’Eurostat. In Europa lo scorso anno i pernottamenti sono cresciuti mediamente del 2,7 per cento, con un aumento dei flussi internazionali del 5,7 per cento che riportano il Vecchio continente ad una situazione pre-crisi. In Italia no. L’Istat conferma che nei primi nove mesi del 2011 c’è stato un decremento complessivo dei pernottamenti dello 0,8 per cento. L’estate non è andata bene e si è recuperato solo un po’ nel mese di settembre. Qualche segnale positivo arriva dall’aumento dei turisti provenienti dal resto d’Europa che però non è stato sufficiente a bilanciare il calo degli italiani. E soprattutto si tratta di un incremento ben lontano dalle reali potenzialità che il Paese possiede. La materia è complessa e bisogna trattarla con attenzione. In questo senso Mete Grand Tour

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(periodico della Golfarelli editore) si è mosso coinvolgendo i protagonisti delle politiche turistiche. E’ vero ci sono ritardi infrastrutturali, territori più attrezzati di altri, una cultura turistica in alcune zone ancora insufficiente. Ma l’impressione che prende piede su tutto è quella di un Paese che non riesce a fare sistema, incapace di mettere in campo una strategia unitaria e innovativa ad esempio di comunicazione e di marketing. Le Regioni italiane utilizzano molte risorse che probabilmente potrebbero essere meglio impiegate se ci fosse una regia unitaria, con una visione ambiziosa, che si ponesse l’obiettivo di eliminare le ingessature burocratiche che limitano il rilancio del settore e che affrontasse con competenza e coraggio il tema dello sviluppo del turismo nazionale. Pensiamo, ad esempio, che in giro per il mondo ci sono molti milioni di turisti provenienti dai Paesi in via di sviluppo (Bric). Solo i cinesi nel 2011 erano cinquantacinque milioni, quasi l’intera popolazione italiana, di questi (ad ottobre) 150mila avevano chiesto il visto per entrare nel Belpaese e dovrebbero aver superato il milione se si aggiungono a quelli provenienti dall’area Schengen. I numeri sono importanti perché ci danno la dimensione di un fenomeno che può avere, se affrontato in maniera adeguata, ripercussioni molto positive sul nostro turismo e sull’economia del Paese. E allo stesso tempo ci dicono che possiamo fare di più, molto di più.

Marco Zanzi

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L’intervento

DALLA BIT VERSO IL RILANCIO l 2012 è l’anno della recessione, una recessione che a livello mondiale potrebbe essere davvero profonda. Si tratta, dunque, di fare tutto il possibile per rafforzare la crescita, a partire anche dal turismo, che rappresenta una grande risorsa per il nostro Paese, soprattutto per il Mezzogiorno ed è una leva di sviluppo importante su cui puntare e investire. Oggi le nostre imprese turistiche, che si trovano a fare i conti con notevoli difficoltà di carattere economico e gestionale, hanno pertanto bisogno di essere supportate e sostenute per poter contribuire all’innalzamento del Pil. In questo senso, la Borsa internazionale del turismo, che è la vetrina del nostro Paese sul mondo e rappresenta un importantissimo punto di incontro fra la domanda e l’offerta turistica nazionale e internazionale, deve diventare parte integrante di un necessario e improcrastinabile processo di rilancio del settore. Possediamo un patrimonio di inestimabile valore paesaggistico, storico, artistico e culturale che, come tutti i patrimoni, va mantenuto e valorizzato di più e meglio. E, soprattutto, abbiamo altri due asset che nel turismo fanno la differenza: la vocazione all’accoglienza della nostra gente e un territorio che è un grande contenitore di valori, tradizioni e saperi. Nel turismo e per il turismo c’è, dunque, la necessità di ottimizzare, di fare rete e sistema di servizi; così come c’è bisogno di innovare sul piano organizzativo e tecnologico. Reti e distretti

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turistici, soprattutto nel Mezzogiorno, devono costruire operazioni di prodotto destinate a ben individuati segmenti di domanda internazionale. E una specifica attenzione va dedicata al turismo degli italiani, che vale oltre il 60% della ricchezza prodotta dal settore. Rispondere a queste esigenze è anche una responsabilità delle imprese, che devono perseverare nel rafforzamento di produttività, qualità e professionalità ma anche nel far diventare il turismo un business permanente. Le politiche pubbliche - anche a parità di risorse date - possono, però, svolgere un ruolo importante di sollecitazione e sostegno, migliorando accessibilità e dotazioni infrastrutturali del Paese, cogliendo le potenzialità straordinarie dell’appuntamento di Expo 2015, utilizzando una sempre più unitaria governance delle politiche per il turismo. Perché affrontare e vincere le grandi sfide richiede unità. L’obiettivo di raddoppiare il contributo del turismo al Pil del nostro Paese nei prossimi anni non è, infatti, irrealistico ma semplicemente ambizioso.

Carlo Sangalli Presidente di ConfcommercioImprese per l’Italia

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L’intervento

UN APPROCCIO UNITARIO E COORDINATO a reale capacità di spesa delle famiglie e il clima di fiducia nel Paese, oltre al rapporto qualità/prezzo dei servizi offerti, saranno i principali aspetti che governeranno l’andamento del settore turistico anche nel 2012. Secondo l’Indagine Ciset-Federturismo, fino ad aprile gli arrivi stranieri dovrebbero rimanere pressoché invariati rispetto allo stesso periodo del 2010-2011 (+0,2%), così come le presenze (+0,5%). Si assisterà, invece, a una diminuzione degli arrivi e dei pernottamenti domestici (-1,5% e -1,7%, rispettivamente), così come del fatturato totale (-1,6%), condizionato dalla flessione della domanda italiana e della sua capacità di spesa. Il tema centrale rimane comunque la promozione turistica del Paese, oggi eccessivamente frammentata e delegata di fatto totalmente alle Regioni, con una spesa annua complessiva di oltre 300 milioni di euro. In vista di Expo 2015 sarebbe opportuno ed efficace centralizzare su un Enit riformato e trasparente l’intera promozione del Paese sotto il marchio Italia, con un budget limitato a 150 milioni di euro, al pari di quanto investono annualmente i nostri maggiori concorrenti diretti, Francia e Spagna. Per ridare all’Italia una posizione di leadership internazionale nel

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turismo, riaffermandone il prestigio, è indispensabile però un approccio unitario e coordinato. Occorre un progetto Paese che, al pari di quanto realizzato dalla Spagna, possa assicurare alle imprese un quadro di riferimento sotto il profilo amministrativo, economico e strategico. Serve, inoltre, una revisione della fiscalità, a cominciare dalla tassa di soggiorno, verso un modello più equo tra tutte le imprese turistiche che non penalizzi la competitività dell’Italia rispetto a Francia e Spagna, già privilegiate da aliquote Iva inferiori alla nostra. Per competere sui mercati internazionali, le imprese italiane devono compiere un salto di mentalità e di approccio al mercato: le reti d’impresa sono uno strumento con forti potenzialità per accrescerne l’aggregazione e l’innovazione. Altrettanto importante è l’ammodernamento delle infrastrutture. Così come è necessario ridare centralità alla formazione professionale, per avere figure preparate a un mercato globale dove non siano importanti solo le lingue e le competenze specifiche di mansione, ma anche attitudine, approccio al cliente, conoscenza della cultura e dei territori. Solo con la collaborazione di tutti potremo riportare il turismo al centro dello sviluppo.

Renzo Iorio Presidente di Federturismo

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L’intervento

RISCHIO STANGATA SUL TURISMO l comparto alberghiero italiano chiude il 2011 con risultati completamente in controtendenza rispetto all’andamento mondiale dell’economia. I dati elaborati di recente dal nostro osservatorio turistico-alberghiero mostrano un +2,3% di presenze, determinate da un modesto +0,3% degli italiani e un significativo +5,3% degli stranieri, che confermano in modo inequivocabile la competitività delle nostre imprese. Competitività attestata peraltro anche dall’Istat che indica come, rispetto a un’inflazione 2011 al 2,8%, gli alberghi abbiano contribuito aumentando le tariffe solo dell’1,8%. Nel 2011 siamo poi riusciti a frenare l’emorragia di occupati registrati negli anni precedenti e chiudiamo con un saldo tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato leggermente negativo dello 0,3%. Il 2011, quindi, ha rappresentato un ulteriore e autentico punto di svolta che, purtroppo,

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Bernabò Bocca Presidente di Federalberghi

ha trovato nell’evolversi della crisi internazionale altri elementi di avversione. Il varo della manovra “salva-Italia”, stando alle elaborazioni del nostro centro studi, produrrà tra Imu e aumento dell’Iva un aggravio fiscale quantificabile per il solo 2012 in quasi 600 milioni di euro, ai quali andrà aggiunta la mina delle concessioni demaniali e l’imposta di soggiorno che, a macchia di leopardo e senza una quantificazione omogenea, finirà inevitabilmente con il creare forme di disparità tariffaria e di concorrenza sleale tra località limitrofe e a medesima offerta turistica. Nonostante ciò, il nostro appoggio al Governo Monti e al ministro del Turismo, Piero Gnudi, rimane indiscusso, pur nella chiara evidenza che il settore avrà sempre più esigenza di regole elastiche nel mercato del lavoro, soprattutto per le località stagionali, e di strumenti di promozione e commercializzazione adeguati all’evoluzione dei tempi nei quali viviamo.

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Il settore avrà sempre più bisogno di strumenti di promozione adeguati Febbraio 2012

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MASCHERE E CULTURA

di FRANCESCA DRUIDI

È un doppio filo conduttore quello del carnevale 2012 in Laguna. Un evento che, come spiega Davide Rampello, quest’anno punta a ristabilire il legame con la storia della città e delle feste popolari. E dove il pubblico è chiamato più che mai a partecipare

a vita è teatro! Tutti in maschera”. È il leitmotiv del carnevale veneziano, che chiuderà i battenti il 21 febbraio. L’esortazione fa riferimento alla rievocazione dei fasti della Venezia capitale del teatro – quando tra Seicento e Settecento il carnevale coincideva con la stagione teatrale – ma soprattutto al senso profondo del mascherarsi. «Il carnevale identifica un grande happening collettivo, un evento di performing art diffuse, di fronte al quale non ci si limita ad assistere, ma a partecipare in maniera attiva», spiega il direttore artistico Davide Rampello. Il tema di quest’anno chiama, infatti, direttamente in causa la creatività e la fantasia di chi vuol vivere appieno lo spirito della kermesse. «Il vero tema è truccarsi il viso per non truccarsi l’anima. L’invito è quello di considerare la mascheratura come possibilità di essere altro da sé, ma

“L Davide Rampello, direttore artistico del Carnevale di Venezia

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senza intaccare l’anima. In un periodo come quello attuale, dove prevalgono dispersione e mancanza di valori, il carnevale offre la grande opportunità di assaporare un momento di completa discontinuità, con animo libero e leggero, abbandonando ideologismi, rancori e violenze e ogni retaggio negativo». Maggiore spazio è dato alla maschera: «non ci limiteremo alla premiazione della maschera più bella, ma fotograferemo quelle più interessanti per inserirle in un “albo d’oro”». Il carnevale si delinea come un momento di trasgressione verso l’alto, teso a valorizzare lo straordinario patrimonio culturale veneziano. Il Carnevale 2012 della cultura si dipana parallelamente ai grandi eventi di piazza, coinvolgendo le principali istituzioni cittadine, dalla Fenice al Conservatorio, dalla Collezione Peggy Guggenheim all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. «Ad esempio, l’Archivio di Stato apre i suoi spazi, allestendo - tra le diverse iniziative in cartellone - una mostra che svela la documenta-

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Venezia, il carnevale pi첫 bello

Davide Rampello



zione originale legata all’attività teatrale a Venezia, tra legislazione e spettacolo. In generale, si tratta di un programma denso tra spettacoli, concerti, mostre e una rassegna cinematografica (“Il lungo viaggio delle maschere tra strada, piazza, circo e schermi cinematografici e televisivi”), che culminerà lunedì 20 febbraio nella notte bianca della cultura». Nonostante la maggior distribuzione degli eventi sul territorio, il cuore pul-

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sante della manifestazione resta sempre Piazza San Marco. Il Gran Teatro allestito, una spettacolare struttura scenica che riproduce i teatri operistici italiani dell’800, incornicia gli appuntamenti più attesi e irrinunciabili della festa lagunare: la Fontana del Vino, il Volo dell’Angelo, la Sfilata delle Marie, le rievocazioni storiche e gli spettacoli del martedì grasso, tra cui il concerto gratuito dei Modà. L’edizione 2012

Sopra, un momento della scorsa edizione del carnevale

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Venezia, il carnevale più bello

Davide Rampello

segna anche il recupero di una tradizione antichissima di Venezia. Il 4 febbraio la kermesse è stata, infatti, simbolicamente aperta dall’arrivo a Punta della Dogana di un grande toro di legno alto nove metri. «Il toro – spiega Rampello – si lega a uno degli episodi più caratterizzanti e longevi del far festa in Laguna. Nel 1162, l’allora Doge di Venezia attaccò il patriarca di Aquileia, che aveva invaso arbitrariamente le saline di Grado. La vittoria della Serenissima produsse la cattura del patriarca, di 12 feudatari e 12 chierici». Per riacquistare la libertà, il patriarca accettò di sottoporsi a qualsiasi pegno: ogni anno avrebbe consegnato un toro, 12 pani e 12 porci da usarsi per uno spettacolo pubblico di piazza. La mattina del giovedì grasso si realizzava, quindi, in Piazza San Marco una tauromachia – Il sacrificio del toro – nel corso della

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quale il mastro dei Fabbri aveva il privilegio di “tagliar la testa al toro” a “gloria propria e della città di Venezia”. La manifestazione, una delle prime a essere inserite istituzionalmente nel carnevale storico di Venezia, fu abolita nel 1520, ma venne riproposta dal 1550 e fino alla caduta della Serenissima nella sola versione della tauromachia senza i maiali. «La grande allegoria del toro rimarrà ormeggiata a Punta della Dogana per tutta la durata del carnevale, fino alla notte del martedì grasso. Il toro sarà poi “sacrificato” simbolicamente nel bacino, salutando i festeggiamenti e dando appuntamento all’edizione 2013». Anche quest’anno sarà riproposta la vogata del Silenzio, «una delle esperienze più suggestive: un corteo di gondole silenziose che dal Ponte di Rialto percorre il Canal Grande illuminato solo da candele navigando fino a Piazza San Marco». Altra novità è rappresentata dai nuovi “svoli” che affiancheranno quello tradizionale dell’Angelo: uno è previsto per il 19 febbraio e l’altro per il pomeriggio di martedì grasso, lo “Svolo del Leon”, dove un giovane alfiere scenderà dal Campanile con un grande telo scenografico raffigurante il leone alato di San Marco, simbolo di Venezia.

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OLTRE SAN MARCO Il cuore del carnevale resta il centro storico, ma tutta Venezia si apre di FRANCESCA ai festeggiamenti, esaltando la natura della manifestazione come DRUIDI evento diffuso, attento anche alla valorizzazione culturale della città. Ne parla Piero Rosa Salva

ormula vincente non si cambia. Anche quest’anno, dopo il successo del 2011, il carnevale di Venezia estende la sua programmazione a tre settimane, offrendo dal 4 al 21 febbraio un palinsesto ricco di appuntamenti sparsi in tutta la città, pensati per turisti e visitatori ma anche per i residenti. Ad esempio, la pista di pattinaggio sul ghiaccio resterà aperta tutti i giorni sia a Campo San Polo, in centro storico, che a Piazza Ferretto a Mestre. «L’allungamento della programmazione ha rappresentato una sfida, con tutte le sue complessità organizzative – conferma Piero Rosa Salva, presidente di Venezia Marketing & Eventi – ma si è rivelata una scelta vincente per istituzioni, operatori e veneziani perché ha consentito di lanciare in maniera efficace fin dai primi giorni di febbraio la promozione del carnevale permettendo, al contempo, una gestione del calendario più equilibrata e meglio distribuita, eliminando la congestione di eventi». Per l’edizione 2012 teatro e cultura sono le due parole chiave, articolate nel forte coinvolgimento del territorio nel

F Piero Rosa Salva, presidente di Venezia Marketing & Eventi

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suo complesso, non solo del centro storico, e nell’esaltazione del concetto di “venezianità”. «Sì, stiamo ulteriormente sviluppando il discorso iniziato l’anno scorso dal direttore artistico Davide Rampello. Siamo partiti con la Festa veneziana sull’acqua, che si è svolta sulle rive di Rio di Cannaregio, e chiuderemo la sera del martedì grasso - come già l'anno scorso - con la Vogata del silenzio. Continua anche il filone - avviato nel 2011 - della cultura, grazie all’entusiastica risposta delle istituzioni cittadine, attraverso un fitto

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Venezia, il carnevale più bello

Piero Rosa Salva

programma di spettacoli teatrali, concerti, proiezioni cinematografiche, mostre e aperture straordinarie di chiese e musei. L’apice è previsto per lunedì 20 febbraio con la notte bianca della cultura del Carnevale: una lunga serata maratona a tema “La vita è teatro. Tutti in maschera”. Questo leitmotiv accompagna la programmazione di piazza e di strada che connota nel mondo il Carnevale di Venezia e costituisce un valore aggiunto da esaltare. Massima attenzione è data anche quest’anno alla sostenibilità. La nostra non è una programmazione che cerca la quantità, i numeri, ma la qualificazione delle presenze». Siamo in un momento chiaramente non facile dal punto di vista economico. Quali sono state le principali sfide in questo senso? «La caratteristica principale del nostro carnevale consiste nel fatto che il turista, in Laguna, viene a vivere e non semplicemente a vedere uno spettacolo. È l’intero territorio ad aprirsi all’appuntamento. È un evento lungo e articolato, perciò molto costoso. Gli anni di esperienza ci hanno, comunque, permesso di fare economie e di operare le giuste razionalizzazioni. Le risorse, oggi più che mai, sono gestite con grande attenzione, ma va evidenziato come il carnevale rappresenta uno straordinario moltiplicatore di queste risorse, identificando un notevole motore economico, occupazionale e promozionale per la città e il suo territorio (50 milioni di euro circa è l’indotto stimato). Quest’anno abbiamo registrato una certa difficoltà nel reperire sponsor, però abbiamo mantenuto e trovato intelligenti partnership».

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I TURISMI DEL VENETO

di FRANCESCA DRUIDI

Venezia, così come il Veneto in generale, sta puntando, e con successo, a un’offerta turistica sempre più articolata, variegata e differenziata. Come dimostra anche l’edizione 2012 del carnevale. Ne parla l’assessore regionale al Turismo Marino Finozzi

l carnevale veneziano ha fatto registrare, nel 2011, numeri elevati. Ma, più in generale, Venezia sta dimostrando di saper mettere in campo un modello turistico votato alla differenziazione dell’offerta, con un panel di eventi di richiamo distribuiti lungo tutto l’anno. «Sempre più le destinazioni turistiche caratterizzano la loro promozione con un calendario di grandi eventi – sottolinea l’assessore al Turismo della Regione Veneto Marino Finozzi –. Nemmeno Venezia può sottrarsi a questa logica di mercato». È, dunque, questa la strada per mantenere competitivo il turismo in Laguna? «Oltre al carnevale, quest’anno il calendario degli appuntamenti sarà fitto di novità e di grandi eventi sia dal punto di vista culturale che sportivo. Nel 2012 festeggiamo il terzo centenario della nascita di Francesco Guardi, sicuramente un appuntamento

I A fianco, l’assessore al Turismo della Regione Veneto, Marino Finozzi

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artistico di grande respiro e un’occasione per scoprire o riscoprire un importante artista del passato. Sul fronte sportivo, quest’anno per la prima volta le spettacolari imbarcazioni dell’America’s Cup si fronteggeranno nelle acque della Laguna e tutta la città sarà pervasa dallo spirito di questa competizione di respiro internazionale». Questa edizione del carnevale arriva in un momento difficile per il Paese. «Il carnevale nasce culturalmente come momento di gioia, di spensieratezza e di eccesso prima della rigidità della Quaresima. Per questo ritengo che, soprattutto in una situazione come quella attuale, possa rappresentare una parentesi gioiosa della quotidianità. Abbiamo però voluto riflettere questo momento di sobrietà anche nelle manifestazioni legate al carnevale, che quest’anno con la collaborazione di Enoteca Veneta - richiama un ritorno ai sapori delle nostre terre con la promozione dei numerosissimi prodotti

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Venezia, il carnevale pi첫 bello


Sopra, un’immagine del carnevale

tipici dell’enogastronomia regionale». In Veneto le presenze turistiche hanno raggiunto quota 63 milioni, con una crescita di quasi il 4 per cento. Qual è il segreto? «Il maggior pregio delVeneto consiste nel disporre di un’offerta turistica pressoché completa. Dall’anno scorso poi, oltre ai temi classici - mare, montagna, lago, terme e città d’arte - abbiamo affiancato un nuovo tematismo turistico di grande pregio e immense potenzialità: la Pedemontana veneta, quella fascia collinare che si inserisce fra le Dolomiti e la pianura e che nulla ha da invidiare alla ben più famosa collina toscana. Ricchissima di storia, arte, cultura, paesaggi mozzafiato e di prodotti enogastronomici Igp, Dop, Doc e Docg, sono sicurissimo che la pedemontana contribuirà a incrementare ancora il numero dei turisti che ogni anno sceglie il Veneto come meta per le vacanze». Cosa potrebbe essere migliorato? «La capacità di fare sistema, che rappresenterebbe un altro punto di forza del sistema Veneto. Già con la nascita di Veneto Promozione, l’agenzia per

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l’internazionalizzazione nata in collaborazione con Unioncamere, riunificheremo sotto lo stesso cappello tutti quegli interventi che rischiano di svilupparsi a macchia di leopardo. Una strategia vincente, anche per razionalizzare le poche risorse di cui disponiamo». Lei è contrario alla tassa di soggiorno: un male necessario o una misura da eliminare il prima possibile? «Oramai tutti sanno come la penso sulla tassa di soggiorno. Già nel nostro nuovo Testo sul turismo, presentato alla giunta e adesso al vaglio del consiglio regionale, avevamo introdotto un articolo riguardante questa tassa che, nelle nostre intenzioni, però avrebbe visto la Regione come ente di riferimento, come del resto la Costituzione prevede con la riforma del Titolo V e, soprattutto, il reinvestimento delle entrate in ambito prettamente turistico. In questo modo si configurerebbe più come una “tassa di scopo”. Per questo motivo la nostra volontà è quella di proporre l’intero territorio regionale come “a vocazione turistica”».

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MOLTO PIÙ DI UN BAR

di FRANCESCA DRUIDI

Il suo nome non soltanto rimanda al famoso aperitivo Bellini o alla prelibatezza della sua cucina. Dire Harry’s Bar significa raccontare un pezzo di storia del costume e di Venezia. Ma soprattutto evocare uno stato della mente. Parola di Arrigo Cipriani

a sua gloriosa storia iniziò da un prestito. Quello che l’allora barman Giuseppe Cipriani, negli anni Trenta del Novecento, concedette al giovane americano Harry Pickering. Le diecimila lire iniziali furono restituite quadruplicate, con la promessa di aprire un bar in società. La scelta cadde su un magazzino di corde di cinque metri per nove, alla fine di una calle senza uscita, prima che fosse costruito il ponte di collegamento con San Marco, in modo che “i clienti sarebbero venuti apposta”. Dal giorno della sua apertura, il 13 maggio 1931, l’Harry’s è diventato uno dei bar e ristoranti più celebrati e rinomati del mondo. Per i personaggi illustri che ha ospitato. Per la qualità del menu e del servizio, ma in particolar modo per lo stile inconfondibile che il fondatore Giuseppe Cipriani - divenuto poi unico proprietario - ha saputo infondervi. Innumerevoli le vicende e gli aneddoti che segnano la vita di questo storico locale veneziano. Il figlio di Giuseppe, Arrigo Cipriani, attuale pa-

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tron dell’Harry’s (e degli altri locali targati Cipriani inaugurati in tutto il mondo, da Hong Kong a New York, con nuove aperture previste per il 2012), li ha raccolti in due volumi: La leggenda dell’Harry’s e Prigioniero di una stanza a Venezia. Perché l’Harry’s è stato testimone del fascismo, mutando a forza il nome in Bar Arrigo, di una guerra mondiale - quando fu trasformato in mensa della Marina repubblichina - e, in generale, dei cambiamenti avvenuti all’interno della società e della stessa Laguna. Ma, come evidenzia Arrigo Cipriani, non ha perso la sua inimitabile identità. In che misura si è mantenuta l’inconfondibile atmosfera delle origini e, al contempo, ci si è adattati all’evoluzioni dei tempi? «L’Harry’s Bar identifica un luogo dove si incontrano tra loro i clienti, che trovano sempre la stessa atmosfera. L’atmosfera è legata allo spirito e ha a che fare con la libertà. La libertà è stata l’ispirazione costante e senza eccezione in qualsiasi epoca. La libertà, quindi, non si evolve.

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Dove nacque il Bellini

C’è o non c’è». Per suo padre Giuseppe erano fondamentali qualità, sorriso, semplicità. Oggi sono cambiate le “regole del gioco”, soprattutto nella Venezia odierna, per soddisfare la clientela? «La qualità, il sorriso e la semplicità sono componenti fondamentali per giungere alla mancanza di imposizioni. Un altro ingrediente della libertà». Celebri avventori dell’Harry’s Bar sono stati Ernest Hemingway, Orson Welles, Truman Capote, Aristotele Onassis, tanto per fare qualche esempio. Qual è il rapporto che oggi i frequentatori più noti instaurano con il locale? «Non è molto importante che un cliente sia celebre. Conta solo se ritorna. Il rapporto delle celebrità con il locale è lo stesso di tutti gli altri clienti. Qualche volta sono nudi e altre vestiti. Ma questo non dipende da noi». Oltre al Bellini, creato proprio da sua padre, e al rinomato Carpaccio, sono ancora oggi servite altre specialità della gestione Giuseppe Cipriani? «Abbiamo una voce nel menù che parla dei nostri piatti classici. Tanto per ricordare ai clienti che ci sono sempre. La nostra cucina, comunque, è super tradizionale e non è mai stata visitata dai guru».

Harry’s Bar

Arrigo Cipriani, titolare dell’Harry’s Bar, di fronte al suo celebre locale a Venezia

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Mare incontaminato, sentieri mozzafiato, passeggiate storiche e Trieste. Sono alcuni degli scenari che si irradiano partendo da Villa Fausta. Un B&B che racchiude un microcosmo di fantasia e convivialità

PER “IL SENTIERO RILKE” di NICOLETTA BUCCIARELLI

l bello è solo l’inizio del tremendo”. È questo un passo da “Elegie Duinesi”, raccolta che il poeta di lingua tedesca Rainer Maria Rilke compose durante il soggiorno nel castello di Duino agli inizi del 1900. Un verso struggente, adatto a fornire un’immagine poetica della zona intorno al Carso. Bellezza e asprezza delle parti rocciose a picco sul mare che portano il poeta verso pensieri “tremendi”. Questo è solo uno dei paesaggi che è possibile

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I segreti di Trieste

ammirare partendo dal B&B Villa Fausta, realtà nata nel 2002 in una Villa Padronale di metà Ottocento circondata da un parco ombreggiato da alberi secolari. La fantasia di Nicoletta e la concretezza e l’espansività di Sergio sono valori aggiunti in questa scenografia. «L’idea del B&B è nata in Irlanda, dove siamo stati protagonisti di un’esperienza felicissima in cui abbiamo potuto assaporare un tipo di ospitalità diversa». Afferma Nicoletta Tracanelli, proprietaria insieme al marito Sergio di Villa Fausta. Gli ospiti, con la loro presenza, sono portatori di un’immensa ricchezza. «Riescono a portarmi il mondo in casa! Arricchiscono il mio microcosmo». Chi decide di passare qualche giorno a Villa Fausta abbraccia un’idea di tranquillità, rilassatezza e voglia di vedere scenari entusiasmanti. «Ho sempre riscontrato che chi alloggia da noi in fondo ci somiglia. Sono persone simili a noi, curiose, che vogliono scoprire la nostra città speciale». Trieste, piccole perle da svelare a portata di mano. «Partendo da Villa Fausta per arrivare al centro a piedi si impiegano circa quindici minuti». Ma Trieste rappresenta solo una delle mete possibili partendo da Villa Fausta. «Ai miei ospiti, propongo sempre una gita con il tram a cremagliera funzionante dal 1902 che dal centro conduce ad Opicina, sul costone carsico». Da lì a piedi sulla Napoleonica, fino a Prosecco. «Per alcuni tratti si resta sospesi tra la roccia e il mare. Con il bus si raggiunge Duino, dove si imbocca il “sentiero Rilke”». Una terrazza naturale di quasi 2 Km affacciata sulle bianche falesie di Duino su cui il poeta tedesco Rainer Maria Rilke amava passeggiare. «Il

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percorso è struggente e d’impatto. Non a caso da molti è denominato “il sentiero dei suicidi”. Il sentiero porta all’incantevole baia di Sistiana». Si è così attraversato il Carso e si è scesi verso il mare. «Il tutto impegna circa una giornata». Poi ci sono le mete classiche: Miramare e San Giusto. Con il treno inoltre si arriva a Venezia in poco tempo e l’Istria e i gioielli del Friuli sono facili da raggiungere. Senza dimenticarci del mare “in città”. «Chi abita da noi è anche ospite gradito di uno stabilimento balneare presso il castello di Miramare ai margini della riserva marina del Wwf. Un’acqua stupenda, incontaminata». In questo caso “il bello” è solo l’inizio del piacere.

Nella pagina accanto, una veduta del parco e dell’esterno del B&B Villa Fausta di Trieste e un’immagine di Nicoletta e del marito Sergio. Foto di Matilde Zacchigna

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www.villafausta-trieste.com mail@villafausta-trieste.com

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IL PATRIMONIO ITALIA

«Occorre un progetto di sistema che ampli l’offerta e riduca i gap che scontiamo». Le strategie mirate alla promozione turistica del ministro Piero Gnudi

di NICOLÒ MULAS MARCELLO


Politiche turistiche

Piero Gnudi

l turismo per un paese come l’Italia costituisce una risorsa economica importante che in certi casi non viene sfruttata a dovere. Il nostro paese si posiziona al quinto posto tra le mete turistiche più ambite in tutto il mondo. «Si tratta di canalizzare risorse, quelle a nostra disposizione non sono molte, nel poco tempo che abbiamo» spiega Piero Gnudi, ministro del turismo. «Sono però fiducioso che riusciremo a concretizzare le linee programmatiche che ci siamo prefissati puntando a un’offerta di qualità che confermi l’importanza del nostro Paese a livello internazionale». Qual è il contributo che può dare il turismo al rilancio dell’economia? «Il turismo è uno dei pilastri su cui fondare la ripresa economica del nostro paese, se si riusciranno a rimuovere alcune barriere strutturali e infrastrutturali che ne limitano la competitività. Nel 2010 il contributo del comparto al Pil italiano è stato pari a oltre il 13%, determinato essenzialmente dalla crescita delle presenze della

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clientela straniera. Se l’Italia sarà in grado di intercettare i nuovi flussi, con una strategia di rilancio mirata, tra otto anni si potrebbero creare 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro e il settore potrebbe contribuire al Pil per circa il 18%. Occorre un progetto di sistema che ampli l’offerta e riduca gap quali il deficit infrastrutturale, la dimensione ridotta della maggior parte delle imprese e il livello di formazione degli addetti non sempre adeguato». Lei ha parlato di un rilancio del settore entro il 2020. Quali politiche sono al vaglio del ministero? «Il rilancio del settore passa innanzitutto attraverso una promozione efficace e capillare. Bisogna prendere atto che l’industria turistica, in un mondo sempre più globalizzato, è cambiata profondamente, sia per quanto riguarda la domanda che per l’offerta. Certe forme di promozione adottate finora, che avevano senso quando i paesi target erano per lo più europei o anglosassoni e avevano una certa “familiarità” con il nostro Paese, oggi sono superate. Se vo-

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Piero Gnudi

gliamo intercettare i nuovi flussi dai paesi a maggior crescita, e in particolare dai cosiddetti Brics, occorre una strategia nuova che guardi a un mercato più ampio che conosciamo poco e che ci conosce poco. Le politiche di promozione che vogliamo adottare si muovono all’interno di canali esistenti che devono essere rivisitati e rafforzati. A partire dal portale Italia.it, sul quale i turisti devono poter contare e che deve trasformarsi in uno strumento di servizio efficace per la pianificazione del viaggio, oltre che per la promozione del brand Italia. Per lo sviluppo e la promozione dell’offerta turistica è necessario anche rafforzare il ruolo del Comitato permanente di coordinamento in

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materia di turismo costituito presso la Conferenza Stato-Regioni, per coinvolgere sempre di più le Regioni nella definizione di strategie comuni, e fare in modo che l’Enit recuperi rapidamente un ruolo centrale come braccio operativo all’estero dello Stato e delle Regioni». Uno dei problemi dell’Italia, è che l’enorme risorsa turistica (naturalistica e culturale) che offre non viene adeguatamente gestita. Ritiene che il ministero debba adottare linee guida più precise? «Per rendere il nostro Paese competitivo sul mercato mondiale e sfruttare tutte le straordinarie potenzialità italiane è essenziale una stra-

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Politiche turistiche

Piero Gnudi

tegia univoca, la capacità di usare al meglio le risorse economiche, un forte coordinamento tra Stato e Regioni. Non è tanto un problema di chi è la competenza, il punto è che ci sia collaborazione tra tutte le Regioni e lo Stato. Se vogliamo intercettare i nuovi flussi che vengono soprattutto dai paesi dell’estremo Oriente e che stanno diventando uno dei più importanti bacini di movimento turistico mondiale, dobbiamo fare una politica di promozione comune. Bisogna agire subito, anche se le risorse a disposizione sono poche e il governo ha un orizzonte temporale breve. Ci sono interventi efficaci che si possono fare nell’immediato e con costi limitati. A partire dall’adozione di una

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country strategy univoca concordata con le Regioni, che consenta una promozione vincente sui mercati d’interesse, attraverso analisi che permettano di capire la domanda e interpretare i bisogni soprattutto dei consumatori di turismo». L’Italia viene vista ancora come una meta turistica importante da parte degli stranieri? «Non è un’impressione personale, i dati parlano chiaro: l’Italia è al quinto posto per presenze di turisti stranieri. I dati relativi ai primi sette mesi del 2011 descrivono una crescita complessiva più elevata sia in termini di arrivi che di presenze (rispettivamente +5,8 e +1,8).

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Piero Gnudi

E sono essenzialmente gli stranieri a fare da traino alla ripresa del settore. L’Italia resta quindi tra le mete preferite dagli stranieri ma potrebbe fare ancora di più. Per fare solo un esempio, nel 2011 i turisti cinesi nel mondo sono stati 54 milioni, che potrebbero diventare 130 nel 2015. Noi siamo riusciti ad intercettarne una minima quota, meno di un milione. Il nostro Paese ha tutte le caratteristiche per poter intercettare una quota consiste della nuova domanda turistica, grazie al suo patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e territoriale unico al mondo, sostenuto da un’offerta ricettiva capillare e differenziata». Cosa si aspetta per questo 2012 per il settore del turismo nel nostro paese? «Nel corso della prima riunione Comitato di coordinamento sul turismo, che si è riunito qualche settimana fa, ho riscontrato da parte delle Regioni piena disponibilità a intraprendere un percorso condiviso. Le premesse sono buone quindi per fare, nei prossimi mesi e nell’arco di quest’anno, un buon lavoro. Si tratta di canalizzare risorse, quelle a nostra disposizione

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non sono molte, nel poco tempo che abbiamo. Sono però fiducioso che riusciremo a concretizzare le linee programmatiche che ci siamo prefissati puntando ad un’offerta di qualità che confermi l’importanza del nostro Paese a livello internazionale. Abbiamo una straordinaria opportunità rappresentata dall’Expo 2015 che va preparata subito, in termini turistici, con una regia che consenta a tutti gli stakeholder (locali, nazionali ed europei) di lavorare assieme per massimizzare il risultato. Utilizzeremo l’occasione della Conferenza nazionale del turismo, nel 2012, per presentare suggerimenti e iniziative concrete a favore dell’aumento della competitività del paese rispetto ai principali competitor».

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SOGNO ITALIA

di RENATA GUALTIERI

«La nostra offerta turistica deve essere più accattivante e contemporanea, confezionata da mani esperte». Il direttore generale dell’Enit, Paolo Rubini, conferma che sarà sempre vincente la proposta personalizzata

er consolidare i risultati realizzati nell’incoming lo scorso anno che, secondo la Banca d’Italia, nel periodo gennaio-ottobre hanno fatto segnare un incremento della spesa dei viaggiatori stranieri del 6,3% (pari a circa 27.790 milioni di euro), ma anche per favorire l’interesse del mercato mondiale verso la destinazione Italia, l’Enit sarà presente in Europa e oltreoceano con diversi appuntamenti. Dopo i test importanti in grandi manifestazioni come le fiere turistiche di Madrid, Oslo, Utrecht, Vienna e Stoccarda, l’Enit parteciperà a febbraio al Salon des vacances di Bruxelles, all’Holiday world di Praga e alla Free di Monaco. A marzo è prevista la presenza ai grandi appuntamenti di Berlino (Itb) e di Mosca (Mitt), oltre che di Goteborg (Tur) e di Kiev (Uitt), mentre ad aprile l’Agenzia nazionale del turismo presenzierà all’Atm di Dubai. Al di fuori dell’ordinaria programmazione fieristica internazionale, «al fine di contribuire al sostegno del settore crocieristico nazionale fortemente danneggiato dal recente naufragio della Costa Concordia», il direttore generale dell’Enit, Paolo Rubini, ha garantito la partecipazione dell’ente al Seatrade cruise and shipping convention, in programma a Miami dal 12 al 15 marzo.

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Dopo il riassetto, in che modo l’ente opera per svolgere al meglio la sua mission? «Pur in mancanza di risorse finanziarie adeguate, l’Enit svolge efficacemente il ruolo di supporto e consulenza per Regioni, Province e operatori che necessitano di servizi professionali per il raggiungimento dei propri obiettivi di sviluppo dell’incoming, che, in ultima analisi, costituisce anche il nostro fine istituzionale. Stiamo operando in termini di club di prodotto, attraverso strategie di segmentazione

Il direttore generale dell’Enit, Paolo Rubini. A seguire, stand Enit alla fiera Fitur di Madrid

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della domanda internazionale e di confezionamento di un’offerta nazionale, coerente e personalizzata, veicolata attraverso canali idonei a raggiungere i vari target di domanda (new media, internet, web tv, cinema e social network). Tuttavia, il vero obiettivo è quello di arrivare alla promozione quale atto conclusivo di un piano marketing nazionale, nel quale sia preventivamente deciso quale nostro territorio promuovere all’estero, dove, perché, con quale prodotto e su quale target. Abbiamo già realizzato e attuato strategie di marketing per alcune realtà territoriali, declinate in ogni dettaglio, che hanno prodotto incrementi di circa il 35% degli arrivi internazionali dai mercati interessati, individuati sulla base delle nostre analisi, già dopo solo 6 mesi». Il progetto “Italia comes to you” è stato un successo. Cosa c’è alla base di questo buon risultato e come è stata presentata l’offerta turistica italiana? «Mettere il cliente, cioè il turista che vogliamo far arrivare in Italia, al centro di ogni azione non è uno slogan ma una strategia. È necessario sviluppare una cultura che, fin dalla predisposizione e dalla promozione del prodotto turistico, parta dall’analisi delle esigenze dei diversi target - non esiste un turista ma tante tipologie di turista - per individuare e offrire a ciascuno il prodotto che risponde alle sue aspettative. Abbiamo tenuto presenti questi concetti nel progetto “Italia comes to you”, con cui abbiamo cercato di presentare in un unico format tutte le motivazioni del viaggio in Italia (cultura, made in Italy, enogastronomia, arte, territorio, life style), affascinando “sul posto” la popolazione dei principali Paesi a maggiore potenziale turistico. Abbiamo veicolato l’idea dell’Italia quale “sogno turistico”

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nell’immaginario di quanti provengono da questi immensi mercati. Sono certo che per il 2012 i risultati che arriveranno da questi Paesi saranno sorprendenti». Cosa prevede l’ultima tappa del progetto Bric, che riguarda l’India? «Intanto speriamo di poterla realizzare. L’Enit ha già da tempo presentato al Dipartimento del turismo il progetto esecutivo ma il ministero è in forte ritardo nell’iter di approvazione. Sarebbe un peccato se, a causa di lungaggini burocratiche, il progetto dovesse essere ritardato o, peggio ancora, annullato dopo gli eccezionali consensi avuti nelle precedenti tappe in Russia, Cina e Brasile. Peraltro, sottrarre al settore turistico nazionale i forti incrementi dell’incoming dall’India che il progetto

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Paolo Rubini

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genererebbe sarebbe imperdonabile. È sempre più evidente che per competere sui mercati esteri è necessaria un’impostazione manageriale e non formalistica, burocratica e autoreferenziale. In ogni caso, come per le precedenti tappe, Italia comes to you India è centrato su una mostra di opere d’arte contemporanee realizzate da artisti indiani nel corso del viaggio in Italia organizzato dall’Enit al fine di poter illustrare ai cittadini indiani il nostro Paese, ma attraverso “gli occhi” dei propri connazionali. Abbiamo poi alcune nostre opere d’arte rinascimentali esposte per collegare idealmente l’arte contemporanea indiana con quella storica italiana. In parallelo, si svolgeranno workshop B2B per ottenere rapidi risultati commerciali». L’obiettivo rimane la personalizzazione della promozione turistica con l’individuazione di tutti i target di potenziali consu-

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matori. Quali i prodotti che stanno diventando più popolari, specie tra i giovani? «I giovani rappresentano un target interessante in quanto possono viaggiare in periodi di bassa stagione, disponendo di tempo libero e flessibilità maggiore rispetto ad altre tipologie di turisti, possono essere interessati a raggiungere anche zone del Paese a elevata attrattività turistica ma ridotte infrastrutture, valorizzando territori che altrimenti soffrirebbero dal punto di vista turistico. Parallelamente anche il segmento della terza età, che presenta caratteristiche simili a quello dei giovani almeno in termini di destagionalizzazione, dovrebbe essere sollecitato a scegliere l’Italia, e soprattutto il Sud, come località di lungo soggiorno durante il periodo invernale. Abbiamo un enorme bacino di potenziali turisti non sfruttato nel nord Europa, ma dobbiamo essere in grado di comunicare in modo coerente e dedicato a ciascun target. La nostra offerta turistica deve essere più accattivante e contemporanea, confezionata da mani esperte, mirata alla soluzione dei bisogni che riguardano le occasioni di incontro, individuali e di gruppo, di divertimento e di svago, di un tempo libero “non catalogato”, più estroverso, mobile e fantasioso, sia di ricerca che di scoperta. Enit è chiaramente pronto a supportare le Regioni e gli operatori in questo nuovo percorso di promozione turistica».

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NUOVE ALLEANZE Stop alla differenziazione tra agenzie e operatori turistici. «I tempi sono maturi per accogliere i protagonisti dell’intermediazione» afferma Roberto Corbella. Il settore chiuderà il 2012 senza ampie marginalità, ma con un pareggio di bilancio

incertezza economica sta ancora influenzando le scelte turistiche di coloro che si recano nelle agenzie di viaggio e lo testimonia la maggiore cautela nelle prenotazioni dettata da un budget ridotto, specie per quanto concerne la fascia media della popolazione. Ad affermarlo è Roberto Corbella, presidente di Astoi Confindustria Viaggi, che riscontra la diffusa tendenza a prenotare a ridosso della data di partenza per spuntare un prezzo migliore. «A tal proposito – spiega – i tour operator caldeggiano la scelta dell’advance booking, cioè della prenotazione anticipata, che permette la fruizione di condizioni particolarmente vantaggiose sotto il profilo economico, con il plus di una migliore organizzazione». Gennaio ha registrato numeri positivi nelle mete di fascia medio-alta. Come giudica tale andamento e quali località, invece, continuano a soffrire di cali turistici? «Questo fenomeno conferma che la crisi pesa di più sul target medio. Già dal monitoraggio effettuato per le festività di fine anno è emersa una preferenza per i Paesi esotici da parte del

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Roberto Corbella, presidente di Astoi Confindustria Viaggi

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di ELISA FIOCCHI

segmento medio-alto. Caraibi e Oceano Indiano fanno la parte del leone come da tradizione, attirando i connazionali nel pieno dell’inverno. A fronte di un rallentamento generale del booking, vorrei evidenziare la ripresa del Mar Rosso che, dopo un periodo di sofferenza, registra prenotazioni fino a fine febbraio». Quali andamenti sono attesi per quest’anno? «È difficile fare previsioni, soprattutto perché l’anno si presenta difficile e ricco di incognite, data la delicata congiuntura economica. Le mete esotiche sono sempre gettonate, soprattutto per la fascia medio-alta. Speriamo che il target più penalizzato dalla crisi sia incoraggiato a partire dalla politica dei prezzi particolarmente favorevole applicata dai tour operator su determinate destinazioni come, ad esempio, la Tunisia. Di fatto, essa è il primo paese interessato dalla “rivoluzione araba” e ha ormai completato il proprio percorso, quindi è prevedibile un suo ritorno nelle prenotazioni grazie anche ad altri fattori quali la vicinanza e, più in generale, un nuovo spirito positivo. Non sono previste ampie marginalità quest’anno bensì pareggi di bilancio, di per sé auspicabili, in una fase economica così complessa».

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Politiche turistiche

Roberto Corbella

Astoi Confindustria Viaggi ha scelto di accogliere i protagonisti dell’intermediazione turistica. Per quali ragioni la differenziazione tra operatori e agenzie è oggi superata? «La differenziazione tra operatori e agenzie trova radici in una concezione del viaggio

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ormai superata dalla complessità del contesto in cui si opera: nuove tecnologie e nuovi soggetti che operano online, nuovi stili di vita e cambiamenti nelle modalità di acquisto dei viaggi da parte dei consumatori. Le due componenti, dunque, sono destinate a viaggiare sempre più in sintonia ed è pertanto

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Politiche turistiche

Roberto Corbella

Per le festività di fine anno i turisti di fascia medio-alta hanno scelto i paesi esotici

opportuno che il settore trovi una rappresentanza maggiormente univoca e forte». E quale nuova strada sarà dunque intrapresa per rappresentare al meglio le aziende del settore e far conciliare gli interessi delle due categorie? «La strada intrapresa da Astoi Confindustria Viaggi è stata proprio quella di aprirsi alla distribuzione nella convinzione che essa non è una componente staccata, bensì integralmente inserita nella politica e nelle scelte economiche dei fornitori. L’agenzia, poi, non è una controparte, ma una partner essenziale nel lavoro degli operatori. Si può tra l’altro notare come ormai, in molti casi, si stia verificando anche un processo di verticalizzazione del settore che integra produzione e distribuzione turistica». La nuova fase dell’associazione parte anche con due importanti partnership con American Express e Sigma Tau: quali saranno i reciproci vantaggi? «L’accordo con American Express è mirato all’ottimizzazione della gestione dei flussi di liquidità del sistema turistico, che mai come in questo periodo assumono un ruolo di grande importanza. L’intesa con Sigma Tau, invece, nasce dagli studi sulla malaria. La registrazione europea da parte dell’azienda di un farmaco assimilabile a un antibiotico, e che permette la cura immediata della patologia soltanto quando essa eventualmente si verifica eliminando il ricorso alla profilassi, spesso fonte di disagio per il passeggero e deterrente per le partenze, rappresenta un risultato molto importante per i nostri numerosi soci che programmano le destinazioni interessate dalla malaria».

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Politiche turistiche

IL WEB È UNA RISORSA di ELISA FIOCCHI

Cinzia Renzi

I turisti che si orientano verso viaggi più complessi e a contenuto motivazionale, sono meno sensibile alla crisi. «La specializzazione può rappresentare una risposta alle difficoltà degli operatori». Ne parla Cinzia Renzi

l sistema turistico nazionale dovrà rappresentare nel 2020 il 18% del Pil del Paese, con un incremento di 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro. È l’obiettivo del ministro del Turismo, Piero Gnudi, attuabile attraverso il superamento di alcune complessità, tra cui i problemi infrastrutturali che limitano la competitività delle strutture. «Ad aggravare la situazione» sottolinea poi il presidente di Fiavet, Cinzia Renzi, «c’è anche la persistente difficoltà di accesso al credito che tutte le piccole e medie imprese italiane, quindi anche quelle del comparto turistico, incontrano e su questo aspetto sarebbe opportuno un pronto intervento da parte delle istituzioni». Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso quasi il 2% di quote di mercato (passando dal 6,1% al 4,5%) secondo l’Unwto, e i buoni risultati raccolti nei primi sette mesi del 2011, con una

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Cinzia Renzi, presidente uscente di Fiavet

crescita di arrivi e di presenze del +5,8% e del +1,8% rispetto all’anno precedente, sono da attribuire principalmente ai flussi turistici provenienti dall’estero. Le agenzie di viaggio e le imprese del turismo si trovano ora a fare i conti con una contrazione dei consumi che ha interessato tutto l’ultimo trimestre del 2011 e che, in alcuni casi, ha messo in crisi l’esistenza stessa delle aziende. L’analisi di Cinzia Renzi. Sono state le festività natalizie a registrare valori negativi, con una contrazione che si attesta intorno al 20%, di flussi e fatturato. Quali fattori hanno inciso in maniera rilevante? «Sicuramente la crisi economica è uno dei principali fattori che determinano la maggiore cautela negli acquisti da parte degli italiani. Inoltre, anche l’incertezza dovuta alle ripetute annunciate manovre economiche non ha favorito la ripresa di un clima di maggior fiducia. A ciò si aggiunge la crisi delle destinazioni teatro della primavera araba, in primo luogo Egitto e Tunisia, due tra le mete turistiche più importanti per il mercato

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Politiche turistiche

Cinzia Renzi

italiano, che stanno faticosamente cercando di ritrovare la piena normalità». L’uso del web nelle prenotazioni sta penalizzando il comparto, in quali casi invece il turista continua a fare riferimento all’agenzia di viaggio? «Internet non deve essere considerato come un “nemico” ma rappresenta una risorsa che ogni

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agente di viaggio dovrebbe sapere utilizzare al meglio per sfruttarne appieno le potenzialità. Analizzando il lieve calo delle vendite in agenzia, che emerge da una ricerca condotta dall’Isnart per Fiavet, quello che occorre sottolineare è che non si tratta di un mancato ricorso agli agenti di viaggio ma dell’utilizzo di nuove modalità di acquisto. Infatti, nel complesso, si stimano in circa 6,6 milioni le vacanze in Italia per cui si è ricorso al sostegno dell’organizzazione degli agenti di viaggio o all’acquisto di pacchetti dei tour operator e, di queste, circa la metà sono state acquistate da agenzie di viaggio on line. È opportuno, infatti, rimarcare che ogni vendita anche on line di un pacchetto di viaggio presuppone l’esistenza di un’agenzia di viaggi riconosciuta e che deve essere in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie». Quali servizi, strumenti e tipologie di vacanza chiede oggi il turista? E come rispondono gli agenti di viaggi alle mutate esigenze dei clienti?

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Politiche turistiche

Cinzia Renzi

Sono 6,6 milioni le vacanze prenotate in Italia tramite agenti di viaggio o pacchetti di tour operator «Oggi il turista è molto più informato e consapevole e, di conseguenza, più esigente nelle sue richieste. L’agente di viaggio deve quindi essere un vero e proprio consulente, tanto più che la clientela che si orienta verso viaggi più complessi o ad alto contenuto motivazionale risulta essere meno sensibile alla crisi rispetto al turismo generalista. Proprio la specializzazione può rappresentare una risposta alle difficoltà che incontrano oggi gli operatori dell’intermediazione». Per agevolare lo sviluppo delle imprese turistiche nel nostro Paese quali politiche e semplificazioni burocratiche si rendono necessarie, anche in vista del 2020? «Chiediamo da tempo una progressiva armonizzazione dell’aliquota Iva ridotta sul

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turismo tra gli Stati membri che rappresenta la condizione necessaria per una concorrenza trasparente tra le imprese turistiche all’interno dell’Unione europea e nei confronti dei paesi terzi. Inoltre, anche la recente istituzione della tassa di soggiorno non favorisce la competitività della destinazione Italia. A ciò si aggiungono le recenti decisioni in materia fiscale prese dal governo: giustissimo contrastare l’evasione fiscale, che esiste anche nel settore turistico, ma l’obbligo della tracciabilità per gli importi uguali o superiori a mille euro ha inferto un altro duro colpo alle imprese dell’intermediazione turistica, che temono una fuga di clienti, rischio concreto soprattutto per quelle aziende che operano in località vicine ai confini e che soffrono la concorrenza delle imprese transfrontaliere».

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DESTINAZIONI ITALIANE

di ELISA FIOCCHI

Contro la standardizzazione del turismo bisogna puntare sull’unicità delle mete nazionali. «Come l’iniziativa Marchio di qualità, con il riconoscimento dei ristoranti italiani» rivela Ferruccio Dardanello

ra gennaio e dicembre 2011, le Camere di Commercio hanno rilevato la nascita di 391.310 imprese, contro le 341.081 che hanno cessato l’attività, con un incremento pari a 50.229 unità. In pratica un’impresa ogni dieci abitanti. Il dato fa riflettere considerando la crisi di fiducia registrata a partire dalla metà del 2011 in tutta l’Eurozona e mostra come la voglia di fare impresa sia ancora forte negli italiani che, tuttavia, chiedono efficaci strumenti per crescere e competere. Il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, illustra tutte le iniziative a sostegno del fare impresa e le proposte per rimettere al centro del Paese il sistema turistico. Nel suo incontro con il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha chiesto di individuare nuove risorse per migliorare le situazioni di difficoltà. Su quali territori e realtà produt-

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Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere

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tive bisogna intervenire con urgenza? «Al ministro Passera abbiamo presentato le proposte relative al contributo del sistema camerale al processo di semplificazione amministrativa, quelle destinate ad agevolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, la tutela del made in Italy, la promozione dell’internazionalizzazione. Sono i temi principali della nostra azione a supporto del sistema produttivo. È chiaro, del resto, che la crisi sta attraversando il Paese da nord a sud e in questo contesto riesce difficile immaginare una scala di priorità. Tuttavia, in termini territoriali, è il Mezzogiorno l’area in cui si concentrano le difficoltà maggiori. L’altro grande “nodo” è quello dell’occupazione e, soprattutto, di quel 31% di giovani che oggi non ha un lavoro. Quindi ogni iniziativa che rimetta in moto il mercato del lavoro penso vada guardata con grande favore». E quali politiche di sviluppo ha presentato per rimettere imprese e settore turistico al centro dello sviluppo del Paese?

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Politiche turistiche

Il monitoraggio dell’Osservatorio del turismo è fondamentale per cogliere le tendenze in atto

Ferruccio Dardanello

«Ho presentato tre ambiti di azione che abbiamo individuato come “premianti”: il monitoraggio che effettuiamo con l’Osservatorio del turismo, che è fondamentale per cogliere le tendenze in atto e rispondere ai mutamenti del mercato; la promozione dei contratti di rete (oltre 200 nei diversi settori con un migliaio di imprese coinvolte), che riteniamo strategici e riguardo ai quali è possibile immaginare un percorso di miglioramento delle norme vigenti, di semplificazione delle procedure e degli aspetti tributari; il tema della qualità, che significa far valere, in un’epoca in cui anche il turismo è soggetto a fenomeni di standardizzazione, la reale unicità delle destinazioni italiane. Il sistema camerale, operando sia in Italia, con l’iniziativa “Marchio di qualità”, sia all’estero, con il riconoscimento dei ristoranti italiani, ha puntato con decisione su questa strategia». Nuove sinergie tra Confidi e sistema camerale possono agevolare le imprese in difficoltà: su quali elementi ci sarà

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Politiche turistiche

Ferruccio Dardanello

L’Agenzia va al centro delle strategie di comunicazione per promuovere l’Italia un agire condiviso? «Tra i punti principali dell’azione del sistema camerale individuati in un recente documento congiunto Unioncamere-Assoconfidi ne segnalo tre: intervenire per rafforzare la patrimonializzazione dei Consorzi di garanzia fidi; operare ai fini di un’ulteriore razionalizzazione del sistema, agevolando l’avvio di ulteriori fusioni o l’aggregazione in rete per aumentare la “massa critica” dei Confidi; finalizzare l’erogazione delle risorse camerali al raggiungimento di alcuni obiettivi precisi che abbiano maggior capacità di intervenire a fa-

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vore dello sviluppo. Tra questi, l’internazionalizzazione, la trasmissione e lo start up di impresa, la creazione di un fondo nazionale per le emergenze». L’Enit potrebbe diventare il braccio operativo tramite cui le Regioni faranno promozione all’estero: cosa ne pensa? «L’Italia ha quanto mai bisogno di politiche di promozione integrate e “di sistema”. Ritengo che sarebbe utile rimettere l’agenzia al centro delle strategie di comunicazione per promuovere l’offerta Italia condividendo tale attività con le Regioni».

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Non solo cassata

Gaetano Basile

PALERMO LA “LICCA”

di NICOLETTA BUCCIARELLI

Gaetano Basile ci accompagna alla scoperta dei dolci palermitani e della Sicilia. Tra cassata, cuccìa, cannoli e cous cous dolce, scopriamo un mondo imperniato di storia, cultura e delle molteplici tradizioni siciliane

ra tutte le città siciliane Palermo è spesso considerata come la più golosa. «Non a caso viene connotata come la “licca”, che in siciliano significa proprio golosa». Gaetano Basile è palermitano doc. Giornalista e scrittore, è soprattutto un grande appassionato ed esperto di cultura enogastronomica siciliana. Con lui facciamo una passeggiata tra i dolci di Palermo e della Sicilia tutta, un argomento su cui, dice, «si sono scritte

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Gaetano Basile è giornalista, scrittore ed esperto di cultura enogastronomica siciliana

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una quantità impressionante di sciocchezze». Ad esempio? «La cassata innanzitutto, meraviglioso dolce pasquale. Penne eccelse, da Indro Montanelli a Enzo Biagi, ne hanno parlato, ma tutti sono stati tratti in inganno. Quella colorata, con i canditi, non è un dolce arabo che si imbeve di barocco, attraversa il liberty fino ad arrivare ai nostri giorni, come molti hanno scritto. La cassata alla siciliana, infatti, è stata inventata nel 1887. La cassata che ha più di 2000 anni è quella che in Sicilia si chiama la cassata al forno, rappresentata addirittura su un affresco di un muro di Oplonti, vicino Pompei. Viene dal latino caseatum o caseatus, perché deriva da caglio, il cacio, addolcito con il miele e avvolto in una sfoglia di pasta di pane. Si infornava e si mangiava. Quella con la frutta candita è stata inventata nel 1887 dai fratelli Gulì, palermitani, ed è una speculazione industriale: questi signori avevano aperto una fabbrica di canditi ma non riuscivano a venderli, per cui pensarono di fare una base rotonda ricoprendola di ricotta e di

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frutta candita colorata». È possibile creare una sorta di ordine tra i molti dolci siciliani? «Possiamo dire che i dolci siciliani si dividono in due grandi gruppi: i dolci delle feste e i dolci conventuali, che in Sicilia si chiamano le “piatte”. I dolci delle feste sono i più fascinosi e fino agli anni 80 hanno rispettato le date in cui nacquero, ovvero venivano realizzati solo in concomitanza con le feste a cui si riferivano. Poi, per motivi turistici e commerciali, hanno

iniziato a essere prodotti tutto l’anno, un po’ a discapito della qualità». A breve sarà Carnevale, festeggiato in Sicilia in molti posti caratteristici tra cui Cinisi, con carri allegorici, maschere, costumi di ogni tipo. Qual è il dolce che si abbina di più a questa festività? «Sicuramente il cannolo. Cinisi è un paesino in provincia di Palermo che conserva le stesse caratteristiche culinarie della nostra città e quindi anche qui il cannolo la fa da padrone. Perché il cannolo? Perché come tutto, durante il carnevale, rappresenta uno scherzo. Questo dolce ca-

Non solo cassata

Gaetano Basile

Eccellenti piatti di mare Un locale storico, presente a Lascari da oltre trent’anni. La Trattoria da Gianni, da sempre, è di proprietà di Gianni Gulino il quale, dopo aver maturato una lunga esperienza nei più celebri locali italiani e francesi, ha deciso di aprire un punto di riferimento per gli amanti della buona tavola nel cuore della Sicilia. La trattoria affaccia direttamente sulla spiaggia cristallina e delizia i suoi clienti con un’ottima cucina di mare. Il pesce, sempre freschissimo, si declina in un’ampia gamma di ricette, dagli antipasti ai primi ai secondi. Da non perdere gli spaghetti alla pescatora e i frutti di mare. Aperto sia d’estate che d’inverno, il locale propone a prezzo fisso un menù completo di antipasti di mare, due primi, grigliata, dessert acqua e vino.

TRATTORIA DA GIANNI Via Gorgo Lungo, 22 - Lascari (PA) - Cell. 347 54.58.161

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Il convento dello Spirito Santo di Agrigento è l’ultimo posto in cui si prepara il cous cous dolce, di colore verde. Una vera delizia ratteristico nasce nel Cinquecento quando in Sicilia si cominciarono a celebrare le giornate del carnevale. Il termine deriva dalla cannella della fontana, il rubinetto. È uno scherzo di carnevale perché invece di uscire acqua esce ricotta». Un altro dolce su cui si è scritto molto sono i gelati. «Vittorini dei gelati diceva che sono un mondo incredibile dove solo i siciliani possono pilotarsi. Abbiamo le creme da cono o i gelati che si mangiano seduti alle gelaterie e che devono durare ore intere. Gli spongati, le granite o la crema da brioche. Un mondo quasi a parte ri-

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spetto agli altri dolci. Anche per i nomi bellissimi che hanno e che spesso rimandano al fascino della belle époque». Il 2 novembre si offrono invece i dolci ai bambini. «Sì, come la “pupa a cena”, dolce di zucchero che nacque a Venezia nel 1574. Poi c’è il trionfo della frutta di Martorana, ovvero la frutta fatta in pasta di mandorla. Pare che siano state le suore del convento della Martorana, un convento del 1100, a inventare questa frutta per farsi burla dell’arcivescovo di Palermo. Le suore erano molto fiere del loro giardino che produceva frutta per ogni stagione dell’anno, ma il

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cardinale decise di far visita al convento in pieno inverno, la stagione peggiore per la frutta. Deluse, le monachelle crearono la frutta con la pasta di mandorla». I dolci siciliani sono spesso frutto delle contaminazioni che la regione ha vissuto dal punto di vista storico-culturale. Potrebbe farci qualche esempio? «La cuccìa è di origine greca e si mangia il 13 dicembre, per la festa di Santa Lucia. Nell’antichità, quando si provvedeva alla raccolta del grano, si facevano le feste sull’aia dedicate a Demetra. Il grano appena mietuto si faceva bollire e si mangiava con un filo d’olio. Questo piatto antico ebbe un grande successo soprattutto quando arrivarono gli arabi. È un piatto frutto

della miseria perché così si evitavano le tasse sul macinato. Oppure c’è il riso nero, che si prepara per la Madonna di Tindari, un paese in provincia di Messina, che è la Madonna nera. In epoca spagnola, per questa festività, si cucinava un riso bianco e nero, chiamato “moros y cristianos”». Per quanto riguarda invece i dolci conventuali? «In Sicilia ci sono circa 1.380 conventi, quindi 1.380 “piatte”. Buona parte di queste hanno tutti nomi osceni. Le monache infatti non prendevano la via conventuale per vocazione ma perché erano brutte, quindi non riuscivano a trovare marito, o povere. Dentro il convento si scatenavano anche attraverso i nomi dei dolci,

Non solo cassata

Gaetano Basile

Dolci momenti di pausa Nel centro storico di Palermo, proprio di fronte al Teatro Massimo si trova la Via Orologio, dove è ubicata la Caffetteria Il Rintocco. Il locale è stato inaugurato nel 1999, ricavato in quello che fu, negli anni ‘60, il Teatro dell’Opera dei pupi del nonno della titolare Vanna Saputo. Chi è a conoscenza di questo particolare ritiene che un po’ della magia teatrale di allora sia rimasta all’interno di queste mura, perché entrando al Rintocco si prova una immediata sensazione di benessere. Il piccolo locale - conta solo 24 posti - arredato con legno, ferro e cotto, offre un’atmosfera familiare con un piacevole sottofondo di musica jazz. Qui ci si può deliziare con i profumi e i sapori delle oltre 30 cioccolate calde e di altrettanti tè e tisane, provenienti da tutto il mondo. Da provare, tra le specialità del locale, il caffè “ore spumeggianti” (nella foto), ricoperto da morbida panna e scaglie di cioccolato. Ad accompagnare tè e infusi, infine, una vasta selezione di torte e dolci. Il locale è aperto dal 15 settembre al 15 giugno dalle 16,00 alle 22,00.

CAFFETTERIA IL RINTOCCO Via Orologio, 14 - 90133 Palermo - Tel. 09 61.10.209 vannasole@msn.com

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molto singolari. Ad esempio nel Noviziato, che ospita le ragazze, si preparavano le minne di vergine, ovvero i seni delle vergini, modellate su un seno adolescenziale. C’è poi la minna catanese, ovvero la minna di Sant’Agata, una seconda misura. Esiste poi una terza minna, la minna di Suor Virgilia, che si prepara a Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento. In questo caso si tratta di un dolce per famiglie essendo una quarta misura! Le minne sono fatte di pasta brisè e d’estate vengono farcite con la confettura o la crema gialla, mentre d’inverno si utilizza la ricotta. Un altro dolce monacale sono le “chiappe del cancelliere”, un dolce a forma di

L’incontro di arte e cucina La filosofia del ristorante pizzeria “Al covo dell’Arte” è coniugare, nei piatti e nel locale, arte e cucina. La realizzazione delle portate, che spaziano dalla tipica tradizione palermitana alle specialità straniere, è studiata dallo chef Marino Carmelo, che nei suoi piatti evoca le tele di famosi pittori. Opere che sono anche richiamate nelle salette, dedicate a importanti maestri quali Van Gogh “Non c’è blu senza giallo e senza arancione”; De Chirico “Un’opera d’arte per divenire immortale deve essere sempre, superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica”; Kandinsky “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta”; Klimt “Nessun settore della vita è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle ispirazioni artistiche”. Un insieme artistico dedicato a tutti coloro che amano appagare occhi e palato gustando i sapori di una mai tramontata tradizione con lo sguardo rivolto al bello.

RISTORANTE PIZZERIA COVO DELL’ARTE Via Dei Tintori, 22/26 - 90133 Palermo - Tel. 091 61.18.779

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Non solo cassata

Gaetano Basile

sedere, ricoperto di glassa bianca perché quello è un posto dove non batte mai il sole». Se dovesse suggerire un tour tra i luoghi golosi di Palermo quali sceglierebbe? «Tutte le pasticcerie della città sono ottime, dalla Pasticceria Costa alla Pasticceria Magrì, fino alla storica Pasticceria Cappello, un’istituzione per la città. Se invece ci si sposta più a sud consiglio di fare un salto al convento dello Spirito Santo di Agrigento, l’ultimo posto in cui si prepara il cous cous dolce, di colore verde, il dolce più buono che abbia mai assaggiato in Sicilia. Assicuro che è una vera delizia».

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Comfort e buona tavola con vista mare In Sicilia, il relax di un borgo marinaro, alle porte di Palermo. Questo e tanto altro offre ai propri ospiti il Palm Beach Hotel. A pochi passi dall’animato centro turistico di Terrasini, l’albergo si affaccia sul caratteristico porticciolo e sulla spiaggia di sabbia bianchissima di Magaggiari. Nei suoi ristoranti, entrambi con vista sul golfo di Castellammare, si può assaggiare il meglio della cucina siciliana. La maggior parte delle stanze, luminose e dotate di ogni comfort, gode di una incantevole vista sul mare. A venti minuti d’auto da Palermo, l’hotel è punto di partenza ideale per escursioni alla riserva dello Zingaro, alle saline di Trapani o al borgo medievale di Erice. E grazie alla estrema vicinanza all’aeroporto Falcone-Borsellino, un tuffo last minute nel Mediterraneo è un sogno che diventa facilmente realtà.

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PALM BEACH HOTEL Via Ciucca, 1 - 90045 Cinisi/Terrasini (PA) Tel. 091 86.82.033 – 86.82.034 – 86. 82.045 - Fax 091 86.82.618 www.palmbeachhotel.it - info@palmbeachhotel.it Skype: azzolini.palm.beach.hotel

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FRA ERICE E PALERMO di VALERIO GERMANICO

Una camera con vista sul golfo di Castellammare, fra Cinisi e Terrasini. Gioacchino Azzolini, premio “Imprese nella storia” 2011 di Confesercenti, racconta le bellezze della Sicilia

a stagione turistica di Cinisi, località a pochi chilometri da Palermo e Monreale da una parte e da Segesta ed Erice dall’altra, non si conclude a settembre. Anche nel periodo invernale, grazie al clima mite siciliano e con la favorevole prossimità dell’aeroporto di Palermo, il territorio offre itinerari gradevoli fra la natura e la cultura della regione. «Cinisi – spiega Gioacchino Azzolini – ha una posizione felicissima: la si sceglie per il relax della spiaggia Magaggiari di sabbia bianca, per poi apprezzarne la strategicità come base per raggiungere tutte le principali località di interesse storico e artistico della parte occidentale dell’Isola, scoprendo, lungo il percorso, caratteristici paesi di campagna e suggestive borgate marinare; è così possibile visitare il famoso castello della baronessa di Carini o le antiche tonnare disseminate lungo la costa o ancora le saline e i filari dei vigneti che si affacciano sul mare». Gioacchino Azzolini, da una vita albergatore, nel 2011 ha ricevuto

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Gioacchino Azzolini insieme al figlio Giancarlo, titolari del Palm Beach hotel di Cinisi

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da Confesercenti il premio “Imprese nella storia”, a celebrazione della sua lunga attività nel settore turistico. Iniziato insieme ai fratelli nel 1965 nel Nord Italia e dal 1974 tornati nella loro natia Sicilia, acquistano un terreno a Villagrazia di Carini, per realizzare un complesso alberghiero. Nel 1985 acquistano un altro immobile, creando il Palm Beach hotel di Cinisi, che già da qualche tempo è gestito dai figli di Gioacchino, Giancarlo e Roberto. «Vincere questo premio mi ha ripagato in parte per quello che ho fatto in tanti anni, non solo per l’azienda, ma per il turismo in generale. Ho sempre cercato di portare avanti, con la categoria e le categorie collegate, l’idea di fare sistema per uno sviluppo complessivo. Le potenzialità della Sicilia, a livello di offerta turistica, sono enormi, però rimangono spesso inespresse. Auspico ancora una convergenza fra categorie e istituzioni, che favorisca una visione di insieme che non può che andare a favore di tutti gli operatori. Perché tutto quello che si investe nel turismo porta sempre benefici per l’intero territorio». www.palmbeachhotel.it

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NELL’ABBAZIA

di LUCA CAVERA

Filari di viti sospesi fra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Un’abbazia dove ristorare l’anima, sorseggiare ottimi vini e assaporare i piatti della cucina tipica siciliana

el magnifico paesaggio collinare che circonda Castelbuono, proprio sopra le spiagge di Cefalù, sorge l’Abbazia Santa Anastasia, che unisce un Relais e una cantina. Qui si respirano i profumi inebrianti dei filari di viti che circondano l’abbazia e gli odori provenienti dalle cucine del ristorante del relais: La corte dell’abate. «I nostri piatti – spiega Aurelia Amico, responsabile alberghiera – si rifanno alla migliore tradizione siciliana e in particolar modo alla cucina tipica. Come il cotto di suino nero delle Madonie su insalatine e funghi,

N Aurelia Amico, responsabile alberghiera, e lo chef Antonio Bonadonna del Relais Santa Anastasia di Castelbuono (PA)

preparato con cura e aromatizzato con spezie che richiamano gli odori e sapori dei monti madoniti. Questo piatto viene servito con uno dei prestigiosi vini della cantina Abbazia Santa Anastasia: il Sensoinverso Nero D’Avola Biodinamico – da uve coltivate in loco. Un rosso rubino dai riflessi violacei, bouquet deciso ed etereo con profumi di lamponi e ciliegia misti a quelli di rosa e viola, che offre una persistenza gradevolmente lunga e stimola l’assaggiatore a berne un altro sorso». Allo spettacolo della tavola, si unisce quello dell’orizzonte. «La vista, dalle nostre camere, si apre sul cielo azzurro, sul verde delle colline vitate e sul blu del mare, profondo e di sacrale venerazione, capace di regalare forti sensazioni, con le isole Eolie che vi si distendono solennemente. Il fascino intrigante dell’abbazia è massimo alla sera, quando il cielo limpido vi avvolgerà e soltanto i piaceri della tavola vi strapperanno dalla contemplazione». www.abbaziasantanastasia.it www.santa-anastasia-relais.it

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Targa Florio

Da Termini Imerese alle Madonie

LA SICILIA DEI FLORIO

di FRANCESCO BEVILACQUA

Una delle gare automobilistiche più famose del mondo, cantine di pregiato Marsala, villini liberty e immense tonnare: ancora oggi le tracce della famiglia Florio segnano l’Isola lasciando una testimonianza indelebile. Salvatore Requirez ci accompagna alla loro scoperta

ontornata dallo sfavillante scenario della Belle epoque siciliana, fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo si svolse l’epopea di una delle dinastie più conosciute e influenti dell’Italia meridionale. La racconta lo storico Salvatore Requirez, autore di diversi libri sull’argomento: «L’impero economico della famiglia Florio, che si sviluppa per circa 150 anni nella storia industriale del nostro Paese, conobbe un picco di ricchezza commerciale nei primi anni Settanta dell’Ottocento, quando Ignazio Florio acquisì il monopolio della Marina mercantile del nuovo Stato, fondando la Ngi, inglobando la Rubattino di Genova. Nell’immaginario collettivo, il periodo più fulgido dei Florio è animato dalla vita mondana di Ignazio jr. e della moglie Franca, celebrata da d’Annunzio, Boldini e altri artisti internazionali». Se dovesse scegliere i due luoghi che meglio rappresentano la storia dei Florio a Palermo a quali penserebbe? «In piena stagione liberty si collocano due principali topos della Palermo di inizio Novecento, di-

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venuta grazie ai Florio crocevia di interessi culturali e nuovi itinerari turistici: il primo è Villa Igea, opera eclettica del palermitano Ernesto Basile, maestro dell’art nouveau all’italiana, lo stesso che curò nell’attuale versione l’aula di palazzo Montecitorio a Roma. La villa, nata come sanatorio, per-

chè la primogenita dei Florio era affetta da tubercolosi, venne presto trasformata in albergo di extralusso tra i più famosi d’Europa, grazie anche all’incantevole posizione a strapiombo sul golfo di Palermo e alla ricercatezza dei servizi offerti. Pregevole la sala da tè affrescata da Ettore de Maria Bergler in cui, coi flessuosi stilemi del liberty più autentico, vengono descritte a pieno perimetro le fasi che dalla notte portano al giorno attraverso la rappresentazione dei Floralia, celebrazioni ludiche di antica memoria. L’altro luogo è il villino di Vincenzo Florio di via Regina Margherita, un esempio di fiabesca realizzazione liberty. dove i caratteri del modernismo si fondono a quelli della tradizione architettonica siciliana di estrazione medioevale. Fu recensito nelle maggiori riviste del settore fin dall’epoca del suo progetto e frequentato dalle principali teste coronate dell’epoca, com-

Targa Florio

Salvatore Requirez, autore di diversi libri sulla Targa e sulla famiglia Florio editi da Flaccovio Editore

Nel cuore di Palermo Situato proprio di fronte al celebre Teatro Politeama, in una delle piazze più ammirate del centro di Palermo, l’Hotel Politeama dispone di 94 camere di cui 5 Superior e 8 Junior Suite, tutte con moderni comfort. Offre ai suoi ospiti anche un’elegante area caffetteria e sale riunioni attrezzate da 50 e 100 posti in grado di soddisfare le esigenze della clientela business. L’Hotel Politeama è a breve distanza dalla stazione marittima e dalla spiaggia di Mondello e, oltre ai vantaggi di un soggiorno nel centro storico di Palermo, offre tutti i servizi di un modernissimo albergo.

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presi i reali d’Inghilterra e di Germania». La Targa Florio è una delle eredità più conosciute lasciate dalla famiglia Florio e dal suo ideatore Vincenzo. Può spiegare come nacque l’idea e descrivere la storia e i luoghi di questa manifestazione? «Vincenzo Florio intuì, prima ancora di Marinetti, i temi del Futurismo inneggianti alla nuova dea, la velocità, che stravolgeva gli antichi costumi legati a una civiltà mossa dalla trazione animale. Rapiditas è, infatti, il nome di una lussuosa rivista, frutto del lavoro dei migliori cartellonisti dell’epoca in cui si celebravano le imprese dei pionieri del nuovo sport che scoprirono in Sicilia un fresco teatro di sfida. La gara era veramente innovativa perché superava il concetto di corsa da città a città, come si usava allora, e introduceva un tracciato magnifico, che andava dal mare di Termini ai nevai

delle più alte Madonie. Proprio la ricchezza culturale del percorso individuato da Florio fu alla base del suo successo, non solo turistico: si passava dall’acquedotto di epoca romana alle terme ellenistiche, alle torri arabe e ai palazzi svevi o bizantini, alle chiese barocche mai viste prima e che costituirono un’autentica sorpresa per quanti ritene-

Da Termini Imerese alle Madonie

Tra storia e panorami mozzafiato Situato su un promontorio da cui si gode una stupenda vista sulla baia di Letojanni e sulle coste calabresi, il President Hotel Splendid, a 4 minuti dal centro storico, sorge all’interno di una struttura di grande fascino. È nato infatti dalla ristrutturazione di un antico monastero, ricco di giardini e terrazzamenti, che permettono di godere di panorami stupendi, ed è l'ideale per una vacanza tranquilla e allo stesso tempo ricca di mondanità. L'hotel dispone di 54 camere di diverse tipologie, un ristorante panoramico, ampie terrazze - solarium vista mare, piscina all’aperto, giardino mediterraneo con frammenti della cultura Romana, ampio salone con bar e pianoforte. Inclusi nella tariffa di pernottamento: colazione continentale a buffet e l’accesso alla piscina e al solarium.

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Targa Florio

Da Termini Imerese alle Madonie

A destra, ritratto di donna Franca Florio, opera di Giovanni Boldini

Il periodo più fulgido dei Florio è animato dalle mondane gesta di Ignazio junior e della moglie Franca 78 • Mete Grand Tour

vano il paesaggio Sicilia fatto solo di sassi e fichidindia. Per tutto il secolo scorso la Targa Florio, disputata dalle case e dai piloti più importanti del mondo, divenne appuntamento irrinunciabile non solo per l’attesa presso gli addetti ai lavori, ma anche perché inserita in un programma di attività culturali denominato “primavera siciliana”, curato dallo stesso Vincenzo Florio». Fra le attività della famiglia Florio spicca la produzione di vino, in particolare del Marsala. Può descrivere la realtà delle Cantine Florio, ancora oggi attive? «Risalgono all’insediamento produttivo voluto dai Florio nella contrada Inferno di Marsala.Alla stessa stregua di imprenditori inglesi insediatisi lì sin dai primi dell’800, Ingham,Woodhouse,Whitaker per avviare una produzione di vino liquoroso che reggesse bene le lunghe tratte marinare e offrisse una valida alternativa all’abusato gusto del Madeira, i Florio attivarono un filone che provvedevano a distribuire nei mercati del mondo attraverso le loro navi. In mezzo secolo diventarono la principale azienda del settore, pluripremiata a livello internazionale, grazie anche al sapiente apporto di tecnici ed enologi di scuola francese. Imbattibili nell’azione di marketing e nella propaganda, mediata anche da parallele iniziative sportive e culturali, le Cantine Florio dovettero la loro fortuna, secondo alcuni, alla formidabile forza del marchio: un leone che beve. In realtà il leo bibens era il vecchio simbolo della drogheria nel cuore di Palermo da cui si mosse la fortuna dei Florio. È un leone febbricitante che beve da un rigagnolo l’acqua intrisa dalla corteccia delle piante di china. Proprio il chinino era un antipiretico che, finemente molito, si vendeva in quella drogheria che allora fungevano da farmacia». La Tonnara Florio del porto dell’Arenella è uno dei simboli della famiglia, quali sono le sue caratteristiche e che tipo

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di struttura è oggi? «Nell’ambito della tonnara dell’Arenella, borgata marinara alle porte di Palermo, Vincenzo Florio, nel 1844, fece costruire dall’architetto padovano Carlo Giachery una residenza estiva oggi nota come Villa dei Quattro Pizzi, per via delle colonnine appuntite che ne segano gli angoli sul muro d’attico. È uno dei più vividi esempi del Gothic Revival che imperversava in quegli anni e che tanto successo riscosse tra i nobili visitatori dell’epoca. Tra tutti, lo Zar Nicola I, nel 1845, ne restò tanto ammaliato da volere una copia perfetta dei decori interni, ricchi di inserti e miniature raffiguranti le gesta dei paladini, ancora oggi perfettamente conservati, nella sua residenza russa, che chiamò Sala Arenella. Fu l’unico bene immobile che riuscì a salvarsi dalla sventura economica che cancellò i Florio dal panorama finanziario inter-

Targa Florio

nazionale. Dotata come allora di un giardino interno, oggi è abitata da Silvana Paladino, consorte dell’erede morale dell’ultimo dei Florio, che cura l’attento mantenimento e la apre per attività a sfondo sociale e culturale». Sempre alla lavorazione del tonno, ma non solo, è legata la presenza dei Florio a Favignana. Cosa è rimasto oggi sull’isola a

Da Termini Imerese alle Madonie

Il calore dell’accoglienza siciliana Sentirsi a casa propria nel centro della Palermo più antica. È ciò che si prova alloggiando al Bed & Breakfast Florio, a pochi passi dal Borgo Vecchio e dal Teatro Politeama. La struttura dispone di quattro stanze doppie, tre matrimoniali e una con letti singoli, tutte studiate per offrire all’ospite il massimo del comfort, con infissi ad alto isolamento termico e acustico, televisori di ultima generazione, climatizzatore indipendente, frigobar e internet wireless. Il risveglio, al Florio, è particolarmente piacevole, grazie alla colazione che, adeguata alle esigenze e ai gusti dei singoli ospiti, comprende sempre qualche tipico prodotto siciliano. Offrire un servizio di qualità oltre che una struttura adatta alle necessità del turista è l’obiettivo principale del B&B Florio, che dà la possibilità di trascorrere un piacevole soggiorno in Sicilia in ogni periodo dell’anno.

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Vivere le Madonie in tutte le stagioni L'Hotel Ristorante Pomieri si trova in un luogo di rara bellezza, è infatti ubicato nel cuore del Parco delle Madonie (Piano Battaglia - 1572 m), circondato da cime ghiacciate, foreste, valli, racchiuso da quattro versanti totalmente diversi tra loro. A 4 km si trova la stazione sciistica di Piano Battaglia, mentre a 6 km si trova il Parco Avventura, dove è possibile svolgere attività all’aria aperta. La cucina tipica e l’accoglienza del personale rendono l’Hotel Ristorante Pomieri il luogo ideale per trascorrere piacevoli momenti in un contesto di grande suggestione.

HOTEL RISTORANTE POMIERI Contrada Pomieri - Piano Battaglia - Petralia Sottana (PA) Tel. 0921 64.99.98 - Cell. 333 27.45.118 www.hotelpomieri.it - hotelpomieri@live.it

ricordare la famiglia? «Non solo Favignana, Ignazio Florio acquisto per poco meno di tre milioni di lire tutte e quattro le isole Egadi dai marchesi Rusconi di Bologna e dai marchesi Pallavicini di Genova, che ne erano da secoli proprietari a seguito del compenso ricevuto a parziale copertura del credito goduto nei confronti della Corona di Spagna per il sostegno fornito all’Invincibile Armata. Ancora oggi l’isola è pregna del verbo dei Florio, che avevano fatto di quelle terre brulle un distretto industriale fortissimo. Nella piazza principale di Favignana si erge la statua del munifico imprenditore mentre a poca distanza si alza il Castello, la residenza patronale disegnata da Giuseppe Damiani Almeyda, lo stesso architetto del Teatro Politeama di Palermo. Ma è nelle imponenti strutture delle tonnare di terra che si coglie ancora vivo il fascino di un’epoca. Mira-

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bile esempio di archeologia industriale sono capannoni, malfaraggi, forni depositi e rimesse restaurati con perizia, che restituiscono l’atmosfera del tempo in cui in una sola stagione si riuscivano a lavorare diecimila tonni che venivano, in loco, puliti, tagliati, cotti, inscatolati, affogati nell’olio d’oliva e sterilizzati. Furono i Florio a produrre per primi il tonno in scatola sott’olio, soppiantando l’antica pratica che voleva la sua conservazione affidata solo alle botti sotto sale. Fu proprio la produzione del tonno quella che resistette più a lungo tra le molteplici attività dei Florio a dissesto economico avanzato, assicurando fino alla fine lauti guadagni con la benedizione di quanti - rais, manovalanze, cordari e pescatori - trovavano lì un lavoro per tutto l’anno, che culminava nella stagione delle mattanze, spettacolare e sanguinosa fase di pesca di origini antichissime».

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“SOFFIO” DI MEMORIA

di ADRIANA ZUCCARO

Tra le acque di San Vito Lo Capo, una sola frazione di secondo decretava il vincitore della gara di nuoto. Era questione di un soffio. Così il professore Antonino Zichichi inizia un viaggio a ritroso verso gli anni trascorsi a Trapani


Trapani

Antonino Zichichi

alle acque cristalline che bagnano le spiagge di San Vito Lo Capo ai borghi medievali che dal monte Erice guardano giù verso la costa, passando per le antiche strade della città di Trapani, si possono osservare le torri, la passeggiata lungomare e le tante e bellissime chiese lì custodite da secoli. Ma a chi decide di visitare Trapani, il professore Antonino Zichichi, fisico trapanese di fama internazionale, suggerisce innanzitutto di passeggiare per la città senza fretta e di sostare per gustosissimi “peccati di gola”. Il professore emerito di fisica superiore dell’Università di Bologna, descrive un viaggio a ritroso verso Trapani e i luoghi della sua infanzia, tra le città in cui la sua ricerca scientifica ha trovato nuove fonti, laboratori e riconoscimenti, per tornare infine a Erice, la città scelta per la Fondazione e Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana. Immaginando un viaggio quasi “prou-

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stiano” verso mete per lei memorabili, quali luoghi eleggerebbe per raccontare la sua infanzia, adolescenza e maturità? «La splendida spiaggia di San Vito Lo Capo è un fotogramma indelebile nella mia memoria d’infanzia. Ricordo quando da bambino potevo letteralmente “toccare” i pesci che arrivavano fino a pochi metri dalla riva sabbiosa. Per la mia adolescenza eleggerei Erice che ancora oggi conserva il fascino delle sue origini. La maturità mi ha portato in giro per diverse città del mondo tra cui Manchester, Londra e Ginevra». Quali percorsi suggerirebbe a chi intende visitare Trapani? «Trapani è una città ricca di opere artistiche splendide. La più bella è per me la statua in marmo della Madonna di Trapani. La città è poco conosciuta pur essendo ricca di tesori ambientali com’è la Loggia nel vecchio centro. A chi intende visitare Trapani vorrei suggerire di programmare un mini tour di almeno tre giorni. La fretta è nemica

Antonino Zichichi, fondatore del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana con sede a Erice. In apertura, spiaggia di San Vito Lo Capo

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Trapani

Antonino Zichichi

delle meditazioni. E di osservare, senza fretta, le strade della Giudecca, le torri, la passeggiata lungomare partendo dalla famosa torre di Ligny fino alle tante e bellissime chiese della città». A quali “peccati di gola” induce la cucina trapanese? «Per apprezzare la nostra buona tavola basterebbe gustare un buon piatto di spaghetti al pomodoro con melanzane fritte e le anguille marinate. Ma a chi si reca a Erice consiglierei una sosta al ristorante Edelweiss, dove si mangiano due piatti unici al mondo: il couscous allo (scorfano) e la caponata. A San Vito Lo Capo, invece, i due ristoranti da me preferiti sono Alfredo e Ghibli. Nel primo, non rinun-

cio mai agli spaghetti alle vongole e ai gamberetti fritti; nel secondo, invece, la spatola alla Ghibli e gli spaghetti ai ricci di mare rappresentano il piatto forte della cucina locale. Poi i vini, l’olio e le mandorle della campagna trapanese, così come i pesci del mare di Trapani, sono per me autentiche meraviglie». Perché ha scelto Erice come sede della sua fondazione scientifica? «Perché è la città dei miei avi. Erice, per volere di Federico II, fu il primo agglomerato urbano cui venne dato il privilegio di essere città, poi governata per sette secoli da cinque famiglie tra cui Zichichi e Majorana. Erice era un piccolo impero. Quando, con l’unità di Italia perdette tutto, la famiglia Zichichi si

Capolavori di arte dolciaria Da oltre 100 anni la Pasticceria Vivona addolcisce i palati più raffinati con prelibatezze frutto dell’antica tradizione pasticcera siciliana. La creatività dell’attuale titolare, Francesco Vivona, permette inoltre di proporre anche dolci innovativi come le richiestissime torte decorate a mano. Le materie prime, scelte e selezionate personalmente dallo stesso Francesco, vengono elaborate dalle mani esperte dei pasticceri che, sotto la guida del titolare, creano i dolci, le creme sopraffine, i pandori, i panettoni e le colombe pasquali, rigorosamente artigianali. Non mancano infine le specialità siciliane più conosciute: i cannoli, impastati con vino stravecchio, la cui scorza avvolge un ripieno di ricotta freschissima e praline di cioccolato, o la cassata siciliana, i frutti di marzapane (martorana) modellati e dipinti a mano, gli stuzzicanti pasticcini di mandorla o i biscotti piccanti, i cui ingredienti principali sono farina, pepe e olio extravergine d’oliva della Nocellara del Belice.

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Qui sopra, in senso orario, torre di Ligny, dettaglio via Giudecca, Blackett Institute (ex Chiesa San Domenico); a destra, l’International Space Station


Trapani

trasferì in parte a Trapani e in parte a Palermo e la famiglia Majorana a Palermo e a Catania. Ettore Majorana nacque a Catania e fu allievo di Fermi che lo definì “genio a livello di Galilei e Newton”. E infatti, ancora oggi, i neutrini di Majorana sono al centro dell’attenzione scientifica mondiale. Eppure Majorana era passato nel dimenticatoio nazionale. Quando nel 1962 a Ginevra riuscii a far nascere per decreto del direttore del Cern, il grande Victor Weisskopf, il centro che porta il nome di Majorana, furono in molti ad accusarmi di campanilismo scientifico. Adesso il valore di Ettore Majorana, grazie al Centro, è fuori discussione. Ritengo a proposito che né

Erice, né Trapani, né la Sicilia debbano perdere la memoria dei suoi grandi figli come fu Ettore Majorana. E infatti “senza memoria non potrebbe esistere né la civiltà né la Scienza” diceva Enrico Fermi».

Antonino Zichichi

Ospitalità e sapori tipici In contrasto con il suo nome, l’Hotel Moderno Erice è il più antico albergo della cittadina medievale di Erice. E, forte della lunga storia, accoglie gli ospiti con calore familiare e professionalità. Nell’ampia terrazza, così come nel resto del Ristorante del Buon Ricordo, si possono gustare le pietanze tipiche della zona cucinate con maestria. Tra le specialità siciliane proposte spiccano il cous cous, la pasta al nero di seppia, l'aragosta, il pesce spada, la cassata. A disposizione degli ospiti, inoltre, il wine bar Tavernetta dove rilassarsi gustando un drink o uno spuntino.

HOTEL MODERNO ERICE Via Vittorio Emanuele, 63 Erice (TP) Tel. 0923 86.93.00 Fax 0923 86.91.39 www.hotelmodernoerice.it info@hotelmodernoerice.it

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Una “terrazza” su San Vito Lo Capo Situato sulla via principale del paese, vicino al centro e a soli 800 metri dalla spiaggia, l’Hotel Helios gode di una meravigliosa veduta panoramica sulla cittadina di San Vito Lo Capo. La struttura, di nuovissima costruzione, si articola in pianterreno e primo piano, per un totale di venti stanze, tutte ampie e luminose, tre delle quali sono suite. Ampi anche gli spazi comuni, dotati di servizio wi–fi gratuito, tra i quali particolarmente suggestivo è il solarium con vista panoramica sul centro abitato. L'albergo mette a disposizione degli ospiti una spiaggia privata, attrezzata con ombrelloni, sdraio e lettini, raggiungibile mediante un servizio gratuito di navette dell’hotel.

HELIOS HOTEL Via Savoia, 299 91010 San Vito Lo Capo (TP) Tel. 0923 97.44.18 - Fax 0923 62.17.85 Cell. 335 82.11.416 www.sanvitohelioshotel.it info@sanvitohelioshotel.it

Durante gli anni trascorsi a Trapani, cosa le ha ispirato un progetto o un’invenzione? «Quando ero ragazzo facevamo gare di nuoto in cui si poteva arrivare per un “soffio” a vin-

cere o a perdere. Questo “soffio” era una frazione di secondo. Vent’anni dopo, un altro “soffio” venne legato alla scoperta dell’antimateria nucleare. Nessuno era mai riuscito a costruire una struttura tecnologica in grado di scoprire se nell’universo subnucleare c’erano o no in volo particelle di antimateria. Il “soffio” necessario non era come quello delle gare nelle acque di San Vito Lo Capo. Stavolta occorreva una precisione miliardi di volte più potente. Ma fu proprio pensando a quelle gare che progettai un circuito elettronico che avrebbe vinto il record mondiale di precisione e che oggi è parte dell’esperimento Antimatter in space, per la ricerca dell’antimateria nello spazio, dell’International Space Station».

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CELEBRIAMO IL COUS COUS di MANLIO TEODORO

Ha trascorso una vita fra le tavole dei ristoranti e la pescheria di famiglia. Franco Billeci è un grande conoscitore del pesce e ha innovato il tradizionale cous cous con nuove ricette

l Cous Cous Fest di San Vito lo Capo, in provincia di Trapani, è uno degli eventi più importanti per la cucina a base di pesce, oltre a rappresentare il festival internazionale dell’integrazione culturale. Protagonista indiscusso dell’evento è il piatto ricco di storia – simbolo di apertura, contaminazione e sincretismo – che fa da tramite fra culture differenti, appartenenti alle diverse sponde del mare Mediterraneo, che si riuniscono a celebrare un momento di alta convivialità proprio a San

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Vito. Popolatissima meta turistica nella stagione estiva, San Vito affonda le sue radici in un passato antichissimo – come mostrano le numerose cavità naturali, un tempo abitate, che si affacciano sul mare –, il nucleo dal quale è nato l’attuale paese è il santuario, un tempo fortezza saracena. Ciò a conferma di questa vocazione alla contaminazione fra le culture. È dunque su questo scenario che da quattordici anni gli chef si sfidano nel proporre la combinazione migliore fra la semola e le differenti varietà di pescato. Fra i protagonisti del festival fin dalla

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Franco Billeci è artefice di piatti come il cous cous con le sarde, quello con il pesce spada e le melanzane, il cous cous allo scoglio e quello ai ricci di mare prima edizione è stato Franco Billeci, ristoratore, gestore di una pescheria a San Vito e lui stesso artefice di piatti come il cous cous con le sarde, quello con il pesce spada e le melanzane, il cous cous allo scoglio e quello ai ricci di mare. «In occasione della prima stagione del festival, nel 1998 – racconta Franco Billeci –, sono stato invitato a partecipare alla manifestazione come riconoscimento per avere innovato il tradizionale cous cous di pesce. In realtà, il grande cous cous con zuppa di pesce è una ricetta che ho appreso da mia madre, che anche lei gestiva un ristorante qui a San Vito». Franco viene infatti da una famiglia che per tradizione è legata al mare e ai suoi prodotti, ma soprattutto alle diverse ricette che ne esaltano i sapori. «Ho visto crescere questa città insieme al turismo. Chi viene qui cerca il

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mare, ma anche il buon pesce. La mia vita è sempre stata dedicata alla ristorazione e al commercio del pesce, prima insieme al resto della mia famiglia, in seguito ho creato un mio ristorante, Al Delfino, nel quale propongo le mie ricette e i miei menù. Ho sempre creduto nel potenziale di San Vito. Il suo mare cristallino e la spiaggia bianchissima ne fanno una vera e propria perla del Mediterraneo. Basti pensare che la cittadina è stata inserita fra le 300 località con le spiagge più belle d’Italia dalla Guida Blu del Touring Club Italiano. Questo riconoscimento rappresenta un’ulteriore garanzia per chi vuole visitare questo luogo anche per le sue bellezze naturali oltre che per l’ottimo pesce che si può gustare».

Ristorante Al Delfino di San Vito Lo Capo (TP)

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www.aldelfino.com

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IL MARE NEL CENTRO STORICO di ADRIANA ZUCCARO

Punta lo sguardo verso le isole Egadi e si protegge ai piedi del promontorio di Erice. Un caleidoscopio di storia, bellezza, tradizione in cui il mare fa da specchio, anche nel centro storico. A descrivere le atmosfere di Trapani è il sindaco Girolamo Fazio


al vecchio mercato del pesce, lungo le antiche mura del bastione imperiale, dopo aver incontrato sulla punta estrema la seicentesca torre di Ligny, il paesaggio offerto dalla costa di Trapani dirige lo sguardo verso il suo porto, lì dove è possibile ammirare in lontananza le sagome delle isole Egadi e l’ambiente incontaminato che le circonda. Con una configurazione a doppia falce che si protende nel mare, quasi a dividere il Tirreno dal Mediterraneo, Trapani fa tutt’uno con le acque che la bagnano. Per questo Girolamo

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Fazio, al suo secondo mandato da sindaco, quando descrive la sua Trapani afferma con orgoglio: «Il mare in centro storico, davanti a palazzi monumentali e a tracce vivide della nostra storia, crea atmosfere paesaggistiche difficilmente rintracciabili altrove». Ed è ancora il primo cittadino a svelare gli scorci urbani, le tradizioni, i colori e i sapori tipicamente trapanesi nonché quel caleidoscopio di bellezze e risorse custodite dalla costa occidentale dell’Isola. Quali scorci della città sono da non perdere? «Il litorale nord, con la passeggiata sulle antiche mura di tramontana e la splendida spiag-

Trapani

La città tra due mari

Girolamo Fazio, sindaco di Trapani dal 2001. In apertura, panoramica del centro cittadino, con la chiesa di San Lorenzo

Alla scoperta della Sicilia La posizione dell'Hotel Terra degli Elimi è l’ideale per visitare la Sicilia occidentale e raggiungere in pochi minuti luoghi suggestivi come San Vito lo Capo, la Riserva dello Zingaro, le Isole Egadi, Segesta, Erice. La struttura infatti, su prenotazione, organizza escursioni, anche guidate, con servizio mini bus e itinerari personalizzati. Dispone di otto camere, spaziose e confortevoli, due delle quali accessibili ai disabili, per un totale di venti posti letto. Intimo e familiare, l’hotel offre servizio di pernottamento e prima colazione, proponendo un’abbondante scelta di prodotti tipici della zona.

HOTEL TERRA DEGLI ELIMI Via Palermo, 71- 91012 Buseto Palizzolo (TP) - Tel. 0923 85.50.59 www.hotelterradeglielimi.it - terradeglielimi@gmail.com

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Sopra, una via del centro storico di Trapani. A destra, il tipico pesto alla trapanese a base mandorle, pomodori e basilico


gia riportata alla luce pochi anni fa, è una tappa d’obbligo per turisti e visitatori. Credo che sia un luogo unico che interpreta pienamente l’identità della nostra città: il mare in centro storico, davanti a palazzi monumentali e a tracce vivide della nostra storia, crea atmosfere paesaggistiche difficilmente rintracciabili altrove. È poi imperdibile il complesso storico e architettonico di San Domenico, l’antico convento domenicano che stiamo finendo di restaurare. E ancora il dedalo di vie del centro, con il susseguirsi di splendidi dettagli architettonici, borghi, piazzette e stretti vicoli dal rimando arabeggiante, rappresenta la cartina di tornasole del patrimonio storico cittadino». E il luogo che più la emoziona? «Sicuramente il centro storico. Quando sono

diventato sindaco, era praticamente abbandonato. A poco a poco, negli anni, sono stati attuati interventi di riqualificazione attraverso i quali abbiamo ricostruito il cuore della città, tassello dopo tassello. I colori delle albe e dei tramonti visti dal litorale rubano realmente l’anima». Tra i sapori della tradizione, qual è per lei il piatto trapanese d’eccellenza? «Premettendo che a Trapani la tradizione culinaria è così forte da offrire molti ristoranti all’altezza degli antichi sapori, la mia scelta cade sulla pasta con il pesto alla trapanese: la ricetta antica prevede mandorle e pomodori freschi ma gradisco particolarmente un’aggiunta di patate e melanzane. Di solito accompagno questo gustoso primo piatto con un buon

Trapani

La città tra due mari

Tra mare e cultura L’Hotel Admeto, moderno 4 stelle di nuovissima costruzione e fornito delle più avanzate tecnologie, si affaccia direttamente sul mare di Marinella di Selinute, offrendo una vista spettacolare e suggestiva, unica nella zona, data la posizione panoramica. L'albergo offre 150 posti letto suddivisi in varie tipologie di camere, tutte fornite delle più avanzate tecnologie. Distante soli 300 metri dal mare e dal parco archeologico di Selinunte, e soli 400 metri dalla riserva naturale “Foce del Fiume Belice”, l’albergo è l’ideale non solo per le vacanze al mare, ma anche per visite culturali e naturalistiche. Dispone inoltre di una spiaggia convenzionata dai fondali bassi e sabbiosi completa di ombrelloni, sdraio, lettini e servizio ai bagnanti.

HOTEL ADMETO Via Palinuro, 3 - 91022 Marinella di Selinunte (TP) - Tel. 0924 46.796 - Fax 0924 94.10.55 www.hoteladmeto.it - info@hoteladmeto.it

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Il litorale nord di Trapani, con le antiche mura di tramontana e la spiaggia riportata alla luce pochi anni fa, è la prima tappa che i turisti dovrebbero fare


calice di Syrah, rosso raffinato ma dal carattere forte e inconfondibile». A proposito di tradizioni, questa volta religiose, uno degli appuntamenti classici è la processione dei Misteri, che si svolge da secoli durante la settimana santa. Quali ricordi la legano a quest’evento? «Da bambino percepivo soprattutto il carattere puramente folkloristico della processione, anche se il momento in cui mio padre mi accompagnava a vedere i 20 gruppi scultorei che rappresentano la morte e la passione di Cristo, illuminati dalle prime luci del sole all’alba, mi regalava una magica esperienza di contemplazione emotivamente importante. Negli ultimi anni, da sindaco della città, il mio rapporto con la processione è mutato: ne sono intimamene

coinvolto e la mia partecipazione non è solo istituzionale ma personale». Oltre le risorse storiche, architettoniche, di costumi e di religione, cosa serve a Trapani per divenire una meta turistica tout court? «Fino al 2010 le aspettative di crescita della città sono state fortemente legate al settore turistico, e non sono state deluse, ma il 2011 ha visto un’importante battuta d’arresto. Per riscattare la città, la politica turistica continuerà a puntare sulle infrastrutture e sulla qualità dei servizi che, unitamente a un coinvolgimento sempre maggiore di investimenti privati, possono e devono rappresentare un punto fondamentale affinché i turisti, dopo avere scoperto Trapani per la prima volta, decidano di ritornarci».

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La città tra due mari

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Tutto il gusto della cucina regionale Il Ristorantino del Monsù, intimo e accogliente, si propone di valorizzare i sapori della cucina italiana, in particolare regionale, puntando sulla qualità dei prodotti locali. Tra le specialità che si possono degustare lo chef Fulvio Papagallo consiglia le busiate, tipica pasta fresca trapanese, in salsa aurora e aragosta o con bottarga di tonno e vongole, i tagliolini ai ricci di mare o con crema di zucchine e scampi; il turbante di spigola con patate al rosmarino; il filetto di orata in crosta di mandorla; i gamberoni di Mazara del Vallo grigliati al pistacchio di Bronte. La carta dei vini offre un’ampia scelta di ottimi vini locali che si sposano con i piatti della cucina, quali: Planeta - Chardonnay; Firriato - S. Agostino; Fazio - Muller Thurgau; Maurigi -Terre di Sofia; Feudo Arancio - Chardonnay; Brugnano Lunario Catarratto.

IL RISTORANTINO DEL MONSÙ Piazza Petrolo, 2 - 91014 Catellammare (TP) Tel. e Fax 0924 53.10.31 - Cell. 348 63.94.166 ristorantinodelmonsu@gmail.com

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LA CITTÀ DEI MUSEI di LEONARDO TESTI

I festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia hanno accompagnato il proliferare di nuove proposte culturali a Salemi


alemi, prima capitale d’Italia, ha conosciuto una nuova popolarità mediatica da quando, nel 2008, Vittorio Sgarbi ha ricoperto la carica di sindaco. Le iniziative del critico d’arte ferrarese fanno sempre fatto discutere l’opinione pubblica, ma l’offerta culturale ne ha tratto sicuro giovamento, favorendo anche la promozione turistica della località. Diversi sono i musei voluti da Sgarbi, riuniti nel polo di via D’Aguirre nel centro storico di Salemi. Quello più interessante è il Museo della Mafia, che utilizza il linguaggio dell’arte per trattare il tema in modo provocatorio e non

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convenzionale. Solo questo museo ha fatto staccare nel 2011 – dato aggiornato fino all’11 ottobre – 13.792 biglietti d’ingresso per un valore di 40.327 euro. Biglietti che vanno a sommarsi ai 20.560 emessi nel 2010 (il museo ha aperto i battenti in maggio). «Con le somme incassate – spiega Vittorio Sgarbi – in pratica abbiamo ripagato le spese di allestimento. Il museo indica con una linea netta ciò che la mafia è stata. Abbiamo pensato a un museo perché vogliamo immaginare la mafia morta, sconfitta. Del

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Sublimi accostamenti di sapori Una cucina tipicamente marinara, arricchita dalle ricette “personalizzate” dello chef Pietro Sardo. Al Ristorante La Bettola il pesce, pescato di giornata, predomina nei menù. A partire dagli antipasti tra i quali, oltre al pesce marinato, primeggia la freschissima insalata di pesce con aragosta agli agrumi (nella foto), che coniuga il sapore delicato di pesci e crostacei con l’aroma dolce – aspro della frutta. Tra i primi piatti, si propongono abbinamenti singolari, come i tortelIoni con ripieno di triglia e ricotta o i moscardini con pomodorini Pachino e bottarga di tonno. Tra i secondi, da non perdere il pesce San Pietro con le patate oppure la cernia con i carciofi e il dentice al sale. A pranzo e a cena non mancano i dolci, tutti di produzione propria, come la tradizionale cassata siciliana biologica: la pasta reale viene infatti preparata in cucina, colorata poi con estratti naturali, come il pan di Spagna e i canditi.

RISTORANTE LA BETTOLA Via F. Maccagnone, 32 - 91026 Mazara del Vallo (TP) Tel. 0923 94.64.22 - Cell. 339 28.58.541 www.ristorantelabettola.it - ristorantelabettola@hotmail.it

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Il meglio della cucina mediterranea Situato nel cuore della città, nella kasbah, cioè nella Mazara araba, a pochi passi dal Museo del Satiro danzante e dalla prestigiosa Piazza della Repubblica, il Palazzo vescovile e il Seminario con il Museo diocesano, il Ristorante Alla Kasbah è rinomato soprattutto per la particolarità dei suoi menù: gli sfiziosi antipasti della casa, il cous cous di pesce o di agnello o di verdure, le busiate con uova di pesce spada e mandorle, i bucatini alle sarde, il tonno in agro-dolce, i calamari al gratin, i dolci tipici, nonché una carta dei vini ricca di pregiate etichette siciliane.

RISTORANTE ALLA KASBAH Via Itria, 10 - 91026 Mazara del Vallo (TP) Tel. 0923 90.61.26 allakasbah@hotmail.it

resto, si fa un museo dell’Olocausto non perché ci sono ancora i nazisti e i campi di concentramento, ma per dire che occorre prendere le distanze dal male. Ecco, il nostro Museo della Mafia significa questo: prendere le distanze dalla mafia, dal male. Le mie idee, da questo punto di vista, sono specchiate nel pensiero di Sciascia». Il Museo della Mafia è stato riproposto nel 2011 all’interno del Padiglione Italia della Biennale d’Arte di Venezia, curato proprio da Sgarbi. E il critico d’arte ha portato anche in Sicilia una coda dell’atto finale dell’evento, tenutosi da metà dicembre fino alla fine di gennaio a Torino: dal 28 di102 • Mete Grand Tour

cembre è in mostra, infatti, a Salemi il “Ritratto di Ludovico Grazioli” di Lorenzo Lotto, uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano. Negli spazi espositivi del polo trovano posto anche il Museo del Risorgimento, riaperto al pubblico l’11 maggio 2010, in occasione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, testimoniando la partecipazione di Salemi al processo di unificazione e allo sbarco di Garibaldi e dei Mille in Sicilia, e il Museo del Paesaggio, il primo in Italia, che ospita la mostra permanente del Fai, “Paesaggi d’Italia”, con gli scatti inediti di Renato Bazzoni. A questi si affianca il Museo di Arte sacra, che accoglie le opere d’arte provenienti dalle chiese distrutte o danneggiate dal terremoto del 1968.

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LA MISTICA DI PARAVATI

di PAOLO BIONDI

Il turismo religioso è in forte espansione in Italia. Un mercato che muove nel nostro paese circa 4 miliardi di euro l’anno. Tra le mete più singolari scopriamo Paravati, un piccolo centro calabrese. Vincenzo Varone ne spiega le caratteristiche

grandi eventi mariani portano ogni anno a Paravati di Mileto, un piccolo centro in provincia di Vibo Valentia, migliaia di pellegrini. Il turismo religioso in questo paesino è ancora molto attivo dopo la morte, avvenuta due anni fa, della mistica Natuzza Evolo, la quale avrebbe avuto apparizioni di Gesù e della Madonna. Su di lei le posizioni sono discordanti, da una parte molti fedeli la considerano già una santa, dall’altra la Chiesa che dopo una diffidenza iniziale sembra aver cambiato posizione. Luigi Renzo, at-

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tuale vescovo della diocesi di Mileto, ha riaperto su di lei l’inchiesta diocesana, primo passo per la beatificazione. Anche il Cicap, comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, si è occupato di questo caso dando forza alle tesi degli scettici. «Il messaggio di Natuzza però qui è vivo, forte e chiaro - sottolinea Vincenzo Varone, sindaco di Paravati - un messaggio di fede e di speranza che coinvolge tutti». Per chi non conosce Paravati, quali luoghi si possono visitare per scoprire la storia di Natuzza Evolo? «Ovviamente la sede della fondazione, dove è in fase di realizzazione il grande santuario mariano fortemente voluto da Natuzza; la casa dove la mistica ha vissuto, da sposa e madre, per oltre quarant’anni con tutta la sua famiglia; la sua casa natale nel cuore storico di Paravati; il centro per anziani “mons. Colloca” dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita; la chiesa della Madonna degli Angeli dove per oltre cinquant’anni è stata presente a tutte le cerimonie religiose. Luoghi questi che sono il segno vivo della presenza di Natuzza, insieme

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Turismo religioso

alla sua missione soprattutto verso l’umanità dolente». Quali sono le attività della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime?

«La realizzazione della grande chiesa voluta da Natuzza; la diffusione dei cenacoli di preghiera presenti in ogni parte del mondo, la realizzazione e la gestione di strutture di accoglienza per giovani e anziani; la diffusione del messaggio della grande mistica con le stimmate. Inoltre la formazione dei giovani, ma anche e soprattutto la massima attenzione verso le categorie più deboli. Infine, la realizzazione e la promozione dei grandi eventi mariani che ogni anno portano a Paravati di Mileto centinaia di migliaia di pellegrini. Un impegno costante quello della fondazione sulla scia delle volontà di Natuzza Evolo che durante tutto l’arco della sua vita ha dato conforto e speranza a milioni di persone, giunti fini qui da ogni dove».

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Calda accoglienza e sapori rustici Situato a pochi chilometri da Paravati di Mileto e San Calogero, il Ristorante Pizzeria San Pietro sorge all’interno di un antico rudere ristrutturato in grado di ospitare, in tre sale diverse, oltre 200 persone. Con un preavviso di poche ore, infatti, può accogliere i pellegrini in visita al Rifugio delle Anime di Paravati, ed è inoltre una location adatta a festeggiare eventi e ricorrenze. La cucina offre, oltre alle pizze, specialità a base sia carne che di pesce, tutte preparate con materie prime gustose e genuine. Da non perdere il piatto tipico del locale, le Penne alla San Pietro: penne al ragù di carne, pomodoro, besciamella, coperte di mozzarella e formaggio grattugiato, cotte nel forno a legna e servite direttamente nelle ciotole di terracotta. Perfette insieme a un Cirò Nettare di Abramo De Luca.

RISTORANTE PIZZERIA SAN PIETRO Via S.S. 18 (Km 456) 89842 San Calogero (VV) Tel. 0963 05.12.20 - Cell. 330 35.68.22 www.ristorantepizzeriasanpietro.it

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pvallone@libero.it

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L’ARTE DI EMOZIONARSI di GIACOMO GOVONI

In nessun altro capoluogo italiano il Barocco regala un’esperienza così ricca e coinvolgente. Ma Lecce non è solo arte. È mare, enogastronomia e, soprattutto, rimarca Paolo Perrone, sindaco e guida turistica d’eccezione, “una città da vivere”

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corgere in lontananza un conoscente, farsi incontro con l’intento di stringergli la mano e trovarsi invece stretti in un caldo abbraccio. Reso in una breve sequenza d’immagini, è quanto prova un visitatore al primo incontro con Lecce. Un fremito di iniziale soggezione al cospetto di una città dal patrimonio artistico e culturale di matrice barocca con pochi eguali al mondo, cancellato in pochi istanti dall’atmosfera vibrante e familiare che ti avvolge passeggiando per le strade del centro storico. Lo sguardo “austero” di Sant’Oronzo lanciato sull’omonima piazza, ma anche i profumi seducenti della gastronomia locale. L’anfiteatro romano del II secolo d.C. che immerge il turista nel glorioso passato, ma anche l’illustre Università del Salento a ricordare che Lecce non dimentica di proiettarsi nel futuro. «Prima che da visitare, Lecce è una città da vivere». A fornire la sintesi perfetta dello spirito che anima il capoluogo salentino ci pensa Paolo Perrone. Gli abbiamo chiesto di svestire la fascia tricolore e calarsi nei panni di guida turistica d’eccezione. E il sindaco ha accettato. Esplorando Lecce, cosa non può mancare sul taccuino di un appassionato d’arte e architettura? «Sicuramente non deve perdersi Santa Croce, che è la chiesa più significativa e rappresenta il manifesto del barocco leccese e Palazzo Vernazza, il più antico della città, riaperto al pubblico un mese fa con una mo-

Lecce barocca

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Paolo Perrone

stra fotografica molto interessante del maestro Uli Weber». Al di là del centro storico, quali altre zone della città meritano una visita? «Noi abbiamo 27 chilometri di bellissima costa, con spiagge ben attrezzate nel corso dei mesi estivi che, visto il clima soleggiato, dalle nostre parti sono quasi cinque». Dove porterebbe un ospite per fargli assaggiare i sapori della gastronomia leccese? «Senza citare un ristorante preciso, posso dire che esiste una cucina casereccia presentata a livello sublime in tantissime trattorie del centro storico. E quindi piatti come fave e cicoria, che è un nostro purè di fave con cicorie lesse, o ciceri e tria, condita con i ceci e alcuni fili di pasta fritti, si mangiano ad altissimo livello dappertutto. Per non parlare dei famosi pezzetti di carne di cavallo

In alto, Paolo Perrone. Foto di: Massimino Foto

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Lecce barocca

Dimenticato per decenni, oggi il Sedile è di nuovo tra le massime attrazioni del centro

Paolo Perrone

al sugo, tipica pietanza del Salento». Con quale vino accompagnerebbe questi piatti? «Naturalmente il nostro straordinario Negroamaro. Rosso e di buona gradazione, è un vino molto duttile. Al punto che io, ad esempio, lo bevo anche con il pesce». Cosa ha Lecce che manca ad altre città? «Non so se ad altre città manca qualcosa. Quel che è certo è che Lecce ha un’anima, ovvero attrae non solo perché è bella da vedere, ma anche da vivere. Il Barocco è solo uno dei volti di una città che anche sinonimo di mare, di ottima cucina, di profumi, musica e danza, come la pizzica. Ormai i viaggiatori non scelgono il luogo in cui trascorrere le vacanze solo per semplice turismo, ma per vivere un’emozione. E Lecce propone un’emozione». Quando vuole staccare la spina in quale angolo della città si rifugia? «Faccio una passeggiata nelle viuzze del centro storico, dirigendomi verso due luoghi per me molto significativi: la chiesa greca o le giravolte. Sono due piccoli quartieri che quando io ero ragazzo erano malfamati, off limits, ad alto ri-

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Sul taccuino di un appassionato d’arte, non può mai mancare una visita a Santa Croce 114 • Mete Grand Tour

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Lecce barocca

Paolo Perrone

schio di essere depredati. Oggi sono riqualificati, con immobili privati e pubblici ristrutturati, valorizzati da una pietra viva leccese dai colori straordinari, che risalta in particolare quando ci batte il sole». Quale punto della città la lega a un ricordo particolare? «Uno dei punti che trovo più affascinanti e mi ricordano la mia infanzia è il Sedile, un monu-

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mento del Cinquecento che è stato sede del governo, poi del mercato. Malgrado si trovi al centro della città, e per generazioni abbia rappresentato un luogo cruciale intorno a cui i ragazzi si sono accomodati a chiacchierare, è rimasto dimenticato per decenni. Da un anno lo abbiamo ristrutturato restituendogli la dignità di attrazione culturale tra le più significative della città».

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L’ANTICO FOLCLORE DI MARTINA

di LEONARDO TESTI

Martina Franca vanta tradizioni religiose, artigianali ed enogastronomiche famose in tutta la regione. Lo studioso e storico Angelo Marinò ne ha approfondito un ulteriore aspetto, meno conosciuto ai più, quello della memoria popolare relativa ai riti e alle espressioni della religiosità

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artina Franca sorge nell’entroterra pugliese al confine delle tre province di Taranto, Brindisi e Bari, su un territorio particolarmente vasto che copre una superficie di circa 300 km2. Posta sulle colline sud orientali della Murgia, la città gode di una posizione favorevole che offre splendide vedute sulla Valle d’Itria, dove si ammira l’ambiente caratteristico della Murgia, con i trulli che identificano esempi della tecnica costruttiva della pietra a secco, ancora oggi perfettamente conservati. Angelo Marinò, originario di Statte, docente, studioso e autore di diversi volumi sulla storia di questi territori e sulle tradizioni popolari pugliesi, tra cui Poesia e tradizioni popolari a Martina Franca e nella Murgia dei Trulli (Edizioni Pugliesi), sottolinea la natura di Martina Franca come città di confine tra l’antico Salento e la terra di Bari: “questa posizione geografica tra i due versanti, il bizantino a mezzogiorno e il longobardo a settentrione un tempo, l’otrantino e il barese poi, è stata determinante per la formazione e lo sviluppo di quell’unicum che è oggi l’idioma e la cultura martinese”. La tradizione popolare di Martina Franca, vista in relazione alle culture dei paesi vicini e dell’intera area delle Murge, è stata oggetto di un’indagine filologica da parte di Angelo Marinò, che per il suo volume si è avvalso di fonti scritte e testimonianze orali, nello specifico voci provenienti dal mondo contadino, artigiani o casalinghe provvisti di una cultura scolare di livello primario. «Sono storie e leggende nelle quali si ravvisa una sopravvivenza dell’antica cultura greco-romana – commenta lo stu-

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dioso –. Si tratta di un importante bagaglio culturale che rischia, purtroppo, di andare perduto». Parte fondamentale di questo bagaglio è rappresentato dalla poesia religiosa con storie di santi, preghiere, canti e invocazioni. Largo è il ricorso al Salve Regina e all’invocazione della Madonna del Rosario e al Cristo di Passione. «Molte sono le preghiere a cui le nonne iniziavano i bambini: preghiere recitate in dialetto che scandivano determinati momenti della giornata e del calendario li-

Itinerari pugliesi

Martina Franca

In apertura, un particolare dei celebri trulli. A fianco, il campanile di Martina Franca

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Itinerari pugliesi

Martina Franca

Bastava imboccare i tratturi e fermarsi in un trullo per ricevere un’accoglienza degna di questo nome Scorcio della Valle d’Itria

turgico. La richiesta di aiuto ai santi è un altro motivo significativo: ci si rivolgeva al santo con atteggiamento particolarmente confidente». Nella mistica martinese ricorrono soprattutto i nomi di San Domenico, San Giuseppe, Sant’Antonio, Santa Rita. Centrale è il canto religioso dedicato alla Madonna del Carmine, diffuso in tutto il Salento, mentre i tre santi dimenticati dai martinesi citati da Marinò sono San Biagio, San Trifone e Santo Stefano. Altrettanto interessanti sono le molte tradizioni locali in via di sparizione, tra cui i cerimoniali che regolavano il fidanzamento – priorità per lo sposalizio doveva essere data

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alla maggiore delle figlie femmine della casa – il matrimonio e il funerale. Famosa è “U sciungatidde”, la pratica divinatoria conosciuta anche come il presagio dei dodici giorni: «Residuo delle antiche culture magnogreche, guardava ai primi dodici giorni di dicembre per trarre il presagio per il nuovo anno». Marinò, nel suo testo, rileva la diffusione degli scongiuri, cui la popolazione faceva riferimento per “esorcizzare il male, prevedere il futuro e invocare la protezione divina”. Questi comportamenti erano diffusi tanto a Martina Franca quanto nell’area tarantina e settentrionale barese. Si tratta per lo stu-

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In occasione di San Giuseppe, si allestivano tavole imbandite di prodotti tipici, come pasta e ceci

In alto, un particolare della Chiesa di San Martino. A fianco, la tipica pasta e ceci locale

dioso di “esiti di pratiche pagane” in qualche modo tollerate dal Cristianesimo, che tendeva comunque a canalizzarle e a indirizzarle verso forme di preghiera. “Sopravvivenze pagane” si rilevavano anche nei riti e nelle tradizioni della Quaresima e della settimana santa. Non mancano poi storie legate al patrono della città San Martino, propiziatorio per la stagione agricola e per la crescita dei bambini piccoli. Celebre è anche la tradizione delle tavolate di San Giuseppe: la mattina del giorno del Santo, il 19 marzo, si allestivano tavole pubbliche imbandite di prodotti tipici preparati dagli stessi abitanti, come ad esempio pasta e ceci. Si rinnovava così la devozione popolare che invitava a essere generosi con i viandanti, sfamando al contempo i poveri del paese. Nella cultura martinese fanno capolino, come ricorda Marinò, anche le leggende legate alla figura di Virgilio, a cui è attribuita in Puglia la fama di “mago”, intendendo con questo termine la capacità di realizzare qualsiasi impresa. Per Angelo Marinò servono poche tappe per immergersi nell’atmosfera della Murgia dei Trulli: «Tappa d’obbligo per iniziare a conoscere il territorio è visitare il centro di Martina Franca, ben conservato, mentre per immaginare quella che doveva essere la vita della comunità agricola locale si possono imboccare i tratturi, le vie di campagna, dove una volta risiedevano i contadini. Bastava fermarsi in un trullo per ricevere un’accoglienza degna di questo nome, perché il martinese è davvero ospitale. Immancabile, infine, è la visita alle masserie che puntellano il territorio».

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I sapori della Murgia

IL PATRIMONIO DELLA TERRA

di FRANCESCA DRUIDI

Dal primo al dolce

L’orientamento della gastronomia della Murgia dei trulli e delle grotte è dato dalla preparazione dei prodotti spontanei del territorio, dalla carne e dai primi piatti. Dall’olio e dal vino. A spiegarlo è il giornalista Vito Buono, esperto di enogastronomia pugliese

a Puglia: un’unica regione con zone diverse sotto il profilo orografico e della biodiversità che hanno determinato gastronomie differenti. Da questo presupposto trae significato l’ampio lavoro di Vito Buono che, con Angela Delle Foglie, ha realizzato numerosi volumi (editi da Levante Editori, tra cui A tavola sulla

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Murgia dei trulli) su percorsi, enogastronomici e non solo, che consentono di scoprire l’affascinante territorio pugliese nelle sue varie declinazioni. Se ci si concentra sulla Murgia dei trulli e delle grotte, una delle tre aree in cui è divisa la Murgia barese, si rilevano caratteristiche interessanti: «Rispetto al territorio dell’alta Murgia, incolto, povero di coltivazioni arboree e perciò orientato all’allevamento ovino – spiega Vito Buono – nella Murgia dei trulli il paesaggio si dipinge in maniera diversa. La campagna si presenta come un giardino, in virtù dell’alternanza di piccoli boschi e orti, ulivi, mandorli intramezzati da alberi da frutta, soprattutto ciliegi e nespoli». L’aspetto bucolico è, inoltre, favorito da una proprietà agricola fondamentalmente polverizzata e dall’assenza di grandi estensioni di terreni coltivati a monoculture. «L’edificio rurale più significativo è il trullo, basti pensare ad Alberobello». L’industria artigianale casearia attinge dall’allevamento bovino per i propri prodotti, così come la gastronomia locale per quanto

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riguarda le carni, anche se non mancano preparazioni a base di carne ovina. PRODOTTI A KM ZERO Come sottolinea Buono, ci troviamo in un territorio «particolarmente vocato alla gastronomia, dove tutto ciò che serve è a portata di mano, dalla frutta agli ortaggi». Proliferano piante selvatiche che si rivelano eccellenti per la cucina: «Si fa largo uso di cicorielle di campo e gli asparagi selvatici sono di casa. Un posto importante lo occupano poi i funghi, anche se limitatamente alla stagione autunnale. Quello del fungo è una voce importante soprattutto a Putignano e Noci».

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Non vanno, inoltre, dimenticati frutti selvatici come azzeruole, sorbe, prugnole e nespole germaniche, che conferiscono alle tavole dei ristoratori quel tocco di esoticità e di curiosità in più.

Sopra, Alberobello. Nella pagina a lato, un panorama di Locorotondo

PUGLIA DOCET Anche nella Murgia dei trulli si possono gustare le specialità della cucina regionale. Le orecchiette costituiscono la bandiera della Puglia a tavola. Due – ricorda il giornalista – sono le preparazioni predilette: con le cime di rape oppure con il ragù di braciole, ossia involtini di carne. «L’involtino di carne, contenente aromi, viene cotto molto

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Foto di Vito Buono

Una variante della cicoria con le fave, l’impanata, appartiene alla zona di Castellana Grotte lentamente nel sugo di pomodoro. Con questo sugo si condiscono anche altri tipi di pasta. Per quanto riguarda i secondi piatti, un posto importante sulle tavole pugliesi lo occupa l’agnello al forno, spesso accompagnato dai lampascioni». Un capitolo a parte lo merita proprio questo prodotto spontaneo della terra, che si presta a molteplici preparazioni. Questo bulbo, che cresce nei terreni incolti e ha un sapore prelibato, è piuttosto versatile e copre tutte le esigenze del pasto: «Può essere lessato e condito con olio e limone oppure messo sottaceto e consumato come corredo ad antipasti e stuzzichini; può costituire da solo un

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secondo, passato nella pastella e poi fritto.Viene spesso servito con le carni al forno, ad esempio l’agnello con le patate. Il contrasto tra il sapore amarognolo del lampascione e quello dolciastro dell’agnello è una delizia per il palato». Passando ai dolci, vanno segnalate le cartellate, il dolce natalizio pugliese per antonomasia. Le cartellate si ottengono lavorando una sfoglia di farina, vino bianco e olio, dalla quale si creano sottili strisce di pasta che vengono avvolte e unite su se stesse per formare delle sorte di “rose”. Queste vengono poi fritte e “affogate” nel vincotto o guarnite con il miele.

Sopra, le Grotte di Castellana. A fianco, l’impanata

LE SPECIALITÀ DELLA MURGIA DEI TRULLI In Puglia c’è, in generale, una forte propensione a consumare le cicorie con le fave. Una variante di questa ricetta appartiene alla zona di Castellana Grotte e prende il nome di impanata. «L’impanata – racconta Vito Buono – consiste nel mischiare le cicorie lessate, preferibilmente

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I sapori della Murgia

Dal primo al dolce

In alto, Noci. A fianco,dettaglio della fricassea, una delle tipicità gastronomiche locali Foto di Vito Buono

selvatiche, al purè di fave, aggiungendovi tocchetti di pane raffermo appena abbrustoliti e condendo il tutto con olio extra vergine d’oliva». Tipica di Putignano, dove si festeggia lo storico carnevale, è la farinella, come l’omonima maschera. Farinato ottenuto da orzo e ceci tostati, è un prodotto versatile: si

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consumava tradizionalmente insieme ai fichi, ma può accompagnare qualsiasi portata o servire per preparare ottimi prodotti da forno. Altra leccornia locale, ricorda l’esperto, è la ciliegia Ferrovia di Conversano, molto saporita e croccante, motore consistente dell’economia agricola della zona. A Noci, l’associazione gastronomica “Noci in tavola” si occupa di valorizzare le tradizioni gastronomiche locali attraverso una serie di sagre che danno, di volta in volta, risalto al prodotto di stagione. «Preparazioni tipiche di Noci sono le “cicorielle assise”, cioè sedute. Si tratta di cicorielle selvatiche cucinate con pomodorini, sedano, alloro, carote, cipolle, prezzemolo e uova, lessate e unite a un brodo di gallina e infine passate al forno». Altra specialità è la “fricassea”, che consiste nel sodalizio tra lampascioni, carne di agnello tagliata a pezzi, cipolla, rosmarino e altri odori, insieme al battuto d’uovo. Si lascia poi

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I sapori della Murgia

Dal primo al dolce

È diffusa la consuetudine di mangiare la carne direttamente nelle macellerie dotate di fornello, dove si arrostiscono le carni scelte al banco cuocere il tutto in forno con il pane grattugiato. «Appartiene, invece, al patrimonio gastronomico di Locorotondo l’involtino soffocato, il cui nome dialettale è “gnumerèdde suffuchète”: l’involtino si ricava dalle interiora di agnello unite a un po’ di prezzemolo e legate con un budello. In questo piatto, la fase di pulitura è fondamentale. La carne si posiziona in un contenitore di terracotta con diversi odori e si lascia cuocere per molte ore accanto al fuoco». Sempre a Locorotondo c’è la tradizione di unire la carne con patate e carciofi. «È, inoltre, diffusa la consuetudine di mangiare la carne direttamente nelle macellerie dotate di

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“fornello”, dove si arrostiscono e si servono le carni scelte al banco». Il piatto forte di Alberobello è rappresentato dai legumi. OLIO E VINO La Murgia dei Trulli non è solo ricca di risorse naturali e di ricette appetitose. È anche terra privilegiata di vino e di olio. Vini bianchi doc sono prodotti a Locorotondo e Martina Franca. Trova diritto di domicilio anche il Primitivo Gioia del Colle, che comprende le tipologie di rosso, rosato, bianco, primitivo, aleatico dolce e liquoroso. «Prelibato è infine l’olio doc Terra di Bari, naturalmente nella varietà Murgia dei trulli e delle grotte».

Sopra, Locorotondo. A lato, una specialità del posto, l’involtino soffocato (gnumerèdde suffuchète). Foto di Vito Buono

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UN SET NATURALE

di GIACOMO GOVONI

Nell’area meridionale della provincia di Salerno va in scena il matrimonio perfetto fra natura e uomo. Uno scenario da film, di cui “Benvenuti al Sud” è l’ultima testimonianza. Con il presidente del parco Amilcare Troiano ne attraversiamo le bellezze

a primula di Palinuro che fa capolino tra le rocce calcaree del perimetro costiero, il nibbio reale che sorvola i 181mila ettari di terra sottostante e gli splendidi resti di Poseidonia a far da quinte architettoniche intrise di storia. È come se fra tutti gli elementi che compongono il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni vigesse un tacito accordo di non belligeranza. Dove la parola d’ordine è convivere. Tutti insieme, “biodiversamente”. Un paradiso naturale che «dal 1998, con la Certosa di Padula e le aree archeologiche di Paestum e Velia, è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco quale “paesaggio culturale di rilevanza mondiale”, armonioso risultato della millenaria integrazione tra uomo

L Amilcare Troiano, presidente del parco del Cilento

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Cilento

Oggi il parco è un tesoro che custodisce biodiversità e geodiversità uniche al mondo e natura». A ricordarlo con orgoglio è Amilcare Troiano, da circa tre anni presidente di un parco che oltre a questa prestigiosa “medaglia al valore”, è Riserva della Biosfera dal 1997 e da un paio d’anni può fregiarsi del titolo di primo geoparco italiano. Fauna, flora, prodotti enogastronomici: da quali di questi aspetti iniziare per conoscere il parco? «Quello del Cilento,Vallo di Diano e Alburni è un parco di terra e di mare che con i 9.000 ettari delle due aree marine di Santa Maria di Castellabate e della costa degli Infreschi e della Masseta, aggiunte di recente dal Ministro dell’Ambiente, è diventato tra le aree protette più grandi d’Italia. Situato a sud della provincia di Salerno, è Riserva di Biosfera Mab-Unesco e recentemente è stato inserito nella rete europea e mondiale dei geoparchi sotto l’egida dell’Unesco. Un firmamento composto da soli 87 geoparchi in tutto il pianeta, grazie alla ricchezza del patrimonio geomorfologico (basti ricordare le grotte di Pertosa e di Castelcivita, il massiccio del Cervati, il sistema carsico degli Alburni, il Monte Gelbison). Oltre alla primula di Palinuro, eletta a simbolo del parco, innumerevoli sono le specie endemiche o rarissime come la kochia saxicola (presente solo a Strombolicchio e Capri), ritrovata da poco vicino Pa-

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Il parco naturale

linuro durante uno dei venti progetti sulla biodiversità promossi dal parco con prestigiose università italiane. Grazie alla tutela dell’ente, numerose specie animali a rischio estinzione, come la lontra, vari tipi di pipistrelli, l’averla piccola e la lepre italica, trovano in questo territorio l’habitat ideale per vivere». Molti riconoscimenti, non solo di rilevanza ambientale. «Il Cilento ha avuto il grande onore di rappre-

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Cilento

Il parco naturale

sentare l’Italia quale comunità emblematica nella candidatura della dieta mediterranea a patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Il 16 novembre 2010 il comitato intergovernativo dell’Unesco ne ha sancito l’inserimento ufficiale nella prestigiosa lista. La dieta mediterranea nata a Pioppi, nel Cilento, a opera dello scienziato statunitense Ancel Keys, non è solo un modello nutrizionale che fortunatamente è rimasto inalterato in tante piccole comunità del Mediterraneo, ma è soprattutto uno stile di vita che favorisce le interazioni sociali, conserva e diffonde le tradizioni e i mestieri legati all’agricoltura e alla pesca che si svolgono nel pieno rispetto della natura, dell’ambiente e della biodiversità». Contando anche le aree contigue, nel distretto del Cilento ricadono quasi cento comuni. Come partecipano i cittadini del luogo alla valorizzazione del parco? «Da quando il parco è stato istituito molte cose

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sono cambiate in questo territorio. Innanzitutto è cresciuto l’orgoglio e il senso di appartenenza a un’area che prima era considerata depressa e marginale e che, invece, ha saputo salvaguardare tesori di biodiversità e geodiversità unici al mondo. Associazioni, scuole e amministratori locali si adoperano per realizzare manifestazioni per valorizzare tradizioni e bellezze naturali ancora poco conosciute. Poi ci sono le coste cilentane, dove sventolano ben undici bandiere blu e le cinque vele di Legambiente e Touring Club confermate al comune di Pollica. Qui le associazioni dei balneari hanno sottoscritto un protocollo d’intesa promosso dal Parco e dalla Fiba-Confesercenti per creare lidi sostenibili. I tanti prodotti del territorio, realizzati mettendo a frutto tecniche e saperi tradizionali, si sono affermati negli ultimi anni fra le produzioni di alta qualità del made in Italy grazie ai presidi Slow food e al supporto del Parco. L’impegno di cittadini e

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Castellabate, uno dei comuni del parco, è stato lo sfondo del film “Benvenuti al Sud”

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sindaci, infine, ha consentito a tutti i Comuni del parco di raggiungere ottime percentuali di raccolta differenziata, diventando un esempio virtuoso per l’intera Campania». Sul piano della ricettività turistica, quali servizi offre il parco ai visitatori? «Negli ultimi anni, grazie al progetto “Cilento: Alla scoperta del parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Natura, Sport e Cultura”, finanziato dalla regione Campania, sono stati attivati nuovi itinerari turistici che collegano con bus dedicati la costa ai numerosi borghi antichi dell’entroterra. Inoltre, è stata creata anche Campania Artecard Cilento, con l’offerta di facilities (Easy Cilento) per i turisti. Speriamo di ripetere quest’iniziativa anche nei prossimi anni». Ci può indicare tre ragioni per cui nel diario del turista con la T maiuscola non può mancare una visita nel Cilento? «Non credo ci siano solo tre ragioni ma molte di più perché, proprio grazie all’eterogeneità e alla ricchezza del territorio, in pochi chilometri si può trovare di tutto: dalla vacanza naturalistica a quella sportiva, balneare, culturale, archeologica,enogastronomica. Un susseguirsi di emozioni pervade il cuore di chi si addentra nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, dove un inestimabile intreccio di storia, natura e cultura unisce le meraviglie della costa con le bellezze dei borghi antichi incastonati sulle colline, nelle valli e sui monti del Cilento e Vallo di Diano». Una battuta d’obbligo sul benefico effetto che il film “Benvenuti al Sud” ha portato a Castellabate: riesce a quantificarcelo? «Grazie al film gli italiani, e non solo, hanno potuto apprezzare le bellezze di Castellabate e del Cilento: non si contano i tantissimi autobus

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Il parco naturale

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che hanno portato turisti sui luoghi del set dove sono state girate le scene del film e le visite al Castello dell’Abate sono più che raddoppiate. Secondo i dati dell’ufficio turismo del Comune, le presenze turistiche sono aumentate del 75%. Un successo non solo di Castellabate, ma di tutta l’area protetta che ha registrato anche un boom di richieste come location di prossimi film. L’interesse dei registi per l’area del parco non è una novità, infatti, “Noi Credevamo” di Mario Martone, “Rien Va” e “Il sorriso dell’ultima notte” di Ruggero Cappuccio sono stati ambientati in questo territorio. Ma oggi il set del Cilento, Vallo di Diano e Alburni è quanto mai ambito».

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L’“agriturismo del pesce” Al ristorante Pascalò, che si affaccia direttamente sulla splendida spiaggia di Marina di Vietri, si possono assaporare gli antichi piatti della tradizione marinara che vengono rivisitati con grande maestria dallo chef Pasquale Vitale, detto appunto Pascalò. Il locale, noto come l’“agriturismo del pesce”, propone una vastissima gamma di ricette di mare che variano a seconda delle materie prime che i pescatori della costiera mettono a disposizione dello chef di giorno in giorno. Alla base della cucina di Pascalò ci sono semplicità e sperimentazione, che si uniscono inscindibilmente alle caratteristiche enogastronomiche del luogo. Tra le specialità, sono imperdibili le lasagne di mare (nella foto), che portano in tavola aromi e sapori del mare salernitano. Il Ristorante Pascalò offre inoltre i menù “Mariturismo” che abbinano nel migliore dei modi una qualità inappuntabile e prezzi a misura di tutte le tasche. Si compongono di un antipasto, un primo piatto, un secondo con contorno e un’ampia scelta di dolci, rigorosamente di produzione artigianale.

RISTORANTE PASCALÒ Via Cristoforo Colombo, 68 - Vietri sul Mare (SA) Tel. 089 76.30.62 - Cell. 347 62.50.461

www.ristorantepascalo.it - info@ristorantepascalo.it

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Cilento

CREPUSCOLO ELLENICO di GIACOMO GOVONI

Il sito di Paestum

L’antica Poseidonia, ribattezzata Paestum dai Romani, incanta per la fusione spettacolare di archeologia e natura. La professoressa Angela Pontrandolfo ci guida alla scoperta di un sito che deve «potenziare le sue capacità di attrattore turistico»

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Cilento

innanzi a quella pennellata di Magna Grecia passata su fondale italico e incorniciata dal suggestivo litorale cilentano, l’archeologo e (padre del Neoclassicismo) Winkelmann esprimeva tutta la sua incredulità con queste parole “Non è stupefacente che nessuno prima abbia scritto di questo?”. Siamo a metà Settecento, stagione di riscoperta dell’eredità culturale degli antichi e dei celebri grand tour, di cui Paestum divenne in fretta tappa fondamentale. Lo era per gli intellettuali dell’epoca, rapiti dal fascino di una città mirabilmente conservata malgrado la sua fondazione risalga al VII sec. a.C. Lo è a maggior ragione oggi, con quasi tre secoli in più sulle spalle che, oltre a non averne intaccato la bellezza, sono serviti a riconoscerne l’incalcolabile valore storico. Inserito dal 1998 nel patrimonio dell’umanità Unesco assieme al Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, il sito archeologico di Paestum ricade oggi nel comune di Capaccio, a sud di Salerno. «Il segreto è ammirarlo durante un tramonto» suggerisce Angela Pontrandolfo, docente di Scienze del patrimonio culturale all’Università del capoluogo campano. Ventisette secoli portati divinamente, cosa mantiene inalterata la magia di questa antica città? «Lo stato di conservazione di molti monumenti, in particolare i tre templi dorici e il circuito delle mura, il rapporto tra i resti antichi e il paesaggio circostante sono gli elementi prevalenti di un contesto storico ambientale davvero unico nel bacino del Mediterraneo». Per mantenere il sito sempre in perfetta forma servono ingenti risorse: oltre

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all’ufficio di soprintendenza diretto da Marina Cipriani, quali organi contribuiscono all’attività di conservazione? «L’attività di conservazione in base alle leggi vigenti è di esclusiva competenza della Soprintendenza archeologica tramite l’ufficio distaccato di Paestum. Altri enti e istituzioni territoriali, regionali e nazionali concorrono e collaborano alla realizzazione di progetti e interventi soprattutto di valorizzazione. Questa formula, che mette in campo una sinergia di forze economiche e di competenze scientifi-

che, è sempre più auspicabile in un periodo di non floridezza economica dell’Italia per potenziare un sito come Paestum che, al valore culturale, sposa la sua capacità di essere un attrattore turistico. Con questi intenti è stato realizzato dalla Fondazione Paestum, presieduta dal professor Emanuele Greco, in sintonia con la soprintendenza e l’Università di Salerno, un progetto di valorizzazione del tratto sud-orientale delle mura, finanziato dalla società Arcus. Gli interventi previsti dal progetto prenderanno avvio nei prossimi mesi e si propongono

Il sito di Paestum

In apertura, un particolare del sito archeologico di Paestum; sopra la Tomba del tuffatore, conservata Museo Archeologico Nazionale di Paestum

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Il contesto storico ambientale del sito di Paestum è unico nel bacino del Mediterraneo

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Il sito di Paestum

di potenziare un altro settore della città da far conoscere al pubblico. È un tassello di un più ampio programma che si auspica concretizzi un parco archeologico che inglobi l’intero spazio della città antica». Tra bellezza della costa, patrimonio archeologico e paesaggistico, Salerno (e provincia) è a buon titolo una delle capitali culturali del Paese. Pensa che la promozione turistica vada potenziata? «Credo che bisognerebbe potenziare e investire molto di più per fare in modo che i turisti soggiornino più a lungo, e non come spesso accade, a Paestum, dove giungono con i bus e si fermano per poche ore. Sono convinta che si dovrebbero prevedere anche eventi che facciano da attrattore turistico anche nei mesi non estivi». Paestum e Parco del Cilento: il matrimonio funziona o si potrebbe fare qualcosa per affinarne l’armonia? «Si dovrebbe lavorare con maggiore sinergia tra gli enti territoriali, in particolare superando rivalità e gelosie tra i Comuni, potenziando collegamenti, servizi e iniziative culturali».

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Venire in Campania, tralasciando una visita a Paestum. Una leggerezza o uno “schiaffo” imperdonabile all’offerta culturale del territorio? «A mio avviso entrambe le cose, e forse anche un preoccupante segno di incultura». A quasi tre millenni dalla nascita, continuano a venire a galla numerosi reperti. Quali i ritrovamenti recenti più significativi? «I monumenti più significativi sono le tombe dipinte sottratte alla rapina dei tombaroli, che purtroppo continuano a operare. Questi rinvenimenti accrescono il patrimonio straordinario di pitture funerarie che costituiscono un altro elemento di attrazione del museo». Sul piano strettamente archeologico, qual è il monumento più rappresentativo del sito? «Il sito nella sua interezza, vale a dire la città antica nella sua dimensione tra il mare a occidente e le colline a oriente. Il segreto per apprezzare Paestum è di contemplare il tramonto attraverso gli spazi delle colonne dei templi che sembrano tingersi di rosa».

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Cilento

UN GUSTO INIMITABILE

diGIACOMO GOVONI

In nodini, treccine, a ciliegina o nel tipico formato tondeggiante, la mozzarella di bufala è l’emblema della sapienza agroalimentare della Campania. Domenico Raimondo, presidente del consorzio di tutela, ne svela le qualità Sapori locali

l’alimento basilare della dieta mediterranea, riconosciuta dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. Gustata in abbinamento al pomodoro nella caprese o come filante guarnizione sulla pasta della pizza, è una tentazione a cui pochi palati sanno resistere. Tanto più in questa terra, in cui la mozzarella di bufala campana fa “oro bianco” di secondo nome e che da sei anni, nel mese di novembre, viene celebrata all’Ariston di Paestum con un salone internazionale su misura. Amata, coccolata e pertanto tutelata da uno specifico consorzio, impegnato dal 1981 nella promozione sul mercato italiano e internazionale. Alla guida dell’ente, dallo scorso luglio c’è il presidente Domenico Raimondo, che alla luce di un 2011 coi fiocchi, invita idealmente tutti i visitatori a brindare alla salute del “suo” adorato latticino. «Le nostre aziende agricole e caseifici sono aperti tutto l’anno. Chiunque, da nord a sud, può venire a trovarci quando vuole». Tra le vostre iniziative a tutela della mozzarella, spicca la scelta di stringere accordi con consorzi di altri formaggi. «Il nostro primo pensiero è la trasparenza nei confronti dei consumatori. Attivare un interscambio con altri consorzi significa, all’atto pratico, sotto-

è Domenico Raimondo, presidente Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana DOp

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porre i nostri prodotti trasformati al vaglio di più squadre ispettive, che procedono a controlli reciproci prima di prendere la via dei laboratori Icq del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali». La fotografia del 2011 prefigura per la mozzarella campana un roseo avvenire. Rimane la piccola macchia della contraffazione: quanto la preoccupa? «Non posso negare che il fenomeno esista e sia sempre più difficile arginarlo, anche se devo dire che in Italia riusciamo a controllarlo molto bene. Più preoccupante, semmai, è l’allargarsi di queste manovre illecite in Europa e oltreoceano, dietro cui, tra l’altro, spesso spunta lo zampino di qualche italiano. Tuttavia, a me piace leggere questo fenomeno non come un male, ma come motivo di vanto per il nostro formaggio: significa che la mozzarella Dop è talmente buona che tutti tentano di imitarla». Quale formato esalta meglio il suo sapore autentico? «Nell’arco delle 12 ore dalla trasformazione qualsiasi pezzatura va bene, anche nodini e ciliegine. Se trascorre più tempo, meglio orientarsi su tagli più grossi, da 100-120 grammi. Dopo le 48 ore, infine, la mozzarella che sprigiona il gusto migliore è quella dai 250 grammi in su».

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IL CUORE DEL CILENTO di AMEDEO LONGHI

Dalle suggestive grotte, che ospitano ogni settimana l’“Inferno di Dante”, al tipico carciofo bianco, sono numerose le attrattive che offre il piccolo centro cilentano. Lucio Cafaro ne svela le caratteristiche

er me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente”. Il celeberrimo incipit del terzo canto dell’Inferno accompagna i visitatori che varcano la soglia delle Grotte dell’Angelo, suggestivo complesso carsico fra le principali attrazioni di Pertosa. «Ogni fine settimana, in una cornice vecchia di 35 milioni di anni, va in scena l’“Inferno di Dante”, una rappresentazione della grande opera del Sommo Poeta realizzata attraverso giochi di luci e suoni e una serie di videoinstallazioni d’arte contemporanea che arricchiscono lo show che si

P Un’immagine dell’“Inferno di Dante” e il carciofino bianco di Pertosa (SA), dove si trova l’Hotel Zi Marianna

snoda per circa un chilometro e coinvolge oltre trenta figuranti fra attori e ballerini». Così descrive questa iniziativa targata Tappeto Volante Lucio Cafaro, che insieme al padre Giuseppe gestisce l’Hotel Zi Marianna, struttura familiare, moderna e accogliente. «La nostra attività è vicinissima alle Grotte di Pertosa ed è convenzionata, in modo che il turista possa godere di sconti sia sul pranzo che sul biglietto d’ingresso». Anche a tavola si esprimono, in tutta la loro bontà, le identità del territorio: «Nel nostro ristorante – spiega Cafaro – proponiamo cucina tipica regionale, serviamo pasta fresca fatta a mano e prodotti a chilometro zero, fra cui funghi porcini, tartufo degli Alburni e il famoso carciofino bianco di Pertosa». Il carciofo bianco si coltiva esclusivamente nei Comuni di Pertosa, Caggiano, Auletta e Salvitelle. Le sue rare qualità organolettiche, unite alla salubrità di una coltivazione del tutto naturale, permettono di annoverare questo ortaggio fra i prodotti di nicchia e di qualità unici in Italia, tanto da meritarsi di entrare a far parte dei Presidi Slow Food. www.hotelzimarianna.com info@hotelzimarianna.com

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Costiera amalfitana

INTENSITÀ DAL MARE di VALERIO GERMANICO

a costiera amalfitana si presenta come un panorama di uliveti e limoneti, avvolti nel silenzio e affacciati sul Tirreno. La combinazione di mare e macchia mediterranea si traduce in un binomio che caratterizza anche le particolarità culinarie locali, come quelle che si possono assaporare nel Calajanara Restaurant dell' Albergo La Conca Azzurra di Salvatore Criscuolo: «La coltivazione è ardua per via della lontananza dalle strade carrabili, ma l’attaccamento alla nostra terra ha mantenuto in vita le tradizioni secolari che hanno dato luogo a produzioni di eccellente qualità, come l’olio extra vergine di oliva Dop Colline Salernitane, il vino Doc Costa d’Amalfi – con le tre pregiate sottozone di Furore, Ravello e Tramonti –, lo Sfusato Amalfitano, ecotipo di limone pregiato dal quale si ricava il famoso Limoncello, i pomodorini del “piennolo” che, coltivati nei terrazzamenti assolati, si prestano a essere conservati appesi allo spago tutto l' anno e inseriti in molti piatti a base di pesce». Quest’ultimo la fa da padrone nella cucina del Calajanara Restaurant durante tutto l’arco dell’anno. «Il pescato viene approvvigionato

L

Lungo il confine fra le onde e i terrazzamenti che ospitano ulivi, limoni e carrubi. Salvatore Criscuolo racconta le bellezze della costiera amalfitana

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giornalmente e la sera, se ci si intrattiene più a lungo, sul patio, è facile assistere alla suggestiva cala delle lampare. I pescatori consegnano i totani pescati nella serata per essere serviti il giorno successivo». La struttura si trova a Conca dei Marini, un borgo di marinai lungo la carrozzabile borbonica oggi Strada Statale 163. «Siamo circondati da un antico uliveto-carrubeto a specchio sul mare, che sorge sui terrazzamenti dove sono coltivati prevalentemente ulivi, limoni e carrubi. L’albergo, in origine una casa marina, si affaccia su una splendida baia, ha ampie terrazze, giardini, un lido privato e un ristorante a picco sugli scogli». Anche i dolci fanno parte dei sapori della costiera amalfitana, come la sfogliatella Santa Rosa. «Questo dolce risale al Settecento ed è una delle antiche ricette delle monache di clausura del monastero domenicano di Santa Rosa di Conca dei Marini. La creazione avvenne per caso, da un avanzo di farina di semola cotta nel latte, a cui furono aggiunti frutta secca, liquore al limone e zucchero. Poi, si arricchì l’impasto del pane con un po’ di strutto e vino bianco, per trasformare la classica pasta in una frolla dolce a forma di

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Se ci si intrattiene più a lungo, la sera, sul patio, è facile assistere alla suggestiva cala delle lampare cappuccio di monaca. Nel tempo, la sfogliatella si è arricchita di nuovi ingredienti, come la ricotta, la marmellata di amarene, la crema pasticciera e, la frolla liscia e soffice, diventò una sfoglia riccia e croccante a forma di conchiglia. Oggi è questa la versione che si trova in tutti i migliori ristoranti e pasticcerie del luogo». Quindi ancora il mare. Un’attrattiva del luogo che non ha paragoni è la Grotta dello Smeraldo, facilmente raggiungibile dalla Conca Azzurra. «Mare azzurro intenso, stalattiti e stalagmiti che si aprono alla fantasia di ciascuno, una pioggia di smeraldi creata dallo sbattere del remo del barcaiolo e infine un presepe sommerso, che giace sul fondo marino». www.concaazzurra.it

Hotel La Conca Azzurra di Conca dei Marini - Costiera Amalfitana (SA)

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QUEL VICOLETTO NAPOLETANO di ELISA FIOCCHI

La canzone “Era de Maggio” e la fontana del primo innamoramento, il negozio di guanti di papà in Piazza dei Martiri e le preghiere alla Madonna perchè il Napoli vinca la partita. La pizza di via Santa Brigida e altre meraviglie nei ricordi del passato di Luciano De Crescenzo, che oggi ha ancora un sogno da realizzare

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Scorci partenopei

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Luciano De Crescenzo

la bellezza di Napoli, sono le letture di Giuseppe Marotta e il suo modo di raccontare la città di Eduardo, di Totò e Peppino, di Massimo Troisi, a ispirare Così parlò Bellavista, il primo libro dell’allora ingegnere Luciano De Crescenzo che, grazie al fortunato incontro con Maurizio Costanzo, ha venduto seicentomila copie in breve tempo. «Dovunque sono andato nel mondo, ho visto che c’era bisogno di un poco di Napoli», raccontò l’autore poco prima di cambiare la sua vita, all’età di 47 anni, abbandonando i panni di dirigente presso l’Ibm per sperimentare ruoli da sceneggiatore al fianco di Renzo Arbore e da regista nei quattro film tratti dai suoi libri. Oggi, a ottantatre anni, quelle passioni per il mare di Santa Lucia, le partite di pallone e le canzoni napoletane riecheggiano nella sua dimora di Roma, e proprio tra le strade partenopee, De Crescenzo immagina il suo posto per l’eternità. “A Napoli bisognerebbe entrare in punta di piedi...”: se dovesse scegliere un luogo di

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Luciano De Crescenzo, scrittore e regista

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Uno dei luoghi che più amo di Napoli è Piazza dei Martiri, lì c’era il negozio di mio padre

Sopra, Piazza dei Martiri

partenza, da dove inizierebbe questo cammino alla scoperta di una città che lei definisce un luogo sacro? «Uno dei miei desideri, che spero si realizzerà quando non ci sarò più, è che mi dedichino una strada, e penso di averla trovata. C’è una stradina di Napoli che apprezzo molto: il Vicoletto Belladonna. In questo vicoletto abita una sola persona, quindi se gli cambiassero il nome non sarei causa di grandi disagi per i residenti, costretti a cambiare l’indirizzo sui documenti o sulla carta intestata. Oltre a questo particolare, mi piace il nome che ne deriverebbe: “Vicolo Luciano De Crescenzo già Belladonna”». “A Napoli il semaforo rosso non è un divieto, è solo un consiglio” scrive ne I pen-

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sieri di Bellavista. Quali costumi di Napoli sono profondamente radicati nel suo modo di vivere? «Non saprei. I versi e le note delle canzoni napoletane spesso mi fanno compagnia e, quando ci penso, mi accorgo che la maggior parte delle canzoni italiane più amate al mondo sono state scritte a Napoli. Questa cosa mi ha sempre meravigliato e non sono ancora riuscito a trovare una risposta a questo interrogativo». È nato a Santa Lucia, vicino al mare. Quali profumi o abitudini le ricordano la sua infanzia? «Uno dei ricordi della mia infanzia è legato al giorno in cui ho imparato a nuotare. Nel rione in cui abitavo c’era l’abitudine di spingere i propri

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figli in mare per far sì che imparassero a nuotare. Mio padre, ovviamente, non è venuto meno a questa tradizione, e ricordo ancora quando mi spinse in acqua completamente vestito.Avrò avuto poco più di dieci anni, lui era lì, in piedi, osservava mentre mi agitavo senza far nulla, fino a quando non ho trovato il modo per rimanere a galla». La squadra del Napoli è il suo grande amore: quali aneddoti hanno accompagnato in questi anni la sua vita da tifoso appassionato? «Il tifo, non a caso, è una malattia, quindi essere tifosi vuol dire essere malati. Io sono malato del Napoli. Ricordo che una volta ho pregato la Madonna affinché facesse vincere il Napoli contro

la Fiorentina. La mia è stata una preghiera così sentita che quella notte ho sognato la Madonna, vestita con un abito blu, che correva verso la porta e faceva gol». C’è una poesia o una canzone della tradizione napoletana che, a suo parere, esprime al meglio i valori e le caratteristiche della sua terra? «Sicuramente “Era de Maggio”, ma per un motivo personale. La prima volta che mi sono innamorato è accaduto in una piazza, vicino a una fontana. C’è un verso della canzone che recita “De te, bellezza mia, mme ‘nnamuraje, si t’arricuorde ‘nnanz ‘a la funtana”. Ogni volta che l’ascolto è come rivivere quel momento della mia giovinezza». Dove si può gustare la pizza napoletana doc? E quali altri ristoranti a lei cari, offrono i suoi piatti preferiti? «Consiglierei di andare in via Santa Brigida dove c’è un ristorante che prepara una pizza eccezionale». C’è uno scorcio di costa, un’opera d’arte, una chiesa di Napoli, che in questi anni, sono stati luoghi di profonda ispirazione per le sue opere? «Uno dei luoghi che più amo è Piazza dei Martiri perché lì c’era il negozio di mio padre, che faceva il venditore di guanti. Accanto al suo c’era quello della Perugina e ogni volta che ci passavo davanti le commesse mi regalavano i cioccolatini».

In alto, un dipinto di Santa Lucia; sopra, Salvatore di Giacomo, autore di “Era de Maggio”. A destra, via Santa Brigida

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NODI D’AUTORE E ALTA NOBILTÀ Le cravatte Marinella festeggeranno i cento anni nel 2014. «Non sono nato a Napoli, dico sempre che sono nato a Piazza Vittoria» racconta il nipote Maurizio, che dall’età di otto anni respira l’atmosfera di una delle piazze più eleganti della città

uchino Visconti amava quelle con fondo blue o rosso, sfoderate come foulard, che coordinava a fazzoletti da taschino coloratissimi di seta indiana, mentre Aristotele Onassis ne comprava dodici alla volta, rigorosamente nere per scoraggiare gli interlocutori e non far mai trapelare il suo umore. La storia delle cravatte Marinella comincia nel 1914, in una bottega di soli 20 metri quadrati in Piazza Vittoria, sull’elegante riviera di Chiaia. Maurizio Marinella, che porta avanti la terza generazione, rivela le tradizioni della sua terra che hanno ispirato e continuano a scandire le giornate della storica bottega partenopea. «È motivo di grande orgoglio essere partiti da Napoli e aver scelto di restarci». Che cosa simboleggia una delle vie più nobili di Napoli per la famiglia Marinella? «Quando aprimmo nel 1914 non c’era nulla, eravamo isolati da tutto e da tutti ma questa condizione fu molto importante per noi perchè nella villa comunale, di fronte al nostro negozio,

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di ELISA FIOCCHI

si trovava il famoso trottoir, dove le persone andavano con i cavalli. In particolare, gli uomini amavano intrattenersi nel negozio di Piazza Vittoria così, con un gioco di sguardi o un incontro fortuito, potevano guardare le signore a cavallo o quelle che passeggiavano. Diventò quindi in breve tempo un punto di riferimento della nobiltà napoletana». Come è iniziata la sua esperienza nel negozio di famiglia? «Si può dire che sono stato messo al mondo per continuare quest’attività, non mi è stata data la possibilità di fare qualcosa di diverso. Ricordo come un momento drammatico quello in cui, durante un pranzo domenicale in famiglia, mio nonno assieme a mio padre mi condussero in una stanza dove mi dissero che ero ormai grande e che dal giorno seguente avrei iniziato a lavorare al negozio. Avevo solo otto anni, da lì seguirono i pianti, la disperazione e il dolore, la mia vita cambiò e con le buone o con le cattive dovevo obbedire al nonno e al papà. In negozio mi muovevo come un piccolo robot, stavo

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In alto, Maurizio Marinella, titolare del negozio E. Marinella

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nell’angolo del negozio, come diceva mio nonno, solo per respirare l’atmosfera e davo una mano o parlavo solo se mi era richiesto». Dal suo negozio sono passati tanti personaggi. Ricorda aneddoti curiosi a riguardo? «Sono tante le personalità che negli anni ci hanno fatto visità, da Bill Clinton a molti presidenti della nostra Repubblica. Francesco Cossiga, ad esempio, amava trascorrere il tempo in negozio bevendo un caffé mentre consultava un nostro libro dove custodiamo le firme di teste coronate, presidenti di Stato, alti esponenti della politica e dell’imprenditoria, della cultura e dello spettacolo. Siamo anche una famiglia

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scaramantica e ogni giorno apriamo il negozio alle sei e mezzo del mattino per intrattenere i clienti fino alle otto con caffé e sfogliatelle. È un commercio più intimo e familiare rispetto a ciò che avviene dopo, quando inizia il caos cittadino, con le macchine per la strada e i bambini da portare a scuola». Durante la pausa pranzo dove va a gustare la vera cucina napoletana? «Amo la pizza naturalmente, ma non solo. Mi piacciono gli spaghetti conditi con il pomodoro fresco, il basilico e abbondante parmigiano. Li gusto alla Terrazza Calabritto di Piazza Vittoria, mentre per la vera pizza napoletana scelgo la pizzeria da Michele, in via Martucci, la storica

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da Umberto o ancora da Regina Margherita, che si trova proprio vicino al mio negozio». C’è una poesia o una canzone della tradizione napoletana che a suo parere esprime al meglio i valori e le caratteristiche della sua terra? «La canzone che più amo è ‘O surdato ‘nnammurato che, in occasione della qualificazione del Napoli per gli ottavi di Champions League, è stata cantata da tutto lo stadio. Ogni volta che l’ascolto mi regala emozioni fortissime». E l’isola o la spiaggia del golfo napoletano a lei particolarmente cara?

«Senz’altro Positano, perchè mi ricorda i primi amori, le prime “acchiappate” come si dice da queste parti». In quali strade lei respira la tradizione di Napoli? «Sono molto legato a Via Costantinopoli, una strada che ha conservato intatta la tradizione artigiana della vecchia Napoli e dove si può ancora trovare quella sartorialità autentica di una volta. C’è addirittura un ombrellaio, Talarico, in via Roma. Vorrei che si facesse di più per custodire l’arte di questi mestieri antichi e cari alla nostra terra».

Scorci partenopei

Maurizio Marinella

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Una piccola oasi verde Dalla ristrutturazione di un’antica casa colonica nasce nel 2004 uno dei più deliziosi resort di Sorrento. Immerso nel verde di un tipico limoneto della zona, circondato di roseti e fiori colorati, in un’atmosfera estremamente rilassante, il resort Il Roseto offre cinque camere doppie, ampie e luminose, in modalità bed & breakfast. A disposizione degli ospiti anche un parcheggio gratuito privato e una piscina. Grazie alla posizione strategica del resort, è possibile raggiungere in pochi minuti a piedi il centro di Sorrento. Se invece si desidera visitare i dintorni, come ad esempio la Penisola Sorrentina, la Costiera Amalfitana, Capri, Pompei, Ercolano e Napoli, è possibile usufruire dei numerosi collegamenti di autobus, treni e navi.

IL ROSETO RESORT Corso Italia, 304 - Sorrento Tel. 081 87.81.038 - Fax 081 87.70.580 - Cell. 335 52.10.146 www.ilrosetosorrento.com info@ilrosetosorrento.com

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Prodotti mediterranei

Nello splendido scenario della costiera sorrentina, dove l’eccellenza dei prodotti mediterranei si associa alla suggestiva bellezza del luogo e alle canzoni di Enrico Caruso. Paolo Esposito ci guida alla scoperta dei sapori della terra campana

di GUIDO PUOPOLO

MUSEO DEL GUSTO orrento, una delle mete predilette dei giovani aristocratici protagonisti dei Grand Tour ottocenteschi, è ancora oggi una città viva e pulsante, che tra storia, arte e paesaggi mozzafiato, continua ad attrarre e incantare visitatori provenienti da ogni parte del globo. Il nome di Sorrento nel mondo è però indissolubilmente legato anche a quello di Enrico Caruso, il grande tenore napoletano che proprio in città trascorse i suoi ultimi mesi di vita. La leggenda di Caruso rivive oggi all’interno della raffinata cornice del Ristorante Museo Caruso, creato nel 1987 da Paolo Esposito con l’intento di

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coniugare il nome del tenore con la buona cucina napoletana. «Da alcuni anni il locale ospita al suo interno un vero e proprio museo dedicato al mito di Caruso», racconta Esposito. «Ciò è stato possibile anche grazie alla preziosa collaborazione di Guido D’Onofrio, studioso e caro amico del figlio del tenore, che in maniera del tutto disinteressata ci ha donato numerosissimi cimeli, facendo del ristorante un punto di attrazione per i tantissimi ammiratori di quello che io considero uno dei più grandi fenomeni della storia del palcoscenico». E così, immerso nelle atmosfere tipiche dei primi anni del Novecento, il Ristorante Museo Caruso rappresenta oggi una sosta obbligata per il viaggiatore gourmet, desideroso di assaporare tutte quelle delizie che, rivisitate e reinterpretate in chiave moderna, esaltano i profumi della tradizione mediterranea. «La scelta di materie prime d’alta qualità, i sapori squisitamente autentici e la minuziosa cura di

ogni dettaglio, fanno del Ristorante Caruso una vera eccellenza gastronomica, che celebra il cibo come piacere del palato ed esperienza estetica. I nostri menu – spiega Esposito propongono infinite combinazioni e sperimentazioni curiose, in un dialogo senza fine tra tradizione e innovazione, ricercatezza e semplicità». Parmigiana di baccalà e carciofi, gamberetti di Crapolla in foglie di limone alla brace, polipetti di scoglio affogati con lenticchie, filetto di pesce in foglie di fico al profumo di limone: questi sono solo alcuni dei piatti che è possibile gustare seduti ai tavoli del Ristorante, accompagnati da un’eccezionale selezione di vini pregiati: «All’interno della nostra cantina annoveriamo una collezione composta da oltre 1700 etichette, frutto di una ricerca scrupolosa e appassionata, volta a scoprire le realtà più interessanti del panorama vinicolo nazionale e internazionale. Il tutto – conclude Esposito – impreziosito da un servizio di primissimo livello, attento e premuroso, per rendere il soggiorno dei nostri ospiti in questa “maison del gusto” un’esperienza davvero indimenticabile».

In queste pagine, un interno del Ristorante Museo Caruso e alcune delle specialità proposte dagli chef del locale

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www.ristorantemuseocaruso.com

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IL PADRE DEI GIARDINI ALL’ITALIANA

La passione per i giardini ha contraddistinto grandi dinastie come i de’ Medici e i Lorena, i quali hanno contribuito di padre in figlio a rendere maestoso uno dei giardini più antichi d’Italia. Alessandro Cecchi ne illustra la storia e le curiosità

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Firenze

l giardino di Boboli nel tempo ha subito vari cambiamenti. Ricco di angoli affascinanti, ospitava in origini anche alcuni labirinti, poi rimossi per far spazio a un viale carrozzabile. La storia del giardino, come racconta il direttore Alessandro Cecchi, è fatta anche di periodi di incuria, oggi però questo enorme museo a cielo aperto viene valorizzato da una costante manutenzione. Attualmente quale conformazione presenta il giardino? «Presenta ancora l’aspetto del giardino storico all’italiana, che richiede anche una notevole manutenzione. Si possono ammirare, ad esempio, le siepi squadrate di leccio, la cui prospettiva scenografica risale in gran parte all’originario impianto cinquecentesco ma per lo più al Seicento, quando il giardino ha acquisito il suo aspetto attuale. Al suo interno si trovano quasi 300 sculture, un grande patrimonio tra fontane, vasche e altre strutture disseminate per i suoi 33 ettari. Possiamo definirlo il padre di tutti i giardini all’italiana». Quali importanti opere si trovano al suo interno? «Si va dalle sculture più antiche, come la grotta della Madama del 1554 con tutti gli animali, una testimonianza di Eleonora di Toledo che comprò il palazzo e il giardino nel 1549, per poi arrivare alle opere più recenti come le sculture del Seicento e del Settecento. L’Oceano del Giambologna, ad esempio, anche se è una copia (l’originale è nel museo del Bargello per motivi di conservazione), o la Fontana dei Fiumi, situata ancora al centro della Vasca dell’Isola, uno dei capolavori dell’arte barocca».

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Ci sono punti poco conosciuti dai turisti che meritano maggiore attenzione? «Il giardino va scoperto a piedi, ci sono percorsi impegnativi come il vialone dei cipressi, che è piuttosto irto. C’è la Fontana dei Mostaccini con le teste mostruose dalle cui bocche l’acqua destinata agli uccellini scende a cascata. I giardini all’epoca si uccellavano, si usavano le “ragnaie”, reti attraverso le quali si catturavano i volatili. Questo uso è tramontato poi con l’arrivo dei Lorena nel Settecento. Ci sono molte cose da scoprire a Boboli, un po’ come in tutti i giardini, e molte sono gli angoli ancora da valorizzare, ma oltre al viale dei cipressi e alla vasca dell’isola. C’è un capolavoro dell’architettura settecentesca come la limonaia, costruita sotto i Lorena, e il Kaffeehaus, luogo in cui il granduca e la corte si fermavano a prendere il caffè o la cioccolata durante le visite al giardino. Oggi è chiuso, speriamo di riaprirlo il

Il giardino di Boboli

In apertura, uno scorcio del giardino, con l’Oceano del Giambologna sullo sfondo. A sinistra, un dettaglio della grotta della Madama. Sopra, un particolare cedro presente nel Giardino della Limonaia

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Firenze

Veduta dall’alto del Giardino della Limonaia

prima possibile». Nel 1834, sotto Leopoldo II, il giardino subì la distruzione dei labirinti per l’apertura di un grande viale carrozzabile. Cosa ne è stato di quei labirinti? «Si è cercato di riportare alla luce almeno il centro di questi labirinti con un restauro a opera dell’architetto Galletti molti anni fa, ma

non è possibile recuperarli interamente in quanto la strada carrozzabile prosegue con grandi svolte su per la collina. Purtroppo non c’è più traccia delle strutture originarie ma abbiamo le piante dell’epoca che documentano la storia del giardino anche attraverso la rete idrica con piante settecentesche molto preziose».

Un ambiente rustico immerso nella natura La Fattoria Montalbano, a soli 27 km da Firenze, è vicinissima alle più belle città d’arte della toscana. Situata a 400 metri di altitudine, domina la valle dell’Arno, offrendo al visitatore la vista di un paesaggio di rara bellezza. I proprietari curano personalmente i terreni della Fattoria da cui nascono l’eccellente Chianti Docg, il Vin Santo e l’ olio extra vergine d’oliva. Gli ospiti alloggiano in caratteristici appartamenti, ristrutturati di recente e arredati con mobili d’epoca e in stile rustico, tutti con ingresso e terrazza indipendenti. Oltre agli appartamenti è disponibile la villa di campagna I Trebbiali, di circa 400 mq, con un grande giardino e piscina privata, su due piani, che può ospitare fino a 12 persone. La bellissima piscina circondata di rocce, una miriade di sentieri e stradine di campagna, vero paradiso per gli amanti della bicicletta e del trekking, la bellezza di una natura ancora intatta, la vicinanza alle più belle città d’arte e agli outlet delle più importanti firme della moda sono tutti elementi che fanno della Fattoria Montalbano il luogo ideale per una gradevole e riposante vacanza nella vera e suggestiva campagna toscana.

FATTORIA MONTALBANO Loc. Pieve a Pitiana, 112 - 50060 Donnini/Reggello (FI) - Tel. 055 86.52.158 - Fax 055 86.52.285 www.montalbano.it - info@montalbano.it

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Il buon pesce a Firenze Da più di 30 anni, la Trattoria Vittoria di Baglioni e Bartolini, a pochi passi dal centro storico di Firenze, è conosciuta e frequentata dai fiorentini per il pesce di ottima qualità e per la sua ospitalità in un ambiente moderno e accogliente. La grande attenzione nella scelta dei migliori ingredienti, la professionalità dei cuochi, la simpatia e la cortesia di tutto lo staff, rendono la Trattoria Vittoria una tappa obbligata per i fiorentini e i turisti. Qui si gusta una ricca cucina con antipasti, primi e secondi tutti preparati con pesce freschissimo. Il menù propone piatti classici rivisitati, come i maltagliati agli scampi con pomodoro fresco e basilico o il gran misto di crostacei alla catalana, ma anche piatti creativi con inediti accostamenti di sapori. Il locale è aperto tutti i giorni e tutte le sere, tranne il lunedì e il mercoledì a pranzo.

TRATTORIA VITTORIA Via Della Fonderia, 52/r - Firenze (FI) - Tel. 055 22.56.57 www.trattoriavittoriaristorantepesce.com info@trattoriavittoriaristorantepesce.com

Qui sotto, un particolare della Fontana dei Mostaccini

Dal punto di vista botanico cosa si può trovare a Boboli? «Da un lato la grande lecciaia, con allori, lentaggini e così via. Dall’altro c’è l’aspetto collezionistico - valorizzato sia dai Medici che dai Lorena - che è quello delle collezioni di agrumi, uno dei vanti del Giardino di Boboli. La limonaia è ricca di queste piante. Poi si possono trovare tanti giardini fioriti nella bella stagione come il giardino di Giove. Rose, camelie e altri tipi di fiori sono presenti in vari punti del giardino e spesso vengono premiati per la loro manutenzione e rarità. È un giardino da godere per tanti aspetti e in tutte le stagioni, non solo dal punto di vista storico-culturale ma anche da quello botanico e faunistico. Ci sono, infatti, molti scoiattoli e uccelli di vari tipi. C’è anche l’airone, che ha scelto la vasca

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dell’isola come luogo di dimora». C’è qualche aneddoto poco conosciuto da svelare? «Il giardino, che appare oggi come un museo a cielo aperto, è stato voluto dal granduca Cosimo II, morto prematuramente di tubercolosi. È stato proprio lui nel 1611 a dare grande impulso ai lavori, chiamando architetti, scultori e botanici. Sappiamo dai documenti storici che il granduca, nonostante il suo cagionevole stato di salute, era solito fare lunghe passeggiate nel giardino, anche per controllare lo stato di avanzamento dei lavori. Probabilmente si trattava di una sorta di consolazione al male che presto lo portò via. Sarà poi suo figlio Ferdinando II a continuare l’opera fino alla sua morte, nel 1670. Da allora il giardino è come lo conosciamo noi oggi».

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LÀ DOVE NASCE LA MUSICA di RENATA GUALTIERI

«Gaudio supremo, paradiso, eden, reggia». Così Giacomo Puccini descrive Torre del Lago. È da qui che parte il viaggio del giornalista e scrittore Mauro Lubrani che ripercorre le tappe della vita del maestro, rivisitando i suoi luoghi prediletti

uando Puccini si stabilì a Torre del Lago, nell’estate del 1891, insieme a Elvira, il paese era formato da poche case e aveva appena un centinaio di abitanti. «Non era ancora famoso - tiene a precisare Mauro Lubrani, giornalista e scrittore - ma qui trovò l’ambiente ideale per comporre le sue opere immortali, grazie anche alla conoscenza e all’amicizia con personaggi semplici, che si riunivano nella capanna poi chiamata il “Club della Bohéme”». L’allegra compagnia era composta da un gruppo di artisti, che, come rivelò il prete del paese,“stentavano molto, come lo stesso Puccini, a mettere insieme il pranzo con la cena”. Diventato famoso, il musicista ebbe sempre Torre del Lago come punto di riferimento della sua vita: “Gaudio supremo, paradiso - così lo descrisse da Londra al suo amico Alfredo Caselli - eden, reggia, empireo, «turris eburnea», «vas spirituale» abitanti 120, 12 case. Paese tranquillo con macchie splendide fino

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Il lago Massaciuccoli e, a fianco, Mauro Lubrani, giornalista e scrittore

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I luoghi del maestro

Torre del Lago

A Torre del Lago Puccini trovò l’ambiente ideale per comporre le sue opere immortali al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli, fagiani, beccacce, merli, fringuelli e passere. Padule immenso, tramonti lussuriosi e straordinari”. Nessun altro luogo fu pari a questo. Ci può raccontare un aneddoto curioso della vita del maestro legato agli ambienti lucchesi e più in generale toscani, dove Puccini trascorse gran parte della sua esistenza e dove compose opere rimaste immortali? «Durante l’estate l’ambiente di Torre del Lago era troppo umido e caldo per permettere a Puccini di portare avanti il suo lavoro. Così, andava alla ricerca di luoghi freschi e tranquilli, dove poter comporre le sue opere. Per diversi anni scelse l’Abetone, dove aveva acquistato il villino “Lo scoglietto”. Un anno, su consiglio del cognato Raffaello Franceschini (quest’ultimo aveva spo-

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sato la sorella prediletta Ramelde), prese in affitto la Villa del Castellaccio, a Uzzano, tra Montecatini e Pescia. Qui compose il secondo e il terzo atto della Bohéme, lasciando scritte su un muro le date di conclusione di entrambi. L’originale appunto è ancora oggi gelosamente conservato sullo stesso muro della villa, dove Puccini ricevette anche la visita dell’editore Ricordi, che venne a Montecatini per incontrare Giuseppe Verdi». Dove si ritrova oggi l’atmosfera delle opere pucciniane? «Tutto il mondo pucciniano è inevitabilmente cambiato e quelle atmosfere che lo aiutarono a comporre le sue opere non esistono più. Molto, comunque, si può ancora cogliere visitando la casa di Torre del Lago - dove la nipote Simonetta conserva gelosamente gli arredi del tempo - e

Il monumento dedicato a Giacomo Puccini

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I luoghi del maestro

Torre del Lago

Sopra, Torre del Lago e una vecchia foto di Giacomo Puccini nelle vesti di cacciatore

nella casa natale di Lucca, riaperta da pochi mesi al pubblico. Qui si possono vedere, ancora intatti, gli ambienti dove nasceva la grande musica di Puccini. Chiudendo gli occhi ci si può calare nel tempo di allora». A Montecatini sulla scia di una moda inaugurata da Giuseppe Verdi, il maestro incontrava il bel mondo dei musicisti, dei cantanti, dei compositori. Esiste ancora oggi un ritrovo per gli artisti? «Anche Montecatini è cambiata. Il fascino della città termale non è più quello dei tempi in cui si ritrovavano personaggi come Verdi, Boito, Ricordi, Tamagno, Puccini, Mascagni, Caruso, Toscanini e addirittura Leoncavallo vi era tornato a vivere. Basti pensare che un mese prima della sua morte, Puccini incontrò al Grand hotel La Pace Toscanini e Forzano per discutere sulla messa in scena della Turandot». Qual è il luogo che fu più d’ispirazione per le sue opere?

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«Sicuramente Torre del Lago, grazie alla magica atmosfera del lago Massaciuccoli, costituì una fonte inesauribile per la sua ispirazione e un passatempo ineguagliabile per chi, come lui, era un appassionato cacciatore. Senza dimenticare che qui trovava i suoi inseparabili amici». Perché possiamo dire che Lucca in Puccini suscitò sentimenti contrastanti? «Gran parte di questa situazione di dissapore fu provocata dalla fuga d’amore di Puccini con Elvira, donna già sposata e con due figli. Per anni Elvira non fu gradita dai lucchesi e così la coppia dovette rifugiarsi a Torre del Lago. Tuttavia, tutta la famiglia provava una sorta di risentimento verso la città, accusata di avere dimenticato il valore dell’arte musicale del padre Michele. Non a caso, il corpo di Puccini fu sepolto a Torre del Lago, nel 1926, quasi per sottolineare ancora una volta il suo amore per il piccolo paese, oggi famoso in tutto il mondo grazie alla sua musica, ma anche un distacco dalla città natale di Lucca».

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Festival pucciniano

MELODIE E ATMOSFERE ETERNE di RENATA GUALTIERI

Dalla Tosca alla Bohème

Quando il grande compositore giunse a Torre del Lago a fine Ottocento, fu per trovare un luogo pittoresco e quieto dove far sgorgare il suo genio creativo. Qui trovò un grande fervore artistico che rivive nell’attività della Fondazione Festival pucciniano

el 1921 Giacomo Puccini si vide obbligato, dopo un grande amore durato trent’anni, ad abbandonare Torre del Lago. «Nel suo eden, infatti, avevano preso il via le rumorose e maleodoranti lavorazioni di estrazione della torba e così il grande maestro si trasferì a Viareggio in una villa a due passi dal mare» spiega Paolo Spadaccini, presi-

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dente della Fondazione Festival pucciniano. Fatta questa premessa, si riesce a capire quale importanza poté rivestire, dopo oltre 80 anni, il progetto del Parco culturale della musica di Giacomo Puccini a Torre del Lago e la realizzazione del nuovo Gran Teatro all’aperto, per l’influenza di questi luoghi sulla sua produzione artistica e sulla sua esistenza. Su progetto promosso da Comune di Viareggio, Regione Toscana, Provincia di Lucca e Fondazione Festival pucciniano, con il sostegno della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, è nato un luogo dedicato alla musica, allo spettacolo dal vivo, all’arte contemporanea per la salvaguardia e la valorizzazione dei luoghi di ispirazione di uno dei più grandi musicisti della storia della musica. «Un teatro a disposizione di tutti, uno spazio aperto, luogo d’incontro e di confronto, di creatività, di scoperta, di ricerca e di condivisione dell’immenso patrimonio culturale che

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Giacomo Puccini ci ha affidato». È qui che ogni anno si svolge il Festival pucciniano e tanti eventi culturali promossi dall’omonima fondazione. «È intensa anche l’attività - conferma il presidente Paolo Spadaccini - volta ad appassionare le nuove generazioni alla musica, all’opera. Un impegno e un investimento da parte della fondazione per creare un nuovo pubblico di spettatori consapevoli». Quali i progetti più importanti che vedono attualmente impegnata la fondazione e qual è invece il programma per i prossimi anni? «La nostra attività è concentrata nell’organizza-

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zione del Festival Puccini con un cartellone che per il 2012 presenta una novità che è rappresentata da un titolo non pucciniano. Spazio anche ai tanti progetti di tournèe all’estero che ci vedranno impegnati in febbraio in Nicaragua, in marzo a Nizza con una nostra Bohème, in Giappone grazie alla collaborazione con Npo, per la messa in scena di Madama Butterfly e poi a Panama». Un’attività ormai consolidata è quella della formazione del pubblico di domani. Con quali iniziative cercate di appassionare le nuove generazioni all’opera? «Con diverse iniziative, a partire dall’intensa at-

Paolo Spadaccini, presidente Fondazione Festival pucciniano nel Gran Teatro all’aperto di Torre del Lago

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Torre del Lago, legata all’arte e alla vita di Puccini, fu un grande amore durato trent’ anni

tività del coro delle voci bianche che accoglie bambini e bambine, ragazzi e ragazze del nostro territorio e consente loro di affrontare la straordinaria esperienza del cantare insieme. Per incentivare i giovani allo spettacolo d’opera saranno previste, come di consueto, speciali condizioni per l’acquisto dei biglietti». Si è svolta da poco la riunione congiunta degli organi d’indirizzo e di amministrazione della Fondazione Carnevale e Fondazione Festival pucciniano. Quali gli obiettivi che potranno condividere? «Puntiamo a definire un cartellone congiunto di eventi di spettacolo e culturali che non crei sovrapposizioni per il pubblico dei turisti». Su cosa punterà quest’anno il festival per emozionare e affascinare gli spettatori, tra interpreti, musica, opera? «Certamente su grandi interpreti e anche su straordinari allestimenti all’insegna della tradizione. Ma ci saranno anche tanti appuntamenti culturali nei nostri spazi: dalle mostre alle conferenze, fino agli incontri con gli artisti». Torre del Lago è una meta ambita per gli appassionati di musica lirica e per i turisti che desiderano visitare i luoghi del maestro Puccini. Cosa c’è da apprezzare in quei luoghi? «Le stesse atmosfere di quando Puccini abitava questi luoghi. Il lago, i paesaggi, il Museo Puccini, dove è possibile ammirare i cimeli che testimoniano la straordinaria carriera artistica, la vicenda umana del compositore e la proposta culturale della Fondazione Festival pucciniano non deluderanno, nemmeno la prossima estate, i tanti appassionati che anno dopo anno scelgono di seguire la rassegna».

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SPETTACOLO SOTTO LE STELLE di RENATA GUALTIERI

«Dio santo mi toccò col dito mignolo e mi disse: “Scrivi per il teatro: bada bene, solo per il teatro” e ho seguito il supremo consiglio». Le opere di Giacomo Puccini rivivono oggi grazie alla Fondazione del Festival pucciniano. Alla direzione artistica c’è il maestro d’orchestra Alberto Veronesi


Festival pucciniano

edizione 2011 del Festival Puccini ha chiuso con cifre lusinghiere e numeri record con 1.508.613 euro di incassi totali, cifra che supera ogni più rosea previsione; 13 serate d’opera più il gala di danza con Roberto Bolle e il balletto Corps et ames, per una media di 1.825 spettatori a serata nelle 15 recite totali. La cassa del Teatro all’aperto di Torre del Lago, ha registrato entrate per 156mila euro, seguito dalla Bohème con 129mila euro. Sono arrivati spettatori da 53

L’ Dalla Tosca alla Bohème

Alberto Veronesi direttore artistico della Fondazione Festival pucciniano

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paesi del mondo: dall’Australia alla Korea, fino al Bahrein; oltre 11.000 i biglietti venduti sul web. Un autentico esempio di gestione virtuosa, che permette alla fondazione di coprire il 55% dei costi con i proventi del botteghino. «Gli altri teatri d’opera italiani, tranne Verona e la Scala, arrivano appena al 10%». Grazie a questi numeri, il Festival Puccini è giunto alla 58esima edizione, che anche quest’anno tornerà dal 20 luglio al 31 ottobre per celebrare uno dei più grandi compositori dell’opera. Torre del Lago è una meta ambita per gli appassionati di musica lirica e per i turisti che desiderano visitare i luoghi del compositore. Durante gli oltre settanta anni di storia sul palcoscenico del Festival Puccini si sono alternati i nomi più illustri e acclamati della lirica mondiale, «ma la vera novità di questa edizione rivela il direttore artistico della Fondazione Festival pucciniano - è l’introduzione di un titolo del repertorio verdiano, la Traviata. Cosa dovrà aspettarsi il pubblico quest’anno? «Ancora una volta garantiremo agli spettatori della rassegna torrelaghese, amanti della lirica, una grande stagione. Tutto ciò sarà possibile grazie alla presenza di allestimenti innovativi ma all’insegna della tradizione, grandi direttori e straordinari interpreti». Quali le opere in cartellone? «Quest’anno saranno quattro: Tosca, un nuovo allestimento frutto di una prestigiosa coproduzione con il Teatro di Valencia, l’Opera di Montecarlo, il Teatro Regio di Torino; la Madama Butterfly giapponese, un allestimento già presentato lo scorso anno e apprezzato da tutto il nostro pubblico. Una produzione ideata dal regista e cantante giapponese Takao

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Ancora in cartellone la Madama Butterfly giapponese, allestimento già apprezzato dal pubblico Okamura, che ha volto regalare al pubblico internazionale del nostro festival un’interpretazione del capolavoro pucciniano fedele allo stile e ai costumi giapponesi. Poi il cartellone prevede la ripresa dell’allestimento della Bohème con la regia di Maurizio De Mattia e straordinari giovani nei panni della povera Mimì e dei bohemienne. A fianco delle rappresentazioni di questi tre titoli pucciniani abbiamo, novità di quest’anno, un titolo del repertorio verdiano, la Traviata, con la regia di Gino Landi, anche questo frutto di una coproduzione con il Teatro di Pisa e il Teatro di Lucca». Quali motivazioni hanno condotto a queste scelte? «Come in ogni stagione, l’obiettivo rimane quello di non deludere il nostro pubblico. Si creeranno grandi momenti di poesia con im-

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portanti interpreti ed emozionanti allestimenti». Si conferma come una rassegna internazionale di straordinario interesse artistico. Qual è il pubblico che più ne riconosce il suo valore? «Il pubblico di tutto il mondo apprezza le nostre produzioni, i nostri spettacoli, anche se al primo posto tra gli spettatori stranieri abbiamo gli inglesi, seguiti dai tedeschi». Il Grande Teatro all’aperto ospita ogni anno le più grandi stelle della lirica. Quanto l’ambiente naturale circostante aggiunge alle rappresentazioni liriche? «Siamo persuasi che le atmosfere, palpabili della presenza del Maestro in quei luoghi che lo ospitarono per trent’anni, giocano un ruolo importante nel far apprezzare al nostro pubblico le sue straordinarie e immortali melodie».

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TRADIZIONI TOSCO-EMILIANE

di LUCA CAVERA

L’incontro fra la tradizione culinaria lucchese e quella emiliana della pasta fresca è avvenuto in una locanda dalla storia secolare. La parola allo chef Aurelio Barattini

n connubio genuino tra due tavole, toscana ed emiliana, in un’ambientazione che ha saputo conservare, nei decenni, l’estetica e il fascino della tradizione. Siamo all’Antica Locanda di Sesto, a Sesto di Moriano, nel lucchese. E a fare da guida in questo percorso enogastronomico è lo chef Aurelio Barattini. «Dal 1368 qui tutto è tradizione e lo si assapora subito, una volta varcata la soglia del nostro ristorante, in cucina e, non da ultimo, nella nostra cantina» racconta Barattini. La locanda conserva ancora intatti i sapori della tradizione e della stagionalità dei prodotti. «Le nostre ricette sono tramandate da quattro generazioni, come, per esempio, quelle della carne alla griglia: bistecche e tagliate cotte rigorosamente su brace di olivo. La tradizione della cucina lucchese si è poi combinata con quella emiliana con l’incontro di mio padre Adriano – commerciante di bestiame da tre generazioni e un tempo frequentatore della locanda – e mia madre Raffaella, pasticciera, che ha portato qui la cultura della pasta fresca emiliana e che si è unita a quella delle zuppe toscane. Ancora oggi è lei che si occupa della pasticceria accompagnando gli ospiti

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Tordelli lucchesi

Un’antica locanda

Ingredienti • farina • 4 uova intere • sale • sugo di carne • parmigiano grattugiato Per il ripieno • una fetta di arrosto di manzo e una di maiale • una fetta di parmigiano e una di pecorino • 2 uova intere • un rametto di popolino • un ciuffo di prezzemolo tritato, sale e pepe Preparazione: Tritate finemente le due fette di carne e mescolatele con gli altri ingredienti del ripieno finché il tutto sia amalgamato. Preparate la pasta spegnendola in 4 uova intere. Aggiungete una presa di sale e lavorate a lungo la pasta fino a spianarla in lunghe strisce sottili larghe una mano. Disponete a intervalli regolari piccole cucchiaiate di ripieno, avvolgete e richiudete ogni tortello tagliandolo mezzo tondo con un bicchiere o con l’apposita fustella. Cuoceteli in abbondante acqua salata, quindi conditeli a strati con sugo di carne. Spruzzate con formaggio parmigiano grattugiato e accompagnate il piatto con un rosso della Maolina.

verso un momento tipicamente slow food. Adriano, invece, si occupa della scelta delle carni e dei vini, essendo l’enologo della nostra azienda agricola. In sala, poi, ci pensa mio fratello Lamberto ad accogliere i clienti». Per proporre piatti con sapori sempre freschi e locali, la locanda ha allargato la propria attività anche alla produzione di olio e vino nella tenuta della Maolina. «Io ho preso il posto in cucina e mi occupo della scelta dei prodotti e delle materie prime, tutte provenienti dai mercati vicini: verdure, formaggi a latte crudo e salumi della Garfagnana. La nostra pasta è ancora fatta in casa, spianata e fatta riposare come nella migliore tradizione toscoemiliana. Uno dei nostri menù tipici inizia con salumi e formaggi, prosegue con i tordelli lucchesi e un secondo di tagliata di manzo al pepe nero e rosmarino e si conclude con un dessert di frutta caramellata al forno».

Aurelio Barattini, chef dell’Antica Locanda di Sesto di Sesto di Moriano (LU)

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www.anticalocandadisesto.it

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Da reggia nobiliare a spazio dedicato all’arte e alla cultura. L’evoluzione della Venaria Reale ha già attratto oltre un milione di visitatori e si prepara a una nuova stagione ricca di eventi

LA SECONDA VITA DELLA CORTE REALE di ANDREA MOSCARIELLO



Torino

isplende l’antica dimora sabauda. La Venaria Reale è più viva che mai, grazie a un’importante opera di restauro che ha riconsegnato la reggia alle nuove generazioni. Poche settimane fa, complici anche le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, è stato staccato il biglietto di ingresso per il milionesimo visitatore. «Questo è senza dubbio un risultato straordinario» spiega Fabrizio del Noce, presidente del consorzio incaricato di promuovere e valorizzare il complesso. La Venaria ha rappresentato il più grande cantiere d’Europa nel campo dei beni culturali. Uno spazio che, tra edifici e giardini, ricopre un’area di circa 950mila metri quadrati. Un’esplosione di Barocco che arricchisce il panorama del turismo culturale italiano. Non soltanto come monumento, già di per sé meritevole di una visita, ma come contenitore di arte, eventi ed enogastronomia. Una “città museo” in cui le più alte espressioni artistiche trovano una cornice di prestigio. «La reggia è un luogo in cui non ci si limita a far vedere l’antico, ma si valorizza il presente – sottolinea il direttore, Alberto Vanelli –. La Venaria è viva, con la sua corte, i suoi spettacoli, gli eventi organizzati nei suoi giardini». Un doppio binario che se da un lato vede transitare alcuni tra i più rappresentativi artisti dell’arte moderna, dall’altro permette di ricostruire sensazioni, atmosfere e pratiche del Seicento fastoso, nobile, opulento. Cene, buffet, merende, concerti, passeggiate. Il percorso ripropone alcune tradi-

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La Venaria Reale

A destra, il presidente del consorzio Fabrizio Del Noce

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zioni della mondanità nobile del diciassettesimo secolo. In particolare, il consorzio riproporrà le feste barocche, che hanno già ottenuto successo nella stagione precedente, gli aperitivi nelle sale regali e le storiche “merende”, sulle orme di quelle che i nobili allestivano dopo le battute di caccia. Sontuosi banchetti che dalle cinque del pomeriggio proseguivano fino all’ora di cena con musiche, balli e degustazioni. «Nessun altro in Italia ha mai proposto un simile modello di valorizzazione culturale – interviene nuovamente Vanelli –. All’estero qualcosa si è fatto, ma mai in maniera così sistemica». A marzo, per la nuova stagione, verranno mostrate al pubblico le ultime sale restaurate. In particolare, gli appartamenti privati dei reali rappresenteranno una delle attrazioni di punta. Le camere da letto, i boudoir, i salotti, gli angoli in cui re e regina trascorrevano la loro vita fa-

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La Fontana del Cervo nella Corte d’onore

migliare, spesso nascosta. Sul fronte delle opere d’arte, poi, in collaborazione con la Galleria Sabauda, si inaugurerà una grande mostra dedicata ai “Quadri del Re” (dal 30 marzo). Un’opportunità rara per ammirare 130 opere di artisti tra cui Guido Reni,Van Dyck e Bruegel. Attraverso i dipinti, scorreranno le vicende del principe Eugenio di Savoia, protagonista dello scenario politico europeo settecentesco. Continuerà, poi, la collaborazione con Fabergé. «Esporremo i gioielli di colui che fu l’ultimo grande gioielliere degli Zar – anticipa Vanelli –. Tra cui le sue famose uova imperiali». «Questi eventi sono fondamentali per attirare l’attenzione del grande pubblico – sottolinea Fabrizio Del Noce, che sottolinea il forte interesse dimostrato dai visitatori –. I turisti sono attratti dalle grandi opere, ne siamo stati testimoni quando abbiamo esposto l’Autoritratto di Leonardo. In passato, i mesi di novembre, dicembre e gennaio rappresentavano un periodo morto. Quest’anno, invece, hanno battuto ogni record di presenze». Punta di diamante che chiuderà la stagione pre-estiva, sarà anche una

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mostra dedicata alle imbarcazioni reali. «Un grande evento in cui si metterà in luce quella che chiamiamo la “Reggia sull’acqua” e in cui esporremo l’unico vero bucintoro reale rimasto in Italia, vale a dire l’imbarcazione che i Savoia fecero realizzare per loro dai maestri veneziani» racconta il direttore Vanelli. Anche in questo caso, però, non ci si limiterà a mostrare l’imbarcazione al pubblico. «Allestiremo la barca a festa, ricreeremo un grandioso evento barocco sull’acqua». Il consorzio vorrebbe anche attuare un progetto per coinvolgere i giovani artisti europei. «C’è l’idea di invitare creativi da tutto il continente. A loro offriremo la possibilità di presentare dei workshop e di lavorare con i più rinomati esponenti del mondo dell’arte visiva e musicale». Senza celare una nota di orgoglio, Del Noce evidenzia come «a differenza del trend negativo che, in generale, ha colpito il settore turistico italiano, la Venaria cresce, trainando lo sviluppo della città di Torino». «In questi primi anni di apertura siamo stati il valore aggiunto

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La Sala di Diana e il direttore del consorzio, Alberto Vanelli

decisivo per il capoluogo – aggiunge Vanelli –. La città era principalmente meta per i viaggi d’affari ma ora, grazie alla Venaria e alle sue iniziative, il territorio è riuscito a promuovere un turismo più ampio. Torino oggi è diventata una meta trendy ed è una delle poche città in Italia in cui ristoratori, commercianti e albergatori sono riusciti ad aumentare il fatturato. Chi viene a visitare la Venaria, è chiaro che poi è invogliato a visitare Torino». «La Reggia non ha debiti, ma vanta solo crediti, quindi per adesso possiamo tranquillamente andare avanti – continua Del Noce –. Ciò non toglie che per una struttura di tale prestigio e dimensioni occorre trovare una svolta che consenta di stabilizzare gli introiti». Proseguiranno, anche grazie agli incassi ottenuti, gli interventi di restauro. «Stiamo finendo la reggia – spiega Vanelli –. Mancano le ultime parti. In particolare, il grande terrazzo sarà un elemento decisivo, una volta completato consentirà di aprire le finestre e proporre i grandi assi prospettici della struttura. Una veduta paesaggistica straordinaria». L’altro intervento di carattere infrastrutturale riguarda, invece, l’unica vera nota dolente del complesso, i parcheggi, che verranno resi finalmente più ampi e vicini all’ingresso.

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A PASSEGGIO NEL PARCO DEI RE

Torino

Grazie agli ultimi restauri anche il parco della Venaria Reale potrà mostrare al pubblico le sue prospettive paesaggistiche. A illustrare le novità dei giardini è il direttore Francesco Pernice

La Venaria Reale

di ANDREA MOSCARIELLO i perdono a vista d’occhio, tanto sono vasti, i giardini della Venaria Reale. L’incanto del parco sabaudo si specchia sul canale che dal Tempio di Diana risale fino alla Fontana d’Ercole. Una prospettiva che, per la prima volta, sarà accessibile anche ai visitatori. Un percorso lungo “il fiume dei re” che rappresenta la novità più interessante per la nuova stagione. «Il Tempio di Diana è stato da poco restaurato – spiega il direttore del settore Conservazione giardini, Francesco Pernice –. Si potrà finalmente ammirare la reggia anche dal fondo del canale. Il complesso, specchiandosi nell’acqua, crea un effetto scenografico». Il programma promosso da Pernice, insieme al responsabile, l’architetto Maurizio Reggi, sarà più articolato rispetto agli anni passati. Quali saranno le iniziative che più di tutte attireranno i visitatori? «Intanto ripeteremo le già collaudate “domeniche da re”, con spettacoli ludici, eventi e mani-

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festazioni all’interno dei giardini. Inoltre, verrà inaugurato un trenino sul quale il turista potrà visitare l’intera area, che ricopre circa 800mila metri quadrati. Si potranno fare, per la prima volta, anche passeggiate in carrozza, trainata da cavalli, in collaborazione con il Centro del cavallo della cascina Rubianetta, sita nel parco della Mandria. Infine, verranno organizzate gite in barca nella grande peschiera, riproponendo imbarcazioni storiche sul modello di quelle seicentesche». I giardini rappresentano lo scenario perfetto per eventi mondani. «A tal proposito sono previste le cosiddette “merende sinoire”, ispirate all’antica tradizione piemontese dei banchetti pomeridiani.Torneremo a proporre aperitivi, feste e spettacoli finalizzati ad avvicinare il turista al mondo della natura. In particolare, il

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Torino

Michele D’ottavio

La Venaria Reale

Nella pagina precedente, Francesco Pernice, direttore del settore Conservazione e Giardini per il Consorzio di valorizzazione culturale “La Venaria Reale”

gran parterre verrà arricchito dalla nuova postazione moderna curata dall’artista Giovanni Anselmo». Quali parti del parco, finora celate, verranno aperte al pubblico? «Sarà inaugurato il collegamento tra la parte bassa e quella alta del parco, attraverso una nuova scala ricostruita sul sito di quella seicentesca e realizzata sul muro del Castellamonte, in corso di restauro. Grazie a quest’opera si potranno ammirare i diversi tipi di restauro applicati alla Reggia, archeologico e ricostruttivo. In particolare, nel muro e nella grotta ubicati sotto la tenaglia della reggia del Castellamonte vengono riproposte le pietre la-

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viche e le conchiglie sul disegno originale seicentesco ritrovato durante gli scavi e integrato in toto. Sarà infine restaurato il terrazzo del Garove, che ridarà un assetto definitivo all’ultimo spazio della Venaria non finito, ripristinando l’asse visivo tra la Galleria Grande e la rampa di accesso ai giardini». Proseguiranno anche i laboratori formativi? «Sì, ancora una volta saranno dedicati alla realtà produttiva del territorio, negli orti, per tutte le scuole. L’iniziativa è stata allargata anche agli istituti superiori. L’obiettivo resta quello di avvicinare i ragazzi alla natura e all’arte della coltivazione».

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Torino

UNA E MILLE TORINO di MANLIO TEODORO

I molti volti di una città nella quale più passati convivono e si mostrano allo sguardo in un sol colpo. Dalla famosissima Mole Antonelliana alla realtà industriale del Lingotto, passando per la storia d’Italia e molto altro ancora

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a Mole si fa ammirare elegante e sfuggente, come l’aria di Torino e la sua nebbia, che crea spettacoli surreali, come quando i tetti sembrano sospesi nel vuoto. E le guglie svettano verso il cielo nascondendo il loro legame con la terra. C’è questa Torino sognante e sospesa e c’è una Torino invasa da luci morbide e suoni provenienti dai caffè sotto i portici. Ma esistono ancora molte altre Torino, quella della più grande industria italiana – in cui il Lingotto è ormai quasi un museo, con gli interventi di Renzo Piano e la pinacoteca Agnelli –, quella del cinema e dell’arte e, per altri, la Torino degli sport invernali. Le mille anime di Torino convivono così, fianco a fianco: il tentativo del visitatore di afferrarle si rivelerà vano, ma non inutile. Per una visita nel capoluogo piemontese, il soggiorno migliore è quello in centro, al Residence Star, che si trova a due passi dal Tribunale e dalla stazione ferroviaria e metropolitana di Torino Porta Susa. Una rosa di appartamenti completamente accessoriati, con cucina, o angolo cottura, connessione internet wifi, televisore con ricezione digitale e satellitare, radio hi-fi cd, cassaforte, forno a microonde, phon, aria condizionata. E ancora: reception 24h24, parcheggio interno, palestra, internet point, deposito sci-bagagli e noleggio biciclette. Da qui è possibile partire per la visita delle molte anime della città, passando da un capitolo all’altro della storia

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d’Italia. Lungo le rive del Po, dove si trova la Gran Madre di Dio, cattedrale neoclassica che conserva al suo interno il mausoleo e l’ossario dei caduti della prima guerra mondiale. Di nuovo nel passato si torna in piazza Castello. Progettata nel 1584 e posta nel cuore della città, essa circonda il colossale palazzo Madama, ricavato in epoca medievale dalle vecchie porte di epoca romana e poi ristrutturato nel Settecento dall’architetto Juvarra. Piazza Castello porta così i segni del potere, passato e presente, ospitando il palazzo reale dei Savoia e la sede della Regione, il teatro Regio, il palazzo della Prefettura, l’Armeria e la biblioteca reale, che conserva alcuni celebri disegni di Leonardo da Vinci. C’è poi l’esotico, come il museo Egizio, il secondo per importanza dopo quello del Cairo, che contiene oltre 30mila reperti e che permette di fare un viaggio nel viaggio, dal paleolitico alla civiltà delle piramidi e della sfinge, fino alla conquista romana della terra dei faraoni e alla diffusione del cristianesimo. Partendo a piedi dal Residence Star, si incontrano poi le Officine Grandi Riparazioni, una delle più interessanti testimonianze del recente passato industriale di Torino. Il complesso – 200mila metri quadrati edificati tra il 1885 e il 1895 –, destinato alla costruzione e manutenzione delle locomotive e dei vagoni, è stato, insieme alla Venaria Reale, uno dei luoghi più interessati dalle celebrazioni dello scorso 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia. www.residencestar.com info@residencestar.com

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L’Hotel Residence Star si trova a Torino, a due passi dalla stazione ferroviaria e metropolitana di Torino Porta Susa

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ALLA BIT PERCORSI ESPERIENZIALI

di RENATA GUALTIERI

«L’obiettivo è rendere più efficace e razionale la convivenza tra visitatori professionali e viaggiatori». Marco Serioli, direttore della divisione exhibitions di Fiera Milano, svela le novità della Bit 2012 che punta sull’internazionalizzazione

n un mercato in cui i player economici hanno a disposizione sempre più canali di business, anche virtuali, l’importanza di una manifestazione fieristica si evince soprattutto dalla qualità dei contatti che riesce a creare e dal supporto che sa fornire agli operatori, ma le cifre rimangono comunque importanti. L’edizione 2012 della Bit vedrà la presenza di offerte turistiche da tutto il mondo; per Bit BuyItaly sono state ricevute ben 1.000 pre-registrazioni, tra le quali sono stati selezionati 500 top buyer internazionali, il 43% dei quali sono new entry; a Bit BuyClub, il workshop dell’associazionismo, i buyer nuovi sono addirittura il 77%, 46 su 60. «L’anno scorso il 60% delle presenze in Bit era costituita da operatori e quest’anno - si augura il direttore della divisione exhibitions Fiera Milano, Marco Serioli ci aspettiamo di confermare questo dato». Ci saranno new entry tra i paesi internazionali? La Bit di Milano con quali altre fiere internazionali si interfaccia?

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Marco Serioli, direttore della divisione exhibitions di Fiera Milano

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«Anche quest’anno avremo delle new entry di diversi continenti. Tra i Paesi presenti per la prima volta in assoluto a Bit spiccano il Laos, un paese dalle millenarie tradizioni e dalla natura incontaminata, e dall’area caraibica la Martinica e le Isole Cayman, che offrono alcune delle spiagge e dei fondali più belli di tutti i Caraibi. Tra i Paesi che ritornano in Bit dopo qualche anno di assenza segnalo, le Filippine, mentre dal Caucaso, una regione che sta puntando molto sullo sviluppo del turismo, arriva la Georgia. Ci saranno anche il Giappone e la Corea; da segnalare l’importante presenza di paesi dell’est Europa, tra i quali Croazia, Lituania, Serbia, Slovenia, Ungheria; ancora dall’Europa, Cipro, Irlanda, Svezia, Germania e Svizzera; Giordania dal Medio Oriente; Iran, Maldive, Malesia, Nepal, Sri Lanka e Thailandia dall’Asia; Messico e Québec dall’America; Cuba, Bermuda e il Cto, Caribbean tourism organization, dai Caraibi; infine, Etiopia e Zambia dall’Africa. Bit 2012 punta molto sull’internazionalizzazione, anche in vista di Expo

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Appuntamenti

Borsa internazionale del turismo

2015». Quali sono gli elementi di novità di questa edizione rispetto alle precedenti? Cosa accadrà nell’area “Tourism collection”? «Abbiamo rinnovato il concept di quegli aspetti che rendono una fiera realmente efficace per gli operatori dal punto di vista del business e a questo scopo abbiamo anche rinnovato il team e rafforzato l’indagine sul campo, da sempre una delle capacità più importanti di Bit. In particolare, a livello espositivo, la maggior parte dei padiglioni sarà riservata al B2B. Durante l’apertura al pubblico l’area “Tourism collection” rimarrà riservata agli operatori. L’obiettivo è rendere più effi-

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cace e razionale la convivenza tra visitatori professionali e viaggiatori che, in particolare, troveranno percorsi esperienziali dedicati a loro. Quest’anno la fiera punta anche su un’efficacia sempre maggiore dei workshop: ritorna, ancora più focalizzata, l’agenda degli appuntamenti e cresce l’accuratezza del meccanismo di selezione dei buyer, grazie all’impiego di risorse dedicate e al potenziamento generale dei sistemi informatici, con nuove attività anche per l’ospitalità. Un rinnovamento che si riflette nella percentuale di presenza di nuovi buyer, quest’anno molto elevata». Quali opportunità offre la Bit community? «Bit community è una vera e propria comunità

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virtuale di settore all’interno del sito internet della manifestazione, articolata in un’area per i viaggiatori e una per gli operatori: uno strumento integrato che, grazie a un motore di ricerca verticale, proprietario e sviluppato appositamente, fa dialogare Bit community con i social network, ottimizzando le risorse, le informazioni, le tecnologie e i linguaggi del web per fornire un punto unico di accesso. L’area dedicata ai viaggiatori si articola in 3 canali differenti: “Italy” è il canale delle regioni e destinazioni italiane, un aggregatore tematico organizzato grazie al database dei siti turistici ufficiali degli enti regionali e locali di promozione presenti in manifestazione; “The world”, uno dei punti di forza della community, è il canale delle destinazioni outgoing, in cui gli enti del turismo di tutto il mondo presentano le destinazioni turistiche; infine, con l’apertura della pre-registrazione, Bit ha creato un canale dedicato agli agenti di viaggio, che potranno così promuovere on line la propria attività, sia verso

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il viaggiatore sia verso le aziende del settore, in modo semplice ed efficace». Nella profonda evoluzione che sta attraversando l’industria turistica, segnata dalle nuove tecnologie, dai cambiamenti socio-culturali e dello scenario macroeconomico, che importanza riveste la formazione? «Assume un’importanza ancora maggiore ed è, infatti, uno dei punti di forza di questa edizione. All’interno della manifestazione saranno trattati tutti gli aspetti chiave di questa evoluzione: ci occuperemo di mobile travel, social commerce, travel blogging, customer experience, social media strategy, destination marketing e molto altro. Un altro punto di forza sono le “destination room”, due spazi di incontro che consentiranno di entrare in contatto più diretto con le destinazioni, conoscendone più in profondità le caratteristiche e l’offerta, e che rappresentano un momento di interazione e interscambio più focalizzato rispetto allo stand».

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IL SAPORE DEL PASSATO

di LUCA CAVERA

Un’osteria della Milano spagnola. Dalle rinomate cantine è sorto un ristorante che sposa tradizione e sperimentazione. La parola a Luisa e Ciro Finizio

na delle prime testimonianze di questa osteria risale a Silvio Pellico. Nelle cronache in cui annota i fatti legati al ritorno dalla fortezza dello Spielberg, il patriota ricorda di aver mangiato in un’osteria nel vicolo dei Magnani, poco discosta da piazza San Fedele, a due passi dal Duomo e dalla Scala. Tuttavia la struttura delle cantine, dalle quali il ristorante prende oggi il nome di Cantinone, fanno datare il palazzo ai tempi della dominazione spagnola. All’epoca la via dei Magnani era il centro delle attività artigiane dei riparatori di pentole – detti appunto “magnani” – e poco distante da via dei Pattari, venditori di piatti e via degli Orefici. Come evoca il nome, il Cantinone fu per molti anni un’osteria, posta nel cuore della città, famosa soprattutto per la mescita di vini e liquori, trasformandosi nel tempo in un ristorante moderno, ma ancora profondamente legato ai sapori e alla tradizione della cucina meneghina. «Da alcuni anni abbiamo rinnovato il locale – spiega Luisa Finizio, che insieme al fratello Ciro e allo zio

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Gianni è stata artefice della rinascita del ristorante – portando profumi e sapori nuovi, senza mai perdere di vista la nostra storia e la nostra tradizione: qui il sapore del passato trasuda dai muri». Come mostrano le immagini della vecchia Milano alle pareti. «Sui piatti – aggiunge Ciro – fa bella mostra la Milano “da mangiare”: antipasti, primi e secondi secondo le migliori ricette meneghine, con l’aggiunta di un pizzico di sperimentazione e di modernità sui fondamentali della tradizione. Immancabile il risotto alla milanese, magari accoppiato all’ossobuco, e il nostro risotto “Al Cantinone” con mele, castagne e funghi porcini,per poi proseguire con altri piatti di carne, dalla tipica cotoletta a succulenti filetti e tagliate. Il tutto accompagnato, ovviamente, da ottimi vini».

Luisa e Ciro Finizio del ristorante Al Cantinone di Milano, insieme allo chef Gianfranco Ugliano

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www.alcantinone.it

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