Sommario 2
Editoriale
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Dalle Langhe si vede il mare
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Virassul, erba brüsca e le altre
Storia di Giacomo Bove: dall’Astigiano all’Antartide
Quando la botanica parla piemontese
DIRETTORE RESPONSABILE Lidia Brero REDAZIONE E COORDINAMENTO EDITORIALE Fondazione Enrico Eandi
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La maison d’un artiste: Ezio Gribaudo
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Torino e i suoi dintorni. Anno 1916
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L’inglese di Baretti e Fenoglio
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Chi a l’ha massà ‘l Cunt Russ?
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Le parole del mondo dei vinti
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Carlo Vidua: un viaggiatore atipico
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Aj piemunteis ch’a travajo fora d’Italia
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Guido Boggiani: il pittore con la macchina fotografica Da Omegna al Chaco: viaggio, avventura e mistero
Disponibile anche online al seguente indirizzo: www.rivistasavej.it
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Nicola Duberti: il professore poeta che insegna il dialetto
Seguici su:
Appunti per un laboratorio di piemontese all’Università di Torino
FondazioneEnricoEandi
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Pit Piccinelli: un uomo che amava la vita
fEnricoEandi
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Guglielmo Massaja: un piemontese alle frontiere africane dell’Islam
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La Banda del Lupo
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Al centro della rete sociale: Fortunato Prandi di Camerana
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Lev Tolstoj alla scoperta del Piemonte
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Dusset o scherset?
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Scrivere il piemontese
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Le nostre firme
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Fondazione Enrico Eandi
Dinosauri d’autore a due passi dalla Mole
Un “Tuttocittà” della Torino d’inizio Novecento
Due piemontesi con il cuore oltre Manica
ILLUSTRAZIONE E PROGETTO GRAFICO Giuseppe Conti STAMPA L’Artistica Savigliano s.r.l. Savigliano (CN)
Storia dla misteriusa mort d’Amedeo VII
L’Archivio sonoro di Nuto Revelli
Dall’Egitto alle Americhe, la storia di un intellettuale intrepido e romantico
I flussi migratori in Piemonte
EDITORE Fondazione Enrico Eandi Via G. B. Bricherasio 8, 10128 – Torino info@fondazioneenricoeandi.it www.fondazioneenricoeandi.it
Un “buen retiro” d’artista tra le colline del Monferrato
Il rapporto controverso con la sua terra
Intervista a Benito Mazzi
© 2018 Fondazione Enrico Eandi Tutti i diritti riservati. Rivista in attesa di registrazione presso il Tribunale di Torino.
Un PR del diciannovesimo secolo
Giugno 1857: lo scrittore russo è a Torino, la città in cui “dovunque si può vivere e bene”
Orìgin e storia del di pi spaventus dl’ane
Alle radici del “sistema di grafia standard”
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Appunti per un progetto e Era il 21 aprile del 1974 quando Indro Montanelli, per alcuni anni editorialista di razza de La Stampa, pubblicava il suo ultimo Controcorrente sul quotidiano piemontese: nel prendere congedo dai lettori (stava per fondare Il Giornale), ritornava con la mente alle difficoltà che lo avevano stranamente colto — lui, facile di penna e di eloquio — nello stendere il suo primissimo articolo per il giornale di casa Agnelli: Sapevo benissimo cosa volevo dire. Ma mi paralizzava l’idea di dirlo ai piemontesi. […] In fondo, pensavo, chi sono? Facciamo pure l’elenco delle loro virtù e ammettiamo, scialando, che le abbiano tutte: e con ciò? Va bene, sono bravi: bravi contadini, bravi operai, bravi soldati, bravi funzionari, bravi tecnici, bravi imprenditori: e con ciò? Va bene, hanno fatto la Fiat, nessuno da questo momento lo sa meglio di me: e con ciò? Va bene, sono gli unici a sapere come si conduce uno Stato, una diplomazia, un esercito: e con ciò? Va bene, sono quelli che hanno fatto (Dio li perdoni, diceva mio nonno) l’Italia, noi li abbiamo soltanto aiutati a farla peggio di come l’avrebbero fatta loro, se l’avessero fatta da soli: e con ciò? Va bene, la loro cultura, rimasta sempre agganciata a quella europea, è meno provinciale della nostra: e con ciò? Tra i molti meriti di Montanelli, diamogliene uno nuovo: di aver fornito, a più di 40 anni di distanza, e in modo perfettamente inconsapevole, il destro per introdurre il progetto di Rivista Savej. Perché se quanto sopra è vero — dubitare è sempre saggio, specie dei complimenti; e per piemontesi pieni di understatement quali siamo, dubitare dei complimenti, oltre che saggio, è quasi doveroso; ma facciamo finta che lo sia — allora vale davvero la pena raccontare e raccontarci. Perché, diceva qualcuno, per sapere dove andare bisogna conoscere da dove si viene. Qualche anno fa la Fondazione Savej — oggi Fondazione Enrico Eandi (www.fondazioneenricoeandi.it) — varò il progetto Savej.it, un portale di e-commerce presso cui acquistare i testi pubblicati dalle case editrici piemontesi. Nel presentare l’iniziativa, Enrico Eandi scriveva: La crescente globalizzazione sociale e culturale che ha investito le società moderne, può rappresentare un rischio di estinzione per le tradizioni e per le memorie legate ad uno specifico territorio. In realtà però è la conoscenza stessa della propria identità, il sapere chi siamo, a diventare l’arma migliore per aprirsi al mondo senza timore di essere sopraffatti. Rivista Savej cerca, cercherà di fare proprio questo: divulgare la conoscenza dell’identità piemontese, raccontando.
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Raccontando la cultura e la mentalità di quei “bravi contadini, bravi operai, bravi soldati, bravi funzionari, bravi tecnici, bravi imprenditori” che assieme hanno effettivamente fatto l’Italia, ma prima ancora hanno fatto il Piemonte. Raccontare la loro lingua, perché una cultura specifica presuppone sempre una lingua altrettanto specifica con cui esprimersi. Raccontare la loro storia, che spesso, anche se non necessariamente, incrocia la Storia con la esse maiuscola (e a proposito di Italia: Giovanni Arpino doveva essere tendenzialmente d’accordo col nonno di Montanelli, se è vero che nella sua breve poesia Pais scrive: […] Ò povri nui, / che a fesse italian / suma empinì ed puj. Cultura, lingua, storia: tre facce della stessa medaglia, difficili da trattare singolarmente senza fornire un cattivo servizio. Scrive ad esempio Primo Levi: Noi non abbiamo mai accettato la desinenza barocca -issimo del superlativo latino e italiano. Non ne abbiamo bisogno: ne abbiamo talmente poco bisogno che non abbiamo neppure un equivalente rigoroso dell’italiano “molto” (abbiamo si un mutubim, ma goffo e in disuso). […] Non possiamo, e non vogliamo, dire che una ragazza è bellissima: diciamo che è bella come un (sic) fiore, che un vecchio è vecchio come il cucco, e che una medicina è grama come il tossico. Interessante: la lingua come testimonianza di una certa mentalità, e in quanto testimonianza, importante di per se stessa al di là delle opere letterarie che l’hanno più o meno adoperata. (E, nel caso della lingua piemontese, occorre anche aggiungere: più o meno correttamente adoperata. Perché sul come si scrive una lingua di dominante tradizione orale, ebbene, ci sono fior di discussioni. Ma ci teniamo questo argomento per un articolo, o anche più d’uno, da pubblicare poi). Dicevamo, qualche riga più in su: divulgare la conoscenza dell’identità piemontese, raccontando. “Divulgare” è la parola chiave. Fortuna vuole che il Piemonte possa contare su diverse realtà associative e culturali, e quasi altrettante pubblicazioni, in grado di dare una testimonianza efficace di questa terra e della sua gente. Ma in molti casi (non tutti) sono pubblicazioni che soffrono di una certa autoreferenzialità, o comunque parlano a chi a questi temi — il Piemonte, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia — già è interessato. Di solito, anzi, fortemente interessato. Lo scopo di Rivista Savej è, al contrario, parlare anche a chi verso questi argomenti ha un interesse poco più (o poco meno) che latente; e cercare di farlo con un tono contemporaneo, con un taglio contemporaneo.
Rivista Savej
o editoriale
In sintesi: meno Savoia, più Giacomo Bove. Buona lettura.
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DALLE LANGHE SI VEDE IL MARE
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Storia di Giacomo Bove: dall’Astigiano all’Antartide di Davide Mana Il fascino che il mare esercita da sempre su chi è nato e cresciuto fra le colline delle Langhe e del Monferrato non è solo il tema per una vecchia canzone di Paolo Conte. È come se l’aria salmastra del Mar Ligure in qualche modo esercitasse il suo richiamo superando le cime dell’Appennino, e il numero di uomini che il Piemonte meridionale ha dato alla storia nautica nazionale è certamente notevole. O forse, più prosaicamente, è stata l’Accademia Navale di Genova, ad esercitare questa attrazione, con la promessa di un’educazione superiore e di una buona prospettiva di lavoro per i figli delle famiglie contadine piemontesi. E con la promessa dell’avventura, naturalmente.
Cartografo, marinaio e ricercatore Giacomo Bove, nato a Maranzana (Asti) nel 1852, è certamente un buon esempio di questo doppio richiamo, al contempo romantico e pragmatico: quinto figlio di una famiglia di vignaioli e piccoli produttori di vino, l’Accademia Navale di Genova rappresentò per lui quasi certamente una via di fuga da una dura esistenza contadina nell’Italia post-unitaria. All’età di vent’anni, e fresco di brevetto da tenente, Bove venne imbarcato sulla Governolo, per una crociera scientifica che in due anni avrebbe portato il piroscafo italiano a circumnavigare il Borneo e a visitare la Malesia, le Filippine, la Cina e il Giappone. Oltre a cartografare le coste del Borneo, Bove venne coinvolto in studi idrologici ed etnografici, e si dimostrò particolarmente abile e intraprendente. L’esperienza sulla Governolo avrebbe successivamente portato Bove a cartografare le correnti dello stretto di Messina, nella spedizione del vascello Washington del 1877.
Passaggio a nord-est La competenza del giovane tenente Bove fece sì che l’anno successivo venisse imbarcato, in qualità di primo navigatore e unico rappresentante del Regno d’Italia sulla Vega, il vascello col quale l’esploratore e scienziato finlandese Nils Adolf Erik Nordenskiöld intendeva percorrere e cartografare il passaggio a nord-est, la rotta artica fra Europa ed Asia. La spedizione di Nordenskiöld, finanziata dal governo danese, fu la prima a percorrere il passaggio a nord-est con successo, pur restando intrappolata fra i ghiacci per circa dieci mesi fra il settembre 1878 e il giugno 1879, e completò il periplo del continente eurasiatico (35.000 chilometri) nel 1880, rientrando nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez dopo aver toccato la Siberia, e poi Giappone, Cina, Singapore e Ceylon. Nei mesi trascorsi fra i ghiacci, gli uomini della Vega vissero in igloo e svolsero tutta una serie di esperimenti scientifici ed osservazioni naturalistiche, etnografiche e astronomiche, e Bove, in qualità di addetto ai cronometri ed alla navigazione, venne coinvolto in prima persona.
Dall’Antartide alla Terra del Fuoco Fu un trionfo. Insignito del cavalierato dell’Ordine di Danneborg dalla corona danese, e nominato tenente dalla Regia Marina Italiana, Bove si mise immediatamente all’opera per organizzare la propria spedizione geografica e scientifica. Il suo progetto consisteva nel circumnavigare l’Antartide, dalla costa dell’Argentina a Città del Capo, al fine di raccogliere dati scientifici e cartografare le coste del continente, all’epoca certamente il luogo più misterioso del pianeta. L’ambizioso progetto di Bove non trovò particolare sostegno in patria, e venne scartato per mancanza di fondi. Fu perciò il governo dell’Argentina a finanziare due spedizioni, coordinate da Bove, una nel 1881 — 82, ed una nel 1883. Il progetto originario di Bove venne tuttavia alterato per favorire gli interessi economici del governo argentino, e l’esploratore italiano spese quindi gran parte del proprio tempo a cartografare e studiare non l’Antartide, ma la Patagonia e la Terra del Fuoco, con particolare attenzione alle risorse naturali. 5
La Vega nella baia di Konyam (Penkigney Bay, Russia).
In quest’anno s’apre all’esercizio la ferrovia degli Urali che stabilisce una comunicazione più breve possibile fra l’est e l’ovest. L’impresa nostra tende a donare al commercio tutte quelle arterie fluviali che cadono ad angolo più o meno retto su quella gran linea di ferrovia e di fiumi…ne saranno migliorate in un lontano avvenire le sorti di paesi immensi. Giacomo Bove — 10 febbraio 1878
I risultati della spedizione furono comunque straordinari per l’epoca, estremamente utili per lo sviluppo economico dell’Argentina; e fruttarono a Giacomo Bove un ulteriore riconoscimento internazionale e l’ammissione ad honorem nella Regia Accademia Geografica Italiana. Oggi in Argentina esistono un ghiacciaio, un fiume e un promontorio intitolati a Giacomo Bove. Quasi un secolo dopo, le mappe e le osservazioni di Bove sarebbero state utilizzate come pezza d’appoggio nel tentativo del governo argentino di reclamare il possesso delle isole Falkland.
di una successiva spedizione antartica che seguisse il suo progetto originario, fu una delusione. Gli italiani dovettero accettare che, data la presenza di altre potenze europee nell’area, l’ipotesi di accaparrarsi una fetta del territorio congolese aveva poche speranze. I territori del Congo inferiore sui quali si era appuntata l’attenzione del governo italiano si rivelarono spoglie e desolate, e la spedizione rientrò in Italia con un carniere di campioni di fauna e flora estremamente scarso. Nell’autunno del 1886, Bove dovette abbandonare la spedizione, avendo contratto una febbre tropicale.
La spedizione africana
Il mondo confinato in un ufficio
Nel 1885, finalmente il governo italiano trovò l’interesse e i fondi per finanziare una spedizione geografica, e Bove venne perciò mandato a cartografare il bacino del Congo, con un occhio allo sviluppo di una possibile impresa coloniale italiana in Africa. La spedizione, che probabilmente Bove sperava facesse da trampolino per il finanziamento
Il resoconto fornito da Bove al Ministero degli Affari Esteri, in cui si sottolineava come un’ipotesi di colonizzazione del Congo inferiore fosse fallimentare e sconsigliata, non rese il giovane esploratore particolarmente popolare presso l’amministrazione sabauda. Disilluso riguardo alla possibilità di finanziare la propria spedizione in Antartide
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e minato nel fisico dalla malattia, Bove abbandonò la Regia Marina e trovò un impiego come direttore de “La Veloce” una compagnia di spedizioni commerciali con sede a Genova. Possiamo immaginare come una scrivania in un ufficio di spedizionieri possa risultare avvilente per un giovane che, lasciatosi alle spalle la campagna, ha avuto la possibilità di vedere una parte del mondo molto più ampia di qualunque suo contemporaneo, partecipando attivamente all’esplorazione di luoghi sconosciuti ed esotici. L’azienda lo spediva in trasferta a curare gli affari nelle sedi distaccate e presso i clienti importanti. Di ritorno da una trasferta in Austria, ammalato, deluso, in preda a una forte depressione, Giacomo Bove si suicidò a Verona, il 9 agosto 1877, all’età di trentacinque anni. Il resoconto del ritrovamento del suo corpo venne affidato a un giovane giornalista locale, Emilio Salgari.
Giacomo Bove oggi E la storia potrebbe anche finire qui se non fosse per il lavoro di Maria Teresa Scarrone, una residente di Maranzana che ha fondato l’Associazione Culturale Giacomo Bove (www.giacomobove.it) e che da anni cura il piccolo museo dedicato alla vita e alle avventure di Giacomo Bove, organizzando da oltre un decennio il Giacomo Bove Day, al quale partecipano frequentemente personaggi della cultura internazionale, a testimoniare come l’esploratore italiano venga ancora ricordato e apprezzato più all’estero che nel nostro paese. Il Museo Bove di Maranzana è un piccolo gioiello molto ben nascosto fra le colline dell’Astigiano, ed è necessario possedere uno spirito da esploratori per scoprirlo. Il che, a suo modo, è probabilmente appropriato.
Passaggio a nord-est, rotta artica fra Europa e Asia.
Uno sguardo poetico sull’avvenire […] Che diverrebbe questo paese in mano di ventimila Italiani! pensavo dall’alto del mio osservatorio! Chi lo riconoscerebbe di qui a cinquant’anni! I villaggi si toccherebbero; sui fianchi delle colline, ora sepolte da una impenetrabile boscaglia, correrebbero i filari dei vigneti e si ammucchierebbero i canneti zuccherini; le aspre vallate sarebbero rallegrate dagli olivi; gli estuari dei fiumi irrigherebbero le immense risaje; le praterie sarebbero coperte di bestiame, e di per ogni dove sorgerebbero ed opifici e macchine a lavorare i prodotti greggi del vicino Paraguay e del vicino Brasile. E forse, se il sogno si avverasse, nel nuovo villaggio di San Carlos vi sarebbe anche una lapide a ricordare che da esso il tenente Bove additava le Missioni all’emigrazione italiana e preconizzava un felice avvenire a tanti suoi connazionali. Giacomo Bove, Note di un viaggio nelle Missioni ed Alto Paranà, Genova, Tipografia del R. Istituto de’ sordo-muti, 1885, p. 37.
Foto di Giacomo Bove sulla Vega (gentilmente concessa dall’Associazione Culturale Giacomo Bove & Maranzana).
BIBLIOGRAFIA Baccalario P., Canobbio A., Passaggio a nord-est: i viaggi avventurosi di Giacomo Bove, Acqui Terme, Comune di Acqui Terme, 2003. Bove G., Patagonia, Terra del Fuoco: mari australi, Genova, Tipografia del R. Istituto de’ sordo-muti, 1883. Colla E., Colla N., Giacomo Bove: un grande esploratore troppo dimenticato, Ovada, s.n., 1997. Cozzani E., Giacomo Bove e i suoi viaggi di esplorazione, Torino, Paravia, 1951. Negri C., Bove G., Idea sommaria della spedizione antartica italiana, Genova, Tipografia del R. Istituto de’ sordo-muti, 1880. Puddinu P. (a cura di), Un viaggiatore italiano in Giappone nel 1873: il “Giornale Particolare” di Giacomo Bove (Parte II), Sassari, Ieoka, 1999. Puddinu P. (a cura di), Un viaggiatore italiano in Borneo nel 1873: il “Giornale Particolare” di Giacomo Bove (Parte I), Asti, Regione Piemonte, Provincia di Asti, 2014. 7
VIRASSUL, ERBA BRĂœSCA E LE ALTRE
Quando la botanica parla piemontese di Giacomo Giamello
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La consuetudine che noi abbiamo nel denominare le entità che ci circondano, fa sì che ci dimentichiamo dell’inesauribile fantasia, del buon senso e delle capacità di osservazione dei nostri antenati che, nel corso dei secoli, hanno saputo assegnare a cose, animali, piante e stati d’animo un nome preciso. L’etimologia è la scienza che si occupa appunto di studiare la storia e l’origine delle parole, permettendoci di capire il cammino, sovente complesso, che ha compiuto un vocabolo per arrivare fino a noi. Un’idea delle straordinarie capacità di “nominare” dell’uomo ci può venire, ad esempio, dalla botanica con il suo vastissimo patrimonio di fitonimi (nomi di piante), in modo particolare quando lo si studia dal punto di vista delle lingue regionali, libere da schemi e norme prefissate. A questa regola non viene meno il piemontese, grazie alla curiosità, all’ironia, all’immaginazione e all’acuta capacità di osservazione della sua gente.
Le piante medicinali Un tempo era essenziale identificare un’erba o una pianta in modo semplice e rapido, magari fornendo anche qualche informazione circa le proprietà positive o negative della medesima, un esempio su tutti è l’erba bun-a, l’erba buona (Salvia sclarea). Questa pianta è infatti conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà salutari e ciò ne spiega il suo nome, proveniente dal latino salvus, sano. I Galli, in particolare, ritenevano che la salvia avesse la capacità di guarire tutte le malattie e infatti viene anche indicata come bun-a a tüt. Altre piante denominate per le loro proprietà medicamentose sono l’erba dij taj, delle ferite (Achillea millefolium), già usata da Achille per curare le ferite di Telefo; l’erba dij purèt, delle verruche (Chelidonium majus), il cui lattice giallognolo è in grado di far guarire da queste fastidiose formazioni cutanee; l’erba dël camule, delle carie dei denti (Hyosciamus albus), il cui infuso è conosciuto sin dall’antichità per le sue proprietà antidolorifiche e narcotiche.
LA SALVIA È “L’ERBA BUN-A”, L’EDERA IL “BRASSABOSCH”, “VIRASSUL” INDICA IL GIRASOLE. I NOMI DATI ALLE PIANTE TESTIMONIANO L’ACUTA CAPACITÀ DI OSSERVAZIONE DEI PIEMONTESI.
Noti alcune somiglianze? L’osservazione del comportamento o di alcune caratteristiche delle piante ha condotto a nomi come brassabosch, abbraccia alberi, dato all’edera (Hedera helix); virassul, il girasole (Helianthus annuus); erba brüsca, acidula, il romice (Rumex acetosa); cua ‘d caval, coda di cavallo (Equisetum ramosissimun) le cui foglie assomigliano ai crini della coda del cavallo; urije ‘d feja, orecchie di pecora, la piantaggine (Plantago officinalis), per i romani le foglie assomigliavano alla pianta dei piedi, per i piemontesi alle orecchie di una pecora.
Il periodo di fioritura Molti altri nomi sono collegati al periodo di fioritura per cui troviamo la pasquëtta, il fiore di Pasqua, la primula (Primula vulgaris), l’erba ‘d San Pe, di San Pietro, erba amara balsamica (Balsamita major) e l’erba ‘d San Giuan, di San Giovanni, l’iperico (Hypericum sp.). Ma in quest’ultimo caso il legame tra questa pianta e San Giovanni Battista è dovuto, oltre al periodo di fioritura, anche al fatto che il santo viene considerato da alcuni come l’analogo cristiano del mago, del maestro conoscitore e dispensatore delle proprietà delle piante. La tradizione vuole che le piante raccolte nella notte della sua festa avessero maggior efficacia.
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