LETTERA APERTA

Egregio Ingegnere, perdoni Ella se lo spunto a questa nostra, non solo a Lei indirizzata, ma anche a tutti coloro che avranno la bontà di leggerla, ci vien dato da quella simpatica manifestazione che in clima prenatalizio Lei ci prodiga con tanta generosità.
A parte la magra figura di quei due poveri diavoli chiamati a rispondere sugli inattuati miglioramenti dell'ambiente di lavoro, rimasti tali non tanto per loro incapacità professionale quanto per cause ben precise e determinate e a parte anche lo stanco e sommesso applauso proveniente dalle prime file, spentosi, come di consueto, senza eco, ben altro ci preme puntualizzare anche alla luce di quel suo disinvolto ed inutile intervento al convegno sindacale svoltosi qualche giorno prima e ripreso da alcuni organi della stam-
pa nazionale. Ci riferiamo al momento in cui, terminato il discorso, ed in perfetta coerenza con quanto poco prima affermato, (ci sembrava di aver capito « la mia porta è aperta a tutti quelli che vorranno chiedere maggiori informazioni ») Lei con mossa in stile del tutto professionale, cercava di eludere il contradditorio chiesto da un nostro compagno.
Paura dunque, non già di un picchetto di lavoratori durante una giornata di sciopero, non già di inesistenti violenze operaie, ma di un libero e sereno dibattito basato in un altrettanto libero principio democratico che tutti dovrebbe vincolare.
Più volte chiamati, in tutte le istanze sindacali a questi dibattiti Lei e tutti i « managers » italiani avete sempre tentato di far cre: dere all'opinione pubblica che l'azione sindacale dei lavoratori, per
le rivendicazioni aziendali e le ritorme sociali, è di ostacolo alla produzione in fabbrica e allo sviluppo del paese, tentato quindi di far andare indietro i lavoratori e i sindacati, bloccandone le rivendicazioni e l'unità.
E d'altra parte chi potrebbe negare che i veri promotori siano in sondo gli stessi: il movimento sindacale è accusato di complicare le cose da chi le cose non vuole cambiare nella fabbrica e nel paese.
Oual'è la morale di fondo che se ne deve trarre? Nel paese sono maturate le condizioni chiare per una scelta definitiva fra due opposte politiche: • quella identifica',a dai sindacati e dalle forze democratiche attive, e quella tradizioklale, subordinata alla logica del massimo profitto e del capitale industriale e finanziario.
I temi principali che stanno alla CONTINUA IN 2*
11. LAVORATORE SI DIFgDE DALLO
DALLA PRIMA
base dell'attuale recessione economica, perchè non ricercarli nell'esigenza di profondi rinnovamenti strutturali della società, in altri termini nelle riforme più volte e consapevolmente sollecitate dall'azione sindacale, piuttosto che gridare alle ore di sciopero o al « disordine nelle aziende ». La realtà è che il sistema è arrivato a un punto di svolta e che le forze dominanti vorrebbero compiere questa svolta all'indietro, troppo spesso abituati a realizzare, senza sforzi notevoli, incrementi produttivi basati sullo sfruttamento operaio e sui bassi salari.
Non ha altro senso la richiesta di • un ritorno alla normalità nelle aziende » come condizione per la ripresa degli investimenti e per l'attuazione delle riforme.
Questo è il modo esattamente opposto e assolutamente sbagliato di compiere la svolta che le classi lavoratrici indicano con le loro lotte sindacali.
Il movimento dei lavoratori non ha come obiettivo una semplice ridistribuzione del reddito all'interno dell'impresa capitalistica.
La contestazione si è ormai aperta sul modo e sulla qualità stessa, oltre chè sulla destinazione del reddito prodotto a partire dall'impresa.
Nessuna pressione esterna, nessuna manovra eversiva di tipo neofascista (una combriccola di mascalzoni, capitanata dal repubblichino Almirante, pensare possa essere barriera ed ostacolo al movimento politico e sindacale, è pura ingenuità politica se non delirio di esaltati) potrà impedire l'azioni per le riforme, azione che farà fallire le tipiche manovre dí « riassorbimento » capitalistico delle conquiste operaie.
Quando la polemica contro il
movimento sindacale si colora di tinte politiche, è perchè la manovra puramente economica non riesce a operare e raggiungere gli scopi previsti.
Cosa esprime dunque il sindacato? Questo: il rifiuto del tipo di sviluppo economico e produttivo che ha dato al paese così tanti squilibri.
Questo è l'obiettivo qualitativamente nuovo dei lavoratori, nell'a presente situazione, sul fronte delle fabbriche e sul fronte delle riforme.
Tacciano quindi i sostenitori « dell'ordine » gli stessi che hanno attuato ed ingigantito a dismisura il gravissimo fenomeno della fuga dei capitali all'estero.
Tacciano i cosidetti «managers» che si sono sempre dimostrati incapaci di affrontare il problema dello sviluppo liberandosi dalla santa alleanza fra parassitismi e sprechi, fra conservatorismo economico e arretratezza sociale.
E scelga Lei, egregio ingegnere, qual'è la strada giusta da seguire: se quella della paura e dell'eversione o quella del coraggio e della democrazia.
Ma quella che di esse vorrà percorrere ci ritroverà sempre nella lotta o nella collaborazione, consapevoli della nostra forza, fieri della nostra dignità.
IL PERCHE' DELLO STRAORDINARIO

Con un certo rammarico si è constatato che molti operai della nostra zona non hanno afferrato uno degli scopi principali su cui basava la sua efficacia il contratto nazionale di lavoro ultimamente firmato.
Uno dei punti cardini di questo contratto è appunto la riduzione dell'orario di lavoro e la eliminazione pressochè completa dell'effettuazione dello straordinario.
Ed è logico perchè, e incomprensibile come una persona possa trascurare la vita pensando solo a lavorare (il che fa molto comodo ai padroni).
Questa situazione è particolarmente pesante nella nostra azienda, ma sarebbe troppo comodo da
parte nostra se ci dovessimo limitare a dire basta allo straordinario! E' necessario trovare il perchè del persistere di questo male analizzarne le causd e trovare insieme il rimedio.
Perchè le paghe sono basse e l'orario normale di lavoro non basta a mantenere la famiglia.
Per tenere buoni i capi i quali hanno come strumento i ricatti sulla carriera l'accettazione dello straordinàrio con l'illusione di avere l'aumento di merito perchè questo è appunto uno dei più forti ricatti a cui non disdegnano di ricorrere anche i nostri ingegneri. La paura del padrone (o di chi ne fa le veci che tanto fa lo CONTINUA IN 3°
stesso) paura della mancanza di lavoro, per cui quando c'è lavoro non bisogna guardare quante ore si fanno, il ritornello delle ore ce lo siamo sentito ripetere fino alla nausea, mai una volta che nelle esposizioni illuminanti (per persone illuminate) ci sentiamo dire (effettuazione delle ore contrattuali con uno stipendio che permetta di vivere in modo decente (no signori, non sia mai detto, altrimenti diminuirebbe lo straordinario).
Le piccole e medie aziende non possono troncare gli straordinari in quanto come sono strutturate attualmente non riescono a far fronte alla richiesta del mercato.
Perchè gli stessi operai chiedono l'effettuazione dello straordinario.
Percl-.:3 i padroni dichiarano che non riescono a recepire nuova mano d'opera.
Abbiamo visto così a grandi linee le cause e i motivi dello straordinario.
Come possiamo metterci rimedio?
Certo non è facile perchè oggi nel sistema attuale in cui viviamo tutto concorre a prosciugarci velocemente le nostre buste paghe, gli affitti cari, il continuo aumento del costo della vita.
Vogliamo tutti insieme cercare la via che ci tolga a poco a poco dal bisogno dello straordinario?
Ributtiamo indietro i ricatti dei Padroni (o di chi li rappresenta) quando ci dicono ti permetto di fare lo straordinario, dobbiamo rispondere: caro signore, fai un pen-
sierino su quanto mi paghi lavorando normalmente poi ne riparleremo.
Opponiamoci alla politica sporca del ricatto quando andiamo a chiedere un aumento e ci sentiamo rispondere: possiamo assumere operai con una paga inferiore alla vostra, (queste persone sono così poco politicamente preparate che si contraddicono da soli).
Ma da tutto questo, dal mantenimento dello straordinario cosa ci guadagna il padrone? Noi quattro lire, ma lui una barca di soldi! Infatti oltre al profitto normale che realizza sul nostro lavoro ci guadagna perchè la maggiorazione prevista per le ore straordinarie è calcolata sulla paga base più la contingenza più minimi di cottimo e vengono lasciate fuori l'intero guadagno di cottimo, gli scatti di anzianità, i superminimi individuali e il premio di produzione; dunque la maggiorazione è in realtà ben poca. Altre però sono le convenienze del padrone, la più grossa è che riesce a mantenere la disoccupazione e quindi l'insicurezza del lavoro, ed attraverso i mille ricatti che riesce a fare in fabbrica promettendo aumenti, categorie, privilegi, riesce a metterci l'uno
contro l'altro, così ci controlla meglio.
E infine con lo straordinario si fa le scorte che gli permettono di sostenere mesi di scioperi senza perdere niente.
Ricordiamoci che il 1972 è l'anno del contratto.

E' così evidente e chiaro che non è con lo straordinario che l'operaio risolve il problema, ma solo con la continua ricerca di miglioramenti sicuri e reali come aumenti sul premio di produzione, salario, nocività, ecc., respingendo certe offerte che vengono portate avanti con il solo scopo di dividere i lavoratori, offerte fatte sotto banco da lacchè che non hanno nessuna autorità per mantenere poi le loro promesse, respingiamo il gioco di certi dirigenti che vanno dicendo: venite da noi se ví ,lete risolvere i vostri problemi non dai rappresentanti del Consiglio di fabbrica.
Cerchiamo di trovare un proficuo insegnamento dagli operai dei grandi gruppi industriali, per garantirci dei miglioramenti più efficaci e duraturi (che le ore straordinarie).
Un delegatì
L'INDIFFERENZA
A chi si crede « fuori dalla mischia »; a chi sostiene che il pericolo fascista non lo riguardi; a tutti gli assenteisti, dedichiamo queste pagine di Antonio Gramsci, scritte nel carcere fascista ove fu fatto morire.

E' invero la molla più forte della storia. Ma a rovescio. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto di valore generale può generare non è tutto dovuto all'iniziativa dei pochi che fanno, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perchè alcuni vogliono che avvenga, quanto- perchè la massa dei cittadini abdica alla sua volontà e lascia fare, e lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada può tagliare, e lascia salire al potere degli uomini che poi solo un ammutinamento può rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia è appunto l'apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fàtti maturano nell'ombra, perchè mani non sorvegliate da nessun controllo tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora. I destini di una epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati di piccoli aruppi attivi, e la massa dei cittadini ignora. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare, ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento, e allora sembra che la fatalità travolga tutto
e tutti, che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, una eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto, e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo, chi indifferente. E quest'ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe che apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli è irresponsabile. E alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno, o pochi, si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere di uomo: se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere; la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno, o pochi, si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro appoggio morale e materiale a quei gruppi politici ed economici, che, appunto per evitare quel male, combattevano, di procurare quel tal bene si rroponevano. Costoro invece preferiscono parlare di fallimenti di idee, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Continuano nella loro indifferenza, nel loro scetticismo. Domani ricominceranno nella loro vita di assenteismo da ogni responsabilità diretta o indiretta. E non è a dire che non vedano chiaro nelle cose, che non siano capaci di prospettarci delle bellissime soluzioni dei problemi più attualmente urgenti, o di quelli che vogliono più ampia preparazione, e
più tempo, ma che sono altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è conseguenza di una curiosità intellettuale, non di pungente senso d'azione, che non ammette agnosticismi ed indifferenze di nessun genere. E bisogna perciò educare questa sensibilità nuova, bisogna farla finita con i piagnistei inconcludenti degli eterni innocenti. Bisogna domandar conto a ognuno di come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. Bisogna che la catena sociale non pesi solo su pochi, ma che ogni cosa che succede non sembri dovuta al caso, alla fatalità, ma sia intelligente opera degli uomini. E perciò è necessario che spariscano gli indifferenti, gli scettici, auelli che t'sufruiscono del poco bene che l'attività di pochi procura, e non vogliono prendersi la responsabilità del molto male che la loro assenza dalla lotta lascia preparare a succedere.
-MIO CARO ROSSI CERCl/ERO' D/ ESSERE lL PIO' BREVE 92SSIBILT : NO! IL VOSTRO SERVIZIO f" PERFE7r0 i SIGNOR/NA. PERCHE' GUASTARLO CON UNA 2/CRESTA DI AUMENTO 5,u4Rio ? —. Odio i sindacati! ANTONIO GRAMSCITesseramento e maturità sindacale
Quando la lotta si fa dura avviene in parte una certa selezione della partecipazione degli iscritti alla vita del sindacato. Ciò nonostante il tesseramento deve avere risultati positivi perchè a chi è debole nella propria coscienza sindacale si deve contrapporre chi l'acquisisce e che nel momento più difficile chiede di aderire al sindacato.
Esso ha bisogno di tutti per rafforzare la sua unità e tutti abbiamo bisogno del sindacato per consolidare le nostre lotte dentro e fuori la fabbrica.
Vogliamo un sindacato forte, unito e autonomo che sia in grado di affrontare i grossi problemi sociali come le riforme e portare i lavoratori ad un processo di trasformazione della nostra società per contare qualche cosa di più; ebbene questo sindacato dobbiamo sostenerlo noi lavoratori non di certo le classi padronali e speculatrici.
Riflettete cari compagni, iscrivetevi al sindacato e non lasciatevi trascinare da coloro che ottusamente fanno il gioco del padrone.
Per noi lavoratori la volontà unitaria deve misurarsi e camminare con l'impegno di difesa e applicazione del contratto, con la capacità di affrontare i problemi aziendali e di impedire il ripristino del potere dispotico del padrone, con la ricerca, di unificare la strategia di lotta per le riforme e per respingere l'ondata di repressione; temi sui quali esiste una volontà comune di tutti i lavoratori.
Se i lavoratori verranno in gran numero nelle file del sindacato su queste motivazioni; se saran-no chiamati a decidere sui loro strumenti di contropotere aziendale; se saranno in grado di eleggersi i loro rappresentanti sindacali in azienda ed a tutti i livelli avremo creato le condizioni per il sindacato unico e per radicali mutamenti nel Paese.
CINEMA E STORIA

Pensavamo che la nuova realtà sindacale, il processo dialettico in atto nel nostro Paese, fosse penetrato anche, non diciamo nella mentalità ma nella concezione tattica dello staff manageriale della Worthington SIPEC. Ci siamo sbagliati.
Puntuale come la morte anche quest'anno è scattato l'operazione « volemose bbene » all'insegna del più logoro paternalismo; ciarpame d'altri tempi che stando alla realtà odierna del nostro Paese non sembra abbia avuto molta fortuna — forse alla Worthington un po' di più, questo sì riconosciamolo — r ivediamola per un momento.
La sala con gli addobbi, il tricolore, (quando c'è di mezzo la « borsa » non manca mai) la bandiera a stelle e striscie, l'albero natalizio, il presepe, (chissà perchè è stato sfrattato prima della nascita del Bambin Gesù, si vede proprio che la povertà è inconciliabile con il mito della « grande società ») insomma tutto ciò che serve a creare l'atmosfera soffice e tranquilla,
a predisporre lo stato d'animo favorevole alla « digestione di ogni cosa ». II blu delle tute sporche che predomina, fa da stridente contrappunto alla scena — proponiamo per il prossimo anno il vestito della festa per tutti.
Breve prologo del generai m. — ciak si gira. Si spengono le luci e comincia il « cinema », così è definita dai lavoratori l'annuale rasseuna del bilancio aziendale. Comincia la frana delle cifre amabilmente dal generai m.
« Come si vede quest'anno è andata un po' meglio che nel 70, il fatturato è aumenti°, 8 miliardi e rotti contro i 7 e rotti del 70, i profitti anche, 3,9% contro il 3,3% del 70, l'occupazione anche, 7 lavoratori in più!! l'1%, quest'anno abbiamo lavorato bene, tutti abbiamo fatto il nostro dovere, siamo stati bravi, abbiamo preso anche il premio Qualità e via incassando ».
Ma che roba è questa? Professionisti dei bilanci (truccati o meCONTINUA IN
DALLA QUINTA
no non è affare che ci riguarda in questo momento) che pretendono di spacciare come prova di correttezza, di apertura il fatto di mostrare ai lavoratori al buio e in rapida successione, cifre, comparazioni e diagrammi. Ma pure a digiuno di numeri come siamo, fa un certo effetto vedere l'aumento della produzione, dei profitti, e la « discesa » degli investimenti. Ma quello che non ci va bene, a parte la veridicità o meno delle cifre, è il fatto che a noi lavoratori è riservata la parte di spettatori passivi. I lavoratori crederanno a quei bilanci solo quando saranno loro a compilarli e a .decidere come sistemare le cifre, per esempio per far salire la curva degli investimenti anzichè farla precipitare.
Ma non è finita. « Nel bilancio di quest'anno c'è un neo, Nova Division. Quest'anno ha perso lo 0,6°/0 netto, perciò niente profitti; Desio ha lavorato anche per Nova ».
Ecco il colpo maestro, da autentico professore della cersiiasione occulta. Si comincia col dire che tutti abbiamo lavorato bene, che siamo stati bravi, e poi si conclude che « Desio ha lavorato anche per Nova », come dire, Nova è un ramo secco, malato, potrebbe essere reciso perchè non attecchisca la malattia anche alla pianta che è sana.
E così si insinua il malumore, la divisione fra i lavoratori e al t,,-mine, la « reazione protettiva » che potrebbe, se non sollecitata, essere avvallata dai lavoratori di Desio. Tutti ciò merita una discussione franca fra tutti i lavoratori deila Worthington.

Del resto queste posizioni non ci debbono meravialiare. dopo i discorsi che sono usciti da quel tal conveono di manaaer, tutto fila come l'olio, e visto che anche fra di loro non sono d'accordo, non vediamo perchè proprio noi lavoratori dovremmo esserlo.
In una situazione come questa, di crisi di credibilità delle classi diriaenti di reazione alle conquiste dei lavoratori che d'altra parte è una situazione comune a buona parte dell'imprenditoria del nostro Paese, è necessaria il massimo di unità fra la classe operaia, e la ricerca, l'estensione dell'unità alle classi medie; per rimanere nel nostro ambito, fra operai e impienati anche delle categorie superiori
perchè anche loro hanno qualcosa da esprimere, qualcosa da dire in quel processo di aggregazione di forze diverse ma non antagoniste, che cammina con l'unità sindacale.
E' necessario anche uno sforzo di comprensione, da parte di questi ceti che sono stati e in parte sono ancora attratti nella sfera d'influenza della grande borghesia, per capire che la storia è un processo e come tale pur in modo discontinuo è sempre una marcia in avanti, ma va avanti se sono gli uomini a farla camminare.
Scriveva Marx a proposito della legge per la giornata di dieci ore (Capitale, libro 1, pagina 321 E.R.).
« La campagna del capitale era fallita pel momento, e la legge sulle 10 ore entrò in vigore il 1° maggio 1848. Ma intanto, il fiasco del partito dei cartisti, di cui i capi erano stati gettati in carcere e l'organizzazione frantumata, aveva già scosso la fiducia in se stessa della classe operaia inglese. Poco dopo, l'insurrezione parigina del giugno, soffocata nel sangue, riunì tanto nell'Europa continentale quanto in Inghilterra tutte le frazioni delle classi dominanti, proprietari fondiari e capitalisti, lupi di borsa e
merciai, protezionisti e liberoscambisti, governo e opposizione, preti e liberi pensatori, giovani meretrici e vecchie suore, nella invocazione comune per la salvezza della proprietà, della rel ione, della famiglia, della società! La classe operaia venne screditata dappertutto e messa al bando, venne messa sotto la « lai des suspects ». I signori delle fabbriche non avevano dunque nessun bisogno di avere riguardo. Proruppero in aperta ribellione, non solo contro la legge delle dieci ore, ma contro tutta la legislazione che dal 1833 in poi aveva cercato in qualche modo di frenare il « libero » dissanguamento della forza lavoro. Fu un proslavenj rebellion in miniatura, attuata per più di due anni con cinica spregiudicatezza e con energia terroristica, e tanto più a buon mercato l'una dall'altra, perchè il capitalista rivoltoso non rischiava nient'altro che la pelle dei suoi operai ». Ebbene facciamo sì che ancora una volta non ricrei questa alleanza fra padroni, merciai, liberi pensatori e giovani meretrici. Facciamo camminare la storia!
Un lavoratore