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OSSIER LAZIO L’INTERVENTO..........................................11 Giancarlo Cremonesi Paolo Buzzetti

PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................14 Mario Monti

ECONOMIA E FINANZA ACCESSO AL CREDITO......................21 Felice Delle Femine Gianluca Bravin Luigi Abete Attilio Tranquilli EVASIONE FISCALE ...........................32 Claudio Siciliotti Marino Gabellini INDUSTRIA AEROSPAZIALE ...........37 Enrico Saggese Francesco Caio Massimiliano Maselli Paolo Tortora AGROALIMENTARE ............................48 Mario Catania Massimiliano Giansanti Angela Birindelli Erder Mazzocchi

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COMMERCIO..........................................57 Il quadro regionale Giuseppe Roscioli Carlo Mitra PARI OPPORTUNITÀ..........................64 Lella Golfo Emma Bonino Vittoria Carli Alberta Parissi Nunzia Esposito MODELLI D’IMPRESA ........................74 Andrea Di Gregorio e Stefano Valore SICUREZZA SUL LAVORO................76 Antonio Buccellato CRISIS MANAGEMENT......................80 Stefano Leandri FONDI DI INVESTIMENTO................84 Luigi Capitani


Sommario TERRITORIO

AMBIENTE ED ENERGIA

SERVIZI ALLE IMPRESE ...................88 Marina Benvenuti Beatrice Armano

INFRASTRUTTURE.............................112 Marco Pittori, Francesca Romana Monass e Silvia Potena

LA GESTIONE DEI DOCUMENTI.....93 Aldo Sciamanna

SICUREZZA ..........................................114 Angelo Cacciotti

TUTELA DEL TERRITORIO .............146 Corrado Clini Marco Mattei Roberto Troncarelli Bruno Placidi

E-COMMERCE ......................................94 Ignazio Ciampi

EDILIZIA..................................................118 Lucilla Leggi Mario Cipriani Mauro ed Enzo Fabrizi Armando Scaccia Erasmantonio Rossi Lorenzo Monardo Luca Cappadocia

CONSUMI................................................96 Mauro Loy TECNOLOGIE.......................................100 Elisabetta Bucciarelli Gianmarco Vittori Andrea Di Gregorio e Stefano Valore Stefano Cristaldi Raffaele Berardi

MATERIALI ...........................................134 Pietro Zola EVENTI ...................................................137 Mattia Tiraboschi TURISMO...............................................138 Piero Gnudi Stefano Zappalà Gianni Alemanno

RINNOVABILI.......................................154 Andrea Maiani GESTIONE DEI RIFIUTI ....................156 Bruno Landi

GIUSTIZIA LAVORO, SALUTE E PREVENZIONE...................................162 Oreste Tofani Antonio Napolitano Francesco Tomei

SANITÀ FARMACI SICURI ...............................170 Emilio Stefanelli Antonio Concezio Amoroso Adriano Redler POLITICHE ANTIDROGA..................179 Giovanni Serpelloni L’INDUSTRIA DEL FARMACO .......184 Massimiliano Baldassari OFTALMOLOGIA.................................186 Giancarlo Falcinelli TRAPIANTI............................................188 Guido Ciranna, Christian Brogna e Pietro Luchetti

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Accesso al credito, priorità per le pmi di Giancarlo Cremonesi, presidente della Camera di Commercio di Roma e di Unioncamere Lazio

l nostro Paese sta affrontando un periodo cruciale per la sua tenuta economica e sociale. Le ripercussioni sul nostro sistema economico regionale sono inevitabili. Dal 2008, anno in cui hanno cominciato a manifestarsi i primi effetti significativi della crisi finanziaria, il Lazio ha dimostrato, pur nelle difficoltà, una capacità di tenuta superiore al resto del Paese. Nell’ultimo periodo, però, i principali indicatori economici regionali hanno registrato un progressivo peggioramento. Il 2012 sarà sicuramente un anno molto problematico anche per il nostro territorio; inoltre, i vincoli di bilancio dello Stato comporteranno una inevitabile contrazione della spesa pubblica che rappresenta, più che altrove, una fondamentale risorsa per l’economia regionale. Per comprendere la gravità della crisi porto solo l’esempio del comparto delle costruzioni, che conta, stando agli ultimi dati di dicembre 2011, 88.495 imprese registrate alle Camere di Commercio delle 5 province laziali e occupa oltre 200mila dipendenti. Nel 2011 le ore autorizzate di cassa integrazione guadagni nell’industria edile della regione sono state, secondo i dati Inps, 6,4 milioni, in aumento del 35% rispetto al 2010 e addirittura di quasi il 400% rispetto al 2008. Cosa fare per ridare slancio alle nostre imprese e, dunque, alla nostra economia? La priorità assoluta è quella di sbloccare l’accesso al credito per le Pmi, che rappresentano oltre il 98% del nostro tessuto imprenditoriale e un fondamentale bacino di tenuta occupazionale e sociale. Queste imprese utilizzano il

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credito bancario come principale canale di finanziamento delle proprie attività. Le recenti disposizioni dell’Eba e le tensioni sui debiti sovrani della zona Euro che hanno colpito, in particolare, l’Italia, hanno causato non solo un aumento dei costi di finanziamento, ma anche una pericolosissima contrazione del credito. Una situazione che non ci possiamo permettere: dopo tre anni di forte crisi, questi fattori rischiano di essere un mix letale per moltissime imprese. E a essere più penalizzate saranno proprio le piccole e piccolissime aziende che, a differenza di quelle di dimensioni maggiori, utilizzano il canale del credito bancario quale principale forma di finanziamento per le proprie attività. Occorre, dunque, intervenire rapidamente, anche con misure straordinarie. Ma oggi, non domani. Non c’è più tempo per dilazionare decisioni o per rinviare provvedimenti incisivi sul fronte dello sviluppo. La Camera di Commercio di Roma è impegnata ad agevolare l’accesso al credito delle imprese attraverso una pluralità di azioni, come il sostegno alla crescita del patrimonio di garanzia dei consorzi fidi e la garanzia fideiussoria sulle linee di credito concesse dalle banche alle piccole imprese. Abbiamo varato queste iniziative in un momento difficile, ma non di eccezionale gravità. Ora, invece, il momento è eccezionale e richiede decisioni eccezionali. Per questo, la nostra istituzione ha deciso la creazione di un nuovo fondo di garanzia per l’accesso al credito per le pmi romane. LAZIO 2012 • DOSSIER • 11


IN COPERTINA

I COMPITI DEL PROFESSORE E LE RELAZIONI CHE CONTANO La priorità del Governo Monti è stata quella di restituire credibilità al Paese. Da un lato ha seguito la via tracciata dal Governo Berlusconi. Dall’altro ha messo in campo iniziative che danno l’impressione di affrontare i problemi storici dell’Italia Renato Farina, deputato della Repubblica

na delle ultime foto “internazionali” di Monti lo raffigura con il viso così vicino a quello di Angela Merkel da rasentare l’idea del bacio. Che sia un bacio appassionato è impossibile: Monti è così freddo che quando dona il sangue devono prima scaldargli il braccio; ma un bacetto era nello stato delle cose. Tutti vorrebbero baciare Monti in giro per il mondo. È il paradosso italiano: nel momento di massima debolezza della nostra politica estera, l’immagine, ma anche la sostanza, dell’inquilino di Palazzo Chigi è lucidata come argenteria a Westminster. Però teniamocelo. Giova. L’economia è anche fatta di quell’elemento imponderabile eppure pesantissimo che è il dato psicologico. E ora almeno quello gira giusto, e si vede dallo spread.

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La Merkel lì immortalata felice era venuta a Roma per un incontro in precedenza rimandato a causa di un problema tedesco. A quel tempo c’era una tensione fortissima tra i due Paesi, e l’Italia pareva lì con la manina tesa per l’elemosina dinanzi a una maestrina neghittosa. Un mesetto dopo, il 13 marzo, data della foto romana, la situazione si era rovesciata. Se all’inizio del suo mandato il nostro Bocconiano era andato a ricevere i compiti a casa, adesso è considerato lui il Professore che impartisce lezioni, visto anche da quelli che disprezzano volentieri l’Italia (tipo Economist e Time) l’Angelo della salvezza dell’euro. L’Angela oggi confida in Monti per avere meno grane in casa, per addolcire il nazionalismo estremo della sua base e dei suoi alleati, che sarebbero pronti a tutto, persino a rinunciare a un etto di crauti, pur di fare uno

sgarro agli italiani visti come pizza, mandolino, spazzatura e mafia. Del resto l’impostazione del premier tecnico sulle questioni del debito e del credito, dei bund e dei bond - portata avanti insieme all’altro SuperMario italiano alla Banca centrale europea, cioè Draghi - sta smorzando (sia chiaro: non risolvendo!) la crisi finanziaria. Mi colpì subito la stima riservata a Mario Monti a Strasburgo. Il giorno del suo esordio a France 1 lo definirono così: “Illustre eurocrate”. Da noi suona male, ma al Nord è come dire: è uno dei nostri, fidiamoci. E lo hanno dipinto come l’opposto di Berlusconi, che il combinato disposto di giornali, tivù e magistratura italiani, aveva deformato per odio e invidia. Ma non è vero, neanche un po’: sia nella testa di Monti che nella realtà delle scelte. Mi resta impressa una battuta di Silvio Berlusconi il


Mario Monti

giorno in cui il successore da lui di fatto designato ottenne la fiducia alla Camera (quattro mesi fa, anche se sembra un secolo): «Se al posto di Tremonti ci fosse stato Monti sarei ancora sullo scranno da cui parla Mario». Diciamo allora che la stima internazionale di Monti comincia ad Arcore. Un temperamento opposto a quello del Cavaliere, ma essendo entrambi di origini varesine (anche Berlusconi mi raccontò che la sua fami-

glia veniva da quelle zone) hanno un’idea del lavoro simile. Anche Tremonti è di quelle latitudini e quasi longitudini, da valtellinese di confine, e oggi è facile metterlo in croce, ma andrebbe rimesso in alto: resta un genio, rovinato dal carattere. Monti forse non è un genio, si giova però di un carattere imperturbabile. Va forte lui, ora. C’est la vie. Per venire poi a un’analisi più puntuale, enuncio ancora un’osserva-

zione generale. La presidenza del Consiglio di Mario Monti verrà ricordata, forse, più per le azioni in politica internazionale che per quelle in politica interna. A dire il vero, le seconde risultano in realtà funzionali alle prime. La priorità del governo Monti è infatti quella di ristabilire la credibilità del nostro Paese in un senso molto concreto: come debitore. Per ristabilire questa credibilità sono state poste in essere azioni di carattere diverso. LAZIO 2012 • DOSSIER • 15


IN COPERTINA

Da una parte, il governo ha prose- bero confronto elettorale. Il presi- ben altre dosi di liberismo avrebbe guito sulla strada del consolidamento della finanza pubblica - seguendo una via tracciata, nei fatti, dal Governo Berlusconi, autore di due manovre che pesano (detto brutalmente) per più del 60% dell’aggravio del prelievo fiscale sugli italiani a seguito della drammatica crisi del debito. Dall’altra, il governo ha dovuto porre in atto iniziative che - dalle liberalizzazioni alla riforma del mercato del lavoro adesso in discussione - dessero agli osservatori internazionali l’impressione fondata che l’Italia è, finalmente, pronta a venire alle prese con i suoi problemi di lungo periodo. Nulla di quanto è stato intrapreso è stato fatto per ideologia. Il Governo Monti non sortisce da un li16 • DOSSIER • LAZIO 2012

dente del Consiglio non è stato eletto in ragione di una sua visione del futuro del Paese. Egli questo lo sa benissimo, ed è ben attento a non sovrapporre perfettamente le proprie opinioni con l’azione del governo. In questa distanza misteriosa tra quello che fa e quello che pensa, sta il suo fascino. Si sa che è un uomo sicuro e competente, ma di che cosa sia sicuro, sui vasti campi del bene comune, non si sa e non si dice. Le stesse liberalizzazioni (sono quelle che avrebbe fatto Monti se avesse avuto i voti dal popolo per le sue idee?) sono state accusate dai liberalizzatori militanti di essere una mera cura omeopatica, per un malato che di

avuto bisogno. Monti è, in questo senso, un “tutore” più che un “ortopedico” dell’economia italiana. Il problema che egli ha dovuto risolvere era di palmare evidenza: il fatto che il resto del mondo, a fronte di fondamentali macroeconomico considerati solidi dagli economisti del ramo, fosse arrivato a pensare all’Italia come una tessera


Mario Monti

Nulla di quanto è stato intrapreso è stato fatto per ideologia. Il Governo Monti non sortisce da un libero confronto elettorale. Il presidente del Consiglio non è stato eletto in ragione di una sua visione del futuro del Paese

del domino che, cadendo, poteva travolgere tutta la costruzione dell’euro. Egli viene investito del ruolo di governare l’Italia sulla base anche di una visione ormai internazionalmente condivisa dei problemi del nostro Paese. L’eco di questa visione è nella lettera della Bce al Governo Berlusconi dell’agosto scorso. In quel testo, il presidente uscente Trichet e il presidente entrante Draghi mettono nero su bianco nient’altro che quella che è la percezione diffusa sui problemi, visti come magagne storiche, dell’Italia. L’alto debito pubblico è insostenibile di per sé, e ancora più reso tale dalla bassa crescita. Pertanto bisogna assieme ridurre la spesa pubblica e porre in essere provvedimenti che aiutino a tor-

nare a crescere. Questo “common wisdom” traspare dagli articoli del Financial Times così come del Wall Street Journal. È riconosciuto dall’Index of Economic Freedom così come dalla classifica Doing Business. È, insomma, pensiero condiviso dei grandi della terra. Monti è, detto brutalmente, uno di loro. È stato commissario europeo per due mandati: conosce i grandi del pianeta avendoli incontrati al livello più alto possibile, per un europeo. Di famiglia alto borghese, ha studiato in America (fra gli altri, con il Nobel James Tobin), ha una storia di banca (la Comit) e d’impresa, avendo frequentato i consigli di amministrazione d’imprese di rilevanza internazionale come la Fiat e l’Ibm. Fa parte di club esclusivi come la Commissione Trilaterale: che non sono cospirazioni che ambiscono a governare il pianeta, ma semplicemente momenti nei quali si stringono relazioni ai più alti livelli e si discutono studi e ricerche sul futuro dell’economia mondiale. Gli italiani stimati nel mondo, in questo ambienti ovattati, sono molti, ma pochissimi al livello di Monti. Forse solo Mario Draghi, però - come dicevamo - già chiamato a governare la Banca centrale

europea, e, per altri versanti, e in un’altra ala più tedesca di questo salotto, Giulio Tremonti. Insomma, che la scelta per un “traghettatore” dell’Italia fuori dalle secche di una percepita inaffidabilità cadesse su Monti, era scontato. Meno scontate sono state le sue azioni. Ho accennato all’opera di consolidamento “economico” del nostro Paese. Il rettore bocconiano è un uomo dei fatti. Ma è anche un uomo di relazioni. Era imprevedibile - e sarà, credo, il suo maggiore merito agli occhi della storia - che Monti mettesse con tanta convinzione il carico da novanta delle sue relazioni a servizio dell’Italia. Egli ha preso a modello non tanto i capi di Stato o di governo, ma gli amministratori delegati delle grandi imprese, e ha preso a girare per una sorta di “road show”: come fa chi vuole presentare la bontà dei risultati raggiunti ad analisti e investitori, per attirare a suo proprio vantaggio capitali freschi. È andato, a questo scopo, alla City e a Wall Street. Ma, contestualmente, Monti ha anche identificato un ruolo originale per l’Italia, nella grande famiglia europea: un ruolo meno schiacciato sui due grandi Germania e Francia, e invece dialogante con i nuovi Paesi membri e con la Gran Bretagna. È qui che forse più che con ogni altra scelta LAZIO 2012 • DOSSIER • 17


IN COPERTINA

L’incontro con Obama ha certificato il ritorno dell’Italia nell’alveo dei Paesi “affidabili”, sul piano debitorio e politico

egli è riuscito a ristabilire il prestigio Obama. L’incontro con il presidente del Paese. Lui, ultra europeista e nemico ideologico degli euroscettici, si è ricordato di essere stato, prima ancora, un ardente anglofilo. E così ha costruito, sui temi europei, una special partnership con David Cameron, premier britannico rimasto escluso dall’asse Merkozy. (La vicenda nigeriana non tocca Cameron-Monti, ma i cattivi rapporti tra i servizi segreti). Di impatto ancora superiore è stata sicuramente la visita di Monti a Barack

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americano ha certificato, con la più opportuna delle patenti, il più indelebile dei bollini blu, il ritorno dell’Italia nell’alveo dei Paesi “affidabili”, sul piano debitorio e politico. Le doti di Monti negli incontri internazionali sono le stesse che gli italiani hanno visto nell’uomo, nelle sue performance televisive e nei suoi slanci di comunicatore: cioè la capacità di comunicare, col massimo della semplicità e con parole scandite magari un po’ roboticamente,

l’azione politica del governo e una sana aspirazione politica a restituire al Paese l’immagine che merita. È chiaro che la comunicazione non basta, e un tale investimento in comunicazione si espone persino a qualche critica da parte dei partiti politici: Monti dovrebbe “parlare di meno” e “fare di più”. Ma in un mondo nel quale a contare è la reputazione dell’Italia “parlare” significa più che mai “fare”. Il presidente del Consiglio l’ha fatto nel modo più efficace possibile, date le circostanze. «Quando Silvio si dimetterà (…) il governo sarà capeggiato da Mario Monti». Questa la profezia pronunziata da Francesco Cossiga nel 2008, sta (mi faccio réclame) nel mio libro Cossiga mi ha detto (Marsilio) a pagina 37: “Quando Silvio si dimetterà il governo sarà capeggiato da Mario Monti”. A quanto pare non era una profezia di sventura. O almeno sperèm…




CREDITO & IMPRESE

IL RUOLO DEL SISTEMA CREDITIZIO PER LA CRESCITA ECONOMICA

RISORSE FINANZIARIE PER LO SVILUPPO SOSTEGNO ALLE IMPRESE DEL TERRITORIO PER CREARE RICCHEZZA E LAVORO

Lo scorso 28 dicembre l’Istat ha pubblicato il rapporto “L’accesso al credito delle piccole e medie imprese”, frutto dell’indagine comunitaria “Access to finance” che si poneva l’obiettivo di studiare gli ostacoli all’accesso ai mercati finanziari per le imprese e i loro cambiamenti nel corso del tempo, analizzare le necessità future legate al reperimento di risorse finanziarie e identificare a quali soggetti si rivolgono le imprese per ottenere finanziamenti. Secondo i dati Istat, le pmi hanno incrementato l’attività di ricerca di finanziamenti dal 2007 al 2010, passando da un 36,5% a un 52,2%. La modalità principale attraverso cui reperire risorse è stata la richiesta di credito con il 27,1% del 2007 e il 33,9% del 2010. La percentuale di imprese che, però, hanno chiesto finanziamenti ottenendoli è calata dall’87,5% del 2007 al 79,8% del 2010.

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BANCHE E IMPRESE NAVIGANO VERSO LA RIPRESA Un confronto sempre più aperto e costruttivo tra sistema bancario e imprenditori è ciò che Felice Delle Femine, presidente della commissione regionale dell’Abi, auspica per l’avvio di una duratura fase di crescita economica Renata Gualtieri

pesso le piccole e medie imprese sottolineano la reticenza da parte delle banche a concedere prestiti. Il riscontro che offrono gli indicatori dell’Associazione bancaria italiana, però, non conferma questo scenario. Felice Delle Femine, guardando alla situazione del Lazio, parla piuttosto di un andamento positivo dei prestiti alle imprese, con una crescita annua, nel 2011, pari al 7 per cento. «È opportuna sicuramente – precisa il presidente dell’Abi Lazio – un’analisi approfondita, che monitori l’andamento dei prestiti alle piccole e medie imprese». Non si può parlare dunque di reticenza da parte delle banche quanto piuttosto, come precisa Delle Femine, di una inevitabile selettività che si affianca a una carenza di domanda di credito da parte delle pmi, soprattutto a medio e lungo termine, destinati a investimenti. «Questo dato

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Sopra, Felice Delle Femine, presidente della commissione regionale Abi

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va letto però tenendo conto dell’attuale costo del funding, visto l’andamento dello spread». A questo proposito, nell’ultimo periodo si registra un trend positivo, fondamentale per la ripartenza degli investimenti. Quali iniziative ha in programma Abi Lazio per favorire i rapporti tra banche e imprese? «Lavoriamo per favorire sempre di più le sinergie con gli interlocutori istituzionali e con le associazioni di categoria per creare opportune logiche sistemiche che dovranno vedere sicuramente coinvolti gli altri intermediari finanziari, tra cui Cofidi, Bil, Fondo centrale di garanzia». Borsa Italiana, Abi e Confindustria hanno firmato un’intesa per sostenere le piccole e medie imprese che parteciperanno al progetto “Elite” di Borsa italiana. Quali effetti


benefici l’accordo potrebbe apportare sul territorio? «È un accordo indubbiamente positivo perché rinnova la fattiva collaborazione tra i settori cardine dell’economia italiana. Il progetto è uno strumento di potenziamento e training dedicato alle pmi che desiderano strutturarsi per accedere al mercato dei capitali, facilitandone i processi di patrimonializzazione, crescita e internazionalizzazione necessari per aumentare la competitività e lo sviluppo. In questo momento non facile le banche e le imprese stanno mettendo a fattor comune il proprio impegno, lavorando insieme per sostenersi e dare risposte concrete ai problemi del Paese. È importante mettere in campo iniziative che favoriscano lo sviluppo culturale e la crescita complessiva della dimensione delle imprese italiane. Il progetto “Elite”, rafforzando la cultura manageriale delle imprese, l’adozione di sistemi formativi e informativi più trasparenti, può contribuire a irrobustire le imprese e ad agire positivamente anche nelle relazioni con le banche». Le banche sono sotto pressione e le imprese, non ancora fallite, faticano a ottenere fidi per investire. È d’accordo con il presidente dell’Abi Mussari che dichiara che «banche e imprese sono sulla stessa barca»?

E come i due soggetti possono lavorare insieme per sostenersi e dare risposte concrete ai problemi del Paese? «Durante la crisi il credito non ha subito riduzioni, neanche nel 2009 al tempo di un Pil italiano negativo. Inevitabilmente c’è stato un rallentamento nel tasso di crescita dei prestiti alle imprese: a dicembre abbiamo registrato un +4,1% e rispetto alla fine del 2010, il flusso netto di nuovi prestiti è stato pari a 40 miliardi di euro. Non è affatto poco se consideriamo che le sofferenze lorde sui prestiti concessi è arrivato al 6%, nel giugno 2008 era al 3%. Quest’ultimo aspetto ci pare venga considerato troppo superficialmente. Sono ovviamente d’accordo con il presidente Mussari perché, riaffermando che le banche italiane sono imprese che si confrontano e hanno per clienti altre imprese e famiglie, non essere in grado di servirle sarebbe un venir meno del nostro ruolo. Infatti è di questi giorni il nuovo accordo tra l’Abi e le altre associazioni d’impresa per il credito alle pmi con la sospensione per 12 mesi della quota capitale delle rate di mutuo e altre fondamentali soluzioni per creare le condizioni volte al superamento delle attuali situazioni di criticità ed una maggiore facilità nel traghettare le imprese verso un’auspicata inversione del ciclo economico». LAZIO 2012 • DOSSIER • 23


ASSICURARE IL BUSINESS DALLE TURBOLENZE DEI MERCATI «Le imprese guardano all’assicurazione del credito non come a un costo ma a un investimento». Così Gianluca Bravin, direttore della sede Sace di Roma Renata Gualtieri a anni Sace ha attivato un programma di collaborazione con il sistema bancario per sostenere i progetti di internazionalizzazione delle pmi italiane, mettendo a loro disposizione credit facility, garantite da Sace, per finanziare i loro piani di sviluppo all’estero. Ne hanno beneficiato, ad esempio, aziende provenienti da settori chiave del made in Italy, come Miss Bikini per l’abbigliamento, Brunelli per l’alimentare e Brunoffice per l’arredamento. Ma anche imprese attive in comparti ad alto contenuto tecnologico come Aerosekur e Itp Benelli. «Abbiamo ancora 2,3 miliardi di euro disponibili – sottolinea Gianluca Bravin, direttore dell’area centro-sud e della sede Sace di Roma – stiamo lavorando a un sostanziale rafforzamento del programma e ci stiamo impegnando affinché i fondi messi a disposizione della Banca centrale europea possano essere immessi nell’economia reale». Ma, per Bravin, non bisogna dimenticare che

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anche il ricorso a strumenti assicurativi ha effetti positivi sulla capacità delle imprese di ottenere finanziamenti. «Un’impresa che assicura i propri crediti mette al sicuro il fatturato e rafforza il proprio merito creditizio. Come giudica il rapporto tra le banche e le imprese italiane? «Penso che quello del credito sia un nodo cruciale da sciogliere per riportare la nostra economia su un percorso di crescita di lungo periodo. Credo anche che questo sia un tema di portata tale da richiedere azioni di risposta concertate tra più soggetti: banche, governo, associazioni di categoria e realtà come la nostra. Sace agisce come mitigatore dei rischi e facilitatore di business, e per questo può giocare un ruolo sostanziale in un momento in cui la persistente incertezza dei mercati, le difficoltà dell’Eurozona e la contrazione della liquidità stanno riportando alla ribalta proprio la percezione dei rischi connessi alle attività di business. Inoltre, per le imprese è


diventato strategico affiancare al prodotto un’offerta finanziaria competitiva. Vendere a credito è spesso una scelta obbligata, ma le crescenti incertezze sui tempi di pagamento possono trasformarla in un azzardo insostenibile. L’assicurazione del credito riesce a rispondere a entrambe le esigenze: proteggere l’incasso dell’impresa e rafforzare la propria competitività». Qual è l’impatto dell’attuale congiuntura sulle pmi? «Tutti concordano sul fatto che le strategie per riportare l’economia italiana su un percorso di crescita debbano passare attraverso un rafforzamento della capacità delle imprese di presidiare i mercati esteri, in particolare quelli emergenti da cui proverranno le migliori opportunità, puntando sull’export per controbilanciare la debolezza della domanda interna. Le imprese di dimensioni più piccole, pur rappresentando la spina dorsale del nostro tessuto imprenditoriale, da un lato, sono strutturalmente le più vulnerabili alle sfide dell’internazionalizzazione, che richiedono investimenti ed esperienza considerevoli e, dall’altro lato, sono anche quelle che pagano di più in termini accesso e condizioni del credito». Come sono cambiate oggi le necessità di copertura delle aziende italiane che decidono di andare all’estero? «Dato che la crisi ha minato la fiducia tra gli operatori, osserviamo nelle transazioni inter-

nazionali una continua crescita di richieste di garanzia: noi possiamo emettere le fideiussioni sia direttamente in favore dei beneficiari esteri, sia condividere i rischi di queste operazioni con il sistema bancario, facilitandone quindi, l’emissione soprattutto per conto delle pmi. Recentemente abbiamo affiancato in grandi progetti internazionali imprese del calibro di Ghella e Astaldi e aziende d’ingegneria civile come Aps engeneering, Progetti Europa & Global e StpStudi tecnologie di processo. In generale, le imprese iniziano a guardare all’assicurazione del credito non più come a un costo ma come a un investimento indispensabile per proteggersi dai rischi di mancato pagamento e stabilizzare i flussi di cassa, strategico per diventare più competitive e poter offrire ai propri clienti migliori termini di pagamento, e sempre più utile anche per migliorare l’accesso al credito a condizioni competitive». Un’altra novità importante è la crescente attenzione verso gli strumenti di protezione degli investimenti all’estero dai rischi politici, portata alla ribalta dalla “primavera araba”. «Sì, in Medio Oriente e Nord Africa quest’anno abbiamo concluso operazioni per più di 900 milioni di euro, di cui 113 proprio nei Paesi attraversati dalle turbolenze: oltre il 60 per cento in più rispetto all’anno scorso. Due operazioni su tre sono andate a favore di pmi, mentre in passato erano soprattutto le aziende di dimensioni maggiori a richiedere strumenti di questo tipo». LAZIO 2012 • DOSSIER • 25


NUOVI INVESTIMENTI PER TORNARE A CRESCERE «Il credito deve affluire ma in maniera selettiva, accompagnando le imprese finanziariamente sane». L’analisi di Luigi Abete coordinatore della Consulta delle imprese di Roma Renata Gualtieri economia romana, come quella italiana, attraversa un passaggio molto impegnativo. Ma questa non sarà una recessione “a perdere”, secondo Luigi Abete, perché ci sono le premesse per imboccare un percorso di ripresa di qualità diversa, migliore dei precedenti. «Con il recupero di credibilità che il rientro dello spread ci permette di vantare sui mercati finanziari e con le conseguenze positive che l’allentamento della stretta di liquidità operato dalla Bce riverbererà sul credito dato dalle banche alle imprese, credo che – continua Abete – nel volgere di poche settimane anche la polemica sul credit crunch entrerà nel catalogo di quella cultura del ring di cui dobbiamo sbarazzarci quanto prima». Cosa dicono i dati a Roma? «Dai dati si evince che i prestiti alle piccole imprese, fino a 20 addetti, ammontavano a circa sei miliardi di euro a fine 2011, così come

L’ Nella pagina successiva Luigi Abete, coordinatore della Consulta delle imprese di Roma

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ammontavano a circa sei miliardi di euro a giugno 2011, prima che la crisi dello spread si sviluppasse. Potremmo parlare dunque di stabilità del credito bancario alle piccole imprese, ma non certo di “crunch”, inteso come riduzione dell’offerta a fronte di una domanda comunque vivace. Il punto è che a Roma, come nel resto dell’Italia, la recessione ha ridotto la domanda di credito così come la stretta della liquidità ha creato tensioni sull’offerta. Ora è importante avviare un percorso di recupero da ambo i lati. Il credito deve affluire, ma in maniera selettiva, andando ad accompagnare le imprese economicamente e finanziariamente sane che hanno numeri da giocare nella nuova geografia della crescita. E, insieme al credito, sempre maggiore rilievo debbono assumere i servizi di consulenza della banca all’impresa». La Consulta delle imprese è promotrice di progetti per facilitare il dialogo tra i due soggetti?


«Quando anni fa ho concepito l’idea della Consulta romana delle imprese l’ho fatto con l’intenzione di mettere a disposizione dell’economia e della società romane un laboratorio ove confrontare le idee, elaborare nuove proposte, creare un dialogo nel sistema delle rappresentanze per mettere al centro la crescita e gli investimenti di un sistema-paese che deve agevolare e non ostacolare lo sviluppo. Sono tante le questioni su cui imprese e banche possono già oggi lavorare per chiedere ai policy maker di fare di più. Penso ai ritardati pagamenti della pubblica amministrazione, che rappresentano un vincolo esiziale per tante imprese e costituiscono anche una causa non piccola all’origine del peggioramento della qualità del credito erogato dalle banche. E poi c’è la questione delle garanzie del credito alle pmi». Con quali iniziative e strumenti sostenete lo sviluppo delle piccole e medie imprese, soprattutto nell’ambito dell’accesso al credito? «La Consulta non è un consorzio fidi, ovviamente, né un fondo di garanzia. Ma può essere il luogo per rafforzare gli attuali strumenti di sostegno all’accesso al credito per le piccole imprese. Penso, ad esempio, all’esperienza positiva del Fondo centrale di garanzia, alla Banca impresa Lazio, all’attività dei consorzi fidi. Il Fondo centrale di garanzia ha funzionato bene consentendo l’attivazione di finanziamenti coperti dalle garanzie pubbliche per un totale che dal 2000 a oggi supera i 33 miliardi di euro, oltre il due per cento del Pil italiano; la Banca impresa Lazio può essere uno strumento sem-

pre più efficace per favorire il finanziamento alle aziende laziali, raccordando le risorse regionali e del sistema camerale. Inoltre, stiamo progettando un fondo per capitalizzare le piccole imprese della regione». Durante il convegno “Sosteniamo le nostre imprese: nuove misure per l’accesso al credito”, ha dichiarato che la ricetta per sostenere le piccole imprese è creare una sinergia di tutti i fondi di garanzia. Ci può spiegare come ciò può avvenire e a quali condizioni? «Nel 2010 l’attività dei consorzi di garanzia fidi è aumentata: nel Lazio il valore delle garanzie rilasciate alle imprese è stato di 669 milioni di euro, di questi 123 milioni a favore di imprese di piccole dimensioni. Su base annua l’incremento del valore delle garanzie accordate nel Lazio è stato pari al 35% e al 25% rispettivamente per il totale delle imprese e per quelle di piccole dimensioni, dinamiche di molto superiori al dato medio nazionale (+16,5% e +11,4%). C’è da lavorare affinché questo trend sia rafforzato. D’altro canto tutto ciò è avvenuto insieme a numerose altre iniziative, mi riferisco in particolare a quelle a diretto sostegno all’accesso al credito delle pmi avviate con l’inasprirsi della crisi, e il rinnovo e l’integrazione di misure già attive nel passato: il fondo di garanzia del Ministero dello sviluppo economico, il fondo italiano d’investimento, il “Plafond pmi” della Cassa depositi e altri. Razionalizzare e integrare l’operatività delle diverse misure di supporto ai finanziamenti potrebbe aiutare le Piccole ad orientarsi nella ricerca di fondi per riprendere un nuovo per- LAZIO 2012 • DOSSIER • 27


corso di crescita. La mia idea è chiedere al si- momento congiunturale, ma che hanno i fonstema delle regioni, delle camere di commercio e delle altre istituzioni locali di mettere a fattor comune un pool annuale di risorse che dia ulteriore stabilità e vigore a quella filiera del sostegno al credito che attualmente promana dai confidi al fondo centrale di garanzia». Sul fronte dei confidi occorre sfruttare in modo più efficiente i vantaggi che la normativa già prevede? «Bisognerebbe sfruttare al meglio la via permessa dai consorzi fidi cosiddetti 107, ossia quelli che hanno ottenuto la qualifica da parte di Banca d’Italia di “Intermediari finanziari vigilati” e che sono in grado di offrire la garanzia “Basilea II compliant”, con la quale la banca può ottenere l’incasso della metà delle sofferenze a prima richiesta. Questo faciliterebbe la concessione del finanziamento, perché i rischi verrebbero di fatto ridotti. Per i confidi, un po’ come per le pmi si pone un problema di crescita dimensionale, di aggregazioni e di economie di scala». Ha affermato che non bisogna confondere i casi di tensione o difficoltà di finanziamento a imprese con fenomeni di credit crunch generalizzato. Perché oggi non si può parlare di una dimensione di rischio rilevante e di crisi del credito per le banche? «Ribadisco quella posizione. Nell’affrontare la questione bisogna considerare motivazioni e problemi di tutti i soggetti coinvolti, su entrambi i lati del tavolo. Ci troviamo in una situazione molto difficile: la nostra economia, per la seconda volta in tre anni, è entrata in recessione. Ci sono imprese che soffrono per il

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damentali a posto per affrontare un cammino di rilancio. Ci sono invece aziende di cui, per via non della recessione ma della crisi sistemica dei mercati in cui operano, non è possibile immaginare una crescita sostenibile nel medio termine. Di fronte alle imprese ci sono le banche, per le quali il ritorno della recessione alimenta una crescita sostenuta dei crediti non regolari. A livello sistema per ogni 100 euro di prestiti alle imprese poco meno di 15 prospettano problemi di rimborso. Anche le banche sono imprese e anche per loro la conservazione del patrimonio è altrettanto essenziale. Se ora ci poniamo nei panni dell’impresa non finanziaria rileviamo due difficoltà non meno gravi: la prima riguarda il flusso delle vendite ed è evidentemente il riflesso della congiuntura economica sfavorevole; la seconda riguarda la crescente incertezza dei pagamenti. Quest’ultima fattispecie determina nell’immediato un problema di liquidità che nell’arco di mesi può tradursi in crisi di solvibilità: lo scorso anno oltre il 30% dei fallimenti è stato causato da ritardi nei pagamenti». Cosa accadrà ora? «Credo che, alla luce del rientro dello spread e dell’intelligente azione della Bce, i rischi di credit crunch potranno essere presto archiviati. Sono altresì fiducioso che le banche sapranno rimanere vicine a quelle imprese che oggi soffrono ma che hanno numeri e progetti per tornare a crescere presto e bene attraverso nuovi investimenti. Senza il ritorno a nuovi investimenti non potremo avere né crescita, né stabilità nel medio e nel lungo termine».


UN CONFRONTO PIÙ TRASPARENTE Per superare la diffidenza nel rapporto tra istituti di credito e aziende occorre più dialogo. Il punto sulla situazione regionale di Attilio Tranquilli, vicepresidente di Unindustria Renata Gualtieri ggi la questione principale per le imprese è risolvere il problema della liquidità, il cosiddetto credit crunch, la restrizione del credito. Le imprese italiane, così come quelle laziali, sono investite da gravi criticità finanziarie, ascrivibili anche a una pubblica amministrazione che non riesce a rispettare, ormai troppo spesso, gli impegni presi nei confronti degli imprenditori. «I forti ritardi nei pagamenti – commenta Attilio Tranquilli, vicepresidente degli industriali regionali con delega al credito, finanza e federalismo fiscale – sono alla base delle difficoltà del sistema bancario a finanziare la parte di lavoro che le imprese svolgono per il settore pubblico. E se a questo si sommano una maggiore selettività del credito, che nasce dall’aumentata rischiosità delle imprese, e la negativa particolarità tutta italiana di allungare i tempi di pagamento, ci rendiamo conto che siamo vicini al punto di non ritorno». Un ritardo di paga-

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mento per una committenza pubblica può significare l’uscita dal mercato di un’azienda. È esattamente questo che Unindustria, con il suo lavoro e quello delle banche sul territorio, sta cercando di arginare e evitare». Come valuta il rapporto tra banche e istituti di credito del territorio romano e laziale? «Il rapporto tra le imprese bancarie e le altre imprese è molto migliorato in termini di co- Sopra, noscenza reciproca, e nella percezione dei ri- Attilio Tranquilli, di spettivi problemi. Purtroppo in questa fase vicepresidente Unindustria con delega economica gli interessi, a causa di fattori al credito, finanza e esterni ai due, rischiano di divergere troppo». federalismo fiscale Di fronte alle difficoltà del momento, e soprattutto alle incognite del futuro, come si dovrebbero evolvere le relazioni tra banca e impresa? «Sono convinto che aumentare il livello di trasparenza, reciprocamente, possa aiutare a rimuovere gli ultimi residui di diffidenza che troppo spesso caratterizzano questo tipo di LAZIO 2012 • DOSSIER • 29


rapporto».

Quali i progetti e le attività formative previste da Unindustria per rafforzare ulteriormente il dialogo tra i due soggetti e capire le esigenze finanziarie delle imprese? «Dal 2005 l’Unione degli industriali di Roma prima, e l’Unione degli industriali di Roma, Viterbo, Rieti, Frosinone adesso, annovera tra i propri associati le principali banche italiane, certamente le più significative del nostro territorio. Le abbiamo riunite in un gruppo di cui fanno parte anche assicurazioni e società finanziarie in cui sviluppare i temi propri del loro tipo di lavoro. Inoltre, ho costituito un Comitato credito che riunisce tutte le banche e le assicurazioni associate, i rappresentati del comitato Piccola industria, dei giovani imprenditori e i rappresentanti del nostro consorzio di garanzia fidi, Fidimpresa Lazio, uno dei primi della nostra regione ad aver ottenuto il riconoscimento da Bankitalia. All’interno di

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questo comitato affrontiamo quattro linee di azione: patrimonializzazione delle imprese, liquidità, finanza per lo sviluppo e cultura finanziaria dell’impresa. Per ognuna delle quattro linee che ho citato c’è una soluzione, certamente limitata e di parte, ma che simboleggia la volontà della banca di porsi al fianco dell’impresa, soprattutto in tempi di difficoltà. Purtroppo questo non vale sempre, né per tutte le banche, né per tutte le imprese». Da quale esigenza nasce l’Osservatorio provinciale con il quale realizzare, come ha dichiarato il direttore generale vicario di Intesa Sanpaolo Marco Morelli, un flusso costante di controllo di quello che succede? «Questo accordo è il terzo che Confindustria stipula con questa importante banca, e dopo tre anni nasce l’esigenza di perfezionare e adattare localmente le soluzioni e le risposte alle specifiche necessità del territorio».



EVASIONE FISCALE

Agire contro gli sprechi semplificando il sistema Non basta la battaglia contro l’evasione fiscale se non si eliminano parallelamente gli sperperi e le inefficienze della pubblica amministrazione. Lo afferma Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti Leonardo Testi

i fronte ai 120 miliardi di evasione fiscale stimata all’anno in Italia, si registra per il 2011 un recupero di 12,3 miliardi, un dato non ancora definitivo. Per rafforzare il contrasto al fenomeno, ma non compromettere la coesione sociale, occorre aprire un altro fronte di intervento, come spiega Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. I blitz anti-evasione di Milano e Cortina servono solo dal punto di vista mediatico o ritiene possano contribuire a intensificare la lotta all’evasione? «La valenza mediatica di questi blitz è stata rivendicata dagli stessi vertici dell’Agenzia delle entrate, anche se - a caldo - proprio questa finalità era stata sdegnosamente negata. Il presidio del territorio e i controlli di cassa costituiscono, a ogni modo, tecniche di verifica che, al netto dell’elemento di spettacolarizzazione, ci trovano d’accordo. Uno dei grandi problemi oggi della lotta all’evasione consiste proprio nell’elevata

D Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili

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componente meramente impiegatizia dell’attività di amministrazione finanziaria. Troppi accertamenti vengono fatti a tavolino sulla base di presunzioni e interpretazioni giuridiche, spesso finalizzate più a disconoscere ciò che i contribuenti dichiarano piuttosto che far emergere ciò che non dichiarano. Ben vengano, quindi, le operazioni con le quali si va in concreto a verificare il giro di affari degli esercenti. Dopodichè, è chiaro che il controllo sul singolo giorno non può fare statistica, servono più accessi. Altrimenti tutto si riduce per davvero solo e soltanto a un’operazione mediatica». La lotta all’evasione passa anche per la semplificazione del sistema fiscale. Quali misure a suo avviso sarebbero necessarie in questo senso? «Va benissimo la strada della riduzione dei troppi regimi speciali, agevolati o sostitutivi, che rendono oggi il nostro sistema fiscale eccessivamente intricato. La politica fiscale bisogna farla con le aliquote su basi imponibili chiare e trattamenti fiscali omogenei. Recentemente devo dire, però, che abbiamo continuato ad andare nella direzione opposta. Basti pensare alla miriade di micro imposte patrimoniali diversificate, introdotte sulle attività finanziarie e sugli immobili posseduti sia in Italia che all’estero. Tutto per non inserire un’unica imposta patrimoniale troppo evidente. Sono furberie normative che, alla fine, creano complicazioni davvero inutili».


Claudio Siciliotti

Troppi accertamenti vengono fatti a tavolino sulla base di presunzioni e interpretazioni giuridiche spesso finalizzate a disconoscere ciò che i contribuenti dichiarano

Accanto all’azione contro l’evasione, ha sottolineato l’importanza di arginare la corruzione nella pubblica amministrazione. Come si potrebbe intervenire in questo settore? «È recente l’ennesimo richiamo del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, su una corruzione nel settore pubblico che sarebbe ormai dilagante. Sul fronte della lotta all’evasione si è giustamente fatto moltissimo, attribuendo all’Agenzia delle entrate poteri e strumenti particolarmente incisivi. Sul versante del contrasto alla corruzione, alle ruberie e agli sprechi nel settore pubblico siamo ancora fermi a una Corte dei Conti che si avvale dell’azione investigativa della Guardia di Finanza, corpo al contempo impegnato anche contro l’evasione fiscale e molti altri reati, ma privo di uno specifico braccio operativo

come l’Agenzia delle entrate. Esistesse un’Agenzia delle uscite, si potrebbe attribuirle il potere di svolgere di propria iniziativa accertamenti e di emettere atti di contestazione di danno erariale esecutivi, tali per cui - anche in caso di ricorso e in pendenza di giudizio - risulterebbe comunque dovuta dal presunto dissipatore una somma pari al 30% di quanto contestato, con affidamento della riscossione a Equitalia, negli stessi termini e alle stesse condizioni previste per i casi di atti di accertamento di presunta evasione fiscale». Befera ha annunciato che il nuovo redditometro, basato sull’analisi di oltre 100 voci di spesa, sarà operativo entro il primo semestre del 2012. Cosa ne pensa? Ritiene sarà un provvedimento efficace? «Sull’efficacia non ho dubbi. L’importante è che dall’efficacia non si sconfini nella ferocia. Se le risultanze del redditometro fossero utilizzate come una presunzione legale automatica “a tappeto” si rischierebbe davvero un tilt nel rapporto fisco-contribuente, non fosse altro per la poca disponibilità operativa degli uffici, a fronte di un utilizzo così massivo, per ascoltare le controdeduzioni dei contribuenti prima di spiccare l’accertamento. Va detto che, nonostante il quadro normativo renda questo scenario teoricamente possibile, l’Agenzia delle entrate ha ripetutamente affermato che non lo utilizzerà in tal modo. Per cui mettiamoci tranquilli e vediamo un po’ cosa succede». LAZIO 2012 • DOSSIER • 33


EVASIONE FISCALE

Lotta totale agli evasori blitz anti evasione, come quelli di Cortina e Milano, colpiscono con sempre maggiore frequenza, anche dal punto di vista mediatico, le piccole imprese del commercio. «La posizione del presidente Venturi è chiara – specifica Marino Gabellini, responsabile dell’ufficio tributario e consigliere per le politiche tributarie di Confesercenti – sarebbe opportuno evitare questo atteggiamento “spettacolarizzato” dei controlli; vanno però ribadite l’importanza di effettuare le opportune verifiche e soprattutto l’obbligatorietà nell’emissione degli scontrini». C’è un dato, in particolare, che Gabellini tiene a precisare: «Il 70 per cento dei piccoli imprenditori accertati risulta in regola. Almeno i 2/3 degli operatori hanno adempiuto ai loro obblighi. È quel 30 per cento di soggetti che non rispettano in pieno le regole, a mettere in difficoltà lo Stato e i restanti operatori. Il mancato pagamento delle imposte diventa, infatti, un elemento di concorrenza sleale che - insieme all’abusivismo crea notevoli problemi a quanti tentano di lavorare in maniera corretta». Quali sono le misure anti evasione che Confesercenti ritiene sia necessario mettere in campo? «Sono tre le principali direttrici individuate. La prima è il maggior ricorso alla moneta elettronica. In questo senso, occorre porsi seriamente il problema degli aggi, le commissioni che richiedono i gestori di carte prepagate, bancomat e carte di credito, e che potrebbero essere meno gravosi. Nell’acquisto di prodotti elettronici o gioielli, a fronte di un prezzo elevato del bene acquistato, una piccola percentuale di commissione potrebbe non incidere sul guadagno del commerciante, mentre ben diverso è il discorso per altri tipi di attività, come ad esempio i distributori di carburante. Era stata inserita nella manovra una norma specifica che favoriva l’acquisto,

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Sono tre le misure avanzate da Confesercenti per contrastare l’evasione fiscale. Senza criminalizzare alcuna categoria in particolare, bisogna agire a 360 gradi intervenendo su semplificazione, moneta elettronica, studi di settore. Lo spiega Marino Gabellini Francesca Druidi


Marino Gabellini

presso i benzinai, di carburanti fino a 100 euro senza alcun aggravio per il gestore. Una norma però sospesa nell’accordo generale chiamato a rivedere le commissioni nell’impiego della moneta elettronica. In definitiva, il maggiore ricorso alla moneta elettronica può seriamente combattere l’evasione e, al contempo, rappresentare uno strumento utile per ridurre il rischio di rapine e in generale i pericoli connessi all’uso del contante». La seconda linea guida invece? «Riguarda il potenziamento degli studi di settore. Attualmente, lo studio di settore agisce ex post, solo successivamente o al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi o su richiesta dell’amministrazione finanziaria per controllare i risultati dichiarati dai contribuenti. Bisognerebbe, invece, invertire questa tendenza. Con il concordato preventivo, si era cercato in passato di arrivare - tramite gli studi di settore - a stabilire una sorta di forfait con le categorie. Oggi è importante potenziare gli studi nell’ottica di raggiungere un sistema di determinazione dei ricavi e del reddito delle categorie capace di produrre effettive semplificazioni. Nel 1998 stipulammo con l’allora ministro Visco un protocollo d’intesa nel quale si prevedeva che, con la progressiva elaborazione degli studi di settore, si sarebbe giunti al superamento degli scontrini e delle ricevute. A 14 anni di distanza, nonostante gli studi di settore siano stati sottoposti a un programma di manutenzione triennale, e siano previste sanzioni più pesanti per chi altera i dati, abbiamo ancora i blitz della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle entrate sulla mancata emissione di scontrini e ricevute. Inoltre, abbiamo a che fare con un profluvio di nuovi adempimenti». Ciò cosa ha comportato? «Il sistema risulta sempre più complesso e gravato da obblighi. Dobbiamo perciò spezzare questa sorta di circolo vizioso maggiori tributi-maggiori adempimenti. È giusto che tutti paghino le proprie imposte, ma è al-

Marino Gabellini, responsabile dell’ufficio tributario nazionale di Confesercenti

trettanto opportuno che si arrivi a ridurre l’imposizione e a semplificare le procedure. Non va, infine, dimenticata l’ultima misura auspicata da Confesercenti: il superamento della valenza fiscale di scontrini e ricevute attraverso l’invio telematico dei rispettivi da parte degli esercizi commerciali, come sta attuando la grande distribuzione organizzata». Cosa pensa del piano anti evasione illustrato recentemente da Befera? «Ben vengano tutti gli strumenti che non sono rivolti a criminalizzare un’unica categoria ma che servono a combattere l’evasione a 360 gradi, ovunque essa si annidi. Strumenti che possiamo definire democratici perché controllano tutti indistintamente. L’evasione è, infatti, un fenomeno che va colpito nelle molteplici forme in cui si presenta, anche in settori insospettabili come dimostrano i 2 miliardi di evasione recuperata nel 2011 nel settore bancario». LAZIO 2012 • DOSSIER • 35



Enrico Saggese

Italia leader in Europa con Germania e Francia Un settore in crescita che costituisce un’opportunità per tutte quelle aziende altamente tecnologiche che gravitano attorno all’aerospazio italiano. Enrico Saggese, presidente dell’Agenzia spaziale italiana, parla dei progetti futuri partendo dal recente lancio di Vega Luca Donigaglia

l lancio di Vega ci rende protagonisti perché l’Italia ha guidato la realizzazione di questo veicolo flessibile e innovativo per l’accesso allo spazio contribuendo per circa 2/3 all’investimento globale, in collaborazione con altre sei nazioni europee». È così che Enrico Saggese riassume l’orgoglio dell’Asi per aver visto andare in orbita, il 13 febbraio scorso, dalla base di lancio europea della Guayana francese il lanciatore fortemente voluto e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana. Ma Vega ha inaugurato un anno che potrebbe rivelarsi molto importante per il settore aerospaziale italiano e per le tante aziende, grandi e piccole, che fanno parte dell’indotto. L’analisi di Enrico Saggese. Il recente lancio di Vega ha rappresentato un momento importante per le strategie dell’Agenzia spaziale italiana. Sulla base di questo guardiamo al futuro: quali saranno i tre pro-

«I Enrico Saggese, presidente dell’Agenzia spaziale italiana

getti più significativi per l’Asi nel prossimo quinquennio? «Il 2012 dello spazio italiano si è aperto con il perfetto e puntuale lancio di Vega, il nuovo lanciatore spaziale europeo che rappresenta il completamento di un’attività durata molti anni e corona anche il sogno degli anni ‘60 del generale Luigi Broglio e del professor Carlo Bongiorno, due grandi uomini “spaziali” italiani, capaci di vedere e immaginare importanti tappe per il futuro del settore italiano. Il lancio di Vega ci rende protagonisti perché l’Italia ha guidato la realizzazione di questo veicolo flessibile e innovativo per l’accesso allo spazio contribuendo per circa 2/3 all’investimento globale, in collaborazione con altre sei nazioni europee. Vega trasporta nelle orbite cosiddette Leo, cioè dai 200 chilometri di altezza fino ai 1.500 chilometri, satelliti pesanti fino a 1,5 tonnellate. Ma non c’è solo Vega nel prossimo futuro del settore spaziale italiano. Ci sono attività legate ad altri e diversi comparti e, tra tutti, tengo a ricordare la realizzazione della seconda generazione dei satelliti radar Cosmo-SkyMed di completa fabbricazione italiana, poi il satellite duale italo/francese di telecomunicazione Athena Fidus. In campo europeo abbiamo la grande sfida del progetto ExoMars, che sarà lanciato nel 2016 per l’esplorazione robotica di Marte, mentre continuiamo a seguire con trepidazione il completamento del programma Bepi Colombo destinato allo studio di Mercurio». In tempi di crisi, il settore aerospaziale sem- LAZIO 2012 • DOSSIER • 37


INDUSTRIA AEROSPAZIALE

Sopra, test sulla strumentazione per la missione Bepi Colombo dell’Esa

bra andare controcorrente. A parte il lustro per il Paese, possiamo fare una stima dei risultati economici appena raggiunti e da raggiungere? «I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se facciamo il punto su Vega occorre ricordare che il lancio apre un’importante fase industriale con inconfondibili benefici sul nostro Pil. La messa in produzione del lanciatore apre all’Italia elevate opportunità in termini economici, industriali e occupazionali, permettendo, inoltre, la realizzazione nel nostro Paese di un polo di eccellenza che farà da traino a tecnologie di frontiera. È fondamentale sottolineare che il settore aerospaziale viene considerato da tutti i Paesi come quello a maggiore tasso di innovazione, con forti ricadute in settori commerciali collaterali. In questa situazione non sorprende, quindi, se i primi Paesi investitori in Europa sono la Germania e la Francia. L’Italia è al terzo posto». Gli investimenti del governo verranno ridotti? Viene rispettata la proporzione dei fondi stanziati rispetto al Pil a confronto degli altri Paesi europei, ad esempio Francia e

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Germania? «Come ho accennato le prime due posizioni sono occupate da tedeschi e francesi, agli italiani spetta la piazza d’onore con il terzo posto. Le nostre risorse, rispetto al Pil, sono investimenti importanti e costanti. Va comunque ricordato che il settore spaziale ha una sua ben definita peculiarità temporale. La programmazione di un progetto dura lustri e per questo la determinazione al raggiungimento del risultato finale deve essere dimostrata con costanza di investimenti per garantire un assetto industriale stabile. Il precedente governo ha fissato nel meccanismo di assegnazione delle risorse, regole premiali e determinazione di obiettivi nazionali contenute tutte nel Piano nazionale della ricerca (Pnr). La nostra speranza è che la necessaria burocrazia di espletamento per l’ottenimento delle risorse non renda tale processo meno fluido. Il settore aerospaziale è considerato in tutto il mondo, e anche in Italia, un settore ad alta tecnologia, una di quelle attività industriali che possono guidare la nostra nazione fuori da questa crisi finanziaria. Il governo italiano ha quindi mantenuto tutti i


Enrico Saggese

Il satelite Vega sulla rampa di lancio del centro spaziale di Kourou nella Guyana francese

suoi impegni». Facciamo alcuni esempi concreti di eccellenza nel settore aerospaziale in Italia sia a livello industriale sia a livello scientifico? «All’Italia è riconosciuto a livello internazionale una competenze e una eccellenza uniche, non esiste comparto spaziale nel quale non sia presente un successo italiano. In ogni settore in cui è stato possibile effettuare investimenti importanti, l’industria spaziale italiana ha sempre primeggiato. Il lanciatore Vega è solamente l’ultimo di tanti successi, preceduto da quelli nei campi come l’osservazione radar della Terra, per la costruzione di infrastrutture orbitanti per la Stazione spaziale internazionale e per il settore delle

telecomunicazioni. Ma oltre all’eccellenza industriale, è importante ricordare i traguardi raggiunti in campo scientifico con strumenti di altissima qualità, ideati e progettati dagli scienziati italiani e realizzati dall’industria nazionale. Strumenti che oggi volano su moltissime sonde di diversi Paesi: dalla missione Cassini, che dopo 15 anni ancora invia immagini di Saturno, a Juno, in viaggio dall’estate 2011 verso Giove (sonde entrambe della Nasa), a esperimenti come Rosa, in collaborazione con Argentina, India e Nasa. Altri strumenti sono a bordo di Herschel e Planck, due sonde dell’Esa per l’esplorazione dell’universo. Voglio poi ricordare i tanti successi del satellite Agile, interamente realizzato nel nostro paese, che ha appena permesso all’Italia di conseguire il più importante premio in campo scientifico, il Bruno Rossi Prize nel 2012. Siamo molto orgogliosi di questo premio, il più importante in campo scientifico. È il quarto che l’Italia colleziona grazie alle attività realizzate nel suo Asi Data Ceter (Asdc)». Quali altri appuntamenti sono previsti in Italia nel 2012? «Abbiamo ancora molti altri importanti appuntamenti nel 2012. Voglio soprattutto ricordare la Conferenza mondiale di Astronautica, lo Iac 2012, che avrà luogo a Napoli in ottobre, poi l’importantissima Conferenza ministeriale dell’Esa, che pianificherà le strategie dell’Agenzia europea per i prossimi anni. Attraverso entrambi questi eventi certamente rafforzeremo l’attenzione del pubblico verso il settore spaziale. Un imminente appuntamento è poi il lancio del satellite della Nasa NuStar, previsto il 21 marzo 2012, per il quale l’Asi fornisce la Ground Station di Malindi, unica stazione per la ricezione dei dati, e collabora all’analisi e archiviazione dei dati scientifici tramite il nostro Centro Asdc. Il prossimo anno è pianificato il lancio del satellite dell’Esa Gaia per l’Astrometria, per il quale l’Asi sta realizzando il Data Processing Center italiano presso l’Altec di Torino. Inoltre, è in via di ultimazione la realizzazione della strumentazione scientifica per la missione dell’Esa su Mercurio, Bepi Colombo, per la quale il nostro Paese fornisce quattro strumenti». LAZIO 2012 • DOSSIER • 39


INDUSTRIA AEROSPAZIALE

Un settore solido che non teme la crisi Nel Lazio l’aerospazio gode di buona salute e può contare su un distretto tecnologico che aggrega grandi nomi del settore e pmi altamente tecnologiche. La Regione, con il suo braccio operativo costituito da Sviluppo Lazio, garantisce il supporto economico al comparto. Ne parla Massimiliano Maselli Luca Donigaglia

Massimiliano Maselli, presidente di Sviluppo Lazio

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el distretto tecnologico aerospaziale del Lazio si progettano e assemblano satelliti, motori a propellente solido, componenti dei lanciatori di missili aria-aria e terra-aria, oltre a sistemi di equipaggiamento per velivoli ed elicotteri e strutture aeronautiche. All’interno del cluster trovano spazio un Business Lab, un laboratorio per la creazione d’impresa a partire da idee innovative generate da università, imprese e organismi di ricerca, e Icaro, il polo formativo dedicato allo sviluppo di programmi di formazione pluriennale che coinvolgono atenei e aziende. Dentro questa cornice si muovono le aziende del settore aerospaziale della regione, che fatturano più di 5 miliardi di euro e esportano in Stati Uniti, Francia, Emirati Arabi, Regno Unito, Russia e Turchia. Massimiliano Maselli, presidente di Sviluppo Lazio, illustra le performance del distretto e spiega perchè, nonostante la crisi, le aziende che ne fanno parte non soffrono le turbolenze dei mercati. In tempi di crisi come quelli attuali, pare che l’industria aerospaziale vada controcorrente e regga. Quanti e quali investimenti per il settore aerospaziale Sviluppo Lazio e la Regione hanno portato avanti negli ultimi anni? «Nel 2004 la Regione Lazio, il ministero dell’Economia e delle finanze e il Miur hanno firmato la costituzione del Distretto tecnologico aerospaziale del Lazio (Dta), il primo d’Italia. Un tessuto produttivo che poggia su solide basi scientifiche e che rappresenta nel Lazio un’area di eccellenza internazionale con 250 imprese di elevato profilo e capacità tecniche, 30 mila addetti, 10 organismi di ricerca e circa 3.000 ricercatori che operano nella progettazione, produzione e manutenzione di sistemi, strutture e componenti per l’aeronautica civile, lo spazio, la sicurezza e le tecnologie satellitari per l’osserva-

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Massimiliano Maselli

zione, la navigazione e le telecomunicazioni». In termini numerici, quali sono le performance raggiunte negli ultimi anni dal comparto? «Si tratta di un comparto solido, in grado di crescere anche a fronte della crisi congiunturale che ha influito negativamente sul settore industriale italiano negli ultimi anni. Il distretto ha infatti mostrato una crescita media annua del fatturato pari al 6,5% nel periodo 2004-2009 e un andamento positivo delle esportazioni del terzo trimestre 2011 (+116%), così come si evince dal recente studio di Intesa San Paolo sui cluster industriali. Il programma del Dta ha previsto l’attuazione di una serie di iniziative intraprese dagli enti regionali, insieme a istituti finanziari, centri di ricerca, università e imprese hi-tech. In tale ambito, dal 2004 sono stati finanziati circa 30 progetti di ricerca e sviluppo con un cofinanziamento pubblico pari a circa 40 milioni di euro». Nel 2012, con il lanciatore europeo Vega, con la Conferenza mondiale Iac (la 63esima edizione del Congresso astronautico internazionale) prevista in ottobre a Napoli e con la conferenza dell’Esa, a livello ministeriale, si rafforzerà l’attenzione del pubblico verso il settore spaziale. Qual è l’impegno di Sviluppo Lazio per i prossimi mesi? «Nei prossimi mesi a fare da propulsore alla crescita del distretto laziale contribuiranno anche i recenti nuovi strumenti di sostegno al settore messi a disposizione dalla Regione. Tra questi ci sono i 58 milioni di euro per quattro nuovi bandi

Por-Fesr dedicati anche alle piccole e medie imprese aerospaziali, disponibili fino al 2013 e finalizzati a realizzare iniziative ad alto contenuto innovativo e di ricerca industriale per progetti di spin-off, co-research, microinnovazione e voucher dedicati all’innovazione. Ci sono anche 20 milioni di euro dedicati dal Por Lazio disponibili fino al 2015 per il capitale di rischio e il venture capital, ai quali vanno aggiunti in cofinanziamento altrettanti fondi da parte di investitori indipendenti e privati. Inoltre, c’è la disponibilità di 7,8 milioni di euro recentemente assegnati dalla Regione Lazio a valere sul fondo sociale europeo per cinque nuovi progetti di ricerca e formazione nel settore aerospaziale». Anche nel settore aerospaziale l’aggregazione tra le imprese costituisce una fattore fondamentale di crescita. Cosa avete in programma per favorire la sinergia tra pubblico e privato e mettere in rete i soggetti coinvolti? «Per rendere ancora più forte la sinergia tra pubblico e privato e la rete tra i soggetti coinvolti, gli investitori e il sistema della ricerca, è nata la nuova piattaforma collaborativa tecnico-giuridica Lazio Connect, istituita in collaborazione con le associazioni di categoria e le aziende più rappresentative delle realtà industriali dell’aerospazio. Lazio Connect ha lo scopo di ridurre i fattori che impediscono la collaborazione tra gli attori del Dta e di coordinare i processi di aggregazione tra le imprese supportando il sistema della ricerca nella compagine industriale laziale e la creazione di business addizionale». LAZIO 2012 • DOSSIER • 43


INDUSTRIA AEROSPAZIALE

Aerospazio, l’università in campo L’Alma Mater di Bologna, con un team coordinato dal professor Paolo Tortora, ha messo in orbita con Vega un proprio satellite, AlmaSat-1. Frutto di un lavoro durato diversi anni, il satellite rappresenta la vitalità degli atenei italiani nella ricerca aerospaziale Luca Donigaglia

rogrammatori, chimici, fisici e matematici. Oltre a ingegneri, meccanici o elettronici, gestionali o sistemisti. Sono queste le figure più ricercate dall’industria aerospaziale italiana che, nonostante le difficoltà economiche del nostro Paese, non si dimostra in crisi. I distretti dell’industria aeronautica, dislocati in Piemonte, Lombardia, Lazio e Campania, raggruppano 520 aziende circa, con un giro d’affari complessivo che va oltre i nove miliardi di euro, dando lavoro a più di 40 mila persone. In questo scenario sono molti gli atenei italiani che partecipano al raggiungimento di questi obiettivi con proprio centri di ricerca o collaborando con le aziende del settore. Un esempio è l’ateneo bolognese che nel suo Laboratorio di Microsatelliti e microsistemi spaziali di Forlì ha costruito AlmaSat-1, il satellite che il 13 febbraio scorso è andato in orbita con il lanciatore Vega. Il “papà” di AlmaSat-1, Paolo Tortora, spiega come è nata la collaborazione con l’Asi e quali sono i prossimi progetti che vedrà impegnato il suo team. Il satellite AlmaSat-1 è un cubo di 30 centimetri per lato e 13,5 chili di peso, progettato e costruito dai suoi studenti e ricercatori. Che esperienza è stata realizzarlo?

P Paolo Tortora, direttore del Laboratorio di microsatelliti e microsistemi spaziali della II Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna e responsabile del gruppo di ricercatori che ha realizzato AlmaSat-1

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«In realtà, il progetto è partito diversi anni prima. Abbiamo iniziato a lavorarci a tempo perso già nel 2003-2004. Per tutto il 2003 ci siamo occupati della stazione di terra satellitare automatica, insediata a Forlì, messa a punto dal nostro laboratorio per controllare il satellite in orbita. In quegli anni non c’erano ancora opportunità per il lancio vero e proprio, coordinavo i lavori insieme a un mio collaboratore avvalendomi del fondamentale contributo, complessivamente, di una quarantina di tesisti e di una decina di assegnisti di ricerca; di questi alcuni sono rimasti con noi, altri hanno seguito strade diverse». Quando avete iniziato a fare sul serio? «La svolta è arrivata nel 2008, quando quasi per caso abbiamo intravisto la possibilità di un lancio con Vega. Abbiamo saputo che l’Agenzia spaziale italiana, che copriva i costi del lanciatore (in tutto 750 milioni di euro circa, ndr) fino al 60%, aveva un interesse strategico a riguardo. Abbiamo fatto domanda per ospitare AlmaSat1 nel carico di lancio che comprendeva altri sette satelliti più piccoli, di 10 centimetri per lato e un chilogrammo di peso, oltre a quello laser selezionato dall’Agenzia spaziale europea. Il lancio c’è stato il 13 febbraio scorso dopo diversi rinvii ma noi, dopo un tour de force di lavoro, il nostro satellite era già pronto alla fine del 2010». Dalla stazione di Forlì controllate AlmaSat1 in orbita. Come sta procedendo al momento?


Paolo Tortora

Il costo del satellite si è attestato intorno ai 200 mila euro, ma considerando le ingenti spese per il personale, tesisti e assegnisti esclusi, si è arrivati ad almeno mezzo milione di euro

In alto, il satellite AlmaSat-1. Qui sopra, da sinistra, Valentino Fabbri, Fabio Antonini, Alberto Corbelli e Davide Bruzzi

«Tutto è andato benissimo durante i primi giorni. Poi, però, la separazione del nostro satellite dal lanciatore non è stata nominale: a causa dell’elevata velocità angolare, il satellite ha funzionato non tramite i pannelli ma solo a batteria, che nel frattempo è calata di molto. È un guaio, dato che i pannelli solari a questo punto, probabilmente, non producono più corrente. Aspettiamo e speriamo nella resistenza atmosferica. Altrimenti, la missione verrà terminata prematuramente anche se non ci sono stati guasti veri e propri. In ogni caso, sugli eventuali tempi di chiusura non c’è alcuna certezza». I primi a rilevare il segnale di AlmaSat-1 sono stati i radioamatori. Come è stato possibile?

«I radioamatori non hanno risorse per costruire satelliti, ma nutrono un certo interesse per lo spazio e così mettono a disposizione dei ricercatori la loro esperienza nel settore delle telecomunicazioni. Ancora prima che noi lo ricevessimo, il segnale di ritorno di AlmaSat-1 era stato ricevuto da un radioamatore tedesco, che mi ha avvertito con una e-mail. Via via sono arrivate segnalazioni anche da altri gruppi di radioamatori, con cui continuiamo a sentirci». Il vostro laboratorio è già al lavoro per il successore di AlmaSat-1: AlmaSat-Eo, dedicato all’osservazione della Terra dallo spazio. Finanziato dal Miur, fra l’altro segna l’avvio di AlmaSpace, lo spin-off commerciale che già oggi dà lavoro a otto persone, tutti laureati all’Università di Bologna ed ex studenti del laboratorio. Quando ci sarà il nuovo lancio? «Si tratta di un progetto finito nel 2011 e finanziato dal ministero con mezzo milione di euro circa nell’ambito degli spin-off universitari. La previsione di lancio è fissata entro il primo semestre del 2013». In generale, per AlmaSat-1 avete ricevuto contributi a finanziamenti dal ministero o dall’Agenzia spaziale italiana? «Posso dire che noi per AlmaSat-1 non abbiamo ricevuto un euro né dal Miur né dall’Agenzia spaziale italiana. Ci siamo finanziati tramite lavori per conto terzi in ambito accademico, arrangiandoci. Il costo del satellite si è attestato intorno ai 200 mila euro, ma considerando le ingenti spese per il personale, pari anche a 20-30 mila euro a professionista, tesisti e assegnisti esclusi, si è arrivati ad almeno mezzo milione di euro di spese». LAZIO 2012 • DOSSIER • 45




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Regole condivise per tornare a crescere Nonostante un’offerta agroalimentare ricca e di alta qualità, l’agricoltura nel Lazio continua a soffrire di alcune criticità e non riesce a decollare. Massimiliano Giansanti ne spiega i principali motivi Nicolò Mulas Marcello

l settore agroalimentare laziale ha sofferto le difficoltà della crisi a causa dei rincari dei costi produttivi che si sono inevitabilmente riverberati sui bassi ricavi. Ma eccellenze e prodotti tipici nel Lazio non mancano ed è su questo aspetto che occorre puntare per un rilancio concreto. «Proprio perché l’immagine del made in Lazio è apprezzata e riconosciuta sia all’estero sia in Italia – sottolinea Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura di Roma – occorre salvaguardarla e rilanciarla. La Regione ha promosso, in occasione delle fiere, mostre e incontri d’affari tra aziende agricole e buyer stranieri. Ritengo che si debba proseguire con iniziative analoghe». Qual è lo stato di salute del settore agricolo laziale e quali sono le principali criticità di cui soffre? «Il Lazio agricolo è una realtà importante ma sono molte le difficoltà che vive, dall’eccessiva frammentazione del sistema ai rapporti di filiera squilibrati. L’agricoltura regionale, come quella nazionale, soffre per i bassi ricavi e gli alti costi produttivi, a cominciare da quelli per il gasolio il cui prezzo è cresciuto del 25,2%, pe-

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sando sulle famiglie ma anche sulle attività produttive, in primo luogo su quella agricola. C’è poi il pesante carico contributivo dell’Imu che è insopportabile. Si pensi che ci sono circa 3,5 milioni di fabbricati rurali, di cui circa 1,5 milioni a uso abitativo e circa 2 milioni per altri usi strumentali (stalle e ricoveri per animali, depositi per macchine ed attrezzi). Abbiamo valutato il peso dell’Imu sul settore agricolo tra l’1,3 e 1,5 miliardi di euro». Per quanto riguarda la vendita di prodotti regionali sia nelle altre regioni d’Italia che verso l’estero, qual è la situazione? «Nella regione abbiamo un paniere produttivo costituito da 14 Dop, 9 Igp, 374 prodotti tradizionali, 3 Docg, 27 Doc e 6 Igt. Nonostante un’offerta agroalimentare così ricca e diversificata, di alta qualità, e una grande forza della sua immagine, il settore agricolo non decolla come dovrebbe. La qualità pur apprezzata non è pagata all’origine, ai produttori, come si dovrebbe. I prodotti leader nell’export sono l’olio, il vino, l’ortofrutta, i prodotti lattiero-caseari e le nocciole. Osservando la distribuzione geografica delle esportazioni agroalimentari laziali per


Massimiliano Giansanti

A sinistra, Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura di Roma e componente della giunta nazionale dell’Organizzazione degli imprenditori agricoli

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macroaree l’Unione europea risulta il principale mercato di sbocco dei prodotti regionali. Il nord America si conferma la seconda principale area di destinazione, nonostante il suo peso si vada riducendo, aumenta invece l’incidenza dei Paesi asiatici. A livello nazionale c’è da dire che c’è la particolarità di avere una realtà come Roma, che per quanto riguarda i consumi assorbe la gran

L’articolo 62 del decreto sulle liberalizzazioni introduce l’obbligo di regolarizzare in forma scritta i contratti per la cessione di prodotti agricoli e alimentari

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parte della produzione locale per il numero degli abitanti». Le novità introdotte dalle norme sulle liberalizzazioni potrebbero riequilibrare il rapporto fra produttori e distribuzione. Cosa ne pensa? «L’articolo 62 del decreto sulle liberalizzazioni introduce l’obbligo di regolarizzare in forma scritta i contratti per la cessione di prodotti agricoli e alimentari, pena la loro nullità. Fissa un termine perentorio di 30 giorni per i pagamenti dei prodotti agricoli deperibili e di 60 per tutti gli altri. È una disposizione voluta fortemente da Confagricoltura per sanare gli enormi squilibri economici esistenti tra i vari attori della filiera. Tutti gli operatori della filiera devono essere messi nelle stesse condizioni di poter programmare, con assoluta certezza, la gestione dei propri flussi di cassa. Nei confronti degli istituti di credito le esposizioni degli agricoltori valgono quanto quelle degli altri attori della filiera, con la sola eccezione che i crediti di conduzione vanno a scadere al momento del conferimento della produzione. Ogni ritardo si traduce in pagamenti di interessi e ulteriori fidi». L’Europa sembra protesa verso un riequilibrio dei rapporti di filiera e per la trasparenza dei mercati. Che scenario si prospetta? «La norma dell’articolo 62 è emblematica, perché anticipa il recepimento, che deve avvenire entro marzo 2013, della direttiva 2011/7 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali; ricordo che altri Paesi dell’Unione europea hanno già autonomamente legiferato su questa materia. Al ministro Catania va riconosciuto il merito di aver accolto una delle richieste che più ci interessano e di aver bruciato i tempi introducendo un sistema di regole certe sul modello francese. Bisogna proseguire su questa strada, e Bruxelles è intenzionata a farlo con norme dirette a porre i vari attori della filiera alla pari. Ci sono poi regole ferree produttive per una trasparenza dei processi con filiere tracciate. Il futuro lo vedo fatto di norme chiare, trasparenti e rapporti alla pari. Nell’interesse di tutti». LAZIO 2012 • DOSSIER • 51


AGROALIMENTARE

Le opportunità del made in Lazio Il rilancio del programma di sviluppo rurale del Lazio è il principale strumento economico che la Regione ha messo a disposizione per sostenere l’agricoltura. A sostenerlo è Angela Birindelli, che illustra il quadro generale del settore Nicolò Mulas Marcello

incentivazione della filiera corta e l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei cibi in vendita sono alcuni degli interventi con cui la Regione Lazio vuole promuovere il consumo dei prodotti regionali a km 0. «La Regione in questi anni – spiega Angela Birindelli, assessore alle politiche agricole della Regione Lazio – ha portato avanti numerose iniziative finalizzate a incidere sul moderno sistema distributivo». Parliamo di esportazioni agroalimentari dal Lazio. Qual è la situazione? «I dati 2011 diffusi dall’Istat evidenziano una tendenza positiva per l’export dei prodotti agroalimentari della regione, in crescita del 7% rispetto al 2010, che già si era segnalato come un anno positivo per le esportazioni. Un risultato che riprova l’importante contributo offerto dalla domanda estera a sostegno del comparto agroalimentare, in un momento di stagnazione dei consumi interni. Inoltre, si consolida il ruolo dell’agroalimentare come formidabile leva competitiva per trainare l’economia locale, soprattutto se si investe sui territori, il turismo rurale e l’enogastronomia di qualità. La Giunta Polverini sta puntando molto sul rilancio dei prodotti regionali e i dati dell’export confermano la lungimiranza di questa scelta. L’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare grazie a una più efficace lotta nei confronti dell’agropirateria internazionale

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che immette sui mercati falsi prodotti made in Italy per un valore di 60 miliardi di euro. La Regione, in questo senso, ha approvato una legge sulla tracciabilità dei prodotti agricoli che si propone come un importante strumento in più per tutelare le produzioni regionali da indebite falsificazioni, promuovere il vero made in Lazio e favorire scelte alimentari sicure e consapevoli da parte dei consumatori». Le novità introdotte dalle norme sulle liberalizzazioni cambieranno secondo lei il rapporto fra produttori e distribuzione? «Riequilibrare il potere contrattuale lungo la filiera agroalimentare tra distribuzione e produttori è un problema antico del sistema agroalimentare italiano ed è fondamentale per aumentare la trasparenza nei rapporti tra gli attori della filiera, con un indubbio vantaggio per i produttori e i consumatori finali. Lo stesso Parlamento europeo ha richiamato più volte l’attenzione a un maggiore equilibrio lungo tutta la filiera. Fin dal suo insediamento, la Giunta Polverini ha portato avanti numerose iniziative finalizzate a incidere sul mo-

Angela Birindelli, assessore alle politiche agricole della Regione Lazio


Angela Birindelli

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Vogliamo favorire l’ingresso dei prodotti regionali nei servizi di ristorazione collettiva come mense, ospedali e scuole

derno sistema distributivo. In particolare, sarà presto approvata una legge per promuovere il consumo dei prodotti regionali a km 0. Con questa legge la Regione vuole sostenere la commercializzazione delle produzioni agricole regionali attraverso la realizzazione di farmer’s market, l’incentivazione della filiera corta e l’obbligo di indicare sull’etichetta la provenienza dei cibi in vendita. Inoltre, si vuole favorire l’ingresso dei prodotti regionali nei servizi di ristorazione collettiva come mense, ospedali e scuole, indicando come titolo preferenziale per l’aggiudicazione dei bandi la fornitura di prodotti alimentari laziali». Quali interventi ha messo in atto la Regione per aiutare il settore agroalimentare? «Tanti, il più significativo è sicuramente il rilancio del Programma di sviluppo rurale del Lazio, il principale strumento economico-finanziario che la Regione ha a disposizione per sostenere l’agricoltura. Al momento del mio insediamento,

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il Psr era considerato uno strumento farraginoso, inefficiente, impantanato in lungaggini amministrative che non godeva più della fiducia degli imprenditori agricoli, demotivati dalle difficoltà nel presentare le domande per i bandi e dai ritardi nell’approvazione e nella liquidazione dei progetti. La Giunta Polverini ha avviato un vero e proprio cambio di marcia nella gestione del programma. A partire dal maggio 2010, infatti, le risorse pubbliche erogate a favore dello sviluppo rurale ammontano a circa 170 milioni di euro, contro i 70 milioni spesi nel precedente triennio. Ma non abbiamo solo invertito la tendenza sulla spesa, abbiamo anche rimodulato gli interventi per renderli più efficaci e rivolti allo sviluppo e ai fabbisogni concreti delle aziende. I risultati ottenuti mostrano con chiarezza la bontà del lavoro svolto». Quali sono i progetti per il futuro? «Il nostro intento è continuare il percorso di snellimento e semplificazione procedurale che ha consentito al Lazio di risalire dalle posizioni che la collocavano tra le regioni più a rischio di disimpegno automatico delle risorse comunitarie. Un lavoro organico di stimolo e razionalizzazione della macchina organizzativa che continua a essere implementato quotidianamente per utilizzare a pieno le risorse comunitarie disponibili e favorire lo sviluppo e l’innovazione del settore agricolo con celerità, efficacia ed efficienza». LAZIO 2012 • DOSSIER • 53


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Il valore delle tradizioni per lo sviluppo Molte sono le azioni rivolte alla salvaguardia e al recupero del patrimonio enogastronomico e dei prodotti tradizionali del Lazio ad opera di Arsial. Erder Mazzocchi spiega su cosa occorre puntare Nicolò Mulas Marcello

alorizzare i prodotti del territorio costituisce una delle basi per il rilancio di un settore strategico come quello agroalimentare. «Il Lazio soffre di due carenze che vanno subito colmate – spiega Erder Mazzocchi, commissario straordinario dell’Agenzia per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio – da un lato, l’assenza di organizzazioni di produttori in grado di competere con maggior forza sui mercati, dall’altro, la mancata costituzione di consorzi di tutela dei prodotti Dop e Igp ufficialmente riconosciuti dal Ministero delle Politiche agricole». Quali sono le eccellenze in campo agroalimentare del Lazio e qual è il grado di esportazione di questi prodotti? «Attualmente il paniere dei prodotti regionali, compresi i vini, è composto da 14 Dop, 9 Igp, 3 Docg, 27 Doc, 6 Igt e 374 prodotti tradizionali. Si tratta di prodotti che appartengono a tutte le categorie agroalimentari, dai formaggi all’olio, alla pasticceria secca, e sono distribuiti in modo puntuale sul territorio regionale al quale sono legati per storia e tradizione. Per quanto riguarda il valore della

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produzione, le Dop e le Igp superano i 90 milioni di euro all’anno, mentre per i vini Docg, Doc e Igt il dato raggiunge i 115 milioni. Le produzioni Dop e Igt, rappresentano l’8-10% dell’export agroalimentare regionale e a giocare la parte del leone sono il Kiwi Latina Igt e il Pecorino romano Dop, che vengono esportati per l’80%. In altri casi, come per l’olio extravergine di oliva Sabina Dop, la percentuale esportata è del 10%. Dati così contrastanti rispecchiano un aspetto fondamentale relativo all’export, che risulta sempre condizionato dalla strutturazione della filiera di riferimento del prodotto o della categoria di appartenenza. La quantità di vino di qualità esportato si attesta, invece, su valori prossimi a 170mila ettolitri, pari a un valore di 30 milioni di euro con mercati concentrati soprattutto nel Regno Unito, in Germania, Canada e Stati Uniti». Standardizzazione e grandi quantità hanno fortemente contribuito alla scomparsa di alcune tipicità locali dalle nostre tavole. Come occorre intervenire per contrastare questo fenomeno e promuovere i prodotti del territorio?


Erder Mazzocchi

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Le produzioni Dop e Igt, rappresentano l’8-10% dell’export agroalimentare regionale

A destra, Erder Mazzocchi, commissario straordinario dell’Agenzia per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio

«Arsial opera da tempo nel comparto agroalimentare di qualità a livello regionale con una serie di azioni rivolte alla salvaguardia e al recupero del patrimonio enogastronomico. Questi obiettivi vengono perseguiti sia attraverso il supporto tecnico-normativo, che accompagna i produttori attraverso tutte le fasi necessarie al riconoscimento comunitario dei prodotti, sia attraverso le iniziative promozionali studiate per avvicinare il grande pubblico ai prodotti e alle aziende. Gli eventi vengono spesso ospitati all’enoteca regionale Palatium, che si trova in via Frattina, ed è il primo esempio in Italia di ristorante gestito da un’istituzione pubblica, dove i prodotti regionali arrivano a rotazione con gli evidenti vantaggi legati alla location e alla collaudata esperienza del personale. L’enoteca, infatti, mette in rete oltre 600 aziende di qualità e rappresenta uno dei pochi locali a km 0, certificato al cento per cento». Parliamo delle certificazioni dei prodotti agroalimentari. Secondo lei sono sufficienti le tutele in vigore attualmente o occorre fare di più? «Innanzitutto il settore delle certificazioni

agroalimentari di qualità soffre, in molti casi, di filiere a marchio comunitario Dop e Igp non ancora ben strutturate, con basse quantità di produzioni certificate che spesso determinano scelte commerciali circoscritte ad ambiti locali. Ma in questo momento, nel Lazio, gli aspetti più problematici sono due: la mancanza di organizzazioni di produttori in grado di aggregare maggiori quantità di prodotti e l’assenza di consorzi di tutela ufficialmente riconosciuti dal Mipaaf che riguarda la maggior parte dei prodotti Dop e Igp. Il consorzio riveste un’importanza fondamentale sia per promuovere l’immagine del prodotto attraverso piani di marketing e valorizzazione condivisi da tutti gli attori della filiera, sia per tutelarne la produzione e la corretta commercializzazione difendendo, in questo modo, la denominazione da eventuali contraffazioni». Quali iniziative l’Arsial. ha in programma per il futuro? «Arsial intende aumentare il suo impegno al fianco dei produttori e per questo uno dei prossimi obiettivi è quello di proporsi come organismo di controllo delle denominazioni di origine a valenza regionale». LAZIO 2012 • DOSSIER • 55



Il quadro regionale

La distribuzione nel Lazio Appunti e annotazioni sul sistema distributivo in regione in base al Rapporto ministeriale 2010 realizzato a livello nazionale Leonardo Testi l tessuto commerciale italiano si presenta ampio e articolato, sospeso tra la capillarità della struttura degli esercizi di vendita al dettaglio e il progressivo ammodernamento della rete di vendita, con una lenta ma graduale espansione dei moderni canali distributivi. A fotografare numeri e tendenze, delineando un’analisi economico-strutturale del settore, è il Rapporto sul sistema distributivo, realizzato dal Ministero dello Sviluppo economico in collaborazione con ConfcommercioImprese per l’Italia. In base al rapporto 2010, gli incrementi più significativi per quanto riguarda la consistenza degli esercizi commerciali con attività primaria di commercio al dettaglio in sede fissa - sia in valore assoluto che in percentuale sono da attribuire al centro Italia (+1.689 unità rispetto al 2009 pari all’1,1%). Particolare rilevanza mostrano i saldi positivi del Lazio, con una crescita di 1.371 unità rispetto al 2009, distribuite fra 541 nuove imprese e 830 unità locali. Anche il commercio al di fuori dei negozi assume in regione un certo peso: rispetto a un valore medio nazionale di 5,1 esercizi ogni diecimila abitanti, in Lazio si registra un dato pari a 7,5. Il rapporto rileva, sempre per quanto riguarda il Lazio, 13.870 consistenze del commercio ambulante e 4.251 esercizi di commercio al dettaglio che non rientrano nella categoria di negozi, banchi e mercati. In questo settore, spiccano anche in relazione al contesto nazionale - il numero di attività relative al commercio via internet (924) e alla vendita a domicilio (1.748). Un capitolo a parte spetta alla grande distribuzione. Secondo lo stesso rapporto, il peso della distribuzione moderna sull’intera rete italiana costituisce attualmente oltre il 2%, in termini di numerosità dei punti vendita e quasi un quarto

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dell’intera superficie di vendita. A presentare maggiore dinamicità sono le grandi superfici specializzate (formula organizzativa che opera nell’ambito del non food specializzato), un segmento che tra il 2007 e il 2010 ha fatto registrare consistenti percentuali di accrescimento, soprattutto sul fronte della superficie di vendita (+19,1%), e gli ipermercati. Meno forti i trend di crescita di supermercati, grandi magazzini e minimercati. Guardando allo sviluppo dimensionale della rete moderna in Lazio, il territorio totalizza nel 2010 222,9 mq per 1.000 abitanti, di cui 139,5 destinati al settore alimentare (supermercati, minimercati, parte alimentare degli ipermercati) e 83,4 a quello non alimentare (grandi magazzini, grandi superfici specializzate, parte non alimentare degli ipermercati). Al 31 dicembre 2010 sono 684 i supermercati (660 a fine 2009) in regione, di cui 457 solo a Roma e provincia; 26 gli ipermercati (24 nel 2009), di cui 15 tra Capitale e provincia; 272 i minimercati (240 a fine 2009) di cui 156 tra Roma e provincia; 153 sono i grandi magazzini (erano 155 nel 2009), di cui 98 localizzati sul territorio romano; infine, sono 56 le grandi superfici specializzate, rispetto alle 55 del 2009. LAZIO 2012 • DOSSIER • 57


COMMERCIO

Riequilibrare l’offerta commerciale romana Largo alla promozione dei centri commerciali naturali e a un piano attento alla delicata coesistenza tra piccola, media e grande distribuzione. Sono alcune delle proposte avanzate da Giuseppe Roscioli, presidente di Confcommercio Roma Francesca Druidi ella Capitale il terziario di mercato contribuisce per il 65 per cento al Pil complessivo della città, con quasi 55.800 esercizi di vicinato censiti dall’Osservatorio della Regione, con 1.367 medie strutture di vendita e 77 grandi strutture. «La rete di vicinato, numericamente superiore, è quella che dà l’identità più forte al nostro commercio e, dunque, alla nostra città e al suo aspetto urbanistico» afferma Giuseppe Roscioli, numero uno di Confcommercio Roma. Da qui, l’importanza di tutelare la funzione sociale e culturale svolta dai piccoli negozi del tessuto urbano. Partendo da questi presupposti, quali sono le principali criticità della rete distributiva in città?

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«Negli ultimi anni l’apertura di nuove grandi superfici di vendita ha seriamente inficiato la rete di vicinato, cambiando totalmente l’equilibrio commerciale tradizionale. A questo nodo, si aggiungono il costo della crisi economico-finanziaria, la contrazione dei consumi determinata dalla diminuzione del potere d’acquisto di individui e famiglie, la maggiore difficoltà di accesso al credito per le imprese, oltre a problemi atavici come l’abusivismo e la contraffazione». In sede di discussione della proposta di legge elaborata dall’assessorato alle Attività produttive, la sua associazione ha espresso la necessità di salvaguardare e regolamentare l’attuale equilibrio della rete commerciale. Quali risposte ha ricevuto? «Il Piano urbanistico del commercio, a nostro avviso, non teneva nella giusta considerazione la rete di vicinato e, quindi, le conseguenze che possono derivare dall’apertura di nuovi centri commerciali. L’iter decisionale che porterà alla definizione di un nuovo assetto commerciale e urbanistico della città oggi è ancora in fieri. Restiamo, dunque, in attesa che i lavori proseguano e che si giunga quanto prima a dotare Roma di un nuovo Piano del commercio, da inserire nella più ampia rivisitazione della legge 33/99, necessario per consentire un’equilibrata coesistenza di piccola media e grande distribuzione, nel rispetto dei bisogni e delle esigenze di tutti i cittadini». Tra gli strumenti individuati dal Comune di Roma per attuare il riassetto del commercio


Giuseppe Roscioli

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La rete di vicinato, numericamente superiore, è quella che dà l’identità più forte al nostro commercio e, dunque, alla nostra città

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c’è la promozione dei centri commerciali naturali. «Quello dei centri commerciali naturali si è rivelato in questi anni un ottimo strumento di riqualificazione per le aree interessate. Da due anni stiamo lavorando con le amministrazioni locali per promuovere la realizzazione di queste strutture e di tutti gli eventi a essi collegati, sia a Roma che nel territorio della provincia. Riteniamo, infatti, che proprio queste iniziative rappresentino la giusta risposta, la più efficace, per riqualificare e rilanciare la rete distributiva e la cultura del commercio che le sottende. Abbiamo sperimentato che, con i centri commerciali naturali, la rete commerciale di un determinato territorio è incoraggiata a organizzarsi e a crearsi un’identità unitaria, rafforzando la propria forza attrattiva e di vendita. È quanto è accaduto in alcuni centri commerciali naturali di Roma che stanno riscuotendo un certo successo, come quello di via Ottaviano, di piazza Anco Marzio a Ostia o di Piazza Minucciano, nel IV municipio». Per quanto riguarda, invece, un programma più strutturato di riqualificazione commerciale? «Auspichiamo in questo senso provvedimenti ad hoc per le pmi che prevedano, tra le altre cose, la semplificazione delle procedure per lo start up d’impresa, la possibilità di accesso al credito, la garanzia di tempi certi nei pagamenti, la possibilità di aggregazione tra imprese e una riduzione della

pressione fiscale locale e nuove politiche per il turismo, gli investimenti, l’innovazione». Sul fronte delle liberalizzazioni? «Questo provvedimento va a incidere fortemente su tutto il settore. Siamo contrari alle nuove norme perché già oggi a Roma i negozi assicurano al consumatore un servizio completo, a copertura dell’intera giornata. La liberalizzazione degli orari dei negozi in vigore dal mese di gennaio non solo, come previsto, non sta avendo gli effetti desiderati - non stanno aumentando le vendite e anzi la maggior parte degli esercizi ha deciso di non aderire all’orario facoltativo - ma rischia piuttosto di costituire un vantaggio solo per le grandi catene commerciali, che finora sono state le uniche ad avvalersene. E non possiamo paragonare nemmeno la realtà economica e sociale italiana a quella di altri paesi europei, da questo punto di vista più stabili, come Germania o Francia, dove tra l’altro si rispetta la chiusura di domeniche e festivi. Guardiamo, invece, con maggior fiducia al decreto sulle semplificazioni, approvato di recente, perché va nella direzione di un alleggerimento burocratico e di tutte quelle operazioni amministrative che rendono difficile la vita quotidiana di migliaia di imprenditori».

Giuseppe Roscioli, presidente di Confcommercio Roma

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COMMERCIO

Fermare l’illegalità nella distribuzione di merci a distribuzione commerciale negli ultimi anni ha affrontato processi di trasformazione profondi. Questi cambiamenti sono stati determinati da fattori demografico-sociali, cultural-tecnologici, politico-istituzionali ed economici, incidendo sulla dimensione delle strutture distributive, sulla loro composizione e sulle loro relazioni con il mercato. Ancora oggi si può affermare che sia tutto da trovare un sano equilibrio tra punti vendita al dettaglio di piccola dimensione, che hanno dominato a lungo il quadro commerciale italiano, e le medie e grandi strutture di vendita, che hanno conosciuto una notevole espansione nell’ultimo ventennio. A fornire la sua personale valutazione a proposito della rete regionale è Carlo Mitra, presidente di Confcooperative Lazio. Quali sono le principali caratteristiche e

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Diverse pratiche illecite sono state denunciate da imprese e cooperative nel settore della distribuzione. A denunciare la situazione è Carlo Mitra, presidente di Confcooperative Lazio, concentrandosi anche sulle problematiche che caratterizzano il sistema regionale e capitolino Leonardo Testi

problematiche a livello regionale? «La rete distributiva laziale è molto disomogenea e si presenta con forti concentrazioni nell’area periferica romana che stanno progressivamente desertificando la città del piccolo e medio commercio. Siamo ormai prossimi a una saturazione di queste piattaforme sempre meno convenienti per i cittadini e per le città, in quanto propongono una complessità di pro-


Carlo Mitra

Carlo Mitra, presidente di Confcooperative Lazio

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I servizi logistici legati alla distribuzione delle merci si sono, in questi anni, sempre più estesi, coinvolgendo un numero crescente di operatori

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blemi di gestione, non ultimo quello della mobilità su lunghe percorrenze e quello della scarsa convenienza per chi non ha necessità di grandi acquisti, tra cui le famiglie di anziani e i single». Ha di recente denunciato una situazione di degrado e di illegalità del settore distribuzione merci. Quali le ragioni di questa situazione e cosa fare per intervenire? «I servizi logistici legati alla distribuzione delle merci si sono, in questi anni, sempre più estesi, coinvolgendo tra l’altro un numero crescente di operatori, alcuni dei quali terziarizzati rispetto alle realtà della grande distribuzione. Questi servizi includono vere e proprie attività di “carico dello scaffale”. Probabilmente anche a causa dell’elevato interesse economico che gira nel settore, una parte sempre più consistente di queste attività è oggi coinvolta nel degrado del lavoro e del mercato della distribuzione delle merci. Il settore è, quindi, uno tra i più malati.

Forse più della stessa edilizia. Si cerca di recuperare margini e produttività con l’elusione e l’illegalità, scaricando sul settore la mancanza di una vera politica in materia logistica che, in Italia, non è mai diventata un comparto industriale». Due gli strumenti individuati dal Comune di Roma per attuare il riassetto del commercio: il riequilibrio dell’offerta e lo sviluppo di nuove strutture, tra cui programmi di riqualificazione commerciale e la promozione di centri commerciali naturali. Ritiene che possano essere sufficienti per risolvere gli squilibri presenti nella Capitale? «La città di Roma non deve inventarsi nulla. Ha una rete di mercati rionali straordinaria, vie commerciali importanti distribuite nei diversi poli intermedi e una rete di negozi nel centro storico di grande pregio. Occorre una politica in grado di favorire lo sviluppo e la riqualificazione di queste realtà, unitamente a una politica che blocchi le piattaforme di periferia e incentivi un ritorno in città di strutture intermedie». Potrebbero diventare legge le numerose novità contenute nel “pacchetto liberalizzazioni” nell’ambito della contrattualistica della filiera agroalimentare. Da una parte c’è chi ritiene che il provvedimento potrà limitare i comportamenti sleali, riequilibrando i rapporti all’interno della filiera, la grande distribuzione non sono d’accordo. Cosa ne pensa? «Penso che quanto contenuto nel pacchetto liberalizzazioni costituisca un elemento importante di regolazione del mercato nella filiera agroalimentare; questo a tutela del consumatore e anche del produttore, come del resto avviene in altri paesi quali la Francia. È una risposta dovuta allo strapotere delle centrali di acquisto che, di fatto, schiacciano i produttori. Quando non esistono regole minime il mercato genera guai seri, lo abbiamo visto con la finanza». LAZIO 2012 • DOSSIER • 61




PARI OPPORTUNITÀ

Scommetto su un futuro senza quote Per Emma Bonino l’ostacolo più difficile per la parità è la cultura. «Come stiamo cercando di far capire che l’evasione danneggia la comunità, così dobbiamo considerare non etici i comportamenti discriminatori» Teresa Bellemo mma Bonino ha un lungo percorso di battaglie a favore dell’emancipazione delle donne e dei diritti civili. Ex commissario europeo, oggi vicepresidente del Senato, presidente della Commissione per la parità e le pari opportunità del Senato e attiva nell’associazione Pari o Dispare, continua a mantenere la barra dritta nel tentativo di portare il tema delle pari opportunità sempre in primo piano, perché «in materia di diritti umani e civili o si progredisce o si torna indietro». Norme che tutelino le quote rosa nelle giunte o nei cda delle società, come la Legge Golfo, sembrano ancora necessarie per arrivare all’obiettivo della parità. Le quote rosa, proprio dal punto di vista della parità e della meritocrazia, non sono però una piccola sconfitta delle donne? «Se di sconfitta si deve parlare, mi sembra allora che si debba parlare della sconfitta economica e culturale di un Paese che nel 2012 si presenta ancora al penultimo posto in Europa in termini di equiparazione. Per questo m’impegno in prima persona in un’associazione come Pari o

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Dispare che cerca di accelerare il cambiamento dell’Italia in materia di parità, concentrandosi sul tema del lavoro e dell’uso di stereotipi femminili vecchi, quando non insultanti, nei media, inclusi quelli pagati dai contribuenti e dalle contribuenti. Sulle quote la mia posizione è netta. Non voglio battermi per una società divisa in quote: tot uomini tot donne, tot bianchi tot neri, tot omosessuali tot eterosessuali. In questi mesi ho visto le prime nomine femminili nei cda e ho contato molti nomi di donne competenti e di qualità. Staremo a vedere se questo si tradurrà in vera apertura, ma se mi pongo questa domanda: “che società vogliamo costruire?”, permangono la mia contrarietà di fondo e i miei dubbi sull’efficacia delle quote come valida risposta. Ho sostenuto la necessità delle quote nelle competizioni elettorali solo come misura straordinaria e transitoria in paesi dove l’esclusione era una certezza, per esempio in Afghanistan. Ma mi umilia pensare che un simile approccio debba essere applicato oggi in Italia». Restando alla sfera politica alcune giunte, tra cui quella di Roma, sono state annullate


Emma Bonino

dal Tar per non aver rispettato le quote rosa. «In questo caso mi pare che il problema sia un altro: il rispetto delle norme. C’è infatti l’abitudine di creare norme come l’articolo 5 dello Statuto del Comune di Roma che richiede “una presenza equilibrata di uomini e donne” in giunta - che riscuotono favore elettorale e poi vengono serenamente dimenticate. Si conta sulla memoria corta degli italiani e su una scarsa sensibilità al concetto di legalità. Le donne italiane peraltro hanno dato prova in questi decenni di una pazienza incredibile, spesso sfociata in apatia, lasciando appannare le conquiste degli anni Settanta, forse confidando che il progresso di quegli anni sarebbe continuato “perché giusto”. Sono contenta che in questi ultimi tempi si è assistito a un certo risveglio delle donne che sono finalmente tornate a farsi sentire». Il cammino dell’emancipazione e della parità sembra aver catturato la donna in un cul de sac. Quasi come se gli agognati pantaloni fossero stati indossati sopra ai gonnelloni. Di conseguenza la posizione risulta spesso scomoda, poco netta, duplice. «Che l’Italia sia un paese maschilista e che stupidamente non abbia ancora capito che errore sia non utilizzare il 50% del capitale umano disponibile è un dato di fatto e gli indicatori ce lo ricordano ogni giorno. Se esaminiamo da vicino il problema del lavoro femminile, che sono profondamente convinta sia il primo da affrontare per sbloccare anche gli altri, ci si rende però conto che si devono capire bene le diverse componenti. Intanto c’è

una differenza enorme tra il Nord, che ha tassi di occupazione europei, e il Sud, che presenta tassi bassissimi. Non consola la considerazione che tali dati celino il fenomeno del lavoro nero. Il Sud presenta un duplice problema: carenza di domanda e di servizi, stabilendo così un circolo vizioso che dovrebbe essere spezzato. Esiste però, e anche il Nord non ne è immune, un problema culturale che non stigmatizza i comportamenti sessisti e incoraggia le donne a sacrificare le proprie aspirazioni professionali quando non a considerarle dannose al proprio ruolo famigliare». Come giudica l’attenzione delle nuove generazioni su questi temi? «Non trovo nei giovani e nelle giovani una grande sensibilità su questi temi e molto spesso in prima linea a rivendicare i diritti delle donne vedo ancora donne della mia età. Forse le più giovani non si rendono conto che ancora pochi anni fa l’Italia era un paese in cui le donne dovevano conquistarsi molti dei diritti che oggi sembrano garantiti. Il punto di forza delle giovani donne è ovviamente di avere molto tempo davanti a sé. Dovrebbero usarlo. Per esempio orientando i propri studi su percorsi che offrano reali possibilità di inserimento professionale e quindi di autonomia, interessandosi a quello che succede nel paese e nel mondo, appropriandosi da subito dei diritti e dei doveri che competono a tutti i cittadini, cittadine incluse , ovviamente».

Emma Bonino, presidente della Commissione per la parità e le pari opportunità del Senato

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XXXXXXXXXXX PARI OPPORTUNITÀ

Le donne, risorse vitali per le imprese Le donne sono preziose per l’intero sistema imprenditoriale mettendosi in gioco con creatività, capacità di relazionarsi e determinazione. Parola di Vittoria Carli, imprenditrice e consigliere del comitato Piccola industria di Unindustria Teresa Bellemo

opo le giunte, con la Legge Golfo ora tocca ai cda aziendali rendere obbligatorie le quote rosa. Ciò significa un maggior equilibrio e un passo importante verso una parità di diritti che le donne italiane faticano a vedere attuata. Tutto questo nonostante il capitale femminile umano tecnico sia, secondo Vittoria Carli, consigliere del comitato Piccola industria di Unindustria regionale, «un vero tesoro da scoprire e utilizzare per il rinnovamento delle imprese, che combattono ogni giorno in mercati sempre più agguerriti». Inoltre, per l’imprenditrice si può fare di più, approvando norme che favoriscano le imprese a maggioranza femminile e allargando la Legge Golfo anche alle imprese più piccole e non quotate in Borsa, che sono la maggioranza nel tessuto produttivo italiano e, nello specifico, laziale. Attraverso il suo ruolo nell’Unione industriali di Roma prima e oggi nell’associazione regionale in che modo ha posto attenzione all’imprenditoria femminile? «Per tutte le donne la necessità è sempre quella di coniugare i molteplici compiti di genere - i figli, la famiglia - con il rispetto di compiti e orari lavorativi. Ritengo che il mio ruolo, come quello delle altre colleghe imprenditrici che compongono il comitato Piccola industria di Unindustria, sia quello di contribuire per raggiungere le condizioni affinché le nostre imprese possano diventare sempre più competitive, rimuovendo gli ostacoli al loro sviluppo. Fra le condizioni da migliorare ci sono certamente quelle che riguardano specificatamente il lavoro femminile».

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A tal proposito, quali sono le principali difficoltà? «Le donne imprenditrici s’industriano per sviluppare micro e piccole imprese nei servizi e nel commercio, cogliendo le esigenze della vita che si allunga, delle famiglie che cambiano, della globalizzazione che avvicina persone e culture fino a ieri lontane, trasformando la nostra storia e la nostra cultura in opportunità di lavoro. Le loro difficoltà sono quelle di tutte le donne, ma hanno un vantaggio: i risultati si misurano più facilmente in base del successo delle imprese dove sono impegnate». Come pensa che possano giovare le quote rosa al comparto imprenditoriale? Si può fare di più? «Oltre alle quote rosa nei cda, sarebbero certamente utili norme di incentivazione a una partecipazione più consistente anche all’interno degli organismi decisionali delle imprese non quotate. Inoltre, sarebbero auspicabili norme che assegnassero punteggi più elevati a imprese amministrate in prevalenza da donne in caso di partecipazione a gare di


Vittoria Carli

appalto per opere e servizi banditi dalla pubblica amministrazione, oppure per bandi d’innovazione sia della Comunità europea (Horizon 2020 e programmi quadro), che dei ministeri della ricerca scientifica e dello sviluppo economico. Infine, dovrebbero essere specificatamente previste regole tese a favorire il welfare femminile nelle certificazioni aziendali». Come viene affrontata la crisi nel suo territorio? C’è una ricetta femminile per superarla? «Secondo gli ultimi dati di Unioncamere, l’industria del Lazio ben si distingue in Italia sia per le imprese rosa che per la presenza di donne a livello di alto management. Le imprese fem-

minili registrate nel Lazio a giugno 2011 sono il 10% del totale, ponendosi al secondo posto in Italia dopo la Lombardia e prima di Campania e Veneto. Nella piccola industria di Unindustria le rappresentanti nel consiglio direttivo sono oltre un quarto del totale. Queste tendenze sono favorite anche dalla politica dell’associazione, volta a sensibilizzare le imprese su tematiche di particolare interesse per le imprenditrici come l’internazionalizzazione, la semplificazione e l’innovazione. Per il secondo anno consecutivo, con il comitato Piccola industria nazionale e con un’ampia partecipazione femminile, ho coordinato il “Pmi Day 2011” nel Lazio, che ha messo in campo oltre 1.000 studenti, 21 scuole medie e istituti professionali di Roma, Frosinone e Rieti per un totale di 150 stakeholder e 30 aziende d’eccellenza del nostro territorio». Così come le imprese anche le donne possono mettersi in rete? Quali vantaggi otterrebbero? «Mettersi in rete è un vantaggio a prescindere dal sesso, ma le donne sono le prime che danno il meglio di sé quando informatica e telematica consentono loro di essere allo stesso tempo madri e collaboratrici utili alle imprese per cui lavorano, anche durante la maternità. Le imprese più emancipate hanno ben compreso quanto sia importante questa opportunità per le donne e di quanto esse possano offrire all’impresa. È arrivato il momento anche per le imprenditrici di interconnettersi per realizzare progetti comuni e per essere sempre più competitive sul mercato».

In apertura, Vittoria Carli, consigliere del comitato Piccola industria di Unindustria regionale

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PARI OPPORTUNITÀ

La politica dia il buon esempio Il commercio e l’imprenditoria possono essere per la donna attività di successo perché, assieme a qualità e innovazione, sono necessarie tutte capacità che le donne hanno: cura, senso del bello e testardaggine Teresa Bellemo

el Lazio le aziende femminili stanno crescendo, in controtendenza rispetto alla crisi. Sotto questo aspetto quella laziale è una delle realtà regionali più floride dopo quella lombarda. Questo però non significa che l’imprenditoria rosa non abbia più bisogno di attenzioni. Oltre ai tempi e alla necessità di conciliare lavoro e famiglia, uno dei problemi più grandi è l’accesso al credito. Persistono ancora pregiudizi erronei che impediscono alle donne di poter ricevere prestiti e finanziamenti, per questo «si devono mettere in campo incentivi per dare fiducia a queste donne perché purtroppo c’è anche una forte necessità di lavoro». Ne parla Alberta Parissi, presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di Commercio di Roma.

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Quanto il suo essere donna caratterizza il suo operato di presidente? In che modo cerca e ha cercato di farlo risaltare? «Sono sempre stata orgogliosa di essere una donna. Ho sempre adottato atteggiamenti, comportamenti e modi di pensare influenzati dal fatto che appartenevo al genere femminile. Non voglio affatto sostenere che le donne siano migliori degli uomini, dico solo che essere donna per me è la condizione migliore, che mi fa sentire più a mio agio». La sua carriera è iniziata alla Standa, dove era capo reparto, ora è titolare di boutique. Quanto sono state importanti queste tappe per la sua professione e quanto si sono riflesse nei ruoli istituzionali che ha ricoperto? «Il mio percorso professionale si intreccia inevitabilmente con il mio percorso più personale. È sempre una fortuna poter percorrere una strada professionale, come nel mio caso, con la passione tipica di chi ama il proprio lavoro. Quando questo succede tutte le tappe sono importanti e i ruoli istituzionali che vengono riconosciuti sono ovviamente il riflesso di questo percorso. Le donne che come me hanno l’onore di ricevere questi incarichi


Alberta Parissi

dovrebbero sentirsi responsabili verso le altre donne, permettendo con il loro lavoro di far conoscere sempre di più la realtà dell’imprenditoria femminile a Roma, nel Lazio e in Italia». La Legge Golfo introduce le quote rosa anche nei cda aziendali. Cosa ne pensa? «La Legge Golfo porta avanti un principio di democrazia, di equilibrio fra i generi e di rappresentanza. Credo poi che la cosa importante sia parlare non di quote rosa ma di parità di genere, come dice bene la legge. Parlando di quote rosa, invece, si sminuisce la portata di questa norma e si alimenta soltanto uno sterile dibattito su quote sì-quote no. Questa non è una legge per garantire il posto alle donne, piuttosto è una leggere utile a ristabilire un principio di democrazia, in considerazione dei bassi tassi di presenza femminile nei ruoli apicali. Il legislatore ha ben agito aumentando la presenza femminile nei cda aziendali, dove la presenza femminile è assolutamente bassa, ma auspicherei lo stesso tipo di impegno per la presenza femminile alla Camera, al Senato e tra

le fila del governo. Se si impone una cosa per legge, allo stesso tempo si dovrebbe dare il buon esempio». Perché in Italia nel 2012 c’è ancora bisogno di incentivi all’imprenditoria femminile? «C’è il grosso problema dell’accesso al credito. Questo perché permangono stereotipi e pregiudizi oltretutto privi di ogni fondamento, in quanto tutte le statistiche quantitative e le ricerche qualitative dimostrano quanto i soldi concessi alle donne siano davvero in ottime mani. I tempi di pagamento vengono rispettati, eppure le banche sono ancora diffidenti nei loro confronti. Questo problema, spesso insormontabile, è stato trattato a Roma l’8 marzo scorso durante la seconda edizione di “M’illumino d’impresa”, un evento teso a far crescere l’imprenditoria femminile». Qual è la marcia in più di una donna nel commercio? «La marcia in più di una donna è certamente la sua capacità di immedesimazione. Una donna appagata, che ama il suo lavoro, attraverso il quale lei stessa ha raggiunto la propria autonomia, è una vera forza della natura. Per le imprenditrici il lavoro è legato alla passione, per questo investono su di esso anche affettivamente. Inoltre, cercano di creare un clima partecipativo con le collaboratrici e i collaboratori perché sono più attente al bisogno di conciliazione. Facendo le imprenditrici sanno quanto sia importante riuscire ad armonizzare il tempo e gli impegni con le persone che si hanno accanto. Poi c’è da dire che le donne fanno meno questioni di principio, vanno al sodo e sono meno permalose; dispensano consigli sensati».

Alberta Parissi, presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di Commercio di Roma

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PARI OPPORTUNITÀ

Donne giuriste e parità Le quote di genere oggi si rivelano purtroppo l’unico strumento efficace per un maggiore equilibrio, anche nei consigli degli ordini professionali Teresa Bellemo

o scenario giuridico italiano ormai è fortemente caratterizzato da una solida presenza femminile, basti pensare che il 40% degli avvocati e dei magistrati oggi in Italia sono donne. Purtroppo tutto questo non deve far pensare che il cammino verso la parità fra generi sia concluso. La conciliazione lavoro-famiglia, la notevole disparità di reddito dovuta allo scarso affidamento di incarichi e alla “presunzione di competenza” delle donne soltanto in settori limitati e meno redditizi, la scarsa rappresentatività all’interno degli organi istituzionali. Sono queste le principali barriere che una donna deve affrontare per esercitare la professione di avvocato. Il punto di Nunzia Esposito, avvocato e presidente della sezione romana dell’Associazione donne giuriste d’Italia. Se la legge è uguale per tutti, le possibilità, a quanto pare, non lo sono. Cosa deve cambiare perché si arrivi a una vera parità? «Un paese civile e democratico deve essere consapevole che la valorizzazione del ruolo dell’occupazione femminile oltre che un fattore di equità e giustizia è anche conveniente sotto il profilo economico e dello sviluppo. Il tema della conciliazione lavoro-famiglia è da sempre un vincolo per le donne, in particolare se madri. Ecco perché deve essere implementato un nuovo sistema di collegato lavoro e di welfare che da un lato agevoli le

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Nunzia Esposito, presidente dell’Associazione donne giuriste d’Italia di Roma

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condizioni fiscali all’impiego femminile e contemporaneamente sviluppi una rete di servizi e sistemi sociali integrati in grado di sostenere e riconoscere il livello di autonomia di ciascun componente della famiglia». Come mai ancora una volta è servita una legge dello Stato per incentivare la presenza di donne nelle stanze dei bottoni? «Nonostante la presenza femminile negli ambiti professionali abbia avuto un forte aumento, permane uno scenario di discriminazione negli incarichi di vertice. Per eliminare le disparità attuali il percorso di cambiamento culturale da compiere è ancora lungo. La Legge Golfo Mosca ha costituito un punto di accelerazione e di rottura che supporterà da subito nei numeri questo cambiamento e il superamento di un vulnus sociale». Quali sono, se ci sono, le difficoltà che una donna deve superare per esercitare la professione nel campo giuridico? «Oggi, rispetto al passato, non esistono barriere per l’accesso alla professione giuridica, tant’è che, ad esempio, nella fascia di età compresa tra i 25 e 29 anni le donne sono più del 50%. Le associazioni e le commissioni pari opportunità hanno più volte denunciato l’annosa questione della sottorappresentanza nei consigli degli ordini e negli organismi di vertice professionali. Oggi dovremmo fare tutte un passo avanti e magari pretendere che la legge professionale preveda le cosiddette “quote di candidature”, riconosciute a livello internazionale quale unico strumento efficace per l’implementazione dell’equilibrio di genere. Occorre che noi formatori ci impegniamo altresì a contribuire alla valorizzazione della figura della donna giurista, per la creazione di vere e proprie leadership al femminile».



SICUREZZA SUL LAVORO

Come cambia la cultura della sicurezza Quanto ha influito la crisi economica sugli investimenti delle aziende nella prevenzione degli incidenti? Antonio Buccellato fa il punto della situazione e rivela una crescente sensibilità da parte di tutti i soggetti coinvolti Manlio Teodoro

onostante il periodo non facile per l’economia nazionale, stiamo rilevando come gli aspetti legati alla sicurezza siano diventati punti cardine nella cultura aziendale, anche in quei settori che non si erano finora adeguati a quanto definito dalle norme». È questo lo scenario attuale per quanto riguarda i temi della prevenzione e della sicurezza sul lavoro tracciato da Antonio Buccellato, socio fondatore insieme a Fabiana Campioni e Alberto Marino del gruppo Cmb, che nel 2011 ha consolidato la propria posizione nel settore della sicurezza sul lavoro, della vigilanza antincendio per la tutela di strutture a rischio elevato e della formazione di

«N Sotto, Antonio Buccellato, Fabiana Campioni, Alberto Marino, soci fondatori del gruppo Cmb di Roma www.gruppocmb.com

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figure sensibili incaricate di gestire la sicurezza nelle aziende. «Allo stesso tempo, stiamo assistendo – prosegue Buccellato – a una ricerca di maggiore approfondimento della materia da parte delle aziende che avevano già ottemperato a quanto stabilito dalla normativa, attraverso un’analisi più seria sui processi interni e sulle possibilità di miglioramento delle condizioni lavorative. Non vorrei risultare troppo ottimista ma ho la convinzione che negli ultimi tempi si sia generato un cambiamento radicale nella cultura stessa della sicurezza in azienda». In che modo sta cambiando, in concreto, la cultura della sicurezza sul lavoro? «Da un approccio alla sicurezza di tipo esclusivamente documentale – utile forse a superare indenni un’eventuale e superficiale ispezione degli organi di vigilanza –, stiamo passando a un approccio sostanziale. Questo mira a un reale inserimento nel processo produttivo di procedure operative interne che tutelino la sicurezza e il benessere dei lavoratori. È quindi di fondamentale importanza che i professionisti del settore si assumano un impegno, anche etico, nel guidare le aziende in un percorso a volte faticoso, ma che ha importantissimi risvolti sociali. Di interesse pubblico è inoltre il servizio di vigilanza antincendio, che si inserisce negli obiettivi di sicurezza e incolumità delle persone, oltre che nella salvaguardia dei


Antonio Buccellato

beni e della tutela dell’ambiente». Quali sono gli elementi che a suo avviso hanno spinto le aziende verso una maggiore responsabilità? «Sicuramente, l’attenzione e il rilievo che la stampa ha dato ai numerosi casi di incidenti sul lavoro e le conseguenti condanne, sia morali sia giudiziarie, hanno contribuito ad accendere il dibattito. Anche grazie ai ripetuti appelli delle massime cariche dello Stato. Tuttavia, una riflessione si può fare intorno al coinvolgimento degli attori direttamente coinvolti nello sviluppo culturale della sicurezza e soprattutto nell’applicazione di procedure che la garantiscano. Per esempio ci si potrebbe chiedere quanto la spinta propulsiva derivi dai lavoratori e quanto dai datori di lavoro? Secondo la mia esperienza, la maggioranza dei lavoratori sono perfettamente coscienti di quanto il rispetto di certe regole sia importante. Riguardo ai datori di lavoro c’è grandissima attenzione alla materia e ritengo che, nonostante la crisi, gli investimenti in sicurezza non siano i primi a essere tagliati». Esistono settori più sensibili di altri al tema della sicurezza? «Molta attenzione va riposta in alcuni settori specifici nei quali la crisi si è fatta sentire pe-

Da un approccio alla sicurezza di tipo esclusivamente documentale, stiamo passando a un approccio sostanziale

santemente e nei quali il rispetto dei molti adempimenti previsti dalle norme aggrava una situazione già difficile. In molti auspicano infatti una sorta di semplificazione degli adempimenti per piccole aziende a cosiddetto “rischio basso”. Effettivamente questo potrebbe essere di aiuto in certi casi, comunque sempre con l’obiettivo di tenere ben presente l’effettiva necessità di tutela dei lavoratori. Delle resistenze ancora si trovano in un settore molto complesso come quello dell’edilizia, ma questo sconta anche altri problemi. Per esempio, l’alto numero di lavoratori di cultura e lingua differente rappresenta spesso un ostacolo alla comunicazione». Quale approccio prediligete nelle attività di formazione sulla sicurezza? «La formazione ritengo sia il momento centrale del processo di adeguamento dell’azienda alla sicurezza e tutti i dipendenti sono parte fondamentale dei risultati che si possono ottenere. Non può esistere un’azienda sicura, se i comportamenti dei lavoratori non lo sono.

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SICUREZZA SUL LAVORO

Ovviamente non si può prescindere dal fatto grande professionalità ed è immaginabile come che in aula troviamo persone adulte – spesso anche di alto profilo professionale – e che gli argomenti trattati siano guardati da molti con diffidenza. Per riuscire quindi a “scardinare” certe barriere, chiediamo ai docenti capacità che vanno oltre gli aspetti puramente tecnici. Viene così privilegiato un approccio esperienziale, la ricerca del coinvolgimento emotivo del partecipante rende molto più facile l’apprendimento. L’utilizzo di prove pratiche, di esercitazioni e il supporto video con proiezioni di filmati relativi a casi reali, inoltre, aiuta il docente a instaurare un rapporto empatico molto utile alla partecipazione e al conseguente apprendimento». Quanto avete investito nella formazione? «Abbiamo profuso sempre grande impegno nel garantire in aula la presenza di formatori di

Abbiamo realizzato un centro specialistico per la formazione in partnership con l’Università di Tor Vergata

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a volte questo abbia comportato scelte addirittura antieconomiche – soprattutto alla luce di quanto accade nel mercato della formazione, spesso rivolto più a garantire un attestato che un reale apprendimento. La nostra scelta di investire molto nella formazione è però dettata dal fatto che abbiamo sempre presente – e cerchiamo di trasmettere questa coscienza anche ai nostri corsisti – quali conseguenze possono derivare da una carente istruzione nel campo della sicurezza. Abbiamo anche dovuto impegnarci per garantire il rispetto di un numero minimo di ore, necessarie a trattare argomenti fondamentali per la salute dei lavoratori». Su quali delle vostre aree di attività investirete maggiormente nel prossimo futuro? «In questo momento siamo impegnati nella realizzazione di un centro specialistico per la formazione in partnership con l’università di Tor Vergata. Questa collaborazione è particolarmente importante per noi, dato che siamo gli unici partner privati dell’università di Tor Vergata, che ha progettato, attraverso il servizio di “Prevenzione e protezione”, quello che sarà il nuovo punto di riferimento nel Centro Italia per la formazione in salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il nuovo centro sarà una struttura dotata di aule e ampi spazi esterni attrezzati, nei quali verranno erogate le diverse tipologie di percorsi formativi». Quali le sfide e gli obiettivi principali che attendono la società nel corso del 2012? «Riteniamo che oggi il nostro obiettivo sia quello di proseguire nella ricerca del continuo miglioramento, necessario a offrire un servizio sempre conforme alle aspettative. Questa strada, intrapresa dal 2001 anno di fondazione della Cmb, ci ha permesso di acquisire e mantenere partner di prima rilevanza, oltre a farci ottenere riconoscimenti professionali presso enti e istituzioni, come quello datoci nel 2011 dall’Associazioni Italiana Formatori per la Sicurezza (Aifos)»



CRISIS MANAGEMENT

L’IT a garanzia della continuità operativa Un’azienda deve essere in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza. Il punto di Stefano Leandri, che con GL Group da quasi dieci anni è in prima linea nel campo del Crisis Management Guido Puopolo

on il termine Business Continuity si intende la capacità di un’azienda di continuare a esercitare il proprio business a fronte di eventi catastrofici che possono colpirla. Il Piano di continuità del business (BCP) contiene informazioni riguardo le azioni da intraprendere in caso di incidente, di chi è coinvolto nell’attività e come deve essere contattato. Il BCP identifica i processi “critici” e gli scenari di crisi a cui una realtà imprenditoriale può essere esposta, definisce le policy, le strutture organizzative coinvolte, le procedure e le soluzioni di continuità operativa per ogni processo durante gli scenari di crisi/emergenza. L’obiettivo è la salvaguardia delle attività produttive e del

C

Stefano Leandri, direttore generale di GL Group Spa. La società ha le sue sedi a Roma e Milano www.glgroup.it

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business minimizzando l’impatto economico, reputazionale, legale e strategico che un evento disastroso può avere sull’azienda. «Il Business Continuity Plan necessita di un costante presidio, che ne garantisca l’efficienza ed efficacia nel tempo: solo il periodico monitoraggio e aggiornamento delle procedure e delle soluzioni di continuità consente la riduzione progressiva del “rischio residuo accettato”, e quindi una maggiore garanzia del servizio al cliente». È un parere autorevole quello di Stefano Leandri, direttore generale della GL Group Spa, società fondata con l’obiettivo di facilitare l’evoluzione e l’ottimizzazione del “sistema impresa”, mettendo a disposizione dei propri partner competenze, servizi e soluzioni di nuova generazione, per affrontare con successo la complessità dei progetti Ict. Quanto, nella cultura d’impresa italiana, gli strumenti di Ict vengono ritenuti strategici per affrontare e superare le situazioni di crisi che si possono verificare? «Ci sono paesi in cui la “cultura della crisi” fa parte del processo del vivere comune. In Italia in questi anni sono stati fatti progressi evidenti, come dimostra l’articolo 50bis del nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), con il quale si rende obbligatorio, per le strutture e per gli enti della Pubblica Amministrazione, di dotarsi di un piano di Continuità Operativa e di Disaster Recovery. Eventi come l’alluvione di Genova dello scorso


Stefano Leandri

Da sinistra, Edoardo Mauri e Carlo Loveri, rispettivamente responsabile sviluppo e Ad della e-Solution Europe Srl. Sotto, una riunione di parte dello staff GL Group Spa

novembre, il naufragio della Costa Concordia e l’eccezionale ondata di maltempo che ha recentemente colpito la Penisola, dimostrano però che c’è ancora tanto da fare. Al di là degli aspetti tragici, questi avvenimenti non possono infatti non essere analizzati da un punto di vista puramente procedurale e metodologico, al fine di evidenziarne e studiarne le anomalie gestionali». Qual è l’attività portata avanti da GL Group a questo proposito? «La nostra azienda da anni è impegnata nel campo del Crisis Management, della Business Continuity Management e del Disaster Recovery, offrendo ai propri clienti una soluzione integrata per la governance di tutto il processo di Crisis Management basata sulla propria piattaforma software Orbit©». Di cosa si tratta? «Orbit© è una suite software italiana creata dalla eSolutions Europe S.r.l., azienda nata nel 2000 e oggi parte della GL Group. È uno strumento innovativo, leader nel settore, in grado di aiutare le aziende a raccogliere, analizzare e gestire la mole di dati che deve essere censita mediante l’automatizzazione dei processi a livello informatico. L’architettura di Orbit© si basa su moduli indipendenti, attraverso cui è possibile gestire piani operativi, creando un database delle azioni da eseguire in caso di scenari prestabiliti di crisi/emergenza. In altri termini è uno strumento che “conduce per mano” i responsabili aziendali nel momento della crisi, indicando chi deve intervenire e che cosa deve essere fatto». Quale riscontro ha avuto questo prodotto sul mercato? «Direi ottimo. Orbit© già nel 2009 aveva un installato pari all’80% delle banche italiane, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Cariparma, Banco Veneto, Banca Marche, solo per citarne alcune. Gli

Ci sono paesi in cui la “cultura della crisi” fa parte del processo del vivere comune, dove la pianificazione e l’esercitazione fanno parte della quotidianità

istituti bancari, infatti, dal 2004 sono obbligati, sulla base di un’ordinanza emanata dalla Banca d’Italia, a predisporre adeguati “Piani di Continuità Operativa”, che definiscano chiaramente le modalità e le responsabilità per la gestione delle emergenze, nonché le iniziative e i presidi di sicurezza da istituire. Nell’ultimo anno la GL Group si è aperta a nuovi segmenti di mercato, tanto che Orbit© è attualmente utilizzato anche per la Pubblica Amministrazione Centrale, come ad esempio in Inps, e alla Regione Lombardia Asl di Milano per la Pubblica Amministrazione Locale, in BTicino per l’industria e in LAZIO 2012 • DOSSIER • 81


CRISIS MANAGEMENT

UNA COLLABORAZIONE STRATEGICA accordo di collaborazione tra la GL Group Spa e il Dipartimento D.I.E.T della facoltà di Ingegneria dell’Informazione, Elettronica e Telecomunicazioni dell’Università Sapienza di Roma, nasce dall’esigenza di approfondire nuove tematiche nel campo della ricerca, di aumentare la competitività in ambito internazionale, e di favorire la promozione e la diffusione della cultura scientifica e tecnologica su argomenti riguardanti il mondo dell’informatica e dell’elettronica. Altro obiettivo fondamentale di questa partnership è la formazione di giovani laureandi e neo laureati, da inserire nel mondo del lavoro attraverso un percorso di “training on the job”. La formazione delle nuove leve è infatti un cavallo di battaglia della società, perché garantisce alta professionalità, ma soprattutto permette di poter disporre di laureati con skill e competenze d’avanguardia. Le sinergie create hanno così reso possibile la nascita di un centro di ricerca comune, finalizzato all’innovazione tecnologica nei settori delle tecnologie di networking, dell’elettronica e di sviluppo di nuovi software.

L’

SAI per le Assicurazioni».

Da sinistra, il presidente della GL Group Spa Lanfranco Leandri, il professore Marco Listanti, l’ingegnere Paolo Stevanato

GL Group è però una realtà complessa e molto variegata. Quali sono, a questo proposito, gli altri servizi offerti dall’azienda? «Siamo dotati di una struttura che ci permette di operare a 360 gradi. Attraverso GL Educational ci occupiamo delle attività di formazione nel settore ICT, con l’obiettivo di diffondere conoscenze e competenze che consentano alle persone di adattarsi perfettamente alle esigenze del mercato. L’elaborazioni di studi di fattibilità tecnica, economica e finanziaria, l’analisi delle scelte di investimento e finanziamento per le aziende e l’assistenza alle imprese nelle stesse fasi del processo sono invece alcuni dei servizi offerti da GL Consulting, nata dall’unione del know how maturato dai Soci di riferimento nell’ambito della consulenza per aziende operanti in diversi comparti industriali. GL Networking, infine, è la società del Gruppo specializzata nella consulenza per la progettazione e gestione di sistemi di reti avanzati». Che bilancio è possibile trarre dall’ultimo anno di attività di GL Group? «Nel 2011 il fatturato dell’azienda è aumentato

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del 23 per cento rispetto al 2010, risultato eccezionale in questi anni di crisi mondiale. Ciò è stato possibile grazie alla tenacia di uno staff giovane, dinamico e motivato, e alla presenza di una leadership efficace e professionale». Come vi state muovendo, infine, per far fronte alle nuove esigenze del mercato? «Abbiamo scelto la strada dell'innovazione e della differenziazione dell’offerta, l’unica via d’uscita a questo momento in depressione. Recentemente abbiamo stretto un accordo di partnership con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma La Sapienza: siamo convinti che le imprese e le strutture di ricerca debbano connettersi per creare un unico sistema produttivo. La ricerca e l’innovazione tecnologica diventano il motore che ci permetterà di immaginare nuovi scenari, andando oltre quelli già sperimentati con Orbit©. L’automazione dei processi a livello informatico, l’organizzazione del modello aziendale attraverso una gestione multisocietà, multigruppo e multilingua, e l’adattabilità ai rapidi cambiamenti del mondo economico e tecnologico sono le sfide che ci attenderanno nel prossimo futuro».



FONDI DI INVESTIMENTO

Il richiamo, indipendente, dei nuovi intermediari Con oltre 200 milioni di patrimonio in gestione, crescono le prospettive di Sofia Sgr. A parlarne è Luigi Capitani, che per il 2012 annuncia nuovi importanti fondi di investimento immobiliare rivolti alle energie rinnovabili Aldo Mosca

otale indipendenza dal mondo bancario, flessibilità operativa e prospettive di investimento sono gli imperativi che stanno contribuendo ad aumentare il peso di Sofia Sgr sul panorama dell’advisory finanziario finalizzato alle gestioni patrimoniali “su misura”. Nata nel 2009, questa realtà vanta nel suo azionariato alcuni professionisti con alle spalle importanti esperienze nei principali istituti di credito nazionali e ha chiuso il 2011 con un importante consolidamento della massa patrimoniale gestita. Si è toccato, infatti, l’obiettivo dei 200 milioni di euro, dato che è già stato superato nei primi mesi del 2012. A confermare il trend positivo

T

Luigi Capitani, tra i soci della Società Sofia Sgr www.sofiasgr.it

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è direttamente uno dei quattro soci, Luigi Capitani. «La nostra è una società giovane, che sta crescendo, oltre che nei risultati, anche nel suo organico». Soltanto da gennaio, infatti, il gruppo ha acquisito altri sette private banker. Un ampliamento che avviene anche in previsione di un importante piano di allargamento degli investimenti verso nuovi fondi strategici. «Grazie al rafforzamento della massa gestita, possiamo proseguire nel nostro ambizioso business plan – sottolinea Capitani –. Le prospettive sono buone, anche perché partiamo da un dato di rendimento, relativo al primo bimestre del 2012, che ha già permesso ai nostri clienti di ricavare, sulle somme affidateci, da un minimo del sei a un massimo del diciannove per cento». Capitani, perché l’indipendenza nei confronti di banche o assicurazioni è così rilevante? «Si tratta di un principio fondamentale. I soci di Sofia Sgr non hanno alcun legame con le banche, non devono rendere conto a nessun istituto. Ciò ci consente di valutare gli investimenti che più convengono ai nostri clienti in assoluta libertà. Non otteniamo un vantaggio economico nell’investire su un determinato strumento finanziario anziché un altro. È una peculiarità, questa, che i risparmiatori cercano anche a seguito di


Luigi Capitani

quanto si è verificato negli ultimi anni, in cui le banche hanno sofferto a causa di una profonda crisi di liquidità». Ad ogni modo le banche le utilizzerete. «Sì, ma solo ed esclusivamente come depositarie, cioè come istituti in cui il nostro cliente può depositare la liquidità o i titoli, lasciando a noi, però, la delega di Investirli nelle asset class che riteniamo più opportune». In Italia, a differenza che negli altri paesi europei, si è sempre detto che i risparmiatori sono meno preparati sugli strumenti finanziari a disposizione. Ancora oggi è difficile farli avvicinare al vostro mondo? «Devo dire che si verifica ancora un divario culturale rispetto, ad esempio, ai paesi anglosassoni, dove la sensibilità nei confronti del mondo finanziario è più alta. Ma ciò è dovuto al fatto che in quei paesi lo sviluppo della finanza ha conosciuto ritmi e logiche differenti rispetto al caso italiano. Qui da noi ci sono ancora tantissimi risparmiatori che operano seguendo la logica del “fai da te”, decidendo in autonomia i propri investimenti. Ma questo può essere pericoloso, soprattutto oggi, in quanto occorre quel giusto distacco che soltanto un investitore professionale può avere. Anche per questo facciamo un’opera di educazione nei confronti della committenza. Quando ci viene chiesto di aprire una gestione patrimoniale o di avere una consulenza, infatti, la prima cosa che facciamo è affiancare il cliente cercando di capire, insieme, quelle che sono le sue esigenze». Quali elementi vanno presi in considerazione? «In primis va identificato il profilo di rischio. A quel punto occorre valutare le sue esigenze di rendimento e l’orizzonte temporale che si pone per i suoi investimenti».

Si è verificata una situazione che ha spiazzato tutti. Il 2011 verrà ricordato per la fortissima volatilità dei mercati

L’ultimo triennio, però, ci ha insegnato che identificare i fattori di rischio non è cosa scontata. «Questo perché si è verificata una situazione che ha spiazzato tutti. Il 2011 verrà ricordato per la fortissima volatilità dei mercati, ma soprattutto da un fenomeno sostanzialmente nuovo relativo all’andamento delle diverse classi di investimento. In pratica si è verificata, contemporaneamente, una forte contrazione sia del valore delle obbligazioni, sia delle azioni, asset class che sono invece solitamente decorrelate. Tutto si è scatenato anche per i gravi problemi di liquidità che hanno travolto alcuni paesi dell’area Euro come Spagna, Portogallo e Italia». Per il 2012 si aspetta un’inversione di rotta? «Sicuramente in questi primi mesi abbiamo assistito a un’importante ripresa della parte obbligazionaria, che ha recuperato, in media, LAZIO 2012 • DOSSIER • 85


FONDI DI INVESTIMENTO

tra il quindici e il venti per cento. Ciò si- orienta Sofia Sgr? gnifica che la situazione sta tornando alla normalità, anche se nei prossimi mesi possiamo aspettarci ulteriori oscillazioni». Tutto questo cosa significa per gli investitori? «Dipende. Per quelli che vogliono ricavi a breve termine lo scenario non è dei migliori, proprio per la volatilità di cui stavo parlando. Chi, invece, si pone un orizzonte temporale a medio termine potrà recuperare e guadagnare anche in maniera significativa». Oggi su quali strumenti finanziari si

Ci siamo orientati su ambiti dalle forti potenzialità di crescita. Due di questi fondi si rivolgeranno all’energia ricavata dalle biomasse

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«La nostra scelta è rappresentata dalle cosiddette gestioni patrimoniali flessibili, vale a dire investimenti che tendono a seguire quello che è l’andamento del mercato. Dunque difficilmente privilegiamo un determinato asset class, ma cerchiamo di capire, in maniera tattica, dove direzionarci. Adeguando ogni mossa alle esigenze del singolo cliente, a cui creiamo un portafoglio di obbligazioni o azioni tagliato su misura». Lei fa parte di un gruppo manageriale unitosi nel 2009. Un organico nato da pochi anni e che, ovviamente, sta ancora delineando i suoi fronti operativi. Cosa state programmando in tal senso per il prossimo futuro? «Nel corso del 2011 abbiamo studiato un piano ben definito che porteremo avanti nel 2012. Ci stiamo aprendo ai fondi immobiliari chiusi. Questo ci consente di agire su un fronte che cerca rendimenti in investimenti alternativi. Stiamo lavorando alla costituzione di tre fondi, due immobiliari, che investono in energie rinnovabili, e un altro, sempre immobiliare, ad apporto, che stiamo delineando insieme alla società Pegaso 90, di Roma». Perché proprio ora? «Costituire un fondo immobiliare in questo momento storico ci consente di partire da una base di mercato che ha già subito una riduzione dei suoi valori e che, di conseguenza, per i prossimi quindici ci pone dinanzi a rilevanti prospettive di crescita. In secondo luogo, attraverso questo tipo di fondo potremo coinvolgere altri operatori immobiliari presenti sul mercato. Occorre inoltre considerare la capacità professionale del partner industriale; riteniamo che con Pegaso si possa sviluppare un ottimo lavoro. La nostra previsione si attesta su un rendimento del sette o dell’otto per cento».


Luigi Capitani

I primi due fondi, invece, si rivolgeranno al settore delle energie rinnovabili. Come si è giunti a questa scelta? «Ricordiamoci che parliamo di fondi chiusi, non aperti, che presuppongono un investimento di circa quindici anni. Riteniamo che partendo oggi, gli investimenti in queste tipologie di strumenti possano dare rendimenti molto interessanti. Ci siamo orientati su ambiti dalle forti potenzialità di crescita, come l’energia ricavata dalle biomasse, grazie agli scarti di oli e, in generale, agricoli. Questi due fondi, uniti al terzo fondo creato con Pegaso 90, rappresentano iniziative con un controvalore stimato in circa 100 milioni di euro». Oltre all’energia, proponete un pacchetto piuttosto variegato di settori e ambiti su cui investire. Uno tra questi è l’arte. «Abbiamo concepito Sofia un po’ come una boutique finanziaria al servizio di clienti private, di una certa dimensione in termini di portafogli, in media dai 500mila euro in su. È chiaro che agendo su simili cifre è fondamentale avere la capacità di offrire al cliente la maggiore diversificazione degli investimenti possibile. Noi, in quanto professionisti, svolgiamo direttamente le attività in

campo finanziario e immobiliare. Al tempo stesso, però, offriamo la possibilità di entrare in contatto anche con altre realtà, tra cui quella artistica. I nostri clienti vengono introdotti a un network di autori e galleristi di arte moderna su cui eventualmente investire. Ma ciò avviene un po’ in tutti i campi». Lei parla soprattutto di clienti privati, e per le imprese? «Abbiamo creato un’altra società, la Sofia Consulting, che nasce proprio con l’obiettivo di soddisfare quei clienti che, magari, sono anche imprenditori, con tutte le eventuali esigenze legate al corporate finance, a un’eventuale ristrutturazione dell’azienda, oppure alla successione attraverso la vendita di quote o l’organizzazione di polizze private, specie per le famiglie particolarmente facoltose. Non vogliamo limitarci a gestire gli asset, quindi gli attivi dei nostri clienti, azione che svolgiamo direttamente attraverso la nostra Sgr, ma intendiamo porci come risolutori di problematiche e propositori di servizi a cui l’investitore tiene. Anche in questo vogliamo distinguerci dalle grandi banche. Questo è il vero valore aggiunto, la flessibilità del piccolo intermediatore finanziario». LAZIO 2012 • DOSSIER • 87


E-COMMERCE

Le opportunità dell’e-commerce per le Pmi Per la stragrande maggioranza delle imprese italiane la vendita attraverso il web è ancora un campo inesplorato. Costi e competenze tecniche specialistiche frenano l’ingresso nel commercio elettronico. AgenteInforma propone una soluzione che semplifica il debutto online Manlio Teodoro

onostante le riconosciute potenzialità dell’e-commerce, questa pratica di vendita resta ancora un obiettivo difficile da raggiungere per le imprese italiane, soprattutto per quelle di piccole e medie dimensioni. Ma anche considerando le “grandi”, a prova del fatto che l’Italia sia ancora indietro in questo settore ci sono i dati dell’Osservatorio eCommerce B2c – osservatorio promosso da Netcomm e dalla School of Management del Politecnico di Milano. L’incremento 2011 del 20% rispetto all’anno precedente, che ha portato l’e-commerce italiano a un giro d’affari di 8,1 mld di euro impallidisce di fronte ai 34 mld di Germania, ai 60 mld del Regno Unito e ai 208 mld degli Stati Uniti. Come spiega Ignazio Ciampi, responsabile sviluppo della software house romana IT Consulting: «Spesso sono le difficoltà tecniche legate all’implementazione dell’infrastruttura informatica e gli investimenti iniziali, oltre che il problema del suo mantenimento nel tempo, a rallentare o addirittura impedire alle aziende di usufruire delle opportunità che l’e-commerce offre. Proprio per venire incontro a queste esigenze abbiamo sviluppo un progetto, AgenteInforma». Quali sono gli investimenti che un’impresa deve fare per dotarsi di una piattaforma di e-commerce? «Per la realizzazione di un sito destinato alla

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vendita online, solitamente è necessario un consistente investimento economico iniziale. Oltre che un certo numero di competenze informatiche complesse o di risorse umane dotate di tali competenze – il che si traduce in ulteriori investimenti economici. Le operazioni di base sono certamente quelle di creare la struttura del sito e la sua grafica, ottimizzare il sito per i motori di ricerca, curarne tutta la parte legata alla sicurezza delle transazioni e della protezione dei dati, avere dei server replicati e ovviamente un sistema di gestione dei prodotti e dei clienti». Quali sono i vantaggi che offre il vostro servizio?

Ignazio Ciampi, responsabile sviluppo della IT Consulting Srl di Roma www.agenteinforma.com


Ignazio Ciampi

Abbiamo creato un’innovativa piattaforma per consentire un ingresso semplice e professionale nel mondo del commercio elettronico nazionale e internazionale

«Il progetto è nato per creare un’innovativa piattaforma e-commerce in Italia che consenta agli imprenditori un ingresso semplice e al tempo stesso professionale nel mondo del commercio elettronico nazionale e internazionale. La nostra società realizza in tutte le sue parti il “negozio” online, quindi all’impresa non è richiesta nessuna competenza tecnica. La vera novità però è che all’impresa non è richiesto nessun costo per la realizzazione e il mantenimento del sito, dato che noi agiremmo come una sorta di “agente di commercio informatico”, ottenendo un utile solo sull’effettiva vendita. Questo vuol dire che AgenteInforma condivide con l’azienda produttrice gli stessi interessi». Qual è quindi il ruolo dell’impresa che intende proporre i propri articoli attraverso il web? «La politica commerciale resta una scelta del produttore, i marchi restano gli stessi, la pubblicità indotta dal catalogo online è un beneficio gratuito. L’impresa si attiva soltanto per l’evasione degli ordini: nel momento in cui il

sito riceve un ordine e viene gestito il pagamento, il produttore riceve la richiesta di ordine, prepara la merce, infine il corriere provvederà al ritiro e alla consegna. Il listino prezzi, le provvigioni di AgenteInforma sulle vendite e l’eventuale attivazione di ulteriori servizi online viene concordata fra noi e l’azienda produttrice. Mentre tutta l’attività tecnica – dall’aggiornamento alla manutenzione, dalla promozione in page a quella off page – resterà di nostra competenza». Siete aperti a tutte le iniziative o vi riservate una valutazione sulla potenzialità del business di e-commerce? «Qualsiasi impresa può sottoporre una proposta alla nostra società, che farà una valutazione di marketing per verificare le prospettive di successo del posizionamento online – dato che il rendimento del sito è nostro interesse quanto quello del produttore. Sulla base di queste prospettive di valutazione proponiamo all’azienda produttrice un contratto che definisca le condizioni della collaborazione sulla base delle diverse competenze». LAZIO 2012 • DOSSIER • 95


CONSUMI

Cresce la quota di mercato del discount La recessione ha addentato i consumi alimentari. Emerge una nuova tipologia di consumatore, riconoscibile da carrelli della spesa che prediligono il rapporto qualità/prezzo alla quantità. Mauro Loy spiega gli effetti sui punti vendita della Gdo di questo nuovo stile di acquisto Luca Cavera

a recessione e le attuali politiche per fronteggiare i pesanti effetti della crisi hanno modificato e, in certi casi stravolto, i modelli di consumo e i sistemi di vendita. La fase attuale richiede un grande sforzo interpretativo verso i nuovi atteggiamenti. Il consumatore riflette nel carrello la propria tendenza psicologica a metabolizzare la recessione, nonché la difficoltà nell’inquadrare il futuro». Inizia così l’analisi di Mauro Loy – esperto di marketing e Gdo e amministratore unico di Methos, società di sviluppo franchising della catena di discount Todis – sull’attuale flessione dei consumi che ha raggiunto anche la spesa alimentare. «In questo

«L

Mauro Loy, amministratore unico della Methos Srl, società di sviluppo franchising della catena Todis www.methosmkt.com www.todis.it

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clima di instabilità recessiva, nel consumatore si rileva una marcata tendenza verso l’austerità: il carrello della spesa è meno ricco dal punto di vista quantitativo, ma più selezionato e controllato sotto il profilo qualitativo. Inoltre, le scelte d’acquisto sono influenzate sempre meno dalla pressione promozionale, a vantaggio del migliore rapporto qualità/prezzo. Gli sprechi alimentari sono così diminuiti del 57 per cento, fronteggiati da una maggiore sorveglianza delle date di scadenza». Il quadro delineato da Loy è stato ben espresso nei contributi che hanno animato la quarta edizione del convegno Big & Small, che annualmente richiama i protagonisti della produzione, distribuzione e delle istituzioni a un incontro/confronto sugli scenari attuali e futuri della grande distribuzione. «I nuovi comportamenti di acquisto hanno già avuto importati riflessi nelle performance dei canali di vendita della Gdo. Si è bloccata la crescita degli iperstore, passati da una percentuale del 19 per cento del 2001 al 19,5 per cento attuale, mentre crescono gli store di medie dimensioni, che nello stesso decennio hanno incrementato la quota dal 20,5 per cento al 27,3 per cento. Venendo all’ultimo biennio, è evidente la crescita esponenziale dei superstore, dei discount e dei drugs specialist. Fra questi è il discount che registra la performance migliore, un canale di vendita


che detiene una quota del 12,6 per cento con una crescita nel 2011 del 4,8 per cento. E nonostante lo shock dei mercati e lo stallo dei consumi, il discount presenta ancora possibilità di sviluppo. Questo grazie al ritorno alle formule di vicinato, all’affermarsi tra i consumatori di una mentalità low cost, alla ricerca di semplificazioni dell’offerta commerciale e, non ultima, all’attenzione per proposte save-time». In questo scenario, Todis, discount con format made in Italy, è riuscito a raggiungere una posizione di primaria importanza nel settore, seppure in chiave regionale – la crescita nel mercato romano è stata fondamentale per generare volumi e di conseguenza innalzare la massa critica d’acquisto. «Lo sviluppo strategico del format è stato incentrato principalmente sul concetto industriale, quindi sulla costruzione di prodotti con un ottimo rapporto qualità/prezzo, sull’ampiezza dell’assortimento, sulla velocità della spesa e l’ottimizzazione dei processi logistici. La sfida per la creazione di un nuovo concetto di “punto vendita di prossimità e contemporaneamente attrattivo” ha portato a considerare sempre più i bisogni e le esigenze manifestate dagli oltre 800mila clienti che settimanalmente fre-

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Le scelte d’acquisto sono influenzate sempre meno dalla pressione promozionale, a vantaggio del migliore rapporto qualità/prezzo

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quentano i punti vendita Todis». Lo sguardo fisso sul consumatore e sul territorio in cui sono localizzati i punti vendita è pertanto, una chiave di successo dello sviluppo del format che, grazie alla rete franchising, ha permesso di incentivare la piccola e media imprenditoria locale e dare nuove opportunità di occupazione. «La gestione del format è stata pensata per risolvere a monte tutti gli aspetti operativi e semplificare l’attività degli imprenditori, consentendo loro di concentrarsi sull’ottimizzazione della gestione del punto vendita e l’assistenza al cliente. In questo senso un caso imprenditoriale di successo è il Todis di Largo Boccea a Roma, gestito dal 2003 dalla società Decinque, che nonostante le difficoltà dell’attuale contesto socio economico, riesce a esprimere performance di fatturato sopra la media, mantenendo un alto livello di competitività rispetto alla concorrenza».

12,6 %

QUOTA DI MERCATO Posizionamento rispetto al resto della Gdo del canale discount, cresciuto nel 2011 del 4,8%

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TECNOLOGIE

Arte e tecnologia nel mondo del doppiaggio er chi, come lei, ha lavorato con Kieslowski, Costa Gravas, Solondz, Zhang Yimou, Kim Ki Duk, Ken Loach, Sokurov viene meno uno dei principali assiomi su cui si fonda il doppiaggio. È necessario rimanere fedeli all’originale o puntare, se necessario, a modificarlo in meglio? «Io mi considero una privilegiata, ho scelto di lavorare sempre su prodotti di grande qualità artistica e culturale. In questi casi non ti sfiora neanche l'idea di migliorare le scelte dell’autore». Elisabetta Bucciarelli, imprenditrice romana, è alla guida di Sound Art 23, studio di post-produzione e doppiaggio che racchiude un lavoro che va ben oltre il risultato sonoro finale della “voce”. Sarebbe a dire? «Il doppiaggio è frutto di un lavoro minuzioso realizzato da diverse professionalità. Il dialoghista-adattatore, il direttore del doppiaggio e gli attori doppiatori. Il dialoghista, realizza “l'adattamento dei dialoghi italiani” ovvero, il testo che sarà interpretato dagli attori. Si tratta di una particolare traduzione, perché oltre al rispetto dei canoni comuni ad ogni traduzione deve tener conto di specifici parametri tecnici necessari per l’interpretazione. I dialoghi devono poi essere valorizzati da un buon cast scelto dal direttore del doppiaggio, che ha il compito di valutare quali attori sono più idonei per reinterpretarne i ruoli». E per quanto riguarda l’apporto tecnico? «Tutto il nostro lavoro artistico, può essere valorizzato o mortificato dall'apporto tecnico. Il fonico che registra il dialogo, l'assistente che ne segue il sincronismo, il sincronizzatore che lo rende perfetto e infine, il fonico di mix che armonizza tutto il suono. In Sound Art, abbiamo il direttore artistico, attività di cui da anni mi sono fatta

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Cogliere l'originale e tradurlo in modo che, pur cambiando lingua, arrivi esattamente lo stesso film. Cambiare per non cambiare. Questo è il lavoro minuzioso che si nasconde dietro il termine doppiaggio. L’esperienza di Elisabetta Bucciarelli Nicoletta Bucciarelli

carico e che svolgo con passione dando spazio anche a nuove figure come Marzia dal Fabbro, attrice, direttrice, dialoghista, con una forte preparazione artistica e culturale. Laureata all'Università di Cambridge, parla quattro lingue e scrive e dirige per il teatro, attività complementare fondamentale. In passato infatti, i doppiatori altri non erano che attori del calibro di Gino Cervi, Rina Morelli o Alberto Sordi, mentre tra i direttori spiccavano importanti registi quali Ettore Giannini e Franco Rossi». Arte e tecnologia. Qual è il confine tra le due nel mondo del doppiaggio? «Sono un binomio inscindibile. Una giusta emissione della voce dell'attore permette al fonico di dare la migliore qualità della registrazione, di

Elisabetta Bucciarelli, direttore artistico della Sound Art 23 e presidente della Editori Associati, Associazione delle Imprese di doppiaggio e post produzione www.soundart.it


contro la capacità di saper registrare, sapere come posizionare il microfono, valorizza la voce dell'attore. La tecnologia è un valido supporto, ma deve essere messa al servizio dell'esperienza, della cultura e della sensibilità perché possa darci il meglio». Quali sono gli ultimi lavori che vi hanno visto impegnati? «L'ultimo doppiaggio che ho curato è stato “Faust” di Aleksandr Sokurov, il film vincitore al Festival di Venezia. La scorsa estate, Marzia dal Fabbro ha curato la commedia di Philippe Le Guay “Le donne del sesto piano”, uno dei nostri film più apprezzati, anche per il doppiaggio. Al momento, stiamo curando l'edizione del film “Cosa piove dal cielo” di Sebastián Borensztein, vincitore del Festival di Roma 2011. Nel futuro prossimo, cureremo il doppiaggio del film “W.E.” per la regia di Madonna. Inoltre abbiamo messo a disposizione la nostra esperienza e le nostre apparecchiature, per sviluppare nuove soluzioni software e hardware mirate a ridurre i tempi di lavorazione di alcune fasi tecniche del nostro lavoro». Qual è la situazione del doppiaggio in Italia? «Il nostro settore sta subendo dei grandi cambiamenti. Oggi, con il digitale, le lavorazioni sono semplificate tutto è sempre più virtuale e questo consente il sorgere di tante micro realtà che se avessero alle spalle conoscenza ed esperienza, sarebbero una ricchezza. Spesso però, la

Il lavoro artistico, può essere valorizzato o mortificato dall'apporto tecnico. Il fonico registra il dialogo, l'assistente ne segue il sincronismo, il sincronizzatore lo rende perfetto e il fonico di mix armonizza tutto

semplificazione di un mestiere sconosciuto e in un momento di difficoltà economica, contribuisce al disfacimento di un patrimonio artistico e culturale, formatosi negli anni». A breve assisteremo al rinnovo del contratto nazionale del doppiaggio. Come presidente della Editori Associati e controparte delle organizzazioni sindacali di categoria, potrebbe delinearci un quadro della situazione? «Questo periodo mi vede impegnata in un difficile rinnovo. La nuova realtà del settore e del mercato, richiede un grande sforzo da ambo le parti per arrivare a un rinnovo contrattuale che senza ledere i diritti della categoria, rispetti l'esigenza delle imprese di remunerare tutti i fattori della produzione e nello stesso tempo contenere i prezzi non potendo ignorare la nuova realtà del mercato». LAZIO 2012 • DOSSIER • 101


TECNOLOGIE

Il futuro è in digitale Il mondo televisivo e cinematografico in questi anni è stato attraversato da una vera e propria “rivoluzione” tecnologica. I nuovi scenari nel campo della post-produzione illustrati da Gianmarco Vittori Guido Puopolo

uando si parla di post produzione in campo cinematografico e televisivo si fa riferimento all’insieme di tutte quelle lavorazioni successive alla produzione, necessarie alla finalizzazione e commercializzazione. Un’attività fondamentale, che si compone di una serie di differenti processi, riguardanti sia la parte visiva che quella sonora: dai servizi di trascrizione al montaggio, dalla correzione del colore alla creazione di effetti speciali. Una delle realtà più importanti in Italia in questo particolare settore è senza dubbio la LVR Digital Srl, società di Roma nata nel 1982, con il nome di LVR srl, dal genio creativo del suo fondatore, Luciano Vittori, che già negli anni 50 con il suo stabilimento di sviluppo e stampa cinematografica aveva contribuito all’affermazione e alla crescita del cinema italiano. «Il nostro è un ambito ad alto contenuto tecnologico, e quindi caratterizzato da una continua evoluzione», spiega Gianmarco Vittori, amministratore delegato dell’azienda di famiglia. «Per questo la sperimentazione rappresenta uno dei tratti distintivi del nostro lavoro, indispensabile per anticipare la concorrenza e offrire ai committenti soluzioni a problematiche sempre nuove». Quali sono le principali trasformazioni che hanno attraversato il settore nel corso degli ultimi due decenni? «Sicuramente l'introduzione del digitale ha modificato radicalmente il sistema e la qualità di fruizione del contenuti. A livello consumer

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oggi dvd e blu-ray, streaming e download di contenuti multimediali la fanno da padroni, senza dimenticare il passaggio dalla televisione a tubo alla tecnologia lcd, plasma e led. In trent’anni abbiamo subito, gestito e cavalcato cambiamenti epocali, ma niente in confronto a quello che verrà nei prossimi anni». In Italia uno dei generi che va per la maggiore è la fiction. Come avviene, nella pratica, la post produzione di una serie televisiva? Che tipo di workflow viene impostato? «Le fiction vengono girate o in pellicola o in video. Ogni giorno arrivano dalla produzione i girati, definiti in gergo “giornalieri”, che dopo essere stati lavorati vengono inviati al montaggio, in copia e a risoluzione ridotta, pronti per

Nella foto, le tre generazioni della famiglia Vittori, al vertice della LVR Digital Srl di Roma www.lvrvideo.com


Gianmarco Vittori

essere montati in maniera semplice e veloce. Una volta effettuato il montaggio delle puntate da parte dei montatori, riceviamo la “copia lavoro”, che viene quindi rimontata in alta risoluzione, sulla base dei “giornalieri” originali. Successivamente il nostro colorista, insieme al direttore della fotografia, interviene per correggere le singole scene, allo scopo di creare un look adatto al contenuto del programma. Importante è anche la creazione di eventuali effetti grafici, che sono sempre più usati all’interno dei programmi per necessità di location o richieste di sceneggiatura. Parallelamente alle lavorazioni video, infine, altre strutture lavorano sui file audio,che provvediamo poi a insertare sul master, preparando le cassette di messa in onda». LVR ha contribuito, in questi anni, alla realizzazione di numerosi progetti televisivi di successo. Quali sono quelli che ricordate con maggiore soddisfazione? «Il coinvolgimento lavorativo in ogni progetto è tale che tutti si ricordano con piacere, anche se probabilmente le prime fiction sono state quelle più significative, perché ci hanno permesso di farci conoscere e apprezzare al grande pubblico. Penso a “I Cesaroni”, “Tutti pazzi per amore”, “Un medico in famiglia”, alle produzioni legate a personaggi famosi come Padre Pio ed Enzo Ferrari, ma anche alle miniserie come la recentissima “La certosa di Parma”, “Sangue caldo”, “Il peccato e la vergogna”, “La leggenda del bandito e del campione” e tante altre».

La sperimentazione rappresenta uno dei tratti distintivi del nostro lavoro, indispensabile per offrire ai committenti soluzioni a problematiche sempre nuove

A suo avviso, quali sono le principali differenze che si possono riscontrare tra la produzione cinematografica e televisiva italiana e quella, ad esempio americana? «In America tutto è studiato nei minimi particolari, senza lasciare spazio alle improvvisazioni. Da noi c’è un’impronta più artigianale, con tante persone che, con buone idee e propositi, cercano di fare il meglio con budget a volte molto limitati. Questo però non significa che i nostri prodotti siano di minor valore, come dimostrano anche i dati dei botteghini e il successo delle fiction di casa nostra». LVR Digital è una realtà caratterizzata da sempre da una gestione di tipo familiare. Crede che questa continuità operativa e, più in generale, questo tipo di impostazione, possa rappresentare un valore aggiunto significativo sul mercato attuale?

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TECNOLOGIE

«Non c’è dubbio che nel sangue della famiglia scuole per stage formativi. Periodicamente ospiVittori scorra la passione per l’informatica, il cinema e la televisione. Siamo giunti ormai alla terza generazione, e la solida esperienza dei nostri genitori si coniuga in maniera perfetta con l’entusiasmo di noi giovani. Ci confrontiamo continuamente sulle scelte e le decisioni migliori da prendere, e questa struttura ci garantisce massima flessibilità, con la possibilità, ad esempio, di studiare workflow innovativi e testarli direttamente sul campo. Anche l’aria che si respira in azienda è permeata da un senso di grande familiarità; c’è una forte complicità tra dipendenti e datori di lavoro, e i nostri clienti trovano gradevole poter lavorare in un ambiente creativo e poco burocratico». Collaborate con qualche istituto professionale, scuola o università nel vostro lavoro? «Abbiamo diverse partnership con università e

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tiamo giovani studenti dell’Istituto Roberto Rossellini, del Ciofs FP Lazio, dell’Università La Sapienza di Roma e di Tor Vergata. Recentemente, infine, abbiamo avviato una collaborazione per lo sviluppo di progetti di cinema digitale con la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia». In che modo la crisi economica ha inciso sul vostro settore? «L’aspetto più evidente è certamente la riduzione degli investimenti pubblicitari. Non bisogna poi dimenticare che i costi di produzioni in Italia sono molto più alti rispetto a Paesi come Bulgaria, Repubblica Ceca e Argentina. Le difficoltà che ci troviamo ad affrontare sono notevoli, legate anche all’immobilità tecnologica delle emittenti televisive, che nonostante il progresso dell’alta definizione, gestiscono ancora in gran parte contenuti in definition standard, segnando nel nostro paese un’anomalia quasi a livello mondiale». Come avete reagito a questa situazione? «Investendo sul rinnovamento delle strutture e dei servizi offerti. Nel 2011 abbiamo installato una rete a 100 Megabit in fibra ottica, che ci permette di abbattere costi di materie prime e trasporto, e di ricevere e inviare materiale video in pochissime ore. Abbiamo anche aggiornato alcuni reparti, tra cui quello per la correzione colore, la nostra punta di diamante, con un sistema altamente qualificato a 4K su file con opzione 3D, con il quale abbiamo già restaurato diversi film italiani per il mercato americano». Quali sono, infine, gli obiettivi per il futuro di LVR Digital? «Sperimentare è la nostra parola d’ordine. La situazione attuale ci ha spronato a concepire nuovi workflow per le produzioni televisive e cinematografiche che desiderano abbandonare il tradizionale girato in pellicola, e iniziare a lavorare con telecamere digitali. Per il futuro intendiamo promuovere e favorire la diffusione dei contenuti digitali, che solo se trattati da professionisti di lunga data come noi possono garantire al cliente la perfetta riuscita finale del prodotto».



TECNOLOGIE

Meno errori con il controllo dei processi informativi Una soluzione informatica per la gestione dei processi di business, progettata e realizzata completamente da una software house romana. Andrea Di Gregorio e Stefano Valore illustrano i risultati di un’attività di ricerca e sviluppo partita dall’analisi dei processi aziendali Valerio Germanico

l monitoraggio di sistemi complessi – per i quali è necessario monitorare non una, ma più variabili fra loro interconnesse – è uno dei problemi principali dei sistemi It e oggi riguarda la maggior parte delle realtà aziendali. Gran parte dei processi informatici sono strutturati per fornire informazioni e dati limitatamente al processo aziendale al quale sono delegati. Più processi aziendali hanno la necessità di controllare e verificare le informazioni e i dati da loro processati ed elaborati per verificarne la congruità e la correttezza. Nasce quindi l’esi-

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genza di individuare uno strumento trasversale per il monitoraggio dei dati in tempo reale, che determini ed evidenzi in maniera tempestiva e contemporanea, problematiche e soluzioni sui singoli processi aziendali e che permetta allo stesso tempo un’analisi e un intervento di tipo sia preventivo che predittivo. Infatti, le problematiche relative al business sono spesso il risultato della rilevazione dell’effetto, quando diventa quasi impossibile intervenire in modo efficiente su una serie di problemi collaterali al business. SiliconDev, software house romana ha sviluppato una suite di prodotti che rispondono a questi problemi: Adam (Advanced Deploy & Advanced Monitoring). Attraverso quale percorso di ricerca è stata sviluppata la vostra suite? ANDREA DI GREGORIO: «Il centro di ricerca e sviluppo, a partire dalla nostra esperienza di applicazioni informatiche in diversi ambiti industriali, ha studiato e analizzato a lungo i processi per individuare una soluzione che permettesse di ridurre i margini di errore ed il back log causato da errate gestioni dei processi dei sistemi IT. Da questa base abbiamo iniziato a sviluppare le prime componenti software di un prodotto finalizzato al controllo, monitoraggio e manutenzione dei processi informativi. Un contributo è venuto anche dall’esperienza nelle diverse aree “critiche”


Andrea Di Gregorio e Stefano Valore

dei nostri Clienti, che ci ha permesso di registrare un trend delle più probabili anomalie legate all’integrazione tra le diverse aree. Il risultato è una suite che gestisce end to end l’intera catena di business per i singoli processi, sia da un punto di vista sistemistico che analitico». Quali sono le caratteristiche fondamentali di Adam? STEFANO VALORE: «Adam è fondamentalmente un kernel sul quale è possibile implementare e personalizzare, in funzione delle esigenze di business del Cliente, un opportuno monitoraggio e controllo dei dati e delle informazioni prodotte dai singoli processi aziendali da controllare. La suite è operativa in diversi ambiti applicativi tramite connettori – per esempio, Crm, Billing, Rating, Delivery, che raccolgono i parametri, le variabili e le informazioni prodotte da ciascun processo aziendale e ne verificano la congruità e la correttezza elaborativa. Inoltre, sono evidenziate eventuali anomalie e le azioni correttive da apportare. Tutto questo è implementato tramite un cruscotto di tipo direzionale, per l’analisi dei dati consuntivi, e un altro strettamente operativo-gestionale, per la risoluzione di problematiche di natura IT». In quali settori produttivi è maggiormente presente la vostra suite? S.V.: «Attualmente telecomunicazioni, energy, industry, ma abbiamo l’ambizione di farne uno strumento anche per la semplificazione della pubblica amministrazione. Il valore aggiunto che i nostri Clienti riconoscono al prodotto è quello di poter conoscere preventivamente eventuali errori ed anomalie di elaborazione e di mettere in campo le necessarie azioni correttive, consentendo così un risultato ottimale del Roi (Return on Inve-

Andrea Di Gregorio, presidente e amministratore delegato e Stefano Valore, amministratore delegato della SiliconDev S.r.l. di Roma www.silicondev.com

stment). Agire a posteriori sarebbe indubbiamente negativo, in quanto costringerebbe l’azienda a rincorrere le criticità con ulteriori investimenti nel settore IT». Quali chiavi di sviluppo intendete seguire per il futuro della suite? A.D.G.: «La ricerca e l’analisi delle esigenze di mercato e la velocità nelle risposte che forniamo alle principali realtà aziendali sono sicuramente alla base dei nostri investimenti in ricerca e progettazione e rappresentano indubbiamente il nostro valore aggiunto. Tramite questi investimenti, in laboratorio, pos-

L’analisi delle esigenze di mercato e la velocità nelle risposte sono sicuramente alla base dei nostri investimenti

siamo permetterci di analizzare ed effettuare test di soluzioni integrate. Partendo da questa continua attività di analisi e in considerazione delle problematiche affrontate dal nostro gruppo di specialisti, l’obiettivo è quello di ingegnerizzare e consolidare sempre più il prodotto. L’alta scalabilità con cui è stata implementata la suite, ci permetterà di integrare velocemente nuove applicazioni di supporto».

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TECNOLOGIE

Sistemi complessi per le telecomunicazioni Implementare le infrastrutture per le telecomunicazioni e, al tempo stesso, restituire vitalità al tessuto economico del territorio creando lavoro e occupazione. Secondo Stefano Cristaldi, oggi è questa la sfida del settore Ict in Italia Amedeo Longhi

n tasso di disoccupazione che nel Lazio, nel secondo trimestre del 2011, ha superato l’8,7 per cento, sforando addirittura il 30 per cento per la categoria under 30, è un dato preoccupante, che conferma l’andamento nazionale, in crescente difficoltà sin dal 2007. Alla grave situazione economica, si somma un quadro amministrativo fortemente burocraticizzato, un’elevata pressione fiscale e una stretta creditizia da parte delle banche fortemente penalizzante. «In Italia al giorno d’oggi per fare impresa bisogna quasi essere masochisti», commenta Stefano Cristaldi analizzando questo quadro. Cristaldi è direttore commerciale e marketing della Logos,

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Stefano Cristaldi è direttore commerciale e marketing della Logos Spa di Roma. Nell’altra pagina, l’amministratore delegato Andrea Zoffoli www.logoselectric.it

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azienda romana fondata nel 1987 che si occupa di progettazione, realizzazione e manutenzione di sistemi e impianti complessi di telecomunicazioni, Information & Communication Technology, manutenzione postale, realizzazione di centrali fotovoltaiche. «Nel 2011 – prosegue Cristaldi – abbiamo acquisito una fabbrica per progettare e costruire armadi di telecomunicazioni, quadri elettrici e carpenteria leggera, anche a supporto degli impianti fotovoltaici. Sempre lo scorso anno, abbiamo rilevato la fabbrica di Pomezia MapTel, che rischiava di chiudere per sempre. Si tratta di un sito produttivo di 12.000 metri quadri specializzato in componentistica elettrica e per le telecomunicazioni. Abbiamo occupato da subito buona parte dei vecchi dipendenti, in attesa di poterli reintegrare tutti». Oltre al contributo in termini occupazionali, la politica aziendale della Logos concorre anche a rilanciare il settore ICT, che solo a Roma, nel 2011, ha avuto un calo superiore al 9 per cento. Come si colloca la vostra azienda in questo difficile contesto? «L’anno scorso il nostro fatturato è aumentato del 25 per cento grazie a progetti complessi e innovativi come centrali stradali di commutazione, impianti fotovoltaici-minieolici di cogenerazione destinati ad alimentare le stazioni del Radio Mobile, reti senza fili provinciali e relative applicazioni per collegare i siti video-sorvegliati, armadi terminali e catodici per il controllo delle


Stefano Cristaldi

reti gas. La nostra crescita va di pari passo con il complessivo miglioramento della rete italiana delle infrastrutture per la comunicazione, che porta vantaggi diffusi a tutti gli utenti. Lo sviluppo dell’azienda è mirato all’incremento della sicurezza urbana ed extraurbana, all’efficientamento e all’autoproduzione energetica per sale server e impianti tecnologici». Può farci qualche esempio di strumenti al servizio dello sviluppo tecnologico? «Alcune delle soluzioni che proponiamo – per esempio prodotti che permettono di ridurre lo spazio di una centrale telefonica da 60-90 a 1,8 metri quadri, consentendo di spostare la sua collocazione dall’edificio a un armadio a bordo strada – consentono una forte riduzione dei costi di esercizio e una diminuzione del divario nazionale dell’accesso alla connettività internet a larga banda tra grandi centri urbani e piccoli centri rurali. Un’altra proposta di Logos consiste nel collocare un tetto fotovoltaico integrato, una palina mini eolica e un sistema di condizionamento alimentato con il solare termico su una stazione del Radio Mobile, permettendo una forte riduzione di costi di esercizio energetico – alimentazione, raffreddamento – e aprendo alla possibilità di una ricollocazione in nuovi siti. In enti e aziende dove sono presenti molte sedi video sorvegliate, ma prive di un collegamento con una sala regia unica, siamo in grado di creare una rete radio a banda larga e applicazioni software per gestire la regia re-

La nostra crescita va di pari passo con il complessivo miglioramento della rete italiana delle infrastrutture per la comunicazione, che porta vantaggi diffusi a tutti gli utenti

mota capaci di riconoscere i comportamenti fraudolenti, con sistemi automatici di allarme e di supporto alle decisioni». Qual è la vostra strategia per il futuro prossimo? «La strategia di Logos è rispondere all’aumento della domanda di impianti innovativi e complessi l’efficientamento energetico di locali tecnologici e sale server, sia pubblici che privati, la mobilità sostenibile, i sistemi di intelligenza e controllo delle reti di trasporto (gas, elettrica, telecomunicazioni) e le smart cities. Affiancando costantemente i nostri committenti in tutte le fasi della collaborazione, dalla progettazione esecutiva alla gestione di sistemi e degli impianti, siamo riusciti a consolidare il nostro posizionamento sul mercato, attraverso un lavoro di squadra capace di valorizzare le risorse interne e di coinvolgere attivamente le comunità locali, accogliendo le esigenze e le opportunità del territorio, per ricercare un punto di equilibrio tra esigenze di business e quelle di sviluppo locale».

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INFRASTRUTTURE

Opere marittime con priorità ambientale I progetti dei porti turistici di Cecina e di Montalto di Castro. Opere integrate nell’ambiente naturale, autosufficienti dal punto di vista idro-energetico, ecosostenibili e predisposte per rispondere a una politica ambientale che si sviluppi nei tempi lunghi della vita di un porto Valerio Germanico

ostruire un porto significa cambiare irreversibilmente il profilo di una costa. È così e sarebbe sbagliato ignorare un assunto che sottopone noi progettisti a una responsabilità sociale così elevata. Dobbiamo confrontarci quotidianamente con questo dato di fatto per cercare di costruire un’opera che sia sì funzionale alle esigenze specifiche del momento, ma anche un patrimonio per quelle future». L’ingegnere Silvia Potena riassume così la filosofia e le nuove metodologie di progettazione di Inter-

«C Da destra, l’ingegnere Marco Pittori, Ad della Interprogetti di Roma, l’architetto Francesca Romana Monass e l’ingegnere Silvia Potena www.interprogetti.net

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progetti, una società specializzata nelle opere marittime civili con priorità ambientale. «La Interprogetti Srl – spiega l’ingegnere Sergio Pittori, Presidente della Società – offre servizi di ingegneria che si estendono sull’intero arco delle competenze professionali: dalle consulenze alle progettazioni, al coordinamento della sicurezza, alla direzione dei lavori e agli studi di impatto ambientale». Uno dei progetti più recenti in ambito marittimo ha riguardato il porto turistico di Cecina. Abbiamo chiesto all’ingegnere Potena di spiegare qual è stato il punto di partenza di quest’opera. «I lavori di costruzione sono iniziati proprio in questi giorni. Il progetto è nato – già nelle intenzioni dei progettisti e dei committenti – con spiccate ambizioni ambientaliste. Durante la fase di valutazione dell’impatto ambientale sono stati studiati e approfonditi più aspetti e sono state fatte alcune scelte progettuali che

sono andate ben oltre le imposizioni normative. Il porto sarà infatti una struttura autonoma dal punto di vista energetico, grazie alla tecnologia fotovoltaica, e dal punto di vista idrico, attraverso la dissalazione dell’acqua di mare. È stata prevista la dotazione di un impianto di ossigenazione delle acque del bacino, la dislocazione di isole ecologiche affinché la raccolta differenziata dei rifiuti potesse essere capillare. E ancora sono stati sviluppati attenti studi finalizzati a impermeabilizzare la darsena, sia verticalmente che al fondo, in modo da non danneggiare in alcun modo la falda». Tutte queste scelte progettuali hanno certamente la loro importanza sul periodo di medio termine. Tuttavia la vita di un porto è molto più lunga, per questo sono stati predisposti attenti protocolli di monitoraggio che consentiranno di verificare che, anche in fase di cantiere e per gli anni futuri, le acque, l’aria, le terre non risen-


Marco Pittori, Francesca Romana Monass e Silvia Potena

In alto, rendering del progetto di Montalto di Castro: a sinistra il viale alberato, di fronte alla banchina gli edifici semi-ipogei e il tetto-giardino dei garage, come grande parco urbano. Sotto, la planimetria generale del porto turistico di Montalto di Castro

tano negativamente dell’intervento umano. «A conclusione di un processo fortemente orientato al rispetto per l’ambiente – aggiunge Marco Pittori Ad della Società –, si è pensato già all’obiettivo futuro: applicare alla struttura portuale un sistema di gestione ambientale che sia altamente qualificato e soprattutto condiviso. L’idea è quella di strutturare un sistema che non sia vissuto come un peso per l’utente e un onere per la proprietà, ma come un’opportunità di rispettare l’ambiente ottimizzando i processi». Per comprendere l’utilità di un approccio così totale fra l’opera e il suo sito naturale, l’architetto Francesca Romana Monass – sempre di Interprogetti – invita a comprendere che: «Costruire l’architettura di un porto vuol dire lasciare un segno forte nel territorio urbanizzato e non. Urbanizzato, quando il confronto avviene con la città costruita e il suo waterfront: il porto, dunque, come riqualificazione e riuso di aree degradate, che si integra nei piani di sviluppo locale così da divenire parte del tessuto cittadino, dotato dei servizi specifici di un’area urbana dedicata al turismo. Naturale, quando il confronto avviene direttamente con il territorio

UN PROGETTO DI VERDE E LUCE I

l progetto del porto turistico di Montalto di Castro si inserisce accanto a un’area di recente urbanizzazione e a un’area non urbanizzata di grande importanza naturalistica. Se si fosse ignorato il carattere di naturalità nell’intervento a terra e si fosse operata una chiusura della visuale da mare, si sarebbe provocato un effetto di alterazione dei luoghi. Così lo studio Interprogetti ha elaborato un piano sui generis, nel quale le opere civili sono svincolate dalla tipologia standard dei piazzali che fronteggiano la banchina di un porto turistico. Il progetto, infatti, disegna un nuovo suolo urbano “prativo e ondulato”, che estende le dune retrostanti verso il porto e che nelle sue pieghe e nei suoi volumi accoglie i flussi pedonali provenienti sia dal mare sia dalla terra. I veri materiali del progetto sono il verde e la luce. Il verde come sfondo naturale – ma anche anima del progetto. La luce, poi, filtra all’interno tramite ampie vetrate che si alternano a superfici piene rivestite da lastre di pietra naturale, come pareti rocciose, quasi muri di contenimento del terreno che invade lo spazio.

naturale e il porto diviene uno strumento di valorizzazione territoriale e ambientale, capace di aumentare l’attrattiva del sistema costiero. In entrambi i casi il compito principale del progettista consiste nel saper comprendere il genius loci di ciascun ambito nel quale si trova a operare. Questo vuol

dire che ogni intervento deve inserirsi con un’architettura propria e distintiva, tuttavia rispettosa della naturalità del luogo. L’architettura parla e dialoga con l’ambiente e ne diviene parte integrante, sia che si tratti di una porzione costruita di città sia di una porzione di costa incontaminata». LAZIO 2012 • DOSSIER • 113


SICUREZZA

Il servizio integrato post incidente Ripristinare la sicurezza e la viabilità stradale post incidente. Cristallizzare il teatro del sinistro per prevenire sinistri anomali e per garantire l’accertamento delle responsabilità da parte degli organi competenti. Un progetto concretizzato da Angelo Cacciotti Manlio Teodoro

l verificarsi di un incidente stradale, le preoccupazioni di tutti i soggetti coinvolti sono, giustamente, focalizzate al soccorso delle persone e in un secondo tempo delle autovetture. Fino a pochi anni fa però nessuno aveva valutato l’im-

«A

Angelo Cacciotti, direttore di Sicurezza e Ambiente Spa di Roma www.sicurezzaeambientespa.com

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portanza di “soccorrere la strada”, per consentire il ritorno alla normale circolazione». Questa valutazione è stata fatta da Angelo Cacciotti, direttore generale di Sicurezza e Ambiente Spa, società che ha introdotto il servizio nazionale integrato post incidente. Da quali esigenze è nato il vostro servizio integrato? «Dopo che si è verificato un incidente stradale emerge

una duplice esigenza. Da una parte cristallizzare le condizioni e lo stato del teatro del sinistro, con lo scopo di scongiurare eventuali interpretazioni anomale. Dall’altra, ripristinare lo status quo ante della strada compromessa, questo per assolvere agli obblighi prescritti dalle normative in materia di sicurezza stradale e di tutela dell’ambiente. Il servizio nazionale integrato post incidente realizzato da Sicurezza e Ambiente Spa è finalizzato alla risoluzione di tali esigenze». Come funziona il progetto Trasparenza? «L’operatore SA interviene (entro 15 minuti) sul luogo dell’incidente: cristallizza il teatro del sinistro con l’apposita strumentazione tecnologica in dotazione, realizzando un report fotografico dell’evento; compila una scheda dati che riassume l’insieme degli elementi necessari alla Compagnia Assicu-


Angelo Cacciotti

rativa per la migliore gestione delle richieste risarcitorie (airbag esplosi, numero passeggeri, numero feriti, intervento carroattrezzi)». Dopo i rilievi, come agite per rimettere la strada in sicurezza? «Interveniamo con un’attività di pulitura e bonifica della strada. Olio, carburante, pezzi di vetro e plastica restano abbandonati al suolo a seguito di incidenti stradali, danneggiando la sicurezza della strada e l’ambiente. Per assicurare la rimozione di tutti questi inquinanti utilizziamo appositi veicoli dotati di modulo polifunzionale appositamente ideato e brevettato: “Genius”, che permette, in ossequio alla normativa vigente, di ripulire rapidamente e in sicurezza il manto stradale. Il mezzo dispone di utenze alimentate con motore oleodinamico a impatto zero. Oltre ad aspirare liquidi e detriti, è funzionale all’applicazione a elevata pressione di disinquinanti biologici. Terminata la pulizia aspira in modalità idrovora la soluzione a terra. Tutti i rifiuti recuperati vengono poi avviati allo smaltimento nel rispetto delle procedure prescritte dalla legge, consentendo così la tracciabilità nell’intera filiera». Come è organizzata la vostra presenza sul territorio?

UN GENIO PER LA SICUREZZA E L’AMBIENTE I

l modulo d’ingegneria polifunzionale Genius – congeniato, realizzato e applicato da Sicurezza e Ambiente Spa – garantisce la massima efficacia ed efficienza del servizio. Il mezzo consente di avere un unico sistema di lavaggio e aspirazione con motore integrato, la disponibilità di acqua anche a temperature elevate, un potente getto d’aria conclusivo dell’intervento per asciugare la piattaforma, assicurandone l’integrale tenuta di strada delle autovetture. Ha inoltre una funzionalità Idrovora, idonea a garantire la gestione e la risoluzione di problematiche causate da allagamenti di piccole o medie dimensioni. È stato progettato per garantire la sicurezza degli operatori nel corso dell’attività di bonifica stradale ed è alimentato da un motore a combustione con dispositivo oleodinamico, che assicura la totale assenza di pericolo di deflagrazione.

«Siamo presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale con oltre mille strutture operative: “Centri Logistici Operativi”. Ciascuna struttura è dislocata in una posizione strategica, predisposta per il pronto intervento in emergenza e operativa h24 per 365 giorni l’anno. La nostra sede cen-

trale, con una regia univoca, gestisce tutti i centri e li coordina, monitorando e vigilando sullo svolgimento di tutti gli interventi operativi. La Centrale Operativa SA coordina l’esecuzione degli interventi garantendo il rispetto e l’applicazione uniforme dei protocolli operativi da Sicurezza e Am- LAZIO 2012 • DOSSIER • 115


SICUREZZA

Dopo un incidente stradale bisogna cristallizzare il teatro del sinistro e ripristinare la sicurezza stradale e le matrici ambientali compromesse

biente Spa ideati per la cor- nomico per le Amministraretta esecuzione del servizio. Gli uffici di Audit interno vigilano sulla qualità e tempestività degli interventi mediante ispezioni randomiche operate in tutta Italia». Il servizio è gratuito? «Il servizio nazionale integrato post incidente non comporta alcun onere eco-

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zioni locali e per i cittadini, in quanto i costi per gli interventi di ripristino realizzati, sono sostenuti dalla Compagnia assicurativa del soggetto civilmente responsabile. Il servizio viene eseguito da Sicurezza e Ambiente Spa anche nel caso in cui lo sversamento di liquidi

e la dispersione di detriti solidi, sia conseguente al verificarsi di incidente stradale pirata, per il quale non è possibile quindi individuare i dati necessari per il recupero dei costi dell’intervento dalla compagnia assicurativa del responsabile civile. In tale ipotesi i costi dell’intervento restano esclusivamente a carico di Sicurezza e Ambiente Spa». Quali sono i benefici? «I benefici derivanti dall’operatività del servizio nazionale integrato post incidente, sono numerosi e rilevanti: la riduzione delle frodi assicurative; il contenimento della spesa del premio assicurativo per la responsabilità civile per sinistri accidentali a carico della collettività; la riduzione, fino all’azzeramento, del tasso di sinistrosità dovuta alla mancata attività di ripristino della sicurezza stradale; il ridimensionamento della spesa “burocratica” a carico delle Amministrazioni Comunali (contenzioso, personale, relazioni, ecc.); la salvaguardia dell’ambiente danneggiato dal verificarsi di eventi inquinanti; il ripristino della scorrevole viabilità in tempi brevissimi; la maggiore sicurezza sociale, stradale e urbana».



EDILIZIA

a piccola e media impresa italiana rappresenta da sempre il motore dell’economia nazionale. Se la crisi economica ha messo a dura prova la stabilità delle grandi aziende, il contraccolpo è stato ancora più duro per le piccole imprese a conduzione familiare, molte delle quali non sono riuscite a trovare le risorse economiche necessarie per reagire e rinnovarsi di fronte ad un contesto economico globale sempre più complesso e competitivo. Chi ce l’ha fatta ha dato fondo a tutte le energie per continuare ad investire nella ricerca, dotarsi delle tecnologie di ultima generazione, diversificare l’attività produttiva. Ma la crescita delle Pmi, nel nostro paese, è complicata dagli eccessivi oneri fiscali e burocratici che affliggono gli imprenditori e che non consentono loro di guardare al futuro con sufficiente serenità. È necessario, dunque, adottare misure giuridiche e legislative chiare e risolutive, affinché queste imprese tornino ad essere competitive sui mercati senza il timore di soccombere di fronte all’agguerrita concorrenza straniera. Il caso della Leggi si inserisce perfettamente nel contesto appena delineato. Nata come azienda artigiana a carattere familiare nei primi anni Sessanta, dal 1989 è passata dal settore metalmeccanico a quello della prefabbricazione

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L’edilizia punta alla diversificazione A fronte delle continue oscillazioni del mercato edile, le Pmi italiane reagiscono investendo sulla qualità e sulla tecnologia, e diversificando la produzione. Così, per Lucilla Leggi, si accresce la forza imprenditoriale e l’impegno finanziario Erika Facciolla

in cemento di svariate tipologie di prodotti. Nonostante le criticità legate al particolare momento storico ed economico, Leggi è riuscita ad adattarsi ai cambiamenti del mercato e consolidare la propria posizione puntando sulla qualità e la “customer satisfaction”. Ne parla Lucilla Leggi che assieme ai fratelli Flavio e Stefania conduce l’attività ereditata dai genitori. Come si colloca la Leggi nel panorama industriale italiano? «La Leggi rappresenta l’esempio tipico della piccola e media impresa italiana che, grazie al

lavoro continuo della proprietà e al suo impegno finanziario, mantiene la sua quota di mercato, espandendosi con oculatezza anche nei cicli economici positivi in modo da conservare il proprio equilibrio economico-finanziario nei momenti di recessione». Quanto incide la ricerca nella crescita dell’azienda? «La società investe continuamente sia in nuovi impianti tecnologicamente avanzati, che nella progettazione di prodotti, nonché nei sistemi di sicurezza e qualità». Quali sono i vantaggi deri-

Da destra, Lucilla, Stefania e Flavio Leggi della Leggi Srl con sede a Palombara Sabina, Roma www.leggisrl.it


Lucilla Leggi

vanti dalla prefabbricazione dei prodotti destinati al mercato edile? «I vantaggi della prefabbricazione sono molti, primo fra tutti la possibilità di ottenere performance strutturali, nonché isolanti ad alto livello contenendo i costi per la committenza». Come state affrontando gli effetti negativi indotti dalla crisi economica? «Seppure in un momento di forte crisi economica che investe in particolare il settore edile, la Leggi ha fatto della diversificazione, qualità e servizio al cliente, il suo cavallo di battaglia e ciò le ha consentito di aumentare quote di mercato e fatturato». In tal senso, come giudica il trend dell’azienda rispetto all’andamento generale del mercato? «La Leggi ha registrato negli ultimi anni (e in controtendenza rispetto al mercato), un buon incremento del fatturato e un numero di maestranze sostanzialmente stabili nel tempo». Ci sono dei progetti in cantiere di cui può anticipare qualcosa? «Abbiamo diversi progetti in cui siamo impegnati che vanno dal prodotto destinato al mercato retail ad opere per infrastrutture di rete telematica, ferroviaria, elio-dinamica, fotovoltaica». Che valore aggiunto rappresenta, a suo parere, la piccola e media impresa nell’economia italiana? «Le aziende come la nostra, a conduzione familiare e di pic-

I vantaggi della prefabbricazione sono molti, primo fra tutti la possibilità di ottenere performance strutturali, nonché isolanti ad alto livello contenendo i costi

cole dimensioni, rappresentano l’ossatura dell’economia nazionale pur non ricevendo aiuto e sostegno dallo Stato, sempre più latitante sopratutto nella messa in vigore di leggi a tutela del credito». Quali sono le leve strategiche su cui punterete nel futuro per consolidare l’attività aziendale? «Dedizione al lavoro, passione

e orientamento al cliente, ma anche dinamicità nella ricerca di nuovi prodotti e nuove tecnologie di produzione a servizio del mercato. Questi sono i fattori vincenti che hanno permesso alla Leggi di conquistare un ruolo di primo piano nel settore di riferimento e su questi stessi fattori fonderemo ogni strategia anche in futuro». LAZIO 2012 • DOSSIER • 119


EDILIZIA

Piano Casa 2012, Roma recupera l’esistente I segmenti di mercato connessi al mondo delle costruzioni accusano la carenza di investimenti. Mauro ed Enzo Fabrizi, amministratori di sei società riunite nel Gruppo AFH, annuncia il “respiro” che la riqualificazione edilizia può dare alla Capitale Adriana Zuccaro

all’indagine trimestrale sulle costruzioni condotta dalla Cna, Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa di Roma, sulla base dei dati concessi dal Centro ricerche economiche e sociali di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), il 2012 sarà il quinto anno consecutivo di riduzione degli investimenti dell’1,3 per cento per il comparto dell’edilizia di Roma e provincia. Una per-

D Da sinistra, Mauro ed Enzo Fabrizi, amministratori del Gruppo AFH con sede a Roma. Nella pagina accanto, cantiere di via Anagnina www.afhspa.com

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dita nel mercato delle costruzioni, residenziali e non, di quasi il 20 per cento in cinque anni che, con riferimento alle nuove strutture, diventano un ben più rilevante 45 per cento. Tengono tuttavia le ristrutturazioni e aumentano leggermente le imprese attive. Tra queste, una delle poche realtà imprenditoriali romane che ha saputo prendere in contropiede la crisi del comparto e puntare alla riqualificazione del territorio, è rappresentata dal Gruppo AFH,

la holding fondata da Amedeo Fabrizi, oggi condotta dai figli Mauro ed Enzo. «Finalmente anche nella nostra regione è stato approvato il Piano Casa 2012 che ci permetterà di iniziare un risanamento e riqualificazione delle aree dismesse e degradate». Mauro ed Enzo Fabrizi, amministratori del Gruppo, descrivono nuovi progetti mirati a rimettere in piedi l’edilizia romana. In che modo il Gruppo AFH partecipa al piano di riqualificazione di Roma mirato al progressivo debellamento delle speculazioni, dell’abusivismo e al recupero dell’esistente? MAURO FABRIZI: «Ognuna delle società facenti capo alla holding sta analizzando le effettive opportunità che si presentano sul mercato. Ma per un concreto rilancio economico del settore delle costruzioni, è innanzitutto necessario riconvertire gli immobili già esistenti posti in uno stato


di fermo dovuto alla consistenza non residenziale. A tal proposito, uno dei progetti più importanti messi in atto dal Gruppo è l’apporto alla riqualificazione di aree site in Roma quadrante Decimo Municipio confinante con paesi limitrofi quali Ciampino, Marino, Frascati e Grottaferrata, lì dove avverrà un completamento della viabilità che collegherà Ciampino fino al polo universitario di Tor Vergata». Quali costruzioni prevede il progetto? ENZO FABRIZI: «Si realizzeranno residence, strutture commerciali e infrastrutture pubbliche quali scuole, centri polivalenti, centri sportivi, eccetera. Il progetto prevede anche una nuova fermata delle Ffss già segnalata dagli enti pubblici preposti, che evidenziano lo stato di bisogno delle infrastrutture del nostro quadrante. Tutte le costruzioni saranno dotate di impianti tecnologici a forte risparmio

Finalmente anche nella nostra regione è stato approvato il Piano Casa 2012 che ci permetterà di iniziare un risanamento e una riqualificazione delle aree dismesse e degradate

energetico e avranno un’estetica consona al nostro territorio e ai siti archeologici. Sarà nostra premura rivalutare e ispirarci alle antiche vie». Vi sarà spazio anche per immobili ad uso abitativo? M.F.: «Attualmente stiamo realizzando diversi fabbricati fra i quali emerge un complesso immobiliare sito al Km 5 della via Anagnina in prossimità dell’uscita 21 del Gra, una zona strategico/commerciale perché situata nelle vicinanze del Policlinico Tor Vergata, della Seconda Università e del Polo Banca d’Italia località Vermicino. La realizzazione di questo complesso si sviluppa attraverso le più sofisticate tecniche innovative e di rispetto per l’ambiente. Nella progettazione si è dedicato in intero

piano al commerciale dove troveranno spazio supermercati, edificio postale, punti ristoro. Altre aree saranno dedicate ad attività socio/ricreative con ampi parcheggi. L’immobile sarà dotato di oltre 40 bilocali indirizzati allo studentato universitario. Il completamento dei lavori è previsto entro fine 2012». In che modo prende vita un’iniziativa immobiliare? E.F. «La nostra attività inizia da una ricerca capillare delle aree da acquisire in base alle richieste del mercato e quindi progettate secondo parametri che possano soddisfare al massimo le aspettative e i bisogni reali, o latenti, della committenza. Ottenuti i permessi a costruire si passa alla fase realizzativa attraverso l’impiego delle nostre LAZIO 2012 • DOSSIER • 123


EDILIZIA

maestranze e delle ditte appal-

22 mln EURO

È il fatturato registrato dal Gruppo AFH nel 2011 con un incremento del 7/10% rispetto al 2011 e un +30% calcolato nell’ultimo quinquennio

tanti con le quali, mediante un attento iter contrattuale, si stabiliscono i costi e la durata del cantiere. È poi fondamentale riconoscere come l’attuale situazione in cui versa il nostro Paese ci induca a una più attenta e capillare considerazione dell’investimento e maggiore attenzione alle richieste della committenza che attualmente sono volte ai grandi centri abitati ben serviti dai mezzi pubblici». Forse è per ragioni di cultura che, anche il risparmiatore più attento, considera la casa come l’investimento più sicuro. In base alla vostra esperienza tale convinzione è ancora diffusa o purtroppo “sbiadita” dalla crisi? M.F.: «Il mercato immobiliare residenziale rappresenta per la cittadinanza un bene-rifugio mediante il quale i potenziali acquirenti mettono al sicuro i propri risparmi dall’inflazione e da qualsiasi altra forma di rischio finanziario. Le giovani coppie o single con la possibilità di reddito cercano attentamente l’immobile che rappresenta il loro primo investimento senza disperdere la forza economica in abitazioni in locazione. Secondo le tradizionali formule di compravendita, l’acquisto di un immobile può prevedere una prenotazione su carta con tempi da definire, stabilendo un prezzo suscettibile a varia-

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Per un concreto rilancio economico del settore delle costruzioni, bisogna riconvertire gli immobili già esistenti posti in uno stato di fermo

zioni, oppure una scelta orientata in fase di costruzione con prezzo e tempistiche definitive». Quindi in che modo le sei società del Gruppo AFH contribuiscono alla valorizzazione dell’edilizia e dell’immobiliare laziale? E.F.: «Le società del Gruppo sono divise per settori e attività. La Irma Immobiliare Spa è per eccellenza l’azienda più rinomata sul territorio sud/est di Roma e dalla sua fondazione si è dedicata sempre a costruzioni di ville e appartamenti di pregio. La 3 Effe Costruzioni si è invece distinta sul territorio dei Castelli Ro-

mani realizzando residenze di livello medio-alto. La Settemetri realizza prevalentemente costruzioni non residenziali, quindi uffici o residence commerciali, di importante entità. La Casaletto immobiliare è una società che gestisce aree non pronte all’edificazione immediata, pertanto si occupa anche di terreni e gestione di aree destinate alla coltivazione. Le altre società sono destinate alla gestione di beni e servizi, quindi complementari all’interno del Gruppo AFH». Infine a chi volesse comprovare la qualità dei nostri immobili rivolgiamo l’invito a visitare i cantieri in corso d’opera».



EDILIZIA

Migliorare la classificazione energetica degli edifici Classificazione energetica. Qual è la situazione a tre mesi dall’introduzione dell’obbligo di esibire la certificazione per tutti gli immobili in vendita e locazione? Il punto di Armando Scaccia Manlio Teodoro

gennaio è entrato in vigore l’obbligo di rendere esplicita la classificazione energetica degli immobili destinati alla vendita o alla locazione. La certificazione energetica dà conto del fabbisogno annuo di energia necessario a soddisfare i servizi di climatizzazione invernale ed estiva, il riscaldamento dell’acqua, la ventilazione e l’illuminazione secondo usi standard relativi a localizzazione, posizione, isolamento termico e impianti. Attualmente solo per il 12,7

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Armando Scaccia, amministratore della Edilizia Restauri Srl di Veroli (FR) ediliziascaccia@libero.it

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per cento degli immobili (fonte Immobiliare.it) è stata comunicata la classificazione. Questa situazione di ritardo è inoltre fortemente diversificata per area geografica, con una forte differenza fra Nord e Sud. «Se a Bolzano il 25,6 per cento degli annunci immobiliari riporta la classificazione energetica, a Palermo siamo sotto l’1 per cento. Anche il Lazio però si trova indietro in questa classifica, a Roma solo 5,2 per cento». A parlare è Armando Scaccia, titolare della Edilizia Restauri, impresa edile attiva su tutto il territorio laziale e soprattutto nella capitale. Quali sono le ragioni di una così marcata differenza fra aree geografiche per quanto riguarda la certificazione energetica? «La situazione è, in parte, uno specchio fedele delle differenze che interessano, anche dal punto di vista economico, il nostro paese. Certamente però un peso importante ha anche il fatto che soltanto in Lombardia – a Milano il dato di pubblicità delle certificazioni è a quota

11,3 per cento – sono previste delle sanzioni per la mancata presentazione della certificazione». Quali sono gli interventi che possono contribuire a migliorare la classe energetica di un edificio esistente? «Per gli edifici esistenti, sia che si tratti di palazzi storici sia più recenti, gli interventi con i quali è possibile ottenere un miglioramento – senza modificare fortemente la natura originale dell’immobile – sono quelli di sostituzione degli infissi esterni, la sostituzione della caldaia e il posizionamento di pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria. Qualora sia possibile intervenire anche nella parte interna della muratura e all’interno delle abitazioni, si può applicare un intonaco a cappotto e posizionare un pannello antitacchettio sotto la pavimentazione». Oltre alla possibilità di modificare più o meno l’esistente, quali sono le maggiori criticità connesse alla ristrutturazione di edifici storici?


Armando Scaccia

«Il problema principale che riguarda la ristrutturazione degli edifici storici deriva solitamente dalla loro posizione nel centro storico. Dunque esiste un problema di strutturazione del cantiere a causa della mancanza di spazio e delle attività economiche e sociali presenti nella zona dell’intervento. Tuttavia noi siamo specializzati in questo tipo di interventi; realizziamo micropali, nuove fondazioni di consolidamento e rafforziamo le murature con un brevetto di nostra sperimentazione. All’interno dei muri vengono eseguite delle perforazione a secco o ad acqua fino a raggiungere una profondità di 12 ml, viene poi iniettato del cemento fluido per il riempimento delle murature esistenti in pietra. Inoltre, esiste il problema tecnico della conservazione dell’identità dell’immobile. A questo è possibile rispondere procedendo a una valutazione preventiva dei materiali esistenti». Oltre al restauro, recentemente avete iniziato la realizzazione di nuove costruzioni. Con che caratteristiche? «Stiamo costruendo nella zona del comune di Roma degli edifici destinati all’uso residenziale. La progettazione costruttiva è in linea a quella che è la tendenza attuale del mercato, dunque ambienti di dimensioni contenute e dotazione di impianti tecnologici che consentano un abbattimento dei costi energetici per

Utilizziamo materiali di nuova concezione che permetteranno di proporre al mercato immobili dal prezzo competitivo

il riscaldamento. Oltre a garantire la presenza di verde sia privato che pubblico. Per abbattere i costi di realizzazione stiamo utilizzando materiali di nuova concezione che permetteranno di proporre al mercato un immobile dal prezzo competitivo». Quali sono state le principali modifiche apportate nell’ultimo decennio nella progettazione residenziale, anche a livello di norme?

«Negli ultimi anni le principali modifiche hanno riguardato le normative sulle strutture in cemento armato, adeguate alle nuove normative antisismiche – dato che anche il territorio del comune di Roma è stato classificato a rischio dopo il terremoto dell’Aquila. A livello di progettazione abitativa, gli spazi interni si sono sempre più ridotti sia per diminuire i costi di realizzazione che di vendita». LAZIO 2012 • DOSSIER • 127


EDILIZIA

L’ecosostenibilità, un nuovo slancio per l’edilizia al 2008, in Italia, il settore delle costruzioni è caratterizzato da cifre negative. Anche il 2011 si è chiuso con numeri preoccupanti: 300 mila posti di lavoro persi, 60 mila imprese chiuse, un calo di circa un terzo degli investimenti in opere pubbliche, per non parlare dell’edilizia privata, completamente ferma e dove, ridotti gli sgravi fiscali, non si fanno più interventi di ristrutturazione. Molte realtà, compresi grandi gruppi anch’essi in difficoltà per via della crisi, mantengono fatturati in attivo solo concentrando la loro attività altrove, con l’acquisizione di commesse all’estero. Ancora una volta, sono i paesi stranieri l’unica via di fuga per non perdere terreno in un mercato sempre più complesso. Anche Tecnurbarch Spa, società di ingegneria che si occupa di servizi di progettazione e consulenza nei campi dell’urbanistica e dell’architettura residenziale, industriale e delle infrastrutture stradali e autostradali, negli ultimi anni ha guardato all’estero, con progetti importanti. «Nonostante la crisi economica – afferma l’architetto Lorenzo Monardo,

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Il comparto delle costruzioni in Italia vive una fase di profonda crisi. Molte aziende del settore restano in attivo grazie alle commesse nei paesi stranieri. Secondo l’architetto Lorenzo Monardo la svolta comincerà dall’ecosostenibilità Lucrezia Gennari

amministratore unico e fondatore della società – molti Paesi stranieri hanno investito in nuove costruzioni, in particolare gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita e il Sultanato dell’Oman. Noi abbiamo messo in atto progettazioni notevoli ad Abu Dhabi (Ras AL Khaimah) dove abbiamo realizzato un complesso alberghiero di lusso, a Damasco con il Teatro della Fiera, a Mosca dove abbiamo progettato il nuovo Campus dell’Università Sokol e dell’istituto dell’Aviazione, e nel Sultanato dell’Oman, dove abbiamo realizzato una torre elicoidale tecnologicamente avanzata con apartment house». Tecnurbarch può contare sull’apporto di un personale formato da tecnici esperti e altamente qualificati, un sofisticato centro telematico, grafico e scientifico, e programmi informatici rivoluzionari e d’avanguardia. L’esperienza maturata in più di quarant’anni di atti-

vità, unita alla qualità dei progetti e dei metodi operativi, ha permesso all’azienda di lavorare negli ultimi decenni anche su tutto il territorio nazionale, dove sono stati portati a termine progetti molto significativi. «Tra le opere realizzate in Italia – continua Monardo – tra le più importanti ricordo il Santuario di Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, la nuova Sede Nazionale di Telecom Italia a Roma, due torri per uffici e cinque torri resi-

Alcune realizzazioni dell’architetto Lorenzo Monardo della Tecnurbach Spa di Roma www.tecnurbach.it


Lorenzo Monardo

denziali al centro direzionale di Napoli e il progetto dell’autostrada per il Corridoio Tirrenico Roma-Latina-Formia, la Bretella autostradale CisternaValmontone. In campo urbanistico, invece, abbiamo portato a termine il progetto di ben 10 piani urbanistici: piano particolareggiato turistico di Soverato, piani urbanistici di Casal dei Pazzi, Saxa Rubra, Vigna Murata, Ponte di Nona, Casale Montarelli, Via di Boccea, Tenuta Mistica e infine due zone O di Via della Pisana e Via degli Estensi, tutti a Roma. Di questi, sei sono stati attuati». Un mercato in crisi come quello delle costruzioni punta oggi sul tema della sostenibilità, che sta affermandosi come valore cardine dal quale ripartire per dare nuovo slancio al settore. Come conferma lo stesso architetto Monardo: «oggi i criteri di sostenibilità ambientale, risparmio delle risorse e miglioramento delle prestazioni energetiche applicati all’architettura sono senza dubbio temi centrali, che raccolgono un consenso e una considerazione sempre maggiori nel settore». E proprio in questo senso è particolarmente impegnata la Tecnurbach, il cui raggio di azione si è ampliato anche al campo ambientale: «esperti professionisti del mio staff si occupano in maniera specifica di questo particolare ambito, sempre più

Nonostante la crisi economica molti Paesi stranieri hanno investito in nuove costruzioni, in particolare gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita e il Sultanato dell’Oman

attuale grazie alle nuove normative sull’ecosostenibilità e il risparmio energetico. Al giorno d’oggi, l’analisi della sostenibilità ambientale rappresenta infatti uno dei passaggi chiave per poter definire una progettazione architettonica ottimale e idonea. Per questo motivo – conclude Monardo studiamo costantemente nuovi sistemi e tecniche, in grado di accentuare il risparmio energetico, relativamente sia alle

materie prime che alle risorse in generale». Tra le opere più importanti di cui si è occupata la Tecnurbach nel campo ambientale, meritano particolare attenzione le valutazioni ambientali del progetto Defence a Parigi, dell’Elettrodotto Enel a Tarquinia, degli impianti di compostaggio di Braccagni e Gavorrano a Grosseto per il centro residenziale a Punta Ala. LAZIO 2012 • DOSSIER • 131


EDILIZIA

Un piano per riqualificare l’urbanistica del territorio Per il Lazio, il Piano Casa attiverà procedimenti necessari a rilanciare l’edilizia con il potenziamento e la riqualificazione del patrimonio esistente e con interventi anche in deroga agli strumenti urbanistici. L’analisi del geometra Luca Cappadocia Adriana Zuccaro

a Giunta della regione Lazio ha approvato la circolare esplicativa del Piano Casa. Il provvedimento, recante “primi indirizzi e direttive per la piena e uniforme applicazione degli articoli 2, 3 e 6 della legge regionale Lazio n. 21/2009, come modificati, integrati e sostituiti dalla legge n. 10/2011” aprirà nuove prospettive per le aree edificabili del territorio regionale. Dall’analisi del geometra Luca

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Da sinistra, Fabio Patanè, Matteo Conti, il geometra Luca Cappadocia e Simona Marziano dello Studio Tecnico Cappadocia di Ladispoli (RM) studiocappadocia@gmail.com

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Cappadocia, titolare dell’omonimo studio di progettazione urbanistica e architettonica, attivo nella direzione lavori e sicurezza cantieri, e specializzato nello svolgimento di pratiche catastali, perizie tecniche e certificazioni energetiche, si evince che «la circolare introdurrà modifiche sostanziali e semplificative dei procedimenti necessari a rilanciare l’attività edilizia. Perché per fronteggiare il fabbisogno abitativo si è resa chiara l’esigenza di privilegiare il potenziamento e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, prevedendo interventi anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi comunali sia vigenti che adottati». Con sguardo fisso ai procedimenti previsti dal Piano Casa e discussi presso l’assessorato alle Politiche del Territorio, Cappadocia svela gli approcci più efficaci per riqualificare l’assetto urbanistico delle città laziali ed eliminare il problema delle case “fantasma”.

Tra i temi affrontati dall’assessore alle politiche del Territorio Luciano Ciocchetti sul nuovo Piano Casa, si evidenziano l’ampliamento, la demolizione e la ricostruzione. Ma sotto quali aspetti tali disposizioni parteciperanno a una concreta riqualificazione urbanistica? «L’applicazione come prevista dall’onorevole Ciocchetti, in materia di ampliamento, demolizione e ricostruzione, dovrà essere riconducibile a interventi di bio-edilizia, in piena e completa uniformità architettonica all’assetto del territorio circostante mediante l’utilizzo di tecnologie che prevedano l’uso di fonti di energia rinnovabile dandone la possibilità di ampliamento ammissibile di un ulteriore 10 per cento. È inoltre importante sottolineare che la medesima legge in variante, permette anche il cambio di destinazione d’uso, con intervento di ristrutturazione, sostituzione, demolizione e ricostruzione, per gli edifici non residenziali


Luca Cappadocia

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Per fronteggiare il fabbisogno abitativo si è resa chiara l’esigenza di privilegiare il potenziamento e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente

che siano dismessi». A Roma sono più di 32 mila tra appartamenti, magazzini, uffici che sono sotto gli occhi di tutti, ma non esistono per il fisco. Sono le case “fantasma”. Quali provvedimenti andrebbero presi per rimarginare tale situazione e ridare al territorio un’identità “registrata”? «La problematica delle case “fantasma” affrontata da diversi anni anche nel nostro studio, risulta a fronte di verifiche effettuate, parzialmente risolta, in quanto con l’avviarsi di indagini più approfondite da parte dell’Agenzia del Territorio, si è resa nota l’esistenza di milioni di case esistenti mai tassate. La soluzione da adottare, potrebbe consistere nell’accordo tra l’Agenzia del Territorio e il Collegio dei Geometri di Roma, mediante convenzioni tecniche e affidamento di incarichi a professionisti di studi privati,

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procedendo alla regolarizzazione attraverso raffronti aerofotogrammetrici, progettazioni approvate e sopralluoghi di verifica». Gli immobili non iscritti negli elenchi catastali non sempre sono abusivi. Attraverso quali operazioni è possibile verificarne la non abusività? «Gli immobili non dichiarati all’Agenzia del Territorio non sempre risultano abusivi in

quanto potrebbero essere regolari sotto il profilo urbanistico ma anche difformi e/o assenti di titolo, pertanto le operazioni di verifica da affrontare, presso gli uffici di competenza comunale, consistono nel reperimento di documentazione cartacea e/o conseguente riproduzione della stessa». Quali attività possono fotografare una “fetta” di mercato cui lo studio si rivolge? «Il nostro lavoro attualmente si focalizza sulla progettazione architettonica, facendo riferimento alle normative di legge attuali, garantendo una migliore fruibilità degli spazi in virtù delle richieste di mercato ed esigenze del committente. Altro punto di primaria importanza sulla quale lo Studio Tecnico sta dando ampio spazio, è la verifica e rivalutazione delle rendite e metrature catastali in previsione dell’introduzione della nuova tassa I.M.U.».

Il geometra Luca Cappadocia insieme all’assessore alle politiche del Territorio Luciano Ciocchetti

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MATERIALI

Nuove regolamentazioni per le attività estrattive Coesione tra le aziende dei distretti del marmo e normative più incisive sono i mezzi con cui frenare la concorrenza asiatica e rilanciare il settore lapideo. Ne parliamo con Pietro Zola Emanuela Caruso

a Regione Lazio e i distretti industriali lapidei dislocati sul territorio continuano a collaborare al fine di rafforzare la produzione italiana di marmi e pietre e al contempo rilanciare il “made in Italy” nel mondo. Attraverso l’impegno collettivo delle aziende del settore, di Confindustria e di svariate associazioni, la regione è riuscita a legiferare nuovi prov-

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Pietro Zola, presidente della Marmi Zola con sede a Ausonia (FR) www.marmizola.com

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vedimenti in grado di sopperire alla sempre più vicina scadenza delle autorizzazioni di estrazione. Come spiega Pietro Zola, presidente della Marmi Zola, società leader nel comparto dei marmi e dei lapidei, i risultati di tali partnership sono finalmente evidenti. «La Regione Lazio – spiega Pietro Zola – ha approvato il Prae, il piano regionale estrattivo, che diventerà operativo a fine anno, quando le province avranno adottato il piano estrattivo regionale Pae. In questo modo, avremo una regolamentazione chiara e precisa riguardante tutte le attività estrattive. Inoltre, poiché è possibile riportare alla ribalta il nostro settore soltanto attraverso una maggiore coesione tra gli imprenditori, abbiamo lavorato a stretto contatto con le associazioni del comparto e il consorzio Cosilam, realizzando un’opera di rilancio dei nostri prodotti sfociata nella partecipazione alla Fiera dei Marmi di Verona».

Quali sono le principali criticità del settore? «Tra le maggiori problematiche che quotidianamente dobbiamo affrontare ci sono quelle relative alla logistica, ostacolata dall’innalzamento del prezzo del carburante, e al ribasso dei prezzi, che ci impedisce di raggiungere un’adeguata redditività e impone la ricerca di nuovi sbocchi all’estero. Ma la criticità in assoluto più rilevante è l’eccessivo approvvigionamento di materia prima, blocchi in pietra e in marmo, da parte dei concorrenti cinesi, situazione che causa una diminuzione sostanziale della disponibilità di scelta del prodotto per il mercato interno italiano». Secondo lei quali soluzioni potrebbero essere adottate per porre rimedio a tale situazione? «È necessario incentivare l’attività delle aziende come la Marmi Zola e, soprattutto, creare delle barriere in grado di frenare l’acquisto massiccio delle nostre materie prime.


Pietro Zola

Infatti, se noi esportiamo in Cina o in India il semilavorato, gli acquirenti devono corrispondere il 50 per cento dell’imponibile alla dogana; quando invece i concorrenti cinesi acquistano dalle nostre imprese il blocco grezzo di materia prima, non devono sottostare ad alcuna tassazione. Questo metodo di acquisizione è da migliorare e modificare attraverso normative più eque». Per fronteggiare la crisi e le varie problematiche che affliggono il settore, che tipo di investimenti ha portato avanti la Marmi Zola? «Per prendere in contropiede il difficile momento vissuto dal nostro settore, abbiamo effettuato grandi investimenti, che hanno portato alla costruzione di un impianto fotovoltaico capace di ridurre il consumo energetico del 30% e al perfezionamento della produzione, avvenuto tramite l’acquisizione di nuove tecnologie d’avanguardia, quali macchine per il taglio, la lucidatura e la resinatura». Quanto incide l’export sull’attività della Marmi Zola e su quali mercati esteri siete presenti? «Nel 2011 la percentuale di export non è stata molto rilevante, ha infatti toccato un 10% della produzione totale. Questo dato ci ha spinto a porci come obiettivo per la fine del 2012 il raggiungimento di un livello di espor-

tazione del 30%. I mercati esteri su cui già lavoriamo, ma che vogliamo potenziare, sono gli Stati Uniti, il Canada, Malta, Cipro, la Cina e l’India». Quali sono i prodotti lapidei e marmorei più richiesti dal mercato e a quali utilizzi vengono destinati? «Il Travertino di Tivoli, il Perlato Royal Coreno del nostro distretto del marmo, il Carrara e il Daino Imperiale,

prodotto sardo, sono i materiali più redditizi e più apprezzati in questo periodo. Il mercato italiano richiede il marmo in particolare per gli arredi urbani e l’edilizia. In quella di pregio i nostri prodotti vengono impiegati per pavimentazioni, piani di cucine e bagni, cornici di porte e scale interne; nell’edilizia più commerciale il marmo è destinato alle scale e all’arredo esterno». LAZIO 2012 • DOSSIER • 135


TURISMO

Un’offerta competitiva sulla scena mondiale Riqualificare il turismo. Rafforzare l’immagine e la visibilità del Lazio, che non è solo Roma. Sono le priorità individuate dall’assessore regionale al Turismo Stefano Zappalà per la crescita del settore Francesca Druidi

un territorio variegato, il Lazio, connotato da potenzialità turistiche ancora in larga parte inespresse. Perciò la parola d’ordine diventa promozione, soprattutto mirata, che assurge a punto di partenza imprescindibile per attirare nuovi flussi turistici, in particolar modo stranieri. L’Assessorato al turismo e al marketing del made in Lazio, guidato da Stefano Zappalà, spinge con forza in questa direzione attraverso una serie di progetti e iniziative. Si sono svolti in gennaio gli stati generali del turismo del Lazio. Quali tendenze e problematiche sono emerse nello specifico rispetto al turismo straniero in regione? «Credo che il primo dato da sottolineare sia quello della partecipazione ai lavori di ol-

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tre 120 associazioni; i quasi 1.200 operatori presenti sono la prova della grande voglia di “partecipare” al nuovo modello turistico del Lazio. Abbiamo, in occasione dell’evento, ribadito i ruoli: la Regione sostiene la promozione e assiste lo sviluppo del mercato, le imprese stanno sul mercato. Il Lazio è la porta dell’Italia per il turismo, stiamo facendo conoscere il territorio, che naturalmente include Roma, perché dobbiamo portare più turisti stranieri, ma anche farli rimanere di più: questa è una sfida che si vince solo se facciamo sistema. La qualità dei servizi è essenziale e non a caso il primo provvedimento licenziato dalla giunta regionale dopo gli stati generali è stata “La carta del turista”, che io definirei la costituzione del

nuovo turismo del Lazio». Qual è stato l’andamento dei flussi turistici stranieri in regione nel corso del 2011? E su quali mercati puntate per il futuro? «Ci troviamo in una fase economica difficile, con criticità che investono anche il turismo, eppure i flussi di visitatori nel Lazio segnano un andamento positivo. Credo che ciò sia frutto della capacità di attrazione del nostro territorio, ma anche delle azioni di promozione che abbiamo messo in atto. Siamo stati presenti a importanti manifestazioni all’estero, dagli Stati Uniti alla Russia; abbiamo accolto operatori in regione e attivato il portale del Lazio (www.ilmiolazio.it), disponibile anche in inglese. I numeri ci danno ragione. Oltre ai mercati tradizionali, oggi si re-


Stefano Zappalà

gistrano flussi sempre più consistenti da paesi emergenti, Cina e Russia in primo piano. Noi puntiamo proprio su questi mercati, oltre a Brasile e India, non trascurando i paesi europei e il nord America, che rimangono i nostri riferimenti principali». Quali misure contenute nel piano triennale del turismo 2011-2013 ritiene siano maggiormente finalizzate a incentivare il turismo straniero? E quali gli obiettivi per il futuro? «Sicuramente il portale on line e poi le campagne di promozione dentro i “luoghi” capaci di intercettare i turisti: penso agli aeroporti, alle navi da crociera, ma anche l’ospitalità in regione dei grandi operatori del turismo, quelli che assumono le decisioni strategiche dettando le tendenze del mer-

cato. Puntiamo sulla capacità del territorio di mostrare le proprie attrattive. Il Lazio è un riferimento per il turismo culturale, religioso, storico, ma in grado di competere anche sul fronte dell’ambiente, dello sport e dell’intrattenimento, con i parchi tematici e i grandi poli culturali. Gli obiettivi che ci siamo prefissati riguardano la capacità di implementare questi nuovi elementi di attrazione e quelli già presenti. Pensiamo, ad esempio, ai parchi tematici: a quello di Zoomarine a Torvaianica, già attivo da anni, si è aggiunto il Rainbow MagicLand di Valmontone e presto arriveranno l’acquario dell’Eur e il parco sul cinema di Castelromano; disporremo di strutture come la nuvola di Fuksas per gli eventi. È un Lazio che si muove».

Ha evidenziato come il Lazio sia un territorio ancora poco conosciuto. Se la parola chiave è promozione, su quali tipologie di turismo nello specifico occorre puntare per attrarre gli stranieri? «Dobbiamo lavorare su ciò che non si può trovare altrove. Al momento del mio insediamento, ho parlato del Lazio come di un “museo a cielo aperto”. E questo concetto resta il punto nodale della nostra azione di promozione. Certo, oggi il turismo è cambiato, si declina come qualità del vivere. Per questo motivo, abbiamo lavorato per migliorare l’offerta di servizi, la qualità dell’ospitalità. Abbiamo favorito la nascita di nuovi attrattori di turismo, ma restiamo dell’avviso che il nodo centrale sia la valorizzazione del nostro immenso patrimonio».

Stefano Zappalà, assessore regionale al Turismo e Marketing del Made in Lazio

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TURISMO

Roma, sempre più amata dai turisti stranieri Segnali incoraggianti provengono dal turismo della Capitale. Merito, come spiega il sindaco Gianni Alemanno, di una strategia di promozione turistica che guarda con attenzione oltre confine Francesca Druidi rescono i turisti della Capitale. Nel 2011 sono a u m e n t a t i dell’8,45% i visitatori e del 7,50% le presenze, come rilevano i dati riportati dall’Ente bilaterale del turismo in occa-

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142 • DOSSIER • LAZIO 2012

sione dell’ultima Bit di Milano. E sono gli stranieri a fare la parte del leone con il 58,4% degli arrivi e il 62,17% delle presenze, provenienti soprattutto dall’Europa, per il 54%, ma anche dal nord America e dal Sud-est asiatico. Stati Uniti, Regno Unito e Germania guidano la classifica degli arrivi internazionali. In forte incremento sono anche i flussi da Russia, Polonia, Lussemburgo e Brasile. «Il 2011 è stato l’anno d’oro per il turismo – conferma il sindaco Alemanno – nel biennio 2010-2011 abbiamo sfiorato i due milioni di arrivi in più di turisti e superato la soglia dei quattro milioni in più di presenze. Questo è tanto più significativo se si considera la forte crisi internazionale in atto». Quali sono i fattori che hanno permesso questo successo? «Sono molteplici, tutti però riconducibili alla strategia messa in campo in questi ultimi tre anni che, da una parte, ha puntato al miglioramento dei servizi d’accoglienza, dall’altra, a una diversificazione dell’offerta, resa

necessaria dalla competitività sviluppatasi a livello globale. Nel 2016 si prevede che i viaggiatori arriveranno al miliardo; è chiaro che ogni paese si organizzerà per accrescere la propria offerta, ampliandola al massimo». Ha chiesto a Monti di aprire un tavolo programmatico per affrontare diversi nodi tra cui il riconoscimento del secondo polo turistico di Roma come distretto balneare, da inserire nelle strategie di promozione del turismo italiano. «Il secondo polo turistico è una realtà necessaria quanto strategica per lo sviluppo del turismo. È, infatti, uno dei punti di forza del nostro programma. Roma, da sempre, è una delle mete più agognate e desiderate, certamente una delle più conosciute, ma non la più visitata. Questo perché, nel passato, non è mai stata elaborata una vera e propria politica per il turismo, settore che, invece, può essere, soprattutto in questo momento, la forza propulsiva del rilancio economico». In che misura il secondo


Gianni Alemanno

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Il turismo può essere la forza propulsiva del rilancio economico

polo mira ad accrescere ulteriormente l’attrattività della Capitale? «Il progetto infrastrutturale in via di realizzazione consentirà di aumentare il numero delle presenze nella Capitale grazie a cinque nuovi turismi, intercettando nuovi segmenti che vanno da quello ludico-familiare a quello del business, dal naturalistico allo sportivo, che andranno ad aggiungersi ai due tradizionali, l’archeologico monumentale e il religioso. È chiaro che l’aumento delle presenze sarà direttamente proporzionale alla crescita di attrattiva della Capitale. Crescita che, in termini di progettualità, va incontro anche a quanto dichiarato dal ministro Gnudi, il quale - fin dal suo insediamento - ha sottolineato la necessità di modernizzare il sistema turistico per restare competitivi. Con il secondo polo turistico, abbiamo creato un sistema integrato di offerta che, visti i risultati, indi-

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vidua un’esperienza che possiamo mettere a disposizione». Quali le prossime iniziative che guardano al turismo estero? «Insieme ad Antonio Gazzellone, delegato al turismo, abbiamo messo a punto una strategia di promozione turistica della Città Eterna all’estero. Una strategia legata ai mercati tradizionali che da sempre scelgono Roma come destinazione, quello americano e giapponese, ma con un’attenzione particolare verso i paesi emergenti: le nuove nazionalità che sempre più numerose arrivano a Roma e per le quali è necessario programmare e sperimentare un’accoglienza veramente diversificata». Nello specifico? «Stiamo perfezionando accordi con importanti vettori tra i quali Alitalia, Rynair, Air Berlin ed El Al per promuovere la destinazione Roma in base a proposte sempre diverse. Su El Al, compagnia di bandiera israeliana, è

proiettato il film breve di Zeffirelli “Omaggio a Roma”, che abbiamo pubblicizzato anche su Alitalia. Con Air Berlin e Rynair, invece, la promozione è rivolta ai turisti del golf. Per ogni paese è necessario studiare un approccio differente, così da intercettare i gusti di un sempre maggior numero di turisti. Nel 2012 saremo presenti anche alle fiere internazionali di Berlino, Mosca e Londra. Lo scorso anno ha dato buoni risultati la presenza di Roma Capitale alla Fiera di Londra e alla missione a Buenos Aires, dove ha presentato il suo pacchetto promozionale formato da “Omaggio a Roma” di Zeffirelli e “Toccata & Fuga Vacanze romane”, la kermesse itinerante ideata per i turisti. Ci auguriamo di riuscire a trovare sempre più momenti di collaborazione per definire - insieme al Ministero, all’Enit e alle altre istituzioni per la promozione territoriale - le attività per sostenere la città all’estero».

Nella pagina a fianco, il sindaco Gianni Alemanno. Sopra, da sinistra, la Fontana di Trevi e la Basilica di San Pietro

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TUTELA DEL TERRITORIO

Un nuovo modello per uno sviluppo sostenibile La Regione punta a nuove regole per contrastare e monitorare il rischio idrogeologico del Lazio. E per i prossimi tre anni, la giunta ha stanziato 38 milioni di euro per la messa in sicurezza del suolo e dei corsi d’acqua. L’assessore all’Ambiente, Marco Mattei, illustra programmi e azioni Tiziana Bongiovanni

on il 27,6 per cento del territorio a rischio idrogeologico, il Lazio si colloca al quinto posto nella classifica italiana delle regioni meno vulnerabili per frane e alluvioni (prima di esso Puglia, Sardegna, Lombardia e Veneto; maglia nera con l’85,9 del territorio a rischio dissesto è il Trentino Alto Adige, seguito dalla Calabria con l’82,5%). «Siamo in una situazione intermedia», precisa l’assessore all’ambiente Marco Mattei, con il quale facciamo il punto della situazione laziale. Assessore, quali sono le

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zone più a rischio, quindi? «Dal punto di vista del rischio geomorfologico, esistono situazioni di pericolosità che, considerando il forte grado di antropizzazione del territorio, possono tradursi in concrete situazioni di pericolo per persone o beni. Le criticità si inquadrano nei tre grandi ambiti che caratterizzano la regione: i versanti, interessati da fenomeni franosi, le pianure alluvionali, interessate da esondazioni e la costa, soggetta a fenomeni erosivi». Nello specifico? «Per quanto riguarda le frane abbiamo problematiche di dissesto per crollo di massi dai versanti calcarei e tufacei che, per la loro rapida dinamica, possono causare gravi danni a persone e infrastrutture, come è più volte accaduto in varie località. In questo campo rientrano tutti i rilievi vulcanici delle province di Viterbo, Roma e Latina, comprese le isole pontine, e i rilievi calcarei dell’Appennino nelle province di Rieti e Fro-

sinone. Riguardo i corsi d’acqua si può dire che tutte le pianure alluvionali, in quanto tali, sono soggette a fenomeni di esondazione, salvo quelle dove siano state realizzate opere di contenimento delle piene. Tra le aree maggiormente a rischio abbiamo la piana del Tevere compresa tra Orte e Castel Giubileo e la piana dell’Aniene». A cosa sta lavorando attualmente? «Oltre al continuo monitoraggio del territorio e all’attuazione dei programmi di intervento, sto valutando il piano per la difesa delle coste, che rappresenta un obiettivo strategico per la Giunta Polverini a causa delle ripercussioni economiche legate a un’utilizzazione efficiente e razionale degli arenili dei comuni costieri. Il tutto si inserisce in una moderna concezione di uno sviluppo delle attività economiche sul territorio in grado di aumentare la ricchezza e la qualità della vita dei cittadini nel pieno ri-


Marco Mattei

Ci avvaliamo delle attività del Centro funzionale regionale operante nell’ambito della direzione regionale di Protezione civile

spetto dell’ambiente. Si tratta di una visione laica delle tematiche ambientali che privilegia il confronto con i cittadini, ai divieti fatti calare dall’alto senza spiegazioni». Quali sono gli operatori adibiti alla protezione? «L’Assessorato all’ambiente e sviluppo sostenibile opera direttamente in questo ambito tramite l’Agenzia regionale difesa del suolo, più volte intervenuta per emergenze connesse ai corsi d’acqua principali. Tengo a sottolineare anche la proficua azione dei 10 consorzi di bonifica che operano sul territorio regionale su input dell’assessorato». Quali sono gli strumenti di previsione adottati? «Ci avvaliamo delle attività del Centro funzionale regionale operante nell’ambito della direzione regionale di Protezione civile». E quelli preventivi? «Le attuali conoscenze delle

problematiche geomorfologiche derivano principalmente dalla conoscenza del territorio nelle sue componenti fisiche e socio-economiche, dalle segnalazioni che pervengono dagli enti locali, da specifiche verifiche e sopralluoghi nel corso dei quali vengono individuate le criticità e da una banca dati. Poi ci avvaliamo anche del coordinamento delle varie azioni di intervento con le Autorità di bacino e con gli altri assessorati regionali, oltre che alla predisposizione di specifici programmi di intervento. La Regione, infatti, come prevede la legislazione nazionale e regionale su questa materia basa la propria azione sui principi del decentramento e della collaborazione con gli enti locali e con gli altri enti pubblici operanti nel proprio territorio. Nell’ambito di tale azione abbiamo attivato il Sistema informativo regionale della difesa del suolo, il Sirdis».

Cos’è? «È una struttura che raccoglie, organizza ed elabora i dati e le soluzioni per la difesa del suolo. Le richieste di finanziamento o le segnalazioni di dissesto che ci pervengono dagli enti locali sono soggette a verifiche e vengono classificate in termini di priorità di intervento facendo riferimento al possibile impatto che il dissesto può avere sulle persone e sulle infrastrutture. Il Sirdis, quindi, può fornire il quadro completo e aggiornato delle criticità presenti sul territorio con riferimento alla tipologia di dissesto e alle necessità finanziarie per la loro mitigazione. Infine, per avere un quadro omogeneo della pianificazione territoriale in tema di difesa del suolo, all’interno del Sirdis è stato realizzato il mosaico dei piani di assetto idrogeologico elaborati dalle cinque Autorità di bacino competenti sul terri-

Marco Mattei, assessore all’Ambiente della Regione Lazio

LAZIO 2012 • DOSSIER • 149


XXXXXXXXXXX TUTELA DEL TERRITORIO

RIEPILOGO STATO DI ATTUAZIONE DEI PIÙ RECENTI PROGRAMMI DI FINANZIAMENTO PER INTERVENTI DI DIFESA DEL SUOLO Legge / Programma

Interventi in progettazione

Interventi in fase di attuazione

Totale

Numero

Importo

Numero

Importo

Importo

APQ5 2° int

9

19.288.000

30

30.712.000

50.000.000

Prot. Intesa Tevere Min. Amb. e Reg. Lazio

7

7.420.000

8

24.140.000

31.560.000

1° Piano strategico

1

550.000

9

7.392.200

7.942.200

2° Piano strategico

2

1.375.000

1

4.401.800

5.776.800

3° Piano strategico

1

850.000

7

5.721.110

6.571.110

POR Lazio 2007/2013

8

14.820.000

23

21.180.000

36.000.000

Fondi regionali

6

11.210.000

73

42.007.300

53.217.300

Programma Straordinario

28

37.424.000

31

52.576.000

90.000.000

Totale

62

92.937.000

182

188.130.410

281.067.410

torio regionale, anche al fine e comprende sia i fondi regiodi confrontare la pianificazione esistente con le nuove criticità inserite nel sistema». Quali sono le politiche di mitigazione? «Per quanto riguarda la mitigazione delle condizioni di rischio sul territorio si stanno completando i programmi di intervento di difesa del suolo avviati recentemente. Su 244 interventi la fase di attuazione che va dall’affidamento dei lavori fino alla loro conclusione interessa 182 opere, pari a una percentuale del 75%, mentre per i restanti 62 interventi si stanno completando le fasi di progettazione e acquisizione dei pareri di legge». A quanto ammonta l’impegno finanziario complessivo? «È di circa 281 milioni di euro 150 • DOSSIER • LAZIO 2012

nali che quelli statali e comunitari. Abbiamo anche circa 100 interventi in somma urgenza effettuati nell’ambito degli ultimi tre anni per un importo di circa 20 milioni. Oltre ai piani di intervento già avviati, per le annualità 2012, 2013 e 2014 abbiamo inserito nel bilancio triennale di previsione rispettivamente 8 milioni per il 2012, altri 8 per il 2013 e 22 per il 2014». È sufficiente? «La stima del fabbisogno finanziario che emerge dai dati inseriti nel Sirdis evidenzia, per far fronte alle principali priorità individuate nel territorio regionale, un fabbisogno pari a circa 300 milioni di euro solamente per i versanti e corsi d’acqua».


Roberto Troncarelli

Basta rincorrere le emergenze Per una corretta gestione del rischio idrogeologico la parola d’ordine è programmazione. Lo sostiene Roberto Troncarelli, presidente dei geologi laziali, che punta il dito contro i ritardi della politica, che si limita a reperire le risorse economiche necessarie per ricostruire la zona colpita, dopo aver fatto il conteggio dei danni Tiziana Bongiovanni

olitici miopi, interventi tampone, assenza di una pianificazione a monte, cifre “ridicole” a bilancio, confusione di competenze e rimpalli di responsabilità. Le criticità riguardo alla tematica del dissesto idrogeologico sono molte e, sembrano, secondo il parere di Roberto Troncarelli, presidente dell’Ordine dei geologi del Lazio, con il perdurare della mentalità attuale, irrisolvibili. Presidente, più rassegnato o arrabbiato? «Entrambi. Noi geologi siamo diventati delle Cassandre. Veniamo chiamati solo a fatti avvenuti, cosicché la gente quando ci vede pensa: “È successa una catastrofe”. Se fossimo interpellati prima di costruire un palazzo o prima di decidere che in quel vallone si deve fare un centro residenziale, molte disgrazie non avverrebbero. Con la capacità e la sensibilità di leggere i fenomeni naturali o la morfologia di un territorio, sappiamo in anteprima cosa potrà succedere in quella zona. Ma ripeto, purtroppo veniamo chiamati sempre dopo, a fare la cronaca di disastri annunciati». Perché secondo lei? «Perché investire in pianificazione contro i dissesti idrogeologici in termini elettorali non paga. Per un politico, prevedere di investire dei soldi in un momento in cui soldi non ce ne

P

sono, è uno spreco. Non si mettono a bilancio fondi per studi seri che mitighino il rischio geologico. Le cifre a disposizione sono bassissime, quasi offensive, quindi è impossibile programmare seriamente qualcosa. Con la disponibilità economica a loro disposizione possono solo tamponare l’emergenza. E poi la filiera delle responsabilità sulle scelte progettuali si è via via ingarbugliata fino ad arrivare alla situazione odierna in cui hanno voce in capitolo troppi enti: dal consorzio di bonifica all’autorità di bacino, dalla Provincia all’ufficio ambiente del Comune, fino all’Assessorato regionale all’ambiente». Quindi, troppi poteri. «Decisamente. Ciò ha raggiunto livelli intollerabili. La gerarchia delle competenze sulla gestione del territorio è diventata una massa così nebulosa che non si sa più chi deve fare cosa. Non c’è collegamento, né organicità nelle decisioni programmatiche. E la carenza di fondi fa sì che la programmazione, anche dell’intervento più banale, diventi complicatissima». È così in tutta Italia? «In certe regioni questa tendenza alla confusione raggiunge livelli fastidiosi. Le regioni del Nord sono organizzate meglio». E voi geologi? «Noi “strilliamo” quando ce lo consentono. Purtroppo pa- LAZIO 2012 • DOSSIER • 151


TUTELA DEL TERRITORIO XXXXXXXXXXX

ghiamo il fatto di essere nume- cinquant’anni. Se ci fosse stata, centrazione supera ampiaricamente pochi nelle pubbliche amministrazioni e soprattutto assenti nelle stanze dei bottoni, dove si legifera. Siamo solo in dodici nel Lazio e addirittura zero nei geni civili. Vorremmo invece poter occupare delle posizioni in cui la nostra voce possa far riflettere i politici sulla necessità di ascoltare qualche volta i tecnici. Sulla salute pubblica, sulla sicurezza della cittadinanza, sulla salvaguardia del territorio, sulla tutela dell’ambiente il politico non ha la competenza per assumere certe posizioni. Deve necessariamente farsi supportare. E i geologi sono gli unici che hanno la capacità di leggere quasi in tempo reale i fenomeni naturali». Ci faccia un esempio. «Prendiamo l’alluvione nella capitale dello scorso ottobre. Sa qual è stata la causa principale? La cattiva manutenzione dei tombini delle strade. Non si sapeva più nemmeno a chi era posta in capo. I danni sono ammontati a 88 milioni di euro. Rincorrere l’emergenza costa trenta volte di più che fare programmazione. Con la stessa cifra si sarebbe potuta fare prevenzione per i prossimi

tra l’altro, i danni sarebbero stati molto inferiori e la città non si sarebbe paralizzata. Ma la scappatoia più facile è stata quella di scaricare le responsabilità sul territorio». Parlando del Lazio, quali sono i rischi idrogeologici? «Voglio premettere una cosa. Gli eventi erosivi sono eventi naturali. Sono dannosi quando colpiscono zone in cui è presente un’antropizzazione. Se investissero denaro in località in cui la pianificazione urbanistica avvenisse secondo criteri di sostenibilità, la conta dei danni sarebbe molto più leggera. Nel caso specifico, il Lazio è una regione fortunata. Il rischio sismico investe soltanto la fascia appenninica del Reatino e del Frusinate, mentre quello vulcanico è quasi inesistente (le uniche attività ancora in atto sono quelle tardo magmatiche della zona termale del Viterbese). Però c’è un altro rischio che è emerso da poco: la presenza di arsenico nelle acque». Ci spieghi meglio. «L’arsenico nell’acqua c’è sempre stato, ma in tutta la provincia di Viterbo e nell’area dei castelli romani la sua con-

mente i 10 microgrammi per litro, la soglia che la Comunità europea ha imposto di rispettare. Ci sono studi che dicono che l’arsenico provoca talune forme di cancro». Come si può neutralizzare questa situazione? «Mettendo in campo interventi a lungo termine. La Comunità europea dal 1999 ci sta dicendo che siamo fuori legge. Gli altri Paesi hanno installato dearsenificatori. Noi invece anziché programmare politiche che comportano investimenti di cifre importanti che vanno messe a bilancio, andiamo di deroga in deroga, l’ultima delle quali scadrà il 31 dicembre 2012». Quindi a quella data cosa succederà? «L’ennesimo intervento tampone. Del resto, tamponare le emergenze è lo sport nazionale. Immagino che saranno messi improvvisamente in campo potabilizzatori; si misceleranno le acque cariche di arsenico con acque che dovranno arrivare da altre zone, con costi nettamente più elevati rispetto a quelli di una programmazione».


Bruno Placidi

La tutela delle acque Autorità dei bacini regionali del Lazio si occupa principalmente della redazione del Piano di assetto idrogeologico, strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale vengono individuate le aree da sottoporre a tutela. «Ovviamente non ci si limita a individuare le sole aree a rischio – precisa il presidente Bruno Placidi – ma si prefigurano anche le azioni da intraprendere, sia per la salvaguardia immediata che per la necessaria messa in sicurezza: si individuano i rischi connessi a potenziali frane ed esondazioni e si definiscono le modalità di utilizzo delle relative aree interessate». La competenza circa la realizzazione degli interventi è prerogativa della Regione e delle Province, così come le immediate azioni di salvaguardia sono appannaggio dei Comuni. La collaborazione con la Regione è decisiva: «Talmente importante è un simile approccio – sottolinea il presidente – che a tali azioni di indirizzo è preposto il comitato istituzionale, composto dai vertici politici della giunta regionale e delle province interessate». Nel Lazio operano tre principali Autorità di bacino: quella del Fiume Tevere, quella dei bacini idrografici del Liri-Garigliano e Volturno e, infine, quella dei bacini regionali, oltre ad altre due di minore estensione (per la

L’

Il piano di assetto idrogeologico è lo strumento attraverso cui gli enti locali programmano le azioni di salvaguardia dei territori e dei bacini idrografici. Lo spiega Bruno Placidi, presidente dell’Autorità dei bacini laziali Tiziana Bongiovanni parte laziale) quali quelle dei fiumi Fiora e Tronto. «Il rischio derivante da fenomeni franosi – spiega Placidi – si concentra soprattutto nelle falesie costiere e nei versanti interni, a maggior ragione se interessati da insediamenti urbani e produttivi. Quello di esondazione è connesso, oltre che ai corsi d’acqua principali anche a quelli secondari e a realtà fluviali di scarso rilievo, salvo aumenti esponenziali e improvvisi della pericolosità dovuti alle caratteristiche orografiche nell’immediato retroterra». Attualmente per queste aree a rischio è in fase di attivazione uno stanziamento straordinario di 120 milioni di euro, congiuntamente finanziato da Stato e Regione, del quale però Placidi si dice consapevole che tale somma «è largamente al di sotto delle reali necessità economiche per la messa in sicurezza di tutto il territorio laziale», ma prende atto dell’azione comunque avviata, «che consente di intervenire sulle maggiori criticità presenti che interessano i Comuni di Ponza, Ventotene, Anzio, Ardea, Civita

di Bagnoregio e Roma con operazioni di consolidamento di fenomeni franosi e di ulteriore messa in sicurezza idraulica, mediante la realizzazione di vasche di espansione nel medio corso del Tevere e del Liri-Garigliano». La continua evoluzione delle tecnologie di rilevamento territoriale e l’utilizzo di modellistica applicata consentono oggi, unitamente a una solida campagna di rilievi in sito, di definire possibili scenari circa il manifestarsi e l’evolversi di fenomeni di dissesto idrogeologico, di caratterizzarli e individuarne i loro contorni areali a scala territoriale con un grado di dettaglio sempre maggiore anche se mai definitivo. «È in tal senso che – conclude Placidi – , compatibilmente alle risorse economiche disponibili, si intende operare nel prossimo futuro, anche al fine di dare sempre maggiori certezze circa la definizione dei dissesti indagati sia a chi ha il compito di individuare e programmare interventi di messa in sicurezza, sia a chi è preposto alla pianificazione territoriale locale.

Sopra, il fiume Liri in prossimità del comune di Isola del Liri, in provincia di Frosinone

LAZIO 2012 • DOSSIER • 153


GESTIONE DEI RIFIUTI

Dalla filiera dei rifiuti un impulso alla crescita Un progetto complesso e ambizioso, che dovrebbe portare alla nascita, in provincia di Latina, di un polo impiantistico ambientale all’avanguardia. L’attività di Ecoambiente illustrata da Bruno Landi Matteo Rossi

i sta avviando verso la conclusione la fase finale dell’opera di bonifica e recupero ambientale dell’area di Borgo Montello iniziata dalla Ecoambiente nel settembre di dodici anni fa. La società a capitale misto pubblico-privato, partecipata per il 51 per cento da La-

S

Bruno Landi, amministratore delegato della Ecoambiente Srl di Latina www.ecoambientelatina.com

156 • DOSSIER • LAZIO 2012

tina Ambiente Spa, a sua volta controllata dal Comune di Latina per il 51 per cento, ha infatti attuato, in questi anni, un programma d’intervento complessivo per la riqualificazione dell’intero sito, fino al 1999 un’area gravemente degradata per il percolato fuoruscito da discariche non controllate. La conferma arriva dall’amministratore delegato di Ecoambiente, Bruno Landi: «A partire dal 2000 abbiamo intrapreso operazioni di messa in sicurezza e recupero volumetrico per l'abbancamento dei rifiuti nei vecchi siti S1, S2, e S3 in Borgo Montello. Il nostro obiettivo ora è quello di creare un vero e proprio polo impiantistico ambientale, che contiamo di ultimare entro la fine del 2013/inizio 2014». Quali sono gli elementi più innovativi del progetto? «Premesso il contesto ambientale da recuperare, preservare e possibilmente restituire alla fruizione della collettività, stiamo implementando soluzioni progettuali ad alto conte-

nuto tecnologico, che consentiranno di trattare e valorizzare tutte le tipologie di rifiuti prodotte, riducendo al minimo le emissioni di inquinanti e il loro impatto sull’ambiente circostante, grazie anche al contributo di alte competenze universitarie e al confronto con le best practices internazionali del settore. Le scelte adottate permetteranno inoltre di massimizzare il rendimento energetico e il recupero di materiali in uscita». Ecoambiente è partecipata anche da una società controllata dal Comune di Latina. Quale bilancio può trarre dalla collaborazione tra la società e l’amministrazione locale? «Il Comune di Latina ha pian piano compreso le opportunità che una società industriale operante in questo settore poteva offrire allo sviluppo locale. Soprattutto ora, con il passaggio da un sistema basato sulle sole discariche a un sistema industriale avanzato, sono emerse in tutta chiarezza le grandi poten-


Bruno Landi

zialità per la crescita del tessuto produttivo locale. Il bilancio dunque è positivo, ma credo che potrà esserlo ancora di più con il coinvolgimento attivo dei Comuni della Provincia, ai quali dovranno essere date necessarie garanzie in termini di tariffe, controllo ambientale e qualità industriale, il tutto nel contesto di una nuova governance». Il tema dei rifiuti e dei siti di trattamento e stoccaggio non di rado scatena nell’opinione pubblica la cosiddetta sindrome “Not In My Backyard”. Nel vostro caso avete incontrato questo tipo di reticenze tra la cittadinanza del luogo? «In effetti all’inizio la nostra presenza ha creato qualche attrito con i residenti. Nel tempo queste contrapposizioni si sono però stemperate, anche perché la popolazione ha potuto constatare come, negli anni, non solo non c’è stato un peggioramento del sito, ma anzi la qualità globale dei luoghi, anche sotto il profilo visivo, ha subito un costante miglioramento. Ricordo che negli anni precedenti il 2000, quando la Ecoambiente ha cominciato a operare per il recupero dell’area, il sito era largamente contaminato dal percolato uscito dai vecchi invasi. Una situazione indegna, oggi nettamente migliorata, e la gente sta oggi osservando e giudicando, senza pregiudizi, gli sforzi effettuati dalla Ecoambiente per tutelare il territorio». Può fare degli esempi

A Borgo Montello sono state implementate soluzioni progettuali ad alto contenuto tecnologico, che consentiranno di trattare e valorizzare tutte le tipologie di rifiuti prodotte

concreti? «Parlo del progetto di bonifica per risanare l’area vasta, di cui stiamo ultimando, dopo quelle di laboratorio, le prove di campo, ma anche del monitoraggio continuo della qualità dell’ambiente che la società, in

cooperazione con Arpa Lazio, sta eseguendo a proprie spese dal 2005. A tutto ciò va naturalmente aggiunto il beneficio occupazionale, diretto e indiretto, già in atto, che la creazione del nuovo polo impiantistico accrescerà ulteriormente. LAZIO 2012 • DOSSIER • 157


GESTIONE DEI RIFIUTI

Infine Ecoambiente in questi

ultimi anni ha promosso varie iniziative no-profit, che hanno coinvolto i residenti non solo di Borgo Montello ma anche del Comune e della Provincia di Latina: tra queste vorrei ricordare il “1° raduno motoristico Lancia nella Valle dell'Astura”, organizzato nel 2010 e conclusosi con il concerto sinfonico, nell’area archeologica di Satricum, del Maestro Uto Ughi e i Filarmonici di Roma, e nel 2011 la mostra “Rifiuti in Arte” con il concerto, sempre a Satricum, del Maestro Salvatore

Accardo and Friends». A suo parere, quanta attenzione viene riposta da parte del territorio laziale nei confronti dello sviluppo di un’industria ambientale? «Credo che la diffusione di una cultura “green” stia conoscendo una fase di grande crescita nella nostra regione. Siamo chiamati ad un confronto quotidiano da cui dobbiamo sapientemente attingere utili spunti per migliorare sempre di più i processi di gestione del ciclo dei rifiuti. Da parte nostra, proprio per meglio avvicinare il territorio alla nostra realtà e per meglio

Si è trasformato l’intero sito da area degradata per la presenza di discariche non controllate, a sede di una moderna industria ambientale inserita in un contesto recuperato

158 • DOSSIER • LAZIO 2012

far capire alla popolazione come avviene nella pratica lo smaltimento dei rifiuti, abbiamo organizzato anche degli open day e delle visite guidate con le scuole della Provincia». Quale impatto, anche da un punto di vista occupazionale, potrebbe avere una crescita della green economy per l’Italia centro-meridionale? «L’industria ambientale nel Centro Italia è in pieno sviluppo, ma mancano, in misura significativa, gli impianti di trattamento meccanico-biologico e gli impianti di compostaggio. Il costo di attuazione dell’impiantistica prevista dal Piano di Gestione dei Rifiuti approvato dal Consiglio Regionale del Lazio il 18 gennaio 2012 è stato calcolato da Federlazio Ambiente tra 650 milioni e 1 miliardo di euro. Applicando questo paradigma all’intera Italia centrale si arriva a non meno di 2 miliardi di investimento complessivo con l’impiego significativo di tecnici e manodopera specializzata sia in fase di realizzazione che di gestione. Ciò significa non solo una risposta positiva alle sollecitazioni dell’Europa ma anche un moltiplicatore sull’economia delle grandi imprese costruttrici e conseguentemente sulle piccole e medie imprese locali». La crisi quali effetti sta avendo sugli investimenti rivolti all’ambiente? «Certo la difficile congiuntura economica sta rendendo più difficili i finanziamenti alle imprese per la realizzazione del-


Bruno Landi

L’INTEGRAZIONE COME CHIAVE PER UNA GESTIONE OTTIMALE intervento di messa in sicurezza dei vecchi siti S1, S2, e S3 in Borgo Montello ha permesso alla Ecoambiente di recuperare, sulla base di specifiche autorizzazioni, una volumetria totale di 1.134.000 mc per l’abbancamento di rifiuti che si è esaurita a fine 2009. Attualmente l’attività sta proseguendo in un nuovo e distinto invaso, realizzato nel biennio 2008-2009 con criteri di sicurezza ambientale rafforzata, per una volumetria totale pari a circa 400.000 mc. Nell’invaso, oltre ai rifiuti urbani sono conferiti rifiuti assimilabili prodotti dalle aziende private della Provincia di Latina. Il complesso impiantistico che la Ecoambiente ha previsto di realizzare all’interno dell’ex discarica di Borgo Montello è finalizzato al trattamento e alla valorizzazione sia dei rifiuti urbani indifferenziati e speciali non pericolosi che dei rifiuti differenziati non pericolosi a matrice organica e alla depurazione del percolato da discarica. Gli scarti non ulteriormente recuperabili verranno smaltiti nell’invaso di discarica attualmente attivo. Per questo

L’

verranno costruite tre strutture tra loro autonome e distinte: un impianto di trattamento meccanico-biologico dimensionato per una capacità di trattamento pari a 180.000 ton/anno, un impianto di produzione di compost di qualità, con una capacità di trattamento di circa 30.000 ton/anno di rifiuti organici, e un impianto di depurazione di percolato da discarica. Il complesso è stato autorizzato dalla Regione Lazio con Det. n. B3693 del 13/08/2009 e programmato nel Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti approvato in data 18 gennaio 2012 dal Consiglio Regionale del Lazio. «Il nostro obiettivo è renderlo operativo entro la fine del 2013/inizio2014 – sottolinea Landi –. La scelta di realizzare più impianti all’interno di una sola area è un vantaggio non soltanto sotto il profilo economico, in quanto consente risparmi legati al “trasporto del rifiuto”, ma anche da un punto di vista ambientale, poiché permette di effettuare un attento monitoraggio dell’intero complesso e di creare utili sinergie per il territorio».

l’impiantistica. Il calo dei consumi dei cittadini ha ridotto la produzione dei rifiuti e quindi ha contratto sensibilmente i ricavi delle aziende del settore, limitando le disponibilità per futuri investimenti. Tutto ciò avviene proprio quando gli indirizzi comunitari spingono per l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili (BAT), non tanto come traguardo quanto piuttosto come condizione necessaria per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale prevista dalla legge. Necessità di nuovi investimenti per qualificare il settore e scarsità di risorse finanziarie pubbliche e private: è il dilemma dell’oggi e dell’immediato domani».

Per quel che riguarda l’attività di Ecoambiente, in futuro su quali altre opere vi concentrerete e dove orienterete i vostri prossimi investimenti? «A valle della realizzazione del complesso impiantistico per la produzione di CSS (combustibile solido secondario), e FOS (frazione organica stabilizzata), potrebbe un giorno risultare utile un gassificatore per la chiusura del ciclo. Anche il compost prodotto potrebbe essere utilizzato per progetti di fertilizzazione di aree agricole marginali al fine della coltura di biomasse da indirizzare alla produzione energetica da fonti alternative».

Il presidente della Ecoambiente, professore ingegnere Fabio Massimo Frattale Mascioli

LAZIO 2012 • DOSSIER • 159




LAVORO, SALUTE E PREVENZIONE

Una nuova cultura del lavoro Formatori altamente qualificati, regolamentazioni più stringenti, ma soprattutto un deciso balzo in avanti nella percezione culturale del valore della sicurezza. Oreste Tofani illustra le linee d’intervento della commissione parlamentare da lui presieduta Giacomo Govoni

accordare i vari soggetti istituzionali e gli enti locali attraverso un sistema informativo nazionale per la prevenzione sui luoghi di lavoro. È una delle azioni prioritarie messa a fuoco dalla terza relazione intermedia presentata poche settimane fa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro. «Malgrado confermino un trend complessivamente decrescente degli infortuni – osserva Oreste Tofani, presidente della commissione – gli ultimi dati evidenziano forti contraddizioni e asimmetrie sia settoriali che territoriali». Ragion per cui, occorre dar seguito alle 87 audizioni in sede plenaria e ai 29 sopralluoghi conoscitivi già svolti in tre anni di attività per assestarsi su numeri a oggi «ancora troppo elevati e inaccettabili per un paese civile». Quali azioni mettono in cantiere le tre risoluzioni approvate poche settimane fa a Palazzo Madama? «Le tre risoluzioni, approvate a maggioranza assoluta lo scorso 7 febbraio, formalizzano una serie di richieste d’impegno al governo su alcuni aspetti critici emersi nel corso delle audizioni e nei sopralluoghi della commissione. In particolare, si concentrano sulla necessità di pervenire alla completa attuazione del decreto legislativo 81/2001 attraverso l’emanazione degli atti nor-

R

162 • DOSSIER • LAZIO 2012

mativi secondari ancora rimanenti, sull’avvio del sistema informatico nazionale della prevenzione, nonché sulla necessità di intervenire attraverso l’utilizzo di agevolazioni economicofiscali per accrescere la sicurezza delle macchine e la loro eventuale sostituzione al fine di ridurre la grave piaga degli incidenti nel settore agricolo». Quali i nodi più urgenti? «Di certo si riscontra la necessità di assicurare la qualificazione dei formatori per la sicurezza sul lavoro, attraverso una regolamentazione dei requisiti necessari. Così come l’urgenza di arrivare a una regolamentazione più stringente per le attività legate al settore pirotecnico, funestato anche recentemente da incidenti gravissimi. Le risoluzioni insistono, inoltre, sulla necessità di un potenziamento della lotta contro i rischi derivanti dall’amianto attraverso la mappatura del territorio e la sua bonifica, la realizzazione di forme adeguate di sorveglianza sanitaria e l’effi-

Il senatore Oreste Tofani, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro


Oreste Tofani

In Italia non è ancora maturata appieno una corretta percezione dell’equazione meno incidenti meno costi sociali. Se così fosse aziende e lavoratori si sforzerebbero di adottare tutte le necessarie misure di tutela

ciente funzionamento del fondo per le vittime. Infine, mettono al vaglio l’ipotesi d’istituire una procura nazionale per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, considerando che su tali tematiche occorrono culture e preparazione specifiche». Con la riduzione degli incidenti si ridurrebbero anche meno costi sociali. A che punto è la percezione di questa equazione e cosa fare per migliorarla? «Non credo che in Italia sia maturata appieno una corretta percezione del fatto che avere meno incidenti significa sostenere meno costi sociali. Se così fosse, aziende e lavoratori si sforzerebbero di adottare tutte le necessarie misure di tutela. Purtroppo, soprattutto in determinati settori e tra le piccole aziende, proprio i costi per la sicurezza sono quelli che più spesso risultano essere compressi. Non esistono scorciatoie o formule magiche per sconfiggere tali realtà, si deve necessariamente puntare sui controlli, sull’informazione e la formazione dei datori di lavoro e dei lavoratori, sulla riduzione dei premi assicurativi per le imprese virtuose e sulla repressione dei comportamenti contrari alle norme». Uno dei nodi più intricati che la commissione da lei presieduta si sta impegnando a dipanare è quello inerente la formazione delle aziende sul tema sicurezza: quali misure in questo senso non possono più attendere? «Su questo specifico argomento la risoluzione

approvata dal Senato, di cui sono il primo firmatario, insiste sulla necessità di adottare, in tempi rapidi, iniziative tese ad assicurare la qualificazione dei formatori, mediante una regolamentazione dei necessari requisiti di studio, professionalità ed esperienza, che garantisca le competenze degli operatori senza introdurre appesantimenti burocratici o vincoli al libero esercizio della professione. La formazione, infatti, è il primo strumento ai fini di una corretta prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, attraverso il quale creare una consapevolezza sempre più diffusa sul valore della sicurezza. È il miglior veicolo di crescita e cambiamento culturale». Tra i nemici più acerrimi delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro ci sono i ribassi degli appalti. Cosa propone la sua commissione per superare tale situazione? «La commissione sia nelle risoluzioni che nella terza relazione intermedia, approvate dal Senato, individua precisi percorsi per evitare che il criterio del massimo ribasso continui a essere l’unico meccanismo per l’aggiudicazione degli appalti e subappalti pubblici. In un quadro di compatibilità comunitaria, individua perciò criteri alternativi quali ad esempio: il ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa, nonché la possibilità di usare sistemi integrativi come quello della “media mediata” e formule di verifica quali gli indici di congruità del costo del lavoro». LAZIO 2012 • DOSSIER • 163


LAVORO, SALUTE E PREVENZIONE

Uniti contro il “malo lavoro” Operare nel rispetto delle regole a volte non basta. Formazione e prevenzione sono due serbatoi fondamentali ai quali Inail Lazio destina gran parte del suo capitale economico e umano. L’analisi di Antonio Napolitano Giacomo Govoni

I rapporto sulla sicurezza sul lavoro relativo al primo semestre 2011, sembrava per il Lazio quello della consacrazione. Un saldo degli infortuni mortali sceso dai 44 del periodo gennaio-giugno 2010, ai 28 dello stesso periodo del 2011, relegava l’annus horribilis del 2009 con 103 vittime a un autunno lontano. Fino alla disgraziata congiuntura estiva, segnata da alcuni incidenti collettivi - su tutti i sei morti dello scorso settembre alla fabbrica di fuochi di Arpino - «che ci hanno fatto retrocedere ai livelli del 2010». Ad ammetterlo è Antonio

I

164 • DOSSIER • LAZIO 2012

Napolitano, direttore di Inail Lazio, che in questa ennesima tragedia, rintraccia uno dei “vulnus” su cui occorre alzare la guardia. «Ci sono una miriade di micro imprese – osserva Napolitano – che, sfruttando la capacità di svolgere diverse attività in un momento di crisi, talvolta non associano il rischio ai diversi lavori svolti. È questo uno dei punti di debolezza del sistema produttivo italiano». Il trimestre luglio-settembre 2011 ha rotto un biennio che sembrava aver imboccato il binario giusto. «Mi permetto di precisare che, sebbene i dati relativi agli infortuni mortali non siano consolidati, l’anno 2011 nel suo complesso ha fatto registrare una forte riduzione di morti sul lavoro. Prescindendo ovviamente dall’aspetto umano, ciò rappresenta un notevole progresso rispetto al trend dell’ultimo quinquennio, consolidato nell’ordine dei 100 morti all’anno. Nello specifico del terzo trimestre, in tale periodo si sono verificati purtroppo alcuni incidenti collettivi, tra cui quello della fabbrica di fuochi di artificio di Arpino, a fronte dei quali abbiamo


Antonio Napolitano

Con il Testo unico sulla sicurezza si è dato corso a quella che mi piace chiamare la democrazia della prevenzione

provveduto con la massima celerità ad assistere le famiglie sul piano economico e morale. Esistono sicuramente ambiti lavorativi ad alta incidenza di rischio, rispetto ai quali Inail Lazio ha intrapreso specifiche e mirate azioni di prevenzione. Sembrerebbe, peraltro, che la struttura operasse nel rispetto delle regole, quindi vi potrebbe essere la necessità di meglio associare il rischio allo specifico lavoro che si realizza». A inizio febbraio è intervenuto alla presentazione dell’Organismo paritetico regionale ambiente e sicurezza da parte di Federlazio, Cgil, Cisl e Uil territoriali. Che utilità avrà questo strumento in chiave sicurezza? «In materia di bilateralità il Testo unico sulla sicurezza fissa nuovi compiti e opportunità e disegna un quadro normativo in cui l’Inail può vestire i panni di architetto generale, nella consapevolezza del ruolo fondamentale delle parti sociali all’interno di questa società sempre più fragile. Vi è stato il riconoscimento di una serie di compiti e prerogative agli organismi paritetici e alle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, in particolare nell’ambito della formazione. Ma soprattutto si è attuata quella che mi piace chiamare la democrazia della prevenzione, che opera attraverso gli strumenti degli organismi paritetici, dei meccanismi di rappresentanza dei lavoratori e della formazione condivisa. La

realizzazione di una simile rete a maglie strette servirà a migliorare i luoghi di lavoro e la vita di chi vi lavora». A fine 2011 avete rinnovato l’intesa con Roma Capitale nell’ambito del progetto “Lavoro sicuro”. Quali frutti ha dato ad oggi questa sinergia? «L’iniziativa nasce per consentire al personale del Comune di Roma, maggiore stazione appaltante d’Italia e tra le più grandi in Europa, di supportare l’azione degli organismi deputati alla vigilanza, previa adeguata formazione. Così da potenziare gli effetti positivi derivanti dalla prevenzione in termini di contenimento del numero di eventi infortunistici. La stipula del primo protocollo risale al 2008 con la nascita del “laboratorio della cultura e della prassi della sicurezza”, forma di collaborazione permanente tra la Inail Lazio e il Comune. Nell’ambito di tale accordo è intervenuta una convenzione specificamente mirata alla realizzazione di corsi di formazione sul tema della sicurezza in edilizia destinati a diverse figure professionali del Comune (dirigenti e funzionari tecnici del settore edilizia, vigili urbani) chiamate a interagire con l’Osservatorio comunale sul lavoro». Quali altre iniziative avete nel mirino? «Per il prossimo futuro, sono programmati in primo luogo seminari di aggiornamento sulla sicurezza in ambienti confinati, rivolti a di- LAZIO 2012 • DOSSIER • 165


LAVORO, SALUTE E PREVENZIONE

A tutte le imprese che realizzano misure di prevenzione Inail riconosce uno sconto sul tasso di premio che varia tra il 7% e il 30%

pendenti e tecnici delle aziende municipaliz-

zate; inoltre, si sarà svolta un’attività di sensibilizzazione sulle tematiche della sicurezza sui luoghi di lavoro nei confronti degli operatori del Comune che gestiscono i contratti delle cooperative sociali affidatarie di servizi alla persona. Il valore più importante dell’iniziativa risiede, a mio parere, nel concetto di pubblica amministrazione aperta che si pone come “unicum”, a prescindere dalla qualificazione dell’ente, nella difesa e nel perseguimento del bene comune, che è in questo caso la sicurezza sui luoghi di lavoro». Profitto e sicurezza: spesso gli imprenditori tendono a porre questi due temi in antitesi. In che modo Inail spiega loro che non è esattamente così? «Solo quest’anno Inail Lazio erogherà circa 26 milioni di euro per ammodernare le imprese e realizzare i sistemi di gestione della sicurezza. Questo per noi è un investimento che in un momento di crisi è ossigeno per il sistema produttivo locale. Inoltre, Inail riconosce a tutte le imprese che realizzano misure di prevenzione uno sconto sul tasso di premio, che varia tra il 7% e il 30%, più un ulteriore sconto in automatico sulla tariffa del premio in base all’andamento infortunistico dell’ultimo triennio. A ciò si aggiunga che

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quando in un’impresa si verificano infortuni gravi o mortali, con acclarata responsabilità del datore di lavoro, Inail costituisce rendita a favore dell’infortunato o dei superstiti e, quindi, si rivale sul datore di lavoro. In tale ottica, l’azione di regresso ha per noi, non solo la valenza di recupero delle prestazioni erogate, ma soprattutto di sanzione nei confronti dei datori che non rispettano le norme sulla sicurezza». Nell’ultimo rapporto regionale avete deciso di pubblicare nome e cognome dei caduti sul lavoro. Cosa vi ha spinto a questa scelta? «Ci ha spinto il pensiero che un Paese civile deve avere memoria di coloro che per colpa del “malo lavoro” hanno perso la vita per migliorarlo, con l’auspicio che questo sia pur piccolo mutamento possa aprire il passo a un miglior rapporto tra istituzioni e cittadini. Per noi gli infortuni, a maggior ragione quelli mortali, non rappresentano pratiche, ma persone singole e intere famiglie con i propri meriti e i propri bisogni, da assistere sotto il profilo economico e sanitario a norma di legge, ma anche morale ed umano a norma di coscienza. Lo spirito di Inail Lazio è sintetizzato, se vuole, in uno slogan che caratterizzò un altro rapporto annuale, quello del 2008, che recitava così: “dallo spirito di servizio allo spiriti di solidarietà”. In questa sintesi c’è tutta la nostra filosofia di lavoro».


Francesco Tomei

Più sicurezza, meno costi, migliori prodotti Carenza di ricerche scientifiche sul fenomeno infortuni e mancato rispetto delle normative vigenti. Due fronti su cui Francesco Tomei invoca al più presto un giro di vite Giacomo Govoni

ccrescere la cultura della sicurezza attraverso la formazione di coordinatori altamente specializzati nell’organizzazione e gestione del processo edilizio. A questo punta l’intesa che, a fine febbraio, tre importanti atenei capitolini hanno siglato con il comitato paritetico territoriale del settore edile di Roma e provincia. Tra essi, c’è anche l’Università La Sapienza, da sempre in prima linea quando in gioco entrano la tutela della salute e sicurezza in ambienti di lavoro. «Da poco abbiamo anche realizzato una rivista scientifica internazionale gratuita – spiega Francesco Tomei, direttore della Scuola di specializzazione in medicina del lavoro – che offre informazione scientifica con ampi spazi dedicati alle novità e alle applicazioni della ricerca». Lei opera presso una delle tante università convenzionate con l’Inail e che, tra l’altro, dà il buon esempio fornendo informazioni utili ai suoi dipendenti e studenti. Quale contributo può dare il mondo accademico sul fronte della sicurezza in ambiente lavorativo?

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«Tra i compiti istituzionali dell’università ci sono la ricerca scientifica, per identificare l’origine professionale di cardiovasculopatie, epatopatie, su cui la nostra scuola ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche internazionali ad alto impatto, e l’attività didattica in medicina del lavoro, per insegnare ai futuri medici, tecnici e infermieri, le basi della prevenzione nei luoghi di lavoro. A tali Sopra, attività, vanno aggiunti i circa sei convegni Francesco Tomei, l’anno che realizziamo per discutere temati- direttore della Scuola che attuali e la produzione di materiale audio- di specializzazione in medicina del lavoro video e opuscoli mirati a i lavoratori, utili an- dell’Università che per la popolazione generale. Segnalo, La Sapienza di Roma inoltre, la rivista Prevention and Research (http://www.preventionandresearch.com/homepage.html) con pubblicazioni di articoli scientifici, scientifico-divulgativi e news. Non ultimo, effettuiamo assistenza medica e valutazione dei rischi alle aziende del territorio». LAZIO 2012 • DOSSIER • 167


LAVORO, SALUTE E PREVENZIONE

Il sistema di gestione dei pericoli e dei rischi negli ambienti professionali non può e non deve essere considerato un mero e oneroso adempimento burocratico o un compito destinato ai soli esperti

Attori politici, istituzionali e sociali concordano su un punto: la prevenzione è la strada maestra per ridurre gli incidenti sul lavoro. Crede che si faccia abbastanza in questa direzione? «No perché tutti ne parlano ma nessuno la realizza. Lo slogan degli anni ’70, “prevenire è meglio che curare”, è rimasto sulla carta; le normative ci sono ma quasi nessuno le rispetta. Autorevoli organismi internazionali riconoscono, da tempo, che gli infortuni sul lavoro sono “la conseguenza statisticamente prevedibile del fallimento tecnico-sociale del lavoro”. Va aggiunto che nessuno fa diagnosi di malattia professionale e nessuno - medico di base, specialista o medico ospedaliero - fa almeno una domanda sulla possibile origine professionale». In una prospettiva di miglioramento della tutela della salute dei lavoratori, quanto conta il ruolo del medico del lavoro? «Dovrebbe contare molto, ma di fatto il suo ruolo è vanificato dall’atteggiamento delle aziende che mettono a gara al massimo ribasso anche le attività sanitarie. Moltissime aziende ritengono che la sicurezza sia un intralcio al normale funzionamento e che per giunta costa, senza capire che una buona sicurezza concorre a un buon prodotto aziendale e può ridurre anche i costi globali». Lei è uno dei curatori della pubblicazione “Tutela della salute della donna lavoratrice”. Secondo i dati, i rischi in am-

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biente professionale per le donne sono in aumento: quali sono e come fronteggiarli? «La difficoltà principale per la donna al giorno d’oggi consiste nel conciliare il lavoro extradomestico con quello familiare. Questa difficoltà, sommata agli stressor occupazionali, può interferire con il benessere psico-fisico della lavoratrice. Dai dati presenti in letteratura si può definire che, nonostante ci sia stato un miglioramento della condizione della donna, in realtà essa vive spesso una condizione di disagio determinato in primis dallo sdoppiamento dei ruoli che deve sostenere». Al di là del mancato rispetto della normativa sulla sicurezza, quali sono gli altri fattori di rischio che concorrono a causare incidenti? «Mancano sufficienti ricerche scientifiche sul fenomeno infortuni come risulta da due nostre metanalisi sull’argomento. Il sistema di gestione dei pericoli e dei rischi negli ambienti professionali non può e non deve essere considerato un mero e oneroso adempimento burocratico o un compito destinato ai soli esperti. Al contrario è un sistema integrato teso, per quanto tecnicamente possibile, a garantire il miglioramento delle condizioni lavorative e promuovere la salute e il benessere psico-fisico dei lavoratori. Pertanto, esige la partecipazione equilibrata e coordinata del datore di lavoro, dei suoi collaboratori e di ciascun dipendente con il fine di migliorare la qualità del lavoro stesso e quindi della produttività aziendale».



FARMACI SICURI

Una filiera controllata è la miglior medicina Emilio Stefanelli non ha dubbi, la lotta alla contraffazione del farmaco in Italia regala uno scenario di sicurezza e tutela per i pazienti. L’attenzione deve rimanere alta nel mercato on line, difficile da controllare Teresa Bellemo

l fenomeno dei farmaci contraffatti è globale, ma in Italia siamo all’avanguardia per quanto riguarda controlli ed etichettatura. In questo modo la presenza di farmaci contraffatti, se si esclude il mercato on line, è praticamente nullo. Merito di un lavoro di squadra messo in campo da Farmindustria, i Ministeri della salute e dello sviluppo economico, Aifa, la rete delle farmacie e il nostro servizio sanitario nazionale. Per rendere i controlli e la prevenzione più collegiale lo scorso luglio è stata approvata una direttiva europea che si muove proprio nella direzione di ridurre la falsificazione dei farmaci, anche attraverso l’uso sistemi di sicurezza che riescano a rendere riconoscibile un farmaco buono. Su questo fronte l’Italia ha già fatto molto, ricorda Emilio Stefanelli, vicepresidente di Farmindustria, ma grazie alla collaborazione della Comunità europea si può fare ancora di più. Come si muove Farmindustria per contrastare la contraffazione del farmaco? «Farmindustria dà tutto il supporto possibile e collabora con tutte le istituzioni preposte a evitare la contraffazione. Partecipa ai lavori del Comitato

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nazionale anticontraffazione, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, e ha stipulato un memorandum d’intesa con l’Agenzia delle dogane per la tutela del marchio. Inoltre, partecipa al Progetto tracciatura collaborando con il Ministero della salute, con Aifa e la sua Impact Italia, una task force nata proprio per la lotta alla contraffazione del farmaco. Infine dà il suo supporto implementando la banca dati dei loghi delle aziende e dei logotipi dei farmaci che è stata istituita presso l’Istituto superiore di sanità. In questo modo, nel momento in cui le forze dell’ordine hanno un sospetto di contraffazione, grazie a questa banca dati possono fare subito una prima verifica sull’autenticità del farmaco». Cosa possono fare le industrie farmaceutiche per limitare questo problema? Può la riduzione dei prezzi o i tempi di brevetto essere uno strumento per disincentivare la contraffazione? «Non credo che le due cose siano collegate. Non sempre si tratta di farmaci molto costosi, inoltre chi cerca on line farmaci che intervengono nella sfera sessuale non vuole pagarli meno, ma evitare


Emilio Stefanelli

il giudizio sociale. Certo in qualche Stato il costo potrebbe essere una barriera per la legalità, ma spesso in alcuni Paesi in via di sviluppo risulta difficile anche reperire certi farmaci che qui noi troviamo con facilità». Cosa possono fare la legislazione italiana e quella europea per contrastare la diffusione? Manca qualcosa? «Il sistema di controlli in Italia è molto sofisticato e riduce di molto la diffusione di questi prodotti. La vendita on line però è sicuramente meno controllabile, perlomeno a livello nazionale. Un incentivo a una gestione più internazionale del problema è arrivato soprattutto dalla direttiva europea approvata lo scorso luglio, che dovrà essere recepita da tutti gli stati membri entro il

2013, che va proprio nella direzione di ridurre la falsificazione dei farmaci, anche attraverso l’uso sistemi di sicurezza che riescano a distinguere un farmaco illegale da un farmaco buono, dotandolo di un insieme di specifiche che lo renSopra, dano efficace e riconoscibile. Molti degli stru- Il vicepresidente di menti di sicurezza inseriti nella direttiva sono Farmindustria, Emilio già da tempo attivi in Italia, come ad esempio il Stefanelli bollino ottico, la tracciabilità del farmaco e, più in generale, il controllo di tutta la filiera che praticamente impedisce l’entrata di farmaci contraffatti nel circuito di vendita legale». In Italia quanto la contraffazione è un problema? «Se si esclude il sistema della vendita di farmaci tramite internet, che in Italia è illegale e vietata, LAZIO 2012 • DOSSIER • 171


FARMACI SICURI

il fenomeno è praticamente inesistente. Ai controlli e agli organismi succitati, si deve aggiungere che in Italia il sistema di distribuzione dei farmaci passa attraverso i controlli rigorosi delle officine di produzione, delle aziende, dei depositi ma anche attraverso il controllo molto importante del network delle farmacie. Se aggiungiamo infine che soltanto nel nostro paese tutti i nostri farmaci hanno il bollino ottico, l’insieme di tutti questi elementi rende veramente difficoltosa la contraffazione». Quali sono i prodotti più falsificati? «Di sicuro tutti quei farmaci che influiscono sulle prestazioni fisiche, quindi quelli contro le disfunzioni erettili, gli anabolizzanti, gli anoressizzanti. Invece in paesi meno sviluppati come Russia, India, Colombia, Cina e Messico, dove c’è una diffusione maggiore di farmaci falsi, la contraffazione arriva a tutti quei prodotti che il paziente non riesce a reperire nel mercato legale o non trova a un prezzo accessibile». A che livelli avviene la maggior diffusione del farmaco contraffatto? «I farmaci più contraffatti possono dividersi in due macro gruppi: i farmaci per gravi patologie e quelli per le prestazioni sessuali. I primi sono molto diffusi dove lo Stato non li dà gratuitamente al paziente, per cui il cittadino cerca di recuperarli in modo improprio. In Italia questi farmaci non vengono contraffatti perché non sono soltanto disponibili, ma anche distribuiti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale. Nei paesi sviluppati, quindi anche in Italia, il problema più importante è invece legato alla sfera dei farmaci che influiscono sulle prestazioni fisiche e sessuali. Sono questi i farmaci che vengono ricercati attraverso internet, non sapendo probabilmente che la maggior parte dei farmaci venduti attraverso questo vettore portano con sé un numero consistente di rischi e problemi. L’European alliance for access to safe medicines ha stilato un rapporto dopo aver esami172 • DOSSIER • LAZIO 2012

Il sistema di controlli in Italia è molto sofisticato e riduce la diffusione di questi prodotti

nato un campione di 100 siti web. Il risultato è stato che il 62% dei farmaci messi in vendita risulta contraffatto o inadatto in quanto il principio attivo o non è conforme o addirittura è inesistente». Quali sono i danni principali causati dall’assunzione di un farmaco contraffatto? «Alcune contraffazioni riguardano farmaci piuttosto importanti, che hanno effetti collaterali anche gravi, motivo per cui anche nel circuito legale vengono venduti soltanto attraverso prescrizione medica. Ad esempio i farmaci per le disfunzioni sessuali possono creare danni molto gravi all’apparato cardio-circolatorio. L’unica consolazione potrebbe essere che, in molti casi, i farmaci venduti nel web non hanno nessun principio attivo al loro interno. La mancanza di principio attivo però porta con sé un altro rischio, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: il peggioramento e la cronicizzazione della patologia conseguente all’assunzione di un farmaco contraffatto privo o quasi di principio attivo. Il paziente pensa di aver curato la sua malattia, che invece persiste e si acutizza». Perché allora un soggetto arriva a rischiare così tanto pur di comprare un farmaco? «Innanzitutto, visto che i farmaci più venduti nel circuito illegale sono legati alle prestazioni fisiche e alla sfera sessuale, c’è sicuramente l’imbarazzo nell’ammettere al medico e al farmacista la propria patologia. Poi non dobbiamo dimenticare un’altra importante fetta di domanda di questi prodotti e cioè chi ricerca questo tipo di farmaci non per una reale patologia, ma per farne un altro uso. Questi soggetti chiaramente non possono rivolgersi al medico, motivo per cui puntano al mercato illegale».


Antonio Concezio Amoroso

L’insidia è nella rete La verifica della sicurezza dei medicinali è compito dei Nas, che svolgono attività di farmacovigilanza su tutta la filiera. Ma è on line che l’illegalità è più attiva, complice il vuoto normativo e la complessità di individuare i responsabili Teresa Bellemo na porzione sempre più significativa del mercato illegale di medicinali opera on line, dove più del 94% delle farmacie sono irregolari per assenza di licenza, vendita di medicinali senza prescrizione medica o vietati, falsi o scaduti. È evidente, dunque, quanto questo fenomeno debba essere affrontato in modo ancor più collegiale. Qui nascono le maggiori difficoltà, a causa dell’assenza di una specifica normativa europea e della presenza di diverse legislazioni farmaceutiche a livello internazionale. A questo servono le numerose collaborazioni internazionali dei Carabinieri per la tutela della salute. «Queste partnership internazionali ci permettono di intervenire su tutto il territorio mondiale controllando un fenomeno che altrimenti costituirebbe una seria minaccia alla salute pubblica». L’analisi del colonnello Antonio Concezio Amoroso, vicecomandante dei Nas. Quali sono i numeri della contraffazione del farmaco in Italia? «Le attività di controllo eseguite dai Nas nell’anno 2011 nel comparto farmaceutico sono state in tutto 3.452, le quali hanno consentito di effettuare sequestri per un totale di 665.300 confezioni di farmaci e 365.800 dosi. Di questi risultati solo una parte sono attinenti la specifica attività di contrasto ai

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farmaci illegali, in quanto le rimanenti sono riferite ad anomalie di gestione della filiera farmaceutica, ma non riconducibili a forme criminose. Rivolgendosi ai dati dei sequestri ottenuti esclusivamente nella lotta al commercio di medicinali illegali e al contrasto di canali di distribuzione criminosi, il totale di confezioni sequestrate è stato di 241.088 e 344.574 dosi di farmaco». Quali sono le misure anti contraffazione e anti illegalità messe in atto dai Nas? «Ormai da tempo i fenomeni delinquenziali connessi alla salute non sono più territorializzati e per loro connotazione strutturale sono subdoli e spesso mimetizzati tra le pieghe del mercato legale. Di grande importanza risulta essere il monitoraggio del commercio on-line, attraverso l’individuazione dei canali informativi e distributivi telematici, tracciando tempestivamente direttrici su larga scala, fino a risalire alle organizzazioni delittuose nei paesi d’origine. Proprio per questa ragione geo-strategica il comando per la tutela della salute si è dotato di una centrale di intelligence preposta all’analisi dei fenomeni criminali nell’ambito del comparto alimentare, farmaceutico e del doping nello sport, al fine di estendere gli approcci investigativi ed informativi su scala internazionale, allacciando costanti scambi informativi con le po-

Sopra, Antonio Concezio Amoroso, vicecomandante del Nucleo anti-sofisticazione dei Carabinieri

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FARMACI SICURI

Il 94 per cento delle dosi di farmaci sequestrate dai Nas nel 2011 era illegale

lizie e le agenzie investigative estere deputate ai temi della tutela della salute pubblica. Infine, fondamentale è la collaborazione con il consumatore: il cittadino si sente obiettivo primo delle conseguenze di un’azione criminale indiscriminata e per questo diventa uno dei principali propulsori informativi nell’attività esecutiva dei Nas». Quali differenze ci sono tra farmaco contraffatto e farmaco illegale? «Quando confezione e blister appaiono simili o identici all’originale, solo l’esito di laboratorio può documentare l’effettiva contraffazione del prodotto. Le più comuni analisi sono dunque finalizzate a verificare la presenza di sostanze anabolizzanti o stupefacenti, l’eventuale presenza del principio attivo e la capacità terapeutica del prodotto, infine, ad accertare la presenza di ingredienti potenzialmente pericolosi per la salute. Detto ciò, il farmaco si può definire contraffatto se la confezione appare simile al prodotto originale, ma varia la quantità di principio attivo o la composizione del farmaco; si definisce copia illegale, quando la confezione, la denominazione, l’aspetto, il colore non possono indurre in errore l’acquirente, seppure il 174 • DOSSIER • LAZIO 2012

prodotto sia stato proposto al momento della vendita con la denominazione riconducibile al marchio originale». Chi rischia di più? «Esistono varie categorie di soggetti esposti ai rischi derivanti dal consumo di farmaci illegali. Una è rappresentata dagli atleti professionisti o amatoriali che fanno uso di sostanze anabolizzanti e dopanti. Altri consumatori di farmaci fuori legge sono soggetti, soprattutto di sesso femminile, che assumono farmaci anoressizzanti per scopi dietetici, e quelli, di sesso maschile, con patologie di disfunzione erettile. In questi casi tra i vari fattori che intervengono nella scelta del farmaco illegale troviamo ad esempio la convenienza legata al prezzo, la facilità di reperimento mediante internet e la mancanza di controllo del medico». Dove sono i maggiori centri di produzione e distribuzione per il farmaco contraffatto? «Dai dati ottenuti nelle attività dei Nas, i maggiori centri di produzione e smistamento dei farmaci illegali sono soprattutto India, Cina, Usa e paesi dell’Europa orientale. Anche la presenza di farmaci provenienti da stati

Sopra, sequestro di farmaci illegali da parte dei Nas


Antonio Concezio Amoroso

membri Ue è significativa, risultando pari al 18% del totale. Uno dei fattori che rendono ancora più complessa un’efficace attività di contrasto è l’esistenza di differenti iter per la produzione e commercializzazione dei farmaci. Ad esempio, i paesi dell’Unione europea e in particolare l’Italia, sono dotati di un attento sistema di farmacovigilanza antecedente l’immissione nel mercato di ciascun farmaco. Inoltre in Europa, prima della scadenza del brevetto, non sono possibili le produzioni di analogo farmaco generico, mentre in alcuni paesi come l'India o la Cina il generico di farmaci brevettati è di lecita distribuzione, ma è illegale l’importazione dei medesimi medicinali generici nel mercato occidentale dove la normativa tutela il marchio aziendale. Pertanto può accadere che il farmaco non sia illegale per origine, ma che lo diventi solo all’atto d’acquisto». Quanto la collaborazione internazionale risulta utile per la prevenzione della contraffazione e della diffusione dei farmaci illegali? «I Nas sono membri di numerosi consessi internazionali. La collaborazione instaurata con Impact Italia, una task force tra autorità e or-

gani ispettivi nazionali contro la contraffazione e i farmaci illegali, ha permesso di rafforzare le attività di contrasto grazie alla realizzazione di attività divulgative e promozionali e attività ispettive-operative integrate. Tra le iniziative finalizzate a contrastare il commercio di farmaci via internet vi è l’accordo tra Aifa e le associazioni di farmacie statunitensi che utilizzano il più grande database di farmacie al mondo. Grazie a questa collaborazione, nel solo 2010 sono state chiuse e oscurate oltre 15.000 farmacie on line e dall’avvio della collaborazione con Impact Italia sono già state cancellate 50 farmacie irregolari, ubicate su server esteri che offrivano farmaci agli utenti italiani. Inoltre questo Corpo è anche membro di altri gruppi di lavoro, tra i quali figurano il Permanent forum of international pharmaceutical crime, il Pfipc, e il working group dell’Interpol in materia di contrasto al doping. Questi progetti permettono uno scambio di esperienze e l’individuazione delle migliori prassi operative nell'azione di contrasto al crimine farmaceutico, con particolare riferimento al traffico illecito di specialità medicinali e loro contraffazioni». LAZIO 2012 • DOSSIER • 175


FARMACI SICURI

Obiettivo: farmaci con sani principi Il mercato del farmaco contraffatto sta diventando sempre più insidioso, riuscendo a creare copie sempre più simili all’originale. Adriano Redler, preside della facoltà di Medicina alla Sapienza di Roma spiega quali sono i rischi Teresa Bellemo

a pratica della contraffazione del farmaco sta assumendo dinamiche sempre più complesse e rischiose non solo per i consumatori, ma anche per le industrie farmaceutiche e il servizio sanitario nazionale, soprattutto a causa della difficoltà a monitorare il mercato on line. Inoltre, nei Paesi più avanzati il mercato illegale ha elevato la propria capacità di creare prodotti contraffatti sempre più simili all’originale, aumentando notevolmente la possibilità di trarre in inganno non solo i pazienti, ma anche le comuni analisi di laboratorio. Per questo l’Istituto superiore di sanità si è attivato attraverso l’istituzione del Laboratorio di chimica del farmaco e la messa a punto di alcuni progetti di ricerca per combattere la contraffazione di medicinali, cercando metodi analitici più sofisticati che consentano il riconoscimento delle contraffazioni. Quali sono i farmaci più contraffatti? «Nei paesi industrializzati la contraffazione farmaceutica presenta caratteristiche molto differenti rispetto a quelle dei paesi in via di sviluppo, dove, a causa delle insufficienti risorse finanziarie e di una legislazione debole, il fenomeno riguarda soprattutto farmaci salva-vita come gli antibiotici, antimalarici, antitubercolari e antiretrovirali per la terapia dell’Aids. Nei paesi più ricchi, la contraffazione riguarda soprattutto i cosiddetti lifestyle products: anabolizzanti, ormoni della crescita, alcuni glucocorticoidi, prodotti contro l’impotenza e alcuni psicotropici; farmaci spesso commercializzati illegalmente negli afro shop, nelle palestre e on

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176 • DOSSIER • LAZIO 2012

line». Quanto e cosa rischia un soggetto che assume un farmaco contraffatto? «I rischi variano in base alla tipologia del farmaco, la cui pericolosità può riguardare il principio attivo, gli eccipienti o il confezionamento. Il grado di rischio è legato all’inefficacia, al ritardo o all’incompletezza della risposta, arrivando fino alla tossicità. Le conseguenze, pertanto, possono essere più o meno gravi. Per portare degli esempi, si possono ricordare le decine di gravidanze indesiderate provocate da compresse placebo, senza alcun principio attivo, rubate e rivendute in Brasile come contraccettivi, le decine di morti in Cambogia a causa di farmaci antimalarici falsi e le migliaia di morti conseguenti alla distribuzione di falsi vaccini contro la meningite in Niger». Quanto la ricerca scientifica risente di questo mercato illegale? «La ricerca scientifica risente negativamente del fenomeno innanzitutto per le ripercussioni sulla credibilità dell’ingente lavoro intellettivo che ne è alla base e dell’enorme investimento eco-


Adriano Redler

nomico che ne fa da supporto. Anche la diffusione dei farmaci equivalenti, i cosiddetti generici, inizialmente accolta come un evento di importante liberalizzazione nel campo della farmaceutica, si è poi rivelata un’occasione da parte di numerose aziende, sorte in tale circostanza, per diffondere nel mercato prodotti contraffatti, contaminati o di scarsa qualità, venendo meno al rispetto di misure e procedure idonee a garantire l’effetto terapeutico e la non tossicità dei prodotti finali». Quali possono essere le politiche migliori per evitare il dilagare di questo fenomeno? «Il fenomeno della contraffazione dei farmaci è diventato più forte a causa del mercato on line e della globalizzazione. Questi due aspetti debbono essere attentamente monitorati e regolamentati per evitare conseguenze negative per la salute dei cittadini. Inoltre, le autorità hanno difficoltà a regolamentare questo tipo di mercato perché non è localizzato in una singola nazione e qualsiasi limitazione alle attività di farmacie on line (dove non esplicitamente proibite) potrebbe essere considerata un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Nel 2007, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione sulle “Buone pratiche

di distribuzione postale dei medicinali”, un passo importante per la qualità dei medicinali distribuiti a distanza, data l’assenza di regolamentazioni su qualità e sicurezza per questo tipo di commercio». Da dove provengono i prodotti contraffatti? C’è il rischio di trovarli nelle nostre farmacie? «Attualmente la Cina si trova in cima alla classifica per la produzione di farmaci: la Commissione europea ha dichiarato che lo scorso anno c’è stato un aumento del 17% nelle quantità di farmaci contraffatti sequestrati nell’Unione e un 60% provenivano dalla Cina. Le nostre farmacie sono sicure poiché vendono solo farmaci protetti da un sistema di tracciatura all’avanguardia. I controlli degli ispettorati sanitari pubblici sulla filiera produttiva rappresentano un’importante barriera contro le attività dei contraffattori: fuori da questi canali, i pazienti rischiano di perdere soldi o, peggio, la salute. L’Aifa, inoltre, punta sul progetto “Tracciabilità del farmaco”, che prevede una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali immesse all’interno del sistema distributivo, quindi negli ospedali, nelle farmacie e nella distribuzione diretta». LAZIO 2012 • DOSSIER • 177



RUBRICA SULLA PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE

LIBERI DI ESSERE LIBERI


POLITICHE ANTIDROGA

La tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile Il capo dipartimento delle Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni, spiega i principi generali della posizione italiana contro l’uso di droghe Fiorella Calò

vere principi definiti e condivisi a livello europeo permette di poter realizzare e rinforzare la strategia italiana, basata soprattutto sulle evidenze scientifiche dettate dalle neuroscienze, dalle scienze del comportamento e dell’educazione, per il raggiungimento di un’azione armonica. Principi, spiega Giovanni Serpelloni, capo dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, che dovranno essere costantemente ampliati e aggiornati alla luce delle problematiche che

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si prospettano lungo il percorso. La persona, la salvaguardia della sua salute, la sua socialità e la sua spiritualità rappresentano il fulcro della lotta alla droga. Quindi, “un approccio etico, sostenibile e permanente”. L’uso di sostanze stupefacenti, soprattutto nelle giovani generazioni, ha registrato in questi ultimi tre anni una riduzione persistente della mortalità. «Contemporaneamente, si è assistito a un positivo aumento degli utenti in trattamento – spiega Serpelloni – segno, questo, di una maggiore consapevolezza della nocività delle droghe e sicuramente effetto delle azioni di deterrenza e di controllo attivate». Qual è la posizione ufficiale del Dipartimento Politiche Antidroga relativamente alle strategie antidroga? «Nel Piano di azione nazionale, approvato dal Consiglio dei ministri, si riconosce innanzitutto che “la tossicodipendenza è una malattia prevenibile, curabile e guaribile, che spesso ha un andamento cronico e recidivante, nel contempo fortemente invalidante e correlata a disturbi comportamentali, rischi infettivi e psichici che determinano gravi conseguenze anche di natura sociale per l’individuo”. Nel nostro Paese, tutte le politiche e le strategie riconoscono che l’uso di qualsiasi sostanza stupefacente, anche occasionale, è ad alto rischio per la salute non solo per l’as-


Giovanni Serpelloni

Oltre ai vari interventi promossi nei luoghi tipicamente frequentati dai giovani, è utile promuovere campagne di prevenzione mirate a rendere pienamente consapevoli le nuove generazioni della pericolosità della droga

suntore, ma anche per i terzi. Il fenomeno rappresenta un vero problema sociale, di sicurezza e di sanità pubblica che investe non solo le persone dipendenti dalla droga ma anche altre che possono venire danneggiate dai loro comportamenti a rischio, come nel caso dell’incidentalità stradale droga correlata. Il nostro obiettivo primario è quello di attuare una prevenzione con interventi precoci e tempestivi così da prevenire l’insorgenza della dipendenza e cercare di sospendere l’uso, laddove siamo in presenza di consumatori occasionali. Questi sistemi, comunque, dovranno essere sempre volti alla guarigione ed al recupero della persona e non solo alla cura e al “controllo sociale” della malattia». Da che età si può o, ancor meglio, si deve attuare la prevenzione, e in quale forma? «Ovviamente bisogna iniziare molto presto, in età scolare, attraverso la trasmissione di regole e stili di vita sani, escludendo tutti i tipi di sostanze stupefacenti, l’abuso di alcol, nonché il tabagismo. Questo perché l’assunzione prematura di droga impedisce, tra l’altro, il normale sviluppo cerebrale, che si compie nei primi vent’anni di vita, compromettendo alcune funzioni neuro-cognitive come la memorizzazione, la motivazione, l’attenzione e,

quindi, la capacità di apprendimento, quella decisionale e quella di stima del pericolo. Bisogna precisare, inoltre, che la cosiddetta “early detection”, vale a dire la diagnosi precoce effettuata sugli adolescenti, seguita dall’early intervention, rappresentano una strategia vincente e attuabile, che produce una riduzione del numero di quei soggetti “vulnerabili” che, occasionalmente o abitudinariamente, potrebbero assumere sostanze e che, di conseguenza, sarebbero proiettati verso percorsi evolutivi di dipendenza». Quali i sistemi per diffondere fra i giovani la consapevolezza della pericolosità dell’uso di sostanze? «Oltre ai vari interventi promossi nei luoghi tipicamente frequentati dai giovani, è utile promuovere campagne di prevenzione mirate a rendere pienamente consapevoli le nuove generazioni della pericolosità della droga, del corretto stile di vita, cercando di inculcare il senso di responsabilità verso la propria salute e quella altrui. Importantissima la valenza di deterrenti sia sociali che legali e dei movimenti culturali antidroga positivi che accentuino il senso di disapprovazione sociale sul consumo di sostanze. Tutto questo, come dimostrato da studi trentennali, provoca una riduzione dei consumi, soprattutto per quanto attiene alla

In apertura, Giovanni Serpelloni, capo dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri

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POLITICHE ANTIDROGA

cocaina e alla marijuana, sostanze ritenute “ga- manenti in termini di prevenzione e contrateway”, cioè in grado di indurre alla vera e propria dipendenza». Su quali criteri si basano le politiche antidroga? «Fondare le scelte degli interventi sulle evidenze scientifiche di sicurezza, efficacia e sostenibilità è fondamentale, ma è altrettanto importante integrare e bilanciare queste scelte con criteri etici e di accettabilità sociale nel contesto di appartenenza. Queste scelte devono essere basate sulla necessità di assicurare il totale rispetto dei principi di solidarietà sociale e di legalità nel raggiungimento di una vita dignitosa, socialmente integrata e libera da sofferenze. In tema di legalità, il commercio e il contrasto delle sostanze stupefacenti, che costituiscono un rilevante problema di sicurezza pubblica, di sviluppo sociale ed economico del Paese vanno sicuramente affrontati con risposte concrete e per-

sto senza tolleranza alcuna verso lo spaccio, il traffico di sostanze, la produzione illegale e la coltivazione domestica di cannabis. I giovani devono essere consapevoli che acquistando anche una piccola dose di hashish contribuiscono a finanziare direttamente le organizzazioni criminali e il terrorismo. Proprio per spiegare questo ai nostri ragazzi, il Dipartimento imposterà la prossima campagna di informazione istituzionale annuale su questo specifico argomento. Contestualmente, è necessaria e irrinunciabile un’azione di contrasto alle organizzazioni criminali per impedire il loro radicarsi nel territorio e tutelare i cittadini da questo pericolo. Queste azioni riguardano, tra l’altro, il micro-spaccio, i coltivatori, i corrieri e gli immigrati, per i quali sono necessarie politiche di forte integrazione sociale e lavorativa per evitare un loro coinvolgimento nel mercato illegale. Particolare attenzione deve essere rivolta, inoltre, al nuovo mercato delle droghe vendute in internet e tramite le farmacie I giovani devono essere consapevoli on line. Mercato che si sta che acquistando anche una piccola dose affermando sempre più per di hashish contribuiscono a finanziare la facilità di accesso e di mantenimento dell’anonimato, a direttamente le organizzazioni criminali cui anche i giovanissimi pose il terrorismo sono ricorrere e che va contrastato con nuove forme di azione telematica. Si è pensato infine di sviluppare delle procedure agevolate per utilizzare i fondi sequestrati alle mafie, al fine di sostenere finanziariamente soprattutto le attività di prevenzione. Infatti, questi fondi dovrebbero trovare un agevolato utilizzo da parte delle organizzazioni impegnate nel sostegno e recupero delle persone tossicodipendenti».

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L’INDUSTRIA DEL FARMACO

Il farmaco italiano verso nuovi mercati Un’acquisizione che ha reso più forte l’industria italiana del farmaco. Massimiliano Baldassari illustra gli obiettivi di business che seguiranno la riorganizzazione di una casa farmaceutica tornata in mani italiane dopo alcuni anni di gestione straniera Valerio Germanico

l mercato farmaceutico è dominato a livello globale da gruppi multinazionali. Diventa un caso quindi la riacquisizione, da parte di una famiglia di imprenditori romani, i Baldassari, di una casa farmaceutica da cinquant’anni presente nel tessuto produttivo italiano, ma, negli ultimi anni, proprietà di una società brasiliana. Nel 2011 Biomedica Foscama – le cui aree terapeutiche di intervento sono l’oncologia, il trattamento geriatrico e le neuroscienze – è stata così restituita a tutti gli effetti alla realtà produttiva dell’industria italiana. I primi interventi della nuova proprietà hanno riguardato il riordino interno della struttura e del suo management, ma soprattutto investimenti per l’ammodernamento degli impianti, ponendo Biomedica

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Massimiliano Baldassari, presidente di Biomedica Foscama Group Spa di Ferentino (FR) www.biomedicafoscama.com

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Foscama Group nelle migliori condizioni per affrontare con la giusta organizzazione le sfide del mercato farmaceutico internazionale e per raggiungere l’acquisizione di nuove aree di business. Massimiliano Baldassari, presidente della società, racconta le tappe salienti di questo processo e quali i primi obiettivi strategici. Quali sono stati i risultati più significativi raggiunti dal gruppo in questi primi mesi? «Il primo periodo di attività del nuovo gruppo è stato fortemente orientato alle attività manutentive e di adeguamento di cui lo stabilimento aveva bisogno, sia in termini di qualità della parte operativa e delle risorse industriali complessive, sia della sicurezza dei lavoratori e del sistema di information technology. Oltre a ciò, siamo intervenuti in modo significativo sull’organizzazione interna della società, con profondi rinnovamenti di tutti i reparti, del management e con una profonda riorganizzazione della rete esterna che provvede all’informazione medico-scientifica. Un importante risultato è stata la sottoscrizione di una serie di accordi con la multinazionale Fresenius Kabi per la distribuzione ospedaliera. I primi interventi si sono tradotti anche in immediati risultati economici, che hanno determinato un importante incremento di fatturato». Producete anche integratori alimentari, quali prospettive dà questo mercato? «Il mercato degli integratori alimentari presenta caratteristiche commerciali più snelle rispetto al


Massimiliano Baldassari

Siamo intervenuti in modo significativo sull’organizzazione interna della società, con profondi rinnovamenti di tutti i reparti

farmaco, però è di notevole interesse. In quest’ottica stiamo affidando la distribuzione per l’Italia a un operatore specifico, attivando in collaborazione una rete di vendita retail capillare con un budget in promozione adeguato a incrementare la nostra presenza nelle farmacie, che sono il canale privilegiato per gli integratori. L’obiettivo è quello di essere presenti in 5mila farmacie entro il 2012. Inoltre, abbiamo previsto di investire nel miglioramento degli attuali integratori e nella presentazione di nuovi prodotti. Per questo saremo particolarmente attivi nelle fiere di settore e nell’ambito sportivo. In quest’ultimo, almeno uno dei nostri prodotti – la Biofosfina – ha un potenziale di mercato interessante, non solo in Italia».

Dove si concentreranno i vostri prossimi investimenti sul fronte farmaceutico? «Stiamo lavorando per presentare a breve una gamma di nuovi prodotti e dispositivi per la terapia della fibrosi cistica. In generale, abbiamo programmato una serie di investimenti per rispondere adeguatamente alle normative dettate dal ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco. Queste ci richiedono costanti adeguamenti procedurali e strutturali. A questo primo capitolo di investimenti, seguirà il rinnovo dei dossier dei farmaci secondo le nuove normative internazionali». Quali strategie attuerete per penetrare in maniera più incisiva sui mercati esteri? «Stiamo procedendo a creare accordi con aziende multinazionali per introdurre i nostri prodotti in molti paesi, anche tramite concessioni specifiche o progetti di licensing. Siamo fiduciosi di ottenere risultati significativi soprattutto in Russia, nei Paesi Balcanici, nel Nord Africa e, ovviamente, in Europa. Ma abbiamo anche fra i nostri obiettivi il consolidamento dei mercati nei quali siamo già presenti, come Cina, Vietnam, Filippine, Azerbaigian, Kazakhstan, Georgia e Kuwait».

+25%

FATTURATO La crescita registrata da Biomedica Foscama Group Spa nel primo anno di riorganizzazione operata dalla nuova proprietà italiana

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TRAPIANTI

Le cliniche private si specializzano nei trapianti Nervi periferici, cartilagine, ossa e cornea sono solo alcune delle parti del corpo umano che possono essere ricostruite attraverso trapianti mirati e di elevata precisione. L’esperienza dei medici della Casa di Cura Madonna delle Grazie Emanuela Caruso

Guido Ciranna, presidente della Clinica Madonna delle Grazie di Velletri. Nella pagina accanto il dottor Christian Brogna e il professor Robert Schmidhammer del Centro Millesi di Vienna mentre eseguono la ricostruzione dei nervi periferici www.clinicamdg.com

differenza di quanto succede in paesi come la Svizzera, l’Austria e gli Stati Uniti, in Italia si conta ancora un numero molto limitato di cliniche private e strutture sanitarie specializzate in interventi chirurgici o trattamenti medici complessi e delicati. È il caso dei trapianti di organi, ossa e tessuti, che sul nostro territorio vengono effettuati in pochissime, ma ben preparate, cliniche. Proprio tra queste spicca la Casa di Cura Madonna delle Grazie, sita nel comune di Velletri e rivolta a tutta l’utenza dell’area dei Castelli Romani e delle regioni limitrofe al Lazio. «Attualmente – commenta Guido Ciranna, presidente della struttura – la

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nostra attività, inaugurata quarant’anni fa, si è specializzata nel trapianto di alcune particolari parti del corpo umano. Grazie al lavoro svolto dal dottor Christian Brogna e dal dottor Pietro Luchetti, oggi siamo in grado di trapiantare nervi periferici, plesso brachiale e cornea». Traguardi raggiunti investendo energie e capitali nella formazione del personale, nell’introduzione di efficienti metodologie organizzative e operative e nell’innovazione tecnologica. «Disponiamo di apparecchiature altamente tecnologiche – precisa Ciranna –, tra cui la Tac 3D, la risonanza magnetica nucleare aperta, i microscopi chirurgici dedicati all'oculistica ed alla neurochirurgia, l’analisi dell’osteoporosi e uno dei sette macchinari scintigrafici al mondo basati su tecnologia Ge Alcyone per lo sviluppo della medicina nucleare». TRAPIANTO DEI NERVI PERIFERICI I nervi periferici permettono il trasporto e la diffusione degli impulsi nervosi responsabili della sensibilità, del tatto e del dolore, e ancora delle contrazioni muscolari e dei movimenti degli arti superiori e inferiori del nostro corpo. È quindi semplice evincere come sia importante diagnosticare e curare eventuali loro danni o lacerazioni in strutture preparate e qualificate. In stretta collaborazione con il Centro Millesi di Vienna, il reparto di microneurochirurgia della Casa di Cura Madonna

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Guido Ciranna, Christian Brogna e Pietro Luchetti

delle Grazie, guidato dal dottor Christian Brogna, si occupa di ricostruire i nervi periferici danneggiati da incidenti, traumi, ferite, fratture o interventi chirurgici attraverso il trapianto di nervi autologhi, ovvero prelevati dallo stesso paziente. «La tecnica utilizzata – spiega il dottor Brogna – è chiamata supermicrochirurgia e, tramite l’impiego del microscopio operatorio a elevatissimo ingrandimento, consente di ricostruire nervi o fascicoli nervosi del diametro inferiore a 0,5 millimetri. Grazie al trapianto, possono essere curati il nervo mediano, il nervo radiale, quello ulnare e quello sciatico; ma anche il nervo peroniero e il nervo femorale». Ma non è tutto. L’equipe del reparto di microneurochirurgia è in grado di risolvere i problemi e i dolori causati dalla compressione dei nervi periferici e dalla conseguente perdita di sensibilità e mobilità. «Tra i casi più frequenti di compressione dei nervi periferici che ci troviamo a dover fronteggiare ci sono la sindrome del tunnel carpale, la compressione del nervo ulnare al gomito e quella del nervo peroniero alla gamba».

Personale altamente formato, organizzazione efficiente e tecnologia d’avanguardia ci permettono di effettuare cure e interventi molto complessi

CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA DEL PLESSO BRACHIALE Con l’espressione plesso brachiale si indica un raggruppamento di nervi sensitivi e motori alla base del collo destinati a innervare i muscoli della spalla e del braccio, e, di conseguenza, sviluppare una lesione nel plesso brachiale comporta la perdita di mobilità degli arti superiori del corpo. Come chiarisce il dottor Brogna, «sia che si tratti di pazienti adulti, sia che si tratti di bambini, nel cui caso il disturbo si aggrava poiché comporta delle modificazioni ossee della scapola e della spalla, per riuscire a risolvere nel migliore dei modi la situazione è necessaria una diagnosi precoce e

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TRAPIANTI

precisa, che sappia individuare il trattamento Il dottor Pietro Luchetti, responsabile dell’Unità operativa oculistica Casa di cura Madonna delle Grazie di Velletri (RM)

più efficace per ogni singola lesione. È possibile intervenire con un trapianto per ricostruire il plesso brachiale e sostituire i nervi lesionati o interrotti». TRAPIANTO DELLA CORNEA Sin dall’inizio dell’attività, l’unità operativa oculistica della Casa di Cura Madonna delle Grazie ha voluto perfezionarsi e organizzarsi in

Nella Regione Lazio, il nostro centro oculistico è uno dei più accreditati per quanto riguarda il trapianto di cornea

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modo da poter risolvere qualsiasi tipologia di disturbo e difetto visivo. Così facendo, oggi, la clinica non solo è in grado di effettuare interventi per eliminare la cataratta, ma anche di curare patologie oculari delicate e complesse. L’equipe medica guidata dal dottor Pietro Luchetti si è infatti specializzata nei trapianti di cornea. «Il primo step – commenta il dottor Luchetti – è quello di accreditarsi presso le Banche degli occhi nazionali più importanti, le quali selezionano i centri in grado di utilizzare le cornee donate in tutta Italia. Per essere “competitivi” in tal senso, abbiamo dovuto creare un’organizzazione efficiente, capace di garantire conservazione e impianto di un tessuto prezioso come la cornea. Il secondo passaggio per riuscire a effettuare un trapianto di cornea, invece, è quello relativo alla formazione e all’addestramento dell’intera equipe chirurgica e dei reparti coinvolti, così da assicurare la perfetta riuscita dell’intervento. In modo particolare, la dottoressa Maria Tecla Crisci, nostra responsabile delle patologie corneali, si è impegnata al massimo, con grande passione e costanza per questi pazienti. Molto grande è stata anche la partecipazione di tutti i reparti e dei colleghi anestesisti chiamati a metterci in condizione di operare in completa tranquillità. Attualmente, operiamo pazienti provenienti dal Lazio e da tutto il territorio nazionale e questo impegno ci ha coinvolto in modo assoluto senza badare ad orari ed a festività, sempre pronti a controllare e correggere qualche situazione chirurgica precaria». L’intervento del trapianto della cornea è sicuramente uno dei più affascinanti realizzati all’interno della Clinica. «Pensare che una porzione di una persona venuta a mancare possa continuare a vivere ed a donare felicità ad un altro individuo è qualcosa di straordinario – conclude il dottor Luchetti -, ma ancora più emozionante è stato farlo nella pratica clinica, risolvendo le complessità cliniche ed organizzative che questo comporta e condividendo la gioia di chi temeva di essere condannato alla cecità».



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