1 SANT’ANATOLIA DI NARCO Sant’Anatolia di Narco (PG)
Vjolart
Testi Benedetta Martini - Museo della Canapa
Coordinamento museale Museo della Canapa
Graphic design
di Vjola Luarasi & c. sas
Comune di Sant’Anatolia di Narco
Indice
Prima di Sant’Anatolia di Narco
Castello di Sant’Anatolia di Narco
Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Sant’Anatolia di Narco
Chiesa di Sant’Anatolia
Convento di Santa Croce
Parco della Rimembranza
Museo della Canapa
I due caselli della ferrovia Spoleto-Norcia
Castel San Felice
Abbazia dei Santi Felice e Mauro
I fratelli Campani Caso
Castello di Caso
Chiesa di Santa Maria delle Grazie
Chiesa di Santa Cristina
Oratorio di San Giovanni
Piano delle Melette Gavelli
Castello di Gavelli
Chiesa di San Michele Arcangelo Grotti
Castello di Grotti
Chiesa della Madonna delle Scentelle
San Martino e Tassinare
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PRIMA DI SANT’ANATOLIA DI NARCO
Secoli di statuti comunali e documenti storici che raccontano le vicende del castello di Narco e dei sui domini non rendono completamente giustizia alla storia del territorio, che ha avuto un ruolo significativo anche in epoche più remote.
Le prime tracce di frequentazione legate a popolazioni stanziali risalgono al periodo protostorico e, nonostante la scarsità delle testimonianze dirette o di rinvenimenti archeologici, queste terre furono abitate dal popolo dei
Naharki, menzionato nelle celebri Tavole Eugubine come popolo nemico della comunità Iguvina.
Le ricerche archeologiche condotte nel XIX sec. nelle vicinanze dell’attuale centro abitato dall’archeologo spoletino Giuseppe Sordini, hanno identificato parte di una importante necropoli rimasta in uso dal VIII sec. a.C. fino al periodo romano. La necropoli venne interpretata come legata a un insediamento, attribuito proprio al popolo dei Naharki, individuato in seguito a ulteriori ricerche in un’area compresa tra la strada comunale di Scheggino e la strada provinciale per Gavelli.
In seguito a questo periodo, con la conquista della Sabina per opera del console romano Curio Dentato, anche l’area passò sotto il dominio romano e l’insediamento dei Naharki si trasformò probabilmente in un vicus. Di questo periodo non sono tuttavia note che due epigrafi in calcare presenti all’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie e una all’interno dell’Abbazia dei Santi Felice e Mauro, a testimoniare la presenza di un probabile nucleo insediativo anche durante il periodo successivo al III sec. a.C.
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CASTELLO DI SANT’ANATOLIA DI NARCO
La costruzione del castello di Sant’Anatolia risale al 1198, e ancora oggi è possibile ammirare i resti delle mura medievali, le torri in pietra e le porte d’accesso coronate dall’effige di San Ponziano, protettore della città di Spoleto.
Le fonti storiche parlano del perduto Castrum Narci, descritto nelle testimonianze dello storico spoletino Achille Sansi come un castello edificato dallo stesso Corrado sulla riva destra del fiume, a capo e centro degli altri luoghi soggetti. Corrado di Urslingen, duca di Spoleto, aveva fatto del Castello di Narco il fulcro del suo dominio su tutti i castelli della Vallinarca. Probabilmente fu per questa sua centralità strategica che la città di Spoleto lo distrusse e riedificò nell’attuale posizione, conferendogli il nuovo nome di Sant’Anatolia.
I narcani più anziani ancora si tramandano leggende su questo perduto castello, come quella che lega la sua nascita, avvenuta molti secoli prima del dominio degli Urslingen, al volere di un quasi leggendario Conte Narco, affermando come “Sant’Anatolia vecchia stava lungo la strada che porta a Castel San Felice, all’altezza della chiesa della Pia, poggiato contro la montagna”.
Nei pressi del luogo in cui un tempo doveva sorgeva il castello di Narco si trova una piccola chiesetta legata al culto mariano, soprannominata “la Pia”. È probabile che questa venne costruita nel luogo dove un tempo sorgeva l’antica pieve di Santa Maria di Narco, da cui nel XIV sec. dipendevano tutte le chiese comprese nel Plebatus Narci.
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CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
La chiesa di Santa Maria delle Grazie si trova appena fuori le mura del castello di Sant’Anatolia di Narco e venne
costruita intorno a un’edicola preesistente che raffigurava la Madonna col bambino tra i Santi Giacomo e Antonio Abate.
Questa era stata realizzata lungo la via medievale che costeggiava il castello di Sant’Anatolia e da qui raggiungeva sia i castelli di Scheggino che di Castel San Felice.
L’affresco dell’edicola, realizzato intorno alla metà del XV sec. e oggi inglobato nella chiesa, viene attribuito al Maestro di Eggi. Nel 1578 fu ampliato da un allievo dello Spagna inserendo l’Assunta tra gli Apostoli.
Degna di interesse è la facciata a capanna, decorata da un portale bugnato in pietra rossa realizzato nel 1575, come riportato nella pietra di volta, che richiama la decorazione delle due finestre laterali con inginocchiatoio.
All’interno della chiesa è presente un crocifisso ligneo attribuito a Francesco da Sangallo e un gruppo scultoreo, sempre ligneo, denominato “I Dolenti” e costituito da una Madonna Addolorata e San Francesco. Le statue provengono dall’altare maggiore del Convento di Santa Croce e sono databili alla prima metà del XVI sec.
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CHIESA DI SANT’ANATOLIA
La chiesa di Sant’Anatolia, come suggerisce la sua posizione centrale, fu una delle più antiche e importanti chiese interne al castello medievale costruito per volere della città di Spoleto, che da lei prese il nome.
Anatolia era una giovane donna vissuta ai tempi dei Romani che venne torturata e uccisa a causa della sua fede cristiana. La sua storia la vede addirittura rinchiusa in un sacco insieme a un enorme serpente velenoso con cui viene spesso raffigurata, perché in modo miracoloso riuscì a domarlo e avere salva la vita.
La prima diffusione del culto di sant’Anatolia viene attribuita ai monaci provenienti dalla Siria nel VI sec., ma sicuramente la fede nella martire si intensificò a partire dal XVI sec. con la costruzione dell’edificio religioso interno alle mura.
La chiesa, inizialmente a unica navata, fu ampliata nel XVI sec. quando all’impianto originale vennero aggiunte due ali laterali, con le quali assunse la pianta a croce latina.
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CONVENTO DI SANTA CROCE
Il Convento di Santa Croce, oggi struttura alberghiera, era in origine un antico convento francescano dei Minori
Osservanti, risalente al XIII – XIV sec.
Nel corso dei secoli il convento ha subito diverse trasformazioni e, della sua struttura originaria, oggi rimangono solo il campanile a vela, gli affreschi che ripercorrono la vita di san Giovanni da Capestrano e una stupenda “Ultima Cena” di un pittore ignoto.
Stessa sorte ha incontrato la chiesa annessa al convento, oggi Sala Campani, intitolata ai fratelli ottici e orologiai originari di Castel San Felice.
Della funzione religiosa dell’edificio resta traccia anche nel nome della piccola piazza adiacente, chiamata “Piazza
Frate”, proprio a suggerire la presenza in passato di un ordine religioso.
Secondo Ludovico Jacobilli, nel convento visse una beata Cristina, appartenuta al Terz’Ordine di S. Francesco e morta nel 1360 in Valdinarco, la cui vita sembra richiamare quella di santa Cristina da Bolsena, venerata dalle donne di Sant’Anatolia nell’omonima chiesa nella frazione di Caso.
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PARCO DELLA RIMEMBRANZA
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Accanto al Convento di Santa Croce si trova un piccolo parco che, nel corso degli ultimi secoli, ha assunto diverse denominazioni. Oggi viene chiamato Piazza Frate o Piazza del Convento, forse in ricordo dei frati francescani vissuti lì accanto.
Durante il XX sec. questo luogo fu chiamato anche Parco della Rimembranza, nome che racconta un triste eppure significativo capitolo della storia locale.
Rimembranza è una di quelle parole che non si usano più. Significa ricordo.
Un ricordo che è quasi svanito, in quanto solo poche persone si ricordano di questo nome e del suo significato.
Il parco di Sant’Anatolia di Narco è nato in risposta alla circolare del 27 dicembre 1922, che promuoveva la creazione di parchi commemorativi dedicati ai Caduti della Prima Guerra Mondiale. La comunità locale ha risposto piantando diciotto cipressi nel parco, ciascuno con una targhetta posta in memoria del soldato caduto in guerra.
Con il passare del tempo molte targhette sono scomparse e alcuni cipressi abbattuti, ma il ricordo dei giovani che non tornarono dalla guerra rimane, anche grazie alla lapide posta sull’attuale Palazzo Municipale, dove sono presenti i nomi dei caduti a cui venne dedicato questo luogo della memoria.
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Il Museo della Canapa, aperto nel 2008, costituisce una delle Antenne dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra.
Il Museo conserva al suo interno strumenti di uso quotidiano legati al mondo della tessitura e della trasformazione della canapa in fibra tessile, corredi e tessuti che raccontano la vita di persone intente a tessere, cucire e filare, di saperi e di saper fare trasmessi e reinterpretati attraverso la pratica laboratoriale. È proprio nel laboratorio di tessitura, infatti, che il saper fare prende forma in un dialogo costante con il contemporaneo, genera nuovi percorsi di valorizzazione del patrimonio e diventa il punto di partenza per sviluppare nuove narrazioni e nuovi linguaggi. Il percorso museale propone anche un dialogo fra gli oggetti legati alla cultura materiale-tessile e l’arte contemporanea, come nel caso dell’installazione “Spinning Dolls” 2016, progettata dall’artista londinese Liliane Lijn.
Grazie alla riflessione portata avanti sulla tessitura e alle attività educative e di mediazione al patrimonio sviluppate nel corso degli anni, il Museo è diventato uno dei punti nazionali di riferimento nel settore della canapa e tessile, proiettando così la tessitura in una dimensione di ampie collaborazioni istituzionali e scientifiche.
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I DUE CASELLI DELLA FERROVIA SPOLETO-NORCIA
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La ferrovia Spoleto-Norcia rappresentava un tracciato ferroviario cruciale che collegava la valle spoletina con la Valnerina, operativo fino al 1968. Sant’Anatolia di Narco, con i suoi due caselli di Palombara e Castel San Felice, occupava una posizione centrale su questo percorso, in quanto punto di riferimento essenziale per coloro che dovevano viaggiare per lavoro o studio dalle frazioni o dal comune di Scheggino, non servito direttamente dalla ferrovia.
Durante gli anni del secondo dopoguerra, quando il Cotonificio di Spoleto era in pieno splendore, il trenino azzurro della Spoleto-Norcia rappresentava un mezzo fondamentale per gli operai provenienti dalla Valnerina. Oggi, alcuni tratti dell’originale percorso ferroviario sono dedicati alla mobilità dolce e al turismo sostenibile. Ciò che resta di più affascinante, oltre a suggestivi ponti e gallerie ancora oggi percorribili, sono le storie tramandate dalla comunità di Sant’Anatolia di Narco riguardo a questo trenino che, tra sbuffi di fumo, sembrava quasi tuffarsi nelle pieghe delle montagne.
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CASTEL SAN FELICE
Castel San Felice, frazione di Sant’Anatolia di Narco, è un castello sorto alla fine del XII sec. sulla sommità di un colle nelle vicinanze del Fiume Nera.
Come suggerisce il nome, il nucleo abitativo iniziale si costituì intorno al luogo dove erano venerate le spoglie mortali di san Felice, che si trasformò prima in eremo e successivamente in una curtis longobarda. Intorno alla fine del XII sec. e a seguito dell’edificazione dell’abbazia, l’originale nucleo insediativo si raccolse sull’altura soprastante.
Il castello include la chiesa di San Sebastiano, posta nei pressi della porta orientale, mentre dalla porta d’accesso occidentale è possibile ammirare la sottostante abbazia dei Santi Felice e Mauro e il ponte sopra al fiume Nera, da poco riportato al suo originario splendore.
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ABBAZIA DEI SANTI FELICE E MAURO
Il complesso architettonico dell’abbazia dei Santi Felice e Mauro sorge sulle rive del fiume Nera, ai piedi della frazione di Castel San Felice.
La storia di questo edificio, tra le più belle espressioni dello stile romanico in Umbria, si interseca con le vite di Felice e Mauro, monaci giunti dalla Siria nel VI sec.
Di notevole interesse artistico è la facciata della chiesa, edificata alla fine del XII sec. sulla tomba di san Felice, attorno alla quale si sviluppò, oltre al culto del santo, anche una comunità cenobitica. Nel bassorilievo sono riportate scene legate ai miracoli compiuti dai due monaci, tra le quali spicca la leggendaria uccisione del drago che viveva in una grotta nei pressi dell’abbazia.
L’interno della chiesa si presenta a unica navata con presbiterio sopraelevato delimitato da plutei cosmateschi, sotto il quale è presente la cripta della chiesa, dove si trova ancora oggi il sarcofago attribuito a san Felice. Degni di nota gli affreschi ancora conservati, come “L’adorazione dei Magi” realizzata nella prima metà del XV sec. da un pittore ignoto.
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I FRATELLI CAMPANI
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All’interno della chiesa di San Felice è conservato il sepolcro di Angelo Campani, padre di Matteo (1620), Pier Tommaso (1625) e Giuseppe (1635). I tre fratelli Campani, originari proprio della Valdinarco, si trasferirono in giovane età a Roma, diventando celebri ottici e orologiai all’interno dell’ambiente ecclesiastico.
Oltre a una serie di testi legati all’astronomia e all’ottica, tra le invenzioni più importanti dei fratelli Campani si ricordano gli orologi silenziosi “notturni” e i telescopi creati da Giuseppe Campani grazie ai quali, tra il 1664 e il 1665, furono osservati per la prima volta i satelliti di Giove e gli anelli di Saturno.
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CASTELLO DI CASO
Il castello di Caso sorge a circa 700 metri s.l.m sulle pendici del Monte Coscerno, alla confluenza dei percorsi che mettevano in comunicazione la valle del Nera con gli altipiani di Monteleone e di Leonessa.
La sua conformazione, tipica dei castelli di pendio, quasi sorprende l’occhio del visitatore. Il castello si addossa al fianco del monte, una posizione strategica che nelle epoche passate lo rendeva, insieme allo scomparso castello di Spotelleto posto sull’altro versante, uno dei due punti di controllo sulla via di collegamento che raggiungeva Scheggino.
Oggi frazione di Sant’Anatolia di Narco, Caso ha conservato autonomia comunale fino al 1895. L’importanza di questo castello è testimoniata soprattutto dalla presenza di numerose chiese, nelle quali sono presenti affreschi spesso realizzati come ex voto, realizzati da pittori importanti nel panorama umbro tra XV e XVI.
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CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
La chiesa di Santa Maria delle Grazie sorge ai piedi del borgo di Caso, ai margini del cimitero del paese e lungo l’antico sentiero di collegamento con la Valcasana.
Questo edificio di culto venne costruito intorno a un’edicola preesistente che raffigura, nella sua scena principale, la miracolosa apparizione della Madonna a un bambino di Caso, come riportato anche nell’iscrizione che accompagna l’affresco.
La singolarità di questa immagine sta proprio nel modo di rappresentare la Vergine Maria: riccamente abbigliata, essa è raffigurata su un cavallo bianco. Un’immagine unica nel suo genere, opera di un pittore ignoto che ha voluto disegnarla in modo elegante e ricercato, come se l’intento fosse quello di attribuirgli un’aura di nobiltà.
La chiesa venne poi realizzata nella seconda metà del XV sec., grazie alla crescente devozione che gli abitanti di Caso iniziarono a manifestare nei confronti della loro Madonna a cavallo.
Al suo interno sono visibili ancora oggi gli affreschi legati al culto mariano che ricoprono le pareti, realizzati tra il XV e il XVI sec., alcuni dei quali sono attribuiti alla scuola pittorica spoletina e a quella dello Spagna.
Un’altra singolarità della chiesa è rappresentata dalle due porte d’accesso: esse sono poste sui lati lunghi dell’edificio, come a voler richiamare ancora oggi la posizione dell’originale edicola posta lungo l’antico sentiero.
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CHIESA DI SANTA CRISTINA
La chiesa di Santa Cristina è un piccolo edificio romanico risalente al XII-XIII sec. che si incontra nelle vicinanze del borgo di Caso, lungo l’antica via di transumanza che porta a Gavelli.
Al suo interno sono conservati affreschi che vanno dal XII al XVI sec., realizzati da maestranze umbre come quella del Maestro di Eggi e lo Spagna, a cui è attribuito quello della santa titolare datato al 1524.
Fino a qualche decennio fa il culto di santa Cristina era particolarmente sentito dagli abitanti di Caso e della Valdinarco.
I primi si rivolgevano alla santa originaria di Bolsena con una divertente preghiera, recitata con fervore per ottenere un buon raccolto da quei mandorli e meli che, un tempo, venivano coltivati nel Piano delle Melette: “Santa Cristina jo piedi le campore, fa venì bone le nostre mandole. E le mele roscette nco!”
La chiesa dedicata a santa Cristina era poi meta della cosiddetta processione delle zitelle: le donne nubili della Valnerina percorrevano a piedi la strada che da Sant’Anatolia porta a Caso per chiedere alla santa la grazia di trovare un marito.
La tradizione della processione a santa Cristina è stata interrotta intorno agli anni ’50, ma qualche anziana donna del posto ancora ricorda quando, il 10 maggio, le signorine partivano a piedi fino a Caso recitando l’invocazione: “Santa Cristina, Cristina mia, che stai tanto su, famme trovà marito sennò non ce vengo più”.
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ORATORIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
L’oratorio di San Giovanni Battista si trova all’interno del castello di Caso nei pressi delle mura castellane.
Nonostante le sue origini non siano note, è probabile che questo luogo fu inizialmente frequentato da uno o più eremiti che si stabilirono nella grotta ancora oggi presente nell’oratorio. Da questo primo eremo solitario, anche grazie alla probabile presenza di alcune figure dedite alla vita ascetica, la comunità circostante elesse questo luogo a centro religioso e di preghiera, trasformandolo in un vero e proprio oratorio.
La struttura interna venne ampliata nel XIV sec., con due navate separate da due pilastri quadrati su cui si elevarono le crociere gotiche fino al tetto, con pareti affrescate probabilmente da pittori della Valnerina del XV sec.
Successivamente l’oratorio perse gradualmente la sua importanza e fu convertito in un’abitazione privata e suddiviso in due piani per separare la parte abitativa dalla quella sottostante, trasformata in cantina.
Oggi della ricca decorazione originale rimane visibile solo il primo registro di affreschi, mentre a livello architettonico resta l’accesso ad archi leggermente ogivale e i pilastri, mentre le volte originali furono abbattute e sostituite con delle volte ribassate.
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IL PIANO DELLE MELETTE
La Valcasana è la stretta e lunga valle che discende da Gavelli fino a Scheggino, percorribile ancora oggi grazie al sentiero un tempo utilizzato per la transumanza.
Lungo questo percorso vi sono diversi edifici di culto in cui è presente la mano dello Spagna, come la chiesa di San Michele Arcangelo a Gavelli, la chiesa di Santa Cristina a Caso e la chiesa di San Nicola a Scheggino.
Il punto più significativo di questo tragitto, ben visibile dal castello di Caso, è il Piano delle Melette, un’area pianeggiante di circa 12 ettari dalla curiosa forma circolare. Il piano si è formato per il riempimento di un piccolo lago intramontano, creato in seguito a una frana proveniente dal monte di fronte (Monte Civitella) che provocò lo sbarramento del fosso di Gavelli e la conseguente creazione di un bacino lacustre.
In passato il Piano delle Melette era destinato soprattutto alla coltivazione di mandorli e di una varietà particolare di mele, chiamate mele roscette o melette, da cui ha poi preso il nome.
Ricordate anche nelle preghiere popolari che si rivolgevano a San Cristina, queste mele erano chiamate anche mele zitelle per via del colore rossiccio assunto durante la maturazione, che le faceva assomigliare alle guance truccate di una ragazza in cerca di marito.
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CASTELLO DI GAVELLI
Gavelli è un piccolo paese che sorge sul Monte Coscerno e, con i suoi oltre mille metri di altitudine, rappresenta il punto più alto dell’intero comune. Il nome antico di questo castello tardo-medievale era Clavellum, da interpretare come “chiave d’accesso”, vista la sua posizione strategica rispetto alle vie di comunicazione che collegavano i due versanti del territorio montano della Valnerina. Per Gavelli passavano infatti le vie di transumanza che salivano dalla Valcasana e proseguivano verso il territorio reatino, ma anche la Strada delle Ferriere, così chiamata perché legata al trasporto del ferro estratto dagli importanti giacimenti presenti nel territorio di Monteleone di Spoleto, che ha influenzato la viabilità e l’economia in epoche passate.
Il paese è stato progressivamente abbandonato dai suoi abitanti, gli ultimi dei quali svolgevano ancora attività tradizionali come pastorizia e agricoltura, ma ancora oggi, tra le sue silenziose e imponenti mura di pietra, si può respirare l’eco di un illustre passato.
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CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO
Il vero gioiello del castello di Gavelli è la chiesa di San Michele Arcangelo, considerata uno degli esempi più importati dell’arte religiosa in Valnerina.
Il modesto aspetto esterno cela un apparato pittorico straordinario: qui troviamo affreschi di particolare bellezza e realismo naturalistico realizzati dall’incantevole mano di Giovanni di Pietro detto lo Spagna. In particolare, nella scena centrale che raffigura l’apparizione di san Michele Arcangelo sul monte Gargano, ancora oggi è possibile leggere la firma IOHE HYSPANO / M. D. X. V., lasciata sul pilastro destro dell’abside a testimonianza dell’autorevole opera compiuta da questo importante pittore.
Da un documento recentemente ritrovato, si scopre come la realizzazione di questa chiesa fu commissionata dagli operali di Sant’Angelo di Gavelli, che per 13 fiorini vendono nel 1515 un terreno per realizzare la decorazione della tribuna della Chiesa.
Lo Spagna con la sua bottega operò qui in due diverse occasioni: nel 1515, per realizzare la decorazione dell’abside e della cappella di San Sebastiano, e nel 1523, quando venne realizzata la cappella di san Girolamo.
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CASTELLO DI GROTTI
Grotti è un piccolo abitato che si incontra sulla strada di Forca di Cerro, unica via di comunicazione tra la Valnerina e Spoleto fino all’apertura dell’omonima galleria nel dicembre del 1998.
Ancora oggi questo paese, dal nome che richiama la morfologia del luogo caratterizzato da grotte, anfratti e picchi rocciosi, conserva i resti di una torre e le vestigia del castello che un tempo dominava la Valnerina da questo versante.
Un volto di pietra dal misterioso fascino, raggiungibile percorrendo la strada che costeggia le antiche mura del castello, è scolpito sulla roccia. La sua interpretazione, benché molto dibattuta, sembra suggerire che questa scultura rupestre, forse risalente al periodo romano, non sia altro che l’immagine di una antichissima divinità preposta alla protezione dei boschi.
Al centro del paese si trova la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, edificio dall’aspetto seicentesco ma che risale con ogni probabilità al XII sec., e che testimonia come questo abitato sia nato in epoche antiche, probabilmente precedenti anche al periodo longobardo.
A conferma del suo passato remoto, nelle vicinanze di Grotti, sarebbe esistita Rocca Elsa, altro castello di cui restano solo poche tracce di mura ormai inghiottite dalla vegetazione. La leggenda racconta che vicino a Rocca Elsa, in una grotta e difesa da una maledizione, sarebbe nascosta una chioccia con dodici pulcini d’oro, tesoro protagonista di molte leggende diffuse nel territorio spoletino.
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CHIESA DELLA MADONNA DELLE SCENTELLE
SANT’ANATOLIA DI NARCO
La chiesa della Madonna delle Scentelle si trova fuori dal paese di Grotti, lungo la strada di Forca di Cerro. Secondo la tradizione, il termine dialettale scentelle si riferisce alle scintille dell’acqua che sgorga. Il nome della chiesa suggerisce quindi un legame con le risorse idriche presenti un tempo nella zona, che si ritrova anche nell’omonimo fosso che discende dalla chiesetta fino a valle, oppure in un detto locale, che avvisa come l’acqua delle scentelle fa male alle fantelle (l’acqua di fonte fa male alle bambine).
L’edificio risale al XVI sec. e custodisce al suo interno un’immagine della “Madonna con Bambino” del XVI sec., attribuita al pittore Piermarino di Giacomo di Castel San Felice, allievo dello Spagna, e oggetto di venerazione da parte degli abitanti di Grotti.
La prima domenica di luglio, gli abitanti dei paesi della Valdinarco si recavano in pellegrinaggio in questa chiesa. Alla fine della messa, un piccolo rinfresco organizzato con cura da due santesi veniva offerto ai fedeli sul prato antistante la stessa chiesa.
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SAN MARTINO E TASSINARE
Altre frazioni del comune di Sant’Anatolia di Narco sono
San Martino e Tassinare, piccoli centri abitati che non hanno mai avuto autonomia amministrativa e hanno seguito le sorti del Comune di Sant’Anatolia.
Entrambe le frazioni hanno avuto origini da piccole ville di transito sorte la prima lungo l’antica via per Spoleto attraverso Grotti, la seconda sull’altipiano ai piedi di Monte Giano.
L’abitato di San Martino probabilmente non è mai stato fortificato, nonostante sul soprastante poggio affiorano i resti di strutture difensive, come quelli attribuiti a Rocca Elsa o a una vicina torre di vedetta detta Ghianetta.
Le Rationes decimarum del 1333 riportano la presenza tre chiese in questa frazione: una intitolata a San Martino e una a San Sabino, delle quali non esiste più traccia, infine la chiesa di San Giovanni de Agello, l’unica che sopravvive ancora oggi.
A Tassinare è presente un edificio di culto dedicato a santa Lucia, i cui affreschi del XVI sec. potrebbero ispirarsi alla scuola dello Spagna.
Questa chiesa è stata oggetto di forte devozione da parte delle persone della Valdinarco che, in occasione del giorno di santa Lucia, il 13 dicembre, si recavano in preghiera per chiedere la protezione della santa dalle malattie della vista.
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7 3 6 5 2 8 4 9 10 Direzione Scheggino 1 Museo della Canapa Museo della Canapa - macchine per cucire collezione Consalvo Cardarelli e Laboratorio di sartoria Laboratorio di tessitura Chiesa di Sant’Anatolia Foresteria Info Point - Biglietteria E-bike rental Biosintesi di un pensiero elettrico - opera di street art 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Chiesa della Madonna delle Grazie Convento di Santa Croce Parco della Rimembranza Municipio Giardini pubblici Centro storico Ciclovia del Nera Percorso pedonale - Itinerari della Canapa
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