Giustizia 06 2010

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Sommario

EDITORIALE...................................................................... 13

Marco Zanzi Pietro Ichino Renato Brunetta FINANZIARIA.................................................................... 18

Il punto Marco Milanese L’ANALISI .......................................................................... 24

Carlo Pelanda EVASIONE FISCALE ...................................................... 28

Rossella Orlandi PENSIONI .......................................................................... 34

Giuliano Cazzola ANTITRUST ...................................................................... 38

Antonio Catricalà RIFORME ............................................................................ 42

Enrico Costa FISCO E IMPRESE .......................................................... 44

Claudio Siciliotti Luigi Carunchio GIUSTIZIA TRIBUTARIA .............................................. 52

Daniela Gobbi TRIBUTI................................................................................56

IL CONTENZIOSO TRIBUTARIO....................................72

Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco COMPENSAZIONE DEL CREDITO IVA........................74

Giovanni Del Re IL RUOLO DEL COMMERCIALISTA..............................76

Salvatore Alioto REVISORI LEGALI..............................................................78

Virgilio Baresi I CONTI DEGLI ENTI PUBBLICI.....................................82

Ubaldo Procaccini IL CONTROLLO DEI CONTI.............................................84

Massimo Boidi Luigi Bitto Vincenzo Trione Renato Vuosi

Andrea Toffoloni

LA RIFORMA VERSO IL FEDERALISMO....................66

OBIETTIVO LAVORO.........................................................88

Pierangelo Paleari IL PROCESSO TRIBUTARIO TELEMATICO................70

Giuseppe Zambon

ESAMI DI BILANCIO..........................................................86

Rocco Calabrese Rosario De Luca Giovanni Zingales Adalberto Bertucci Edmondo Duraccio NOTARIATO..........................................................................96

Giancarlo Laurini Domenico De Stefano Maurizio D’Errico Biagio Franco Spano DIRITTO DEL LAVORO...................................................102

Salvatore Trifirò Franco Toffoletto Gabriele Fava RELAZIONI INDUSTRIALI............................................114

Francesco Amendolito IL MERCATO DEL LAVORO...........................................118

Riccardo Bellocchio 10

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Sommario IL LAVORO NERO............................................................120

Vincenzo Fusco CONTROVERSIE DI LAVORO.......................................122

Massimo Tommaso Goffredo RAPPORTI DI LAVORO..................................................124

Cesare Lavizzari BENEFICI PER I DIPENDENTI....................................126

Gianluca Ottaviani FORMAZIONE...................................................................128

Giuseppe Cassone GIOVANI E LAVORO........................................................132

Andrea Fanfani MEDICINA DEL LAVORO...............................................134

Michele Dibenedetto RESTRUCTURING............................................................138

Ubaldo Livolsi Enrico Lanzavecchia Paolo Sciumè, Giuliano Sollima IL RISCHIO DI DELINQUERE......................................146

Stefano M. Bortone RICAPITALIZZARE LE PMI.........................................150

Marco Fiorentino GLI EFFETTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE................................................152

Massimo Iannuzzi

APPALTI PUBBLICI...........................................................154

Federico Tedeschini FATTURAZIONE ELETTRONICA...............................156

Laura Restelli REATI AMBIENTALI.........................................................160

Giambattista Colombo ILLECITI IN RETE..............................................................162

Leonardo Bugiolacchi OBBLIGAZIONI CONDOMINIALI................................166

Vittorio Cirotti RESPONSABILITÀ MEDICA..........................................168

Francesco Lauri GESTIONI SANITARIE.....................................................170

Ugo Luini SEPARAZIONI E DIVORZI............................................172

Marcello Madonia e Giuseppe Marretta IL FENOMENO STALKING...............................................174

Massimo Pistilli

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Editoriale

LOTTA AGLI SPRECHI E QUALITÀ DEI SERVIZI PUBBLICI di Marco Zanzi - Direttore

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ome siamo arrivati alla “grande manovra” del ministro Tremonti? Quali saranno gli effetti nel breve e medio termine? Quali le conseguenze per le imprese italiane e in generale per il mondo del lavoro? Quali gli effetti dei tagli alle spese della pubblica amministrazione e della lotta all’evasione fiscale? Queste sono alcune delle domande che più frequentemente sentiamo fare in questo periodo. Il numero speciale di Giustizia dedicato a Diritto e fisco intende affrontare questi argomenti sentendo direttamente la voce dei protagonisti della politica economica e fiscale del nostro Paese su una manovra che ha portato a provvedimenti dolorosi ma indispensabili e urgenti vuoi per gli errori del passato, vuoi per una situazione economica europea assai precaria che la crisi greca ha mostrato in modo - se ce ne fosse stato bisogno - chiaro e preoccupante. Ci sono state e ci saranno ancora delle ripercussioni sulla società civile, per cui appare necessario che ai cittadini continuino ad arrivare segnali forti di rigore e di trasparenza da parte della politica perché quella larga fascia della popolazione che è più debole ed esposta di fronte ai sacrifici necessari deve sapere che non sono tollerati abusi e privilegi da parte di chi amministra la cosa pubblica, questo è un punto centrale. In questo senso bisogna richiamare una lotta a tutto campo e a tolleranza zero. Non sono passati che pochi mesi da quando si è saputo che una regione del sud ha oltre 2.100 dirigenti, uno ogni 5 dipendenti a tempo indeterminato: come i ra-

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gazzi della via Paal, che erano tutti ufficiali ad eccezione di un unico soldato semplice. O la regione del centro che ha creato dodici organi di studio per tutti i problemi (dalla febbre suina al welfare), con trenta consiglieri, salvo non produrre un solo documento ma in compenso spartirsi un bel gruzzolo a fine anno. O che una “virtuosa” regione del nord ha acquistato dromedari da latte e ha finanziato la sagra del letame per diverse migliaia di euro. E ancora milioni spesi per auto blu; sindaci che fanno le vacanze/missioni con tanto di fidanzate a spese dei contribuenti; gli scandali della sanità che vanno dai concorsi truccati, alle tangenti, dalle morti in corsia agli sprechi generalizzati. Tutto questo deve essere stigmatizzato, combattuto e punito. Una grande attenzione da parte dei cittadini è inoltre rivolta alla garanzia dei servizi pubblici. La riduzione della spesa per i salari dei dipendenti pubblici non deve portare a una riduzione della qualità e quantità dei servizi. Bene ha fatto finora il ministro Brunetta e gli va riconosciuto che dal giorno dopo la sua nomina si è buttato a capofitto in una impresa titanica orientata al recupero di produttività nel settore pubblico attraverso nuove e più adeguate regole e l’incentivo al merito e alla responsabilità. La via da seguire per l’attuazione della riforma è ancora lunga e come lo stesso ministro riconosce non facile da percorrere. Ma per rompere col passato occorrono scelte difficili: “non si commetta al mar chi teme il vento” diceva Metastasio, ma questo non è certo il caso del ministro Brunetta. 13



Editoriale

PER LA RIFORMA DEL DIRITTO DEL LAVORO di Pietro Ichino - Giuslavorista e senatore Pd

Tutti a tempo indeterminato, con un contratto più flessibile, ma con maggiore sicurezza nel caso di perdita del posto

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ropongo di promuovere una grande intesa tra lavoratori e imprenditori, nella quale questi ultimi rinunciano al lavoro precario in cambio di un contratto di lavoro a tempo indeterminato reso più flessibile con l’applicazione di una tecnica di protezione della stabilità diversa da quella attuale per i licenziamenti dettati da motivo economico-organizzativo. La cosa può funzionare così: d’ora in poi tutti i nuovi rapporti di lavoro, esclusi soltanto quelli stagionali o puramente occasionali, si costituiscono con un contratto a tempo indeterminato, che si apre con un periodo di prova di sei mesi; la contribuzione previdenziale viene rideterminata in misura uguale per tutti i nuovi rapporti, sulla base della media ponderata della contribuzione attuale di subordinati e parasubordinati; una fiscalizzazione del contributo nel primo anno per i giovani, le donne e gli anziani determina la riduzione del costo al livello di un rapporto di lavoro a progetto attuale; la semplificazione degli adempimenti riduce drasticamente i costi di transazione; dopo il periodo di prova, si applica la protezione prevista dall’articolo 18 dello Statuto per il licenziamento disciplinare e contro il licenziamento discriminatorio, per rappresaglia, o comunque per motivo illecito; in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi, invece, il lavoratore riceve dall’impresa un congruo indennizzo che cresce con l’anzianità di servizio; viene inoltre attivata un’assicurazione contro la disoccupazione, di livello scandinavo: durata pari al rapporto intercorso con limite massimo di quattro anni, con copertura iniziale del 90% dell’ultima retribuzione, decrescente di anno in anno fino al 60%), condizionata alla disponibilità effettiva del lavoratore per le attività mirate alla riqualificazione professionale e alla rioccupazione; l’assicurazione e i servizi collegati, affidati ad enti bilaterali, sono finanziati interamente a carico delle imprese (con un contributo il cui costo medio è stimato intorno allo 0,5% del monte salari): più rapida è la ricollocazione del lavoratore licenziato, più basso è il costo del sostegno del reddito per l’impresa: donde un forte incentivo economico all’efficienza dei servizi di outplacement; il compito del giudice è limitato a controllare, su eventuale denuncia del lavoratore, che il licenziamento non sia in realtà dettato da motivi illeciti (per esempio: licenziamento squilibrato a danno di persone disabili, donne, lavoratori sindacalizzati, ecc.); il “filtro” dei licenziamenti per motivo economico è costituito invece essenzialmente dal suo costo per l’impresa; costo che la legge o il contratto collettivo stabiliscono in misura tanto più alta quanto maggiore è il livello di stabilità che si vuol garantire.

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Editoriale

IL DIFFICILE COMPITO DELLA MANOVRA di Renato Brunetta Ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione

a manovra di correzione del deficit pubblico appena varata dal Governo risponde a una decisione europea di contrastare movimenti speculativi innescati dalla crisi debitoria di alcuni Stati e, più in generale, dall’esplodere dei debiti e dei deficit pubblici. Questo ha creato una situazione nuova per tutti i Paesi avanzati, compreso il nostro. L’Italia presenta oggi uno dei deficit più bassi, ma ha uno dei debiti più elevati. Nel corso dell’ultimo decennio il nostro Paese ha dimostrato di essere in grado di sostenere questo debito, seppur oneroso, ma il peggioramento della posizione debitoria del resto del mondo aumenta il nervosismo dei mercati finanziari e questo richiede un sovrappiù di prudenza. La manovra non è quindi discutibile. D’altra parte è l’azione coordinata di consolidamento fiscale di tutti i Paesi avanzati che rischia di innescare un processo deflattivo, non la manovra italiana. Ci si chiede, tuttavia, in che misura questa manovra risponda solo all’emergenza e in che misura affronta, o inizia ad affrontare problemi strutturali. È infatti strutturale il problema della riduzione del debito pubblico, andando oltre la sua semplice stabilizzazione. È strutturale la necessità di un consolidamento fiscale basato su una tendenziale riduzione della spesa pubblica in percentuale del Pil, premessa di una riduzione della pressione fiscale. È strutturale la necessità di ritrovare la strada della crescita senza la quale i primi due problemi non sono affrontabili, ma che proprio da questi problemi è ostacolata. La correzione del deficit per meno di due punti percentuali di Pil nei prossimi due anni, obiettivo della manovra in corso, non risolve di per sé i problemi strutturali ricordati ma il modo in cui verrà perseguito questo obiettivo - seppur parziale e limitato nel tempo - può rappresentare l’inizio della correzione strutturale. Una buona metà della manovra graverà sul settore pubblico. Attraverso i diversi provvedimenti, che riguardano essenzialmente la dinamica dei salari unitari e il turn-over (altri Paesi sono stati invece costretti a provvedimenti non selettivi, come il taglio degli stipendi pubblici), si persegue l’obiettivo della riduzione tendenziale strutturale della massa salariale nel settore pubblico rispetto al Pil. Occorre però che al contempo aumenti la

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produttività del lavoro pubblico, mantenendo la funzionalità e l’ammontare dei servizi offerti ai cittadini-clienti. Altrimenti, alla riduzione della spesa per i salari corrisponderebbe la riduzione corrispondente della quantità e della qualità dei servizi in settori fondamentali quali la burocrazia, la sicurezza, la giustizia, l’istruzione e la salute. E poiché ciò si rifletterebbe sul tasso di crescita dell’intera economia, non si avrebbe in definitiva aggiustamento strutturale. Sono tanto convinto di questo, che non ho aspettato la crisi che stiamo attraversando per varare una riforma profonda della Pubblica amministrazione orientata al recupero di produttività attraverso l’incentivo al merito e alla responsabilità. I salari nel settore pubblico, come in quello privato devono crescere, ma solo con l’aumento della produttività. D’altra parte si tratta della chiave di volta per incidere anche sull’altra grande componente della spesa, cioè quella dei consumi intermedi. Anche qui si tratta di capire se alla riduzione della spesa nominale deve corrispondere anche la riduzione della spesa in termini reali. In altri termini, la valutazione dei risultati, l’attenzione alla trasparenza e la digitalizzazione dei processi implicano che si acquistino dal settore privato beni e servizi a prezzi minori e di qualità più elevata. Non si avrebbe, quindi, una riduzione e decadimento dei servizi, che richiedono per la loro produzione acquisto di beni e servizi, ma solo una riduzione del loro costo di produzione. Certo è facile fare le riforme con risorse crescenti, perché si possono mettere risorse dove servono senza ridurle contemporaneamente dove servono meno. Ma quando è facile, spesso non c’è lo stimolo a farle e quindi non si fanno. Più difficile fare le riforme quando servono di più, e cioè quando è necessario saper scegliere e selezionare con il fine non solo di ridurre la spesa ma di ridurla favorendo la crescita. Più difficile e impopolare perché si tratta di intaccare forti interessi precostituiti senza l’alibi dei sacrifici uguali per tutti e senza trincerarsi dietro una presunta imparzialità imbelle. Ma questo è appunto il compito alto della politica nei momenti difficili ed essa deve dimostrare non solo di essere capace di consolidare il bilancio pubblico, ma anche di lavorare per la crescita migliorando le aspettative di tutti. 17


Finanziaria • Il punto

La grande scommessa della manovra

Ridurre la spesa pubblica e far emergere il sommerso causato dall'evasione fiscale. La manovra finanziaria varata dal governo si pone questi due obiettivi per favorire la ripresa economica dell'Italia di Giancarlo Mazzuca

In apertura, il ministro Giulio Tremonti; nella pagina seguente, il consiglio dei ministri.

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Finanziaria • Il punto

arcello Veneziani, uno che se ne intende, ha di recente definito Giulio Tremonti l’Anti-italiano per eccellenza e dunque l’esatto opposto di Berlusconi che è invece l’Arci-Italiano, ovvero la gigantografia dell’italiano medio. E, in effetti, il divin Giulio del 2010 (in antitesi a quello del Novecento, Giulio Andreotti), con quella faccia un po’ così, sembra tradire una smorfia di piacere, quasi una sottile vena sadica, quando può annunciare drastici tagli e colpi di bisturi al bilancio pubblico. Cattiveria o no, il ministro dell’Economia, più che un perfido diavolo deve essere, invece, considerato un santo dei nostri conti statali perché è l’unico che sembra in grado di far galleggiare una nave poco stabile a causa di errori del passato, quando il partito della spesa facile aveva preso il sopravvento nel Belpaese, e di una situazione economica soprattutto europea molto precaria (vedi Grecia ed euro) per colpa di un club di eurocrati che ha dato vita alla moneta unica con troppa fretta. Nonostante tutto il male possibile che si può augurare a un professore che non riduce le tasse e che congela gli stipendi dei burocrati, prima o poi dovremo erigere un monumento a questo montanaro pragmatico, nato a Lorenzago di Cadore e cresciuto in Valtellina, che è stato in grado (o, almeno, cerca) di bloccare il rischio-valanghe impedendo che la montagna di debiti non partorisca un topolino e che, neppure, finisca per sommergere gli italiani, almeno quelli che non evadono il Fisco. Ecco, la grande scommessa della manovra 2010-2011 da 25

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miliardi appena varata dal governo sta tutta in questa sfida: fare emergere il sommerso, che è la vera palla al piede dell’Italia. Con l’alibi della crisi, è il momento di voltare pagina dando la caccia in maniera definitiva a quei “furbetti” che, per troppo tempo, hanno impedito al Paese di essere normale: già la scudo fiscale ha fatto rientrare a casa 104 miliardi sommersi nei caveaux di qualche banca “off-shore”, ma ora è indispensabile proseguire su questa strada. La domanda che tutti si pongono è: come si è giunti a questa situazione in Europa? Se chiedi a Tremonti i motivi del pianto greco di primavera e i contraccolpi su tutti i mercati finanziari, il ministro ti cita a memoria Winston Churchill che, alla fine del suo libro sulla seconda guerra mondiale, si domanda se il conflitto che l’ha visto protagonista non sia stato, piuttosto, il seguito di un’unica guerra, una nuova guerra dei Trent’anni (1915-1945) intervallata da un lungo armistizio. A suo parere, non c’è stata una seconda crisi, ma è sempre la recessione di prima, solo che si è trasformata, passando dai debiti privati a quelli pubblici. Considerando la massa del nostro debito (il terzo più elevato al mondo), bisognava rispondere senza frapporre indugi anche da un punto di vista psicologico: sono sempre necessarie misure dolorose e anche impopolari per affrontare di petto l’emergenza. E, quindi, la chiusura di qualche finestra pensionistica nel pubblico impiego, lo stop agli stipendi dei “grand commis” di Stato, il taglio di privilegi e indennità varie a livello di ministeri e di amministrazioni nazionali e regionali, il giro di vite delle auto blu, la chiusura di tanti enti inutili. Bersani e tutta l’opposizione hanno subito fatto le barricate accusando il governo di “tagli iniqui” che finiscono per ricadere sulle spalle della povera gente. A parte il fatto che altri partner europei hanno usato ancora di più la mano pesante (è il caso di Sarkozy, che ha messo in cantiere una manovra molto più ampia, e di Zapatero che ha, addirittura, ridotto gli stipendi pubblici), la filosofia della Finanziaria dovrebbe andare proprio nel segno opposto: mettere definitivamente nell’angolo gli evasori fiscali perché a pagare non siano sempre i soliti noti. Non solo: se da una parte il governo ha cercato di ridurre la spesa (ma il fondo del barile non è stato ancora toccato: quando, ad esempio, verrà decisa l’abolizione delle Province che, ogni anno, costano allo Stato qualcosa come 16 miliardi di euro?), dall’altra ha tentato di favorire la ripresa economica provando a togliere i “lacci e i lacciuoli” (come li definì Guido Carli una quarantina d’anni fa) che continuano a frenare la crescita delle imprese, soprattutto quelle piccole. Insomma, dopo il bastone dei tagli di spesa, c’è anche una carota a favore del mondo della produzione: non è un caso che il presidente della Confindustria, Marcegaglia, così come il governatore di Bankitalia, Draghi, abbiano approvato la manovra. Adesso molti economisti si chiedono: basterà? Tremonti non si è finora pronunciato, ma, parlando ai deputati il 6 maggio scorso, era stato chiaro: «Per descrivere l’evoluzione della crisi ho usato l’immagine del videogame: affronti un mostro, lo batti e mentre ti rilassi ne arriva un altro, ancora più grande». Sì, qui non ci dobbiamo proprio rilassare e il mostro, al massimo, lo sbattiamo in prima pagina... 19


Finanziaria • Marco Milanese

Le misure della manovra La finanziaria 2010 introduce una serie di provvedimenti che investono molte sfere economiche, dal contenimento della spesa nell’impiego pubblico ai tagli previsti per le regioni. Marco Milanese spiega nel dettaglio di cosa si tratta di Nicolò Mulas Marcello olti sono gli interventi previsti dalla manovra economica appena varata. Dall’impiego pubblico, alla pubblica amministrazione fino ad arrivare ai costi della politica, le misure adottate introducono significativi cambiamenti che dovrebbero portare in termini numerici risparmi sul lungo periodo. «Circa i tagli previsti ai costi della politica e della Pubblica amministrazione – fa sapere il deputato Marco Milanese – sono tagli chiaramente dolorosi ma necessari. Nei momenti di crisi i sacrifici colpiscono tutti e tutti hanno il dovere morale e politico di contribuire affinché la crisi venga superata». Per quanto riguarda l’impiego pubblico è previsto un contenimento delle spese con il congelamento per un triennio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e rafforza le limitazioni già in vigore per le nuove assunzioni. Qual è l’effetto previsto per queste misure sul saldo del conto delle amministrazioni pubbliche? «È un effetto importante in termini numerici e in termini qualitativi della manovra. In termini numerici perché si risparmieranno alcuni miliardi di euro; in termini qualitativi perché si bloccherà il meccanismo di aumento della spesa pubblica che tanti problemi ci ha dato e ci potrebbe dare in futuro. È ovvio che il sacrificio è grande. Al contrario, però,

M Marco Milanese, membro della V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione

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Marco Milanese • Finanziaria

La politica deve dare l’esempio. Non si può legiferare in tema di tagli e poi lasciare inalterate sacche di spesa pubblica che nascondono anche degli sprechi C&P • GIUSTIZIA

di altri Paesi europei, penso alla Germania ad esempio, in Italia non saranno tagliati posti di lavoro pubblici (in Germania 15.000 nei prossimi anni), non verranno tagliate le pensioni, non verranno toccate le tredicesime, non aumenteranno le tasse e quindi non si metteranno le mani nelle tasche degli italiani. Anche il taglio alle Regioni è sicuramente sopportabile: solo 4 miliardi di euro a fronte degli oltre 175 miliardi di trasferimento che ricevono dallo Stato ogni anno». Per quanto riguarda la regolarizzazione degli abusi edili è prevista una sanatoria catastale? «Il decreto non prevede alcuna sanatoria o regolarizzazione degli abusi edilizi. Il provvedimento prevede una regolarizzazione ai soli fini tributari. Sono stati scoperti grazie al lavoro dell’Agenzia del territorio circa 2 milioni di immobili non accatastati e quindi non denunciati ai fini fiscali. I proprietari di questi immobili dovranno pagare le imposte a prescindere che abbiano o meno violato le normative urbanistiche o le altre normative in materia di edilizia. Il pagamento non darà alcuna esenzione di responsabilità agli ulteriori fini diversi da quelli fiscali». Per l’area fiscale la manovra prevede la tracciabilità dei pagamenti sopra i 5 mila euro e un’intensificazione delle misure fiscali. Quali sono gli interventi più significativi previsti? «Il provvedimento prevede una vera e corretta lotta all’evasione fiscale. La tracciabilità dei pagamenti è uno di questi ma di certo non l’unico. È previsto il rafforzamento della partecipazione dei Comuni all’accertamento tributario e contributivo, con il riconoscimento, a fronte di tali attività, di una quota del 33% delle maggiori somme relative ai tributi statali riscossi a titolo definitivo. E ancora la comunicazione telematica all’agenzia delle entrate delle operazioni rilevanti ai fini Iva di importo pari o superiore a 3.000 euro. Il contrasto al fenomeno delle cosiddette imprese “apri e chiudi”, con appositi controlli delle aziende che cessano l’attività entro un anno dalla data di avvio. La concentrazione della riscossione nell’accertamento e quindi l’avviso di accertamento emesso ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni costituiscono, a decorrere dal 1° luglio 2011, titolo esecutivo all’atto della notifica al contri21


Finanziaria • Marco Milanese

Il decreto non prevede alcuna sanatoria degli abusi edilizi ma una regolarizzazione ai soli fini tributari 22

buente». È previsto un taglio agli stipendi di dirigenti, manager e magistrati (dal 5% al 10%) ma anche tagli a comuni e regioni. In cosa consistono? «Importante nel provvedimento è anche la parte relativa allo sviluppo ed alle infrastrutture. Basti ricordare le norme relative alla fiscalità di vantaggio per il mezzogiorno, con la possibilità per tali regioni di modificare le aliquote Irap fino ad azzerarle e disporre detrazioni e deduzioni nei confronti di nuove iniziative produttive. E anche il regime di attrazione europea con la possibilità per le imprese residenti in altro Stato dell’Ue che intraprendono in Italia nuove attività di chiedere l’applicazione della normativa tributaria di uno degli Stati membri della Ue. Oppure le zone a burocrazia zero ove si potrà, con provvedimenti amministrativi adottati dal prefetto, velocizzare la macchina burocratica». Infine si parla anche dei costi della politica. Qui sono previsti tagli del 10% (parlamento, ministri, auto blu, amministrazioni locali). A quanto ammonta il risparmio previsto? «Circa i tagli previsti ai costi della politica e della Pubblica amministrazione sono tagli chiaramente dolorosi ma necessari. La politica deve dare l’esempio. Non si può legiferare in tema di tagli e poi lasciare inalterate sacche di spesa pubblica che nascondono anche degli sprechi. Nei momenti di crisi i sacrifici colpiscono tutti e tutti hanno il dovere morale e politico di contribuire affinché la crisi venga superata. E così le regioni. Le regioni hanno trasferimenti da parte dello Stato per circa 175 miliardi euro. Tolta la spesa sanitaria, intoccabile, pari a circa 106 miliardi di euro, rimangono circa 70 miliardi di spesa sulla quale effettuare un taglio di circa il 6%. Penso sia un taglio sostenibile che non dovrebbe incidere sul sociale o sui trasporti pubblici a meno che non si vogliano preservare altri tipi di spese che, in questo momento, si possono considerare superflue». C&P • GIUSTIZIA



L’analisi • Carlo Pelanda

Eurozona: liberalizzare e svalutare l’euro L'economista Carlo Pelanda illustra la situazione economica dei principali Paesi dell’Unione europea, il cui punto di forza è sempre stato l’export. Ecco le soluzioni per rilanciarlo di Nike Giurlani a gravissima crisi economica globale e la connessa crisi dell’Eurozona, stanno mettendo a repentaglio l’economia dei principali Paesi membri dell’Ue nei quali l’export ha sempre ricoperto un ruolo molto importante. C’è chi sostiene che il peggio sia già passato, chi, invece, è più prudente e chi, infine, si dimostra piuttosto scettico sui tempi e sulle modalità di ripresa. L’economista Carlo Pelanda più che abbracciare l’una o l’altra posizione pensa alle azioni concrete che i governi dell’Eurozona dovrebbero attuare. Le soluzioni proposte dall’economista sono «liberalizzare e svalutare l’euro, per almeno tre anni, in modo da bilanciare con crescita dell’export, quella mancante nei mercati interni». Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Chi ha risentito di più della crisi economica e perché? «Italia e Germania, con modelli economici molto dipendenti dall’export, hanno risentito pesantemente con cali di oltre il 5% del Pil, della caduta della domanda globale dal settembre 2008 al marzo 2009. Non è questo il problema. Lo è, invece, la lentezza della loro ripresa a causa della rigidità del modello economico e dell’euro troppo alto, non competitivo, con la complicazione di una restrizione del credito. Il Regno Unito ha riscontrato una forte ripercussione a causa della crisi finanziaria che ne ha falciato l’industria concentrata a Londra e nei dintorni. Ma si risolleverà abbastanza in fretta, anche se, la minore disponibilità del mercato finanziario, a operare con

L Carlo Pelanda, docente di Politica ed Economia internazionale e condirettore di “Globios” all’University of Geogia di Athens (Usa)

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L’analisi • Carlo Pelanda

Sopra, un immagine degli scontri scoppiati nel corso dello sciopero generale di Atene

leve debitorie molto acrobatiche, ridurrà per lungo tempo i profitti delle operazioni finanziarie. La Francia ha subito un po’ di meno l’impatto, ma in sostanza è allineata con quanto successo in Italia e Germania». Trova che questi Paesi abbiano adottato politiche anti-crisi migliori o peggiori rispetto alle nostre? «L’Italia non ha adottato alcuna politica anticrisi di rilievo se non quella degli ammortizzatori sociali per evitare i licenziamenti delle aziende in crisi e le moratorie per i debiti d’impresa. Infatti, l’impatto della recessione globale arriva in ritardo perché le aziende non si sono alleggerite durante la crisi e ora dovranno farlo, nonché affrontare il problema dell’indebitamento rimandato di un anno. In sostanza, la politica anticrisi italiana ha solo differito l’impatto della crisi stessa, tra cui la disoccupazione. D’altra parte, tale politica, diversamente da quella francese, ha ridotto l’indebitamento stimolativo evitando una crisi di fiducia sul debito simile a quella della Grecia». I rischi assunti dai sistemi bancari di questi Paesi nei confronti della Grecia quanto incidono nei propri sistemi economici? «Una crisi bancaria non ha confini perché il sistema finanziario è globale. La Grecia è stata salvata per evitare che i suoi titoli di debito diventassero carta straccia mandando in rosso profondo i bilanci delle banche che li possiedono, in particolare quelle tedesche». C&P • GIUSTIZIA

Ritiene che sia reale il rischio default dei cosiddetti paesi “periferici dell'eurozona”? «Il problema è che l’euro, gestito alla tedesca, può essere sostenibile solo per la Germania e non da altre economie con minori basi a livello industriale e di produttività. Il mercato ha realizzato questa verità. La sfiducia sul debito è una conseguenza di quella sulla tenuta dell’architettura dell’euro. E la seconda aumenterà se il riequilibrio dei conti pubblici nell’Eurozona produrrà un forte impatto deflazionistico, come è probabile. Senza crescita il rigore non basta a convincere i mercati che il debito verrà ripagato e saranno a rischio tutte le euro nazioni, quello massimo, purtroppo, attribuito all’Italia nonostante sia un’economia forte e il Governo si sforzi a riequilibrare i conti. Il debito è troppo elevato, i costi annui degli interessi troppo alti, per essere sostenibile. Non si pensi che l’Italia sia fuori dalla zona più a rischio, anzi. Per altro anche la Francia non può considerarsi fuori pericolo, per i motivi già enunciati». In queste realtà quali iniziative dovranno attuare i governi per tenere sotto controllo la situazione economica? «Liberalizzare e svalutare l’euro, per almeno tre anni, in modo da bilanciare con crescita dell’export, quella mancante nei mercati interni». L’Italia rischia di essere annoverata nell’eurozona o come sostiene un report di Unicredit sul nostro Paese si concentra la scommessa per il futuro dell'area Euro? «L’Italia ha un sistema industriale fortissimo e uno politicoamministrativo vecchio, inefficiente, che soffoca il potenziale delle imprese. Se vi sarà liberalizzazione, contenimento della spesa pubblica e una manovra straordinaria di abbattimento di almeno una parte del debito, nonché la svalutazione competitiva dell’euro, allora l’Italia andrà in boom. Se non si verificheranno queste condizioni andrà in deindustrializzazione». 25




Evasione fiscale • Rossella Orlandi

Una lotta sempre più selettiva È su un costante, e preciso, contrasto all’illecito che l’Agenzia delle Entrate punta a risanare il Paese. Un’azione che, come spiega Rossella Orlandi, si accompagna a una nuova percezione del fisco da parte degli italiani di Andrea Moscariello umentano gli incassi relativi alla lotta all’evasione fiscale da parte dell’Agenzia dell’Entrate. Dai 4,4 miliardi di euro raccolti nel 2006, si è passati agli oltre 9 miliardi racimolati nel 2009. «In questo momento siamo in prima linea per contribuire a sostenere la competitività, contrastando con più forza e maggiore efficacia l’evasione», sostiene Rossella Orlandi, direttore centrale aggiunto per l’accertamento dell’Agenzia. Un’osservazione che giunge al termine di una stagione in cui, probabilmente come non accadeva da anni, l’Italia ha posto il tema fiscalità sotto la lente d’ingrandimento. È chiaro come, in un Paese come il nostro, la lotta alla crisi e i presupposti per la ripresa siano realizzabili solo applicando una forte stretta sui capitali sommersi. «Con la difficile congiuntura economica gli italiani si sono sempre più resi conto del fatto che il fisco riveste un ruolo estremamente importante: scovare le risorse sottratte alle tasche dello Stato per riportarle nelle casse dell’Erario, restituendole così alla collettività». Dunque la crisi ha dato uno scossone alle coscienze degli italiani? «Se il contrasto all’evasione è importante nei momenti di crescita economica, lo è ancor di più nei momenti di crisi, quando la concorrenza sleale rischia di essere un fattore che taglia fuori dal mercato le imprese sane. L’Agenzia ha coniato uno slogan: “Chi evade tassa il tuo futuro”. In tempo di crisi questo slogan andrebbe aggiornato: “Chi evade mette a rischio il tuo presente”».

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Rossella Orlandi • Evasione fiscale

In apertura, Rossella Orlandi, direttore centrale aggiunto accertamento dell’Agenzia delle Entrate

La recente manovra da 24,9 miliardi di euro elaborata da Tremonti cosa comporterà nell’ambito della lotta all’evasione fiscale? «La nuova manovra correttiva fa leva sul contrasto agli illeciti fiscali, sia puntando sul rafforzamento del redditometro e sull’accelerazione della riscossione, sia rinsaldando le sinergie già in atto tra l’Agenzia delle Entrate e gli altri attori della fiscalità. Per sconfiggere il fenomeno dell’evasione metteremo in campo strumenti nuovi e “aggiusteremo” quelli già esistenti, con il duplice intento di tenere sotto controllo le aree di evasione e, parallelamente, incoraggiare l’adesione spontanea da parte dei contribuenti». Cosa delineerà la vostra strategia? «La strategia che portiamo avanti è quella di una lotta all’evasione selettiva, che non spara nel mucchio, ma si basa piuttosto su analisi di rischio. Su questa logica poggia il nuovo redditometro previsto dalla manovra correttiva. Possedere auto di lusso e fare viaggi esclusivi, infatti, non significa automaticamente essere evasori. Per questo, partiremo dal confronto tra le spese sostenute e quelle dichiarate al fisco, ricostruendo l’effettivo tenore di vita del contribuente con un nuovo sistema, che sostituisce i vecchi coefficienti e introduce nuovi elementi spia di capacità contributiva». La manovra correttiva prevede un impegno del fisco per oltre 9 miliardi di euro. Come si è giunti a una previsione così impegnativa? «I 9,4 miliardi di euro richiesti dalla manovra sono una sfida difficile, ma alla portata dell’Amministrazione finanziaria. C&P • GIUSTIZIA

La logica posta alla base del nuovo redditometro non farà “sparare” nel mucchio, ma si baserà piuttosto su analisi di rischio ben mirate e puntuali 29


Evasione fiscale • Rossella Orlandi

SUPERA I 15 MILIARDI DI EURO LA SOMMA RISCOSSA DALL’AGENZIA NEL BIENNIO 2008/2009 ono certamente i numeri a parlare per conto dell’Agenzia delle Entrate. I dati sul 2009 indicano oltre 711mila accertamenti effettuati su imposte dirette, Iva e Irap. Oltre 56mila, invece, sono quelli attuati nei confronti di soggetti non congrui agli studi di settore. Con il cosiddetto “redditometro” si sono effettuati circa 28mila accertamenti. Sul fronte degli interventi esterni si sono portate a termine quasi 10mila verifiche, di cui 601 nei confronti di grandi contribuenti, 2.692 verso imprese di medie dimensioni e 6.132 con soggetti di piccole dimensioni. In tutto, l’Agenzia ha riscosso oltre 15 miliardi di euro nel biennio 2008-2009 al netto degli aiuti di Stato (577 milioni). E possiamo già dire che sono 1600 le imprese tutorate dal fisco nel 2010. Intanto, esordisce in rete l’”Annuario del contribuente 2010”. Un vero e proprio Abc del fisco al servizio dei cittadini. Collegandosi al sito www.agenziaentrate.gov.it, la nuova versione aggiornata dell’Annuario offre assistenza nell’orientamento tra scadenze fiscali, detrazioni, deduzioni, agevolazioni tributarie, rimborsi e versamenti proprio in coincidenza con il clou della stagione delle dichiarazioni. Tra le novità di quest’anno spiccano la rinnovata tessera sanitaria, il dialogo telematico “Civis” e le indicazioni per pagare a rate gli accertamenti risolti bonariamente.

S

Negli ultimi due anni, infatti, abbiamo effettivamente riscosso quasi 15,5 miliardi di euro e il 2010 fa già registrare ulteriori incrementi. Il processo di riorganizzazione delle nostre strutture, vicino alla conclusione, l’utilizzo efficace delle nostre banche dati e il costante incrocio con le informazioni in possesso degli altri attori della lotta all’evasione, l’affinamento delle analisi di rischio e le nuove, importanti, misure in materia di riscossione ci consentono di ritenere raggiungibile l’obiettivo che ci è stato assegnato. A questi elementi si aggiunge la consapevolezza di poter fare affidamento su risorse estremamente professionalizzate e motivate». Al di là dei controlli fiscali, come può è possibile stimolare un rapporto con il tessuto economico atto a infondere una percezione positiva del gettito fiscale? «Senza dubbio il livello dell’evasione è collegato all’efficienza dei controlli fiscali. Ma, insieme all’azione repressiva e di deterrenza, ciò che serve è un vero salto culturale. Nel nostro Paese infatti, a differenza di ciò che accade altrove, c’è grande tolleranza sociale nei confronti di chi non si comporta correttamente con il fisco perché l’evasione è considerata un mero “peccato veniale”. Dovrebbe essere invece chiaro a tutti che chi evade danneggia la collettività. Il recupero dell’evasione, infatti, serve per fornire ulteriori servizi e, in definitiva, per migliorare la qualità della vita dei cittadini». Quali vantaggi potranno derivare con il rientro delle cifre evase? «Nel medio periodo, dal contrasto al nero e al sommerso, dovranno arrivare benefici per i contribuenti onesti. Nel lungo 30

periodo il “premio” potrà essere la riduzione del prelievo fiscale e la semplificazione del sistema di tassazione. Si tratta di un’operazione molto complessa, ma ci troviamo a un crocevia. Si sta finalmente prendendo coscienza che l’evasore fiscale non è più il furbo da imitare, ma chi fa concorrenza sleale e danneggia l’economia del nostro Paese». Tra i punti centrali riguardanti i nuovi studi di settore, vi è una dettagliata analisi sulle posizioni dei contribuenti e la raccolta dei dati contabili riferiti agli anni precedenti. È giusto affermare che gli accertamenti dell’epoca post-crisi, ancor prima che su una rivalutazione dei redditi futuri, si concentrerà su una correzione dei metodi utilizzati nei bienni precedenti? «Gli studi di settore sono per intrinseca natura uno strumento in continuo aggiornamento. La loro funzione è appunto quella di rappresentare in tempo reale lo stato di salute delle imprese e dei professionisti italiani. È per questo motivo che sono soggetti a revisioni periodiche e vengono corretti in base alle indicazioni degli osservatori regionali. Inoltre, il software per gli studi di settore contempla già i correttivi anticrisi. Infatti, come l’anno scorso, anche quest’anno, prendendo atto della contingente situazione economica, si è voluto andare incontro alle richieste delle categorie interessate e attuare una profonda revisione degli studi. Nel 2009 lo strumento dei correttivi si è dimostrato efficace». Sempre a proposito di studi, saranno oltre 109 mila i contribuenti che si vedranno recapitare una segnalazione di anomalia in vista della presentazione del moC&P • GIUSTIZIA


Rossella Orlandi • Evasione fiscale INCASSI DA LOTTA ALL’EVASIONE (ANNI 2006-2009) DATI IN MILIARDI DI EURO 10,00

9,1

9,00 8,00

6,9

7,00

6,4

6,00 5,00

4,4

4,00 3,00 2,00 1,00 0,0 2006

2007

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che chi evade danneggia la collettività C&P • GIUSTIZIA

2008

2009

dello Unico 2010. «Sì. Le comunicazioni sono state già recapitate ai contribuenti interessati. In particolare, i fari saranno puntati su alcune incoerenze relative alla gestione dell’attività verificatesi nel corso del triennio 2006-2008. La comunicazione di anomalia di per sé non farà scattare l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, ma è comunque previsto un piano di controlli ad hoc per i contribuenti che nel 2008 hanno perseverato in un comportamento risultato già anomalo nel triennio 2005-2007. Con queste comunicazioni, il fisco vuole sensibilizzare i contribuenti soggetti agli studi, invitandoli a valutare attentamente le eventuali anomalie relative ai dati rilevanti per la loro applicazione, che vanno indicati in Unico 2010. Così facendo, l’Agenzia tiene sempre aperto un canale di confronto con il contribuente, lo incoraggia in tempo reale ad assumere comportamenti corretti ed è pronta a fornirgli di volta in volta l’assistenza necessaria. Un po’ come accade con il tutoraggio per i grandi contribuenti». Vale a dire? «Le imprese con volume d’affari non inferiore a 200 milioni di euro sono destinatarie di un’attività di monitoraggio su misura, finalizzata ad assicurare un elevato grado di correttezza dei comportamenti fiscali». Gli studi di settore dovranno essere rielaborati su base regionale o comunale. Qual è il senso di questo restyling? «Questa rielaborazione, che vedrà i comuni protagonisti insieme all’Agenzia delle Entrate, è funzionale all’attuazione del federalismo fiscale e sarà realizzata tenendo conto delle differenze, a livello territoriale, dei prezzi di beni e servizi, dei costi dei fattori impiegati nel processo produttivo e dei modelli organizzativi che caratterizzano le diverse attività economiche. In questo modo sarà possibile determinare i ricavi o i compensi derivanti dall’applicazione degli studi di settore con riferimento alle specificità delle aree territoriali di riferimento. L’operazione è partita quest’anno e dovrà essere completata entro il 2013». 31




Pensioni • Giuliano Cazzola

Tutti i numeri della riforma «L’Inpdap ha calcolato un aggravio dei propri conti dell’ordine di 150 milioni l’anno. Ma i benefici di finanza pubblica sono sicuramente superiori». Interviene Giuliano Cazzola di Renata Gualtieri

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l mondo delle pensioni è destinato da qui al 2015 a vivere profondi cambiamenti. Nel lungo periodo si potranno raggiungere due importanti obiettivi: aumentare il periodo di permanenza al lavoro e frenare la spesa. La misura più recente riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile delle dipendenti pubbliche dopo la perentoria richiesta dell’Unione europea che ha imposto al nostro Paese di anticipare l'allineamento previdenziale tra lavoratori e lavoratrici, portando avanti un percorso di equiparazione sulla base del principio della parità retributiva. Nessun adeguamento è previsto, invece, per la pensione di vecchiaia femminile nel settore privato che resta ferma a 60 anni. La risposta del governo è arrivata e si traduce in una riforma non più rinviabile, ora si tratta solo di rifinire il sistema. La parola all’onorevole Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. Dal 1 gennaio del 2012 le dipendenti statali andranno in pensione a 65 anni. Il provvedimento riguarderà 25.000 dipendenti fino al 2018 però alcuni tecnici previdenziali hanno simulato l’ipotesi di una maxi fuga di 100 mila lavoratrici. Qual è il dato reale? «L’Inpdap ha calcolato che le lavoratrici interessate alla misura saranno in tutto poco più di 33 mila. Per individuare questa platea ha calcolato quante lavoratrici non potranno disporre dei requisiti per la pensione di anzianità nel periodo compreso tra il 2012 e il 2018. Infatti le lavoratrici che matureranno tali requisiti potranno andare in pensione senza problemi (ovviamente secondo le regole previste e cioè, a regime, un’età minima di 61 anni e quota 97 quanto alla somma tra età e versamenti). Quanto alla fuga dei 100 mila rimando alle dichiarazioni del presidente dell’Inpdap Paolo Crescimbeni, il quale ha smentito che sia in corso un esodo tanto massiccio per di più in termini aggiuntivi ai 90 mila casi che normalmente si verificano ogni anno. A me risulta che si trattasse della formulazione di un possibile scenario e che le 100 mila unità fossero state individuate come parametro per calcolare i costi di un possibile esodo, temuto allorché si parlava di rateizzare i trattamenti di buonuscita superiori a 24 mila euro. Ora l’allarme è cessato da quando

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C&P • GIUSTIZIA


Giuliano Cazzola • Pensioni

In apertura, l’onorevole Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera dei Deputati

Il risparmio di 1,45 miliardi sarà utilizzato per politiche familiari, asili nido e tutela della non autosufficienza C&P • GIUSTIZIA

il limite è stato elevato a 90 mila euro». La clausola di garanzia per le dipendenti che maturano i 61 anni entro il 31 dicembre del 2011 consente loro di chiedere all’amministrazione di appartenenza una certificazione formale del diritto acquisito alla pensione. È vero che tutto ciò ha una valenza più psicologica che effettiva? «No, è una garanzia sostanziale con un preciso significato, già sperimentato in altri casi. Chi matura i requisiti nel corso del 2011, non deve sentirsi obbligata ad andare in pensione se vuole lavorare ancora qualche anno. Deve avere la sicurezza che se resta al lavoro non le toccherà di arrivare dritta a 65 anni, ma potrà andarsene prima, dopo aver certificato il proprio diritto a farlo. Mi sembra una cosa ragionevole». Tutte le altre lavoratrici del settore pubblico dovranno necessariamente aspettare i 65 anni della pensione di vecchiaia? «Non tutte. Quelle che hanno i requisiti previsti per il trattamento di anzianità potranno andare in pensione prima dei 65 anni. A regime, a fronte di quota 97 (nel 2013) basteranno 61 anni di età. Più il tempo della finestra ovviamente». La cosiddetta “finestra mobile” già introdotta nella manovra non lascia spazio a deroghe, infatti, chi compirà i 65 anni nel 2012, fatta la domanda per la pensione, dovrà aspettare un altro anno per incassare il primo assegno. Dal 2015, però, l'età pensionabile non sarà calcolata anche sulla base dell’aspettativa di vita? 35


Pensioni • Giuliano Cazzola

Dal 2015 l’aggancio automatico agisce sul requisito anagrafico, a cui si aggiunge il tempo richiesto per l’esercizio del diritto, individuato dalla collocazione della finestra 36

«Deroghe ce ne sono per quanto riguarda l’allungamento delle finestre. Conservano quelle precedenti i lavoratori in mobilità e in situazione di preavviso e di invalidità a certe condizioni. Anche se nei fatti sono più o meno la medesima cosa non si deve fare confusione tra il requisito dell’età pensionabile e la finestra. Dal 2015 l’aggancio automatico agisce sul requisito anagrafico, a cui si aggiunge il tempo richiesto per l’esercizio del diritto, individuato appunto dalla collocazione della finestra». Proviamo a definire i risparmi: 50 milioni per il 2012 e 1,45 miliardi di euro entro il 2019 che confluiranno in un fondo vincolato della presidenza del Consiglio. Come saranno utilizzati? «Il risparmio di 1,45 miliardi di euro sarà utilizzato per politiche familiari, asili nido e tutela della non autosufficienza». Ci saranno anche dei costi? «Certo. Le prestazioni pensionistiche e le buonuscite saranno più elevate. L’Inpdap ha calcolato un aggravio dei propri conti dell’ordine di 150 milioni l’anno. Ma i benefici di finanza pubblica sono sicuramente superiori. Attenzione: la Ue non ha posto una questione di risparmi ma di lotta alla discriminazione retributiva subita dalle donne che anticipano la pensione». L’opposizione è critica, i sindacati chiedono confronto e gradualità, alcune economiste lamentano mancanza di interventi analoghi nel privato o addirittura sottolineano la “pretesa di realizzare un parità uomo-donna che è solo contrattuale e penalizzante, perché arriva alla fine di una vita di lavoro”. Cosa può rispondere in merito? «È giusto superare una differenza di età pensionabile riconosciuta quasi a titolo di risarcimento. Per realizzare un’effettiva parità di genere bisogna fare sicuramente di più, durante la vita lavorativa e non alla fine. Le affido comunque uno spunto di riflessione. La commissaria europea che ha imposto di concludere l’operazione entro il 2012 lo ha fatto, dal suo punto di vista, nell’interesse delle donne, per difendere una prospettiva di eguaglianza, non già per un intento punitivo. Chi sbaglia, allora? Gli organismi europei o i sindacati di casa nostra?». C&P • GIUSTIZIA



Antitrust • Antonio Catricalà

È tempo di liberalizzazioni Tutelare le Pmi, aiutare il mercato a trovare un equilibrio ideale e ancora le clausole vessatorie sui biglietti ferroviari, i contratti di luce e gas sono alcune delle sfide per il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà. Che sulla riforma dell’articolo 41 dice ben venga, «se serve a rafforzare un principio che dovrebbe essere considerato fondamentale per la crescita del Paese» di Anna Petrucci

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romuove la riforma dell’articolo 41 della Costituzione e auspica la revisione degli articoli 117 e 118. Mette nel mirino i settori dell’energia elettrica, del gas e del trasporto pubblici in quanto allergici al libero mercato. Ipotizza una messa punto degli strumenti legislativi in mano all’Antitrust per renderla più incisiva. Da un lustro, Antonio Catricalà è presidente dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. Una poltrona spesso scomoda su cui Catricalà si è seduto (e siederà per altri due anni) «nel mero interesse del Paese e dei cittadini». Il governo ha annunciato di volere riformare l’articolo 41 e 118 della Costituzione. È davvero necessario per rilanciare le liberalizzazioni? «Sono riforme che possono essere utili: il valore della concorrenza, ad esempio, non viene espressamente citato dalla Costituzione se non dalla nuova versione dell’articolo 117 che ne affida allo Stato la tutela. Ben venga dunque la riforma dell’articolo 41 se serve a rafforzare un principio che dovrebbe essere considerato fondamentale per la crescita del Paese.Ancora più essenziali sono le revisioni degli articoli 117 e 118: questi anni alla guida all’Antitrust mi hanno insegnato che le lenzuolate nazionali possono essere fatte a pezzi a livello locale. Evidentemente i paletti messi dall’articolo 117 non sono stati sufficienti e rischiano solo di trasformare le divergenze tra istituzioni centrali e istituzioni periferiche in contenzioso davanti alla Corte Costituzionale. La revisione della Carta può tuttavia essere utile solo se accompagnata a interventi, da attuare con legge ordinaria, in grado di rendere competitivo l’assetto economico del Paese».

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C&P • GIUSTIZIA


Antonio Catricalà • Antitrust

Ben venga la riforma dell’articolo 41, ma ancora più essenziali le revisioni degli articoli 117 e 118: le lenzuolate nazionali possono essere fatte a pezzi a livello locale

Antonio Catricalà è presidente dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato

C&P • GIUSTIZIA

Liberalizzazioni: nella sua relazione davanti al Parlamento ha ricordato energia elettrica e gas e trasporto pubblico quali settori che, per scarsa concorrenza, frenano l’economia. «Sta emergendo una dinamica poco competitiva di questi comparti che si traduce in costi aggiuntivi per le nostre industrie. Per l’energia elettrica le strozzature della rete finiscono con isolare intere zone del Paese, rendendo possibili abusi da parte delle aziende presenti sul mercato che sfruttano il loro potere. Per il gas continuiamo a soffrire la mancanza di rigassificatori: se ne aprono con il contagocce e invece sono fondamentali per aumentare la concorrenza nei confronti dell’Eni. Quanto al trasporto, sul tavolo ci sono tutte le grandi infrastrutture del Paese: autostrade e aeroporti, gestite da aziende concessionarie che possono contare su convenzioni lunghissime e su tariffe agganciate all’inflazione; il trasporto su ferrovia, dove occorre separare con chiarezza il ruolo di chi è proprietario della rete da quello di chi fa viaggiare i treni. Per farlo occorre un regolatore: se occorre, l’Antitrust è pronta a farlo.Abbiamo le competenze e non costeremmo una lira in più». Per una liberalizzazione equilibrata di un settore, in grado cioè sia di permettere ad un’azienda di rimanere competitiva sia di favorire il cittadino, come si dovrebbe procedere da un punto di vista legislativo? «Occorre permettere al mercato di raggiungere il suo equilibrio ideale. La storia ha tuttavia dimostrato che affidare l’economia, la vita delle aziende e il benessere dei consumatori alla ‘mano invisibile’ non sempre è la soluzione migliore. I correttivi vanno tuttavia studiati caso per caso. Pensiamo ad esempio ai mercati chiusi basati su licenze e concessioni: non c’è dubbio che occorra aprire ad altri concorrenti ma può essere necessario riconoscere gli investimenti effettuati e indennizzarli. Farò un esempio per tutti: ogni anno, appena arriva la bella stagione, iniziano le polemiche sul caro ombrellone. Per l’Antitrust la concessione per gli stabilimenti balneari dovrebbe essere messa a gara mentre attualmente chi è riuscito a entrare nel mercato va avanti di proroga in proroga, adducendo la necessità di difendere gli investimenti fatti. Che possono invece essere difesi semplicemente imponendo a chi vince la gara di rifondere il gestore uscente dei costi sostenuti. La gara, accompagnata dai doverosi e necessari controlli, garantisce che i servizi vengano svolti dal migliore al minor prezzo. Si tratta di un ragionamento che vale per i lidi estivi ma anche per l’acqua, per il trasporto pubblico locale, per la raccolta dei rifiuti». Cinque anni all’Antitrust: è possibile trarre un primo bilancio? «Il bilancio non spetterebbe a me, ma agli attori del mercato: alle imprese e soprattutto ai consumatori. Se devo attribuirmi un merito è proprio quello di avere riconosciuto e valorizzato il ruolo di questi ultimi. Ogni provvedimento, ogni decisione, sono stati analizzati alla luce dell’impatto che avrebbero avuto sulla vita quotidiana della gente». Come è cambiato il ruolo dell’Authority durante il suo quinquennio? «L’Antitrust ha parzialmente dismesso i panni del giudice per indossare quelli di amministrazione pubblica vicina ai cittadini e alle imprese. Il mio primo atto è stato quello di aprire le porte alle aziende, togliendo un eccesso di sacralità alle nostre procedure. Ho privilegiato, attirandomi non poche critiche, la strada del confronto aperto con gli imprenditori per capirne le esigenze, senza pregiudizi. Abbiamo ottenuto la competenza sulle banche che 39


Antitrust • Antonio Catricalà

Sta emergendo una dinamica poco competitiva dei comparti dell’energia elettrica, del gas e del trasporto pubblico che si traduce in costi aggiuntivi per le nostre industrie 40

fino al 2005 era stata sottratta al raggio d’azione dell’Autorità. Sono riuscito, insieme al Collegio, a ottenere strumenti normativi che potenziassero questo dialogo: da qualche hanno l’Antitrust può accettare gli impegni delle imprese messe sotto indagine per un’infrazione alle norme a tutela della concorrenza, anziché multarle. Si tratta di un meccanismo che può dare ottimi risultati per aprire i mercati e garantire benefici ai consumatori». Prima di concludere il mandato mancano ancora due anni: quali le prossime sfide? «Tutelare le piccole e medie imprese, che sono il tessuto produttivo vitale del nostro Paese, dalle prepotenze delle grandi e dai ritardi delle pubbliche amministrazioni. In questi anni di crisi abbiamo ricevuto moltissime denunce che evidenziavano distorsioni del mercato nei confronti delle quali non potevamo intervenire. Chiediamo nuove armi per aiutare il mercato a trovare l’equilibrio ideale. Seconda sfida l’eliminazione delle clausole vessatorie da tutti i contratti di massa: biglietti ferroviari, contratti di luce e gas, assicurazioni, conti correnti. Sono contratti che concludiamo tutti i giorni e che nascondono insidie per i consumatori, con codicilli incomprensibili in grado di squilibrare i rapporti tra i contraenti, aziende da un lato e cittadini dall’altro». Occorre una messa a punto degli strumenti in mano all’Antitrust per una maggiore incisività? «Le sfide che ho davanti presuppongono modifiche normative. Abbiamo anche bisogno di potere impugnare direttamente davanti al giudice amministrativo atti e delibere degli enti locali che violano la concorrenza: senza questa possibilità qualsiasi istanza riformatrice rischia di arenarsi». Quale settore è più impermeabile alla concorrenza? «Non mi piace fare classifiche: mi limito a notare che la crisi ha acuito la voglia di ciascuna categoria di chiudersi a riccio, di giocare in difesa, di difendere i propri privilegi. Ma procedendo così il Paese non può riprendersi il ruolo che gli spetta a livello internazionale». Perché in Italia il libero mercato sembra sempre una medicina amara? Potere delle lobby? «È mancata la cultura della concorrenza e del libero mercato e in questo vuoto si sono accomodate e hanno proliferato le lobby. All’inizio ciò non ha suscitato scandalo e ha prodotto un effetto moltiplicatore: ogni categoria ha creato il suo orticello e ha alzato barriere per difenderlo. Per questo occorrono le riforme». Consumatori: c’è vera tutela oppure è auspicabile un intervento del legislatore per rafforzare gli strumenti in mano ai cittadini? E soprattutto i cittadini bussano alla porta dell’Antitrust? «Gli strumenti sono sufficienti, anche se non sarebbe male dare all’Antitrust più risorse umane per tutelare i cittadini che hanno preso coscienza dei loro diritti e bussano convinti alla nostra porta. Dalla fine del 2007, quando è stato istituito, a oggi il nostro call center ha ricevuto oltre 24 mila telefonate». Quest’anno avete bandito il concorso tra scuole “Io non abbocco” per diffondere la cultura della concorrenza e della tutela del consumatore. L’educazione civica come mattone nella barriera alle lobbies? «Sì, occorre iniziare la costruzione dal basso. Ne siamo convinti e l’entusiasmo con il quale i ragazzi hanno svolto il progetto ci conferma che abbiamo fatto la cosa giusta».

C&P • GIUSTIZIA



Riforme • Enrico Costa

Testi di legge più condivisi Molti sono i disegni di legge al vaglio della commissione Giustizia della Camera. Attualmente il più importante è quello relativo alle intercettazioni. Un lavoro svolto in maniera collegiale senza logiche di partito. Enrico Costa ne spiega le dinamiche di Nicolò Mulas Marcello

Enrico Costa, membro della commissione Giustizia della Camera dei Deputati

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attività della commissione Giustizia della Camera è fondamentale ai fini della valutazione e della approvazione dei provvedimenti che vengono posti al suo vaglio. I compiti dei commissari sono quelli di studio delle materie presentate e in sede consultiva la Commissione viene chiamata ad esprimere un parere. Molti sono i disegni di legge importanti al vaglio della Commissione. «È un lavoro molto complesso – spiega l’onorevole Enrico Costa – perché non è semplicemente una discussione ma è un approfondimento con decine e decine di audizioni». Come è strutturata l’attività della commissione giustizia? «Quando arriva un provvedimento sia in sede referente che in sede consultiva viene nominato un relatore che fa una relazione che poi presenta alla commissione sotto forma di provvedimento. Allora si avvia una discussione, dopo la quale, se ci sono più proposte di legge sullo stesso argomento viene approvato un testo base unificato sul quale si apre il termine per gli emendamenti. Gli stessi vengono approvati o respinti, quindi ci sarà un testo già emendato sul quale vengono raccolti i pareri di tutte le altre commissioni, per esempio per un testo relativo a questioni ambientali, si interpella ovviamente la commissione ambiente. Il testo poi ritorna al relatore con il mandato di riferire in aula». Quali sono attualmente i disegni di legge più importanti al vaglio della commissione Giustizia? «Adesso stiamo esaminando provvedimenti di una certa rilevanza perché è ritornato quello sulle intercettazioni dal Senato. Naturalmente il nostro esame sarà limitato ai punti che sono stati modificati al Senato. Vi è inoltre un provvedimento riguardo la disciplina delle detenute madri, ovvero relativo al modo di scontare la pena delle detenute madri che in sostanza prevede alcune modifiche normative, questa è una proposta di legge dell’opposizione. Poi vi è la questione delle pene detentive inferiori a un anno che è un provvedimento teso a evitare il sovraffollamento delle strutture carcerarie, e che dovrà essere approvato in via legislativa. Inoltre ci sono tutta una serie di provvedimenti che sono al nostro esame ma ancora in fase istruttoria, per esempio quello relativo al divorzio breve o il testo relativo all’omofobia, anche quello proposto dall’opposizione, e un nuovo testo sulla responsabilità civile dei magistrati». Come stanno procedendo i lavori quindi i lavori sulle norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali attualmente al vaglio della commissione Giustizia della Camera?

L’

C&P • GIUSTIZIA


Enrico Costa • Riforme

L’azione della nostra Commissione dipende molto da quelle che saranno le condizioni politiche e le scelte politiche in ordine a questo provvedimento C&P • GIUSTIZIA

«C’è stata la relazione della presidente e ora ci sarà la fase istruttoria. Immagino che ci sarà qualche audizione e poi il provvedimento sarà pronto per una decisione. L’azione della nostra commissione dipende molto da quelle che saranno le condizioni politiche e le scelte politiche in ordine a questo provvedimento». Se dovesse stilare un bilancio dei lavori della Commissione da inizio anno a oggi quali sono i più importanti interventi che sono stati fatti? «Ne sono stati fatti molti. Penso ai provvedimenti in materia di lotta alla mafia e a tutti i provvedimenti sulla sicurezza. Sono tutte disposizioni molto importanti che sono passate dalla Commissione e per le quali abbiamo attivato uno studio accurato che ha portato ai testi definitivi poi approvati». Quali sono le prossime attività in agenda per la commissione Giustizia? «Attualmente il provvedimento sulle intercettazioni ma avremo anche attenzione per esempio su quello che ci sarà in sede legislativa. Devo dire che è un lavoro molto complesso perché non è semplicemente una discussione, ma un approfondimento con decine e decine di audizioni. Oltre a questi ci sono tutti i provvedimenti che vengono fatti in sede consultiva. Ogni legge normalmente ha una sanzione, che sia una legge delle attività produttive o sulla cultura. Dove ci sono determinate regole c’è una sanzione. Ad esempio anche per le attuali modifiche al codice della strada, tutti i provvedimenti approdano in Commissione per un esame non in sede referente ma in sede consultiva. Noi dobbiamo dare un parere, quindi ogni norma deve essere studiata nei particolari. È una commissione dove si lavora seriamente. Ci sono alcuni provvedimenti che sono oggetto di forte discussione e polemiche politiche, ma il 90% del nostro lavoro riguarda provvedimenti né di destra né di sinistra quindi è un lavoro che viene svolto in modo molto collegiale dalla Commissione, senza logiche di schieramento». 43


Fisco e imprese • Claudio Siciliotti

Una manovra migliorabile Giudizio moderatamente positivo dei dottori commercialisti sulla manovra correttiva del governo. Ma per il presidente del consiglio nazionale della categoria, Claudio Siciliotti, le misure di riduzione della spesa pubblica previste, unica leva per finanziare il rientro del deficit, non bastano di Francesca Druidi a correzione dei conti pubblici non può ormai più prescindere da un processo di ridimensionamento della spesa pubblica. È il fondamentale presupposto su cui si basa la manovra del governo, uno spunto apprezzato e condiviso anche dai commercialisti italiani. Ma restano perplessità su diversi punti. Il primo è la destinazione del gettito dalla lotta all’evasione, che non deve essere finalizzato alla riduzione del deficit ma, come spiega il presidente del Consiglio nazionale della categoria Claudio Siciliotti, «deve, invece, andare verso la diminuzione delle imposte per chi già le paga e il finanziamento di incentivi per la crescita economica». Il secondo punto consiste nella definizione del nuovo redditometro previsto tra gli strumenti di lotta all’evasione, nel quale per Siciliotti si deve mantenere il presupposto dell’immediatezza e della semplicità. Altro tema caldo di riflessione è fornito dalla riforma delle professioni, che il presidente ha così commentato nel corso del suo intervento alla III Conferenza annuale della categoria il 19 maggio scorso: «L’iniziativa messa in campo da Alfano sulle professioni è un momento di svolta. Ora, il compito delle professioni ordinistiche è quello di individuare con chiarezza e coraggio i temi prioritari di discussione attorno ai quali costruire una vera riforma, non qualcosa che possa sembrare una controriforma». Le priorità individuate da Siciliotti sono l’introduzione di un modello societario ad hoc per i professionisti e una maggiore trasparenza nei procedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti che sbagliano. Può indicare gli aspetti maggiormente positivi della

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C&P • GIUSTIZIA


Claudio Siciliotti • Fisco e imprese

In apertura, Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili

I tagli alla spesa pubblica ci sono, ma sono insufficienti a raggiungere da soli l’obiettivo del rapporto deficit-Pil sotto il 3% nel 2012 C&P • GIUSTIZIA

manovra attuata dal governo? «Il messaggio generale che la manovra trasmette, nell’istante in cui sceglie di intervenire contemporaneamente sia sul fronte della spesa pubblica e del pubblico impiego in particolare, sia sul fronte della lotta all’evasione. Il blocco degli stipendi nel pubblico impiego è un segnale forte, ma anche le misure relative al nuovo redditometro, alla riscossione e alla tracciabilità sono tutt’altro che marginali. L’importante è dimostrare appunto di voler procedere di pari passo in entrambe le direzioni, per spezzare “l’equilibrio dei disequilibri” che, nel corso dei decenni, ha portato il Paese sull’orlo del baratro: da un lato, lavoratori dipendenti ipergarantiti e pagati al di là di effettive valutazioni in merito alla loro produttività, dall’altra imprese e lavoratori autonomi mai messi completamente con le spalle al muro rispetto all’evasione fiscale. In mezzo, gli onesti di ambo le parti, per i quali c’è sempre stato tutto da rimetterci». Negativo è il suo commento sull’impiego dei fondi recuperati dalla lotta all’evasione. Su quali altre misure lei interverrebbe? «Per forza, il commento è negativo.Tutti si riempiono la bocca dicendo che bisogna pagare tutti per pagare meno, ma se poi il frutto della lotta all’evasione viene sistematicamente impiegato per ripianare il deficit, anziché per ridurre le tasse o stimolare la crescita, allora l’unica cosa vera è che bisogna pagare tutti per pagare tutto, o meglio quasi tutto, perché sembra non bastare mai. Il ripianamento del deficit deve essere fatto solo con riduzioni di spesa. La lotta all’evasione deve, invece, andare verso la diminuzione delle imposte per chi già le paga e il finanzia45


Fisco e imprese • Claudio Siciliotti

mento di incentivi per la crescita economica». Il redditometro identifica il meccanismo centrale nella lotta all’evasione fiscale. A suo avviso si tratta di uno strumento che risulta realmente efficace solo se ne viene conservata l’immediatezza? Quali condizioni richiede il redditometro affinché possa cambiare in maniera sostanziale il rapporto tra fisco e contribuente? «Noi siamo stati i primi, all’inizio del 2008, a richiamare l’attenzione sulla necessità di dare nuova vita al redditometro e di farne il perno dell’azione dell’amministrazione finanziaria contro l’evasione fiscale di massa. Lungi da noi, dunque, criticare l’attuazione di una scelta che abbiamo suggerito noi. Quello che ci preoccupa è però che, in un eccesso di entusiasmo, i tecnici dell’Agenzia delle Entrate possano perdere di vista come il successo del redditometro passi attraverso la semplicità dello strumento e si mettano, invece, a riempirlo di coefficienti statistici anche laddove non serve, creando una sorta di studi di settore per famiglie. Sarebbe un vero e proprio autogol per l’Erario stesso, ma sono fiducioso che un uomo di grande esperienza e capacità come il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, saprà trovare insieme ai suoi tecnici la giusta sintesi». Quali saranno le maggiori ripercussioni della manovra sulle imprese? «Nella manovra non c’è nulla per le imprese, salvo ovviamente, in modo indiretto, le norme che mirano a operare una stretta all’evasione fiscale. Ecco, posto che chi evade fa concorrenza sleale a chi fa impresa con onestà verso il fisco, possiamo dire 46

che questa manovra aiuterà gli imprenditori onesti nei confronti dei loro competitor fiscalmente scorretti. Oggettivamente troppo poco, ma il problema sta in quello che dicevamo prima: le entrate della lotta all’evasione vengono ancora una volta vincolate al ripianamento del deficit, anziché al finanziamento di incentivi per la crescita, perché i tagli alla spesa pubblica ci sono, ma sono insufficienti a raggiungere da soli l’obiettivo del rapporto deficit-Pil sotto il 3% nel 2012». Cosa, invece, inciderà di più sui cittadini? «Per i dipendenti del pubblico impiego ci sarà un blocco delle remunerazioni che porterà a un riavvicinamento delle loro dinamiche salariali con quelle dei lavoratori del settore privato, anche se purtroppo questo riavvicinamento viene fatto fermando chi era cresciuto di più, anziché portando avanti chi era cresciuto di meno. Per i cittadini in generale, vi saranno senza dubbio maggiori possibilità di essere scoperti, dove infedeli nel rapporto con il fisco». Se l’inderogabilità dei minimi tariffari non è un tema centrale per la riforma del sistema ordinistico, quali misure, nello specifico, ritiene prioritarie in base alle istanze recepite dall’intera categoria? «L’introduzione di un modello societario ad hoc per i liberi professionisti, basato sul capitale intellettuale, anziché sul capitale economico, al fine di poter agevolare quei processi di aggregazione che oggi continuano a essere uno dei talloni d’Achille dei professionisti italiani, rispetto alle realtà professionali di altri Paesi. Inoltre siamo convinti che sia arrivata l’ora di un ripensamento dell’impianto disciplinare per conC&P • GIUSTIZIA


Claudio Siciliotti • Fisco e imprese

La lotta all’evasione deve andare verso la diminuzione delle imposte per chi già le paga e il finanziamento di incentivi per la crescita economica C&P • GIUSTIZIA

sentire agli Ordini di fornire risposte più efficienti ai cittadini e ai colleghi onesti, rispetto a quella ristretta minoranza di professionisti che si rende protagonista di fatti di particolare gravità». Un altro tema caldo è l’accesso alla professione. Lei si è detto contrario all’istituzione del numero chiuso, ma come si può intervenire nel concreto per abbassare le barriere che frenano i giovani professionisti oggi? «Al di là del numero chiuso, non esistono altre barriere all’accesso per i giovani. L’esame di Stato e il tirocinio professionale non sono barriere all’accesso, ma semplicemente elementi di selezione qualitativa, al pari degli obblighi di formazione continua che devono caratterizzare tutti gli ordinamenti professionali moderni. I commercialisti oggi sono più di 110.000, gli avvocati sono oltre 220.000. Sul numero chiuso, invece, nessuna deroga: non deve essere introdotto e, anche laddove esiste, è opportuno meditarne l’eliminazione». Come una riforma dell’Ordine dovrebbe tenere conto dei giovani? «Il nostro Ordine è già stato di recente oggetto di una radicale riforma che ha portato all’unificazione dell’Albo dei dottori commercialisti e di quello dei ragionieri nell’Albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Al momento, dunque, più che di una riforma, il nostro ordinamento necessita al massimo di qualche miglioramento. Uno di questi, nell’ottica dei giovani, è senza dubbio l’eliminazione del divieto di poter avere dei tirocinanti per i colleghi iscritti da meno di cinque anni all’Albo». 47


Fisco e imprese • Luigi Carunchio

Deontologia e organizzazione i commercialisti under 40 La professione va «reinventata», avverte Luigi Carunchio, presidente nazionale dei giovani commercialisti. Non ripristinando le tariffe minime, ma con tirocini ed esami qualitativamente validi e incentivando anche l’aggregazione professionale di Enza Levantino una mera illusione ritenere che, ripristinando i minimi tariffari e rafforzando le barriere all’ingresso, si possano risolvere gli attuali problemi del mercato, peraltro già molto affollato». Per non dire, chiosa Luigi Carunchio, presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, «saturo da anni». E semiprecluso a un giovane alle prime armi. Se un under 40 vuole collocarsi «con soddisfazione sul mercato», le uniche armi a sua disposizione sono «l’alta qualità e la specializzazione», uniche garanzie. Altrimenti le possibilità di centrare l’obiettivo «sono ormai limitatissime». Stante così la situazione è pertanto «illusorio ritenere che la responsabilità delle difficoltà per i giovani siano i minimi tariffari. In effetti – prosegue il presidente –, l’abolizione di questi anni non ha sortito in questo senso alcun effetto sugli onorari applicati che sono variegati e collegati alla capacità dei professionisti di veicolare sul mercato la loro qualità. L’eventuale ripristino dei minimi, che i commercialisti hanno abolito ben prima delle “lenzuolate di Bersani”, poco modificherebbero». Per quanto riguarda, invece, le barriere all’ingresso, «il formidabile incremento numerico degli ultimi venti anni delle professioni tradizionali, dimostra che in Italia barriere all’ingresso non ve ne sono state. Allora, dobbiamo prevedere esami qualitativamente più selettivi, ma con tempi più stretti per sostenerli». Anche perché «i tirocini troppo lunghi non producono buoni professionisti, ma solo orde di praticanti

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Luigi Carunchio • Fisco e imprese

In apertura, Luigi Carunchio, presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili

Se il tirocinio diventa un rifugio per la disoccupazione e non un momento qualificante per il futuro professionale, allora è chiaro che vengono meno anche le tutele C&P • GIUSTIZIA

mal pagati. E il lassismo sulla qualità degli esami orde di professionisti privi di occupazione e qualificazione». Due gli aspetti su cui, auspica il presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, si dovrebbe intervenire: «deontologia e organizzazione degli studi. Da un lato, va valorizzata la deontologia come luogo di incontro dell’intreccio di interessi pubblici e privati che investono la prestazione professionale. E, dall’altro, va incentivata un’organizzazione degli studi che esalti la professionalità, la specializzazione e la qualità del servizio. Il nostro Paese è oggi caratterizzato da una miriade di piccoli studi, ormai la visione atomistica non paga. Occorre incentivare l’aggregazione professionale». La stragrande maggioranza dei giovani, superato l’esame di Stato, non riesce ad aprire un proprio studio. E’ solo una questione economica o piuttosto di ‘difesa del fortino’? Insomma il ricambio generazionale è impossibile? «Né l’una e né l’altra. I giovani oggi non aprono nuovi studi per il concorso di due circostanze. Da una parte, un eccesso di numerosità e una conseguente saturazione dei mercati e, dall’altra, perché, una volta che le relazioni fiduciarie tra cliente e professionista si sono stabilizzate, è difficile che si interrompano per l’intervento di nuovi professionisti sul mercato. Insomma la vera concorrenza nei mercati professionali non si fa, salvo in segmenti a bassa qualità, a suon di tariffe basse. Ma sull’elemento centrale del mercato che è l’elemento fiduciario. Insomma il ricambio generazionale è possibile se si riesce ad interpretare quella relazione fiduciaria in modo nuovo proponendo alla clientela qualità, servizi integrati e differenziati ed organizzazione. Questo però non significa che gli ordini non servono più a nulla». Allora gli Ordini non vanno superati? «Questo è un tormentone inutile. Certo esiste una dinamica lobbistica, ma è una naturale conseguenza dell’aggregazione, non la sua causa. La quale trova le sue ragioni nella particolarità della prestazione professionale e nell’esigenza dei professionisti di qualità di non farsi spiazzare da fenomeni di free riding da parte di soggetti privi di qualificazione. Tale dinamica ha storicamente tutelato gli utenti dei servizi pro49


Fisco e imprese • Luigi Carunchio

fessionali. Le aggregazioni si sono storicamente vestite con gli strumenti che il diritto del luogo metteva loro a disposizione e allora nel mondo latino sono nati gli Ordini con una caratterizzazione pubblicistica e nei Paesi di Common law le associazioni con natura giuridica privatistica. Il fenomeno economico è unitario, non c’è professione senza aggregazione. Se poi mi si dice che gli Ordini oggi hanno un ruolo troppo burocratico e che va incentivato il ruolo di garanzia della qualità è vero, ma il problema non è l’Ordine, bensì il suo ruolo». Nella logica di sviluppo delle libere professioni, è auspicabile l’accesso dei professionisti ai finanziamenti e agli incentivi concessi fino ad ora solo alle imprese? «La questione non è nominalistica. Non vi è dubbio che l’esercizio della professione sia qualcosa di profondamente diverso dall’esercizio dell’impresa. È vero, però, nel contempo, che se vogliamo perseguire quegli obiettivi di qualità e organizzazione sopra auspicati, è necessario incentivare l’aggregazione e gli investimenti volti a favorire quegli aspetti. Per questo motivo non ha alcun senso che ai giovani professionisti, che perseguono questi obiettivi, siano preclusi finanziamenti e incentivi per realizzare questi risultati, utili alla concorrenza come allo sviluppo del mercato». Tirocini: spesso a retribuzione incerta e tutele scarse. Occorre un intervento legislativo in questa direzione? «I tirocini vanno modificati privilegiando la qualità alla du50

rata. Realizzato questo obiettivo un intervento legislativo per tutelare gli aspetti economici diviene ineludibile. Bisogna però rendere consapevoli i giovani che tutto non si può avere: se il tirocinio diventa un rifugio per la disoccupazione e non un momento qualificante per il futuro professionale, allora è chiaro che vengono meno anche le tutele. Rimane il fatto che il lavoro, specie se qualitativamente significativo, deve essere retribuito». Il prossimo anno il suo mandato scade. È possibile trarre un primo bilancio alla guida dei giovani commercialisti? «Credo che il risultato più rilevante del mio mandato e della mia Giunta sia quello di essere riuscito a mettere i giovani professionisti, non solo i giovani dottori commercialisti, al centro del dibattito sul futuro del Paese, nonostante le difficoltà che questi da tempo ormai vivono. I giovani professionisti possono davvero essere parte integrante della classe dirigente e innovatrice di questo Paese, ma a condizione che abbiano la piena coscienza che il futuro è loro». Il suo programma di mandato si apriva con lo slogan «Reinventiamoci la nostra Professione». Cosa occorre davvero per tagliare questo traguardo? «Reinventare la professione significa assumere come pilastro fondante due stelle polari: la deontologia e l’organizzazione. La professione deve reinventarsi innovandosi e liberandosi da concetti che sembrano abbracciare la tradizione quando invece mirano ad uno statu quo deleterio per la professione stessa». C&P • GIUSTIZIA



Giustizia tributaria • Daniela Gobbi

La certezza del diritto Il Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria ha il compito di vigilare sul corretto funzionamento della giustizia a tutela del cittadino e del fisco. Il presidente Daniela Gobbi spiega le ultime iniziative di Simona Cantelmi

nche la giustizia tributaria necessita di alcune innovazioni importanti, come incentivare la formazione e riconoscere maggiormente il lavoro del giudice. A parlare delle esigenze del sistema e degli ultimi progetti, in quest’anno che pare contraddistinto da un incremento del contenzioso a causa dell’aumento di controversie per tributi locali, è la donna numero uno dell’organo di autogoverno dei giudici fiscali, l’avvocato Daniela Gobbi, eletta alla carica di presidente l’estate scorsa. All’organo che lei presiede è affidata la funzione di supervisione e accertamento del corretto funzionamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali. Come avviene la sinergia fra gli organismi locali e quello centrale? «Il Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria ha il compito, tra l’altro, di vigilare sull’attività delle commissioni tributarie. L’azione viene esercitata in vari modi. Tra questi le ispezioni, le riunioni periodiche con i presidenti delle commissioni regionali e provinciali, il controllo dell’arretrato attraverso un sistema di verifica e di monitoraggio, l’emanazione di risoluzioni». Quali sono i maggiori punti critici della giustizia tributaria? Quali operazioni andrebbero attuate per

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Daniela Gobbi • Giustizia tributaria

In apertura, Daniela Gobbi; a fianco, il Salone della giustizia di Rimini

migliorare il sistema? «Il sistema già oggi funziona perfettamente. Il processo tributario è quello che, senza ombra di smentita, è in linea con il principio costituzionale del giusto processo. I primi due gradi di giudizio si svolgono in non più di 18 mesi. Il collo di bottiglia si rinviene nel giudizio di legittimità presso la Suprema Corte dove occorrono diversi anni prima che il processo concluda il suo iter. Occorrerebbe implementare il numero dei giudici di cassazione presso la V sezione per consentire uno smaltimento più rapido delle pendenze. Oltretutto, per gli interessi che tratta il processo tributario è necessario arrivare a delle pronunce definitive in tempi rapidi. Questo per garantire certezza del diritto e affidabilità nel sistema giustizia. A chi è utile una decisione che perviene dopo dieci o vent’anni?». Occorrono altre azioni? «Bisognerebbe anche valorizzare il ruolo del giudice oggi sempre più impegnativo, riconoscendogli professionalità, competenza, un maggiore compenso economico e una diversa progressione di carriera. Il compenso economico maggiore s’impone per una ragione di dignità della funzione. Il giudice tributario è l’unico che a oggi percepisce un compenso fisso di circa 198 euro e uno variabile di circa 26 euro, per il relatore, a sentenza. È un’esigenza di dignità della funC&P • GIUSTIZIA

Bisognerebbe valorizzare il ruolo del giudice oggi sempre più impegnativo, riconoscendogli professionalità, competenza, un maggiore compenso economico e una diversa progressione di carriera 53


Giustizia tributaria • Daniela Gobbi

Daniela Gobbi col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 7 ottobre 2009 durante l’incontro di presentazione del neoeletto Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria

zione. Poi occorrerebbe rimuovere gli impedimenti legislativi che non consentono ai giudici provenienti dal mondo laico di ricoprire i ruoli semidirettivi o direttivi. Paradossalmente oggi una donna avvocato è presidente dell’Organo di autogoverno, delle Commissioni tributarie mentre nessun professionista può ricoprire un posto di presidente di sezione o di commissione. È una contraddizione fin troppo evidente». A fine 2009 vi eravate proposti alcuni obiettivi come visite ispettive presso le Commissioni, l’incentivazione, la formazione e l’aggiornamento dei giudici e lo sviluppo di una piattaforma telematica. Come procede il progetto? «In modo ottimale, direi. Siamo insediati da quasi un anno e, se si considera che l’insediamento è avvenuto in luglio e la pausa estiva, che di fatto non vi è stata perché il Consiglio

Il processo tributario è quello che, senza ombra di smentita, è in linea con il principio costituzionale del giusto processo 54

ha operato anche in agosto per l’attività amministrativa e di coordinamento, possiamo dirci soddisfatti del ritmo di lavoro e delle iniziative promosse. Prima tra tutte la partecipazione al Salone della giustizia di Rimini, le riunioni periodiche con i presidenti delle commissioni regionali e provinciali, le risoluzioni in materia d’incompatibilità e il riordino della materia in tema di assenze. Abbiamo sottoscritto il protocollo d’intesa per lo svolgimento del processo telematico che vede impegnati oltre trenta giudici della Commissione provinciale di Roma e regionale del Lazio impegnati quasi a tempo pieno». Organizzate corsi o seminari? «A oggi sono stati organizzati incontri di studio seminariali in numerose regioni di Italia e prossimamente ne proporremo altri. Siamo intenzionati a coprire periodicamente tutte le regioni, in modo da consentire a tutti i giudici di partecipare alle giornate di aggiornamento formativo con la minima spesa». In che modo riuscite a garantire costantemente un operato “al servizio dello Stato e a tutela del contribuente”? «Attraverso il controllo dell’efficienza del servizio, della terzietà e la preparazione professionale del giudice». Come la sua sensibilità femminile entra nel suo ruolo di presidente e vigile supervisore? «Cerco di essere attenta ai particolari e scrupolosa. Dedico molto tempo al ruolo che oggi ricopro. Non so se queste caratteristiche siano tipiche dell’essere femminile, certamente rispecchiano il mio modo di essere. Spero di fornire un buon servizio nell’interesse dell’Istituzione». C&P • GIUSTIZIA



Tributi • Massimo Boidi

Fisco, situazione paradossale Inseguono le circolari, talvolta poi smentite dalla giurisprudenza. Un lavoro a ostacoli quello dei tributaristi. Per Massimo Boidi dello studio Boidi & Partners «la sola cosa certa è che il cammino è ancora lungo» di Danilo Marchesi l nostro impianto tributario, manca una sorta di “pax” legislativa e di prassi che dovrebbe consentire, alla platea dei contribuenti e soprattutto ai loro consulenti, di non dover continuamente rincorrere non solo la novità normativa, ma anche la circolare interpretativa». Anche perché, talvolta, osserva Massimo Boidi, dello studio Boidi & Partners, lo stesso documento viene poi «smentito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, come testimoniato dalla recente inversione della stessa Agenzia delle Entrate in materia di Irap per gli agenti, i promotori finanziari e gli ausiliari del commercio più in generale». Certo, osserva il commercialista, «sono stati fatti dei grandi passi in avanti nella gestione del rapporto fisco-contribuente, ora improntato su un maggior rispetto del secondo». Il fatto è che «assistiamo ancora troppo spesso a un disconoscimento di quei principi fondamentali contenuti all’interno dello Statuto del contribuente». Esemplificando, per le aliquote fiscali, specie per le persone giuridiche, si vive una «situazione veramente paradossale: se da un lato è vero che l’aliquota nominale dell’Ires è pari al 27,5%, dall’altro è indubitabile che quando si confronta l’utile ante-impo-

A Massimo Boidi dello studio Boidi & Partners e partner dell’alleanza professionale Synergia Consulting Group

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C&P • GIUSTIZIA


Massimo Boidi • Tributi

Sono stati fatti progressi nella gestione del rapporto fisco-contribuente, ma assistiamo ancora troppo spesso a un disconoscimento dei principi contenuti nello Statuto del contribuente ste con l’utile netto, molto spesso la tassazione si pone intorno, e talvolta supera, il 50%». Per un soggetto estero, «tale fatto è inspiegabile. E si deve spiegare loro che una cosa è l’utile ante-imposte civilistico, ma tutta un’altra è la base imponibile ai fini del calcolo dell’imposta, figlia di una legislazione, che pone molti limiti alla deducibilità di alcuni costi. Si pensi agli interessi passivi, la cui deducibilità è legata a una percentuale del 30% del reddito operativo lordo, piuttosto che alla deducibilità parziale dei costi relativi alle autovetture, alle spese di rappresentanza, alla indeducibilità dell’ammortamento del valore dell’area nel calcolo dell’ammortamento dei fabbricati e così via». Altre incongruenze, per Boidi, emergono sull’Irap «che spesso si paga anche quando la società presenta un bilancio in perdita. Sotto questo aspetto si è fatto un notevole progresso con il “principio di derivazione”, secondo il quale molti costi sono deducibili sulla base delle risultanze di bilancio, indipendentemente dal loro trattamento a fini Ires, ma l’Irap è e resta un’imposta odiosa, perché di fatto penalizza i contribuenti, considerando indeducibile il costo del lavoro. Un’imposta che incentiva ad acquistare macchinari, sancendo la deducibilità dei correlati ammortamenti, a discapito del lavoro umano non può che essere considerata un’imposta zoppa dalle sue fondamenta». Insomma, osserva Boidi, «la sola cosa certa è che il cammino è ancora lungo e chissà che un giorno a livello europeo, dopo aver armonizzato l’Iva, non si giunga alla tanto auspicata determinazione di una base imponibile comune ai fini delle imposte dirette». Se poi si guarda all’evasione fiscale, «molto spesso ci si chiede quali rimedi si possano adottare nella lotta all’evasione fiscale “quotidiana”, specie per quella riguardante i soggetti che hanno a che fare con i privati – chiarisce Boidi –. A tutti sarà capitato infatti di sentirsi dire: “Farebbe X, ma senza fattura posso farle Y (di solito il 20% pari all’Iva sulla prestazione o sulla cessione di beni). Credo quindi che, oltre al redditometro e agli studi di settore, occorra creare un regime fiscale dei cosiddetti “interessi contrapposti”. Se l’Erario concedesse la detraibilità del costo, probabilmente il privato accetterebbe di buon grado l’aggravio dell’Iva. Trasformandosi così, nel richiedere la fattura, in un potenziale membro dell’Amministrazione finanziaria poiché ha come contropartita appunto la deducibilità dal reddito imponibile del costo sostenuto». Da ultimo, in merito poi alla «giustizia tributaria, eccezion fatta per le sezioni specializzate della Corte di Cassazione, sarebbe opportuno che anche nei primi due gradi di giudizio vi fosse una maggiore professionalità, nel senso di avere componenti esclusivamente dedicati alla causa e non, come molto spesso accade, solo “prestati”». C&P • GIUSTIZIA

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Tributi • Milano, Roma, Napoli

Giustizia tributaria: veloce e on line Sempre più i cittadini si rivolgono alle commissioni tributarie per avere giustizia, ma anche chiarezza a fronte di un regime fiscale bizantino. Parlano i presidenti delle commissioni tributarie di Roma, Milano e Napoli di Claudia Scarpati

uspicano una razionalizzazione della quanto mai bizantina normativa in materia fiscale. Una complessità che, al di là del comune tasso di litigiosità, sfocia in un aumento dei ricorsi e dei contenziosi che arrivano sui banchi delle commissioni tributarie, da loro presiedute. Milano, Roma e Napoli. Tre città dove la giustizia tributaria marcia in tempi veloci, soprattutto se paragonati a quelli dei tribunali civili.

A MILANO

In apertura, cittadini in attesa al dipartimento per le politiche fiscali della commissione tributaria di Milano; nella pagina a fianco, Luigi Bitto, facente funzioni di presidente della Commissione tributaria meneghina

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Da luglio 2009 a giugno 2010, «i ricorsi sono aumentati di 452 unità (in entrata 14.842), cifra che, su una pendenza di oltre 14.000 pratiche, indica una sostanziale stabilità», snocciola Luigi Bitto, facente funzioni di presidente della commissione tributaria meneghina. Un quasi pareggio che non racconta come l’organo tributario, che fa capo al ministero delle Finanze, ogni giorno debba fare i conti con un profluvio di nome, codici e codicilli a dir poco eterogeneo. Basta citare un esempio, noto a tutti: «la vicenda dell’Irap. Se la Corte Costituzionale avesse dichiarato senza mezzi termini l’incostituzionalità oppure l’incondizionata legittimità del tributo – spiega Bitto –, sarebbe stato possibile fare a meno di un numero cospicuo di controversie. La Corte, in una sentenza, ha dichiarato la legittimità costituzionale della legge istitutiva dell’Irap. Ha lasciato, però, aperto uno spiraglio: se il prestatore d’opera, che per definizione deve essere autonomo, non è realmente autonomo, non può essere assogC&P • GIUSTIZIA


Milano, Roma, Napoli • Tributi

La riforma fiscale dovrebbe ispirarsi al principio della flat tax. Per accostarsi a questo traguardo, bisognerebbe porre poche aliquote sopportabili ed evitare la vigente giungla di eccezioni, agevolazioni e inasprimenti C&P • GIUSTIZIA

gettato all’Irap. La Cassazione, poi, ha trasformato lo spiraglio in un portone, demandando al giudice di merito un’indagine per controllare il grado di autonomia del prestatore d’opera, soprattutto professionale, in modo da stabilirne caso per caso l’assoggettabilità al tributo. La conseguenza è un diluvio di ricorsi, poiché ogni persona fisica, che svolga un’attività anche lato sensu professionale, ritiene di non essere obbligato a pagare l’imposta, mentre l’agenzia delle entrate è quasi sempre di contrario avviso. Il caso dell’Irap – chiosa il presidente – è il più emblematico, ma di simili ce ne sono a bizzeffe per il diletto dei tributaristi». Inevitabile quindi ipotizzare uno sfoltimento, una razionalizzazione delle leggi in materia. Come? «Basterebbe applicare una delle raccomandazioni che Adam Smith rivolgeva, già nel Settecento, al legislatore. Le imposte debbono sempre determinare con precisione i cittadini sottoposti all’onere fiscale e indicare, senza inutili attorcigliamenti linguistici, l’entità della somma da ciascuno dovuta – illustra Bitto –. La riforma dovrebbe, pertanto, ispirarsi al principio della flat tax, e, sebbene, per il principio costituzionale della progressività, non è possibile porre un onere proporzionale eguale per tutti, bisognerebbe accostarsi a questo traguardo ideale ponendo poche aliquote, ragionevolmente sopportabili, ed evitando la giungla di eccezioni, agevolazioni e inasprimenti, oggi vigente». Quanto i tempi di gestione dei faldoni, a Milano, «prendendo in considerazione i tempi della decisione, la giustizia tributaria è la più efficiente tra le varie specie di giustizia, 59


Tributi • Milano, Roma, Napoli

operanti in Italia. Il tempo di durata del processo di primo grado è, infatti, spesso inferiore ai dodici mesi». Quanto poi alle eventuali criticità della giustizia tributaria, un settore della giustizia amministrativa, che ha per «oggetto la legittimità di atti amministrativi (o di comportamenti agli stessi equiparati). Si tratta, dunque, di una giurisdizione esclusiva che comprende sia gli interessi legittimi, sia i diritti soggettivi. Questo non significa, però, malgrado il richiamo alle norme processuali, che possa essere inquadrata nella giurisdizione civile. Piuttosto che auspicare innovazioni, mi sembra opportuno auspicare che a nessuno venga seriamente in mente di introdurre istituti del processo civile, come la prova testimoniale, in un processo assolutamente amministrativo. Sarebbe l’inizio della rovina», stigmatizza Bitto. ROMA

Viaggia on line il processo per chi bussa alla porta della commissione tributaria della Capitale. «Da qualche settimana, ha avuto inizio la sperimentazione del progetto di informatizzazione del processo tributario – evidenzia il presidente, Vincenzo Trione –. Non posso che auspicarne la prosecuzione e confido che, con il supporto di una sufficiente dotazione economica, si possa passare alla fase ordinaria». I vantaggi sono innegabili: dal «deposito telematico del ricorso e degli atti processuali, all’accesso telematico al fascicolo informatico del processo, alla notificazione elettronica della sentenza e non da ultimo alla graduale trasformazione del tradizionale ingombrante archivio in sistema automatico informatizzato». Insomma un supporto notevole per una giustizia, come quella tributaria, che, rispetto alle ‘cugine’, viaggia già abbastanza speditamente: «I tempi medi di definizione del processo di primo grado e di appello – ammette – oscillano tra i 12 ed i 18 mesi». Il vero nodo, semmai, è la mole di ricorsi «da qualche anno in costante aumento». Ciò dipende anche dal fatto che, «in linea generale, al contribuente è riconosciuto il diritto di agire in giudizio personalmente (cioè senza l’assistenza di un avvocato o di un 60

L’aumento dei contenziosi dipende dalla complessità della normativa. Il contribuente spesso non sa come districarsi e quindi fa ricorso, cercando di avere chiarezza dalla commissione Giustizia C&P • GIUSTIZIA


Milano, Roma, Napoli • Tributi

Renato Vuosi, presidente della commissione tributaria partenopea

C&P • GIUSTIZIA

difensore tecnico), per pretese talvolta di importo molto modesto e senza l’obbligo di pagare un sia pur minimo contributo unificato (come accade per adire il giudice di pace). Inoltre – prosegue il magistrato –, non va sottovalutata la ragionevole previsione della compensazione delle spese di giudizio anche in caso di soccombenza, poiché il contribuente è stato da sempre ritenuto, nel processo tributario, la parte più debole rispetto all’amministrazione finanziaria». In ogni caso, il perché dell’incremento dei contenziosi «va ricercato nella pluralità degli enti impositori, non solo statuali, nella molteplicità degli atti generatori di tributi. E soprattutto nel fatto che molti degli atti impositivi hanno indicazioni estremamente sintetiche che disorientano il contribuente in ordine alla fondatezza della pretesa e alle modalità per contrastarla». Insomma un labirinto che andrebbe risolto nella tanto auspicata «riforma fiscale» che, per incidere sul processo tributario, dovrebbe «rafforzare gli istituti deflattivi del contenzioso, attivabili sia in sede amministrativa che in pendenza del processo. Mi riferisco alla pianificazione fiscale concordata, all’autotutela, al ravvedimento, all’acquiescenza, all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale. Altro discorso, invece, è quello che concerne la riduzione dei tributi (si pensi all’imposta sui servizi che avrebbe dovuto accorpare, oltre a tributi minori, anche le imposte ipotecarie e catastali) e la tipologia degli atti impugnabili, cresciuta a dismisura per ragioni di tutela costituzionale del contribuente e ampliamento della giurisdizione tributaria». Una revisione al pari di quella che dovrebbe esserci per lo Statuto del contribuente. «A dieci anni dalla sua nascita – osserva Trione – occorrerebbe una maggiore chiarezza delle disposizioni tributarie e degli atti impositivi. È opportuno semplificare l’istituto dell’interpello e valorizzare l’istituto del garante attualmente dislocato esclusivamente presso il capoluogo regionale». In assoluto, conclude il presidente, «si può dire che le regole processuali operano a seconda del modello di giurisdizione. Il processo tributario ha rispetto a quello civile e amministrativo, una sua specificità connotata dal carattere essenzialmente documentale poiché è escluso il ricorso al giuramento e alla prova testimoniale. A differenza poi del processo civile, l’onere della prova incombe sulla parte convenuta che è l’amministrazione finanziaria. E, a differenza del processo amministrativo, non è consentito al giudice tributario di annullare atti amministrativi generali con effetto erga omnes. Per districare l’intreccio tra situazioni meritevoli di tutela, sarebbe auspicabile concentrare la definizione della controversia presso un unico giudice, magari ampliando i casi di giurisdizione esclusiva. 61


Tributi • Milano, Roma, Napoli

NAPOLI

Sopra, sede della commissione tributaria del capoluogo campano

Da qualche settimana, è partita la sperimentazione del progetto di informatizzazione del processo tributario. Confido che, con il supporto di una sufficiente dotazione economica, si possa passare alla fase ordinaria 62

Se il tasso di «litigiosità nel nostro circondario è pressoché normale», allora la causa prima dell’incremento, nell’ultimo quinquennio, del 15% delle carte bollate è da ricercarsi, «senza dubbio, nella complessità della normativa vigente. Il contribuente – rileva Renato Vuosi, presidente della commissione tributaria partenopea che ogni anno gestisce 30 mila ricorsi, avendo come tempi di smaltimento, per il primo grado, 18 mesi – spesso non sa come districarsi e quindi, di fronte a questa mancanza di semplicità, fa ricorso, cercando di avere dalla Commissione giustizia, ma anche chiarezza». E questo avviene nell’ambito dei meccanismi tributari locali e anche «un po’ nel modo con cui le controparti esercitano le loro funzioni: da un lato gli uffici tributari fanno il loro lavoro con certo ordine e con una certa rispondenza alle norme vigenti. Dall’altro, con Equitalia - e questa è una mera constatazione - in fase di riscossione si verificano una serie di disfunzioni». E quindi di pasticci. Per riportare, quindi, il tasso di contestazione a livello fisiologico, osserva Vuosi, «è auspicabile una riforma fiscale in una logica di chiarezza e possibilmente di semplificazione». Cambiamenti che, innanzitutto, devono essere in grado di recepire lo Statuto del contribuente, regolamento «forse un po’ datato», ma sempre valido. Il “nuovo” fisco, per il presidente, dovrebbe essere «redatto secondo principi e dettami uniformi alle varie tipologie di tributi e regolato, appunto, secondo lo Statuto del contribuente». Attualmente capita spesso che «molti ricorsi vertono sulla discrepanza tra ciò che l’ufficio ha fatto e ciò che lo Statuto prevede». È chiaro che sta alla Commissione valutare se sono pretestuosi o fondati. Ma se esiste anche solo un minimo di fondatezza, «come nella maggior parte, questa litigiosità potrebbe essere superata qualora la normativa fosse aggiornata, incorporando i principi che sono alla base dello Statuto del contribuente». Insomma «l’applicazione dello Statuto che dovrebbe entrare nella singola normativa fiscale. Ciò eviterebbe molti contenziosi. Non è possibile – chiosa il presidente – considerare il complesso di leggi e lo Statuto come questi due corpi distinti». Revisione e testo unico sono quindi le due urgenze su cui il legislatore dovrebbe intervenire. In seconda battuta, si potrebbe lavorare su una «giustizia tributaria autonoma che esca dall’alveo del ministero delle Finanze e sia oggetto di una riforma come quella avvenuta per il Tar o il Consiglio di Stato, magari divenendo alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio dei ministri. Ciò darebbe una maggiore autorevolezza e un aspetto di terzietà più apprezzabile». C&P • GIUSTIZIA





La riforma verso il federalismo • Pierangelo Paleari

Il federalismo fiscale non spacca il Paese La crisi ha ristabilito le priorità di governo ma, nonostante questo, la strada che porta al federalismo fiscale non verrà abbandonata. Ma, come spiega Pierangelo Paleari, per essere utile alla nostra economia, la riforma dovrà rivedere il sistema fiscale nel suo complesso di Aldo Radici

Il dottor Pierangelo Paleari all’interno del suo studio di Milano

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al centro alla periferia. Il raggio d’azione degli enti preposti a controllare il gettito fiscale, e a punirne l’evasione, cambia orientamento. Una rotta che si realizzerà molto presumibilmente in seno all’attuazione del tanto agognato, e spesso contestato, federalismo fiscale. «Sono molte, però, le premesse da fare» sostiene Pierangelo Paleari. Il noto dottore commercialista di Milano, già presidente della Commissione Finanza della Camera nella 12ma legislatura, constata la ripresa delle forze messe in campo dalle amministrazioni regionali e locali rispetto al potere centrale dello Stato, e il riflesso che questo potrebbe avere sullo sviluppo delle politiche tributarie. Potere alle regioni. Questo il “core” del federalismo. Ma è realmente attuabile in ambito fiscale? «Ipotizzare, come è già accaduto più volte in passato, di trasferire parte dell’onere dell’accertamento fiscale e conseguentemente parte delle correlate imposte, agli enti locali, ossia a regioni e comuni, rappresenta sicuramente un atto di equilibrio dovuto. Oltre che una possibilità di migliorare, da parte degli enti impositori, la verifica degli imponibili dichiarati dai contribuenti». Ora come ora, però, non pare un’azione così immediata. «Bé, certamente. Nella situazione attuale, con i problemi e le priorità del Paese, pensare di mettere in campo da subito una riforma fiscale di tale portata sarebbe un controsenso rispetto all’emergenza crisi, su cui giustamente occorre concentrarsi. Ritengo, che provvisoriamente vadano utilizzati concreta-

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Pierangelo Paleari • La riforma verso il federalismo

Il federalismo non deve essere visto come una punizione nei confronti delle aree meno produttive

mente tutti gli strumenti già a disposizione per il recupero dell’evasione. Voglio dire, se esistono dati abbastanza precisi per determinare l’ammontare del capitale sommerso, significa che esistono anche gli strumenti per contrastarlo. È sul recupero dell’evasione che occorre incentrare l’impegno attuale dell’azione della politica». Dunque occorrerebbe agire su dati che sono oggettivamente sotto gli occhi di tutti, o perlomeno dello Stato? «Alcune modalità di controllo sono piuttosto semplici. Pensiamo solo a quanto potremmo rafforzare gli accertamenti su alcuni indici rivelatori. Ad esempio il possesso di autovetture o di unità abitative di una certa tipologia o di contratti di forniture di energia, raffrontati con quello che i contribuenti dichiarano. Gli strumenti ci sono. Vanno solo applicati con rigore». Tornando all’ipotesi di federalismo. Cosa significherà per privati e imprese? «Innanzitutto permetterà un forte avvicinamento tra ente impositore e contribuenti. Questi ultimi, infatti, avrebbero la possibilità di verificare in che modo, il suo contributo fiscale, venga impiegato direttamente dall’ente al quale è stato corrisposto. Lo stesso discorso vale per le imprese. Le attività economiche si avvalgono di una serie di strutture e servizi che con il federalismo dovranno essere gestiti da comuni e regioni. Basti pensare alle infrastrutture, alla rete dei trasposti, all’efficienza della viabilità, tutti aspetti gestibili in ambito regionale. Ma anche il comune dovrà dimostrare un efficiente C&P • GIUSTIZIA

utilizzo del ricavato d’imposta, curando aspetti più localistici, gettando le basi per uno sviluppo urbano che non sia d’intralcio né all’industria, né tantomeno alle aree residenziali e con un occhio di particolare riguardo alla sicurezza». Per cui la vera svolta, paradossalmente, più che nel controllo sui contribuenti, sarà su quello che i cittadini riporranno verso le amministrazioni? «Moltissimi enti locali dovranno cambiare registro per dimostrare come spendono i quattrini. A partire dai servizi per l’impresa. Attenzione però. Nel federalismo non si deve leggere un’assenza totale dello Stato dall’imposizione. Ci mancherebbe altro. Lo Stato deve mantenere una sua precisa posizione che riguarda ovviamente tutto l’apparato di strutture e servizi che gli competono. Si tratta, semplicemente, di trasferire agli enti locali, più vicini ai cittadini, la gestione di una serie di problematiche che, se affrontata dal centro, si rivela più lunga e complessa». Una rivoluzione localistica in Italia non può non considerare il palese divario tra Nord e Sud. Come fare per non allargarlo? «L’Italia soffre di alcune differenze notevolissime tra le sue varie regioni. Ma il federalismo non deve essere visto come una punizione nei confronti delle aree meno produttive. Occorre raggiungere un livello efficiente di compartecipazione tra le diverse regioni. Uno dei provvedimenti più importanti, a mio parere, potrebbe riguardare il ripristino delle cosiddette gabbie salariali. Questo punto è una priorità. È innegabile il fatto che il costo della vita è sensibilmente più alto nelle aree maggiormente sviluppate, ma non solo: il diverso costo del lavoro è incentivante per una diversa localizzazione delle attività produttive». Ma come fare per arginare questa spaccatura? «Il federalismo fiscale, se attuato in termini competitivi, porterebbe vantaggio all’intera nazione. Ricordiamoci che la nostra società si regge sui consumi, quindi chi produce deve pensare anche a vendere. I due terzi della popolazione italiana vive nel Centro-Sud, per cui è chiaro che la produzione deve rivolgersi in buona parte verso queste aree. Non si può pensare solo all’esportazione. Il primo mercato deve essere necessariamente quello nazionale. Ed ecco che qua si ritorna al punto delle gabbie salariali. Dobbiamo mettere tutti gli italiani nella condizione di ottenere un reddito che consenta di consumare quanto si produce all’interno. Il potere d’acquisto è il nodo, lo sblocco per il futuro della nostra produzione». 67


La riforma verso il federalismo • Pierangelo Paleari

PIÙ VICINI AI CONTRIBUENTI ierangelo Paleari inizia la sua attività di dottore commercialista nel 1969, a Milano, città che ha segnato la sua carriera. Amico e collega del ministro Giulio Tremonti, l’esperto è sempre rimasto affascinato, sin dalla gioventù, dal mondo della finanza e tributario. Così, durante gli anni trascorsi nell’ambito della consulenza aziendale, dei bilanci e dell’alta finanza, ha potuto osservare l’evolversi di un Paese che, ora come ora, pare avvicinarsi concretamente all’obiettivo del federalismo fiscale. «Si tratta di un percorso fondamentale atto ad avvicinare non soltanto i cittadini agli enti locali, ma anche questi ultimi ai contribuenti». Nell’analisi di Paleari, emerge l’idea di un federalismo che porta nei suoi intenti la volontà di ridefinire, anche culturalmente, il ruolo delle tasse. «Osservando da vicino ciò che i comuni o le regioni possono realizzare con gli introiti fiscali, si rivaluterebbe la fiducia nei confronti dell’apparato pubblico e, di conseguenza, si attenuerebbe anche l’evasione».

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Al di là del federalismo, il fisco italiano pare necessiti di profonde revisioni. Lei concorda? «Sì. È giunta l’ora di affrontare una riforma complessiva del nostro sistema fiscale. Ma non possiamo più permetterci una riforma segmentata. Deve essere globale, come quella del 1972. Occorre rivedere tutto l’impianto. Questo, infatti, oltre a dover essere contemperato alla normativa fiscale europea, deve essere riassestato in molte sue parti, secondo me obsolete e anti-sociali». A cosa si riferisce in particolare? «Spesso si discute sui redditi di lavoro e d’impresa. Personalmente, invece, ritengo che l’urgenza risieda nella tassazione dei redditi di capitale che deve essere interamente rivista. Non si tratta più di fare “sconti” particolari. I redditi di capitale devono essere tassati al pari degli altri. Puntiamo a un nuovo criterio di tassazione, che consideri l’esigenza costituzionale di una tassazione progressiva e che sia equilibrata rispetto ai redditi prodotti». Non crede sia il caso di partire dalle aliquote? «Le aliquote eccessivamente elevate portano a una crescita dell’evasione. Per cui il nero si sconfigge anche con aliquote sostenibili. La pressione fiscale italiana è tra le più alte d’Europa. Di conseguenza auspico un’ importante riduzione della pressione fiscale sia personale che per le imprese, tramite il federalismo fiscale che può essere di stimolo per un sana concorrenza territoriale». Una riforma strutturale. «Cominciando dalle imprese, che hanno bisogno di una tassazione meno complessa. Pensare ancora oggi che l’imponibile fiscale delle aziende sia un lontano parente del risultato economico di bilancio altro non è se non il trucco per tenere ferme le aliquote e aumentare il reddito imponibile. Questo comporta, di conseguenza, un lungo susseguirsi di azioni borderline da parte di numerose realtà imprenditoriali, regolarmente smantellate dalla Cassazione. Per cui, prima di tutto, la riforma deve fornire più chiarezza sul diritto, non può lasciare il contribuente nel dubbio che l’operazione posta in essere sia lecita oppure no». Non crede che per combattere l’evasione occorrano anche più uomini, più operatori? «Temo che quello italiano non sia un problema di quantità. È, piuttosto, un problema di qualità. Serve il necessario coraggio di applicare le norme in essere, per attribuire su indici realistici le capacità reddituali delle Pmi. E i parametri vanno stimati tenendo conto delle peculiarità locali. I limiti che vanno bene a Milano chiaramente non sono adatti a Ragusa. Occorrono quindi indici territoriali e in questo si rivela l’importanza della normativa relativa al federalismo, che rappresenta il vero input per la realizzazione di un cambiamento». C&P • GIUSTIZIA



Il processo tributario telematico • Giuseppe Zambon

Per una giustizia tributaria moderna La macchina tributaria italiana funzionerà meglio. Come? Con il processo tributario telematico e un più ferreo adempimento della normativa antiriciclaggio. L’opininione del Consigliere Nazionale dell’Istituto Nazionale Tributaristi, Giuseppe Zambon di Giulio Conti

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Roma, è attualmente in fase di sperimentazione il processo tributario telematico. Nonostante sia già sufficientemente rapido nei primi due gradi di giudizio, il processo tributario verrà ulteriormente velocizzato dall’opera di informatizzazione del sistema, «con il conseguente abbattimento dei costi per tutti i soggetti coinvolti e la possibilità di consultare una notevole banca dati di sentenze». Ad anticipare alcuni degli effetti che il processo tributario telematico procurerà alla macchina giuridica, è il dottor Giuseppe Zambon, Consigliere Nazionale dell’Istituto Nazionale Tributaristi (I.N.T.) esperto delle normative antiriciclaggio e sostenitore della necessità di «risolvere le criticità interpretative della legislazione tributaria e l’interdisciplinarietà implicita nell’oggetto del giudizio». Quali modifiche andrebbero attuate per migliorare l’andamento della macchina tributaria? «L’attuale rilevanza sociale della politica fiscale dovrebbe far considerare prioritaria l’esigenza di un’efficiente e moderna giustizia tributaria, meritevole di un suo espresso riconoscimento costituzionale e di giudici a tempo pieno, garanti di una maggiore e più qualificata attenzione all’esame delle questioni e all’indispensabile aggiornamento. Il processo tributario telematico che è attualmente in fase di sperimentazione a Roma, oltre a velocizzare la procedura già abbastanza rapida nei primi due gradi di giudizio, dovrebbe permettere un abbattimento dei costi per tutti i soggetti coinvolti e consentire in futuro di consultare una notevole banca dati di sentenze». L’attesa introduzione della figura del giudice tributario monocratico, potrebbe snellire il peso dei contenziosi? «Della scelta tra monocraticità e collegialità del giudice tributario, si discute da anni e già nel 2001 è stata oggetto di relazione al congresso dell’Associazione Magistrati Tributari, con riguardo anche ai suoi profili costituzionali. In effetti non si ravvedono reali motivi che imputino anche solo alcune delle insufficienze della giustizia, tributaria e non, all’attuale sistema collegiale di giudizio. In ambito tributario, a differenza di quello civile, la legislazione presenta aspetti di oggettiva problematicità interpretativa, complessità e lacunosità. L’oggetto del giudizio è spesso interdisciplinare, con-

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Giuseppe Zambon • Il processo tributario telematico

L’obiettivo è la semplificazione tributaria insieme a una riforma delle professioni che sia al passo con l’Europa e non si riveli anacronistica Il dottor Giuseppe Zambon, in apertura, è Consigliere Nazionale dell’Istituto Nazionale Tributaristi e Coordinatore della Commissione Nazionale per la Fiscalità dell’Istituto - info@studiozambon.it

nesso ad ambiti tecnico-conoscitivi ulteriori rispetto a quello squisitamente tributario. Di qui la necessità di un dibattito e di un confronto costruttivi all’interno del collegio giudicante, dove ciascun componente può esprimere la propria professionalità». Quali sono le principali criticità attuative della normativa antiriciclaggio? «Premesso che la normativa antiriciclaggio non è obbligatoria solo per gli intermediari e i professionisti italiani bensì per tutti quelli europei e ormai per gran parte di quelli mondiali, occorre sottolineare che, considerando i movimenti di svariati milioni di euro dei riciclatori, il suo adempimento non costituisce affatto una perdita di tempo. Essendo poi il riciclaggio un reato tipicamente associativo, è difficilissimo distinguere un “riciclatore”: nella gran parte dei casi è un insospettabile imprenditore, professionista, uomo d’affari o prestanome con attività apparentemente modeste. È, quindi, necessario che soprattutto i professionisti dell’area contabile-tributaria prendano coscienza del fatto che nella lotta al riciclaggio il loro apporto è indispensabile, e va oltre le personali logiche finanziarie di non perdere compensi sicuramente elevati, ma pagati con denari di dubbia provenienza». Cosa occorre per incrementare la lotta al riciclaggio? «Stimolare e incentivare l’aiuto degli intermediari finanziari C&P • GIUSTIZIA

e dei liberi professionisti; essi sono più di altri in grado di monitorare i flussi di denaro che transitano per le loro sedi e nelle risultanze contabili dei loro clienti. Andrebbe inoltre ulteriormente ridotto il limite di utilizzo del contante (oggi fissato a 5.000 euro) per costringere i cittadini a rivolgersi sempre di più ai mezzi di pagamento ufficiali e tracciabili quali gli assegni n.t., i bonifici e la moneta elettronica». Quali sono le operosità legate al suo mandato di Consigliere Nazionale dell’I.N.T.? «Un importante appuntamento a cui stiamo lavorando è il Congresso Nazionale che si terrà a Bologna il prossimo ottobre e che vedrà il rinnovo di tutte le cariche dell’Istituto. Da tempo l’obiettivo è la semplificazione tributaria, ma sul tavolo vi è anche una riforma delle professioni che sia al passo con l’Europa e non si riveli anacronistica. Altro importante traguardo è, inoltre, la divisione del Fondo gestione separata dell’INPS, che vede penalizzati i professionisti privi di cassa autonoma, in relazione all’aliquota contributiva a cui i loro redditi sono assoggettati. Nell’ambito dell’associazione rivesto anche l’incarico di Coordinatore della Commissione Nazionale per la Fiscalità e in questo ruolo il prossimo progetto sarà la creazione di un centro studi I.N.T. per offrire un servizio di consulenza e risposta a quesiti di natura fiscale, contabile, commerciale, societaria e di procedura contenziosa a tutti gli iscritti». 71


Il contenzioso tributario • Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco

Come si esce dal contenzioso Chiarezza sul contenzioso tributario. Come deve muoversi chi si rivolge ad uno studio amministrativo tributario alla luce delle recenti modifiche alle leggi vigenti. Il punto di Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco di Ezio Petrillo

Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco satgenco@libero.it

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ettere a fuoco il contenzioso tributario. Il procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto controversie di natura tributaria tra il contribuente e l'amministrazione è stato modificato di recente. Attraverso le parole di Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco scopriamo gli ambiti e le competenze della giustizia tributaria. Qual è la normativa più recente che regola il contenzioso tributario? Giuseppe Genco: «La disciplina del contenzioso tributario è stata oggetto di una recente “miniriforma” ad opera del D.L. 25 marzo 2010. Le novità di maggior interesse possono essere riassunte in diversi punti: la notifica della sentenza non deve più avvenire necessariamente a mezzo di ufficiale giudiziario, ma potrà essere effettuata anche mediante plico; l’abolizione dell’obbligo per gli Uffici delle Agenzie fiscali di ottenere la preventiva autorizzazione dalle rispettive Direzioni Regionali (DRE) per la proposizione dell’appello principale; l’obbligo di garanzia per la dilazione delle somme dovute a seguito di intervenuta conciliazione giudiziale permane solo se le rate successive alla prima superino i 50.000,00 euro; la definizione accelerata delle controversie tributarie pendenti dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale e in Corte di Cassazione. Le liti tributarie pendenti presso la Commissione Tributaria Centrale saranno automaticamente definite con decreto emesso dal Presidente del Collegio e, infine, le cause tributarie ultradecennali pendenti in Cassazione nelle quali l’Amministra-

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Antonella, Giuseppe e Giampiero Genco • Il contenzioso tributario

2001-2007 È il lasso di tempo in cui si evince un aumento dei casi di contenzioso nel lungo periodo nonostante il maggiore impegno delle Commissioni Tributarie

zione Finanziaria sia risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, possono essere estinte con il pagamento in un'unica soluzione di un importo pari al 5% del valore della controversia». Quali sono le controversie che possono essere portate avanti al giudice tributario? Antonella Genco: «Rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere compresi quelli regionali, provinciali e comunali, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, gli interessi e ogni altro accessorio. A queste bisogna aggiungere le controversie di natura catastale, nonché quelle attinenti l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. Le sentenze pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale possono essere impugnate con ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione». Come si svolge un processo che riguarda un contenzioso tributario? Giampiero Genco: «In estrema sintesi il processo tributario inizia con la proposizione alla competente Commissione Tributaria Provinciale da parte del contribuente, del ricorso contro l’atto emesso nei suoi confronti, che egli ritiene illegittimo o infondato. Lo scopo del ricorso è quello di ottenere l’annullamento totale o parziale dell’atto stesso. Il ricorso va notificato all’Ufficio che ha emanato l’atto impugnato entro 60 giorni dalla data in cui il contribuente ha ricevuto il medesimo atto. Entro 30 giorni dalla data in cui ha provveduto alla notifica del ricorso, il contribuente deve C&P • GIUSTIZIA

costituirsi in giudizio, cioè deve depositare o trasmettere alla Commissione Tributaria copia del ricorso. Di norma la controversia è trattata dalla Camera di consiglio. Se una delle parti vuole che il ricorso sia discusso in udienza pubblica deve farne apposita richiesta alla Commissione con istanza che può essere proposta contestualmente al ricorso principale o ad altri atti processuali presentati prima della data di trattazione». Quali sono gli estremi e quei casi in cui consiglia al contribuente di procedere con un ricorso? A.G.:«Nel valutare l’opportunità di instaurare un contenzioso tributario occorre ponderare tempi, rischi e costi. I tempi della Giustizia tributaria sono, purtroppo, ancora lunghi: mediamente due anni per ottenere una sentenza di primo grado e altri due per quella di appello. Al di là del convincimento professionale circa la bontà delle ragioni di intraprendere un procedimento contenzioso e delle sue possibilità di vittoria si fa sempre presente al proprio assistito la circostanza dei tempi». L’evoluzione temporale. Negli ultimi anni ha registrato un aumento dei casi di contenzioso? G.G.:«Dai dati statistici resi disponibili dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria per gli anni 2001-2007 si evince, effettivamente, un aumento dei casi di contenzioso nel lungo periodo e ciò, nonostante il maggiore impegno delle Commissioni Tributarie che hanno consentito una riduzione dell’arretrato. Nel complesso le cause pendenti sia nel primo grado che in appello presentano numeri a cinque cifre». 73


Compensazione del credito Iva • Giovanni Del Re

Abuso del diritto e compensazione Sono mutati i parametri dell’interpretazione normativa della compensazione del credito Iva, influenzati dalle sentenze della Corte di giustizia europea e sanciti dalla sentenza n. 867/2010 della Suprema Corte di Cassazione. L’analisi dell’avvocato Giovanni Del Re di Stefano Marinelli

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l D.Lgs. 241/1997 prevedeva la possibilità per i contribuenti di adoperare i crediti di natura tributaria in compensazione di debiti tributari e previdenziali, premi e contributi vari. Il credito Iva è stato quello più sfruttato dai contribuenti e poteva essere utilizzato in "compensazione verticale", cioè in detrazione nelle liquidazioni periodiche, a “rimborso”, o in "compensazione orizzontale", usando il Modello F24 per estinguere i debiti relativi a tributi, contributi e premi. Di recente questo sistema è stato oggetto di modifiche normative mediante il D.L. 01.07.2009, in vigore dal 01.01.2010, in materia di utilizzo in compensazione orizzontale di crediti Iva superiori a 10 mila euro, con lo scopo di contrastare gli abusi della compensazione di crediti che non risultano dalla dichiarazione annuale e dalle istanze trimestrali, creati per essere utilizzati in compensazione nel solo modello F24. A parlarne è l’avvocato Del Re. Come veniva disciplinata in passato la compensazione del credito Iva? «L’interpretazione della Corte di giustizia europea, sino a qualche anno fa, si fondava sulla presenza esclusiva di elementi oggettivi e sul principio dell’irrilevanza dell’intento che le parti si erano prefisse con l’operazione. Doveva quindi, eventualmente e puntualmente, essere provata la sussistenza di

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Giovanni Del Re • Compensazione del credito Iva

elementi oggettivi che facessero comprendere, come scopo unico ed essenziale dell’operazione, l’ottenimento di un illecito vantaggio fiscale». Poi cosa è cambiato? «Il decisivo mutamento sistemico si è avuto con le note sentenze “Optigen” e “Axel Kittel”, laddove il diritto di detrazione del soggetto passivo non viene più esclusivamente ricollegato al verificarsi di elementi oggettivi, ma anche all’assenza di conoscenza o conoscibilità dell’esistenza di una frode posta in essere dal contribuente. Oggi, pur tenendo conto che le operazioni debbano essere tassate in considerazione delle loro caratteristiche oggettive, la Corte di giustizia si sofferma anche sull’ulteriore elemento soggettivo, inteso come “buona fede”, che va a costituire una componente della fattispecie. Pertanto il soggetto passivo, per ambire al diritto di detrazione, dovrà onerarsi di un dovere di ricerca e di un obbligo di astensione dall’operazione nel caso la ritenga sospetta». Come è stata recepita questa interpretazione dal sistema giudiziario italiano? «Secondo l’interpretazione offerta di recente dal Giudice d’Appello, il diritto alla detrazione Iva , nonostante l'apparente regolarità dell'operazione, in caso di accertata volontaria partecipazione a una cosiddetta “frode carosello”, viene meno e in tal caso è l'agire con dolo che determina la compressione del diritto alla detrazione, non l'inesistenza delle operazioni fatturate. Da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza era infatti emerso che una prima società “cartiera” emetteva fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, senza versare la relativa imposta, una seconda società “filtro” regolarizzava l'acquisto di merci in evasione d'imposta, registrando le fatture emesse dalla prima società, merci che poi venivano regolarmente cedute e fatturate alla terza società, la contribuente accertata. Il Giudice di appello ha concluso che la partecipazione al disegno fraudolento del contribuente non incideva sul suo diritto alla detrazione dell'Iva, anzi, in considerazione del fatto che le merci venivano realmente vendute e fatturate dalla “società filtro” al contribuente, la pretesa indeducibilità dell'Iva potrebbe essere accampata dal fisco unicamente nei confronti delle società di secondo livello». E la Corte di Cassazione come si è pronunciata? «La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.867 del 20.01.2010, ha censurato, sotto il profilo dell’omessa motivazione, la pronuncia del Giudice d’Appello nella parte in cui, dopo aver riconosciuto che le “società filtro” rappresentavano il tassello indispensabile del meccanismo di cui si avvantaggiava infine la contribuente, non avrebbe motivato C&P • GIUSTIZIA

In apertura, l’avvocato Giovanni Del Re, insieme alle sue collaboratrici nello studio di Roma. L’avvocato Del Re è professore di Diritto Privato alla Link Campus University di Roma www.studiolegaledelre.it

le ragioni per cui la ditta beneficiaria di un congegno asseritamente studiato e attuato per frodare il fisco, possa andare esente da responsabilità nel momento in cui realizza tale scopo. Nell’argomentare tale carenza motivazionale, la Suprema Corte fa proprie le conclusioni assunte dalla Corte di giustizia europea nella pronuncia “Optigen”, secondo cui il diritto alla detrazione del soggetto passivo non può essere limitato in ragione del comportamento tenuto da altri soggetti, dando atto che le fatture registrate dal contribuente erano regolari. Poi, modificando radicalmente l’impostazione, considera le operazioni in esame solo formalmente regolari e conclude che la detrazione doveva essere negata al contribuente». Che cosa se ne deduce? «Per addivenire a tale conclusione, la Corte di Cassazione ha inspiegabilmente fatto ricorso al principio del “divieto di abuso del diritto” per le operazioni fittizie su cui è stato fondato il diritto alla pur corretta detrazione, non facendo affatto riferimento alla circostanza per la quale il nostro ordinamento ben dispone di specifici rimedi per sanzionare chi, mediante operazioni inesistenti, consegue il diritto alla detrazione Iva. Le conclusioni a cui giunge la Suprema Corte, oltre a risultare non in completa assonanza proprio con quanto sostenuto dalla Corte di giustizia europea, risultano poco coerenti con il loro stesso percorso argomentativo, per il dichiarato fine di ritenere riconducibili a tassazioni le operazioni in oggetto, sulla base di un principio che risulta integralmente ingiustificato». 75


Il ruolo del commercialista • Salvatore Alioto

La professione si evolve La dinamicità dei mercati e delle istituzioni spinge le imprese a richiedere la consulenza di professionisti esperti per orientarsi nella scelta delle strategie di sviluppo. Salvatore Alioto traccia la direzione del cambiamento per il dottore commercialista di Stefano Marinelli

Salvatore Alioto, dottore commercialista e docente universitario. Il suo studio di Roma si occupa di diritto societario, tributario e fallimentare, e fornisce consulenza finanziaria alle imprese nell’ambito dell’attività di corporate and finance, di M&A e di progetti di internazionalizzazione - salvatore.alioto@studioalioto.it

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uella del dottore commercialista è senza dubbio una delle professioni più esposte alle dinamiche socioeconomiche e ai cambiamenti istituzionali. Una figura chiamata a fornire servizi sempre più evoluti, che spaziano dalle tradizionali attività amministrative e fiscali, fino a comprendere la consulenza finanziaria, strategica, organizzativa e di sviluppo del business commerciale, rispondendo a richieste sempre più diversificate e complesse, che impongono un elevato grado di specializzazione in ambiti diversi e non sempre sinergici fra loro. «Da parte delle imprese si registra un’esigenza sempre più forte di collaborare con professionisti attenti agli sviluppi del sistema industriale e finanziario, capaci di proporre soluzioni e di gestire problematiche relative alla crescita dimensionale e all’apertura a nuovi mercati» afferma Salvatore Alioto, dottore commercialista con studio a Roma. «È evidente che il dottore commercialista deve schiudersi alla realtà della globalizzazione – prosegue -, migliorando le proprie specializzazioni, assumendosi sempre più precise e dirette responsabilità nei confronti dei clienti». Dunque lo sforzo del dottore commercialista di oggi deve essere quello di far percepire la propria figura professionale come centrale all’interno del sistema di relazioni dei clienti, anche quello più sofisticato, al di là delle specifiche funzioni contabili e fiscali. «Diventa fondamentale affiancare l’azienda e l’imprenditore nella verifica delle scelte, nell’individuazione degli obiettivi e nell’elaborazione delle strategie al fine di pianificare la gestione dello sviluppo aziendale e accompagnare l’impresa nei processi di crescita e di internazionalizzazione» sostiene Alioto. Esistono diversi percorsi che il dottore commercialista può seguire nella sua evoluzione professionale, e Alioto ne individua tre. «Si può seguire la ricerca della crescita dimensionale, aggregandosi in maniera strutturata con altri fornitori di servizi, come sta avvenendo con gli studi legali, oppure specializzarsi in determinati ambiti professionali, ma entrambe le strade presentano pregi e difetti che le rendono non adatte a tutti i professionisti e non sempre possono fornire risposte soddisfacenti in termini di flessibilità, costi e gestione delle risorse». Il terzo percorso, invece, sembra prestarsi meglio alle caratteristiche della professione e consiste nel «porsi come interfaccia operativa tra l’impresa e gli altri fornitori di servizi, gestendo il network di relazioni e coordinando i diversi interventi di altre professionalità, con l’obiettivo di offrire all’azienda soluzioni efficaci in un’ottica di crescita e sviluppo, nella consapevolezza che ogni decisione comporta un impatto numerico con riflessi economici, patrimoniali e finanziari che devono essere attentamente valutati da un professionista esperto». Quindi il commercialista può essere sia un fornitore diretto di servizi professionali qualificati ed evoluti, che un coordinatore di servizi offerti da altri, come enti, banche, fondi di investimento, società di consulenza specializzate e operatori esteri, «mettendo, però, sempre al centro della propria azione – conclude Alioto – la tutela degli interessi dei propri clienti».

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Revisori legali • Virgilio Baresi

Una scelta di fondo per un’Italia più europea Controllo, trasparenza e grandi responsabilità. Il presidente dell’Istituto nazionale dei revisori legali, Virgilio Baresi, spiega su cosa si dovrà improntare l’operato della categoria. E punta i piedi contro chi, anche volutamente, confonde tra revisori e commercialisti di Andrea Moscariello

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sul concetto della terzietà che si determina il ruolo socio-economico dei revisori legali. Ormai gli ex revisori contabili, sono chiamati a garantire la trasparenza e la legittimità sull’operato d’impresa, ma anche sui conti pubblici. Il passaggio avvenuto ad aprile, con il D.Lgs 39, con il quale si è modificata la denominazione della professione, non ha trovato solo plausi. Si è volutamente evidenziare la fuorviante osservazione che si limita a sottolineare il valore virtuale di questa legge, la quale si adegua, invece, a una fondamentale direttiva economica europea. La verità è che con il termine “legale”, aggiunto dopo “revisore”, si sono suscitati i timori di molti esponenti degli ordini professionali italiani, a partire dai commercialisti. «La reazione era prevista ed è normale. Nella realtà, dopo oltre un secolo di professione a difesa degli interessi di parte, l’Italia si dota in extremis di una figura super partes chiamata a valutare i conti, l’operato, la legittimità amministrativo contabile delle aziende, degli enti e dei loro professionisti», spiega Virgilio Baresi. Ciò che afferma il presidente dell’Istituto nazionale dei revisori legali, peraltro particolarmente combattivo a richiedere la legittimazione di questo ruolo, è lo specchio di una cultura tipicamente italiana che porta tanto il mondo professionale, quanto quello politico, nel ragionare, intervenire e impegnarsi quasi sempre in un’ottica “di parte”. «I commercialisti possono tranquillamente dire ciò che vogliono per confondere le idee, ma il loro ruolo non può essere improntato alla terzietà. Difendono una parte, un singolo assistito, nella terzietà che è ri-

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Virgilio Baresi • Revisori legali

Sotto, Virgilio Baresi durante la firma del contratto collettivo dei revisori legali avvenuta lo scorso 28 maggio

Per quanto ci riguarda l’idea dell’ordine non ha un’utilità in questo contesto economico. Creerebbe solamente sovrastruttura e costi per i nostri iscritti spettosa dell’interesse generale, economico-sociale nell’applicazione della norma. L’inserimento del revisore legale, che dovrà verificare e convalidare anche il loro operato, viene pertanto ora percepito come ingombrante». Insomma una svolta importante, ma per molti “fastidiosa”? «Ora commercialisti, consulenti del lavoro, contabili, senza parlare di imprenditori e amministratori pubblici, si vedranno presidiare il loro lavoro dai revisori legali. Il nostro ruolo professionale è rivolto ad accertare la correttezza di ogni rapporto societario, non solo a livello nazionale, ma europeo. È chiaro che in un sistema come quello attuale, dove tutti tendono a curare solo i propri interessi, la nuova figura può essere considerata come un fastidio dato il nostro forte impegno nel dare maggiore certezza alla stessa società per la salvaguardia degli interessi dell’imprenditore e del lavoratore in uno sviluppo organico e consapevole, rispettoso delle norme di legge che regolano l’operato d’impresa». Il controllo va applicato anche sui conti pubblici. La terzietà però non è mai stata la migliore amica della politica. «La politica, al di là delle parti, è sempre stata clientelare. È inutile raccontare fantasie, negli ultimi sessant’anni il Paese è stato amministrato anche sulla base di vincoli, siano essi economici, come accade anche al Nord o, diversamente, personali, come più spesso accade al Sud. Il controllo oggi si deve attuare soprattutto sulle Regioni che sono totalmente sprovviste di organismo terzo ed esterno». Anche il suo vice, Procaccini, insiste sulle Regioni. Perché? «Perché queste gestiscono un movimento di circa 420 miliardi di euro annui, circa dieci volte il bilancio annuo dello Stato. E lo hanno sempre fatto senza un controllo specifico esterno. È un invito e un auspicio di trasparenza anche per loro. L’AgenC&P • GIUSTIZIA

zia delle Entrate giustamente controlla e detrae, occorrendo, anche un solo euro sul pensionato. Il cittadino contribuente rimane così scosso sul principio della credibilità pubblica quando prende atto che non ci sono verifiche esterne su bilanci di così importante entità». Con la nuova legge, però, non avete richiesto l’istituzione di un ordine professionale. «Per quanto ci riguarda l’idea dell’ordine è ormai superata. Non ha un’utilità in questo contesto economico. Se veramente si vuole raggiungere la tanto agognata semplificazione del sistema non occorrono i presidi ordinistici. I controlli devono pervenire dallo Stato con i propri ministeri competenti. Gli ordini creerebbero per noi solamente sovrastruttura, e ovviamente costi inutili per i suoi iscritti. E so bene che con questa affermazione si può aprire un’area di forte discussione sulla quale può e deve meditare il sistema ordinistico». Stessa cosa vale per le tariffe minime? «Su questo punto, sempre per ciò che riguarda la nostra realtà, non siamo favorevoli. Non è corretto imporre una tariffa minima ai revisori. L’onorario professionale è doveroso predeterminarlo sulla base della proposta discrezionale del singolo professionista, nel rispetto dell’impegno, della qualità e della strutturazione dell’incarico professionale». Quella della revisione legale è una professione che si può esercitare in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea. Questo aprirà nuovi sbocchi sul mercato professionale? «È l’attesa e l’auspicio valido per i soli professionisti iscritti al registro, e non già ad altri ordini che non possono vantare la norma europea da noi acquisita. Questo vale anche per i commercialisti, i quali diffondono notizie false al riguardo minando la proprio credibilità. Hanno spudoratamente affermato, sul loro organo di stampa ufficiale, che essi sono i soli revisori legali». Molti professionisti, però, potranno tenere il piede in due staffe, essendo sia commercialisti che revisori le79


Revisori legali • Virgilio Baresi

SE L’ITALIA È IN RITARDO I revisori legali, in buona parte d’Europa, non sono una novità. Una discrasia con il nostro Paese che presenta un conto salatissimo Con il registro dei revisori legali l’Italia risponde a una normativa europea che esiste già da tempo. Ma il ritardo di questo adeguamento, secondo Virgilio Baresi, non è costato poco al Paese. «Negli ultimi anni abbiamo permesso a moltissimi professionisti stranieri di “mangiarci” una fetta di mercato che, soltanto per il 2008, era di circa 2,2 miliardi di euro con minori introiti fiscali di circa 1 miliardo di euro. Questo è accaduto in quanto anche all’epoca i revisori contabili, in Italia, non erano ancora considerati come una libera professione, ma solo come una funzione delegata ai commercialisti». Ne è conseguita una esclusione, per essi, di operare in ambito europeo diversamente dagli altri professionisti. «Non possiamo più pagare lo scotto di questi ritardi rispetto al resto dell’Unione. Dobbiamo accettare la sfida europea con i singoli paesi aderenti. L’Italia non è più una nazione operativamente autonoma, ma una regione d’Europa. È l’Europa che fa le regole, e i singoli Paesi si devono adeguare. Stiamo affrontando ormai il percorso che porterà alla formazione di un nuovo “Stato europeo” e ne dobbiamo coscientemente prendere atto».

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gali. Non si rischia di riempire il mercato di tuttologi? «È un reale problema. Infatti, a mio parere, dopo questa fase iniziale, ognuno dovrebbe compiere una scelta di fondo. Anche perché tra i due ruoli vi è un abisso di visione professionale. È diverso improntare il proprio impegno professionale a difesa di una parte, anziché espletarlo come terzietà con un controllo socio-economico, esterno. Non sono pochi coloro che faticano ad accettarlo. Agire per un interesse singolo presuppone una forma mentis ben diversa rispetto a quando si agisce per il rispetto applicativo interpretativo neutrale delle norme di legge. Non intendo, con questo, ridurre per nulla la professionalità di chi difende una parte. Infatti il ruolo dei commercialisti al fianco e a sostegno delle nostre imprese è sempre stato, ed è, fondamentale. Ma esso bisogna tenerlo nettamente distinto da quello del revisore legale». Dunque il numero di revisori si “sfoltirà”? «Prevedo una vera rivoluzione. Il compito assegnato ai revisori legali è molto impegnativo, severo e comporta altissime responsabilità che obbligano a mettere in gioco il proprio nome e particolarmente il proprio patrimonio. È bene chiarire che se si commettono gravi errori, anche comportamentali, si rischiano fino a 5 anni di reclusione. Ogni commercialista iscritto anche al registro deve riflettere seriamente sulla direzione che intende dare al proprio percorso professionale. Un esempio di scelta attuale coerente e rispettosa del nuovo ruolo fissato dalla legge è quella di Roberto Spada, tra i più affermati sindaci e commercialisti di Milano, che ha rinunciato al ruolo di revisore legale per dedicarsi esclusivamente all’altra attività». Con la legge introdotta ad aprile pare quasi che si sia voluto aumentare il controllo su un’economia vittima di un’eccessiva deregulation. Quale impatto avrà la sua categoria? «Innanzitutto il revisore legale, essendo garante di correttezza e trasparenza, salvaguarderà in modo innovativo le imprese e i suoi lavoratori. L’economia per ripartire necessita di legalità e rispetto delle regole. Occorre reimpostare un mercato sancito su una concorrenza sana. Dobbiamo poter competere a livello internazionale in maniera sicura. Un revisore, dando un parere positivo sull’operato di un’azienda, fornisce una carta fondamentale con cui l’impresa può presentarsi sui mercati e presso le banche di tutta Europa. Certifichiamo, in pratica, una qualità che permette all’impresa di affrontare l’economia globale a testa alta senza alcuna sovrapposizione operativo anzi dando un reale sostegno allo sviluppo dell’economia. Rappresentiamo la vera nuova realtà professionale italo-europea al passo con i tempi». C&P • GIUSTIZIA



I conti degli enti pubblici • Ubaldo Procaccini

Trasparenza sui conti delle Regioni I revisori legali diventano, ad ogni effetto, garanti della trasparenza e della correttezza nei conti degli enti pubblici. A partire dalle Regioni. E in questo è fondamentale l’istituzione di un collegio esterno. L’opinione del vice segretario nazionale dell’Inrl, Ubaldo Procaccini di Andrea Moscariello

Ubaldo Procaccini, vice segretario nazionale dell’Istituto Nazionale Revisori Legali - procaccinistudio@libero.it

uello del revisore contabile è un ruolo che diventa cruciale anche negli organismi pubblici». Così nello scorso marzo Ubaldo Procaccini, vice segretario nazionale dell’Istituto Nazionale Revisori Legali, si rivolse alle Pubbliche amministrazioni alla presentazione del testo che ha ufficializzato la figura del revisore legale anche in Italia, riconoscendo un ruolo già ben definito in ambito europeo. E all’epoca, a pochi giorni dalle elezioni regionali, chiese a tutti i candidati «di impegnarsi a modificare gli statuti per porre in essere quel controllo contabile neutrale nei bilanci». Il suo invito è stato accolto? «In realtà la richiesta dell'istituzione del collegio dei revisori contabili anche per le Regioni parte da un convegno svoltosi a Napoli nel 2008, quando la Campania era l'unica regione già provvista di un tale organo, formato però dagli stessi consiglieri regionali. Noi chiedevamo, invece, che questo collegio fosse costituito da revisori esterni al consiglio, così come già previsto da circa vent’anni per i comuni e per le province, soprattutto alla luce della consistenza stessa dei bilanci regionali. In occasione delle recenti elezioni, in più incontri si è tornati sull'argomento e si sono sollecitati i candidati dei vari schieramenti a inserire quest’organo negli statuti regionali come segnale di novità e di trasparenza. Speriamo, già dopo l'estate, di riscontrare i primi segnali positivi. Il tutto anche alla luce del recepimento della direttiva CE 2006\43, entrata in vigore il 7 aprile 2010, che ha anche cambiato la denominazione da revisori contabili a revisori legali». Parlando in particolare della sua regione, la Campania, quali sono i punti critici su cui si giocherà la trasparenza e la correttezza dei conti? «Nella regione Campania si è verificato, in mancanza di un or-

gano di controllo esterno, il superamento del patto di stabilità, circostanza che ha portato il governo nazionale a intervenire annullando tutte le delibere emesse negli ultimi mesi dalla giunta uscente. Il superamento del patto di stabilità comporta per la Regione Campania un gravissimo nocumento. Questa, infatti, non potrà più accedere ai finanziamenti europei. L'adozione del collegio dei revisori legali da parte dell'amministrazione regionale, dunque, potrà evitare in futuro il ripetersi di una situazione del genere». Dunque l’adozione dei diktat comunitari è da osservare positivamente? «La scelta di rendere applicabili i principi internazionali di revisione e l'introduzione di criteri più stringenti nei controlli sulla qualità sull'operato di chi fa revisione legale dei conti, rappresentano per la categoria un momento molto importante. Si tratta di un'opportunità di riconoscimento pubblico e di valorizzazione di una figura professionale che, in un momento di grave crisi, arriva ad assumere un più alto profilo nel contesto economico e sociale. La crescita professionale della categoria derivante dall'introduzione di principi internazionali nella giurisdizione italiana impone al revisore anche un aggiornamento degli strumenti di lavoro. Il professionista dovrà scegliere i software più idonei alla propria attività dimostrando capacità di lavoro su innovative tecnologie informatiche e telematiche». Cosa determinerà il rapporto tra l’Inrl e il mondo politico-amministrativo? «All'Istituto Nazionale Revisori Legali toccherà, nei prossimi mesi, il compito di interfacciarsi con il governo nazionale e con le amministrazioni periferiche. Bisognerà far comprendere il nuovo ruolo affidato alla categoria e l'importanza di una stretta collaborazione nel rispetto dei reciproci ruoli per una migliore gestione delle risorse e per il rilancio della nostra economia».

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Il controllo dei conti • Andrea Toffoloni

La revisione dei conti da funzione ad attività Con l’adeguamento alla normativa comunitaria, aumenta il rigore con cui la legge disciplina la revisione legale dei conti. Una riforma che, come racconta Andrea Toffoloni, è frutto di anni di evoluzioni e dibattiti di Paolo Lucchi

G. Andrea Toffoloni all’interno del suo studio di Milano. Dottore commercialista e consulente, fa parte dell’associazione professionale “Geie Eurodefi” gtoffoloni@studiotoffoloni.com

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rano gli anni settanta, e la magistratura iniziò a intervenire «talvolta pesantemente», per censurare il comportamento di sindaci e revisori, non soltanto in sede civile, ma anche in sede penale con arresti. G. Andrea Toffoloni ha vissuto in prima persona l’evoluzione che ha toccato l’attività del controllo dei conti, al centro, oggi, di importanti rivoluzioni professionali. L’ex presidente del Collegio dei Revisori dell'Ordine, già segretario del Consiglio Nazionale del Sindacato Dottori Commercialisti, ha scelto, dopo 40 anni di carriera, di concentrarsi sull’attività di “revisione legale dei conti”, così come ribattezzata dalla nuove recenti norme per enti e società. E ricorda i suoi inizi in cui si rese parte attiva nel dibattito che avrebbe caratterizzato la crescita della categoria. «Ci tenevo a indurre, da un lato, i nostri colleghi a una maggiore responsabilità nello svolgimento dei controlli e, dall’altro, il legislatore ad adottare provvedimenti che consentissero di chiarire e separare adeguatamente le responsabilità di sindaci e revisori da quelle degli amministratori operativi. Che la Magistratura, spesso, non distingueva». Se ne discusse molto all’epoca. «Ricordo un mio articolo apparso sulla rivista dei giovani dottori commercialisti dal titolo “Sindaci in libertà provvisoria” cui rispose, dalle pagine del Corriere della Sera, l’allora presidente del Tribunale di Milano, Piero Pajardi, con un pezzo intitolato “Sindaci che non sindacano”. Io risposi nuovamente sempre sul Corriere con il titolo “Sindaci di Società: un mestiere pericoloso”. Eravamo tra il 78 e il 79, ed era stato emanato da qualche anno, in recepimento di una direttiva comunitaria, il Dpr 136 relativo al controllo contabile e alla certificazione dei bilanci per le società per azioni quotate in borsa», riservato alle società di revisione iscritte all’Albo CONSOB». In realtà questa disposizione legislativa subì molti cambiamenti. Cosa accadde? «Per semplificare, si è partiti dal controllo del collegio sindacale che, per il Codice Civile del 1942, prevedeva, secondo talune interpretazioni, il solo controllo di legittimità. Mentre, secondo altre, che sono diventate prevalenti col tempo, prevedeva anche il controllo di merito delle operazioni poste in essere dagli amministratori. Poi si è giunti al controllo contabile con la legge 6 del 2003, la riforma del diritto societario, secondo cui il controllo contabile, per le società cosiddette minori, poteva essere affidato sia alle società di revisione che al collegio sindacale». Poi si è giunti all’ultima, la legge 39 del 2010. Cosa rappresenta? «La nuova legge è estesa a quasi tutte le società, pur con idonee distinzioni tra quelle quotate e di interesse pubblico e le altre. Per queste ultime, salvo casi particolari, il controllo legale dei conti può essere affidato al collegio sindacale. La novella normativa ha

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Andrea Toffoloni • Il controllo dei conti

D’ora in poi i sindaci, se intendono accettare l’incarico della revisione legale, devono raffrontarsi con nuove responsabilità, maggiori controlli, più obblighi formativi e sanzioni più pesanti C&P • GIUSTIZIA

consentito di rivisitare complessivamente la disciplina dell’attività di revisione, accorpando in un unico testo normativo tutte le disposizioni sulla revisione legale». Quali i punti fondamentali? «Innanzitutto la legge ha dettato norme generali sull’abilitazione di persone fisiche e società per l’esercizio dell’attività di revisione. Ha meglio puntualizzato lo svolgimento dell’attività di revisione. Ha istituito un controllo pubblico sull’operato dei revisori e ha rafforzato la cooperazione tra gli stati membri della CEE in materia di esercizio di attività di revisione. In conclusione, la novella ha cercato di rendere la normativa il più possibile aderente a quella comunitaria, garantendone una maggiore rigorosità». Va detto, però, che il testo ha anche suscitato critiche. «Si tratta di una riforma che si occupa principalmente dei controlli contabili successivi ai processi decisionali posti in essere dagli amministratori. Dunque incide solo in modesta misura sul governo dell’impresa. Attività quest’ultima lasciata al controllo di legittimità posto in essere dal collegio sindacale. Taluni sostengono che rispetto alla precedente normativa poco o nulla è mutato, mentre altri sostengono che la revisione legale dei conti è passata dall’essere una “funzione”ad assumere la veste di “attività”». Dunque una sorta di nuova professione? «Esatto, soprattutto per i sindaci che hanno seguito fino ad oggi i principi di revisione in modo sommario, nel caso accettino di svolgere anche il controllo contabile. Non così per le società di revisione già avvezze a svolgere i controlli contabili nel pieno rispetto dei detti principi di revisione, già in vigore da tempo per le società quotate e per quelle di interesse pubblico. D’ora in poi i sindaci, se intendono accettare l’incarico della revisione legale, devono raffrontarsi con nuove responsabilità, maggiori controlli, più obblighi formativi e sanzioni più pesanti. In compenso, la nuova normativa sembra aver delineato una maggiore obiettività e indipendenza del soggetto incaricato alla revisione legale e, dopo oltre quarant’anni, la responsabilità dei revisori, pur mantenendo la solidarietà con quella degli amministratori, sembra aver finalmente trovato una propria specifica distinzione». 85


Esami di bilancio • Rocco Calabrese

Il rating tutela le imprese Per analizzare i bilanci delle imprese, il rating è una modalità accurata di esame degli aspetti e dei rischi finanziari dell’azienda, molto utile in questo momento in cui la recessione economica ha evidenziato molte perdite sui crediti. L’opinione del professor Rocco Calabrese di Nella Zini

Il professor Rocco Calabrese, fondatore anche della Global Rating Facilities, assieme allo staff dello Studio Associato Calabrese di Bari info@studioassociatocalabrese.com

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e perdite delle aziende per quanto riguarda i crediti sono cospicue. «Da un'indagine effettuata, abbiamo rilevato che dette perdite, mediamente, per le aziende che non hanno messo in atto una politica di tutela del credito, si aggirano intorno al 12/13 % su tutti i crediti. Queste perdite falcidiano le liquidità differite e creano seri problemi di disponibilità liquide». A parlare è il professor Rocco Calabrese che sottolinea come alla fine «si metta a dura prova l'equilibrio finanziario, che, purtroppo, induce gli operatori economici a richiedere credito alle banche, le quali, bontà loro, costringono spesso gli stessi operatori a concedere garanzie reali o personali, subendo poi costi per interessi passivi di una certa importanza e che, a volte sono tali da ledere anche l'equilibrio economico». Il mondo economico ha risentito molto di questa iniqua realtà e sta reagendo mediante i rappresentanti del settore industria, commercio, attività artigianali, di servizi e agro alimentari. «A proposito si è elevata anche una forte esortazione da parte del presidente di Confindustria Marcegaglia, rivolta a tutti gli operatori a utilizzare i mezzi messi a disposizione dal mercato per limitare o evitare i danni». Una soluzione può provenire dalle agenzie di rating. «Ad esempio, la nostra agenzia di rating - spiega Calabrese - ha messo in atto un programma di score che analizza i bilanci delle imprese emettendo un giudizio sul merito creditizio dell'azienda in esame ed evidenzia questo giudizio mediante la ponderazione di sei indicatori di bilancio. Diventa, perciò, opportuno utilizzare il canale della prevenzione facendo ricorso alle società di rating, che non vanno confuse con le società di recupero crediti, le quali svolgono attività di informazione rivolta alla concessione del credito con notizie assunte da banche dati o dalle camere di commercio senza l'assunzione di alcun tipo di responsabilità. Lo studio associato Calabrese, che elabora il rating, assume responsabiltà professionali». Da notizie recenti gli Stati Uniti stanno obbligando queste società, in possesso di requisiti opportuni, a iscriversi presso albi appositamente creati e sottoposti a controllo, come per le società di revisione. «In Italia questa soluzione sta assumendo importanza e si spera che sorga l'obbligo, per le agenzie di rating, di iscriversi presso un albo che abbia la stessa funzione della Consob nei confronti delle società iscritte». La metodologia di analisi delineata dal professor Calabrese è costituita da tre fasi. «C’è una fase tecnica, caratterizzata da esami, bilanci e correzione di errori, poi la seconda fase prevede le analisi per indici e per flussi, mentre la terza consiste nell’indicazione di classe di merito e nella relazione finale».

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Obiettivo lavoro • Rosario De Luca

Verso un rilancio culturale «Bisogna instaurare una nuova cultura imprenditoriale» spiega Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi consulenti del lavoro. Nuove prerogative, dunque, che andranno a coinvolgere anche la categoria professionale più vicina ad aziende e lavoratori di Andrea Moscariello n Italia gestiscono 1 milione di aziende per un totale di 8 milioni di addetti e un monte ore retribuzione che supera i 100 mila miliardi di euro all’anno. I consulenti del lavoro, per questo, rappresentano, oltre che un incredibile patrimonio in servizi e assistenza all’economia nazionale, un impressionante giro d’affari capace di inserire sul mercato, più di altre categorie, moltissimi giovani neo-laureati e specializzati. Elementi che Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, segnala con orgoglio. «In media, per un consulente, il reddito procapite è di circa 48 mila euro. Rappresentiamo una delle strade più interessanti e innovative per il futuro lavorativo di migliaia di giovani». Impegnato, tramite la Fondazione, nel portare alla conoscenza di tutti il ruolo ricoperto dalla categoria, De Luca sottolinea come «l’Italia si ritrova in un momento storico» in cui si prospettano riforme, del lavoro, delle professioni, della fiscalità. «E in tutti questi settori i consulenti del lavoro sono protagonisti di primo piano». La valorizzazione della figura del consulente del lavoro è l’obiettivo principale della Fondazione da lei presieduta. Attualmente qual è il suo giudizio circa il grado di riconoscibilità, considerazione e inserimento sul tessuto economico e istituzionale della sua categoria? «I consulenti del lavoro hanno assunto nel tempo un ruolo economico e sociale di tutto riguardo. La categoria gesti-

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Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro

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Rosario De Luca • Obiettivo lavoro

Le aziende hanno ormai sempre più bisogno del supporto dei professionisti per ottimizzare la produzione, la gestione amministrativa e delle risorse umane sce 1 milione di aziende con 8 milioni di addetti per un monte ore retribuzione di oltre 100.000 miliardi di euro l’anno. Il volume d’affari è di 87.547 euro con un reddito pro-capite di 48.433 euro. Questi sono i dati di una professione in continua evoluzione che adegua le proprie competenze all’evolversi delle regole e delle esigenze di un mercato globale e molto competitivo. Inoltre, sia a livello nazionale che a livello regionale e territoriale, i consulenti del lavoro garantiscono la propria specializzazione per l’elaborazione di politiche e attività, in sinergia con le Istituzioni, per garantire lo sviluppo economico del Paese. E poi, mi piace sottolineare il fatto che questa è una professione giovane e dinamica che attira l’interesse di molti neo-laureati che vedono in alcune attività, come la gestione delle risorse umane, una strada da intraprendere per il futuro lavorativo». Sotto quali aspetti si dovranno concentrare, in futuro, gli sforzi formativi dei consulenti del lavoro? «L’Italia è in un momento storico in cui si parla di riforme, del lavoro, delle professioni, della fiscalità. E in tutti questi settori i consulenti del lavoro sono protagonisti di primo piano. Per essere al passo dei tempi bisogna garantire una formazione continua che permetta ai colleghi di essere sempre pronti a gestire nuove pratiche e nuove attività. E la formazione dei propri iscritti è uno degli obiettivi principali che si è posto il Consiglio nazionale, supportato dai Consigli provinciali e in cooperazione con C&P • GIUSTIZIA

la Fondazione Studi. Inoltre, è utile incentivare la rete esistente tra professioni e mondo delle università così da permettere l’ingresso nel mercato di giovani professionisti già specializzati». Perché la Fondazione punta, soprattutto, all’aspetto formativo? «Per essere al passo con i tempi bisogna garantire un aggiornamento continuo che permetta ai colleghi di essere sempre pronti a gestire nuove pratiche e attività. E la formazione dei propri iscritti è uno degli obiettivi principali che si è posto il Consiglio nazionale. Inoltre, è utile incentivare la rete esistente tra professioni e mondo delle università, così da permettere l’ingresso nel mercato di giovani già specializzati». Tra i temi recentemente affrontati dalla sua categoria, quello dell’apprendistato si è rivelato particolarmente complesso. La Fondazione ha creato a tal proposito una banca dati. «Abbiamo creato uno strumento di ausilio per tutti quei colleghi che intendono affrontare la tematica relativa all’apprendistato, per motivi di studio o per esigenze professionali. È infatti possibile avere a disposizione l’intera produzione normativa di ogni singola regione italiana in materia di apprendistato con un semplice click. L’obiettivo finale è quello di creare uno strumento il più completo possibile, che permetta al collega di una qualsiasi provincia di accedere a un’utile fonte di informazioni. Attraverso questa, poi, ci si potrà orientare per l’instaura89


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Per essere al passo con i tempi bisogna garantire un aggiornamento continuo che permetta ai colleghi di essere sempre pronti a gestire nuove pratiche e attività 90

zione di questo delicato e speciale contratto. Una tale situazione di diversificazione normativa e le storture che ne derivano sono l'esempio più lampante di come il federalismo non può coinvolgere materie delicate come la normativa lavoristica». Considerando la crisi e il contesto socio-economico del Mezzogiorno, trova che la cultura imprenditoriale potrebbe instaurare un rapporto più costruttivo con il mondo professionale? «La crisi economico-finanziaria che sta colpendo l’intera Europa ha logiche ripercussioni anche sull’economia del Mezzogiorno. Ma questo territorio, i suoi abitanti e le sue imprese sono abituati ad affrontare le emergenze. Sono necessarie opportune riforme strutturali, non abbiamo più bisogno di politiche provvisorie e di finanziamenti a pioggia senza un reale obiettivo da conseguire». Soprattutto cosa si percepisce, da parte delle imprese? «Le aziende hanno ormai sempre più bisogno del supporto dei professionisti per ottimizzare la produzione, la gestione amministrativa e delle risorse umane. Bisogna instaurare una nuova cultura imprenditoriale, una nuova cultura professionale e una nuova cultura del lavoro. Lo sviluppo di un territorio è legato indissolubilmente con il cambio della cultura dei propri cittadini. Così come sono indispensabili interventi organici sul sistema delle infrastrutture, storicamente carente nel Mezzogiorno». C&P • GIUSTIZIA


Zingales, Bertucci,Duraccio • Obiettivo lavoro

Tutelare lavoratori e impresa

di Simona Cantelmi

l mercato del lavoro vive una condizione di forte difficoltà, caratterizzata da un troppo ingente utilizzo della cassa integrazione, che provoca nei lavoratori una pesante sensazione di frustrazione. Molte aziende, purtroppo, hanno chiuso i battenti, provocando forti disagi a numerose famiglie. Nasce, pertanto, l’esigenza di strumenti che tengano costantemente monitorata la situazione delle imprese, del loro andamento economico e della loro gestione del personale, in modo da convogliare eventuali lavoratori rimasti senza impiego verso aziende o settori che possano soddisfare maggiormente la domanda di lavoro. Sia a Milano sia a Roma gli ordini dei consulenti del lavoro e le istituzioni collaborano per la realizzazione di iniziative volte al monitoraggio del mondo del lavoro e a soddisfare le esigenze dei lavoratori. Un punto su cui Giovanni Zingales, Adalberto Bertucci ed Edmondo Duraccio, presidenti rispettivamente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano, di Roma e di Napoli, sono d’accordo è la certificazione dei contratti di lavoro.

In alto, il presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano, Giovanni Zingales; sotto, il presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Roma, Adalberto Bertucci

MILANO La collaborazione tra ordini professionali e soggetti istituzionali e politici è fondamentale per lo sviluppo del sistema economico e per trovare le soluzioni migliori per imprese e lavoratori, sui quali ricade la maggior parte degli effetti dell’attuale difficile situazione finanziaria. «Oggi la difficoltà maggiore è quella di trovare soluzioni ottimali, nell’utilizzo di agevolazioni che la normativa offre» afferma Giovanni Zingales, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano. Lei è appena stato eletto alla presidenza. Quali sono i primi progetti che avete messo a punto? «Abbiamo intenzione di potenziare l’attività della comunicazione, della convegnistica e della formazione.Abbiamo un impegno rilevante in tema di certificazione dei contratti di lavoro e vogliamo incrementare ancora di più i rapporti con la Direzione Regionale del Lavoro e con la Direzione Provinciale del Lavoro soprattutto in prospettiva di Expo 2015, specialmente in tema di certificazione dei contratti di appalto. È un impegno notevole anche questo, perché significa affiancare la DPL, in prima linea nel contrastare possibili infiltrazioni di carattere mafioso, che in queste occasioni di grande business si rilevano frequentemente. Infine, abbiamo in programma iniziative in sinergia con il Comune e la Provincia di Milano in tema di mercato del lavoro». Quali cambiamenti ha portato la recessione economica nella provincia di Milano nelle dinamiche e nei rapporti di lavoro fra imprese, lavoratori e istituzioni? «Ha creato una stagnazione riguardo al mercato del lavoro e in particolare si sono fermate le assunzioni a tempo indeterminato, anche se in alcuni settori la crisi si è fatta sentire in misura minore: parlo dei settori degli elettrodomestici, telefonia, televisioni e grande distribuzione.Vi è stato un incremento della richiesta di cassa integrazione ordinaria e straordinaria e in particolar modo della cassa integrazione in deroga da parte di quei settori che non godono normalmente del beneficio della Cig. L’imprenditoria milanese ha, comunque, adoperato in maniera massiccia una sorta di contratto di solidarietà con i propri dipendenti, utilizzando i

In un periodo di instabilità economica e continui mutamenti dei mercati, il mondo del lavoro necessita di maggiori tutele. Giovanni Zingales, Adalberto Bertucci e Edmondo Duraccio, illustrano la situazione di Milano, Roma e Napoli

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Obiettivo lavoro • Zingales, Bertucci,Duraccio

periodi di permessi e ferie ancora da usufruire e riducendo l’orario di lavoro per mantenere la forza lavoro con le proprie professionalità». Quali sono le problematiche che lei riscontra più diffuse nella provincia di Milano? «La mancanza di preparazione ad affrontare il mondo del lavoro da parte della scuola e la mancanza di volontà a imparare arti e mestieri (il vecchio detto di “andare a bottega”), che risolverebbe in gran parte le difficoltà di trovare un lavoro. Ricordiamoci che il mercato ha una grande necessità di artigiani, ad esempio elettricisti, idraulici, falegnami, pizzaioli, e sarebbe una grande opportunità per i giovani». ROMA È da poco nata la Consulta per il lavoro della Città di Roma, grazie alla sinergia tra l’Ordine dei consulenti del lavoro capitolini e gli organi di governo locali. «Siamo rimasti addirittura sorpresi dall’entusiasmo con cui la nostra iniziativa è stata accolta dagli assessori interessati e dai loro dirigenti che, ben lungi dall’attivare procedure burocratiche fini a se stesse, stanno dimostrando una reale volontà di “sfruttare” ogni potenzialità del rapporto con i professionisti del lavoro» dichiara il presidente dei consulenti del lavoro romani Adalberto Bertucci. Com’è avvenuta la collaborazione con Comune, Provincia e Regione, che usufruiscono di questo osservatorio professionale? «La Consulta per il lavoro della Città di Roma nasce come progetto sperimentale con il quale un ordine professionale, quello dei consulenti del lavoro, prova a confrontarsi in modo sinergico con le istituzioni territoriali. L’interlocutore diretto e immediato è il Comune di Roma, con il quale è stato sottoscritto un protocollo d’intesa e sono stati avviati incontri operativi per definire una convenzione che traduca nel concreto le attività programmate. Stiamo ora colloquiando con la Regione per giungere, sia pure con differenti accenti viste le diverse competenze, alla definizione con analogo protocollo». Quali sono le possibilità per i lavoratori di Roma grazie a questa iniziativa? «Roma capitale è una realtà complessa e vasta e pertanto è facile perdersi tra uffici, diverse competenze, procedure. La collaborazione con il Comune e con i suoi centri di orientamento al lavoro potrebbe consentire a tanti lavoratori di fruire di servizi di informazione e consulenza utili per orientarsi nella scelta consapevole delle possibili forme di inserimento al lavoro.Tra gli obiettivi delle intese con l’amministrazione capitolina, c’è quello di promuovere la cultura della legalità del lavoro e della responsabilità sociale d’impresa e ciò anche promuovendo l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro». Avete creato le consulte territoriali, che raccoglieranno dati sul mercato del lavoro che confluiranno nella Consulta per il Lavoro. In che modo viene analizzato il mondo del lavoro e come sono raccolti i dati? «Le consulte territoriali nascono per un’esigenza di vicinanza a tutte le realtà operanti in città. Le dimensioni del Comune di Roma, il numero di abitanti, di imprese e di lavoratori ci hanno imposto di essere sul territorio al livello di Municipio. Un esempio per tutti: Roma è il più grande comune agricolo d’Italia, ma è molto difficile che in nostri convegni o in momenti formativi 92

Ricordiamoci che il mercato ha una grande necessità di artigiani, ad esempio elettricisti, idraulici, falegnami, pizzaioli, e sarebbe una grande opportunità per i giovani C&P • GIUSTIZIA


Zingales, Bertucci,Duraccio • Obiettivo lavoro

si trattino le problematiche delle imprese agricole. Sono argomenti che invece saranno tipici di quelle zone proprio grazie alla spinta delle locali consulte territoriali; e ancora, forse a imprenditori e consulenti dei Parioli interesseranno poco le vicende contrattuali degli stabilimenti balneari, che invece caratterizzano l’interesse del tredicesimo Municipio (Ostia). Esempi come questi possono farsene a decine in una realtà articolata come quelle romana». Quali sono le altre prerogative delle consulte territoriali? «Esse hanno anche la funzione di collettori di dati e di informazioni che circoleranno in modo centripeto, dalla periferia al centro. Sarà, infatti, questo uno dei canali, il più diretto, di acquisizione delle informazioni per la Consulta centrale. Il tutto avverrà in modalità telematica attraverso un portale che sarà presentato nei prossimi mesi. Le analisi dei dati ricevuti, una volta aggregati, saranno effettuate dai componenti della Consulta per il Lavoro, che potranno fornire utili suggerimenti a chi deve prendere decisioni in materia».

Il presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Napoli, Edmondo Duraccio

C&P • GIUSTIZIA

NAPOLI Il tasso di occupazione di Napoli è in flessione costante. Servono pertanto delle misure concrete per sostenere le tante piccole e medie imprese del territorio e fornire ai lavoratori i supporti e gli incentivi necessari. Ne parla Edmondo Duraccio, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Napoli. Qual è l’attuale situazione del mondo del lavoro per quanto riguarda Napoli? «Recentemente è stato pubblicizzato un report da parte della sezione napoletana della Banca d’Italia in cui è stata esaminata la situazione economica della Campania, in particolare di Napoli, per l’anno 2009. Il dato negativo è il crollo dell’occupazione: abbiamo perso nel 2009 circa settantamila posti di lavoro rispetto all’anno 2008, che passano a centomila se si fa il rapporto con l’anno 2007. Napoli e la Campania, per quanto riguarda il Pil negativo, sono andate oltre la media nazionale». Quali sono le cause fondamentali di ciò? «Innanzitutto il crollo della domanda in tutto il territorio campano, poi le aziende non crescono, così come i salari. Da questa situazione, come professionista e come cittadino, faccio fatica a pensare a come possa nascere il federalismo fiscale. Noi dell’Ordine dei consulenti del lavoro stiamo cercando i contatti con il Ministero del lavoro e con il nostro assessorato al lavoro. Gli ammortizzatori sociali in deroga non solo vanno rivisti, ma potenziati in quelle zone dove effettivamente c’è bisogno, per tutte le categorie. Il territorio è caratterizzato da una miriade di piccole e medie imprese, dall’artigianato al piccolo commercio: per questi non esistono ammortizzatori sociali, tranne quelli classici. Noi vorremmo fare degli ammortizzatori sociali in deroga che non siano solamente un sostegno al reddito dopo il licenziamento. Vorremmo evitare che ci fossero licenziamenti e desidereremmo che il rapporto di lavoro fosse accompagnato da attività di formazione per opera della Regione, possibilmente da farsi in azienda, per mantenere il rapporto tra il lavoratore e la propria impresa, in attesa che vengano tempi migliori. Occorrono ovviamente delle risorse per fare questo, ma attualmente le vecchie risorse che il ministero ha stanziato per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali in deroga sono terminate». 93





L’intervento

I CUSTODI DELLA LEGALITÀ di Giancarlo Laurini Presidente del Consiglio nazionale del notariato

Un intervento i cui effetti negativi sono superiori ai benefici che ne ricava il cittadino non è un miglioramento, ma un vulnus al sistema

C&P • GIUSTIZIA

a crisi economica ha reso più che mai evidente l’importanza di regole economiche e giuridiche certe. Un tema a cui il notariato, per compiti e vocazione, è particolarmente sensibile. Anche se esercitano in regime di libera professione, i notai sono titolari di pubblica funzione e in quanto tali sono i primi custodi della legalità, almeno per quanto attiene le transazioni tra privati. Come categoria, dunque, il notariato è in prima linea nella difesa delle regole, la cui mancanza o attenuazione può avere effetti molto seri in certi campi. La crisi mondiale, partita dagli Stati Uniti è dipesa in gran parte proprio dalla deregolamentazione del mercato immobiliare, che ha lasciato il campo libero a intermediari privi di una solida professionalità, e talora anche di scrupoli. Il notaio di fronte a un trasferimento immobiliare è tenuto a verificare ogni dettaglio, controllando la legalità dell’operazione, dall’impostazione generale fino alla minima clausola. Nel sistema anglosassone, invece, l’intermediario può anche fornire informazioni approssimative, se non false, col solo fine di aumentare le vendite. È così che il mercato immobiliare si è drogato e si è creata la “bolla”, con le conseguenze che tutti sappiamo. Va sottolineato, prima di tutto, che la funzione pubblica ci viene delegata dallo Stato e, in quanto tale, come notai non ne disponiamo, né possiamo ovviamente stabilire dove e in che termini sia necessaria. Detto ciò, i modi di esercizio della professione possono certo essere modificati. Per quanto riguarda l’organizzazione del territorio, ad esempio, si può pensare all’accorpamento di alcuni distretti troppo piccoli, per garantire una maggiore possibilità di scelta per il cittadino. Come sta avvenendo per gli avvocati, andrebbero anche ripristinate, a mio avviso, le tariffe inderogabili. E questo come garanzia non per il notaio, ma per il cittadino, che deve sapere quando costa un servizio a Napoli come a Milano. Non c’è dubbio che semplificare le procedure, disboscando la selva enorme di leggi e regolamenti esistenti, sia necessario. In ogni riforma, però, bisogna sempre avere presente il rapporto costi-benefici. Un intervento i cui effetti negativi sono superiori ai benefici che ne ricava il cittadino non va attuato, perchè non è un miglioramento, ma un vulnus al sistema. La cessione delle quote Srl, ad esempio, che permette di andare dal commercialista anziché dal notaio, con certe complicazioni informatiche, pagando le stesse somme ma senza la garanzia assoluta della legittimità dell’atto che il notaio per vocazione e compito deve assicurare, è davvero una semplificazione? Ecco la domanda che bisogna farsi.

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Notariato • Milano, Roma e Bari

Notai e tutela del diritto L’evoluzione del notariato, una professione che segue la società che cambia. Il contributo di Domenico De Stefano, Maurizio D’Errico e Biagio Franco Spano rispettivamente presidenti dei Consigli notarili di Milano, Roma e Bari di Renata Gualtieri

a funzione pubblica del notaio consiste nel controllo preventivo di legalità per conto dello Stato. Una funzione che resta ferma per il presidente del Consiglio notarile di Milano ma è indubbio che i cambiamenti in atto impongono anche al notaio uno sforzo nuovo per coniugare duttilità e rigore. Vicini alla pubblica amministrazione e ancora di più al sociale e alle esigenze della popolazione in difficoltà i notai di Roma. Indipendentemente dal contesto economico e sociale nel quale si trova ad operare, il notaio per il presidente del consiglio notarile di Bari, è il garante della certezza dei rapporti giuridici, della loro conformità alle regole, fondamentale per prevenire rapporti litigiosi. La tecnologia poi influisce molto sulle modalità attraverso le quali il lavoro viene esplicato.

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Domenico De Stefano, presidente dei notai milanesi

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Il Consiglio notarile di Milano è attivo nella promozione e organizzazione di iniziative tese a valorizzare la propria funzione sul territorio. «Da diversi anni – spiega il presidente Domenico De Stefano – promuoviamo iniziative volte a mettere il notariato a disposizione della cittadinanza. Nelle città più piccole e nei paesi i notai sono presenti in giorni stabiliti presso il municipio. A Milano è possibile fissare via internet un appuntamento per la consulenza preventiva». L’attività notarile ha risentito degli effetti della crisi. «La contrazione del lavoro notarile può essere stimata nell’ordine del 30% in due anni. Per trovare elementi di positività nella contingenza attuale – continua il presidente – occorre cogliere l’opportunità delle diminuzioni quantitative per svilupC&P • GIUSTIZIA


Milano, Roma e Bari • Notariato

Tra le iniziative previste dal Consiglio notarile di Roma azioni di interscambio con le università con stage per i giovani

Sotto, Maurizio D’Errico, a capo del Consiglio notarile romano; in alto, a destra, Biagio Franco Spano, presidente dei notai della provincia di Bari

pare un miglioramento della qualità della propria organizzazione o del proprio assetto patrimoniale, razionalizzando le strutture e i processi». Quello di Milano è un distretto che comprende ormai ben quattro province. Non mancano perciò le risorse per un adeguato e costante aggiornamento professionale e culturale dei notai. «Stiamo sperimentando un nuovo modulo che comporta l’intervento agli eventi di formazione di esponenti di altre professioni e di dirigenti della pubblica amministrazione». In un distretto così grande non mancano le risorse e neppure le difficoltà. «La metropoli – sottolinea De Stefano – presenta aspetti di spersonalizzazione che rendono molto più problematica quell’attività di controllo preventivo che costituisce una delle peculiarità positive dell’intervento notarile. In provincia, ma non in egual misura, anche il notaio costituisce un tassello di un meccanismo di “controllo sociale”; qui è decisamente più rilevante la domanda di servizio notarile verso le famiglie. Per converso, la concorrenza molto accentuata che si vive in città costituisce un forte stimolo a elevare la qualità del servizio professionale. A Milano è molto elevata la domanda di assistenza alle imprese». ROMA

La crisi economica ha condizionato anche i risultati dei notai presenti nel territorio romano. «C’è una diminuzione del lavoro reale di oltre il 30-35% – spiega Maurizio D’Errico presidente del Consiglio notarile di Roma – e come tutte le crisi si creano situazioni di difficoltà operativa. Per molti colleghi provvediamo a un’integrazione mensile e in moltissime situazioni si è ridotto il personale». Per gli obiettivi ancora da ragC&P • GIUSTIZIA

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Notariato • Milano, Roma e Bari

Sul territorio abbiamo già da tempo cercato un dialogo a 360° con le altre realtà professionali cercando di colloquiare con loro e organizzando attività di formazione insieme giungere è continua la collaborazione tra il notariato e le altre realtà professionali. «Sul territorio – sottolinea il presidente D’Errico – abbiamo già da tempo cercato un dialogo a 360° con le altre realtà professionali cercando di colloquiare con loro e organizzando attività di formazione insieme, cooperando nell’attività pratica. Per noi non solo è un vantaggio perché ci assicuriamo delle specificità professionali, che noi non abbiamo, ma allo stesso tempo cerchiamo di creare questo rapporto senza gravare l’utenza di ulteriori costi. Diventa quasi un fatto obbligato potersi confrontare con professioni che comunque interagiscono con la nostra attività». Frequenti le occasioni di interscambio tra il Consiglio notarile di Roma e i notai del resto d’Italia, specialmente in occasione dei corsi che si svolgono nella sede romana, che sono gratuiti e assicurano una formazione assolutamente pratica.Tra i servizi notarili più richiesti nel territorio romano rimangono gli atti relativi al settore immobiliare. «Nella provincia di Roma – precisa il presidente – è richiesta soprattutto la donazione. Ancora si seguono le strade classiche per ridistribuire il patrimonio e ultimamente hanno successo anche gli atti destinazione e gli atti in genere a tutela dei beni e la sistemazione delle imprese. Con Confindustria Lazio stiamo facendo dei workshop dove suggeriamo tante possibilità operative di tutela del patrimonio ma anche sistemazioni, successione dell’azienda che hanno grande successo».Tra le iniziative previste dal Consiglio di Roma azioni di interscambio con le università, come è già stato fatto con la Luiss. «Offriamo ai giovani che vogliono intraprendere la nostra carriera – conclude D’Errico – la possibilità di frequentare dei brevi stage per capire come funziona il notariato prima che facciano una scelta». 100

BARI

La Puglia appare sostanzialmente omogenea sotto il profilo socio economico, con artigianato, commercio, agricoltura e turismo diffusi capillarmente e grosse realtà industriali, presenti in molte località. «Il settore societario – dichiara il presidente del Consiglio notarile di Bari Biagio Franco Spano – nonostante un notevole impulso verificatosi negli ultimi anni, appare ancora un po’ penalizzato, evidentemente per la mancanza di società quotate e per la lontananza geografica delle principali istituzioni finanziarie. Nel nostro distretto abbiamo sperimentato per primi alcuni strumenti idonei ad avvicinare i cittadini al notariato, quali una rubrica settimanale sulla stampa con risposte a quesiti posti dai lettori; lo sportello permanente di consulenza gratuita e di ascolto tutti i martedì presso la sede del Consiglio Notarile, aperto anche alle piccole e medie imprese a seguito del protocollo di intesa firmato da ultimo con Confindustria; la partecipazione sistematica ai corsi prematrimoniali tenuti da Parrocchie e consultori per illustrare il diritto patrimoniale della famiglia; lezioni tenute alla Università della Terza età su argomenti di interesse notarile, sempre seguite da vivaci dibattiti; sottoscrizione di un protocollo di intesa con la Fondazione Anti usura, per prestare consulenza gratuita sui problemi notarili e stipulare i mutui a favore delle vittime a costi praticamente simbolici». La crisi economica sicuramente ha provocato un calo generale delle contrattazioni per i notai della provincia di Bari. «Paradossalmente – conclude Spano – il nostro territorio, legato prevalentemente alle ragioni economiche dell’edilizia, ha subito una flessione, nell'ordine del 15% circa del volume di lavoro, meno accentuata rispetto alle zone del Paese nelle quali è maggiormente presente l’industria». C&P • GIUSTIZIA



Diritto del lavoro • Salvatore Trifirò

Una riforma necessaria Semplificare il più possibile l’impianto normativo, adeguando il nostro mercato del lavoro alle regole dell’Europa. Puntando sulla flessibilità. Le priorità per il giuslavorista Salvatore Trifirò per risollevare le sorti dell’occupazione di Francesca Druidi

A destra, Salvatore Trifirò, fondatore dello studio Trifirò & Partners

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on si arresta la crescita del tasso di disoccupazione. Ad aprile, secondo i dati dell’Istat, ha raggiunto l’8,9%, il picco più alto dal quarto trimestre 2001. A incidere, per Salvatore Trifirò, è stata innanzitutto la grave crisi economica globale, che ha colpito a prescindere dalle pregresse situazioni di ciascuno Stato. Ma non è la sola ragione. «Nel caso del nostro Paese la crisi ha contribuito a evidenziare il problema, già esistente, rappresentato dall’esigenza di coniugare la flessibilità, di cui le imprese hanno necessità, con un adeguato livello di sicurezza-protezione per i lavoratori». L’attuale sistema in vigore soddisfa solo in parte tali esigenze e la congiuntura negativa mondiale ne ha quindi evidenziato, ancor di più, i limiti. Il sistema di ammortizzatori sociali nel nostro Paese ha difeso durante la crisi, e continua a difendere, alcune categorie di lavoratori. Un sistema dal quale sono però escluse altre tipologie di lavoratori. Come arginare il divario? «Con la crisi si è accentuato il divario tra operai, impiegati, quadri, da una parte, e i dirigenti e i cosiddetti “precari” dall’altra. I primi, infatti, godono di maggiori garanzie anche grazie alla tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ed è a tali categorie che si rivolgono, per lo più, gli ammortizzatori sociali. I secondi, invece, non dispongono di tutele e dunque le aziende, per contenere i costi, tagliano proprio su di loro.Va da sé che un sistema fondato su un tale divario, sempre più crescente, rischia il collasso anche perché le aziende per tornare a essere competitive hanno bisogno dell’esperienza dei manager così come del-

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Salvatore Trifirò • Diritto del lavoro

l’entusiasmo e della vitalità dei giovani». Cosa servirebbe? «Occorrerebbe una riforma non solo degli ammortizzatori sociali, che dovrebbero essere concessi con criteri molto più selettivi e premianti per le sole aziende virtuose, con l’esclusione delle aziende in stato di crisi cronico, ma ancor prima dell’articolo 18. Il vincolo della “stabilità reale” ostacola la mobilità del lavoro nell’ambito dell’azienda, facendo sì che il datore di lavoro sia spinto a stipulare contratti a tempo determinato. Al contrario, liberando le aziende dalla rigidità della reintegrazione nel posto di lavoro, si disincentiverebbe la parte datoriale dal ricercare la flessibilità a mezzo di contratti a termine e contratto a progetto e si eliminerebbe, anche concettualmente, il “lavoro precario” con effetti politici-sociali e psicologici di grande impatto. Inoltre le aziende, in un’ottica di riduzione dei costi, avendo minori restrizioni, potrebbero fare scelte più ponderate e mirate, anziché vedersi costrette a sacrificare, come spesso accade oggi, anche bravi e validi manager, i soli a essere licenziabili senza il rischio della reintegrazione. Con ciò non si vuol dire che la tutela dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori debba venir meno del tutto». Come andrebbe modificato a suo avviso? «La tutela andrebbe limitata al solo caso di nullità del licenziamento per violazione della forma, come ad esempio la mancata contestazione nell’ambito di un licenziamento disciplinare, perché palesemente ritorsivo: si pensi alla lavoratrice che venga licenziata dopo aver rifiutato le avance del proprio superiore. In tutti gli altri casi, bisognerebbe prevedere la possibilità per il daC&P • GIUSTIZIA

Il nodo della questione resta quello della flessibilità. Quanto più ci sarà circolarità del lavoro tanto più ci sarà possibilità di occupazione 103


Diritto del lavoro • Salvatore Trifirò

tore di lavoro di corrispondere al prestatore di lavoro un’indennità in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, tanto più pesante quanto più illegittimo è il licenziamento». Il governo si appresta ad avviare la riforme del lavoro. Quali a suo avviso le principali linee da seguire? «A quanto già detto poc’anzi, aggiungo che occorrerebbe rifondare il diritto del lavoro abbandonando la cultura del rapporto di lavoro subordinato quale unica forma garantista e lasciare spazio al lavoro autonomo anche nell’ambito dell’impresa. Ciò che fa la differenza non è il posto fisso, ma le prospettive di crescita e di arricchimento professionale e non. Se un’azienda funziona e continua a crescere, perché mai un lavoratore dovrebbe guardarsi attorno? E perché mai l’azienda dovrebbe privarsi di un valido collaboratore? Insomma, la perdita del posto fisso intimorisce proprio quei lavoratori che concepiscono il posto di lavoro non come un punto di partenza, ma come un approdo e che, una volta assicuratisi l’assunzione a tempo indeterminato, si adagiano in attesa di maturare il diritto alle pensione. Ma chi sa di valere non teme nulla, avendo come unica preoccupazione quella di riuscire a dare sempre il meglio di sé». La legge sul’arbitrato contenuta nel collegato al lavoro è al centro di accese polemiche. Come questo strumento è destinato a cambiare il quadro occupazionale? «Alla luce della mia lunga esperienza sul campo, sono un convinto assertore del fatto che per deflazionare il contenzioso la sola strada da intraprendere sia quella di comporre i conflitti e non di esasperarli.Andare in tribunale, considerando i tempi lunghi della giustizia, è in qualche modo una sconfitta. È meglio mettersi d’accordo prima, giungendo a una conciliazione equa, che contemperi gli opposti interessi delle parti. Il ricorso all’arbitrato potrebbe essere, dunque, una soluzione. Nutro, tuttavia, grandi perplessità in merito alle novità che il collegato lavoro si propone di introdurre». Quali? 104

«Allo stato attuale, sono previste molteplici forme di arbitrato, che potrebbero disorientare e così disincentivare a ricorrervi, ottenendo l’effetto opposto. Ciò che preoccupa maggiormente è, da un lato, la possibilità di comporre la lite “secondo equità”, che non è tale senza il rispetto delle leggi, e. dall’altro lato, la mancata individuazione della figura degli arbitri. Il Collegato lavoro sul punto tace e, anzi, nel suo silenzio sembra aprire la strada anche a chi non sia operatore del diritto. Con grave pregiudizio per i diritti di tutti. Non è, infatti, pensabile far amministrare la giustizia in una materia così delicata a chi sia privo di studi e di esperienza adeguati». L’allungamento dell’età pensionabile inciderà in qualche modo? «Ritengo di sì, se l’allungamento dell’età pensionabile non si accompagnerà anche alla possibilità di adibire ad altre mansioni un lavoratore nella stessa azienda in maniera più elastica di quanto non si sia fatto nel passato, indubbiamente si creerà una barriera per i più giovani. Tuttavia, nel quadro di una politica complessiva che desse ampio respiro alla ricerca, allo sviluppo, a nuovi job, si potrebbero attenuare gli effetti provocati dall’allungamento dell’età pensionabile. In ogni caso, il nodo della questione resta quello della flessibilità. Quanto più ci sarà circolarità del lavoro tanto più ci sarà possibilità di occupazione». Si possono azzardare previsioni sul futuro andamento del mercato del lavoro? «È difficile fare previsioni in questo momento. C’è grande incertezza sotto il profilo normativo. Negli ultimi anni si sono susC&P • GIUSTIZIA


Salvatore Trifirò • Diritto del lavoro

Occorrerebbe rifondare il diritto del lavoro abbandonando la cultura del rapporto di lavoro subordinato quale unica forma garantista e lasciare spazio al lavoro autonomo anche nell’ambito dell’impresa C&P • GIUSTIZIA

seguiti troppi provvedimenti che hanno creato una grande confusione, introducendo spesso istituti del tutto inutili e subito abbandonati. L’obiettivo che, invece, dovrebbe proporsi il legislatore è semplificare il più possibile l’impianto normativo, adeguando il nostro mercato del lavoro alle regole dell’Europa e realizzando le riforme strutturali di cui necessita da anni». Basandole su quali fondamenta da un punto di vista normativo? «Si dovrebbe, in primo luogo, ridurre la pressione fiscale e contributiva al fine di incentivare la competitività delle imprese e il recupero del potere d’acquisto dei salari. In secondo luogo, prevedere incentivi per le piccole o medie imprese virtuose, evitando che la crisi economica abbia effetti sull’occupazione, poiché ciò comporterebbe un’ulteriore ripercussione sui consumi con conseguente aggravamento della situazione. È fondamentale combattere l’evasione fiscale, intensificare le liberalizzazioni e infine aumentare i salari. Il lavoro è il bene più prezioso che abbiamo: genera ricchezza per noi e per il nostro Paese. Per questo deve essere ben retribuito con oneri fiscali sopportabili e ci deve permettere di crescere e progredire sotto il profilo professionale ed economico, guardando soprattutto all’impresa del futuro” che molto verosimilmente sarà un’impresa virtuale. Ed è in questa direzione che il mercato del lavoro dovrà andare». Come si può arginare la piaga del lavoro nero che colpisce in maggioranza gli immigrati? «L’unico modo è quello di abbattere i costi del lavoro. In Italia c’è un’eccessiva pressione fiscale che spinge le aziende, specialmente quelle di piccole dimensioni con meno risorse a disposizione, a non mettere in regola i lavoratori. In molti suggeriscono un inasprimento delle sanzioni, ma ciò potrebbe non bastare finché non si riformerà l’attuale sistema fiscale. Ci sono tanti imprenditori che preferiscono rischiare, sperando magari in un condono, piuttosto che regolarizzare sin da subito i propri dipendenti, esponendosi a tutti gli oneri che ciò comporta». 105


Diritto del lavoro • Franco Toffoletto

Migliorare per crescere Stop ai ritardi burocratici e favorire una forza lavoro qualificata. Senza tralasciare la questione delle relazioni industriali. Questa è la strada da intraprendere per rilanciare il mercato del lavoro, secondo l’avvocato Franco Toffoletto di Nike Giurlani uando riprenderà a crescere in maniera consistente il mercato del lavoro non è possibile stabilirlo con certezza. Quello che però è necessario, affinché la risalita avvenga in tempi brevi, è puntare a superare le carenze e i ritardi a livello burocratico, e, inoltre, creare una forza lavoro qualificata e competente. In merito a quest’ultimo aspetto occorre «instaurare un dialogo continuativo tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro», sottolinea l’avvocato Franco Toffoletto. L’Italia ha bisogno di modernizzarsi sotto tanti aspetti a partire dalla didattica, in quanto i giovani devono essere messi in grado di rapportarsi con metodologie e tecniche di apprendimento al passo con i tempi. Se l’istruzione deve cambiare, anche il mondo industriale deve fare i conti con una realtà in evoluzione. Fiat e Alitalia sono due esempi emblematici, alla luce dei quali «non ci si può più arroccare su posizioni conservative che non hanno giustificazione», spiega il giuslavorista. È necessario cambiare il modo in cui si svolgono le relazioni industriali, prima di tutto, ad esempio, vanno riesaminate le regole della rappresentatività sindacale, che hanno bisogno di essere rese più certe. «Solo su queste basi si potranno fare delle previsioni anche a livello occupazionale» conclude Toffoletto. Torna a salire dopo due anni l'occupazione in Francia nel primo trimestre. Secondo i dati comunicati dall'Insee, l'istituto nazionale di statistica, il numero degli occupati non agricoli è cresciuto di 23.900 unità nei primi tre mesi del 2010, pari a un incremento dello 0,2% su base trimestrale. Quando prevede una situazione ana-

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L’avvocato Franco Toffoletto, senior partner dello studio Toffoletto e Soci

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Franco Toffoletto • Diritto del lavoro

Nel nostro Paese si utilizzano metodi di apprendimento ormai superati, bisogna puntare su sistemi più moderni e al passo con i tempi

loga anche in Italia? «Al momento nessuno è in grado di stabile una data certa. Da più parti vengono registrati commenti che fanno ben sperare. La ripresa c’è, ma vengono continuamente lanciati segnali contrastanti ed è quindi difficile elaborare delle previsioni per il futuro. Certamente a Milano si possono già riscontrare risultati positivi, anche perché è una città economicamente forte, che ha mantenuto e mantiene rapporti molto solidi con le realtà di tutto il mondo». Quali i presupposti fondamentali? «Da un punto di vista giuslavoristico, nel nostro Paese si registra ancora una scarsa propensione agli investimenti perché ci sono dei fattori negativi che incidono pesantemente e limitano la capacità d’azione. Sto parlando dei problemi a livello burocratico che rallentano l’iter delle pratiche ed è, quindi, spesso difficile realizzare i progetti nei termini prefissati. Per i Paesi stranieri, che vogliono investire in Italia, sono dei procedimenti e delle modalità inaccettabili. Bisogna al più presto porre rimedio a questa situazione d’incertezza che non ci agevola sicuramente nei rapporti con l’estero, ma limita e scoraggia, ovviamente, anche gli investitori italiani». Il tasso di disoccupazione italiano si attesta all'8,9% nel mese di aprile e cresce per l'ottavo mese consecutivo. Secondo l'Istat, l'incremento del tasso si spiega soprattutto con un ritorno sul mercato del lavoro delle persone che hanno smesso di cercare lavoro perché frustrate dagli scarsi risultati ottenuti in precedenza. Lei condivide la posizione del ministro Sacconi, che vede nel calo C&P • GIUSTIZIA

degli inattivi un miglioramento delle condizioni di fondo del mercato del lavoro e i primi segnali di ripartenza dell'economia? «Sì condivido la posizione del ministro Sacconi, certamente bisogna tenere presente che l’8,9% è un dato medio a livello nazionale e che nel nostro Paese ci sono differenze fra regione e regione molto consistenti. Passiamo da aree nelle quali la disoccupazione è inesistente, ad altre nelle quali, invece, si registrano dei tassi molto alti e allarmanti. Queste differenze vanno analizzate più approfonditamente ed è proprio da qui che occorre ripartire». Quali settori hanno retto meglio la crisi? «Sia per quanto riguarda i servizi che per il settore industriale, hanno reagito meglio le realtà più specialistiche. Ed, inoltre, le aziende che possono contare su una presenza commerciale a livello mondiale. Non bisogna, infatti, sottovalutare le dimensioni delle aziende, realtà più piccole stanno reagendo con più difficoltà alla crisi rispetto a quelle più grosse ed economicamente più competitive». Quali saranno gli scenari occupazionali nel Sud Italia? «Nel Nord, e in particolare a Milano che è una città dinamica e che si relaziona continuamente con le principali capitali europee, ma anche con il resto del mondo, la crisi è stata avvertita in maniera meno pesante, rispetto ad altre Regioni. Quello che, però, è accaduto alla Fiat e all’Alitalia, rappresenta un monito ben chiaro. Alla luce di questi due esempi, emblematici, bisogna rendersi conto che il mondo è cambiato, non ci si può più arroccare su posizioni conservative, occorre attuare politiche moderne e innovative, in particolare modo per quello che concerne le relazioni industriali, come per esempio, nell’ambito del diritto sin107


Diritto del lavoro • Franco Toffoletto

La ripresa c’è, ma vengono continuamente lanciati dei segnali contrastanti ed è quindi difficile elaborare delle previsioni per il futuro dacale. Bisognerebbe, infatti, introdurre delle regole di rappresentatività sindacale in grado di fornire più certezze. Solo su queste basi si potranno fare delle previsioni a livello occupazionale, anche per il Sud Italia». Una formazione più qualificata dei nostri giovani ritiene che sia uno strumento efficace per combattere la disoccupazione? «Ritengo che sia fondamentale. Occorre proprio puntare a migliorare il nostro sistema scolastico a tutti i livelli, dalla scuola primaria all’università, con una particolare attenzione alla didattica. Nel nostro Paese si utilizzano metodi di apprendimento ormai superati, bisogna, invece, puntare su sistemi più moderni e al passo con i tempi. Ma, soprattutto, devono rafforzarsi le collaborazioni e le sinergie tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Al momento quello che viene maggiormente avvertito è proprio questo gap tra la richiesta delle aziende e la disponibilità di personale qualificato in grado di ricoprire certi ruoli e determinate 108

mansioni. Per sanare questa mancanza occorre che i nostri ragazzi siano messi in grado di seguire una formazione che apra loro le porte del mercato del lavoro, mentre, viceversa, in questo momento non è così. Occorre istaurare un dialogo continuativo tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Solo attraverso lo scambio e la partecipazione di tutte le realtà in gioco possiamo crescere e migliorarci». La popolazione italiana è aumentata notevolmente anche per la forte presenza di immigrati. Come, questi ultimi, s’inseriscono nel nostro mercato del lavoro? Quali le conseguenze future? «In Italia, da tempo, assistiamo ad un grande paradosso. Da una parte viene registrata una forte disoccupazione per quanto concerne alcuni settori, dall’altro ci sono lavori che gli italiani si rifiutano di svolgere e, quindi, riscontriamo una carenza di personale. È vero, quindi, che gli immigrati hanno accentuato l’esigenza di creare nuovi posti di lavoro, ma è anche vero, che, al momento, sono proprio loro a svolgere quei lavori, bistrattati dagli italiani, che altrimenti resterebbero scoperti». Che cosa comporterà l’allungamento dell’età pensionabile per le donne anche in Italia? «Era un provvedimento inevitabile. Infatti, per l’Italia, era giunto il momento di adeguarsi agli altri Paesi europei, soprattutto, perché la norma in vigore fino a questo momento non aveva basi sulle quali poggiare la sua legittimità. Il tema dell’avanzamento femminile è più che altro un discorso culturale, l’essersi adeguati agli altri Paesi europei porterà sicuramente degli effetti positivi». C&P • GIUSTIZIA



Diritto del lavoro • Gabriele Fava

Parola d’ordine flexicurity Per il giuslavorista Gabriele Fava l’adozione di forme flessibili di accesso al mondo del lavoro e di percorsi di formazione riconosciuti può invertire la tendenza all’elevata disoccupazione giovanile che caratterizza oggi l’Italia di Francesca Druidi

Gabriele Fava, docente e avvocato giuslavorista, socio fondatore dello Studio Legale Fava & Associati di Milano

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ra gli strascichi della crisi economica ve n’è uno in particolare che desta preoccupazione: il tasso di disoccupazione giovanile resta elevato in Italia. In base al rapporto annuale dell’Istat sulla situazione occupazionale del Paese, infatti, la congiuntura negativa ha determinato nel 2009 un peggioramento della condizione lavorativa dei giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni. L’avvocato giuslavorista Gabriele Fava sta da tempo studiando una proposta di legge basata sul concetto di “flexicurity” che potrebbe favorire un cambiamento di rotta. Coniugare flessibilità e sicurezza, tenendo conto delle esigenze del mercato ma anche garantendo formazione a chi cerca occupazione, in particolare se giovane. È possibile imboccare oggi questa strada? «Ritengo proprio di sì. Anzi, è proprio questo il momento in cui le imprese devono saper sfruttare flessibilità e formazione con lo scopo di potersi riorganizzare in vista dell’uscita dal tunnel della crisi che, da un po’ di tempo a questa parte, ha allentato la sua morsa. È importante più che mai consentire alle aziende di sfruttare flessibilità e formazione, anche finanziata, dei lavoratori. In questo momento storico, la legislazione dovrebbe evolversi cercando di flessibilizzare maggiormente il mercato del lavoro e garantendo, al contempo, quella necessità di sicurezza, base per l’elaborazione di tutti i progetti extra-professionali tra cui quelli famigliari». Come si può combattere la precarietà? Rendere per le imprese i costi dei contratti a tempo determinato uguali a quelli dei contratti a tempo indeterminato può essere una misura sostenibile nel nostro Paese? «Il differenziale di costo tra contratti di lavoro è sicuramente un punto che incide non poco nelle scelte di assunzione.Tuttavia, esso non è l’unico elemento sul quale le aziende basano le proprie politiche di assunzione. In questo momento, infatti, manca flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro. E allora perché non pensare a uno scambio perfetto tra flessibilità e sicurezza? Da tempo sto studiando una nuova proposta di legge, appunto la “flexicurity”». In che cosa consiste nello specifico? «Utilizzando tale formula, in sintesi, si realizzerebbe un perfetto scambio tra sicurezza e flessibilità del posto di lavoro. Da un parte, infatti, il lavoratore verrebbe assunto a tempo indeterminato, in cambio al datore di lavoro verrebbero attribuiti dei poteri “straordinari” di gestione del rapporto di lavoro come, ad

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Gabriele Fava • Diritto del lavoro

Utilizzando la formula della flexicurity, si realizzerebbe un perfetto scambio tra sicurezza e flessibilità del posto di lavoro

esempio, modificare l’orario di lavoro, modificare (in peggio o in meglio) le mansioni, trasferire il lavoratore ad altre unità produttive senza oneri formali particolari. L’apposizione di questa clausola, inoltre, dovrebbe avvenire in sede “protetta” proprio per salvaguardare il più possibile la volontà del lavoratore.Visti i tempi che corrono, non definirei questa soluzione “coraggiosa” ma, piuttosto, rispettosa e attenta alle garanzie occupazionali: la mia proposta di riforma ha come unico obiettivo la condivisione tra aziende e lavoratori delle “gioie” e dei “dolori” dell’impresa, nell’ottica di garantire e di dare la giusta continuità al rapporto di lavoro e, di conseguenza, al reddito». Diverse novità hanno riguardato di recente l’apprendistato professionalizzante. Possono favorire in qualche modo l’occupazione giovanile? «Il canale parallelo dell’apprendistato professionalizzante introdotto dalla legge 133/2008 costituiva, senza ombra di dubbio, un ottimo strumento legislativo che avrebbe, finalmente, consentito ai nostri giovani di trovare lavoro in tempi più brevi. Si trattava, in altre parole, della possibilità di costruire un proprio percorso formativo interno all’azienda, sfruttando C&P • GIUSTIZIA

semplicemente la contrattazione collettiva e senza attendere la normativa regionale o statale. Purtroppo, però, è recentissima la notizia che questo canale parallelo è stato giudicato incostituzionale dalla Corte perché in contrasto con l’articolo 118 della nostra Costituzione». Cosa accade quindi ora? «In questo modo, il canale parallelo predetto continuerà a vivere nel nostro ordinamento, ma solo se sarà validato dalla normativa regionale. Il semplice contratto collettivo, anche aziendale, non sarà più sufficiente. Tale normativa avrebbe favorito sia la formazione sul lavoro dei giovani, ai quali spesso si imputa la mancanza di esperienza, sia l’occupazione giovanile, proprio perché questa forma di apprendistato poteva essere costruita “in casa” senza attese burocratiche statali o regionali. Si è fatto un passo indietro, a mio modo di vedere. In questo senso, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, le regioni dovranno attivarsi quanto prima affinché questa forma di apprendistato non diventi “lettera morta”, ma costituisca un’ulteriore occasione di ingresso nel mondo del lavoro per i nostri giovani». 111




Relazioni industriali • Francesco Amendolito

Più chiarezza nel diritto del lavoro Una storica rigidità e un’inadeguatezza del sistema italiano delle relazioni industriali. Un problema che, secondo Francesco Amendolito, ha portato a un dislivello di diritto oggi non più accettabile di Andrea Moscariello

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n Italia si è giunti a un nuovo modo di concepire le relazioni sindacali». È dall’analisi della nostra storia industriale che Francesco Amendolito si ferma a riflettere su un processo strategico per il riassetto del quadro economico e occupazionale. È dagli anni 80 che il padre, l’avvocato Bruno Amendolito, svolge consulenza per il gruppo Fiat ed è dal 1994 che Francesco è consulente legale di Fiat Group. E così, ogni giorno, una delle law firm più affermate del Sud Italia si trova in prima linea ad affrontare le problematiche relative al diritto del lavoro, al diritto sindacale, e a tutto ciò che concerne le relazioni industriali. In particolare, negli ultimi anni si è occupato dello stabilimento Fiat di Melfi, un polo da cui si sfornano 1500 autovetture al giorno, e che di recente ha raggiunto il traguardo di 5 milioni di automobili.Alla cerimonia, con i dirigenti dello stabilimento, Francesco Amendolito era presente. Il legale, nell'ambito della sua attività di consulente di Fiat Group, di recente è entrato a far parte del gruppo di lavoro di giuristi e responsabili chiamato a portare avanti e rendere giuridicamente valido il nuovo accordo sindacale per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, che nel mese di giugno ha spaccato l’opinione pubblica. «Finalmente - spiega Amendolito - si è trovato il coraggio di riaffermare l'antico principio "pacta sunt servanda", non nuovo nelle relazioni industriali, ma che aveva perso vigore nel corso degli anni, e di dare sempre più centralità al rispetto delle

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Francesco Amendolito • Relazioni industriali

In apertura, in basso, l’avvocato Francesco Amendolito, il secondo da sinistra, con i soci fondatori, Bruno Amendolito e Maria Di Biase, l'H.R. Manager dello stabilimento Fiat di Melfi, Giuseppe Messinese, l'H.R. Employment Legal Framework, Lorenzo Brignoli, e alcuni partner dello studio, durante la cerimonia organizzata per il traguardo di 5 milioni di automobili prodotte. A destra, una riunione sindacale

È da ipocriti pensare che la vera minaccia per il nostro diritto sia costituita dalle deroghe ai contratti collettivi nazionali e non dalla mancanza di posti di lavoro C&P • GIUSTIZIA

norme e, quindi, effettività agli impegni assunti. Si pensi alle calusole di tregua sindacale e alle clausole di responsabilità». Amendolito, dunque lei osserva una sorta di “ritorno di diritto”? «Spesso nelle aziende italiane si assiste a scioperi proclamati in concomitanza di partite di calcio della nazionale. Si assiste sistematicamente all'elusione degli impegni presi in relazione ai sabati lavorativi e agli straordinari. E addirittura capita, ad esempio durante le punte stagionali nell'agricoltura, che un'azienda si veda recapitare certificati di malattia pari al 30 o al 40 % dell'intera forza lavorativa, che evidentemente è intenta a lavorare nei terreni agricoli privati». Lei ha più volte evidenziato il rapporto critico tra imprese e sindacati. È su questo che occorre intervenire? «Quello che osservo è che, sempre di più, si continua purtroppo a distaccare l’astratto precetto della norma inderogabile di legge o di contratto collettivo dalla realtà economico-produttiva di riferimento. Onestamente mi chiedo: è legittimo, per esempio, che un sindacato possa essere inadempiente agli obblighi assunti in sede di contrattazione collettiva senza che l’azienda possa vedere tutelati i suoi diritti dinanzi alla magistratura? E ancora, è mai possibile che il diritto di sciopero, che ovviamente è indiscutibile e fondamentale, non possa essere regolamentato anche per il settore privato così come è avvenuto per il pubblico impiego?». Perché, nell’ambito del diritto del lavoro, non può valere il principio inadimplenti non est adimplendum? «Questo non si capisce. Oggi, mentre il datore è sempre tenuto al rispetto delle norme, lavoratori e sindacati possono disattendere la norma collettivamente, senza che nessuno possa far nulla, stante la mancanza di un regime sanzionatorio. E tutto questo nel nome di un non meglio identificato diritto dei lavoratori. È da ipocriti pensare che la vera minaccia per il nostro diritto sia costituita dalle deroghe, peraltro legittime, ai contratti collettivi nazionali e non dalla mancanza di posti di lavoro. Non dobbiamo cancellare il diritto del lavoro, ma semplicemente creare maggiore flessibilità all'interno delle norme e soprattutto maggiore certezza del diritto e del rispetto delle regole da parte di tutti i soggetti del mercato, anche attraverso un serio sistema sanzionatorio in caso di inadempienza. In sostanza la ricetta è quella della flexsecurity: tutti i lavoratori a tempo indeterminato, tutti forte115


Relazioni industriali • Francesco Amendolito

Il vero snodo della modernizzazione del diritto del lavoro risiede nella progressiva riduzione dello scompenso che si è determinato tra un’area sovraccarica e un’area vuota di tutele per i lavoratori

Sotto, una riunione dello staff della Amendolito & Associati di Bari

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mente protetti contro le discriminazioni, salute e sicurezza, ma nessuno inamovibile, con libertà per le aziende di operare la riorganizzazione e ristrutturazione aziendale con accollo però del conseguente costo sociale». L’attuale normativa, quindi, secondo lei non segue il passo del mercato e della società? «L’Italia è vittima di una continua, e storica, inerzia delle parti sociali, restie a misurarsi con un mondo del lavoro che cambia, e lo fa pure piuttosto in fretta. Analizzando i principali contratti collettivi di lavoro avremo la conferma del fatto che alcuni istituti centrali, rispetto al tema dell’innovazione produttiva e organizzativa, pongano un interesse marginale. Per capire questa situazione cito una frase di Walter Tobagi, a mio parere esemplificativa del tutto, il quale sosteneva che “Di tutti gli errori che si possono imputare al sindacato, questo ritardo nel capire le trasformazioni sociali è quello che merita maggiore riflessione”». Anche per questo occorre una riforma? «Il diritto di lavoro deve essere regolato con chiarezza. Le norme necessitano di una disciplina chiara, specifica, che non si presti a facili interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali. Occorre garantire, a monte, la non imprevedibilità delle conseguenze del rapporto di lavoro, anche a distanza di tempo dalla risoluzione. E questo lo dico nell’interesse tanto dei la-

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Francesco Amendolito • Relazioni industriali

I MIGLIORI DEL SUD ITALIA n premio per la prima volta assegnato a uno studio del Sud. Ai Top Legal Awards, evento culmine della stagione legale, lo studio barese Amendolito & Associati si è aggiudicato il premio come miglior studio dell'anno del Sud Italia con la seguente motivazione: "Lo studio barese, conta circa 20 professionisti e si distingue sul mercato legale del Mezzogiorno anzitutto per essere una delle poche realtà specializzate nel giuslavoro. Ma soprattutto rileva l’organizzazione della boutique secondo standard e procedure di qualità nazionale. Completano il quadro, clienti di primaria rilevanza nazionale per i quali lo studio svolge assistenza continuativa in materia di risorse umane, relazioni sindacali e diritto del lavoro". Una nuova partenza, non un punto di arrivo, come spiega l’avvocato Francesco Amendolito: «La consulenza aziendale non può non essere continuamente adeguata all’evoluzione dell’intero mercato economico e del lavoro. In tale ottica, i prossimi progetti saranno relativi al potenziamento delle risorse professionali anche attraverso accordi con consulenti e altre strutture nazionali ed europee. Abbiamo altresì potenziato l'offerta alle aziende riguardo la gestione delle risorse umane in outsorcing. È anche in progetto l’apertura entro il 2012 di due nuove sedi a Roma e Mriguardo la gestione delle risorse umane in outsorcing. È anche in progetto l’apertura entro il 2isorse umane in outsorcing. È anche in progetto l’apertura entro il 2012 di due nuove sedi a Roma e Milano». www.amendolitoeassociati.it

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voratori dipendenti, quanto delle imprese. Ognuna di queste parti, infatti, pur avendo rispettato la normativa, può ritrovarsi a distanza di anni di fronte a una declaratoria di illegittimità del rapporto o dell’esecuzione del contratto di lavoro». Soprattutto a quali conseguenze ha portato un simile quadro di incertezza normativa? «Non solo di incertezza, ma anche di arretratezza e inadeguatezza. Ricordiamoci che il diritto sindacale è regolato sostanzialmente da principi costituzionali generati da una legge del 1970, lo Statuto dei Lavoratori. Sono passati già 40 anni da allora. Le conseguenze più drammatiche emergono nelle stime del lavoro nero, sommerso. Come pure dal calo delle diverse forme di lavoro a termine, delle collaborazioni a progetto e occasionali. Ciò è dovuto principalmente al peso di interdizione delle organizzazioni sindacali». Quali sono gli errori più gravi che imputa ai sindacati? «Questi sono costantemente impegnati a “sterilizzare” i più recenti interventi di riforma del quadro legale in tema di flessibilità e organizzazione del lavoro. Il tutto con l’avvallo di una giurisprudenza di merito che ha scoraggiato l’utilizzo nella pratica degli istituti contrattuali. Ripeto, lo scollamento tra la norma e la realtà produttiva è evidente ed è dimostrato, altresì, dall’aumento delle partite Iva. Basti pensare che il 50% di queste è monocommittente, quindi riferibile a veri e propri lavoratori dipendenti con tanto di obblighi tipici del lavoratore subordinato». Non solo i sindacati, bisogna dire che anche molti lavoratori italiani faticano ad accettare le riforme. Gli esempi Treu e Biagi sono lampanti. «Questo perché le parti sociali sono troppo diffidenti. A mio avviso, però, con le riforme più recenti, lungi dall’avvallare un processo di liberalizzazione selvaggia, sono state poste le necessarie premesse per la rimodulazione delle tutele attraverso la codificazione dello Statuto dei Lavoratori. Vale a dire un corpo di diritti fondamentali teso a superare quel dualismo tra ipertutelati e precari riconducibile a una cattiva e miope distribuzione delle tutele del lavoro». Sì, ma molti lavoratori sono restii al cambiamento al di là della loro conoscenza giuridica. «Perché il problema italiano è di carattere culturale. La forma mentis più diffusa in questo Paese fatica ad affrontare il vero snodo della modernizzazione tanto del lavoro quanto del diritto a esso relativo. E per modernizzazione non intendo la liberalizzazione del mercato. Il punto centrale, a mio avviso, consta nella progressiva riduzione dello scompenso che si è creato tra un’area sovraccarica e un’area vuota di tutele per i lavoratori. Il mercato del lavoro deve diventare flessibile, elastico nei suoi modelli di organizzazione e di partecipazione alla vita d’impresa. E mi auguro, in futuro, sul versante del bilanciamento tra domanda e offerta, che a ognuno venga data la possibilità di scegliere tra ciò che più gli conviene». 117


Il mercato del lavoro • Riccardo Bellocchio

La sicurezza non è un costo Un’analisi previdenziale e assistenziale dell’attuale mercato del lavoro rivela la necessità di proseguire sulla strada già inaugurata dalle istituzioni giuridiche con la legge 2 del 2009. Riccardo Bellocchio ne individua i passaggi di Adriana Zuccaro

Il dottor Riccardo Bellocchio, è iscritto all’albo dei consulenti del lavoro di Milano bellocchio@studiobellocchio.it

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urante l’ultimo tavolo coordinato in maggio da Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, si è affrontato il proposito di una concreta riforma professionale, oltre che il tentativo di stabilire nuove strade per i giovani professionisti che entrano a far parte degli ordini. «Occorre pianificare nuove strategie per l’incremento occupazionale perché, preso atto delle cifre attuali, in Italia così come in ogni altro sistema del mercato del lavoro, esiste una stazionaria difficoltà cui bisogna provvedere quanto prima». L’incipit del dottor Riccardo Bellocchio, consulente del lavoro attivo a Milano, anticipa un’attenta analisi dell’attualità lavorativa e degli aspetti previdenziali sottesi agli istituti di tutela dei lavoratori. Quali sono i principali aspetti della professione di consulente del lavoro che necessitano accorgimenti riformistici? «Dopo l’entrata in vigore decreto legge 10/2007 responsabile dell’innalzamento dell’accesso alla professione tramite laurea, la strada da percorrere prevede ancora delle tappe importanti. Di fatto, oltre agli aspetti legati all’amministrazione, la professione del consulente del lavoro si è ormai sviluppata sulla parte della conoscenza e della consulenza giuridica, quindi avvicinandosi con passo collaborativo agli altri professionisti che orbitano nel sistema “giustizia”. Un ulteriore passo in avanti va determinato nella consulenza previdenziale, intesa come risposta ai bisogni di “ben-essere”. Le imprese sono sempre più propense a garantire ai propri di-

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Riccardo Bellocchio • Il mercato del lavoro

51 mila posti di lavoro Sono stati persi in Lombardia nel 2009. L’occupazione è calata dell’1,2%, a fronte di un +1,1% del 2008. Il peggioramento più intenso si è avuto nell’agricoltura e nell’industria

pendenti una copertura di natura assicurativa più ampia rispetto alla generalità dei contribuenti». Solo in Lombardia e in Trentino Alto Adige il saldo previdenziale regionale è risultato positivo. Cosa fare allora perché anche le altre regioni giungano a tali traguardi? «È certo che la Lombardia rappresenta una sorta di linea guida e di strategie rispetto a tutte le altre regioni. I dati affermano che qualcosa di positivo è possibile. Gli investimenti effettuati in ambito previdenziale e assistenziale indicano la giusta strada su cui occorre lavorare. Le sfide che i consulenti del lavoro, le imprese e i lavoratori devono affrontare vanno infatti in una direzione di maggiore tutela del lavoro in tutte le sue forme. Così nello sviluppo normativo, il Ministero del Lavoro punta anche agli enti bilaterali, cioè a quella forma intermedia di gestione del territorio attraverso sistemi di welfare coordinati non solo a livello nazionale ma a livello locale, interregionale o addirittura provinciale. Un esempio è dato dai fondi professionali stanziati per i corsi di formazione». Quali misure di sostegno al reddito andrebbero potenziate? «Proseguendo il percorso iniziato circa quindici anni fa, per un concreto ed effettivo ammodernamento del nostro sistema giuridico e delle relazioni industriali, manca una riforma degli ammortizzatori sociali di cui un’anticipazione era già stata evidenziata attraverso la pubblicazione del Libro Bianco sul welfare. Si ritiene necessario che il Ministero C&P • GIUSTIZIA

sciolga le riserve sulle modalità di gestione degli ammortizzatori e che questi, fuori dai confini di settorialità, vengano rivolti a tutte le realtà industriali e commerciali. Ci si aspetta quindi che il Ministero riesca a trovare le risorse per effettuare questa riforma di cui qualche anteprima era stata effettuata con l’approvazione della legge 2 del 2009, quindi con i primi passaggi legislativi sulle casse integrazione in deroga e sulla loro nuova gestione in compartecipazione regionale». Perché il sistema sia produttivo e i lavoratori tutelati, quali doveri non può ignorare l’imprenditore deciso ad avviare una nuova attività? «Sono due i grandi paradigmi che la nostra normativa ha messo giustamente in campo per un’occupazione sempre più stabile e inclusiva delle situazioni sociali più a rischio. Uno è centrato sul principio di legalità. Il mercato del lavoro possiede tutti gli strumenti per tutelare effettivamente il lavoro e i lavoratori, soprattutto dal punto di vista previdenziale e assistenziale. L’altro schema normativo impone invece le fondamentali norme sulla sicurezza del lavoro. Chi vuole intraprendere un’attività sotto qualsiasi forma deve rispettare tutta una serie di prescrizioni che fondano la loro efficacia sull’applicazione dei concetti di correttezza normativa sostanziale. L’approccio imprenditoriale non deve guardare solo ed esclusivamente ai costi ma all’inserimento della propria attività dentro un sistema di legalità che può risultare anche “conveniente” , soprattutto per lo sviluppo delle risorse umane». 119


Il lavoro nero • Vincenzo Fusco

Combattere il sommerso La situazione del lavoro sommerso in Italia è ancora grave e complessa. A renderla ancora più difficile è la cattiva informazione sull’argomento e la scarsa educazione al rispetto delle regole. Servono azioni decise e nuovi provvedimenti legislativi, come sostiene Vincenzo Fusco di Nella Zini

i parla tanto delle problematiche connesse al “lavoro nero”, soprattutto se svolto in mancanza di sicurezza, ma la svolta positiva tarda ancora ad arrivare. «Il problema è ormai storico e persiste malgrado gli interventi legislativi succedutisi nel tempo, i controlli incrociati, le nuove norme sul collocamento, che obbligano il datore di lavoro a denunciare l’assunzione di personale entro le ventiquattro ore precedenti all’inizio del rapporto di lavoro, e le recenti disposizioni introdotte per facilitare l’emersione dei lavoratori cosiddetti “in nero”» afferma Vincenzo Fusco. «Tutta la responsabilità grava sempre e soltanto sul datore di lavoro, ma ci sono anche dei casi in cui è il lavoratore che pretende di non essere regolarizzato per poter pagare meno tasse o per usufruire di altri benefici». Cosa fare quindi? «A mio avviso il sistema andrebbe “rifondato” – spiega Fusco – innanzitutto con un abbattimento del costo del lavoro e con regole più semplici che non puntino, così come avviene attualmente anche per le imposte sul reddito, solo su metodi repressivi ma su forme d’incentivazione, sul coinvolgimento nella responsabilità anche dei lavoratori, su una maggiore informazione e sull’educazione del cittadino al rispetto delle norme». Non ci sono al momento novità legislative né contrattuali per quanto riguarda la tutela dei lavoratori domestici, «anche se, nell’ultimo rinnovo del CCNL del lavoro domestico, le parti si erano impegnate all’istituzione di una Cassa Malattia e di un Fondo di previdenza complementare, così com’è già in atto per tutti gli altri lavoratori». I datori di lavoro devono ottemperare a tutti gli obblighi

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Il dottor Vincenzo Fusco info@studiofusco.it

di comunicazione dell’assunzione del personale. «Sembrerebbe che tutti i datori di lavoro svolgano correttamente i passaggi per mettere in regola la persona assunta, ma sussistono ancora troppi adempimenti per quanto riguarda i cittadini extracomunitari, per i quali è obbligatoria la sottoscrizione del “Contratto di soggiorno” da inviare entro cinque giorni, a mezzo raccomandata A.R., allo Sportello Unico Immigrazione e, nel caso di convivenza con il datore di lavoro, la denuncia al Commissariato entro quarantotto ore». Anche su questo argomento, prosegue Vincenzo Fusco «c’è molta disinformazione e, considerando che, ad esempio, per i lavoratori domestici, i datori di lavoro sono spesso persone anziane e non sempre autosufficienti, sarebbe auspicabile, con un’unica denuncia telematica o tramite posta elettronica certificata, assolvere tutti gli obblighi di comunicazione». Per le famiglie che assumono lavoratori domestici le spese sono considerevoli. «Molte famiglie sono costrette a ricorrere all’aiuto di una colf, più che per le faccende domestiche, per la custodia di bambini e anziani, e destinano a questo scopo una quota rilevante del proprio reddito senza poter detrarre nulla dalle tasse, a parte un importo massimo di circa 1.519,00 euro annui della sola quota a proprio carico dei contributi pagati nell’anno. Anche se in generale, per non incrementare ulteriormente la retribuzione lorda, si assumono anche l’onere della quota contributiva a carico del collaboratore domestico. L’auspicio è che il legislatore proceda al più presto al riesame di questi aspetti della materia del lavoro per una gestione più pratica, responsabile e consapevole sia per i datori di lavoro che per i lavoratori». C&P • GIUSTIZIA



Controversie di lavoro • Massimo Tommaso Goffredo

I costi incalcolabili del contenzioso Le controversie di lavoro si possono regolamentare anche in via stragiudiziale. E i costi del contenzioso, in certi casi, si possono contenere. L’analisi dell’avvocato Massimo Tommaso Goffredo di Lucrezia Gennari

L’avvocato Massimo Tommaso Goffredo nel suo studio di Milano

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e risorse umane rappresentano una delle componenti fondamentali dell’organizzazione produttiva e spesso sono il fattore di costo più rilevante. Se tale costo può essere valutato in funzione di fattori conosciuti e preventivabili, non è invece identificabile a priori una componente particolare del costo del lavoro che è quella rappresentata dal contenzioso. Più alto è l’impiego di risorse umane nel processo produttivo, più elevato può essere, sia in termini numerici sia in termini economici, il contenzioso del lavoro il quale, a sua volta, può manifestarsi in forme collettive o individuali. «Non è detto che il contenzioso del lavoro possa rappresentare un fattore significativo dei costi aziendali ma non si può trascurare la sua rilevanza, che ha aspetti non solo strettamente economici, ma incide anche sull’atmosfera aziendale, sulla correttezza dei rapporti e sul sistema di interrelazioni tra le varie componenti produttive» afferma l’avvocato Massimo Tommaso Goffredo, esperto in diritto del lavoro. Il diverso ruolo assunto dai sindacati aziendali, e la loro meno incisiva rappresentatività, ha portato a un’esternalizzazione del confronto aziendale. Cosa ha comportato questa trasformazione dal punto di vista dei costi aziendali? «Se una volta rivendicazioni salariali, di inquadramento, di sistemi di protezione dei lavoratori e sindacali più in generale, ma anche gli aspetti disciplinari trovavano il loro naturale campo di confronto al tavolo delle relazioni sindacali aziendali, oggi le stesse problematiche vengono portate a un tavolo differente, normalmente quello giudiziario. Trasferire il conflitto in una sede esterna comporta una serie di costi aggiuntivi che, in caso di conflittualità aziendale bassa, può non essere significativo, ma quando, per svariate ragioni, vengono portati all’attenzione della magistratura tutta una serie di questioni che possono andare da problemi più semplici quali inquadramento, differenze retributive a questioni più complesse, magari di interesse collettivo, sia le risorse impegnate, sia i costi aggiuntivi, possono diventare significativi». Per quale ragione? «Perché naturalmente vengono coinvolti diversi soggetti, dalle associazioni di categoria ai sindacati esterni, che vanno chiamati a mediare i conflitti non risolti in sede aziendale, fino alla sede giudiziaria che è l’approdo scontato quando le precedenti fasi di tentativo di composizione del conflitto

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Massimo Tommaso Goffredo • Controversie di lavoro

CONSULENZA E FORMAZIONE o studio dell’avvocato Massimo Tommaso Goffredo opera nell’ambito della consulenza in materia di lavoro nelle sue varie articolazioni. L’attività spazia dall’impostazione delle politiche del personale con particolare attenzione alla contrattualistica, alle procedure e agli aspetti gestionali caratteristici all’assistenza nel contenzioso del lavoro e previdenziale sia nella fase amministrativa, sia in quella giudiziaria. Lo studio ha maturato significative esperienze anche in materia sindacale e si occupa anche di formazione, collaborando con le principali società specializzate, e gestendo direttamente corsi, seminari e percorsi di aggiornamento. Il sito web dello studio, www.adlabor.it, è strumento di supporto alle aziende e agli operatori del settore risorse umane.

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non danno risultati positivi. Ma la fase giudiziaria comporta una serie di interventi, adempimenti e costi aggiuntivi che si sovrappongono a quelli più strettamente introaziendali». Come può l’azienda diminuire i costi del contenzioso? «Nella fase che precede la causa possono essere messi in campo degli interventi volti a mitigare gli effetti anche economici del contenzioso o quanto meno a ridurne costi e tempistiche. In questa prospettiva vanno viste le iniziative, anche di carattere legislativo, volte a deflazionare il contenzioso del lavoro in sede giudiziaria con il tentativo di indirizzare le controversie di lavoro a strumenti alternativi quali conciliazione, mediazione e arbitrato. Non è detto che gli strumenti alternativi proposti siano di per sé meno onerosi della fase giudiziaria tradizionale, ma vi è almeno la possibilità che siano più rapidi anche perché prevedono una sola fase contenzioso-mediatoria e non, come attualmente previsto dal nostro ordinamento, tre gradi di giudizio». È noto che le lungaggini della giustizia dilatano, nel tempo, la soluzione dei problemi. Quale approccio consiglia davanti a un caso di contenzioso del lavoro? «L’approccio al contenzioso del lavoro va visto in termini squisitamente imprenditoriali e pragmatici piuttosto che strettamente tecnico-giuridici. In concreto, una vertenza di diritto del lavoro, che non coinvolga questioni di principio, ovvero non abbia riflessi sul contesto aziendale più in generale, dovrà essere affrontata senza trascurare i costi indotti C&P • GIUSTIZIA

che una sua mancata soluzione a livello pre-giudiziale può comportare. È quindi fondamentale che le aziende, innanzitutto, approccino le questioni di contenzioso del lavoro con un’adeguata competenza e preparazione al fine di individuare la valenza delle questioni poste e la rilevanza in termini generali ed economici. Solo dopo aver effettuato tale tipo di valutazione, e quindi individuato se la questione posta ha una valenza autonoma o può avere riflessi di carattere più ampio, si può scegliere se tentare la strada della conciliazione». Quali vantaggi comporta la via stragiudiziale e come scegliere, quindi, tra conciliazione e fase giudiziaria? «La mediazione può consentire tempi rapidi e costi minori evitando altresì la risonanza che potrebbe provocare il coinvolgimento di soggetti esterni all’azienda. La valutazione delle questioni va, quindi, affrontata con cognizione di causa tenendo presenti le prassi amministrative e sindacali, gli orientamenti giurisprudenziali. Inoltre, le fonti ove ricavare le informazioni sono innumerevoli ma vanno utilizzate con criterio perché letture non corrette possono portare a impostazioni distorte, con l’ovvia conseguenza di portare avanti questioni che potrebbero trovare soluzione già in fase precontenziosa, sostenendone i relativi costi. Non va infine trascurato il fatto che portare in sede giudiziaria questioni di scarso livello tecnico o economico costituisce un’impostazione improduttiva». 123


Rapporti di lavoro • Cesare Lavizzari

Quando la subordinazione è “attenuata” Definire la subordinazione all’interno del mondo del lavoro non è sempre semplice. Diversi indicatori rivelano l’essenza di un rapporto di lavoro. E anche la giurisprudenza deve prendere in analisi i singoli casi. Le riflessioni dell’avvocato Cesare Lavizzari di Matteo Cavallari

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identificazione del paradigma normativo proprio del rapporto di lavoro subordinato, alla luce dell’ampia definizione contenuta nell’art. 2094 del Codice Civile, è stato oggetto di un’attività interpretativa assai problematica, complice l’evolversi della realtà organizzativa delle imprese conseguente allo sviluppo economico – produttivo e sociale. «La giurisprudenza è volta a una continua elaborazione dei criteri di identificazione atti a mettere in risalto gli elementi caratteristici del rapporto di lavoro subordinato, che hanno dato origine a diversi metodi per affrontare e risolvere tale questione (cosiddetti metodo sussuntivo e tipologico). In questi anni – afferma l’avvocato Cesare Lavizzari – l’orientamento dei giudici è oscillato tra queste due metodologie di approccio nel tentativo di adattare la sfumata formula normativa ai costanti e rapidi mutamenti della realtà lavorativa e nel contempo di tutelare la parte ‘debole’ del rapporto, il lavoratore». Il rapporto di lavoro subordinato ha come elemento caratteristico “il vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato”. Secondo la Corte di Cassazione il discrimine tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo si riassume nella verifica dell’esistenza di un vincolo che deve essere concretamente valutato con riferimento allo speci-

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Cesare Lavizzari • Rapporti di lavoro

L’ avvocato Cesare Lavizzari, in piedi a destra, nello studio di Milano clavizzari@gmail.com

fico incarico conferito al lavoratore e alla sua attuazione. «Alcuni rapporti però possono definirsi “anomali” - spiega Lavizzari - e presentano per loro natura una subordinazione attenuata, la quale è apprezzabile con la stessa intensità o con le stesse modalità in tutti i rapporti, soprattutto allorché si sia in presenza di mansioni di tipo intellettuale o professionale». La giurisprudenza ha elaborato nel corso degli anni una serie di tratti significativi della subordinazione, ovvero l’inserimento del prestatore nell’organizzazione dell’impresa, la continuità della prestazione lavorativa, la collaborazione, l’orario di lavoro, l’oggetto della prestazione, l’assenza di rischio, le modalità della retribuzione e la sua predeterminazione e infine l’organizzazione del lavoro, ricadente sul datore. Tutti questi elementi se analizzati globalmente risultano come indizi della subordinazione che incidono nel rapporto, ma se presi singolarmente non hanno valore decisivo ai fini della qualificazione del rapporto in un senso o nell’altro. «Da questo, la giurisprudenza stessa, per le cosiddette ipotesi “border line”, finisce per garantire l’utilizzo di indicatori complessi che consentono di valutare nelle diverse situazioni l’essenza della subordinazione» chiarisce l’avvocato. Invero, è difficile dare una definizione di subordinazione che riesca a coprire indifferentemente, per esempio, il lavoro dell’operaio in catena di montaggio o dell’impiegato chiuso in un ufficio, del giornalista, del commesso viagC&P • GIUSTIZIA

La giurisprudenza garantisce l’utilizzo di indicatori complessi che consentono di valutare nelle diverse situazioni l’essenza della subordinazione giatore, piuttosto che quello del collaboratore domestico o dell’addetto alle pulizie di uno stabile. «Tutto questo è da ricondurre - afferma Lavizzari - alla necessità di una differenziazione nell’utilizzazione di indicatori nella qualificazione in rapporto a tipologie con diversa caratterizzazione secondo modelli socio-culturali correnti». Indicatori che possono variare dalla continuità delle prestazioni, alla predeterminazione da parte della società di tempi e modalità delle prestazioni, al tipo di compenso. «Tali elementi continua l’avvocato - consentono di rivelare l’essenza del rapporto lavorativo e possono addirittura prevalere sul nomen iuris utilizzato dalle parti e sulla volontà manifestata dai contraenti, lungi dal costituire fattore decisivo, come ha più volte riconosciuto la giurisprudenza: così, ex multis, Cass. civile Sezione Lavoro 27 gennaio 2009 n. 1897, per cui “può certamente configurarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, anche se all’origine vi è un accordo di prestazioni autonome con reiterazioni dell’incarico di volta in volta, quando il lavoratore ha di fatto lavorato ininterrottamente e con stabile inserimento nell’organizzazione aziendale”». Individuati così i criteri “differenziati” che costituiscono indizio della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, «dovrebbe risultarne favorita l’opera di indagine riservata al giudice di merito, che andrà ancorata al singolo caso concreto, attraverso un’attività ermeneutica che superi l’ermetica e spesso equivoca definizione normativa e stia al passo, invece, con la costante evoluzione del mondo del lavoro». 125


Benefici per i dipendenti • Gianluca Ottaviani

Misurare il trattamento di fine rapporto I benefici per i dipendenti di società derivanti dallo IAS 19. Maggiori informazioni per i lavoratori in merito al trattamento contabile e al valore del Tfr grazie al lavoro degli studi attuariali. L’analisi di Gianluca Ottaviani di Ezio Petrillo

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lla scoperta dello IAS 19. Il principio contabile internazionale disciplina il trattamento che un’impresa deve utilizzare per contabilizzare i benefici erogati ai dipendenti di una società. Secondo le regole dello IAS 19 è possibile determinare il valore del trattamento di fine rapporto e definire, da un punto di vista attuariale, il trattamento contabile e le informazioni integrative dei benefit dovuti ai lavoratori. L’esecuzione dei calcoli richiesti per la misurazione dello specifico fondo iscritto nel passivo del reporting package denominato “Trattamento di Fine Rapporto (TFR)” della società richiedente è una delle attività comprese nel settore della previdenza complementare e perciò svolta da uno studio attuariale. Gianluca Ottaviani ci parla dei benefici dovuti ai dipendenti per i quali è previsto l’utilizzo di valutazioni attuariali in accordo con lo IAS 19. «La valutazione attuariale secondo le regole del principio IAS 19 – chiarisce Ottaviani - risulta necessaria qualora il diritto al beneficio venga maturato in un orizzonte temporale maggiore di dodici mesi dalla data di valutazione ed al contempo la prestazione risulti a carico della società richiedente. I benefici per i quali viene richiesta una valutazione attuariale secondo le regole dello IAS 19 possono essere quindi suddivisi in tre categorie: benefici successivi al rapporto di lavoro (Post-employment benefits) quali TFR, pensioni, assicurazioni sulla vita, assistenza medica successiva alla risoluzione del rapporto; altri benefici a lungo termine erogati ai dipendenti (Other long-term employee benefits) inclusi permessi legati all’anzianità di servizio, disponibilità di periodi sabbatici, indennità per invalidità e, se dovuti dopo dodici mesi o più dal termine dell’esercizio, compartecipazione agli utili, incentivi e retribuzioni differite; benefici dovuti ai dipendenti per la cessazione del rapporto di lavoro (Termination benefits) in occasione di eventi straordinari quali la decisione da parte dalle società di interrompere il rapporto di lavoro o la decisione del dipendente di presentare dimissioni volontarie. In questa ca-

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Gianluca Ottaviani • Benefici per i dipendenti

Il Tfr che rientra nella categoria dei “post-employement benefits” ha subito sostanziali cambiamenti legislativi

Gianluca Ottaviani, al centro, nel suo studio che si occupa di consulenza tecnico-attuariale gianluca@ottaviani.net C&P • GIUSTIZIA

tegoria possono quindi rientrare incentivi all’esodo o premi per prepensionamento anticipato». Il Trattamento di Fine Rapporto che rientra nella categoria dei “post-employement benefits” ha subito sostanziali cambiamenti legislativi negli ultimi anni. «Con le modifiche apportate al TFR dalla Legge 27 Dicembre 2006, n. 296 – sottolinea Ottaviani - (Legge Finanziaria 2007) e successivi decreti e Regolamenti emanati nei primi mesi del 2007 si possono distinguere due tipi di piani: a benefici definiti (Defined Benefit Plan) e a contributi definiti (Defined Contribution Plan) per le quote maturande dal 1 Gennaio 2007. Sempre secondo la normativa vigente questa distinzione è valida solo per le aziende con più di 50 dipendenti. Per le tutte le altre rimane in vigore la normativa precedente che prevede di considerare il TFR di questi dipendenti come Defined Benefit Plan utilizzando il metodo della linearizzazione (Projected Unit Credit Method)». La metodologia di valutazione dei benefici prevede diversi step. «In base alle disposizioni indicate nello IAS 19 – conclude Ottaviani l’ammontare delle prestazioni già maturate al 31 Dicembre 2006 che rientrano nel Defined Benefit Plan per le aziende con più di 50 dipendenti, deve essere proiettato nel futuro, con opportune tecniche attuariali, per stimare il beneficio che deve essere corrisposto ad ogni dipendente della Società al momento della risoluzione del rapporto di lavoro per ogni causa. Il calcolo deve considerare, sia il TFR maturato per servizi lavorativi già prestati all’azienda, sia le rivalutazioni previste fino al pensionamento». 127


Formazione • Giuseppe Cassone

Pronti per il mondo delle professioni Affrontare preparati le nuove sfide dell’universo lavorativo. L’importanza della consulenza e di una formazione dettagliata e completa per essere all’altezza di un sapere multidisciplinare. L’analisi di Giuseppe Cassone, fondatore ed amministratore di G11 di Ezio Petrillo

In basso, seduto al centro, il presidente Giuseppe Cassone di G 11 Srl e i soci da sinistra, Danila Macchi, Roberto Braga, Sandra Paserio, Paolo Omar Annaccarato giuseppecassone@g11.eu

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na formazione innovativa per il lavoro. Il mondo delle professioni oggi si è evoluto in maniera repentina. Per questo, spesso la formazione tradizionale non basta più per affrontare nel migliore dei modi l’universo lavorativo. Da qui la necessità sempre più pressante di specializzazioni adeguate come i master. Giuseppe Cassone, fondatore ed amministratore di G11 (di cui gli altri soci fondatori sono Sandra Paserio, Danila Macchi, Roberto Braga e Paolo Omar Annaccarato n.d.r.), parla dei cambiamenti più importanti che hanno investito l’approccio alla realtà lavorativa e del nuovo ruolo dei consulenti del lavoro. Qual è l’attuale panorama della formazione nel vostro settore? «Oggi nel nostro Paese la formazione paga un deficit pesante e purtroppo anche il nostro settore non è immune da questa grave carenza. L’amara constatazione è il frutto dell’analisi obiettiva del nuovo ruolo che il consulente è chiamato a svolgere. La costante evoluzione che investe in toto il mondo delle professioni richiede un aggiornamento continuo frutto di teoria ma anche di pratica. Ritengo necessario un nuovo approccio formativo che consenta di costruire sulle compe-

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Giuseppe Cassone • Formazione

Il consulente del lavoro è l’indispensabile supporto per tutti coloro che devono quotidianamente affrontare il complicato mondo della gestione del personale C&P • GIUSTIZIA

tenze teoriche oggi fornite dalla scuola, una concreta capacità di fare. E per superare questa grave lacuna abbiamo compreso che l’unica strada percorribile è quella dove il professionista si trasforma in docente in grado di rafforzare le competenze teoriche con quelle pratiche spaziando dalle materie tradizionali (amministrazione del personale, diritto del lavoro, sindacale, tributario etc.) a quelle necessarie per potere operare “sul campo”». Come si sono evolute le esigenze del mondo del lavoro oggi? «Oggi il sapere non è più sufficiente, bisogna saper fare e confrontarsi in modo continuo con altri professionisti dello stesso gruppo. La necessità del sapere oggi, rispetto a qualche anno fa, è aumentata vertiginosamente. Una volta il professionista riusciva a rispondere a qualsiasi richiesta del cliente; oggi può farlo solo se si è specializzato e comunque deve quasi sempre riservarsi una risposta. In poche parole, oltre che specialisti bisogna essere polivalenti in quanto i problemi sono multidisciplinari». Il consulente del lavoro quali servizi deve essere in grado di fornire a sostegno delle aziende? «Il consulente del lavoro, oggi, diventa indispensabile supporto per tutti coloro che devono quotidianamente affrontare il complicato mondo dell’amministrazione e della gestione del personale. I risultati cambiano in modo radicale a seconda del consiglio e dell’assistenza data al proprio cliente. Pensi in quali gravi conseguenze può incorrere l’azienda in caso di un consiglio errato sul corretto ammortizzatore sociale da applicare, o sulle diverse modalità di agire durante un’intimazione di un licenziamento individuale o collettivo, o ancora alle opportunità perse nel caso in cui 129


Formazione • Giuseppe Cassone

non vengano segnalate le agevolazioni contributive a cui l’azienda avrebbe diritto. Non vado oltre ma lascio alla sua libera immaginazione l’immensità dei costi che ruotano attorno a decisioni sbagliate (e, di converso, all’immensità dei risparmi quando le decisioni sono corrette) e quanto possa valere al giorno d’oggi professionalità, preparazione, tempestività, concretezza nella proposta di soluzioni e qualità del servizio». Quale valore aggiunto offrono gli strumenti tecnologici di ultima generazione? «L’applicazione di questi strumenti, anche nel campo della formazione, rappresenta quel quid pluris idoneo a fare la differenza. Questo essenzialmente perché offriamo la possibilità di coniugare la teoria con una pratica altamente specialistica». Parliamo della video conferenza via web. Quali sono stati i vantaggi del dotarsi di questo strumento in particolare? «La video conferenza è stata ideata per consentire di condividere, in tempo reale, audio, video e documenti oltre che a realizzare riunioni di lavoro e attività di training. Tale strumento innovativo, semplice e sicuro, garantisce ai clienti assistenza, supporto continuo e possibilità di partecipare ai nostri percorsi formativi. L’utilizzo di tale tecnologia, dettata dall’azzeramento dello spostamento fisico, presenta l’incontestabile pregio di abbattere i costi di comunicazione ottimizzando i tempi di lavoro». L’interfacciarsi via internet può sostituirsi in toto all’approccio faccia a faccia dato dalla vicinanza fisica? «Le rispondo sì, in modo perentorio. Le mutate esigenze degli imprenditori, delle persone da noi costantemente monitorate, hanno fatto sorgere la pressante necessità di ottimizzare i tempi senza penalizzare la qualità del risultato. E, proprio in risposta a ciò, la video conferenza offre la possi130

Ritengo necessario un nuovo approccio formativo che consente di costruire sulle competenze teoriche oggi fornite dalla scuola a tutti i suoi livelli, una concreta capacità di fare C&P • GIUSTIZIA


Giuseppe Cassone • Formazione

PECULIARITA’ DELLA FORMAZIONE G11 l Gruppo G11 oggi punta ai Master formativi quali strumenti per garantire una chiara e incontestabile risposta a una forte esigenza formativa avvertita a livello sociale. La peculiarità che caratterizza e, al contempo, differenzia i percorsi formativi da noi organizzati scaturisce dalla consapevolezza, frutto di anni di esperienza, che oggi non esiste una scuola, un istituto di formazione ovvero una facoltà concretamente in grado di formare consulenti del lavoro all’altezza di ciò che il mercato richiede. L’iniziativa vincente di questi master consta nella possibilità di vivere la quotidianità dello studio professionale toccando con mano le problematiche connesse all’amministrazione del personale e alla consulenza del lavoro di aziende dei più svariati settori contrattuali. Oggi lo “studio professionale” è inteso come “impresa del sapere”. Io personalmente lo ritengo anche come “comunità di pratica” dove si imparano i cosiddetti “trucchi del mestiere” che non si trovano sicuramente sui libri di scuola”

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bilità a ciascun soggetto, in qualunque luogo si trovi, di poter essere sempre in contatto con i propri referenti per organizzare, gestire i propri impegni, le proprie attività e la propria formazione, senza essere legato a distanze, spostamenti e trasferte». Quali i vantaggi e quali i limiti di questa tecnologia? «Ovviamente, dal mio punto di vista, e guardando i risultati pratici del nostro operare, sarei portato ad evidenziare solo i vantaggi di questa tecnologia derivanti dalla possibilità di svolgere la propria attività professionale in modo dinamico e concreto. Probabilmente l’unico aspetto penalizzante della macchina tecnologica è il contatto umano. Tutto sommato, però, non vedo la videoconferenza come un metodo che va a sostituire un altro, ma si aggiunge ad esso ampliando semplicemente l’offerta. Bisogna ricordarsi, poi, che questo è uno strumento alternativo e quindi non sostituisce il contatto personale, ma semplicemente lo integra». Come stanno accogliendo i clienti questo tipo di tecnologia? «I clienti sono letteralmente entusiasti del nostro operato in quanto hanno avuto modo di valutare immediatamente i risultati tangibili e concreti sulla loro attività. Oggi il 95% della nostra utenza quotidianamente utilizza la vasta gamma di strumenti da noi offerti con un interesse sempre crescente». Quali sono gli obiettivi futuri di G11? «Essere un modello di riferimento per l’aggregazione dei professionisti ed essere interlocutori fiduciari delle piccole e medie imprese. A tale proposito ci tengo ad anticipare che G11 è socio fondatore di una nuova iniziativa rivolta proprio alle piccole e medie imprese ovvero “Professione Fidi” che si propone, in qualità di “cooperativa di garanzia fidi” di emanazione del mondo professionale ed imprenditoriale, di supportare ed agevolare le PMI nell’accesso al credito di breve e medio-lungo periodo». 131


Giovani e lavoro • Andrea Fanfani

Semplificare l’accesso al lavoro Conclusa la carriera scolastica e di formazione, le difficoltà dei giovani a entrare nel mondo del lavoro sono tante. La recessione economica ha complicato ulteriormente la situazione. Ne parla Andrea Fanfani di Simona Cantelmi

Il dottor Andrea Fanfani esercita la professione di consulente del lavoro a Milano andrea@fanfaniclm.it

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econdo i dati di Confartigianato, il tasso di disoccupazione giovanile è arrivato a marzo di quest’anno al picco del 27,7%, 2,9 punti percentuali in più rispetto a un anno prima. «Il risultato è che il problema “lavoro” sta diventando irrisolvibile». Ad affermarlo è Andrea Fanfani, consulente del lavoro. «La disoccupazione giovanile sfiora ormai il 30%, le collaborazioni a progetto hanno eroso quote di mercato al lavoro dipendente senza incidere sul fenomeno del lavoro nero, le donne continuano a essere discriminate in termini di salari e carriere perché faticano a conciliare l’attività lavorativa con il ruolo di madri e le pensioni entro pochi anni non consentiranno più a milioni di lavoratori di sostituire il reddito lavorativo con una rendita che consenta loro di vivere con un minimo di serenità». La precarietà del mondo del lavoro non aiuta i giovani a costruirsi una stabilità economica e, quindi, di vita. «In un paese dove la parola “lavoro” ha assunto tratti quasi sacri, la cosa che appare più difficile fare è appunto lavorare. Si sente usare spesso la parola “trasversale” e per quanto riguarda il mondo del lavoro la trasversalità assume rilievo in senso generazionale (interessa tutti, dal periodo scolastico al momento del pensionamento), geografico, culturale. Dovrebbe trattarsi, quindi, di una parola chiara, di uno strumento di cui far uso per trascorrere con sicurezza una fase molto lunga della propria vita, mentre sempre di più porta con sé sensazioni di disagio, ansia e incertezza». La difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e la complessità della gestione dei rapporti di lavoro rende molto importante la figura del consulente del lavoro. «L’Italia è l’unico paese al mondo dove esistono i professionisti del lavoro: quando mi capita di avere a che fare professionalmente con cittadini stranieri, mi accorgo che questi non fanno fatica a concepire la figura del commercialista o dell’avvocato, ma quella del consulente del lavoro accende sempre una luce di strana curiosità nei loro occhi.Vi si legge questa domanda: perché in Italia esiste e c’è la necessità (sempre crescente, aggiungerei) del “job consultant”? Facile la risposta: perché lavorare in Italia è estremamente complesso». Trovare una soluzione a tutte queste problematiche è arduo, ma qualcosa certamente si può fare. «Personalmente auspico una svolta almeno in una nuova direzione. È necessario aumentare la cultura specifica delle persone, per consentire ai cittadini di comprendere e gestire il maggior numero di informazioni. Bisogna partire dalla scuola di grado più basso.Vorrei apportare un esempio tratto da una mia esperienza. Ho insegnato per due anni in un istituto tecnico pubblico – spiega Fanfani - nel quale una preside illuminata ha voluto organizzare un corso base di Diritto del lavoro e amministrazione del personale. Due anni difficili proprio perché la conoscenza di base degli studenti sugli argomenti trattati era sostanzialmente nulla. Almeno cinque studenti, però, mi hanno contattato successivamente al diploma per comunicarmi di essere riusciti subito a spendere l’esperienza acquisita in aziende che, proprio grazie a quel corso, li avevano assunti».

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Medicina del lavoro • Michele Dibenedetto

Sorvegliamo la salute dei lavoratori La tutela del lavoratore rappresenta da anni un principio cardine per le maggiori organizzazioni internazionali. L’impegno dei medici sul lavoro, dunque, è quanto mai prezioso. L’opinione di Michele Dibenedetto di Ezio Petrillo

A destra, il dottor Michele Dibenedetto, nel suo studio della ditta Sicur.Med. Sotto, Rocco Di Foggia mcdibenedetto@libero.it

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importanza della medicina del lavoro per l’individuo. L'Organizzazione mondiale della sanità e l'Organizzazione internazionale del lavoro già nel 1959 hanno dichiarato che gli obiettivi di tale disciplina sono quelli di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori in tutte le occupazioni, adoperarsi per prevenire ogni danno causato alla salute da condizioni legate al lavoro e proteggere i lavoratori contro i rischi derivanti dalla presenza di agenti nocivi. «Dopo questa dichiarazione il tema della tutela della salute e della prevenzione dagli infortuni sui luoghi di lavoro è, oggi più che mai, al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi legislativi». A parlare è Michele Dibenedetto. «Il recente decreto legislativo 81 del 9/04/2008 – afferma Dibenedetto - ha introdotto importanti misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori, in tutti i settori di attività privati o pubblici. La tutela della salute prevede, dunque, l’introduzione della figura professionale del medico competente all’interno di una qualsiasi azienda nei casi previsti dalla legge». La sorveglianza sanitaria comprende diversi ambiti. «Tra questi ci sono la visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica - specifica Dibenedetto -; la visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; la periodicità di tali accertamenti che può assumere cadenza diversa e che viene stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio; la visita medica su richiesta del lavoratore, in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica; e all’atto della cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente». Il nuovo D. Lgs. 81/2008 non ha introdotto grandi novità rispetto alla precedente legislazione. «Si può dire – chiarisce Dibenedetto - che si è trattato semplicemente di una raccolta sistematica di una serie di leggi e leggine con due sole aggravanti: inasprimento delle sanzioni amministrative e introduzione del reato penale per tutte quelle aziende già esistenti sul mercato che entro il 15 maggio 2009 non hanno effettuato la valutazione dei rischi aziendali. Altre novità riguardano scadenze e rischi diversificati nel tempo come ad esempio l’introduzione della valutazione del rischio da stress da lavoro correlato che ha, come termine ultimo, il prossimo mese di agosto; e la valutazione dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici e a radiazioni ottiche artificiali già in vigore dal 26 aprile 2010. Infine è stata introdotta recentemente la valutazione dei rischi aziendali perfino per i lavoratori autonomi a partire dal 2011. La sorveglianza sanitaria svolge, dunque, un ruolo fondamentale e di grande responsabilità nel contesto aziendale».

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Restructuring • Ubaldo Livolsi

Le scelte migliori per l’imprenditore Sono varie le cause che portano un imprenditore a ristrutturare la propria azienda. Questo comporta un attento studio dello scenario economico e un rafforzamento della struttura patrimoniale. Ubaldo Livolsi spiega in che modo affrontare tutto questo di Nicolò Mulas Marcello

Ubaldo Livolsi, presidente Livolsi & Partners

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on la crisi economica è aumentato anche il ricorso da parte degli imprenditori alla riorganizzazione della propria azienda. Ma alla base della scelta di ristrutturazione non ci sono solo i problemi sorti a causa della recessione, interviene anche una serie di problematiche, dai processi di internazionalizzazione a quelli di riorganizzazione dell’indebitamento, che necessitano di un percorso mirato e studiato in base alle caratteristiche di ogni azienda. Ubaldo Livolsi, presidente della Livolsi & Partners ricorda che «spesso le aziende sono mosse dalla necessità di avere un’iniezione di capitale per poter reggere quelli che sono gli sviluppi internazionali». Qual è stata l’incidenza di richieste di consulenza nell’ultimo periodo? «È stata notevole perché c’è stata la crisi che ha messo in evidenza, a seguito della diminuzione della domanda interna, la necessità di essere competitivi nel settore dell’esportazione verso nuovi mercati. Questo presuppone nei casi dei paesi emergenti una struttura organizzativa molto spesso differente da quella precedente, con una logica sempre attenta ai costi e soprattutto all’innovazione. Quindi, da un lato gli imprenditori hanno avuto la necessità di avere un rafforzamento nella struttura patrimoniale di capitale e dall’altra un occhio più rivolto all’internazionalizzazione delle aziende che vuol dire attenzione agli accordi con distributori nell’ambito dei paesi che ancora si stanno sviluppando dal punto di vista economico». Per quanto riguarda l’area lombarda qual è la percezione che avete avuto della salute delle aziende in base al numero di richieste di intervento? «La situazione si presenta a macchia di leopardo in base ai settori e alle capacità imprenditoriali. Un comparto che ha sofferto molto è sicuramente quello dell’edilizia dove c’è stato un blocco delle imprese che basavano la loro attività sul mercato immobiliare. Dal punto di vista industriale, a seguito della crisi tra la fine del 2008 e il primo semestre del 2009, c’è stato un recupero e lo spostamento verso il mercato internazionale. Quindi direi che la Lombardia viaggia un po’ a doppia velocità, alcune aziende sono oggettivamente in difficoltà mentre altre stanno lavorando bene». Quali sono i principali presupposti che spingono

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Ubaldo Livolsi • Restructuring

Nel settore industriale abbiamo visto, dopo la crisi della fine del 2008 e il primo semestre del 2009, un recupero e uno spostamento verso il mercato internazionale

un’azienda a rivolgersi a voi per una ristrutturazione? «Ci sono due presupposti che spingono alla ristrutturazione: uno è di carattere finanziario, sorto a causa del restringimento dei livelli del credito o per lo meno di una revisione dei parametri come Basilea2 (il nuovo accordo sui requisiti minimi di capitale, ndr), poiché c’è stata una progressiva attenzione da parte del sistema bancario sui finanziamenti alle aziende. Questa necessità ha fatto sì che molte aziende ci abbiano chiesto di negoziare con il sistema bancario una serie di ristrutturazioni, di spostare a medio lungo termine l’indebitamento breve. L’altro presupposto è l’esigenza di poter disporre di un’iniezione di capitale per poter reggere gli sviluppi internazionali e in parte anche un maggior equilibrio tra debito di terzi e capitale proprio». Le aziende che scelgono una riorganizzazione non sono spinte solo dal difficile scenario economico. Quali sono le problematiche aziendali che spingono gli imprenditori a una consulenza? «Molto spesso l’internazionalizzazione, anche legata al camC&P • GIUSTIZIA

bio generazionale. Molte delle piccole e medie imprese italiane sono nate a cavallo degli anni 50 e 60, e oggi sono impegnate nel cambio generazionale che vede l’imprenditore di seconda generazione, tendenzialmente incline a all’apertura del capitale e a una managerialità che non è quella dell’essersi fatto in casa». Quali sono i rischi più frequenti che gli imprenditori devono tenere in considerazione per non giungere a scelte difficili in ambito di ristrutturazione? «Uno è quello di non sperare che le situazioni evolvano velocemente, quindi non rimandare. Quando sussiste un problema bisogna evitare di rimandarlo sperando che qualcosa di miracoloso accada, ma va affrontato subito. L’ottica dell’indebitamento è un problema reale, se l’azienda non genera cash flow per poter pagare il debito e rientrare bisogna assolutamente affrontare il problema, generando cassa, riducendo i costi, migliorando i margini operativi. Questo presuppone lucidità nell’affrontate le ristrutturazioni». 139


Restructuring • Paolo Sciumé

Tutte le opportunità del mercato globale I mercati emergenti offrono un vasto spettro di opportunità anche per i nostri imprenditori che con adeguate strategie possono cogliere molte possibilità di ampliamento. Le sfide di mercato sono molte a cominciare dai paesi che offrono manodopera a basso costo. Paolo Sciumè e Giuliano Sollima descrivono questi scenari di Nicolò Mulas Marcello

a globalizzazione ha creato molte opportunità di crescita e innovazione anche per le piccole e medie imprese ma ha anche aumentato l’esigenza di politiche ben studiate per affrontare uno scenario sempre più competitivo. Come sottolineano gli avvocati Paolo Sciumè e Giuliano Sollima: «Competere significa costruire sistemi produttivi in grado di essere per qualità e prezzo adeguati, nel mondo, al mercato». Parliamo di ristrutturazioni aziendali quali sono i problemi legali che potrebbero insorgere in fase di riorganizzazione? «Il legale si occupa degli strumenti e quindi utilizza quelli adeguati alla congiunzione tra le prospettive riorganizzative e tutti i soggetti coinvolti nella riorganizzazione. Non c’è riorganizzazione aziendale che non porti con sé un riassetto del personale. Una delle maggiori implicazioni legali del processo, quindi, è quella che riguarda le risorse umane sia in termini di accesso agli ammortizzatori sociali, sia in termini di procedure di mobilità, prodromi di licenziamenti collettivi. Altra attività in cui il legale viene coinvolto è la relazione con le istituzioni finanziarie (banche, leasing, factoring, l’accordo con le quali è spesso condizione necessaria per la buona riuscita della riorganizzazione aziendale e per la ripresa di un nuovo assetto produttivo. Nel caso in cui la riorganizzazione aziendale si rende necessaria a seguito di crisi

L Paolo Sciumé, fondatore dello studio legale tributario Sciumé & Associati

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Paolo Sciumé • Restructuring

Non esistono confini, come globalizzazione vuole, per la capacità delle imprese italiane di connettersi con i mercati emergenti dell’azienda, le relazioni con i soggetti terzi finanziatori devono essere gestite già in condizioni di “patologia” con il ricorso agli istituti previsti dalla legge fallimentare (concordato, piani di ristrutturazione attestati)». In che modo sono mutate le strategie delle aziende interpretando i cambiamenti del mercato? «Il cambiamento mi pare vada in due direzioni. Anzitutto vedo aumentare sensibilmente la concentrazione delle imprese sul proprio core business. In periodi di difficoltà e incertezza l’imprenditore realizza con chiarezza che deve porre il massimo delle energie proprie e di tutta l’organizzazione su “ciò che sa fare meglio” ricercando efficienza a tutti i livelli del processo di produzione. Un esempio sta nel fatto che si incrementa la gestione in outsourcing di alcune fasi del processo produttivo ma anche di servizi amministrativi o di gestione delle strutture (facilities management). Per altro verso, là dove possibile ci si sposta su segmenti di mercato o, all’interno degli stessi segmenti, su tipologie di prodotti in cui l’alta componente di innovazione rende ancora competitivo il prodotto italiano». In un mercato sempre più globalizzato, quali possono essere per gli imprenditori le strade migliori per la tenuta della competitività? «Competere significa costruire sistemi produttivi in grado di essere per qualità e prezzo adeguati, nel mondo, al mercato. I mecC&P • GIUSTIZIA

canismi per la ricerca dell’ottimizzazione del rapporto qualità/prezzo richiedono un’interferenza tra l’energia personale e l’ambiente circostante che, mai come ora, sono diventati fondamentali. C’è insomma un mix pubblico-privato di cui l’imprenditore deve farsi carico, così come la collettività e le sue organizzazioni. Si prenda ad esempio il caso Fiat di Pomigliano: balza evidente agli occhi che l’interesse imprenditoriale incrocia con le forme con cui i corpi sociali (sindacati) si organizzano, con cui le modalità operative della pubblica amministrazione, ministeri ed enti locali, si adeguano a porre in essere adeguate piste in movimento per l’impresa. Se ciò vale per la Fiat che ha un rilevante potere, si immagini quanto vale di più per un imprenditore individuale o per una pmi che tra l’altro costituisce parte del tessuto fondamentale della nostra economia». I paesi a bassa manodopera rappresentano una sfida per le aziende italiane. Quali le strategie per i nostri imprenditori? «Il problema è aumentare la competitività in termini di costi e quindi abbassare il costo di produzione, sapendo però che si va verso un’omogeneizzazione dei costi di produzione connessa a un’omogeneizzazione dei consumi. Due segnali vengono dalla Cina: l’aumento del 20% dei salari minimi deciso recentemente e la rivalutazione della moneta cinese. Questa linea tendenziale nel rapporto tra retribuzioni e consumi che tende a una certa 141


Restructuring • Paolo Sciumé

Competere significa costruire sistemi produttivi in grado di essere per qualità e prezzo adeguati, nel mondo, al mercato 142

omogeneizzazione aumenta l’incidenza del valore della innovazione. Si capisce allora come la strategia è una quantità di lavoro progettualmente finalizzata alla qualità che un modo (cultura) con cui, qualsiasi lavoratore partecipa consapevolmente al valore dell’impresa.Va inoltre sottolineata un’altra questione che riguarda ancora una volta il pubblico ed è l’organizzazione di servizi. Si pensi alle problematiche connesse al lavoro femminile che deve essere accompagnato necessariamente da un assoluto privilegio per i servizi legati alla maternità e alla famiglia». Per quanto riguarda i mercati emergenti come India, Russia, Cina e Brasile, quali possono essere le opportunità e le strategie che possono favorire le aziende nostrane? «A mio parere non esistono confini, come globalizzazione vuole, per la capacità delle imprese italiane di connettersi con i mercati emergenti. La sfida interessante sta nel fatto che l’impresa, agendo in un luogo e quindi in un ambiente con confini territoriali precisi anche quando trattasi di pluralità di insediamenti industriali, deve essere capace di una immanenza strategica e di servizio formidabile sul territorio: quindi cura delle persone, valorizzazione, servizi. Questo è il soggetto da tutelare per la sua consistenza sul territorio. E questo è ciò che garantisce l’espansione in un orizzonte ampio come può essere quello di tutti i mercati. L’imprenditore italiano è stato permanentemente capace di viaggiare; questa cultura del rapporto con il territorio e il suo rispetto per l’ambiente vicino è l’origine della internazionalità e viene direttamente, saltando un po’ di secoli, dal Medioevo. Si possono vedere nel momento le tracce di un nuovo Medioevo e di un nuovo Rinascimento?». C&P • GIUSTIZIA



Restructuring • Enrico Lanzavecchia

Uno sguardo al mercato globale Crescere e diventare competitivi a livello internazionale comporta un percorso di studio attento dello scenario economico globale e di tutte le concrete possibilità di accesso ai mercati stranieri. Enrico Lanzavecchia illustra le opportunità che offre il mercato cinese di Nicolò Mulas Marcello

Enrico Lanzavecchia, director di Value Partners e responsabile delle attività della società in Cina

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a nuova globalizzazione offre opportunità di rinnovamento delle fonti di ricchezza, ma pone anche nuovi problemi di competitività alle economie mondiali. Il nostro paese non fa eccezione ed è chiamato a riconsiderare il modello del proprio sistema all’interno di questo mutevole scenario socioeconomico. L’attenzione ai nuovi mercati deve essere costante per le aziende che vogliono crescere e diventare protagoniste nel mercato globale. La concorrenza portata dai Paesi di manodopera a basso costo è un’importante sfida a cui le imprese, soprattutto quelle italiane caratterizzate da modelli di specializzazione tradizionali, sono chiamate a rispondere. «Le opportunità sono reali, anzi essenziali, ma non di facile o di rapido accesso» sostiene Enrico Lanzavecchia, director di Value Partners. «Per avere successo è indispensabile tarare correttamente l’impegno, a livello di risorse umane e organizzative prima ancora che finanziarie». In uno scenario contraddistinto ancora da ristrettezze economiche in che modo sono cambiate le strategie che proponete alle aziende interpretando i cambiamenti del mercato? «Lo scenario economico nei prossimi anni sarà sicuramente caratterizzato da una maggiore incertezza e volatilità; questo costringe le imprese da un lato a valutare con maggiore attenzione i rischi, spesso esogeni, a cui sono esposte; dall’altro a sviluppare strategie di medio periodo che consentano di non perdere l’orientamento a fronte di sbalzi congiunturali. Pur nella diversità dei settori industriali, ci sono alcuni temi di fondo che emergono nelle riflessioni di quasi tutti i nostri clienti: maggiore attenzione alla definizione degli scenari macroeconomici, alla valutazione dei fattori di rischio e alla vulnerabilità dell’azienda rispetto a cambiamenti radicali del contesto. Centralità dei paesi emergenti, non solo in termini di vendite ma di vero e proprio radicamento nei mercati locali. Niente di nuovo sul piano dei concetti (dell’informatizzazione dei processi operativi si parla da oltre 20 anni) ma forte accelerazione sul piano realizzativo ed efasi su semplificazione, integrazione e sicurezza delle soluzioni». In questo contesto quali possono essere le strade migliori per la tenuta della competitività? «La strada maestra è sempre quella dell’innovazione e dello spostamento verso fasce di prodotto a maggior valore aggiunto. Perciò nel medio termine è fondamentale sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo e favorire la creazione di poli di ec-

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Enrico Lanzavecchia • Restructuring

cellenza, cercando di attrarre talenti e conoscenze anche dall’estero. Da noi è difficile costituire una società, è difficile ottenere crediti agevolati, è difficile accedere ai mercati dei capitali ed è difficilissimo anche fallire, perché le procedure fallimentari non sono orientate ad accelerare il salvataggio delle componenti recuperabili dell’iniziativa fallita. Un contesto economico che non aiuta gli imprenditori a partire e a ripartire non può generare l’innovazione necessaria a rendere competitivo il sistema: su questi punti dovrebbero concentrarsi gli interventi di politica economica, anche perché si tratta di problemi che possono essere rimossi in tempi relativamente brevi». Quali possono essere le strategie migliori? «Il primo passo è quello di non concentrarsi sul problema del costo del lavoro. Non perché questo problema non esista o non richieda delle risposte, ma perché l’enfasi sul costo del lavoro tende a distogliere l’attenzione dalle vere leve di recupero della competitività, che sono quelle legate all’innovazione e alla qualità. Alcune produzioni o fasi di produzione devono essere necessariamente trasferite in paesi a basso costo del lavoro, ma anche delocalizzando i propri impianti un’azienda italiana non sarà mai in grado di operare ai livelli di costo dei produttori locali: bisogna quindi collocarsi su fasce di mercato superiori. In uno scenario in cui la domanda si sposta verso i paesi emergenti dell’Asia e del Sudamerica questo comporta una conoscenza approfondita dei nuovi mercati e una elevata flessibilità nello sviluppo dei prodotti». C&P • GIUSTIZIA

La strada maestra per la difesa della competitività è sempre quella dell’innovazione e dello spostamento verso fasce di prodotto a maggior valore aggiunto Lei si occupa in particolare del mercato cinese, quali opportunità rappresenta per l’Italia? «La Cina è già oggi la seconda economia mondiale dopo gli Usa, ha superato bene l’impatto della recente crisi economica e nonostante alcuni elementi di incertezza congiunturale, come il surriscaldamento del mercato immobiliare, appare avviata lungo un percorso di crescita sostenuta a medio-lungo termine. Per qualunque produttore di beni industriali o di largo consumo, lo sviluppo di una solida presenza in Cina è quindi un requisito più che un’opzione e in questi anni noi abbiamo aiutato molte aziende italiane ed europee a definire le modalità di ingresso (o di crescita) sul mercato cinese, a qualificare gli obiettivi commerciali e i requisiti di offerta, a selezionare e contattare i possibili partner locali, a costituire nuovi siti produttivi, a sviluppare e controllare le reti di distribuzione locali». 145


Il rischio di delinquere • Stefano M.Bortone

Riciclaggio, l’impresa si tuteli Nelle trattative commerciali gli attori economici rischiano di rimanere coinvolti in operazioni atte a sostituire o trasferire denaro di provenienza criminosa. Onde evitare l’insinuarsi dell’illegalità occorre analizzare le azioni e il capitale sociale della controparte. A parlarne è l’avvocato Stefano M. Bortone di Carlo Sergi

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a delinquenza economica è diffusa e insidiosa, anche grazie alle sue ramificazioni insospettabili. Come difendersene continuando a operare in tranquillità? A parlarne è l’avvocato Stefano M. Bortone, noto penalista del Foro romano, docente di Diritto Penale dell’Economia e consulente di grandi Imprese di interesse nazionale. «Nei periodi di crisi è più elevato, per gli imprenditori in sofferenza, il rischio di una contaminazione da capitali di illecita provenienza – spiega il legale -. La mancanza di liquidità e la difficoltà di rapporti con gli istituti di credito possono indurre, infatti, a qualche leggerezza nell’acquisizione di risorse finanziarie, così aumentando il rischio di coinvolgimento in operazioni criminose». Il rischio, secondo Bortone, è quello di «rimanere coinvolti in operazioni mascherate di riciclaggio, ovvero di sostituzione o trasferimento di denaro proveniente da altri delitti». Un delitto gravissimo, punibile con una pena che va dai 4 ai 12 anni di reclusione. «il rischio di esserne toccati è elevato, in quanto interessa non solo chi si presta deliberatamente a un’operazione di risciacquo di denaro sporco, ma anche chi opera nel mondo imprenditoriale con leggerezza, non adottando adeguate cautele nei rapporti con l’esterno». Ma il rischio di cui parla, non è legato necessariamente a rapporti con la criminalità organizzata? «Decisamente no. Quando si parla di riciclaggio non si deve pensare solo a risorse provenienti da organizzazioni criminali e derivanti, ad esempio, dal grande traffico di stupefacenti, dallo sfruttamento della prostituzione o da attività associative

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Stefano M.Bortone • Il rischio di delinquere

Quando si parla di riciclaggio non si deve pensare solo a risorse provenienti da organizzazioni criminali

di tipo estorsivo. Esistono in circolazione ingenti risorse finanziarie assai meno riconoscibili, provenienti da attività anche esse delittuose, ma socialmente avvertite come meno allarmanti, perché diffuse o comunque sommerse». Può farci un esempio? «Basta pensare al cosiddetto scudo fiscale che, consentendo il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato, solo con il pagamento di una piccola imposta, di fatto può essere utilizzato sia da evasori fiscali allettati dall’idea di riportare a casa liquidità derivanti da operazioni reiterate nel tempo, sia da altri criminali, comunque detentori di liquidità di illecita provenienza. Ma la citata legge, pur escludendo in questi casi la punibilità per l’eventuale reato tributario, non la esclude anche per il riciclaggio, né se commesso prima dello scudo, né ove lo si commetta sul denaro “scudato”, a opera di soggetti diversi rispetto agli autori del reato presupposto. Dunque il pericolo c’è, ed è correlato alla presenza di nuovi investitori, ai quali si potrebbe dare spazio accettando la loro liquidità, e così accettando anche il rischio di ricevere denaro di provenienza delittuosa». Ma allora, come scongiurare questo rischio? «Gli imprenditori devono adottare cautele idonee a scongiurare operazioni sospette. La risposta è offerta dal D.Lgs. 231 del 2001, in virtù del quale l’ente, per scongiurare il rischio di cui parliamo e andare esente da responsabilità, deve introdurre nel proprio Modello Organizzativo tutte le precauzioni possibili per riconoscere e quindi evitare operazioni sospette. D’altro canto, l’imprenditore che adotti tali precauzioni per la proC&P • GIUSTIZIA

A sinistra, Stefano M. Bortone, penalista, all’interno del suo studio di Roma. L’avvocato è inoltre docente di Diritto Penale dell’Economia segreteria@studiobortone.com

pria impresa, difende in questo modo anche se stesso in quanto, una volta attuate le citate misure a tutela dell’ente, difficilmente lo si potrà accusare di una negligenza nella gestione. Esiste in particolare un Decreto antiriciclaggio, approvato nel 2007, che individua determinati soggetti più esposti a tale rischio, quindi banche, intermediari finanziari e professionisti dell’immobiliare, solo per citarne alcuni, e prevede un catalogo di misure disciplinari che questi sono chiamati a osservare. Per tutti gli altri operatori, esposti a un rischio meno diretto, l’adozione di cautele si pone nel più ampio contesto dell’adeguamento facoltativo al D.Lgs. 231/2001, per cui il Modello Organizzativo dovrà contenere misure preventive, che dovranno ispirarsi a quelle obbligatorie per gli operatori più esposti». Ovvero? «In primo luogo, l’impresa deve prestare attenzione agli interlocutori economici con cui entra in contatto, onde scongiurare il rischio che la controprestazione abbia provenienza delittuosa. La norma prudenziale conosce poi una serie di corollari. Il primo è rappresentato dall’identificazione della persona fisica che agisce e dalla verifica dei suoi poteri di rappresentanza. In linea di massima, si dovrebbero limitare i casi di interlocuzione solo con intermediari, preferendo il rapporto diretto con la controparte contrattuale. L’identificazione del contraente comporta anche l’assunzione di informazioni sulla società, prestandosi particolare attenzione ad aspetti che potrebbero risultare sintomatici di “anomalie”». Quali potrebbero essere gli indici di anomalia da 147


Il rischio di delinquere • Stefano M.Bortone

L’imprenditore dovrebbe diffidare da offerte di importo sproporzionato rispetto al valore medio

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non sottovalutare? «La storia della società deve essere analizzata e non destare dubbi. Immaginiamo ad esempio l’ipotesi in cui la data di costituzione dell’impresa sia prossima all’avvio della trattativa: come non sospettare che la costituzione sia avvenuta ad hoc per quell’operazione, al fine di pulire denaro sporco? Ulteriore elemento da valutare è quello relativo alla consistenza del capitale sociale, in assoluto e con riguardo all’operazione. Devono inoltre essere guardati con diffidenza eventuali incrementi del capitale o del business, in assenza di una causa trasparente. E ancora, può essere utile riscontrare l’omogeneità dell’operazione in corso rispetto all’attività sociale, alla luce di quanto emerge dall’atto costitutivo e dallo statuto. Dovrebbe destare sospetti ad esempio l’interesse per l’acquisizione di un bene non necessario per l’esercizio dell’attività sociale. Inoltre, per quanto possibile, la completa identificazione della controparte dovrebbe comportare anche un’analisi della composizione del capitale sociale, con riferimento alla possibile presenza di persone, anche giuridiche, di sospetta contiguità con associazioni criminali». Dunque occorre identificare chi si ha davanti. «Esatto. Ma non solo: ulteriori profili da valutare hanno natura oggettiva. Mi riferisco ad esempio alla congruità dell’offerta rispetto al prezzo di mercato. L’imprenditore che non voglia incorrere in equivoci dovrebbe infatti diffidare da offerte di importo sproporzionato rispetto al valore medio». Cosa fare se si presentano indici di anomalia? «Bisogna innanzitutto sospendere immediatamente la trattativa o il rapporto commerciale. In tale ipotesi, il meccanismo informativo aziendale è chiamato a funzionare con tempestività e trasparenza, in modo che la decisione sulla prosecuzione dell’operazione sia condivisa e possa essere effettuato ogni utile approfondimento della situazione. Peraltro, affinché il sistema riconosca possibili patologie e attivi il circuito informativo menzionato, è necessario che i dipendenti siano formati in modo specifico sul “rischio riciclaggio”, nell’ambito della più ampia formazione attuata in tema “231”». In conclusione, qual è l’atteggiamento che l’impresa deve tenere per escludere possibili responsabilità? «L’impresa deve munirsi di specifiche misure organizzative e procedimentali, nonché di meccanismi informativi che consentano di effettuare approfondimenti ogni qualvolta sussistano dubbi sull’opportunità di procedere nell’operazione. Il punto di vista dell’imprenditore deve essere “integrato” e arricchito rispetto a quanto non sia stato sinora. Nell’instaurazione di un rapporto commerciale occorre prestare attenzione all’etica e alla legalità dell’agire della controparte». C&P • GIUSTIZIA


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Ricapitalizzare le Pmi • Marco Fiorentino

È alto il dazio della ripresa meridionale La ricapitalizzazione delle Pmi parte da una ristrutturazione metodologica atta a intercettare le masse monetarie. Una revisione, semplificativa, dell’accesso ai mercati che al Sud deve legarsi a un dettame di legalità e a un rinascimento infrastrutturale. Il punto di Marco Fiorentino di Paolo Lucchi

Sopra, Marco Fiorentino. Nella pagina a fianco, lo staff del suo studio a Napoli. La struttura si occupa di consulenza aziendale e aderisce al network Synergia Consulting Group marcofiorentino@studiofiorentino.com

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i attendono i dati definitivi, concreti, sui risultati economici delle Pmi durante questo ulteriore annus horribilis. E soprattutto si temono le cifre che determineranno le differenze di ripresa tra il Nord e il Sud del Paese. Secondo Marco Fiorentino, dottore commercialista e consigliere di amministrazione di Synergia Consulting Group, il cui studio professionale associato rappresenta un punto di riferimento per l’approfondimento scientifico delle tematiche tributarie, societarie e analitiche di bilancio in particolare sullo stato del Mezzogiorno, «È fondato il timore che, dalla “conta delle perdite”, possa emergere un forte impoverimento dell’impresa. Più elevato rispetto a quanto la flessione del Pil possa far ritenere». E sono tre, per Fiorentino, gli elementi la cui sommatoria porta allo scenario negativo prospettato: la diminuzione dei patrimoni netti, l’impoverimento del capitale umano, conseguenza delle perdite dei posti di lavoro, il forte calo della propensione al rischio. «Con l’ulteriore corollario rappresentato dalla perdita di rating verso il sistema creditizio, meno disposto, a crisi superata, ad assistere imprese con problemi». Come fare per giungere a una ricapitalizzazione, in primis monetaria, delle Pmi?

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Marco Fiorentino • Ricapitalizzare le Pmi

Il rapporto tra legge, capitali e imprenditori va liberato dai soliti schemi degli interessi contrapposti «Per attrarre masse monetarie, e in genere per accrescere il patrimonio in maniera effettiva e duratura, servono interventi pensati per il lungo periodo, mirati essenzialmente a ridurre gli ostacoli formali, sostanziali, nonché propriamente psicologici dell’imprenditore. Questi fattori oggi si frappongono agli investitori, e al contempo all’introduzione di nuovi strumenti di crescita». Dunque vincere le paure e tornare a investire? «Assolutamente sì, sebbene sia comprensibile il diffuso sentimento di preoccupazione, non credo che possiamo consentirci un atteggiamento diverso. Senza investimenti e senza prospettive ogni cosa, compresa l’economia, è destinata a morire». Il suo studio, che tra l’altro si trova a Napoli, pone da sempre molta attenzione alle tematiche del Mezzogiorno. Quale situazione osserva attualmente? «In tutto il meridione risultano operative circa 5mila società per azioni, contro le decine di migliaia del Nord. Di queste, poi, pochissime risultano quotate ai Mercati Ufficiali. Come sempre, quindi, i grandi numeri esprimono, più di ogni altra disamina socioeconomica, l’intervallo di ricchezza che separa il Meridione dal resto d’Italia». Quali strategie andrebbero attuate per mutare il quadro? «L’obiettivo è evidentemente la crescita, l’aumento della ricchezza. Sono innumerevoli le ricette possibili ma, parafrasando Troisi, credo si debba partire da tre elementi: legalità, infrastrutture, finanza». Sui primi due elementi è chiara l’emergenza. Ma a quali interventi si riferisce parlando di finanza? «In questo ambito gli spunti possono essere tanti. Innanzitutto occorre che il risparmio prodotto sul territorio rimanga sul territorio e non vada ad alimentare impieghi a favore di altre economie. Ed è irrilevante che ciò avvenga formalmente attraverso una Banca del Sud, l’importante è che avvenga. Le masse monetarie disponibili all’investimento non sono sparite. È quindi necessario intercettarle, attraverso un rinnovamento dell’offerta di C&P • GIUSTIZIA

investimento che segua due direttrici: la crescita della qualità delle imprese e l’ampliamento dei canali di provvista dei capitali». Cosa intende per “crescita della qualità”? «Intendo la crescita dei parametri di affidabilità complessiva dell’impresa anche al fine della sua paragonabilità con realtà site in aree più sviluppate. Un investitore dà il suo denaro non tanto a chi può farlo fruttare, ma a chi è “riconoscibile” e “confrontabile”, secondo modelli standard di qualità. In questo senso suggerirei una Tremonti Sud per la qualità, agevolando gli investimenti nell’adozione degli IAS/IFRS, nell’accesso alla quotazione, nell’adozione di procedure aziendali e così via, studiando al contempo forme di rating per le imprese virtuose, spendibili in banca». Come può ampliarsi la provvista di capitali? «Allargando, da un lato, le forme di impiego del capitale di rischio e di debito e, dall’altro, semplificando i vincoli e le limitazioni alle modalità di raccolta dei capitali. Qualche piccolo esempio: potrebbero essere eliminati i vincoli previsti per le emissioni di titoli di debito e di azioni di risparmio e ridotti drasticamente i tempi e i costi di un processo di quotazione. Come pure sarebbe opportuno permettere una liquidazione più veloce dei frutti dell’investimento, attraverso la distribuibilità dei dividendi su base infrannuale anche per le società non quotate. Per le quotate, invece, si potrebbe optare per una distribuzione su base trimestrale». Sono tanti gli strumenti allora. «Certo. L’elenco di suggerimenti sarebbe lunghissimo, ma la verità è che il Sud si potrà riprendere soltanto se gli obiettivi verranno perseguiti in maniera congiunta dai tre attori del sistema: legislatore, investitore, impresa. Il rapporto tra legge, capitali e imprenditori non deve essere più concepito come una contrapposizione necessaria, ma come una sintesi di esigenze diverse, in grado di produrre imprese qualificate e modelli di gestione delle masse monetarie al loro interno più numerosi e più semplici». 151


Gli effetti della legge fallimentare • Massimo Iannuzzi

La transazione per le imprese in crisi La disciplina della transazione fiscale ha subito rilevanti interventi in seguito alla riforma della Legge Fallimentare, tesi soprattutto a circoscrivere l’estensione della sua applicabilità in favore delle imprese indebitate. L’analisi di Massimo Iannuzzi di Stefano Marinelli

a transazione fiscale è attualmente disciplinata dall’articolo 182-ter della Legge Fallimentare, con significative novità rispetto al passato. Prima della riforma della legge Fallimentare, introdotta dal D.Lgs 169/07, tale istituto prevedeva che l’Agenzia delle Entrate, dopo l’inizio dell’esecuzione coattiva, potesse procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri uffici, il cui gettito era di esclusiva spettanza dello Stato, in caso di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto all’attività di riscossione coattiva. Presupponeva, quindi, l’inizio del processo di esecuzione forzata ad opera del concessionario e l’emergere, nel corso di tale procedura, dell’insolvenza del debitore. Adesso l'ambito d’applicazione è limitato alle imprese per cui è prevista l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, o interessate a formulare accordi di ristrutturazione dei debiti. «Si evidenzia una macroscopica differenza rispetto al passato – nota Iannuzzi, dottore commercialista esperto nell’ambito societario -. Prima la possibilità di transazione era estesa a tutte le imprese». Da questa differenza si può cogliere l'intenzione del legislatore «di consentire solo all'imprenditore in stato di crisi la possibilità di stabilire con i propri creditori un piano di assolvimento di tutte le obbligazioni, comprese quelle tributarie» osserva Iannuzzi. Cercando in questo modo di conciliare interessi pubblici, coincidenti con la certezza dell’entrata fiscale, seppure parziale, e interessi privati, tesi a evitare il fallimento e la conseguente crisi occupazionale. Il presupposto oggettivo per l'applicazione della norma è rappresentato dallo stato di crisi, «che può essere inteso anche come quello irre-

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Massimo Iannuzzi è dottore commercialista e revisore contabile, oltre che cultore della cattedra di Diritto Fallimentare presso l'Università Parthenope di Napoli. Possiede due studi, a Roma e Napoli www.studiomassimoiannuzzi.it

versibile dell'insolvenza, senza che venga necessariamente dichiarato» spiega Iannuzzi. «Mentre il presupposto soggettivo – prosegue - rispecchia le novità introdotte nella Legge Fallimentare relative al restringimento dell’area di fallibilità, determinando i parametri per i soggetti fruitori della norma. Tuttavia l'istituto in questione è applicabile anche dagli imprenditori che intendono presentare domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, per cui anche i soggetti che, per limiti dimensionali, non possono essere sottoposti al fallimento o al concordato preventivo, hanno la facoltà di ricorrere alla transazione fiscale». Sono oggetto di transazione sia i tributi amministrati dalle Agenzie Fiscali, sia i contributi amministrati dagli enti di gestione di forme di assistenza e previdenza obbligatorie, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritto a ruolo. Restano esclusi i tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, mentre l'imposta sul valore aggiunto può prevedere solo la dilazione di pagamento. «Il limite fissato ai debiti chirografari, anche se non iscritti a ruolo, sembrerebbe escludere che si possa proporre un pagamento in percentuale dei crediti privilegiati non iscritti a ruolo – rileva Iannuzzi -, ma considerando la prescrizione secondo cui sia il Fisco che gli enti previdenziali, ancorché privilegiati, sono soggetti a un trattamento in percentuale non inferiore a quello offerto agli altri creditori assistiti da grado di privilegio inferiore, si può concludere che è ammessa la falcidia dei crediti sia chirografari che assistiti da privilegio, indipendentemente dall’iscrizione a ruolo». C&P • GIUSTIZIA



Appalti pubblici • Federico Tedeschini

Occorre una maggiore semplificazione Il settore degli appalti non ha bisogno di miglioramenti, ma di semplificazioni. Anzi, basterebbe dare completa attuazione alle norme comunitarie che, a differenza di quelle nazionali, sono estremamente chiare e semplici. L’analisi di Federico Tedeschini di Ezio Petrillo

ome viene regolata la disciplina degli appalti? Le ultime riforme normative hanno migliorato l’efficacia delle procedure in materia di aggiudicazione. Ci sono, però, ancora aspetti su cui lavorare come la semplificazione e una maggior chiarezza sulle regole inserite all’interno del Codice degli Appalti. Il parere, in merito, del professor Federico Tedeschini. Qual è la normativa più recente che regola la disciplina degli appalti pubblici? «L’ultimo atto normativo intervenuto in materia è il D. Lgs. 53/2010 che ha dato attuazione alla direttiva 2007/66/Ce che ha, a sua volta, modificato le direttive 89/665/CEE e 92/12/CEE per quanto riguarda il miglioramento di efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. In particolare tale decreto ha apportato sostanziali modifiche in merito al termine dilatorio per la stipulazione del contratto di appalto, alla tutela processuale, all’inefficacia del contratto in caso di gravi violazioni. E, in altri casi, alle sanzioni alternative, alle disposizioni razionalizzatrici dell’arbitrato, all’informativa dell’intento di proporre ricorso, agli obblighi di comunicazione e di informazione alla Commissione dell’Unione Europea. Come si vede la materia è stata ridisegnata quasi integralmente». Quali sono dal suo punto di vista, gli aspetti da migliorare nella regolamentazione degli appalti pubblici? «Più che di miglioramenti il settore ha bisogno di semplifi-

C L’avvocato professor Federico Tedeschini segreteria@studiotedeschini.it

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Federico Tedeschini • Appalti pubblici

Il settore ha bisogno di definitive chiarificazioni in quel Codice degli appalti che è stato già corretto tre volte cazioni perché la legislazione stratificata che si è venuta progressivamente ad accumulare non ha trovato, al contrario di quello che comunemente si crede, definitive chiarificazioni in quel Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006) che è stato già corretto tre volte e sui cui contenuti l’Unione Europea continua a manifestare perplessità». Può farci un esempio concreto? «C’è qualcuno che ancora sostiene che la ricostruzione delle abitazioni private in Abruzzo possa avvenire al di fuori delle procedure di evidenza pubblica che quel Codice raccoglie, nonostante tale ricostruzione sia avvenuta coll’erogazione di danaro della collettività». Qual è la differenza principale tra la disciplina degli appalti in Italia, rispetto ad altri paesi europei? «In teoria, dopo l’Atto Unico Europeo, le differenze dovrebbero essere cadute perché le direttive comunitarie sono ormai self-executing cioè immediatamente efficaci negli Stati membri senza necessità di ulteriori atti applicativi. Questo, come dicevo, in teoria perché nella pratica le differenze fra i singoli Stati ancora sussistono e sono notevoli. Il processo di riavvicinamento è affidato alla sensibilità dei giudici nazionali chiamati ad assicurare la prevalenza delle norme comunitarie su quelle statali e questa prevalenza non sempre, nel concreto, è assicurata». Secondo la sua opinione quale sarebbe un modello legislativo ideale per regolamentare al meglio gli appalti? «Basterebbe dare, in sede giurisdizionale, piena e completa C&P • GIUSTIZIA

attuazione alle norme comunitarie che regolano questa materia e che sono, a differenza di quelle nazionali, estremamente chiare e semplici. Non c’è bisogno di alcun modello innovativo, il modello c’è già e chiede solo di essere pienamente applicato in Italia dai Tribunali Amministrativi Regionali e dal Consiglio di Stato in sede di appello». Appalti e criminalità organizzata. Secondo lei cosa bisognerebbe fare per contrastare il triste fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle gare d’appalto? «Anzitutto bisogna rammentare che lo scorso 16 febbraio è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e la Direzione Nazionale Antimafia. In sostanza l’Avcp e la DNA potranno cooperare per l’acquisizione on-line dei programmi emergenziali e per garantire trasparenza nel mercato degli appalti attraverso il continuo interscambio di dati riguardanti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui sono in possesso. I dati oggetto di condivisione saranno: bandi di gara, aggiudicazioni, partecipazioni alle gare, subappalti e noli a caldo, varianti, esiti di attività ispettive; informazioni sugli operatori economici con riferimento ai requisiti antimafia prescritti ai fini della partecipazione alle gare; informazioni relative agli operatori economici, sia singoli, sia facenti parte di raggruppamenti temporanei di impresa, al fine di consentire alla DNA di verificare eventuali situazioni di interesse. Tutto questo però è destinato all’insuccesso se non si riescono a coinvolgere pienamente le organizzazioni datoriali e dei lavoratori a livello locale». 155


Fatturazione elettronica • Marco Micci

La gestione del documento elettronico Dal gennaio 2004 le imprese possono evitare di produrre e inviare documenti cartacei, avvalendosi del documento informatico. Il dottor Marco Micci spiega il suo utilizzo e le sue applicazioni di Nella Zini

Il dottor Marco Micci è amministratore unico della società Trecento60 S.r.l., specializzata nella dematerializzazione dei flussi cartacei e nella conservazione sostitutiva www.trecento60.com - marcomicci@trecento60.com

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l quadro normativo vigente consente la produzione e la conservazione di tutti i documenti prodotti dalle aziende, siano essi di interesse prevalente fiscale, cioè fatture, registri Iva, dichiarazioni dei redditi, o prevalentemente civilistico (libri sociali, verbali assemblee, libro giornale, libro inventari). Tale possibilità garantisce efficienza produttiva e notevoli risparmi economici, come sostiene il dottor Marco Micci «La definizione di documento informatico può essere articolata secondo diversi punti di vista: definizione generale, valenza fiscale, penale e civilistica. Se il documento analogico è materiale, originale ed emesso su carta, pellicole fotografiche, cassette o nastri magnetici, quello informatico, invece, è immateriale e ogni copia è originale, può essere un file di testo, un documento Word o un file audio o video. Il documento informatico assume rilevanza, dal punto di vista fiscale, nel momento in cui sia completato con informazioni che ne attestino la data, l'autenticità e l'integrità». La fattura elettronica è un documento informatico il cui contenuto deve essere nel tempo immutabile e non alterabile. «La fatturazione elettronica è una specifica fattispecie degli ordinari processi di fatturazione. In particolare, affinché la fatturazione elettronica possa avvenire, è necessario che il documento, all'atto della sua generazione, contenga tutti gli elementi previsti dall'Art. 21, comma 2, DPR n. 633 del 1972 così come modificati dal D.Lgs. n. 52 del 20 febbraio 2004, sia firmato digitalmente e vi sia apposta la marca temporale. L'emittente deve quindi assicurare l'attestazione della data, l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto». L’Agenzia delle Entrate definisce come assolutamente obbligatorio il preventivo accordo tra le parti. «Chi volesse introdurre il concetto di fattura elettronica – prosegue Micci - deve sempre richiedere il consenso. Chi volesse implementare la fattura elettronica e quindi evitare di stampare su supporto cartaceo le due copie della fattura richieste per legge (una da spedire via posta e una da conservare), dovrebbe dotarsi di un sistema che consenta la corretta gestione del riferimento temporale e di un sistema di firma elettronica qualificata, accertarsi che il proprio sistema informatico sia adeguato per apporre sulla fattura, all'atto della sua produzione, il riferimento temporale e la firma digitale qualificata, raccogliere il consenso dai propri clienti con i quali scambiare le fatture in formato elettronico e aggiungere sulle fatture, nel caso non fossero già presenti, partita Iva e codice fiscale dell'acquirente». La fattura cartacea può essere creata attraverso uno strumento

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Marco Micci • Fatturazione elettronica

25-30 mila aziende La fatturazione elettronica coinvolge attualmente circa venticinque-trentamila aziende italiane, di cui ottomila utilizzano reti di scambio dati in forma elettronica (Edi)

digitale e trasmessa attraverso mezzi telematici, tuttavia, a differenza della fattura elettronica, le parti dell'operazione di fatturazione hanno l'obbligo di materializzare il documento informatico su un supporto cartaceo attraverso regolare processo di stampa, che costituisce, in questo caso, l'originale della fattura. «La materializzazione si rende necessaria in quanto il documento è carente dei requisiti che caratterizzano la fattura elettronica (riferimento temporale e firma elettronica qualificata), e che garantiscono la data certa e l'immodificabilità del documento. Vale anche in questo caso il preventivo accordo tra le parti, in quanto il destinatario della fattura deve essere nelle condizioni di riceverla e leggerla correttamente, anche se trasmessa attraverso mezzi telematici. Quindi, coloro che volessero semplicemente inoltrare via posta elettronica la fattura di vendita, dovrebbero procedere come segue: raccogliere il consenso dai clienti con i quali scambiare fatture in formato elettronico, inviare via email o fax la fattura ai clienti che hanno acconsentito al ricevimento telematico, stampare una copia della fattura che costituisce documento originale valido ai fini civilistici e fiscali e ricordare al cliente che anche lui deve stampare la fattura, affinché questa si possa considerare valida». Anche i documenti elettronici, come quelli cartacei, possono essere archiviati. E l'archiviazione dei documenti è il processo che, partendo da un documento informatico o da un documento analogico, ne crea un archivio digitale ordinato e ne facilita la modalità di ricerca e di accesso. «L'archiviazione elettronica dei documenti non è regolata da alcuna C&P • GIUSTIZIA

legge e il processo che si definisce per la sua esecuzione può essere considerato “libero”, ossia definibile direttamente dal soggetto che attuerà l'archiviazione sulla base di criteri di efficacia ed efficienza». L'archiviazione dei documenti diventa un elemento molto importante dal punto di vista dell'efficienza interna alle aziende. «Se correttamente archiviato – spiega Micci - il documento elettronico potrà essere ricercato in tempi molto veloci (attraverso appositi motori di ricerca) e potrà essere disponibile direttamente sul PC del richiedente in pochi secondi. Naturalmente il documento elettronico potrà poi essere materializzato, ad esempio attraverso la sua stampa, oppure potrà essere distribuiti attraverso i sistemi di posta elettronica. L'archivio digitale diventa anche un “luogo” sicuro, dove conservare nel tempo i propri documenti e dove proteggere gli accessi, seguendo le disposizioni del D.Lgs. 196/2003 relativo alla sicurezza dei dati». Il Decreto Ministeriale del 23 gennaio 2004 stabilisce tempi e modi per la gestione del processo di conservazione sostitutiva delle fatture elettroniche. «Bisogna sapere che le fatture elettroniche devono essere sottoposte a processo di conservazione sostitutiva al massimo entro quindici giorni dalla data dell'emissione (per l'emittente) o dal ricevimento (per il destinatario). Tutti gli altri documenti elettronici a valenza fiscale devono essere sottoposti a processo di conservazione sostitutiva almeno una volta all'anno e comunque prima della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo fiscale di riferimento». 157




Reati ambientali • Giambattista Colombo

Una tutela più operativa dell’ambiente L’attenzione all’ambiente da parte della Legge è aumentata. E le novità normative introdotte negli ultimi tempi hanno chiarito meglio il quadro sanzionatorio in merito ai reati ambientali. Ma l’azione spesso non si adegua alla legislazione. Il punto di Giambattista Colombo di Ezio Petrillo

L’avvocato Giambattista Colombo info@studiolegalecolombo.com

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osa manca per tutelare al meglio l’ambiente? L’azione delle autorità amministrative spesso non è adeguata rispetto ad un’architettura legislativa che, nonostante tutto, è tra le migliori in Europa. Dall’aprile del 2006, data in cui è stato emanato il Testo Unico sull’ambiente, sono stati già introdotti quattro interventi correttivi e integrativi. Ciò denota l’assenza di un disegno omogeneo e complessivo. D’altra parte, però, sono stati meglio chiariti alcuni ambiti quali le leggi relative allo smaltimento dei rifiuti e alle bonifiche dei territori. Sono state esplicitate definitivamente, infatti, le condizioni del deposito temporaneo, per cui i rifiuti pericolosi o non, devono essere raccolti e avviati a recupero o smaltimento secondo modalità alternative. In materia di bonifiche sono presenti le novità maggiori, è stato infatti completamente riscritto il D.M. 471/99. Alla scoperta delle leggi che tutelano il territorio e degli illeciti previsti attraverso le parole dell’avvocato Giambattista Colombo. Parliamo di reati ambientali. Dall’alto della sua esperienza, qual è l’aspetto che manca nella nostra legislazione, per contrastare al meglio le infrazioni contro l’ambiente? «Ritengo che la legislazione interna italiana sia tra le più avanzate in materia ambientale. Tuttavia, come spesso accade nel nostro Paese, ad un impianto normativo adeguato al fenomeno che si intende prevenire, non corrisponde una concreta operatività da parte delle autorità amministrative preposte. Ciò anche in considerazione dell’eccessivo frazionamento delle competenze e delle funzioni. A titolo esemplificativo, si consideri che – in materia di amianto – la presenza del contaminante a livello di suolo e sottosuolo determina la competenza del MATTM (Ministero per la Tutela dell’Ambiente, del Territorio e del Mare), mentre invece la sua presenza in edifici ovvero nell’aria attribuisce le funzioni di controllo all’ARPA e per essa alle Aziende Sanitarie Locali. È chiaro che tanto più sono numerosi e diversificati i soggetti funzionalmente incaricati di gestire un fenomeno, tanto più sarà probabile che l’intervento divenga schizofrenico e che le informazioni si disperdano o non vengano valutate nel loro complesso». Quali sono le principali tipologie di reati ambientali in Italia e quali le differenze, in questo senso, rispetto all’estero? «La normativa di riferimento può essere individuata nel Testo Unico ambientale (Decreto Legislativo n.152 del 3.04.2006 c.d. Decreto Ronchi) che nel titolo VI agli arti-

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Giambattista Colombo • Reati ambientali

Oggi il Trattato Ue prevede il titolo XIX interamente dedicato all’ambiente, i cui articoli 174, 175 e 176 fissano previsioni direttamente applicabili dagli Stati membri

coli da 254 a 263 istituisce un sistema sanzionatorio combinato penale e amministrativo per la repressione dei reati ambientali. Si tratta di norme di carattere generale che intendono arginare il fenomeno della lesione del diritto alla salute della popolazione e alla salubrità dell’ambiente punendo condotte di gestione illecita del rifiuto. In via di estrema sintesi possono individuarsi illeciti relativi all’abbandono dei rifiuti (art.255), alla gestione non autorizzata degli stessi (art.256), all’inquinamento prodotto dalla scorretta applicazione dei criteri per la bonifica dei siti inquinati (art.257) e via discorrendo sino al più grave delitto di “associazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti” (art.260) i cui responsabili possono essere puniti con la reclusione sino a 6 anni». Quali sono stati gli sviluppi nel tempo delle varie normative sull’ambiente, tenendo conto di una sensibilità che è andata via via aumentando in questo senso? «La sensibilità in materia di ambiente a livello europeo si è sviluppata sin dai primi anni ’70. È del 1973 il primo programma di azione in materia ambientale della Comunità Europea, al quale ne sono seguiti altri 6 che hanno definito la strategia globale di intervento comune per la tutela dell’ambiente. Oggi il Trattato Ue prevede il titolo XIX interamente dedicato all’ambiente, i cui articoli 174, 175 e 176 fissano previsioni direttamente applicabili dagli Stati membri. Si è venuto così a consolidare un impianto normativo uniforme su tutto il territorio del Vecchio continente». C&P • GIUSTIZIA

Quali sono state le principali modifiche negli anni delle norme contro questo tipo di illecito? «L’ipertrofia legislativa italiana rende di fatto impossibile rispondere in poche righe alla domanda. Si consideri solo che, rispetto all’ancor giovane Testo Unico Ambientale (è del 2006), sono già intervenuti quattro interventi correttivi e integrativi che hanno chiarito meglio alcuni ambiti come la semplificazione degli adempimenti ambientali per gli agricoltori e una corretta gestione dei punti raccolta di rifiuti elettronici e ferrosi». Dal suo punto di vista, registra una crescita negli ultimi tempi dei reati contro l’ambiente? «Occorre fare più di un distinguo. L’aumento negli ultimi anni dei procedimenti penali in materia ambientale è un dato che deve essere analizzato in correlazione alla nuova disciplina che regolamenta e, di conseguenza, punisce condotte un tempo non previste dalla legge come reato e, pertanto, non sanzionate. Un secondo dato di rilievo è la specializzazione delle strutture inquirenti: sono stati creati pools di magistrati e di appartenenti alla polizia giudiziaria che vantano competenze investigative di notevolissimo livello. Un ultimo dato è relativo alla maggiore attenzione, da parte di tutti, ma soprattutto degli imprenditori che operano a vario titolo nel settore ambientale, per la corretta gestione del “fenomeno rifiuti”. Questo aspetto è dovuto anche a una maggiore sensibilizzazione dei media e alle campagne informative sui vantaggi per l’intera collettività di una tutela dell’intero ecosistema». 161


Illeciti in rete • Leonardo Bugiolacchi

Libertà e censura online Le norme che disciplinano i rapporti in internet dovrebbero ricalcare l’ordinamento che regola le attività offline. Leonardo Bugiolacchi descrive le ipotesi giuridiche di responsabilità di atti illeciti commessi in rete di Adriana Zuccaro

Leonardo Bugiolacchi, avvocato civilista con studio in Roma, è docente a contratto di Diritto commerciale presso l’università Telma Sapienza di Roma, nonché dottore di ricerca in Informatica giuridica e diritto dell’informatica presso l’università “La Sapienza” di Roma - leonardo.bugiolacchi@libero.it

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n un periodo in cui si fa un gran chiasso sulla libertà di stampa e di informazione in genere, internet abbatte ogni muro e si propone come primo organo informativo del mondo. Ma per comprendere i vincoli legislativi che disciplinano l’uso del web occorre partire dal presupposto che «si può ben essere sostenitori della rete quale meraviglioso strumento di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, promuovendone, allo stesso tempo, un uso responsabile». L’avvocato Leonardo Bugiolacchi, civilista del foro di Roma, da molti anni si occupa di questioni giuridiche legate allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con particolare riferimento alla tematica degli illeciti commessi mediante internet. Ma possono questi risolversi mediante l’uso di strumenti giuridici già esistenti? L’avvocato Bugiolacchi ne argomenta le possibilità. Quali misure giuridiche sono applicabili alla realtà “internettiana”? «Le opzioni giuridiche emerse, anche al livello della legislazione europea, si basano sulla consapevolezza che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, pur non incidendo, in linea generale, sulle categorie giuridiche già note, impongono però l’adozione di nuove regole, necessarie a rendere compatibili le categorie note con le nuove modalità tecnologiche di svolgimento dell’attività giuridica. L’esempio più chiaro di questa impostazione è rappresentato dalla direttiva n. 31 del 2000 in materia di commercio elettronico, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 70 del 2003, la quale, pur confermando l’applicazione anche ai contratti telematici delle regole generali sulla conclusione del contratto, ha previsto l’introduzione di nuovi, aggiuntivi obblighi, ovviamente sconosciuti al nostro codice civile, per il soggetto che vende beni o offre servizi online». In che modo il legislatore ha adattato le tradizionali categorie giuridiche ai meccanismi della rete? «Innanzitutto è importante rilevare che la direttiva n.31 del 2000 contiene una serie di articoli relativi alla responsabilità dei provider – intermediari necessari per il funzionamento e lo sviluppo delle attività in rete –, per gli illeciti commessi in rete dai

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Leonardo Bugiolacchi • Illeciti in rete

513 mln internauti È la recente stima sul numero degli utenti internet nel mondo, destinata a crescere insieme alle infrastrutture tecnologiche e al digital divide C&P • GIUSTIZIA

propri utenti o da terzi grazie all’attività di veicolazione e memorizzazione delle informazioni offerta da questi soggetti. L’assoluta novità rappresentata dalle attività dei provider, per una serie di motivi anche di politica del diritto, ha reso difficilmente applicabili le disposizioni già esistenti. Infatti, è in questo gruppo di articoli che si trova anche il riferimento normativo più rilevante per l’attualissima questione della sussistenza o meno di obblighi di controllo dei siti ad opera dei provider di hosting e della sussistenza di responsabilità in caso di omessa rimozione di contenuti illeciti, immessi online da utenti del provider, come pure da terzi, attraverso blog, social network, eccetera. Direi quindi che l’approccio del legislatore, sia nazionale che sovranazionale, sia stato quello di non stravolgere le tradizionali categorie giuridiche, adattandole però alla novità del medium». In che misura si rende possibile il controllo dell’information technology? «Premesso che il soggetto che può vedersi imputare la responsabilità per gli illeciti commessi via internet, non è solo l’autore materiale della condotta lesiva ma, allorché ne ricorrano le condizioni di legge, anche il gatekeeper della rete, vale a dire il provider fornitore di servizi di accesso e, soprattutto, il provider che fornisce servizi di memorizzazione permanente, detta hosting, ritengo che più che di controllo si debba parlare di disciplina delle attività in rete, insistendo però sul fatto che le attività umane, poste in essere mediante questo nuovo, eccezionale strumento comunicativo, devono essere valutate dall’ordinamento esattamente come quelle che si svolgono offline». Quando è possibile stabilire il coinvolgimento del provider nella responsabilità per illeciti commessi da terzi? «È noto che il mantenimento dell’anonimato online sia abbastanza agevole, con la conseguente difficoltà di individuare il responsabile degli illeciti. È senz’altro questo uno dei motivi che ha indotto il legislatore europeo a inserire nella direttiva sul commercio elettronico anche alcune ipotesi di coinvolgimento del provider nella responsabilità per illeciti commessi da terzi, proprio allo scopo di evitare che i danneggiati restassero privi di risarcimento. Si è quindi optando per un regime mutuato da un atto normativo statunitense – il Digital Millenium Copyright Act del 1998 – che limita la responsabilità del provider a circostanze ben precise: la conoscenza della natura illecita del contenuto caricato in rete e la mancata, successiva rimozione. Ciò dovrebbe significare tuttora che la conoscenza di un contenuto illecito la cui permanenza e diffusione in rete è resa possibile dall’hosting provider, non può comportare la 163


Illeciti in rete • Leonardo Bugiolacchi

AUTHORS’ RIGHT area del diritto d’autore è stata tra quelle più coinvolte dallo sviluppo esponenziale dell’information technology e delle reti globali interconnesse quali internet. Secondo l’articolo 156 della legge sul diritto d’autore, il soggetto che lamenta la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante sulla base della legge sul diritto d’autore può chiedere che venga inibita la continuazione della condotta illecita, non solo al soggetto che effettua l’uploading del materiale tutelato, ma anche all’intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione. Ciononostante, in base all’attuale quadro normativo, risulta difficile addossare al provider un obbligo di controllo circa la titolarità dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno da parte di chi ne effettua il caricamento sugli ugc (user generated content), senza tener poi conto del fatto che qualsiasi tecnica di controllo preventivo che intendesse imporre agli intermediari di servizi obblighi di valutazione del contenuto difficilmente esigibili, sarebbe caratterizzata dal rischio di indurre meccanismi di overdeterrence dei provider i quali, timorosi di vedersi addossare responsabilità, eccederebbero nel limitare “a monte” l’uploading di contenuti, con evidente compressione della circolazione delle idee.

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sua responsabilità, se ad essa, ottenuta a seguito della comunicazione delle autorità competenti si accompagna la pronta rimozione del contenuto illecito. Tale regime risulta per giunta incentrato sul principio basilare della direttiva (recepito dagli stati membri, ed anche dall’Italia, con il decreto legislativo n. 70 del 2003), in virtù del quale sul provider non incombe un obbligo di sorveglianza sui contenuti memorizzati». Quali sono i rischi per la privacy nella società di Internet e della interconnessione globale? «È evidente come questo sia uno dei settori più delicati per il futuro sviluppo della rete e per far sì che essa rimanga un luogo di libertà e democrazia. Sappiamo che il diritto di ciascuno di noi alla protezione dei propri dati personali, sancito dal rispettivo Codice oltre che dal Trattato di Nizza, rappresenta la precondizione per l’esercizio di altri diritti e libertà fondamentali della persona. Da qui l’importanza di mantenere un controllo sui nostri dati personali, spesso scomposti, frammentati, divisi tra i vari soggetti ai quali li forniamo, al fine di poterne verificare l’esattezza, l’aggiornamento, l’uso che ne viene fatto rispetto al trattamento per il quale era stato espresso il consenso e così dicendo. Tale diritto di “autodeterminazione” sui propri dati rischia spesso di svanire in rete, visto che in molte occasioni l’utente non ha neppure la possibilità di rendersi conto che i suoi dati sono oggetto di trattamento. Penso, ad esempio, a quanto avviene nei social network come facebook, nei quali l’utente, una volta accettate le condizioni contrattuali del servizio, cede al titolare dello stesso tutti i diritti sui dati, anche personali, che immetterà via via nella comunità, e ciò anche dopo la sua eventuale cancellazione dalla stessa». Qual è il nodo cruciale da risolvere per un più “quieto” navigare in internet? «Credo che sia fondamentale il superamento della diatriba tra i sostenitori della massima diffusione e accessibilità della rete e sostenitori di un maggior controllo sulla rete stessa. Questi due atteggiamenti vengono troppo stesso considerati inconciliabili e generano tra gli addetti ai lavori – siano essi giuristi, politici, esperti in tecnologie – assurde conseguenze. Si finisce per ritenere che chi tenta di proporre maggiori strumenti di controllo finalizzati all’individuazione dei responsabili degli illeciti e al bilanciamento tra libertà di circolazione delle idee e tutela dei diritti sia un “censore” della rete e che chi propugna soprattutto la libertà di accesso al mezzo senza censure preventive sia tendenzialmente un fautore della rete quale zona franca del diritto. Si tratta di un equivoco dal quale si dovrebbe finalmente uscire, comprendendo che si può ben essere sostenitori della rete quale meraviglioso strumento di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, promuovendone, allo stesso tempo, un uso responsabile». C&P • GIUSTIZIA


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Obbligazioni condominiali • Vittorio Cirotti

Finalmente più armonia tra condomini La parziarietà delle obbligazioni condominiali, dal 2008, ha innovato i rapporti tra i condomini, nel senso di una maggiore armonia. L’obbligazione pro-quota infatti fa superare la paura di dover affrontare esposizioni debitorie molto spesso ingenti. L’analisi di Vittorio Cirotti di Ezio Petrillo

L’avvocato Vittorio Cirotti, patrocinante in Cassazione vcirotti@tiscali.it

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na sentenza della Corte di Cassazione ha introdotto, di fatto, un cambiamento epocale. Si tratta della natura parziaria delle obbligazioni condominiali che può influire in merito a una maggiore tranquillità tra le persone che condividono un condominio. Ne fa un’approfondita analisi l’avvocato Vittorio Cirotti. Dal 2008 la Corte di Cassazione ha sancito la parziarietà delle obbligazioni condominiali. Cosa è cambiato a seguito di questa sentenza? «Il cambiamento è da considerarsi certamente epocale. Infatti, innovando una giurisprudenza consolidata da ormai molti anni, con un solo precedente di diverso avviso, la decisione del Supremo Collegio ha modificato i rapporti contrattuali di creditodebito nell’ambito delle obbligazioni condominiali. La natura delle obbligazioni dei condomini rientra tra quelle c.d. propter rem, in funzione della proprietà comune della cosa e dell’esigenza di provvedere alla sua manutenzione e conservazione ex art.1123 c.c.. Le obbligazioni economiche del condominio sono ormai da considerarsi pienamente divisibili, quindi, ciascun condomino è tenuto a pagare soltanto la sua quota e non può essere chiamato a corrispondere quella degli altri partecipanti al condominio, essendo venuto ormai meno ogni vincolo di solidarietà tra tutti gli appartenenti alla stessa collettività condominiale». Dal suo punto di vista, come giudica questa sentenza? «La sentenza della Suprema Corte di Cassazione rappresenta effettivamente un vantaggio per il singolo condomino, essendo ormai caducato ogni timore di dover provvedere con le proprie

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Vittorio Cirotti • Obbligazioni condominiali

La consapevolezza di dover assolvere le obbligazioni condominiali pro-quota, costituisce motivo di tranquillità nei rapporti interni di ogni condominio

finanze a sanare l’esposizione debitoria della collettività. Sicuramente, quindi, la pronuncia deve considerarsi favorevole ai condomini. Altrettanto non può dirsi per il terzo estraneo, sia esso fornitore, azienda erogatrice o professionista che, per effetto di detta sentenza, sarà chiamato a parcellizzare il suo credito originario nei confronti del Condominio in tanti micro crediti, quanti sono i condomini morosi. Si rileva, a tal fine, nella motivazione della sentenza, il principio che “conseguita nel processo la condanna dell’Amministratore, quale rappresentante del Condominio, il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno”. Il creditore di un condominio dovrà quindi aver cura di predisporre attentamente le misure più appropriate per non trovarsi in difficoltà, in un caso di inadempienza di uno o più condomini. Il tutto senza aver più la quasi certezza di realizzare nel tempo il suo credito, attesa la potenziale insolvenza di uno o più condomini inadempienti, che lo costringerà a lunghe e defatiganti procedure esecutive». Cosa è cambiato dalla sentenza in questo ambito specifico? «Se intendiamo il pagamento dei contributi dovuti dal singolo al condominio, la sentenza non ha innovato nulla, perché in punto alle spese di gestione e conservazione della cosa comune, è pregnante il ricorso al decreto ingiuntivo, con le particolari modalità del procedimento previsto dall’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Quindi, nei rapporti interni al condominio, nessun vantaggio può esser riconosciuto al condomino moroso in forza della sentenza citata». C&P • GIUSTIZIA

Come può influire la parziarietà delle obbligazioni condominiali sui rapporti tra le persone che vivono all’interno del condominio? «Sicuramente la consapevolezza di dover assolvere le obbligazioni condominiali pro-quota e non in solido, costituisce motivo di maggior tranquillità nei rapporti interni di ogni condominio. Non c’è più, quindi, la paura di dover affrontare esposizioni debitorie molto spesso ingenti, che si sono ripercosse frequentemente nell’accrescere l’acredine di alcuni condomini verso gli altri, per rivendicazioni di carattere economico, tali da rendere oltremodo difficoltosa la convivenza di più persone che si trovano ad abitare sotto lo stesso tetto». Secondo la sua esperienza, quali sono gli aspetti che potrebbero essere migliorati sulla normativa che regola i rapporti condominiali? «La recente normativa sulla mediazione obbligatoria ricomprende anche le controversie condominiali. Il contenzioso in materia, che ha ormai assunto rilevantissime dimensioni, non può certo definirsi di natura esclusivamente bagattellare. Infatti, coinvolgendo sempre di più questioni economiche di rilevante entità e rapporti umani di difficile convivenza, le problematiche condominiali, che ormai riguardano molteplici campi tecnico-economico-giuridici, potranno sicuramente essere migliorate da un’applicazione specifica e corretta dell’istituto della mediazione, purché l’Assemblea, l’Amministratore e i singoli condomini facciano dell’istituto l’uso migliore per facilitarne l’utilizzo e rendere meno frequente il ricorso alle aule di Giustizia». 167


Responsabilità medica • Francesco Lauri

Avviamo un confronto sull’errore medico In casi di presunta responsabilità medica, l’approccio stragiudiziale deve privilegiare il dialogo. Solo così, per l’avvocato Francesco Lauri, si deflazioneranno i contenziosi di Giulio Conti

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alasanità. Una piaga sopportata con atteggiamento sempre meno tollerante da parte degli italiani. Serve però un approccio più dinamico e innovativo nell’assistere quanti ritengono di aver subìto danni da un errore medico, da un comportamento sanitario inadeguato, da un’errata manovra chirurgica, oppure da una diagnosi ritardata o del tutto assente. Una possibile risposta viene dall’Osservatorio Sanità, una struttura fondata dall’avvocato Francesco Lauri e dal dottor Nicandro Buccieri con sede a Roma, nella quale medici legali e avvocati operano sinergicamente su tutto il territorio nazionale. «L’Osservatorio analizza con estrema attenzione le prestazioni sanitarie che avrebbero determinato l’errore e, una volta accertato il nesso di causalità tra condotta del medico e danno, assistere il cittadino nel procedimento». L’avvocato Lauri spiega come. Quali sono le prime difficoltà che si presentano in un’indagine medico-giuridica? «L’analisi effettuata a monte dagli esperti dell’Osservatorio, tra i migliori specialisti della medicina che collaborano con i medici legali, avviene sulla base della documentazione acquisita: cartelle cliniche ed esami svolti dal paziente. Quanto più corretta è la documentazione, tanto più lineare e imparziale sarà la valutazione espressa dal team sulla responsabilità professionale. Il primo passo, quindi, è sempre quello di leggere dettagliatamente e minuziosamente le cartelle cliniche». Qual è il migliore approccio legale in casi di responsabilità medica ai danni di un paziente? «Il nostro approccio è prevalentemente stragiudiziale. La volontà è quella di trovare il più possibile un terreno di confronto con le aziende sanitarie. Il che non significa bypassare o rifiutare il contenzioso, ma piuttosto aprire un dialogo senza inseguire la denuncia penale o la citazione in giudizio a tutti i costi. Purtroppo riscontriamo notevoli difficoltà nel relazionarci con alcune compagnie di assicurazione, assolutamente inadeguate e disorganizzate nella gestione di casi complessi». Come evitare il rischio di indebita accusa? «Prima di scrivere una lettera anticipatoria di future azioni giudiziarie, abbiamo l’obbligo morale di richiedere un parere oggettivo ai migliori medici specialisti per eliminare il rischio di citare o denunciare un innocente. Questo modus operandi è noto a molte compagnie con cui ci confrontiamo, con le quali, infatti, vengono definite in bonis la maggior parte delle pratiche. Altre, invece, avvelenano ogni possibile dialogo con silenzi intollerabili e risposte inadeguate, non supportate da alcuna valenza scientifica, ma avente solo carattere dilatorio, costringendoci a intraprendere azioni giudiziarie dall’esito scontato». Quali disposizioni legislative è possibile applicare per

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Francesco Lauri • Responsabilità medica

4 mila segnalazioni Registrate annualmente dall’Osservatorio Sanità di Roma. Nel territorio nazionale, ogni giorno 30 medici vengono denunciati per presunti errori

L’avvocato Francesco Lauri ed il dottore Nicandro Buccieri, fondatori dell’Osservatorio Sanità di Roma, con i loro collaboratori f.lauri@osservatoriosanita.com - www.osservatoriosanita.com

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evitare il contenzioso? «Per fortuna dal prossimo marzo 2011, ai sensi del D.lgsl n. 28 del 4 marzo 2010 sarà obbligatorio l’esperimento di conciliazione in varie materie, tra le quali rientra il risarcimento dei danni da responsabilità medica. Bisognerà quindi rivolgersi a un mediatore iscritto a un registro istituito con decreto del Ministro della Giustizia, per cercare di raggiungere un accordo. Ciò obbligherà le assicurazioni a prendere seriamente coscienza del fenomeno e a fornire risposte concrete, giacché un’offerta inadeguata comporterebbe, in ipotesi di sconfitta giudiziale, pesanti condanne al pagamento di danni aventi anche natura punitiva». Cosa consiglia a un cittadino che si ritiene danneggiato da una cattiva prestazione medica? «Prima che venga intrapresa un’azione civile o un procedimento penale è fondamentale il giudizio di medici specialisti circa la sussistenza o meno di un nesso causale tra il danno subito e l’errore medico. In sede civile, le recenti pronunce della Suprema Corte sull’inversione dell’onere probatorio consentono al cittadino maggiori opportunità di tutela in sede risarcitoria. In sede penale, invece, l’attenzione si focalizza sul maggior grado di probabilità scientifica commisurato al presunto errore. Lo studio legale deve quindi poter effettuare una valutazione oggettiva della situazione, avendo però il coraggio di dissuadere il cliente qualora non vi siano effettivi elementi di responsabilità. In questo modo, si assume una posizione equidistante rispetto a medici e pazienti. I legali dell’Osservatorio Sanità sono infatti obbligati a intraprendere un contenzioso solo nel 20% dei casi, che ci auguriamo venga ridotto dall’introduzione del mediatore, figura che, nelle intenzioni del legislatore assurge a ruolo di vero e proprio deus ex machina nel deflazionare il contenzioso ma che, parimenti, richiede una preparazione e una saggezza non comune». 169


Gestioni sanitarie • Ugo Luini

Fare impresa nella sanità privata Le difficoltà del fare impresa nel ramo sanitario. Le leggi più recenti hanno modificato la filosofia delle strutture private che puntano maggiormente sulla pubblicità personale. Il punto di Ugo Luini di Guido Siniscalchi

ugo.luini@vacupan-italia.it

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ome gestire un’azienda sanitaria nella realtà contemporanea? Tra leggi che cambiano di continuo, una burocrazia opprimente, e il tetto del rimborso per le aziende convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale, fare impresa nel ramo della sanità non è certo semplice. Un’azienda sanitaria deve presentare, tra le altre cose, caratteristiche di autonomia e durata attraverso un’adeguata gestione economica che tenga conto anche dello scenario economico e istituzionale di riferimento. Un’impresa di questo settore, inoltre, possiede elementi di complessità che la caratterizzano nella sua organizzazione e gestione. Essi sono autonomia tecnico-professionale e la necessità di interdipendenza tra funzioni estremamente diversificate. Un’azienda sanitaria è un modello di erogazione assistenziale dipendente da strutture sovraordinate come il SSN. Ugo Luini, analizza le differenze più rilevanti rispetto alle imprese industriali. Qual è la differenza tra la gestione di imprese industriali e quella di aziende del ramo sanitario? «La differenza più grande senza dubbio è data dal rapporto umano con il paziente in quanto un’azienda del ramo sanitario si rivolge per lo più ad un pubblico che si aspetta la risoluzione di un problema personale fisico. Quindi tutta la struttura e la relativa gestione e organizzazione deve tener sempre presente che si parla di salute. Per il resto resta sempre un’impresa con le relative problematiche e difficoltà date dalla gestione di un’azienda». Quali sono le principali difficoltà nella gestione di aziende del ramo sanitario? «Senza ombra di dubbio la legislazione nel campo sanitario è

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Ugo Luini • Gestioni sanitarie

20 mld di euro Sono i numeri della sanità privata. È il giro d’affari, in cifre, che le aziende sanitarie fatturano ogni anno C&P • GIUSTIZIA

complicata e a volte confusa, quindi, per un imprenditore, l’incertezza delle regole crea notevoli difficoltà. A volte, la troppa burocrazia complica in maniera enorme la buona gestione facendo lievitare i costi e mettendo in difficoltà gli operatori sanitari nel poter fornire una buona prestazione medica». La gestione del Servizio Sanitario Nazionale si è costantemente svolta in condizioni di squilibrio finanziario. Cosa pensa a riguardo? «Il problema finanziario per le strutture sanitarie che lavorano con il pubblico è di enorme importanza. Oltre al classico problema di farsi pagare dallo Stato vi è anche una norma assurda che limita il tetto del rimborso alle aziende/strutture convenzionate onde per cui, una volta raggiunto il tetto fissato, la struttura pubblica non rimborsa più il convenzionato e, quindi in teoria, dovrebbe smettere di fornire prestazioni in convenzioni. Tutto ciò rende difficile poter dare un servizio di qualità – come è giusto che sia – a chi viene da un medico per risolvere i suoi problemi di salute. Ciò ovviamente va a tutto svantaggio degli ammalati. Ogni tanto bisognerebbe ricordarsi dei pazienti e ascoltarli per poter dare loro ciò che chiedono. A mio avviso bisognerebbe agire in un modo molto semplice. Basterebbe un maggior controllo sugli sprechi dall’inizio alla fine della filiera e sicuramente si riuscirebbe a risparmiare parecchio». Come coniugare efficienza, funzionalità e qualità per le strutture sanitarie, che svolgono un servizio vitale per la comunità? «L’efficienza è data sicuramente da una buona organizzazione e da una maggiore competenza specifica nelle varie aree della sanità. Nel nostro Paese siamo abituati ad una burocrazia asfissiante che, a volte ingigantisce o sottovaluta problematiche che vanno a scapito del cittadino paziente. Bisognerebbe lasciar fare a persone competenti e preparate giudicandole sui risultati ottenuti e sul servizio reso ai pazienti cittadini». Quali sono le novità in ambito legislativo in questo settore? «Senza dubbio il decreto Bersani con l’introduzione e con la possibilità che ha dato “di fare pubblicità”, ha fornito al settore della sanità una visibilità e una possibilità di farsi conoscere in una maniera incredibile. Adesso si è però passati da un eccesso all’altro. Bisognerebbe fare un tavolo comune tra privato e pubblico in cui si stabilisce un codice di autoregolamentazione, naturalmente diviso tra i vari settori sanitari». 171


Separazioni e divorzi • Marcello Madonia e Giuseppe Marretta

Quando si può chiedere l’annullamento Le statistiche parlano chiaro, i matrimoni hanno una durata sempre più breve. Gli avvocati Marcello Madonia e Giuseppe Marretta, auspicando una riscoperta del valore di questa unione, illustrano la normativa inerente alla separazione e ai divorzi di Guido Siniscalchi

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uando si parla del matrimonio e del suo valore bisogna tener conto che «l’unione coniugale è prima di tutto una “relazione di fatto”» sottolinea l’avvocato Marcello Madonia. Quello che storicamente era un rapporto tra uomo e donna basato su un sentimento, l’affectio coniugalis, per ragioni eminentemente sociali ha, con il tempo, trovato una collocazione giuridica. «In questo ambito il cristianesimo e soprattutto il diritto canonico hanno svolto un ruolo essenziale nell’elevare l’unione di fatto ad istituto giuridico» spiega Giuseppe Marretta. Ora quest’unione è sempre più in crisi. Dal suo punto di vista, quando è possibile richiedere l’annullamento del matrimonio? Marcello Madonia: «In genere è possibile presentare richiesta di annullamento del matrimonio in presenza di un’unione civile mediante la separazione e lo scioglimento dell’unione. In sostanza, sia il matrimonio civile che il matrimonio concordatario possono essere dichiarati nulli. In generale si può affermare che la nullità è disposta quando si è di fronte ad una violazione della legge di carattere estremamente grave e non rimediabile, che sancisce i requisiti per la celebrazione del matrimonio e gli impedimenti dei coniugi». Può fare qualche esempio? «Si pensi al vincolo di delitto perpetrato sull'altro coniuge oppure all'impedimento derivato da un legame di parentela o affinità che non può essere rimosso nemmeno con l'autorizzazione del tribunale. In tali casi, la legittimazione ad agire

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Marcello Madonia e Giuseppe Marretta • Separazioni e divorzi

L’avvocato Marcello Madonia, esperto in diritto di famiglia, esercita la professione a Palermo in società con l’avvocato Gabriele Marretta marcello.madonia@alice.it gabrielemarretta@libero.it

È possibile presentare richiesta di annullamento in presenza di un’unione civile mediante la separazione e lo scioglimento dell’unione in giudizio, ovvero il potere di chiedere la nullità del matrimonio, spetta a più persone oltre ai coniugi, fra cui gli ascendenti prossimi, il pubblico ministero e tutti coloro che hanno un interesse legittimo e attuale ad ottenere una tale pronuncia. Solo in ben limitati casi ed entro un anno dall’inizio della loro convivenza, i coniugi potranno chiedere che venga dichiarata l’invalidità del matrimonio. Diversamente, in presenza di un matrimonio canonico, i coniugi avranno a disposizione anche i rimedi propri del diritto canonico. Entrando nel dettaglio, la declaratoria di nullità, che l’Autorità ecclesiastica pronunzia in presenza di matrimoni che non sono divenuti sacramento, può acquistare efficacia nell’ordinamento civile a condizione che vengano rispettati i valori costituzionali del diritto di difesa e della non contrarietà all’ordine pubblico». Ci sono altri casi di annullabilità del matrimonio, previsti dalla Legge? Giuseppe Marretta «Esistono altri casi che la legge considera meno gravi, detti di annullabilità, e che talvolta possono essere sanati con il verificarsi di un evento. Un esempio per tutti: il minore che si sposa senza l'autorizzazione del tribunale dopo un anno dal raggiungimento della maggiore età non può più chiedere l'annullamento. Quanto al matrimonio concordatario si osserva che il tribunale ecclesiastico dichiara solo la nullità del matrimonio se riscontra che motivi di particolare gravità permettono di considerarlo, quanto agli effetti, come se non fosse mai stato celebrato». Quali sono i motivi più frequenti di annullaC&P • GIUSTIZIA

mento? M.M. «I più frequenti motivi di nullità sono l'esclusione di una delle finalità essenziali del matrimonio ovvero la fedeltà, l'indissolubilità del vincolo, la procreazione, l'impotenza dell'uomo e della donna, la violenza fisica e il timore, l'errore sulla persona del coniuge. Una volta ottenuta la pronuncia del tribunale ecclesiastico, al fine di conseguire gli effetti dello stato libero derivanti dall'annotazione della sentenza presso i registri dello stato civile, occorrerà chiedere alla Corte d'appello la declaratoria di validità mediante un procedimento detto giudizio di delibazione». Quali sarebbero i benefici e quali le difficoltà per chi decidesse di ricorrere al “divorzio breve”? G.M. «L’eccessiva riduzione dei tempi di attesa per il divorzio rappresenta un possibile pericolo per la stabilità della famiglia e di contro una maggiore opportunità di libertà per i coniugi che aspirano a rifarsi una vita sia sotto il profilo economico, visto che l’assegno di separazione è spesso maggiore rispetto a quello divorzile, sia sotto il profilo sociale». Ritiene che l’Italia potrà mai concedere il matrimonio ai gay come già accade in altri Paesi? M.M. «Il Legislatore dovrà avere il coraggio di accogliere definitivamente o respingere le istanze di quanti invocano questo riconoscimento giuridico. Se il Legislatore definisse, come qualcosa di ben diverso dal matrimonio, ma altrettanto disciplinato e garantito, le unioni stabili di persone, allora, il profondo valore etico e sociale del matrimonio, ne potrebbe uscire fortificato». 173


Il fenomeno stalking • Massimo Pistilli

Lo stalking tra realtà e diritto Perseguitare con telefonate, messaggi, appostamenti è un reato e la legge sullo stalking trova applicazione anche nel nostro Paese. L’avvocato Massimo Pistilli traccia un quadro di questo fenomeno di Eugenia Campo di Costa

L’avvocato Massimo Pistilli nel suo studio di Roma massimopistilli@tiscali.it

a società si trasforma. E il diritto deve seguirne le evoluzioni per tutelare i cittadini. Una delle più recenti fattispecie di condotta delittuosa censurate dall’ordinamento penale italiano è lo stalking, vale dire l’atteggiamento tenuto da un individuo che affligge un’altra persona, perseguitandola e ingenerandole stati d’ansia e paura che possono arrivare a compromettere il normale svolgimento della quotidianità. Il verbo “to stalk” è traducibile con il significato di “inseguire furtivamente la preda” e il termine stalking è stato mutuato dalla letteratura scientifica anglofona in tema di molestie assillanti. «Lo stalker – spiega l’avvocato Massimo Pistilli - è il cosiddetto “persecutore”, estraneo, conoscente, collega o ex partner che agisce spinto dal desiderio di recuperare il precedente rapporto o per vendicarsi di qualche torto. Lo stalker può essere anche un soggetto affetto da disturbi mentali, che ha perso il contatto con la realtà ed è convinto di avere effettivamente una relazione con l’altra persona». Quando l’atteggiamento persecutorio è diventato reato? «Lo stalking, considerato reato già da tempo in diversi paesi, in Italia è stato introdotto soltanto di recente con il D.L. 23 febbraio 2009, n.11 meglio conosciuto come Decreto Maroni. La norma ha trovato la sua collocazione nel codice penale all’art. 612 bis con il titolo di “atti persecutori” ove al I comma il legislatore ha stabilito che:“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno da cagionare un perdurante e grave stato di ansia e di paura ovvero di ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da re-

lazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. A ciò si aggiungono alcune norme accessorie, ossia l’aumento di pena in caso di recidiva o se il soggetto perseguitato è un minore». Quali condizioni permettono la punibilità del reato? «È necessario che la vittima presenti denuncia contro lo stalker entro sei mesi dal verificarsi dell’atto persecutorio. Nei confronti dello stalker sono previste alcune misure cautelari quali il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, o comunque lo stabilire una distanza minima dalla persona offesa e dai luoghi da quest’ultima frequentati. È, altresì, previsto che, tanto l’ordine di allontanamento dalla casa familiare, quanto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, siano comunicati dal giudice ai servizi socio – assistenziali e alle autorità di pubblica sicurezza, sia per impedire efficacemente la reiterazione della condotta sia per consentire l’eventuale sequestro di armi o munizioni». Quando si è avuta la prima condanna per stalking? «Nell’aprile 2010 ed è stata inflitta dal Tribunale di Forlì ad un imprenditore edile di Bertinoro. L’uomo si era invaghito di una donna e per svariati mesi l’aveva tempestata di sms anche di carattere minatorio. Il GIP, dottor Michele Leoni, su richiesta del PM, ha adottato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Più noto è il caso di Michelle Hunziker, perseguitata da un uomo che la minacciava e la costringeva a vivere in un clima di terrore dopo averle inviato una lettera anonima con dentro una lametta da barba e la promessa di deturparle il viso. In una palazzina di Contrà Do Rode, a Vicenza, inoltre, un’intera famiglia è stata perseguitata da una giovane coppia di fidanzati. È proprio vero che se non c’è limite all’odio, non c’è neanche limite, purtroppo, allo stalking».

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