Guida Valcasana - Sant'Anatolia di Narco / Scheggino

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La Valcasana tra natura e cultura

Guida naturalistica

Testi realizzati da Studio Naturalistico Hyla S.r.l. Graphic design Vjolart di Vjola Luarasi & c. sas

La Valcasana tra natura e cultura

La Valcasana

LA VALCASANA

La Valcasana è una stretta e profonda depressione montana che si sviluppa per una lunghezza di circa 11 km, chiusa a nord-est dal massiccio del Monte Coscerno (1684 m) e a sud-ovest da quello del Monte Civitella (1565 m).

La valle si sviluppa dalla Piana di Gavelli, a 1125 metri s.l.m., per poi costeggiare la località di Caso da cui prende il nome, e infine terminare nei pressi del comune di Scheggino. Il luogo è meta ideale per gli amanti dell’escursionismo.

Partendo da Sant’Anatolia di Narco

e seguendo il sentiero CAI n. 540 si arriva agevolmente a Scheggino. Da qui, un percorso di grande interesse (CAI n. 506) raggiunge la Media e Alta Valcasana, passando per la “Peschiera di Scheggino”, alimentata dalle stesse sorgenti che formano il parco della Valcasana. L’itinerario ricalca l’antica direttrice montana di transumanza e commercio: il sentiero è anche detto “Strada delle Ferriere”, nome che ne testimonia l’uso anche come via di trasporto del ferro estratto nelle miniere di Monteleone di Spoleto.

La Valcasana, oggi inclusa all’interno del Parco Geologico della Valnerina, è un Graben, una fossa tettonica la cui formazione è avvenuta durante il Pleistocene, circa 2 milioni di anni fa. La sua genesi è dovuta all’azione di sistemi di faglie dirette che hanno determinato lo sprofondamento della parte centrale della dorsale del Monte Coscerno - Monte Civitella. Oggi si presenta come una stretta gola, bordata da pareti rocciose e versanti boschivi, spesso molto scoscesi. Dal punto di vista geologico, la zona è costituita da rocce sedimentarie, come scaglie, calcare massiccio e maiolica. Come in tutti i territori calcarei, l’interazione tra le acque acide e

i calcari ha generato fenomeni di carsismo: la capacità di tali acque di dissolvere questo tipo di roccia ha infatti determinato la presenza di cavità e piccole doline.

La Valcasana è interessata da numerosi fenomeni di dissesto come scarpate in degradazione, frane da crollo e scivolamento o colate rapide di detrito, chiamate “debris flow”. Di particolare interesse sono anche le relazioni tra i dissesti e le strutture tettoniche dell’area, come nel caso della gigantesca frana che ha generato il Piano delle Melette (579 m)a seguito del riempimento di un lago intramontano.

I SITI DELLA

RETE NATURA 2000

L’eccezionalità dell’interesse naturalistico che contraddistingue il contesto della Valcasana e di tutta l’area compresa nei comuni di Scheggino e Sant’Anatolia di Narco è dimostrata dal fatto che tale comprensorio è interessato da quattro Siti di Interesse comunitario, che coincidono con le Zone Speciali di Conservazione individuate dalla Comunità Europea attraverso la Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, e che fanno parte dei siti della Rete Natura 2000 istituiti con l’obiettivo di proteggere e tutelare habitat, specie vegetali e animali di interesse conservazionistico.

Nello specifico, le Zone Speciali di Conservazione/Sito di interesse Comunitario che interessano la Valcasana sono:

- SIC-ZSC “Monti Coscerno-Civitella-Aspra” (IT5210063)

- SIC-ZSC “Laghetto e piano di Gavelli” (IT5210068)

- SIC-ZSC “Media Val Casana” (IT521006)

- SIC-ZSC “Valnerina” (IT5210046).

LE VETTE DEL MONTE COSCERNO E DEL MONTE DI CIVITELLA

Il punto più alto della Valcasana è rappresentato dalle vette del Monte Coscerno e del Monte Civitella, dalle quale si può avere percezione della profondità dell’intera vallata, corrispondente alla zona SIC-ZSC “Monti Coscerno - Civitella - Aspra” (IT5210063), che si estende per una superficie pari a circa 5.357. Il sito occupa la dorsale montana che partendo dal Monte Coscerno, aggirando il Piano di Gavelli da est, raggiunge il Monte Aspra verso sud; quindi interessa a nord il Monte dell’Eremita e il Monte Civitella, scendendo solo parzialmente sui fondovalle limitrofi. Si tratta di un complesso montano caratterizzato da versanti boscati e cime interessate da praterie secondarie cespugliate e piccoli appezzamenti di coltivazioni tradizionali, nei valloni sono presenti pareti rocciose.

La quota massima è raggiunta dalla cima del Monte Coscerno con 1.684 m s.l.m.

Tra le peculiarità naturalistiche

che caratterizzano il sito, le parti sommitali dei due rilievi presentano i caratteri botanici delle praterie primarie, zone dove l’altitudine elevata non permette lo sviluppo della vegetazione arborea.

Al di sotto di queste, all’interno della fascia boschiva, sono presenti anche estesi pascoli originati dall’azione dell’uomo che, nel corso dei secoli, ha trasformatoil paesaggio boschivo appenninico per ricavarne spazi utili da destinare alla pastorizia.

La conservazione delle praterie secondarie è legata al mantenimento delle pratiche pastorali: in assenza di tali attività, si assiste a una progressiva colonizzazione prima da parte degli arbusti, come il ginepro (Juniperus communis), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), il prugnolo selvatico (Prunus spinosa), la rosa canina (Rosa canina) e il biancospino (Crataegus monogyna), per poi ritornare a terreno boschivo.

LA VALCASANA: IMPORTANTE VIA DI COMUNICAZIONE LEGATA ALLA PASTORIZIA E ALLA TRANSUMANZA

Il sentiero CAI n. 506 “Strada delle Ferriere”, ricalca quello che fino agli anni ’50 del XX secolo, rappresentava il percorso legato a una delle attività più importanti a livello economico nella zona: la transumanza. La via metteva in collegamento la bassa Valcasana con i pascoli di montagna, transitando per i due centri abitati che si incontrano, i castelli di Caso e Gavelli.

In particolare, i pascoli montani ospitavano i capi ovini nel periodo che intercorreva tra l’8 maggio e il 29 settembre, le due festività legati al culto micaelico che sancivano l’inizio e la fine della transumanza nelle zone di altura.

La ricchezza di questo tracciato è rappresentata dalla presenza di numerose sorgenti, come quelle di Valcasana, e fonti d’acqua, come la Fonte dell’Acqua Santa situata nei pressi del Piano delle Melette, importanti non solo per gli abitanti di questi luoghi, ma anche per abbeverare i capi di bestiame durante il loro transito.

All’interno dei centri abitati sono invece presenti fontanili e lavatoi che, dopo essere stati abbandonati a seguito dello spopolamento delle montagne in tempi recenti sono stati oggetto di interventi di manutenzione.

Nel paese di Caso la pastorizia era condotta a livello famigliare e garantiva la produzione domestica di lana, carne e latte.

I capi di bestiame durante l’inverno venivano tenuti in stalla e alimentati soprattutto con il fieno prodotto nel Piano delle Melette, mentre in primavera e in estate venivano condotti al pascolo.

Dai racconti degli abitanti di Caso ogni famiglia possedeva alcuni capi ovini che venivano affidati a un “pecoraro”, che prendeva in carico tutte le pecore e le portava a pascolare negli ampi spazi presenti intorno al paese e molto spesso lungo la Valcasana. In cambio del suo lavoro annuale, il “pecoraro” riceveva un compenso proporzionale al numero di capi di famiglia in viveri, ospitalità e denaro.

La Valcasana era anche la via dove transitavano i grandi greggi prove-

nienti dalla Maremma laziale, che stazionavano per cinque mesi sui pascoli di montagna, in particolare sulle “pratarelle” del Monte Eremita, il monte di fronte al castello di Caso.

I terreni occupati dai greggi transumanti erano affittati dal comune di Sant’Anatolia di Narco, che metteva a disposizione come pascoli possedimenti di sua proprietà oppure, tramite un contratto di affitto collettivo, anche quelli di privati. Chi affittava i pascoli pagava il canone d’affitto direttamente al comune, e questo riversava ai proprietari di terreni oggetti di pascolo inglobati all’interno del contratto di affitto pari a due quinti del canone di locazione.

LA FLORA

La vegetazione che contraddistingue le praterie delle due sommità montane è caratterizzata principalmente dalla presenza di graminacee spontanee come il cosiddetto forasacco (Bromus erectus).

Non è raro tuttavia scorgere alcuni esemplari di orchidee spontanee, tra le specie più affascinanti anche per via delle caratteristiche specifiche di ogni varietà. Il barbone adriatico (Himantoglossum adriaticum) è caratterizzato da un labello dalla particolare forma molto allungata e avvolta a spirale. Nelle diverse specie di orchidee il labello si differenzia in un’infinità di forme e colori: tali ornamentazioni possono svolgere un ruolo molto importante nella strategia di impolli-

nazione, come nel caso delle orchidee del genere Ophrys, come ad esempio l’ophrys apifera che, come suggerisce il nome, imita la forma di un noto insetto.

Barbone adriatico

Attenzione! La raccolta la racconta delle orchidee selvatiche, oltre a essere assolutamente vietata, non va effettuata perché la sopravvivenza degli esemplari è dovuta a una speciale combinazione simbiotica, chiamata micoriza, che si sviluppa tra dei funghi particolari e apparato radicale della pianta. Il deradicamento provoca la rottura del legame simbiotico, e l’orchidea è destinata a morire in pochi giorni in qualsiasi caso.

LA FAUNA

Eufidriade di Provenza

I fiori spontanei che caratterizzano le praterie attirano numerose specie di insetti, tra cui i più appariscenti

sono sicuramente i lepidotteri, comunemente chiamate farfalle.

Percorrendo i sentieri che salgono al Monte Coscerno e al Monte Civitella sarà quindi possibile osservare specie come l’eufidriade di Provenza (Euphydryasprovincialis), la maculinea del timo (Maculinea arion), la mnemosine (Parnassius mnemosyne) e la zerinzia (Zerynthia polyxena), tutte rigorosamente tutelate dalla Direttiva “Habitat”.

Le praterie del Monte Coscerno sono anche uno dei pochi luoghi, in Umbria, dove è possibile lasciarsi affascinare dal caratteristico richiamo della coturnice appenninica (Alectoris graeca). In particolare è il maschio che durante la stagione riproduttiva emette un suono metal-

Coturnice

lico ripetuto, che serve da richiamo per la femmina. Questa specie è tra le più minacciate e il numero degli esemplari è in continuo declino: negli ultimi decenni si è assistito alla scomparsa di numerose popolazioni e alla frammentazione delle poche rimaste nel territorio regionale.

Le praterie rappresentano il terreno di caccia ideale per numerose specie di rapaci, prima fra tutte la maestosa aquila reale (Aquila chrysaetos), che pattuglia le vette di questo settore della Valnerina alla ricerca delle sue prede preferite, tra cui la lepre comune (Lepus europaeus).

miglioramento delle condizioni a livello ambientale e protezionistico, che ha determinato un incremento del numero di esemplari in tutto l’Appennino.

L’aquila reale non è l’unico grande predatore al vertice della catena alimentare: insieme a lei, troviamo il lupo appenninico (Canis lupus italicus), le cui popolazioni, dopo il minimo storico toccato negli anni ‘70, sono attualmente in una fase di crescita.

Gavelli ha ospitato per molto tempo i nidi di coppie di aquila reale: le ultime due aquile sono divenute il simbolo di una popolazione sempre più esigua ma che a partire dagli anni ‘90, grazie a un progressivo

Aquila reale
Lupo appenninco

IL LAGHETTO DI GAVELLI

Scendendo dalle vette del Monte Coscerno e del Monte Civitella, si raggiunge la zona SIC- ZSC “Laghetto e piano di Gavelli” (IT5210068) , con una superficie di circa 88 ha, che interessa una conca semipianeggiante di natura calcarea e di origine tettonica, ricca di sorgenti nel territorio della Media Valnerina. Il piano, chiamata a livello locale con il toponimo di “Le Prata”, è situato nell’Alta Valcasana a sud-est dell’abitato di Gavelli (1.153 m s.l.m.).

Nel settore centrale alla quota di 1.126 m presenta la sorgiva “il Laghetto” che costituisce uno dei pochi stagni naturali montani dell’Umbria. La conformazione del piccolo specchio d’acqua determina una grande varietà di ambienti, con una vegetazione moltodiversificata.

LA FLORA

All’interno del laghetto è presente prevalentemente una vegetazione acquatica caratterizzata principalmente da alghe e da piante adattate alla vita in acqua, come la brasca nodosa (Potamogeton nodosus) e il ranuncolo a foglie capillari (Ranun-

Brasca nodosa

Tritone crestato

culus trichophyllus). Allontanandosi dal bacino è presente una prima fascia di vegetazione tipica dei suoli perennemente impregnati d’acqua, come il garofanino d’acqua (Epilobium hirsutum), la canapa acquatica (Eupatorium cannabinum) e formazioni arbustive tipiche delle zone umide, caratterizzate soprattutto dalla presenza del salice cenerino (Salix cinerea).

LA FAUNA

In primavera e in estate, tra la vegetazione acquatica trova il suo habitat ideale il tritone crestato italiano (Triturus carnifex), così chiamato per la presenza negli esemplari di sesso maschile di una vistosa cresta dorsale e caudale, utilizzata durante il periodo riproduttivo per esibirsi nel corteggiamento delle femmine (vedi foto pagina 20).

Un altro anfibio presente nel Laghetto di Gavelli è la raganella italiana (Hyla intermedia) che, grazie a dita dotate di cuscinetti adesivi, passa il suo tempo arrampicata sulla vegetazione, in particolare sulla cannuccia di palude (Phragmites australis), dove si mimetizza grazie alla sua colorazione verde. Passeggiando lungo il sentiero che costeggia il Laghetto di Gavelli, l’attenzione dei più fortunati potrà essere attratta dalla ballerina gialla (Motacilla cinerea), passeriforme strettamente legato agli ambienti

acquatici dove trova il suo nutrimento, riconoscibile dal movimento della coda.

Ballerina gialla

La disponibilità di acqua superficiale nei laghetti di Gavelli rappresenta anche una risorsa che attrae numerose specie di mammiferi, come la volpe (Vulpes vulpes) e l’istrice (Hystrix cristata) e il capriolo (Capreolus capreolus).

Infine, diverse specie di chirotteri frequentano il Laghetto di Gavelli che, dopo averabbandonato i propri rifugi al tramonto, si recano qui soprattutto per nutrirsi degli insetti che prolificano nei pressi delle zone umide.

Pian delle Melette

IL PIANO DELLE MELETTE, LE BALZE DEL MONTE COSCERNO

E LE MURAGLIE DEL

MONTE DI CIVITELLA

La zona SIC-ZSC “Media Val Casana” (IT521006), ha una superficie di circa 482 ha, interessa la profonda incisione valliva contraddistinta verso l’alto da due imponenti pareti rocciose affrontate, le Balze del Coscerno, a nord-est, e le Muraglie del Civitella, a sud-ovest, incise da lunghi canaloni in parte ricoperti da conoidi.

Alle quote più basse nel settore settentrionale del sito si incontra la frazione montana di Caso, che

conserva ancora oggi la conformazione di castello di pendio. Ai suoi piedi è presente il cosiddetto Piano delle Melette, vasta conca pianeggiante di circa 12 ettari dalla forma circolare. Il piano si è formato per il riempimento di un piccolo lago intramontano, creato in seguito a una frana proveniente dal Monte Civitella che ha provocato lo sbarramento del Fosso di Gavelli e la conseguente creazione di un bacino lacustre.

Il PIAN DELLE MELETTE:

UN

LEGAME PROFONDO TRA UOMO E NATURA

Il Piano delle Melette si apre alla vista osservando le pendici del Monte

Civitella e del promontorio in cui è disteso il paese di Caso. Sul piano crescono spontanee piante foraggere come il loietto, “fieno tonno” o “rotondo”, grande risorsa per contadini e allevatori che tuttora, seppure siano rimasti pochissimi, continuano a falciarle a giugno e settembre per i propri animali (attualmente mucche e pecore e, in passato, soprattutto pecore e capre).

La cura prestata ancora oggi al piano per finalità agricole consente di mantenerne inalterata la splendida immagine di lago d’erba, evitando così che specie arboree come pioppi e salici invadano e “riforestino” uno spazio prezioso e particolarmente fertile. La presenza del Fosso di Gavelli che ogni anno tra l’autunno e l’inverno, portava fino a una cinquantina di anni fa copiose acque miste a foglie decomposte e letame, provenienti dai pascoli di montagna, che contribuivano alla fertilità del terreno. Il piano deve il suo nome a una coltivazione importante per gli abitanti di Caso, legato a una varietà particolare di meli, molto resistenti alle gelate e al freddo invernale. I frutti che si raccoglievano erano piccoli e molto dolci, e si potevano conservare tutto l’inverno nella paglia. Le melette, dette anche mele “roscette”, erano così importanti da essere citate anche nelle preghiere pronunciate localmente, come quella in onore di Santa Cristina, venerata nell’omonima chiesa lungo la mulattiera che da Caso portava a Gavelli, che recitava “Santa Cristina su capo le campore fa venì bene le nostre mandole e le melette roscette ‘nco”.

LA FLORA

Le pareti rocciose costituiscono un notevole esempio della vegetazione appenninica rupicola, dei brecciai e di contatto tra i boschi caducifoglie montani di faggio e quelli sempreverdi mediterranei di leccio. Una pianta diffusa nelle zone boscose della Valcasana è l’aglio orsino (Alliumursinum), così chiamato per il caratteristico odore delle foglie. Nei pressi del paese di Caso è presente una distesa di aglio orsino, nelle cui vicinanze la tradizione orale riporta la presenza di alcune grotte utilizzate dall’orso durante il letargo.

LA FAUNA

Questi ambienti non rappresentano l’habitat ideale, oltre che per l’aquila reale, anche per altri rapaci come il falco pellegrino (Falco peregrinus) e il gufo reale (Bubo bubo).

Tra le specie che trovano rifugio negli anfratti e le fessure delle rocce c’è anche la rondine montana (Ptyonoprogne rupestris) che, come suggerisce il nome scientifico, predilige ambienti con rupi calcaree per nidificare.

Rondine montana
Aglio orsino
Gufo reale

I BOSCHI DELLA VALCASANA

L’intera valle è caratterizzata da un’estesa e variegata copertura boschiva: dalle faggete aiboschi mesofili, dalle leccete alle formazioni di pino d’Aleppo.

Il faggio (Fagus sylvatica) è la specie emblematica dei boschi appenninici, trovando il suo sviluppo ottimale tra 1000 e 1700 m s.l.m., dove tende a formare boschi omogenei, definiti appunto faggete, che dominano le fasce più alte dei pendii che delimitano la Valcasana.

I boschi presenti nei versanti del Monte Coscerno e del Monte Civitella, che delimitano la Valcasana con molteplici formazioni forestali, sono quasi tutti in buono stato di conservazione e in alcuni casi sono condotti a fustaia, una gestione dei boschi che si distingue dal ceduo per essere costituito da piante d’alto fusto a portamento naturale.

Scendendo di quota la faggeta viene progressivamente sostituita dai boschi termofili come l’orno-ostrieto caratterizzati soprattutto dalla presenza dell’orniello (Fraxinus ornus) e dal carpino nero (Ostrya carpinifolia), da cui prende il nome. Sulle scoscese pareti calcaree che dominano la valle sono presenti alcuni nuclei di leccio (Quercus ilex), una specie termofila che, eccezionalmente, qui si sviluppa fino a 1200 m s.l.m., favorita dalle maggiori temperature che caratterizzano le rupi delle Balze del Monte Coscerno e delle Muraglie del Monte Civitella.

In Valnerina il pino d’Aleppo (Pinus halepensis) compare con molta frequenza nelle leccete ma solamente in pochi casi, come nella Valcasana, costituisce invece dei boschi puri.

IL BOSCO, I SUOI UTILIZZI E I SUOI MESTIERI… DALLA VITALITÀ INCESSANTE AL SILENZIO

Boscaioli (“taglialegna”), mulari, pecorari, carbonai, “fornaciari”: questi sono solo alcuni dei mestieri che animavano i boschi della Valnerina e della Valcasana fino agli anni ‘60 del secolo scorso.

Quello del carbonaio, o carbonaro, era un mestiere che richiedeva grande perizia e sapienza. Le “carbonare” si realizzavano in aree specifiche dette piazzole, strutture circolari date dalla sovrapposizione di pezzi di legna di diverse grandezze con un camino centrale. Il tutto veniva ricoperto con uno strato di terra e con delle zolle erbose, mosse durante la combustione per far entrare o meno l’aria necessaria. Se il lavoro alla fine andava a buon fine, alla fine si raccoglieva un quintale di carbone ogni cinque quintali di legna.

Quello del fornaciaro, colui che attraverso una fornace detta anche “calcinaia”, trasformava la pietra in calce. Anche questo mestiere richiedeva le conoscenze necessarie non solo alla realizzazione della fornace, ma anche nella scelta delle pietre calcaree da trasformare nella preziosa calce utilizzata sia nella costruzioni degli edifici che per disinfettare le stalle e gli alberi da frutto.

Lo svolgimento di questi due mestieri era legato anche al lavoro del mularo, che assicurava il trasporto della legna, del carbone e della calce prodotti in mezzo ai boschi, raggiungibili spesso solo da vie strette e impervie, chiamate proprio mulattiere, difficile da percorrere se non con i muli, animali forti e resistenti.

Questi mestieri venivano garantiti dalla presenza di un altro mestiere: quello del mularo, che con i propri muli assicurava la gran parte del trasporto delle merci (legna, carbone, calce, ma anche uva, mele …).

Lungo questa importante via di comunicazione, che era la Val Casana, le mulattiere (il cui nome indicava un percorso stretto, impervio o comunque difficile da percorrere se non con i muli, animali forti e resistenti) che da essa si diramano procedono verso le sommità montane, come dal paese di Gavelli, per raggiungere il Monte Coscerno, il paese di Caso o i vari versanti del Monte di Civitella e dell’Eremita.

LA FAUNA

La caratteristica dei boschi determinala presenza di una varia ed eterogenea comunità faunistica. Sono proprio gli alberi maturi e senescenti a favorire, in primis, la presenza di alcune specie di particolare interesse conservazionistico, come lo scarabeo eremita (Osmoderma eremita) e la rosalia alpina (Rosalia alpina). Sono entrambi coleotteri saproxilici, ovvero insetti che, almeno in una parte del loro ciclo vitale, dipendono dalla presenza di legno morto e senescente.

I boschi della Valcasana ospitano due specie di anfibi spiccatamente forestali: la salamandrina di Savi (Salamandrina perspicillata) e la rana appenninica (Rana italica). Queste ultime trovano l’ambiente ideale per riprodursi nelle acque fre-

sche e ben ossigenate dei torrentelli montani, oppure negli abbeveratoi un tempo utilizzati per il bestiame. All’interno del bosco sono presenti alcune specie di mammiferi difficilmente osservabili, come alcune specie di pipistrelli, come la nottola di Leisler (Nyctalus leisleri), che di giorno trova rifugio all’interno delle fessure o nella corteccia sollevate degli alberi più maturi. La sua dieta è costituita soprattutto da dittericome le zanzare e lepidotteri come le falene, cacciati di notte grazie all’utilizzo degli ultrasuoni, grazie ai quali i pipistrelli sono in grado di orientarsi anche nella più completa oscurità.

Rosalia alpina
Salamandrina dagli occhiali
Gavelli e Scheggino vista dal Valico della Spina

LE SORGENTI DI VALCASANA

Nonostante La Valcasana non presenta corsi d’acqua come il Fiume Nera, presente solo a fondo valle, lungo la valle sono presenti numerose fonti e sorgenti, come quelli collocati punti d’acqua (fonti e fontanili) si collocano più a monte, con-

tribuendo all’approvvigionamento idrico di tutto il comprensorio.

Le fonti più importanti presenti sono la Fonte di Valcasana, o sorgenti della Valcasana, situate nei pressi di Scheggino, dove l’acqua riaffiora prima di gettarsi nel Fiume Nera.

LA PESCHIERA DI SCHEGGINO

Nei pressi delle sorgenti di Valcasana ancora oggi è possibile ammirare una peschiera di epoca ottocentesca. Tuttavia, in base a quanto riportato dal Codice degli Statuti di Scheggino del 1561, dove si legge la notizia che uno dei prodotti più importanti per l’economia del comune erano i tartufi, le palombe e le trote, è molto probabile che peschiere legate, adibite all’allevamento delle trote, anguille e gamberi, fossero presenti anche in epoca precedente.

La peschiera era molto importante per convogliare le acque sorgive, preziose alla vita della fauna ittica d’allevamento. Non è un caso se questa rientrava tra i possedimenti della facoltosa famiglia Amici degli Elci, tra i quali rientrava anche la villa di Sisinio Poli, nipote del Cardinale Fausto Poli, lo stesso che sotto Papa Pio IX aveva riaperto le miniere di ferro di Monteleone e, sfruttando la via che passava per la Valcasana a Scheggino, aveva fatto nascere la ferriera per la fusione dei minerali di ferro. Le trote allevate qui in epoca storica erano probabilmente trote mediterranee (Salmo cettii), considerando che la trota atlantica (Salmo trutta)

è stata introdotta solo all’inizio del ‘900, quando sono stati effettuati intensi ripopolamenti con esemplari di allevamento selezionati a partire da trote di provenienza atlantica.

Dell’antica peschiera restano oggi alcuni muri di contenimento della grande vasca e il ricovero del custode, mentre le vasche che si vedono più a monte sono di recente realizzazione.

Oggi la trota mediterranea, endemica dei corsi d’acqua appenninici, è stata quasi interamente soppiantata dalla trota atlantica, tipica dei bacini dell’Europa continentale atlantica e utilizzata in allevamento. Come accade spesso, quando una

specie indigena viene sostituita da una alloctona si assiste a una grave perdita di biodiversità; per questo motivo sono state intraprese numerose azioni, anche nei fiumi della Valnerina, per il recupero e la tutela della trota mediterranea.

Trota mediterranea
La Peschiera di Scheggino

LA VALNERINA

SIC-ZSC “Valnerina” (IT5210046)

Il sito presenta una superficie di circa 679 ha e occupa il fondovalle della sezione di bacino del fiume

Nera. Il sito, che appartiene alla regione bio-geografica mediterranea, presenta un territorio caratterizzato dalla presenza del corso d’acqua che scorre incassato fra versanti calcarei piuttosto acclivi coperti di boschi e con alcune pareti rocciose, lungo le sponde del Nera rimangono piccole porzioni della foresta

igrofila che ricopriva la valle. La vegetazione che caratterizza il fondovalle a ridosso del Fiume

Nera è spesso ridotta a una fascia delimitata dai campi coltivati che, in alcuni casi, si spingono fino a lambire la sponda.

La poca disponibilità di aree pianeggianti ha reso i terreni a ridosso del Nera particolarmente ambiti per l’agricoltura.

IL FONDOVALLE E LE SUE COLTIVAZIONI

Nel fondovalle al termine della Valcasana, intorno al paese di Scheggino, le aree che costeggiavano il fiume Nera sono prevalentemente destinate a uso agricolo. Un tempo questi terreni erano coltivati in prevalenza a cereali, grano e orzoper l’alimentazione umana, oppure per ottenere avena e foraggio per l’alimentazione degli animali.

In particolare, erano proprio le colture legateall’allevamento a essere più estese, in quanto gli animali erano necessari in diversi ambiti di vita, dai lavori agricoli al trasporto di merci e persone, fino a prodotti importanti come lana, carne e latte.

Scendendo a valle, dalla Valcasana e dalle montagne, I terreni posti a ridosso del corso d’acqua erano non solo più ampi ma anche i più fertili e

ricchi di sostanze organiche, più semplici da coltivare in quanto di natura sabbiosa o limosa, garantivano rese maggiori, in particolare di cereali.

Tra questi, il più diffuso è sicuramente il grano, necessario per la produzione di farina e, conseguentemente, di pane e pasta.L’orzo veniva utilizzato per minestre e zuppe, ma poteva essere anche tostato e utilizzato per bevande calde al posto del caffè, prodotto esclusivo e molto costoso. Lungo il fiume Nera o nei pressi dei suoi affluenti tributari erano presenti diversi mulini come quello di Scheggino, rimasto in funzione fino agli anni Settanta, dove ogni famiglia si recava col mulo per macinare il grano e riportare a casa qualche sacco di farina da utilizzare con parsimonia durante l’inverno.

Piccole porzioni di terreno venivano riservate per gli orti e alle colture consociate di granturco e fagioli. La consociazione delle colture è pratica antica utilizzata per sfruttare al meglio gli spazi e ridurre lo spreco di terreno fertile.

Fino agli anni ‘50 del XX secolo era molto diffusa anche la coltivazione della canapa, tanto che molti terreni vengono ancora chiamati “canapine”, utilizzata per realizzare filati, tessuti e corde. Questa coltivazione era legata anche all’allevamento di piccioni e colombi, che avveniva in apposite torri poste nei casali di campagna chiamate “colombaie”, la cui struttura era funzionale alla raccolta del guano di questi volatili, che diventava un concime prezioso in agricoltura, il cui impiego è storicamente legato proprio alla coltivazione della canapa.

LA FLORA

I boschi che si sviluppano lungo tutto il corso del fiume, un tempo molto più estesi, sono costituiti da due diverse tipologie: boschi a dominanza di salici e pioppi, tra cui il salice bianco (Salix alba) e il pioppo nero (Populus nigra), che carat-

terizzano la fascia più vicina all’acqua; boschi di ontano nero (Alnus glutinosa), che si sviluppano invece in zone che solo periodicamente sono raggiunte dall’acqua del fiume, quelle corrispondenti al primo terrazzo fluviale.

Un prodotto molto importante è il

tartufo. La vita del tartufo si sviluppa grazie al rapporto di simbiosi che si sviluppa, come nel caso tra il micelio e l’apice radicale delle piante come il nocciolo, la quercia e il leccio, presenti in abbondanza sia in Valcasana e in Valnerina, zone storicamente legate alla raccolta del prezioso fungo ipogeo.

LA FAUNA

Il bacino idrografico del Fiume Nera è classificato, secondo la Carta Ittica, come ambiente a Salmonidi, nonché habitat elettivo dei rappresentati tipici di questa famiglia: le trote.

La specie più diffusa si è rivelata la trota fario, riconoscibile per le piccole macchie nere e rosse di forma

circolare disposti sui fianchi e sulla testa. La trota fario predilige acque a corrente molto rapida, fresche, limpide e ben ossigenate, con fondale roccioso, sassoso o ghiaioso.

Si nutre di invertebrati acquatici e terrestri e di altri pesci.

L’alveo del Fiume Nera e dei suoi affluenti presenta caratteristiche come aree ripariali costituite da radici, pietre o detriti vegetali, fondali con ciottoli o ghiaia senza eccessi di fango e limo, acque fresche, pulite e ossigenate, rappresentano l’habitat ideale anche per il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes). Dopo una massiccia scomparsa avvenuta a partire dagli ’60 del XX secolo, il gambero del fiume Nera è presente in pochissimi esemplari in natura, e oggi si trova quasi esclusivamente d’allevamento.

Salice bianco
Gambero di fiume

Questi fondali sono frequentati dal merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), specie di interesse conservazionistico che predilige i corsi d’acqua, in particolare fiumi e torrenti limpidi e con forti correnti, con rada vegetazione acquatica. Trova riparo presso le rive rocciose con grossi massi, ma anche strutture costruite dall’uomo quali muretti a secco e ponticelli, dove costruisce un nido, di forma sferica, con il muschio. Il suo becco sottile e appuntito e il suo comportamento, adatto ad immergersi in acqua, ci offrono preziose informazioni sulla sua dieta, costituita da insetti, larve acquatiche, piccoli molluschi, vermi e, raramente, da pesci e loro uova.”

Tra i micromammiferi, una delle specie più caratteristiche è il toporagno acquatico (Neomys fodiens): la sua dieta lo spinge a tuffarsi sul fondo dei torrenti alla ricerca degli invertebrati acquatici di cui si nutre.

Toporagno acquatico

Programma di sviluppo rurale per l’Umbria 2014-2020
Misura 7 – Sottomisura 7.6. – Intervento 7.6.1
e valorizzazione delle aree rurali”

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