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BASTA CON LA SPORCA GUERRA AMERICANA IN INDOCINA
from Unità a sinistra1
Dopo la Cambogia il Laos. L'aggressione americana nella penisola indocinese continua ad estendersi.
E' questa la più eloquente risposta a quanti abbiano mai creduto alla volontà di disimpegno di Nixon alla promessa di vietnamizzare la guerra.
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Nixon ha mentito ancora una volta al popolo americano ed al mondo. E' ormai chiaro come dietro il termine vietnamizzazione • si nasconda la medesima logica che animava l'escalation militare di Johnson e Mac Namara: una logica di aggressione e di guerra, la logica dell'imperialismo internazionale di cui gli USA sono i degni capofila. Il fallimento delta escalation militare è costato a Johnson il suo secondo mandato presidenziale. Sotto i duri colpi della grande offensiva del Tèt sono cadute una dopo l'altra le teste di Mac Namara, Dean Rusk, Rostow, Westmoreland.
Eppure Nixon non sembra volersi discostare dai suoi predecessori. Inventare termini diversi per definire una stessa guerra non basta per convincere gli americani e l'opinione pubblica mondiale della volontà degli USA di disimpegnarsi dalla guerra. Una volontà che non esiste come i fatti si sono incaricati di dimostrare.
Nixon sa bene che i governi fantoccio del Vietnam del Sud e della Cambogia non resisterebbero un giorno senza l'ausilio delle truppe americane, sa benissimo che la guerra di popolo ne farebbe giustizia in breve tempo. Nixon sa anche che nel Laos non si tarderebbe ad arrivare ad un governo di coalizione tra il principe attualmente regnante Suvannafuma e le forze partigiane del Pathet Lao. Un governo in grado di applicare gli accordi di Ginevra del 1962 che prevedevano l'instaurazione di un governo totalmente neutrale e che vennero immediatamente denunciati dagli americani allo scopo di garantire la direzione del Paese a forze sicuramente filo occidentali. E' dalla conferenza di Ginevra che Suvannafuma vive sotto l'incubo di un colpo di stato, circondato da capi militari legati ai servizi segreti americani i quali hanno provveduto a far puntualmente fallire tutti i tentativi di rappacificazione con le forze di liberazione.
Per tutte queste ragioni Nixon subordina il ritiro delle truppe americane alla sconfitta delle forze di liberazione. Ed in ciò sussistono tutti gli elementi che avevano animato la strategia di guerra di Johnson. Il fatto che Nixon sotto la pressione dell'opinione pubblica americana e mondiale sia costretto a più complicati equilibrismi verbali, ad impegnarsi in una politica di false promesse, non cambia minimamente le cose.
Ha scritto un commentatore politico americano: « E' assolutamente chiaro che il governo americano si sprofonda nelle bugie così come nelle risaie indocinesi. L'incursione cambogiana era stata intrapresa per proteggere la "vietnamizzazione". L'incursione laotiana è destinata a proteggere la "laotizzazione". Per salvare domani la "laotizzazione" bisognerà evidentemente invadere il Vietnam del Nord. Per limitare gli insuccessi della "vietnamizzazione" Nixon è ineluttabilmente trascinato sulla via dell'escalation ».
E' ormai a tutti chiaro che anche Nixon è prigioniero della logica aggressiva dell' imperialismo USA. Come Johnson, Mac Namara, Dean Rusk, Rostow e Westmoreland anch'egli è destinato alla sconfitta.
La vietnamizzazione di Nixon è riuscita solo nel senso che in Cambogia e nel Laos hanno creato nuovi Vietnam, nuove guerre di popolo ed i presupposti per altre gravi sconfitte dell'imperialismo. La Cambogia invasa a Giugno dagli Americani per ...ragioni di sicurezza » è oggi controllata per due terzi dalle forze partigiane di liberazione.
E l'Italia? Manifesterà ancora il governo la propria comprensione per la aggressione americana? Oppure esprimerà vaghe quanto inutili • preoccupazioni «? O peggio ignorerà semplicemente la realtà della nuova escalation?
La tradizione di passiva sudditanza del centro-sinistra nei confronti degli USA non lascia sperare che il governo saprà dissociare le proprie responsabilità, nonostante il lodevole impegno di parte del Partito Socialista.
Quello che è certo è che il movimento antimperialista italiano, i lavoratori, gli studenti, tutte le forze sinceramente democratiche, non mancheranno di esprimere il loro dissenso ed il loro sdegno per questo nuovo crimine dell'imperialismo americano, gendarme del mondo.
La redazione la sua vocazione anticapitalistica e antimperialistica, la sua collocazione a pieno titolo nel Movimento Operaio. E sarebbe ancora scorretto giudicare Vallombrosa '70 prescindendo da quanto nella società italiana e mondiale si è andato muovendo, acquistando corposità e rilievo: le lotte operaie dentro e fuori la fabbrica, la repressione e i tentativi di rivalsa della destra economica e politica, le crisi ricorrenti di governo e la usura dei disegni e delle formule riformistiche. l'escalation imperialista.
Tutto questo nelle ACLI non è rimasto a livello di inquadratura o di cornice, ma è stato presente ed ha costituito senza ombra di dubbio i contenuti di riflessione e di lotta del Movimento.
Le scelte e le conclusioni a cui le ACLI sono approdate non sono allora esclusivamente di natura culturale: esse sono maturate nell'esperienza di impegno e di lotta dei loro militanti.
E' emersa così chiara ed inequivocabile la coclusione (peraltro già avanzata al Congresso di Torino) che le ACLI non si identificano con l'attuale sistema capitalistico, fondato sullo sfruttamento e sull'alienazione dei lavoratori, sul profitto, sull'esclusione dei lavoratori e dei cittadini dal potere e dalle scelte decisionali che li riguardano come presenza e come classe.
Le ACLI invece sono impegnate nel Movimento Operaio per la costruzione di un progetto alternativo, il cui obiettivo è quello di una società che elimini l'alienazione e lo sfruttamento, si fondi sull'autogestione effettiva dei lavoratori e liberi le potenzialità umane di ciascuno rendendoli partecipi a pieno titolo della costruzione di una società a misura -dell'uomo.
In questo senso va interpretata l'ipotesi socialista avanzata a Vallombrosa, che se da un lato rifiuta ogni aggancio meccanico ai modelli e alle esperienze socialiste esistenti, dall'altro intende misurarsi con correttezza e coerenza sui contenuti, sulle proposte concrete, sulle scelte,ssui metodi, sugli obiettivi, sui modi ancora irrisolti dello sviluppo economico e sociale.
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La realizzazione di questo progetto alternativo comporta però la costruzione progressiva dell'unità della classe operaia: una classe operaia cosciente del suo ruolo, capace di gestire autonomamente le proprie lotte e i propri obiettivi è la condizione essenziale per garantire la democraticità di questa ipotesi.
In questo quadro va collocato il problema degli strumenti della classe operaia: si tratta, attraverso l'accelerazione del processo di unità sindacale, fondato su una reale autonomia e costruito dal basso, di recuperare un nuovo ruolo politico al sindacato, come espressione effettiva della coscienza di classe che matura al suo interno; si tratta ancora di avviare un confronto e un dialogo con tutte le forze di sinistra sul problema dell'unità politica dei lavoratori, attraverso una serie di rapporti non equivoci tra le diverse componenti, senza paura, ma anche senza miti. Su questi obiettivi le ACLI pensano di aprire nel paese, a cominciare dal loro interno, un vasto ed articolato dibattito, che si proponga come primo risultato immediato l'alimentazione e la crescita della coscienza di classe, che coscienza di condizione condivisa, e consapevolezza di poter esprimere un'alternativa di potere, un diverso assetto socio-economico, e una cultura capace di gestirlo nel senso dello sviluppo integrale e solidaristico dell'uomo. Per costruire l'alternativa al sistema capitalistico il dibattito va approfondito e continuato: le ACLI, nella consapevolezza dei loro limiti, ma anche con la certezza di avere qualche cosa da dare, sono disponibili al dialogo e al contributo con tutte le forze legate alla storia, alle lotte, alla vita del Movimento Operaio.