C&Pgiustizia 02 2010

Page 68

Il fallimento • Evoluzioni

Il procedimento arbitrale offre essenzialmente due vantaggi: la celerità e l’efficienza della fase processuale

e pressoché identico oggi al concordato preventivo: a proporlo possono essere sia lo stesso imprenditore, sia i creditori, sia qualunque terzo». Per ciò che concerne il diritto concorsuale il legislatore potrebbe intervenire per snellirne le procedure? Matteo Spataro: «Come ogni riforma, anche quella del diritto fallimentare deve essere valutata sul medio e lungo periodo. È ancora troppo presto per tracciare giudizi in merito agli effetti delle nuove norme sulla durata delle procedure concorsuali, che è sicuramente uno degli aspetti più problematici e delicati della materia. Ma se proprio ci si deve sbilanciare, è possibile esprimere apprezzamento per lo sforzo del legislatore per innovare alcuni istituti già esistenti rendendoli più flessibili e, dunque, aumentandone le probabilità di successo.Viceversa, qualche riserva può essere formulata in merito alla riduzione dei termini relativi al cosiddetto periodo sospetto per l’esperibilità delle azioni revocatorie». Cosa è cambiato in questo ambito? Matteo Spataro: «Tali termini sono stati dimezzati rispetto a quelli previsti dalla normativa originaria, sì che oggi possono essere revocati gli atti compiuti nei sei mesi antecedenti il fallimento, se qualificabili come atti “normali” e se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore, ovvero gli atti compiuti nell’anno antecedente il fallimento, se qualificabili come atti “anormali”, che lasciano presumere la conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore. Questi termini brevi mal si conciliano con i lunghi tempi dell’istruttoria pre-fallimentare. Il che rischia di privare 72

la procedura di uno dei pochi strumenti efficaci per ricostituire l’attivo della società fallita nell’interesse della massa, con buona pace del principio della cosiddetta par condicio creditorum». In caso di fallimento di una società di capitali quali rischi corrono gli investitori e quali sono le responsabilità dei vertici della società fallita? Alessandro Della Chà: «Gli “investitori” si distinguono in due macro-categorie: gli azionisti/quotisti e gli obbligazionisti. I primi sono i soci, i quali investono nella società un capitale c.d. di rischio. I secondi, invece, sono finanziatori della società, creditori della medesima per il rimborso del capitale maggiorato degli interessi. In caso di insolvenza, i soci, di regola, perdono integralmente il capitale investito. È ipotesi più di scuola che realistica quella secondo cui, a seguito del fallimento della società, il socio recuperi in tutto o in parte il proprio investimento. Per esperienza, , infatti, il fallimento non lascia mai un patrimonio attivo tale da soddisfare tutti i creditori sociali, pagare le spese di procedura e rimborsare ai soci il capitale conferito». Spesso, però, anche gli obbligazionisti perdono il proprio investimento. Alessandro Della Chà: «Ciò avviene perché l’attivo recuperato dagli organi della procedura di rado è sufficiente a soddisfare tutti i creditori sociali. Di fronte a un simile scenario, le azioni per far valere la responsabilità dei vertici della società fallita per i danni causati ai soci e agli obbligazionisti vengono esperite dagli organi della procedura, nell’interesse della massa. I soci e gli obbligazionisti, viceversa, non hanno la possibilità di promuovere in proprio azioni di natura risarcitoria, né nei conC&P • GIUSTIZIA


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.