Dossier Toscana 02 2011

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Silvia Betti

Volevo evidenziare gli ostacoli verso cui una donna va incontro scegliendo di fare impresa a Lucca. Ho tenuto anche dei convegni su questo tema. Ci sono troppi, troppi ostacoli per noi donne

Silvia Betti. Nella pagina a fianco, una veduta della città di Lucca

Forza Italia proprio all’interno della commissione provinciale per le pari opportunità, in qualità di coordinatrice e vicepresidente. Come mai scelse di affrontare questa avventura politica? «Perché sentivo il bisogno di offrire il mio contributo a tutte quelle donne che vivevano tali problematiche. Volevo evidenziare gli ostacoli verso cui una donna va incontro scegliendo di fare impresa a Lucca. Ho tenuto anche dei convegni su questo tema. Ci sono troppi, troppi ostacoli per noi donne». Quali risultati ottenne con la commissione? «Devo dire che quell’anno fu molto proficuo. Anche perché, al di là della tematica di genere, si diede peso all’importanza cruciale che riveste il diritto del lavoro ai fini della parità sociale. Lavoro significa indipendenza, autonomia. Tasselli fondamentali nel quadro dei nostri diritti civili. Nella società in cui viviamo soltanto chi è libero economicamente lo può essere anche nel pensiero». A quali donne, soprattutto, si è rivolta? «Ho insistito per dare una possibilità a tutte

quelle signore, che magari avevano superato già i quarant’anni, che dovevano trovare un nuovo posto di lavoro. Un tema centrale specie in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo e non solo per il genere femminile. Il lavoro, ribadisco, è un diritto fondamentale. Dobbiamo partire da questo presupposto». Cosa rischia, anche in termini economici, una società che invece opera su presupposti differenti, come quelli che lei condanna? «Il problema fondamentale della cultura d’impresa italiana, in particolare qui a Lucca, ma anche in molte realtà del Mezzogiorno, è che si dà quasi per scontato che a dover succedere alla guida dell’azienda di famiglia debba essere il figlio maschio. Le donne si ritrovano spesso a ricoprire ruoli di segretariato, o comunque marginali. E si capisce che con questa logica a guidare le imprese non siano sempre coloro i quali dimostrano capacità o senso degli affari». Per cui il problema parte dal passaggio generazionale? «È un momento strategico. Il figlio maschio non è detto che sia più bravo delle sorelle o delle cugine a portare avanti l’impresa. E questa logica ha portato a moltissime situazioni di stasi e arretratezze aziendali. Troppo spesso le donne si sentono dire che lavoro devono fare, come lo devono fare e per chi lo devono fare». La crisi potrebbe cambiare, culturalmente, le carte in tavola? «No, purtroppo ci fa arretrare ancora di più. Nei momenti di difficoltà si predilige sempre la tutela dell’uomo, del capofamiglia. Quando sale il tasso di disoccupazione, si cerca di riservare loro i po- TOSCANA 2011 • DOSSIER • 159


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