Principi Pratiche e Strumenti

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PRINCIPI PRATICHE E STRUMENTI

Un approccio integrato per la qualità nei servizi 0/6

LINEE GUIDA PEDAGOGICHE

Le Linee Guida Pedagogiche (LGP) si inseriscono in un processo di qualificazione e trasformazione della fondazione da ente erogatore a ente attuatore.

In questa fase, già avviata da tempo, la fondazione ha scelto anche di dare valore all’approccio pedagogico in quanto organizzazione che si occupa di progetti e interventi a carattere specificamente educativo e pedagogico, oltre che nell’ambito della salute.

Inoltre, la definizione di una cornice pedagogica in cui si possano riconoscere tutti gli operatori di Fondazione Mission Bambini (FMB) rappresenta un passaggio fondamentale per risignificare l’operato e l’identità della Fondazione in questo delicato passaggio. In questo senso, le Linee Guida Pedagogiche rappresentano un primo passo per condividere e utilizzare tale cornice sia all’interno sia all’esterno della fondazione.

Approccio

LINEE GUIDA PEDAGOGICHE

PREMESSE

Come abbiamo lavorato

Le Linee Guida Pedagogiche sono frutto di un percorso di ricerca che ha coinvolto il Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali di Università Cattolica, alcuni gruppi di lavoro di FMB e la direzione della fondazione. A partire dall’analisi di interviste semi-strutturate e documenti e dalla rielaborazione in comunità di pratiche, sono stati definiti i principi e gli elementi fondanti, gli orientamenti e le raccomandazioni delle presenti Linee Guida.

guida pedagogiche

Linee Guida:

cosa sono e a cosa servono

Le Linee Guida non sono dei protocolli, cioè prescrizioni di comportamenti standardizzati uguali per tutti, utili a raggiungere un particolare risultato. I protocolli, infatti, prescrivono specifiche sequenze di azioni e fasi di lavoro secondo uno schema predefinito, escludendo spazi di discrezionalità.

Le Linee Guida, diversamente, contengono informazioni, conoscenze e indicazioni operative per garantire un intervento di qualità che sappia essere flessibile rispetto al contesto. Le Linee Guida supportano il professionista in tutte quelle situazioni in cui è necessario prendere decisioni diverse a fronte di situazioni non predefinibili.

Il senso delle Linee Guida “pedagogiche”

La pedagogia è una scienza pratico-poietica, cioè non riconducibile al puro conoscere ma diretta al fare e all’agire. Dotata di una propensione pratica marcata, è la scienza che si occupa di riflettere sull’educazione, sui problemi e sui fenomeni educativi, e di orientare e fornire indicazioni operative e quadri interpretativi utili a chi di educazione si occupa.

La sua finalità è quindi lo studio dell’educazione con orientamento pratico, al fine di «costruire la base progettuale per la realizzazione di interventi educativi dotati di senso e capaci di favorire nelle persone coinvolte elaborazioni di significato relative alla loro esistenza» (Premoli, 2022, p. 25).

Il sapere dell’educazione è volto a rendere l’azione all’interno dei contesti educativi meno incerta, precaria, frammentata ed estemporanea. Il focus pedagogico, pertanto, comporta il prestare attenzione alla dimensione dell’intenzionalità, del cambiamento, e del significato e senso (pedagogico ma non solo) di ciò che facciamo.

La Fondazione Mission Bambini opera all’interno di contesti ricchi di esperienze educative e formative quali famiglie, scuole e servizi socioeducativi, gruppi di pari, luoghi di lavoro, enti del terzo settore, mezzi di comunicazione, sistemi collettivi e politici.

Le Linee Guida Pedagogiche della Fondazione rappresentano una cornice di riferimento pedagogico, costruita sistematicamente a partire da informazioni, conoscenze, valori e modelli di lavoro sviluppati negli anni all’interno dell’organizzazione. L’obiettivo delle LGP è fungere da guida per gli operatori della fondazione, sia a livello progettuale, sia operativo, per orientare comportamenti, processi di lavoro e modus operandi, senza tuttavia perdere la specificità di ogni gruppo di lavoro e dei relativi contesti. Rappresentano uno

Linee guida pedagogiche

strumento condiviso, chiaro e riconoscibile sugli orientamenti pedagogici della Fondazione e contribuiscono a garantire un indirizzo pedagogico comune per la Fondazione.

Le LGP operano su due livelli allo scopo di:

• agire secondo una prospettiva armonizzata in tutte le aree, favorendo una coerenza interna, verso una direzione condivisa (INTERNO).

• orientare le modalità di interazione e di lavoro con gli interlocutori della fondazione (partner, donatori, aziende, volontari, etc...) (ESTERNO).

PARADIGMA DI RIFERIMENTO

Con paradigma si intende un insieme di teorie, modelli di lavoro e strumenti condivisi all’interno di una comunità in un dato periodo di tempo. Si tratta di una visione del mondo che esprime il modo in cui un’organizzazione legge la realtà e opera in essa. Il paradigma spiega e attribuisce significato alle situazioni, offre indicazioni per agire, e definisce metodologie, metodi, strumenti e procedure possibili.

Fanno parte del paradigma pedagogico gli approcci e gli orientamenti, i concetti, le attenzioni metodologiche e gli strumenti.

Con approcci e orientamenti pedagogici intendiamo cornici di intervento globali che contengono sia teorie sia implicazioni pratiche (metodologie e strumenti).

La terminologia di riferimento è frutto della sintesi tra il linguaggio pedagogico e i concetti specifici del contesto.

Le attenzioni metodologiche sono intese come singole indicazioni operative, parte di sistemi di significato più ampi.

Approcci e Orientamenti pedagogici

Modello Ecologico di Bronfenbrenner Linee

Approccio educativo basato sui diritti

Linee

Partecipazione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze

Approccio basato su punti di forza e bellezza

Approccio educativo basato sui diritti

(Convention on the Rights of the Child)

Diritto di esprimere la propria opinione

Accesso alle informazioni appropriate

Protezione dalla discriminazione

Salute e cure mediche

Diritto al gioco e alliberotempo

Secondo l’approccio basato sui diritti dei bambini (Child Rights-based Approach) anche tutti i cittadini minorenni sono titolari di diritti. Il punto di riferimento fondamentale è la Convention on the Rights of the Child (CRC), approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata in Italia nel 1991.

Nell’approccio centrato sui bisogni al centro è posta la risposta ai bisogni mentre in quello basato sui diritti l’enfasi è sulla realizzazione dei diritti. Il punto di partenza non è più un bisogno da soddisfare ma l’esigibilità di un diritto. L’approccio basato sui diritti pone l’attenzione sulle cause strutturali dei problemi e sulle loro manifestazioni, considerando il contesto sociale, economico, culturale, civile e politico in cui le persone vivono; inoltre riconosce che i diritti possono essere realizzati solo attraverso l’empowerment dei soggetti portatori di diritto, finalizzato a rendere questi ultimi capaci, sia a livello individuale sia a livello collettivo, di esigere l’attuazione dei propri diritti.

È utile definire la differenza tra l’adozione di un approccio basato sui diritti (rights-based approach) e di una prospettiva basata sui diritti (rights-based perspective).

L’assunzione di una prospettiva basata sui diritti fa riferimento a una gamma di tentativi di applicare i concetti e le logiche di azione che discendono dalle dichiarazioni dei diritti in modo anche consistente ma non necessariamente esaustivo. Mentre si può parlare di approccio basato sui diritti soltanto quando l’obiettivo dichiarato del programma di intervento (che sia lo sviluppo o che sia la protezione dei bambini) diviene un sotto-obiettivo della massima realizzazione dei diritti delle persone coinvolte.

Nell’incontro tra educazione e diritti, è possibile:

• considerare i diritti in modo trasversale, come fonte di ispirazione di progetti e servizi (educativi);

• orientare la logica degli interventi, connettendo il lavoro educativo con i diritti;

• assumere la prospettiva dei diritti come strumento delle progettazioni sociali, educative, di comunità;

• utilizzare la prospettiva dei diritti come framework operativo generale;

• adottare un approccio basato sui diritti come punto di riferimento per costruire progetti ducativi centrati sui diritti – e non sui bisogni – e come codice etico di orientamento di progetti e interventi.

L’assunzione di un approccio basato sui diritti può avvenire al termine di un percorso graduale di riflessione e di trasformazione dello sguardo e delle pratiche.

Linee guida pedagogiche

Modello Ecologico di Bronfenbrenner

Cronosistema

Indica il fattore temporale, includendo eventi storici o cambiamenti significativi nella vita dell’individuo.

microsistema

Include le relazioni più dirette dell’individuo, come la famiglia, i pari e gli insegnanti

mesosistema esosistema macrosistema

Comprende le interazioni tra i vari elementi del micro-sistema, come il rapporto tra famiglia e scuola.

Influenze indirette, come le politiche lavorative dei genitori, i mass media e i servizi sociali.

Il contesto culturale, i valori, le credenze e le leggi della società in cui l’individuo vive.

Immagine elaborata a partire dalle rese grafiche del modello di Bronfenbrenner

Quartiere
Nazione
Leggi Mass Media
Servizi Sociali Religione Famiglia Educatori e Insegnanti Coetanei

La teoria ecologica di Bronfenbrenner si basa sull’idea che l’ambiente in cui cresciamo e le relazioni in cui siamo coinvolti influiscono su tutti i piani della nostra vita. In questo modello, l’ambiente viene concepito come un insieme di sistemi collegati e interconnessi tra loro,

organizzati a partire da quelli più vicini al bambino, fino a quelli più distanti. Le relazioni tra individuo e ambiente avvengono all’interno di strutture concentriche a differenti livelli: al centro vi è il microsistema, che comporta relazioni dirette con le persone circostanti, seguito dal mesosistema, cioè le interazioni tra l’individuo e più microsistemi; la situazione ambientale ampia costituisce l’esosistema, in cui l’individuo non partecipa direttamente alle interazioni tra mesosistemi, ma ne viene influenzato, mentre il macrosistema connette tutti i livelli precedenti in una dimensione che comprende il sistema culturale a cui l’individuo sente di appartenere.

Alcune conseguenze dell’applicare questo modello nella comprensione delle realtà umane che si incontrano sono:

• considerare lo sviluppo dell’essere umano (bambino ma non solo) in funzione di tutte le variabili che compongono la sua ecologia e come frutto di un’interazione complessa e dinamica tra i sistemi;

• considerare l’efficacia del processo educativo come risultato di una interazione tra i diversi ambienti;

• considerare la qualità delle relazioni tra genitori e figli come il prodotto della qualità delle relazioni che si intrecciano tra i vari sistemi;

• prediligere pratiche di intervento centrate sulla famiglia e sui diversi sistemi di bambini e bambine.

Partecipazione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze

I bambini decidono cosa fare, come farlo e gli adulti sono presenti solo come facilitatori.

I bambini propongono idee e gli adulti li aiutano a realizzarle senza imporre il loro punto di vista.

Gli adulti e i bambini collaborano nella progettazione delle attività.

Gli adulti chiedono l’opinione dei bambini prima di decidere e spiegano loro come useranno le idee raccolte.

Gli adulti prendono decisioni, ma spiegano ai bambini cosa stanno facendo e perché.

Immagine elaborata a partire dalla rielaborazione delle scale della partecipazione (Hart, Lansdown, Shier)

I principali approcci metodologici relativi alla partecipazione di bambini e ragazzi derivano dalle teorie di Hart e Lansdown che analizzano i diversi livelli di

partecipazione che i minorenni possono avere nei processi che li riguardano.

Esistono diverse classificazioni utili per posizionare i progetti di partecipazione, generalmente si parte dalla distinzione tra processi informativi o consultivi in cui i minorenni sono parte informata (o del cui parere si tiene conto) rispetto ad iniziative che li coinvolgono, processi partecipativi in cui vi sono azioni di autonomia ma restano prevalentemente impostati e gestiti da adulti, ed esperienze di partecipazione diretta in cui l’azione nasce dai minorenni e gli adulti hanno il ruolo di facilitatori.

Alcune attenzioni rispetto al concetto di partecipazione:

• non fanno parte della partecipazione tutte quelle azioni riconducibili ad una “non partecipazione” come iniziative ed attività di manipolazione (i minorenni sono usati per portare avanti delle tematiche definite dagli adulti), decorative (minorenni usati per dare forza alle istanze degli adulti) o di partecipazione simbolica (tokenism) e strumentale (i minorenni vengono coinvolti e viene chiesto il loro parere ma in questioni su cui non hanno potere e non possono influire).

• secondo il comitato Onu (commento generale n. 12) una piena partecipazione è: trasparente ed informata, volontaria, rispettosa, rilevante, adatta a bambini e ragazzi, inclusiva, supportata da adulti preparati, sicura e sensibile ai rischi, verificabile.

solaio

Linee guida pedagogiche

Approccio basato su punti di forza e bellezza

primo piano

piano terra

fondamenta

suolo

sviluppo stima di sé

Ricerca di altre esperienze da scoprire

sviluppo attitudini e competenze

sviluppo senso dell’umorismo

Scoperta del senso da dare alle proprie azioni. Coerenza fra sentimenti, pensieri e azioni

Accettazione incondizionata della persona. Correzione dei comportamenti inadeguati. Buona rete di relazioni informali

Soddisfazione dei bisogni fisici di base

Immagine elaborata a partire dalla casita di Vanistendael

Interventi e progetti educativi non possono non considerare l’autodeterminazione delle persone, la dimensione del rischio e del cambiamento, e la non prevedibilità degli esiti. Si trovano quindi poco in linea con la prospettiva determinista in cui ogni evento è inevitabilmente determinato da ciò che lo precede e in cui le persone sottostanno a un destino predeterminato dalle situazioni avverse. Uno degli approcci che supera questa visione determinista del mondo è quello orientato alla ricerca del positivo, delle risorse e dei punti di forza, delle forme di resilienza e della bellezza nelle storie al centro di servizi e progetti educativi.

Tale approccio, a partire dal riconoscimento della vulnerabilità come condizione umana, intende superare la visione ereditata dal paradigma sanitario e patogenico del secolo scorso, concentrata a porre l’accento su ciò che non funziona, sulle mancanze, sul “sistemare ciò che non va”. Pur riconoscendo vuoti e mancanze, punti di forza e risorse di ciascun individuo diventano il punto di partenza di interventi e progetti educativi, in una prospettiva che si orienta verso il riconoscimento del potenziale positivo delle persone e delle loro capacità di essere parte attiva nella costruzione del proprio futuro.

Questo approccio rimanda anche al concetto di resilienza. Con resilienza si intende la capacità di assorbire un urto (trauma) e riorganizzarsi. Certamente non si è più la persona di prima ma, grazie all’evento traumatico (e non nonostante tale evento) si sviluppa la capacità di interagire

con i fattori di rischio e gli eventi negativi, considerando le difficoltà come transitorie e parte della vita. La resilienza è frutto della combinazione di più fattori, e può essere sviluppata anche grazie all’aiuto dei “tutori di resilienza”: adulti di riferimento con cui il bambino entra in relazione (insegnanti, educatori, allenatori, etc..), capaci di stimolare le sue risorse e metterlo al centro della propria storia passata, presente e futura.

Concetti operativi

Educazione e istruzione

Istruzione deriva dal latino “in-struere” e significa inserire, portare dentro. L’istruzione pone quindi l’attenzione sul processo di trasmissione e acquisizione di conoscenze, abilità e saperi disciplinari. È un processo sistematico che riguarda la preparazione tecnica e culturale delle persone che si compie generalmente all’interno del sistema scolastico. È un elemento essenziale all’interno delle società, è tendenzialmente obbligatoria fino ad una certa età, si sviluppa in un arco di tempo definito e riguarda il contesto formale degli apprendimenti. È considerata un diritto umano fondamentale ed è inserita come diritto nella Convention on the Rights of the Child (art.28, CRC).

Educazione deriva dal latino “ex-ducere” che significa tirare fuori, far emergere qualcosa che è nascosto, ma anche da “edere” che significa nutrire, alimentare, quindi apportare qualcosa da fuori. L’educazione riguarda quindi lo sviluppo della persona, il far emergere il soggetto protagonista per accompagnarlo nel percorso di crescita, per promuoverne lo sviluppo e la realizzazione di sé in tutte le dimensioni dell’esistenza. L’educazione riguarda principalmente l’attivazione di processi di cambiamento e l’azione educativa “non è un intervento sull’altro ma insieme all’altro sulla realtà” (Santerini, 2014, p.95), per questo l’educazione riguarda la promozione umana

individuale e collettiva.

Strettamente collegato ai concetti di istruzione ed educazione è quello di apprendimento, definito come l’acquisizione di conoscenze, comportamenti, abilità, valori. L’apprendimento può avvenire in contesti formali, informali e non formali, attraverso l’istruzione, lo sviluppo personale, la formazione o l’esperienza. L’apprendimento non è limitato a una certa età ma si sviluppa durante tutto l’arco della vita (lifelong learning), e in tutti gli ambiti e aspetti dell’esistenza (lifewide learning).

La sovrapposizione tra i termini educazione e istruzione è legata prevalentemente all’utilizzo della parola inglese education – che nel mondo anglosassone indica l’istruzione di tipo scolastico – per riferirsi ai diversi campi e contesti delle esperienze educative. Nell’Europa continentale prevale, invece, un’idea più ampia di educazione (si pensi al termine tedesco Bildung), che ricomprende la vasta gamma di esperienze educative e formative, anche ma non soltanto scolastiche. I contesti educativi sono certamente contesti in cui si genera apprendimento, che però non si esaurisce nella trasmissione e acquisizione di conoscenze, abilità e saperi disciplinari.

I professionisti dell’educazione sono l’educatore e il pedagogista (L. 205/2017), ma esistono altre professioni che possono anche avere funzioni educative.

Salute e benessere

L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia». In questa definizione si delineano tre aree della salute: fisica, mentale e sociale.

Il benessere fa riferimento allo stato ottimale di salute di singoli individui ma anche di gruppi di persone (WHO Health Promotion Glossary: new terms). Due sono gli aspetti fondamentali: la realizzazione delle massime potenzialità di un individuo a livello fisico, psicologico, sociale, spirituale ed economico, e l’appagamento delle aspettative del proprio ruolo nella famiglia, nella comunità, nella comunità religiosa, nel luogo di lavoro e in altri contesti.

Rispetto ai minorenni, l’articolo 24 della CRC riconosce a tutti i bambini e adolescenti il diritto di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione e prevede che gli Stati si sforzino di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi, nonché di dare piena attuazione a tale diritto (gruppo CRC).

Rispetto al tema della salute e del benessere di bambini e bambine, è importante sottolineare che:

• il benessere non è legato solamente alle caratteristiche personali o all’accesso ai sistemi sanitari ma è condizionato dal rapporto tra il/la bambino/a e i propri ambienti di vita;

• la diseguaglianza nella distribuzione delle risorse è collegata alla disuguaglianza negli esiti di salute di bambini e bambine.

• politiche e interventi possono contribuire a migliorare il benessere di bambini e bambine in particolare per le fasce più vulnerabili dove le condizioni di partenza sono più sfavorevoli.

Sviluppo (della persona)

Le teorie odierne vedono lo sviluppo degli esseri umani come risultante di fattori genetici, ambientali e familiari e degli intrecci tra questi tre sistemi. Dal momento che lo sviluppo del bambino si inserisce nel complesso e intrecciato rapporto di circolarità tra questi fattori, risulta evidente come non possano essere applicati ragionamenti lineari e deterministici a riguardo. Ad esempio, il ritardo nello sviluppo del linguaggio non può essere letto solo come risultato di predisposizioni genetiche.

Secondo il Nurturing Care framework for Early Child Development (NCF) gli elementi più significativi che incidono sullo sviluppo infantile sono: buono stato di salute, alimentazione adeguata, genitorialità responsiva, protezione e sicurezza, e opportunità di apprendimento precoce.

In questa cornice, gli elementi e i meccanismi di sviluppo nei primi anni di vita sono gli stessi in ogni contesto, così come sono gli stessi i fattori che possono ostacolarlo o promuoverlo. Ciò che cambia, da un paese all’altro, ma anche da una zona all’altra della stessa città, è la

combinazione tra rischi e opportunità. Per questo motivo si deve agire per consentire a tutti i bambini e tutte le bambine di poter “partire bene” nella vita, per combattere le diseguaglianze.

È quindi fondamentale l’apporto di tutte le realtà, istituzionali e non, nella realizzazione di progetti, attività, servizi e interventi che siano di contrasto alle disuguaglianze e che favoriscano ambienti ricchi di occasioni e di fattori di promozione dello sviluppo.

Bambini e bambine, ragazzi e ragazze

Con il termine bambino e bambina generalmente ci si riferisce agli individui fino ai 10 anni (al cui interno si differenziano le fasce 0-3, prima infanzia, e 3-6 infanzia), a cui seguono i/le preadolescenti (11-14) e gli/ le adolescenti (15-18), spesso più in generale definiti come ragazzi e ragazze. A queste categorie può essere aggiunta quella dei giovani adulti, fascia d’età indicativamente compresa tra i 19 e i 30 anni.

Va distinto dal termine infanzia che fa riferimento ad un costrutto sociale, formatosi nel ‘900, ed è strettamente legata alla rappresentazione sociale che di essa viene data (l’idea di infanzia cambia nel tempo e nello spazio) accompagnata dai relativi pregiudizi e stereotipi. Non esite in italiano un termine sovrapponibile alla parola Child che indica tutte le persone tra gli 0 e i 18 anni di età. Per riferirsi a questa fascia si utilizza la parola minorenni o “persone minori di anni 18”. È sconsigliato l’utilizzo del termine “minori” in quanto rimanda ad una condizione di inferiorità, di minorità.

Sistema scolastico

(sistema educativo di istruzione e di formazione)

Il sistema scolastico in Italia è organizzato nel seguente modo:

Sistema integrato zero-sei anni articolato in:

• servizi educativi per la prima infanzia, che accolgono bambini e bambine dai 3 mesi ai 3 anni;

• scuola dell’infanzia, che accoglie i bambini tra i 3 e i 6 anni.

Primo ciclo di istruzione, obbligatorio, della durata complessiva di 8 anni, articolato in:

• scuola primaria, di durata quinquennale (età 6-11 anni);

• scuola secondaria di primo grado, di durata triennale (età 11-13 anni).

Secondo ciclo di istruzione articolato in due tipologie di percorsi (età 14+):

• scuola secondaria di secondo grado;

• percorsi triennali e quadriennali di istruzione e formazione professionale.

Al termine del secondo ciclo di istruzione è possibile accedere all’offerta formativa delle Università e delle istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica.

Il sistema di istruzione per gli adulti è composto dai Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA).

Servizi socio-educativi

I servizi socioeducativi sono quei servizi alla persona (L 328/2000) con finalità educative e sociali in cui si realizzano attività educative e formative, finalizzate alla crescita e alla formazione personale, all’autonomia e alla socializzazione. In questa tipologia di servizi risulta centrale la funzione educativa così come l’utilizzo di strumenti educativi. Si differenziano dai servizi sociosanitari, che sono inseriti all’interno del sistema e del paradigma sanitario, e da quelli socio-assistenziali, che mettono al centro la dimensione dell’assistenza alla persona.

I servizi socioeducativi hanno una duplice valenza: sociale ed educativa. Ne è un esempio il nido che, nato come servizio di conciliazione famiglia-lavoro per consentire alle madri di poter lavorare lasciando i figli in carico ad altre persone, e oggi intreccia alla dimensione sociale una funzione educativa esplicita e dichiarata, che mira a generare veri e propri apprendimenti. Alcune caratteristiche dei servizi socio-educativi sono: dare risposte adeguate ai complessi bisogni di bambini e bambine; progettare e realizzare attività educative appropriate ai diversi momenti della crescita; prevedere la presenza di figure adulte significative; prendersi cura della relazione non solo con gli adulti ma con il gruppo dei pari.

La modifica del titolo V della Costituzione Italiana ha inserito l’ambito socio-educativo nella competenza delle Regioni, pertanto le tipologie dei servizi socio-educativi

sono normati dalle singole Regioni. Questo crea una forte discrepanza territoriale, a partire dalle terminologie specifiche fino ad arrivare ai livelli di erogazione dei servizi (inclusi accessibilità e qualità).

Povertà educativa

Il concetto di povertà educativa viene introdotto nelle scienze umane da alcuni sociologi ed economisti alla fine degli anni ‘90 allo scopo di evidenziare come la povertà sia un fenomeno multidimensionale che non può essere ridotto a fattori prettamente economici. Pur riconoscendo il rischio di teorizzare e categorizzare infinite forme di povertà, e così perdere di vista la dimensione olistica della persona, l’introduzione di questo concetto è utile per stimolare riflessioni che mettano al centro la dimensione educativa e non più esclusivamente quella economica.

La povertà educativa ad oggi viene definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni” (Save the Children). Significa non avere le stesse opportunità di vivere esperienze educative e formative o non poter accedere a servizi, contesti, materiali e strumenti educativi di qualità.

Resta evidente la forte connessione con la dimensione della povertà economica con cui però non coincide, poiché è frutto di una correlazione tra diverse problematiche che si sviluppano in aree differenti come quella economica ma anche della socializzazione, della salute, culturale

etc. Per questo motivo, forme di povertà educativa come carenze relazionali, trascuratezza educativa o mancanza di autostima e capacità relazionali, sono riscontrabili anche in famiglie non necessariamente svantaggiate dal punto di vista socio-economico.

Sostegno alla genitorialità

Con genitorialità si intendono tutte le funzioni che i genitori assolvono per accudire e prendersi cura dei figli. La funzione genitoriale non è una capacità innata ma è frutto di un apprendimento e non può essere isolata dal contesto in cui si sviluppa e viene esercitata.

L’approccio universale e progressivo per lo sviluppo identifica in conoscenze, competenze, tempo e risorse materiali ciò di cui hanno bisogno i caregiver per fornire un’adeguata cura ai bambini. Secondo Belsky la genitorialità è la risultante di un insieme di fattori quali: caratteristiche personali del genitore, caratteristiche personali del bambino, caratteristiche sociali e contestuali.

La genitorialità è uno degli elementi che influenza l’ambiente di sviluppo; pertanto, il sostegno alla genitorialità influisce positivamente sullo sviluppo di bambini e bambine.

Non si tratta di valutare delle competenze genitoriali ma di riconoscere le diverse forme di genitorialità e accompagnare i genitori nello sviluppo e implementazione delle competenze (anche riqualificandole) per rispondere alle esigenze quotidiane e ai bisogni concreti di bambini e bambine, genitori e famiglie. Significa prendersi cura dei genitori affinché possano agire al meglio le proprie

competenze genitoriali occupandosi dei propri figli. Se utilizzato in questo senso, il sostegno alle competenze genitoriali diventa una risorsa per confrontarsi con nuove visioni e nuovi punti di vista e uno strumento per stimolare riflessività e apprendimenti trasformativi.

Inclusione sociale

Il termine inclusione sociale si riferisce alla società e alle sue attività inclusive (tra cui la politica) e riguarda diversi aspetti e ambiti, tra i quali l’inclusione scolastica. Il fine ultimo dell’inclusione sociale è garantire l’inserimento di ciascun individuo all’interno della società, fornendo pari opportunità, indipendentemente dalla presenza di limiti e differenze. In una prospettiva inclusiva, le differenze vengono viste come modi personali di porsi nelle diverse relazioni e interazioni, pertanto non dovrebbero dare origine a forme di disuguaglianza e discriminazione.

Perseguire l’inclusione sociale significa: avere come obiettivo l’eliminazione di qualunque forma di discriminazione all’interno di una società; rispettando le diversità; operare per il cambiamento di un sistema culturale e sociale che perpetra forme di discriminazione; favorire la partecipazione attiva e completa di tutti gli individui; costruire contesti inclusivi capaci di includere tutte le persone. Le disuguaglianze sociali si combattono migliorando la vita quotidiana dei bambini attraverso politiche e pratiche che riguardano la genitorialità, la qualità dei servizi educativi e scolastici, l’attuazione dei diritti dei bambini e gli interventi

Linee guida pedagogiche di contrasto alla povertà infantile.

Minorenni e agency

Il concetto di agency può essere definito come la capacità di agire attivamente e trasformativamente nel contesto in cui si è inseriti. Partendo dalla considerazione che tutti gli esseri umani sono agenti, la Social Relations Theory rileva una differenza nelle risorse di cui ciascuno dispone per sostenere le proprie azioni: risorse individuali, risorse relazionali e culturali.

A partire dalla CRC, la partecipazione dei minorenni è considerata un loro diritto, pertanto, non possono essere considerati solo come destinatari di interventi e azioni a loro rivolti ma come attori. Riconoscere i minorenni come soggetti adatti ad agire li definisce automaticamente come dotati di agency, superando la visione paternalistica che li vede solo come soggetti da proteggere e tutelare. Secondo la Social Relations Theory, l’agency dei minorenni deve essere intesa nel contesto relazionale in cui questi sono intimamente connessi, incluse le relazioni con i loro caregivers (gli adulti che si occupano di loro) e con la cultura in cui vivono.

Bambini e bambine, ragazzi e ragazze possono essere considerati soggetti attivi poiché sono capaci di autodeterminarsi, di interpretare informazioni, di costruire attivamente significati e di influire sull’ambiente circostante. Non si può quindi occuparsi di bambini e bambine in una prospettiva di diritti e partecipazione senza considerare la dimensione dell’agency come centrale in tutte le fasi del progetto, a partire dall’analisi del contesto.

Capacity building

Nella definizione delle Nazioni Unite, il capacity-building è definito come “il processo di sviluppo e rafforzamento delle competenze, degli istinti, delle abilità, dei processi e delle risorse di cui le organizzazioni e le comunità hanno bisogno per sopravvivere, adattarsi e prosperare in un mondo in rapido cambiamento”.

In educazione diventa un concetto interessante quando viene utilizzato come punto di partenza per sviluppare riflessioni in merito a che risorse e che processi possano essere utili a individui, organizzazioni e società per far fronte ai cambiamenti. In questo senso, si può fare riferimento a teorie e studi sulle competenze interculturali, sui modelli di società della conoscenza e learning sociaty, sull’apprendimento esperienziale o sul capability approach per lo human development.

Un’ultima riflessione riguarda la connessione tra il capacity building e la dimensione della sostenibilità e, quindi, dello sviluppo sostenibile. Uno dei maggiori teorici dello sviluppo sostenibile, Amayrta Sen, lo definisce attraverso le parole del Rapporto Brundtal come “la possibilità di soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di far fronte ai propri bisogni”. Oltre ad individuare competenze, abilità e processi utili per adattarsi e operare in un modo che cambia continuamente, bisogna quindi considerare anche come farlo senza togliere alle generazioni successive la stessa possibilità.

Beneficiari e destinatari

A partire dal riconoscimento di una sovrapposizione tra i due termini in molti ambiti, si propone una lettura maturata da alcune riflessioni all’interno della progettazione europea che può aiutare a identificare meglio la distinzione tra beneficiari e destinatari. I beneficiari sono le persone a cui è rivolto il progetto o l’intervento, i soggetti verso i quali le azioni e le attività del progetto sono mirate (definibili anche gruppo target o beneficiari finali). È possibile differenziare tra:

• beneficiari diretti: le persone che traggono un beneficio diretto dalle attività progettuali – e che spesso partecipano in prima persona ad esse.

• beneficiari indiretti: tutte le altre persone su cui si immagina che il progetto o le azioni avranno ricadute indirette.

I destinatari possono essere differenti rispetto ai beneficiari. In questo caso, i destinatari sono coloro che prendono parte alle attività del progetto, dalle fasi di progettazione allo svolgimento delle azioni previste. Utilizzando un esempio: nei progetti di adozione in vicinanza si possono considerare destinatari gli enti partner, perché saranno loro che svolgeranno le singole attività del progetto, e beneficiari i bambini e i genitori che parteciperanno alle attività (nel caso di percorsi sulle competenze genitoriali il bambino è un beneficiario indiretto). I beneficiari e destinatari dei progetti e interventi della fondazione sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze ma anche famiglie, adulti, genitori, care giver, operatori...

Attenzioni metodologiche

La lista delle attenzioni metodologiche non segue un criterio d’importanza ma cerca di presentare prima le attenzioni interne poi quelle verso l’esterno e infine quelle trasversali.

Tali attenzioni sono da intendere in senso dinamico e interattivo. Ciascuna non viene mai utilizzata da sola ma vengono combinate e composte in base alla situazione, creando delle costellazioni di rifermento che raccontano la complessità e l’interazione tra i diversi aspetti.

Qualità: attenzione a proporre progetti, interventi e azioni che siano riconoscibili come “di qualità” per la fondazione e per le persone coinvolte (destinatari, beneficiari, stakeholder). È collegata alla capacità di prendersi cura del proprio lavoro che si concretizza nel “fare qualcosa bene” e con precisione, consapevoli del ruolo che si ha e dell’impatto e delle ricadute del proprio lavoro (senso di responsabilità). Contiene la dimensione della trasparenza intesa non solo come rendicontazione delle risorse impiegate ma soprattutto come rendere visibile i processi di lavoro e le persone coinvolte.

Per gli operatori un’alta qualità del lavoro è strettamente connessa alla mission e ai valori della Fondazione.

Coerenza valoriale: attenzione alla coerenza con i valori della fondazione di libertà, giustizia, verità, rispetto degli altri, solidarietà e “cultura del dono come motore di cambiamento”.

Non si tratta di un’adesione formale ai valori ma la coerenza valoriale permette di essere riconosciuti da partner, donatori, aziende e volontari e garantisce il focus rispetto alla mission della Fondazione

Concretezza: sviluppare azioni e progetti che rispondono ad alcune necessità/opportunità di contesti e di persone, con attenzione alla realizzazione di utilità ed esiti tangibili, misurabili e verificabili. È una dimensione fondamentale per l’impatto dei progetti e che rimanda alla qualità dell’operato.

Collaborazione: prestare attenzione a rapporti tra uffici differenti; non si tratta solo di favorire scambi e comunicazioni ma di saper utilizzare e valorizzare al meglio le competenze e le risorse interne. Questo permette di rendere più fluidi e migliorare i processi trasversali e di utilizzare al meglio le risorse presenti.

Cura delle relazioni (con gli interlocutori): prendersi cura di rapporti e relazioni con gli interlocutori, a partire dalla costruzione di una relazione di fiducia reciproca, e grazie all’attenzione ai dettagli, l’interesse verso cose e persone e la valorizzazione delle caratteristiche di ciascuno. Operando in tale senso si genera una crescita sia della Fondazione che dei partner grazie allo scambio e al dialogo che si sviluppano all’interno di un rapporto così curato.

Adattabilità al contesto: mettere al centro l’attenzione verso il territorio, rispettando gli approcci e le visioni dei partner, e valorizzando risorse, reti e specificità di ciascun

sistema, non proponendo progetti di standardizzazione; alla base vi è una buona capacità di lettura del contesto e un’attenzione alle differenze (culturali) accompagnata da un lavoro sartoriale e su misura, non modellizzante.

Co-progettazione (co-design): non imporre modelli predefiniti ma lavorare insieme agli stakeholder per costruire progetti e attività che sappiano rispondere alle esigenze di quello specifico territorio e di quelle specifiche famiglie. È garanzia di una non standardizzazione dell’intervento.

Importanza della rete: creare le condizioni per la costruzione di reti e relazioni tra comunità, persone, organizzazioni a partire da interessi comuni; promuovere scambi di buone pratiche all’interno delle reti; implementare la capacità di fare rete di tutti i soggetti con cui la Fondazione collabora.

Attenzione alle fonti: integrare nel lavoro anche le fonti da cui vengono presi dati, approcci e strumenti; saper scegliere le fonti e le tipologie di dati, approcci e strumenti in linea con FMB.

Documentazione: tenere traccia di ciò che viene prodotto, non solo in termini di risultati ma anche di processi. Definire strumenti utili a FMB per documentare il lavoro. I progetti e le attività all’interno dell’Area Infanzia sono l’esito di una progettazione condivisa tra partner e FMB capace di combinare di volta in volta, in modo unico e

Linee guida pedagogiche

contestualizzato, approcci, attenzioni metodologiche e concetti operativi.

Data l’intenzione dei progetti di rispondere ai bisogni del territorio combinando il know how, gli approcci e le metodologie del partner e della fondazione, ne consegue che ogni attività avrà un focus specifico e una preponderanza di alcuni elementi rispetto ad altri.

È quindi possibile immaginare le attività come delle costellazioni che raccontano la complessità e l’interazione tra tutti questi aspetti.

Di seguito alcune costellazioni esemplificative:

CURA delle RELAZIONI

teoria ecologica

sostegno alla genitorialità

importanza della rete inclusione sociale e agency

qualità

approccio educativo basato sui diritti

IMPORTANZA DELLA RETE

inclusione sociale

Strumenti

Gli strumenti di progettazione, monitoraggio e valutazione della Fondazione differiscono a seconda dei diversi gruppi di lavoro e aree di intervento. Obiettivo delle LGP non è uniformarli o “renderli educativi” ma aiutare gli operatori a riflettere in merito alla tipologia degli strumenti e al come vengono utilizzati. In particolare, si sottolinea l’importanza che siano coerenti con le attenzioni metodologiche e gli approcci precedentemente presentati. Anche gli strumenti in uso da parte dei partner possono essere analizzati in chiave pedagogica.

UTILIZZO DELLE LINEE GUIDA

Il primo step riguarda la condivisione e disseminazione delle LGP. Un secondo passaggio riguarda come rendere le LGP operative, concrete e realizzabili. Entrambi i passaggi si muovono sui due livelli, interno ed esterno.

Interno: le LGP possono essere utilizzate per guidare l’operato di tutte le aree della Fondazione, in modo da creare una cassa di risonanza pedagogica. Per fare ciò è necessario accompagnare i singoli gruppi di lavoro nell’implementazione delle LGP all’interno degli specifici contesti. Si tratta di tradurre in modo operativo le linee guida. A supporto di tale processo risulta fondamentale sostenere la capacità di utilizzare un linguaggio pedagogico condiviso.

Esterno: le LGP possono essere utilizzate per diffondere la cultura pedagogica della Fondazione agli interlocutori esterni. Nello specifico possono fare da sfondo alla creazione di strumenti di monitoraggio dei partner, al fine di verificare la coerenza con i valori alla cultura pedagogica della Fondazione. Rispetto a bandi e progetti, può fungere da cornice di riferimento per orientare le progettazioni. Nei confronti di donatori e volontari può rappresentare una guida nell’impostazione delle relazioni

L’elaborazione dei contenuti delle Linee Pedagogiche è frutto di un progetto di ricerca commissionato da Fondazione Mission Bambini (FMB) al Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali (RELINT) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sotto la direzione scientifica del prof. Silvio Premoli, Professore Ordinario in Pedagogia generale e sociale.

L’attività di ricerca ha coinvolto ricercatori e ricercatrici del RELINT e professionisti della Fondazione.

Il documento finale è stato redatto da Silvia Brena, Noemi Michilini e Silvio Premoli (RELINT) e da Elisa M.F. Salvadori (FMB).

La parte grafica è stata curata da Aresia Gargiulo (FMB)

Agosto 2025

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AREA INFANZIA IN ITALIA

Questo documento – esito di un percorso di ricerca e consulenza con il Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano - nasce dal desiderio di presentare ai partner, secondo la logica di lavoro condiviso e partecipato che caratterizza la Fondazione, la cornice pedagogica in cui si inseriscono i progetti sostenuti da Mission Bambini (FMB).

Questo materiale vuole essere uno strumento conoscitivo in favore dei partner, sia nuovi sia consolidati, affinché possano essere esplicitate le visioni e le modalità di lavoro della Fondazione nella gestione dei progetti e delle relazioni, in una dimensione di senso e significati che affondano nella storia e nelle evoluzioni di FMB.

AREA INFANZIA

IN ITALIA

PREMESSE

In questa direzione il documento è organizzato in paragrafi che, prendendo avvio dal racconto dei valori, della mission e delle evoluzioni della postura di Mission Bambini rispetto ai progetti che sostiene, sia in Italia che all’estero, giunge a spiegare le diverse modalità di collaborazione che caratterizzano l’impegno nell’Area Infanzia in Italia, nello specifico.

In particolare, si è dato spazio in modo più dettagliato al progetto Scintilla che per Mission Bambini integra le modalità, le azioni, i target e gli obiettivi che si prefigge nel sostegno a famiglie con bambini e bambine nella fascia 0-6 anni.

La parte finale affronta il tema del monitoraggio, aspetto fondamentale nella sua duplice funzione di racconto dei cambiamenti e di strumento di riflessione e miglioramento.

Fondazione Mission Bambini:

una storia e una mission in evoluzione

Mission Bambini nasce a Milano nel 2000 con lo scopo di “aiutare e sostenere bambini e ragazzi che siano poveri, ammalati, senza istruzione o che abbiano subito violenze fisiche o morali, dando loro l’opportunità e la speranza di una vita degna” (Statuto FMB). Nel tempo la mission espressa da queste parole, che riflettono la visione della Fondazione originariamente impegnata solo nel sostegno di progetti educativi all’estero, si è evoluta con l’obiettivo di sostenere bambini e bambine, ragazzi e ragazze e famiglie affinché possano trovarsi nelle condizioni migliori di crescita e sviluppo delle loro competenze socio relazionali.

La modalità di lavoro, all’inizio, è stata esclusivamente di tipo erogativo in quanto venivano valutate richieste di finanziamento presentate da diverse realtà quali associazioni, fondazioni o ordini religiosi che offrivano servizi educativi e/o di cura per bambini e bambine e che proponevano progetti che necessitavano di un supporto economico. Il lavoro di FMB consisteva principalmente nell’attivare i possibili canali di raccolta fondi per assicurare la crescita del numero dei progetti finanziati e la loro sostenibilità a medio/lungo termine.

Nel corso degli anni lo sguardo si è spostato anche all’interno dei confini nazionali grazie al know-how maturato nei partenariati all’estero e parallelamente

Area

l’attenzione si è posta anche sul tema della scarsa accessibilità dei bambini e delle bambine ai servizi educativi per la prima infanzia.

Nel 2005 nasce un programma progettato e implementato in maniera diretta: Cuore di Bimbi, che ha l’obiettivo di garantire interventi in loco e screening preventivi per bambini e bambine affetti da cardiopatie. Nonostante il focus sia sanitario, la Fondazione nel tempo si prende cura anche delle situazioni familiari nel delicato momento delle operazioni cardiochirurgiche e nelle successive cure, in una logica di intervento olistico/globale. Questo lavoro sfocia nella progettazione e realizzazione della Casa Cuore di Bimbi, una casa aperta 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, per accogliere i genitori dei bambini e delle bambine ricoverati in ospedale per cure o interventi che sarà realizzata nel 2026.

In questi anni evolve anche l’approccio in Italia e i bandi realizzati danno vita ad una fitta rete di collaborazione su tutto il territorio nazionale. Così, nel 2013 Mission Bambini decide di approfondire alcune collaborazioni e di renderle più strutturate e a lungo termine. Nascono le Adozioni in Vicinanza che hanno l’obiettivo ambizioso di provare a contrastare la scarsa accessibilità delle famiglie più vulnerabili a servizi socioeducativi di qualità. Questo strumento permette di sperimentare le prime co-progettazioni in cui la Fondazione definisce delle linee di finanziamento e chiede ai partner di presentare dei progetti che siano legati ai bisogni del territorio e al know-how dell’ente che lo presenta.

Area

Successivamente, nel 2018, grazie ad un bando di Impresa Sociale Con i Bambini, Mission Bambini sperimenta una nuova modalità che affianca alla co-progettazione anche una nuova funzione di coordinamento, lavoro di rete e supervisione con 12 realtà territoriali (in 8 regioni diverse) che si occupano di servizi socioeducativi per famiglie con bambini e bambine nella fascia 0-6 anni. Oggi la Fondazione è sempre più interessata allo sviluppo di partenariati in Italia, con cui fortificare le tematiche che ha a cuore, come ad esempio i diritti di bambini e bambine, con uno sguardo all’implementazione della qualità educativa dei servizi oltre che di supporto economico.

La vision e i valori

La visione che guida FMB è l’idea di assicurare a tutti i bambini e a tutte le bambine l’accompagnamento necessario all’interno delle comunità di riferimento, per vivere, crescere e avere accesso ad un futuro dignitoso, riconoscendo il diritto all’istruzione e alla salute. Con i progetti e con le azioni che vengono sviluppate, FMB punta a rendere ogni contesto autonomo e in grado di sostenersi ispirandoci a questi valori:

• Crediamo che ogni persona e ogni comunità portino in sé un VALORE unico e riconoscibile.

• Ascoltiamo e ci prendiamo CURA dei bambini e delle famiglie. Sentiamo la RESPONSABILITÀ di rispondere in maniera concreta e trasparente ai bisogni reali che incontriamo, oggi.

• Siamo convinti che ogni bambino possa sempre riscrivere il proprio FUTURO, se gli vengono offerti opportunità e strumenti.

• Promuoviamo la CULTURA DEL DONO come motore di cambiamento.

• Diamo VOCE a chi non ha la forza di farsi sentire: rendiamo visibili gli invisibili.

• Creiamo RETI tra persone, comunità, organizzazioni, attivando relazioni: dal filo al tessuto.

• Lavoriamo con passione e concretezza per generare IMPATTO SOCIALE.”

Le attività di Mission Bambini

Le attività generali

I principali ambiti di intervento, sia in Italia che all’estero, sono Educazione e Salute. In ambito educativo la Fondazione lavora per contrastare la povertà educativa garantendo l’accesso a percorsi di istruzione, educazione e formazione di qualità, anche a supporto dell’inclusione lavorativa e sociale, in Italia e all’estero. Ciò viene sviluppato lavorando anche con le comunità educanti, con i genitori e caregiver dei bambini e delle bambine, affinché gli adulti possano essere accompagnati in percorsi di crescita psicosociale ed educativa.

Nell’ambito Salute, la Fondazione lavora per promuovere la prevenzione e garantire l’accesso a cure tempestive per tutelare la salute di bambini e ragazzi con particolare riferimento alle cardiopatie congenite o acquisite, nei Paesi con un sistema sanitario carente. Cuore di Bimbi è un progetto ad implementazione diretta in cui Mission Bambini definisce strategia, operatività e i paesi di intervento, in collaborazione con Ospedale Niguarda di Milano.

In 24 anni, i programmi di sostegno a bambini e ragazzi in Italia e all’estero hanno raggiunto più di 1.400.000 bambini in 77 paesi in tutto il mondo, attraverso la realizzazione di oltre 2.000 progetti . Per i dati specifici di ogni anno, si rimanda alla lettura del Bilancio Sociale.

Le attività dell’Area Infanzia

In Italia, in particolare dal 2006, l’Area Infanzia mira a rispondere alla povertà educativa, all’isolamento delle famiglie nella loro funzione educativa, soprattutto in aree territoriali caratterizzate da forte fragilità sociale e dalla scarsità di possibilità di accesso ai servizi educativi 0-6 di qualità.

Nel 2013 FMB ha attivato le Adozioni in Vicinanza con l’obiettivo di rendere i servizi educativi per la prima infanzia accessibili alle famiglie più vulnerabili coprendo i costi delle rette (totalmente o in maniera parziale) o supportando le spese di gestione del personale educativo. Ad oggi restano attivi 8 progetti di Adozione in Vicinanza in alcuni territori, quali Trieste, Marcheno (BS), Bologna, Palermo, Milano, Foggia, Novara e Roma.

L’impegno dell’Area Infanzia in Italia è culminato nell’anno 2022 con l’avvio delle Stelle Mission: una rete di servizi educativi per la prima infanzia, avviata in collaborazione con alcuni storici partner nelle città di Bari, Catania, Napoli, Sesto San Giovanni (MI) e Roma. Si tratta di presidi educativi in cui FMB lavora in maniera sinergica con gli enti che li gestiscono operativamente. Per questi progetti sono previste delle linee progettuali comuni e una cornice pedagogica co-costruita e partecipata e si lavora in ottica di co-progettazione definendo insieme le priorità e attivando tutti i canali utili alla sostenibilità e alla crescita della rete (formazione, supervisione, promozione e comunicazione e raccolta fondi).

Le relazione con i partner locali

Mission Bambini nell’Area infanzia intrattiene rapporti con una rete di partner territoriali, presenti nell’intero territorio nazionale. Le due possibili modalità con cui si relaziona con gli enti territoriali sono le seguenti:

Modalità erogativa: si basa principalmente su un sostegno finanziario che ha delle precise linee di finanziamento. Il partner progetta l’intervento in autonomia includendo alcuni aspetti caratterizzanti il lavoro di Mission Bambini, come per esempio un certo numero di rette agevolate o gratuite per includere famiglie in difficoltà, la partecipazione di volontari nella vita del servizio, la partecipazione dei genitori all’attività dei servizi, ecc. Obiettivo dichiarato è quello di aumentare i posti disponibili all’interno del servizio e/o renderli più accessibili alle famiglie che potrebbero non essere in grado di accedervi.

Modalità Implementativa: questa modalità è considerata un’evoluzione rispetto alla precedente perché prevede che al contributo economico si affianchi la cornice pedagogica progettuale di FMB che entra come partner anche nella fase di progettazione dell’intervento. In questo caso, l’obiettivo è quello di promuovere un servizio educativo di comunità che sia accessibile, inclusivo e di qualità. Mission Bambini diventa catalizzatore di buone pratiche, momenti di formazione, supervisioni multidisciplinari e nazionali

andando a tracciare, con ciascun partner, le priorità che meglio rispondono alle esigenze dei diversi territori al fine di poli educativi di comunità.

Sistema di monitoraggio e verifica

Il sistema di monitoraggio assume come riferimento sia i quattro approcci delle Linee Guida Pedagogiche che gli elementi progettuali condivisi in co-progettazione (obiettivi, azioni, impegni dei partner). In questo modo si promuove coerenza e integrazione tra i principi educativi e quanto programmato e realizzato nei singoli progetti.

Il sistema si basa su un accompagnamento costante del percorso progettuale e dei partner, attraverso colloqui periodici, strumenti dedicati e spazi di confronto.

L’intero processo si articola in due macro-aree:

• Monitoraggio Partner, orientato allo sviluppo qualitativo.

• Verifica Progetto, focalizzata sulla realizzazione di quanto programmato.

Il Sistema è supervisionato dal Coordinamento di FMB, che organizza i momenti di accompagnamento e supporta l’utilizzo degli strumenti di raccolta e analisi dei dati.

Il presente documento Principi, Pratiche e Strumenti prevede una sezione specifica dedicata al Sistema di monitoraggio e verifica e agli strumenti di valutazione correlati.

Gli step di progettazione

Tutti gli enti (associazioni, fondazioni, enti del terzo settore) che lavorano nell’ambito dell’Area Infanzia fanno riferimento al coordinamento d’Area che si occupa della collaborazione con i partner a partire dal primo contatto fino al processo di analisi, valutazione e approvazione delle proposte progettuali e alla successiva realizzazione del progetto con momenti di monitoraggio e verifica.

Il coordinamento dell’Area Infanzia di Mission Bambini ha il preciso compito di seguire tutti gli step della progettazione sia per chi rinnova la collaborazione con FMB, sia per chi presenta una nuova proposta di collaborazione.

Gli step di progettazione sono i seguenti: definizione progetto analisi comitato tecnico valutazione cda contratto etico realizzazione progetto rendicontazione

I step -DEFINIZIONE PROGETTO: lavoro in partnership tra coordinamento e referente dell’ente partner per definire insieme il progetto da sostenere (intreccio tra bisogni del territorio, know how dell’ente e indicazioni della fondazione). Questo step si conclude con il riesame da parte del Responsabile dell’Area Progetti per convalidarlo e presentarlo al Comitato Tecnico

II step-ANALISI COMITATO TECNICO: il progetto viene presentato al Comitato Tecnico che ha il compito di analizzare la proposta per individuare e segnalare al CdA iniziative e progetti coerenti con le finalità della Fondazione monitorando poi lo stato di avanzamento dei progetti approvati. Il Comitato Tecnico è composto dal Presidente, dal Direttore Generale, dal Responsabile dell’area Progetti e da altri soggetti nominati dal CdA.

III step-VALUTAZIONE CDA: il progetto è presentato al CDA dal Responsabile dell’Area Progetti che lo valuta a seconda degli indirizzi dell’attività della Fondazione

IV step-CONTRATTO ETICO: in caso di approvazione del progetto, il coordinamento dell’Area Infanzia procede a dare comunicazione all’ente proponente inviando un Contratto Etico, da controfirmare, che definisce l’impegno tra le parti, l’ammontare della delibera - importo stanziato - le fasi di monitoraggio e rendicontazione e i reciproci impegni.

V step-REALIZZAZIONE PROGETTO: l’ente procede alla realizzazione del progetto in base a quanto definito.

VI step-RENDICONTAZIONE: alla conclusione del progetto l’ente si occupa della rendicontazione dello stesso in base alle indicazioni di FMB mentre la fondazione si occupa della valutazione.

Durante l’intero iter del progetto, la Fondazione prevede un sistema di monitoraggio e verifica del progetto e del servizio coinvolto (vd. sezione dedicata).

Al termine del progetto e completata la rendicontazione, è possibile per l’ente procedere con il rinnovo della proposta a partire dallo step 1.

Stelle Mission

Le Stelle Mission diventano quindi spazi educativi di riferimento per le famiglie. All’interno di ogni Stella esistono diversi interventi educativi per famiglie con bambini e bambine nella fascia 0-6 anni, come ad esempio micronidi, laboratori genitore/ bambini e percorsi di consulenza genitoriale. Ciascuna Stella opera autonomamente sul territorio all’interno della cornice progettuale definita in co-design con Mission Bambini.

A livello locale ogni Stella si trova in contesti con peculiarità specifiche di ogni territorio che hanno in comune le seguenti caratteristiche: • sono zone periferiche di grandi città con elevata povertà economica e/o educativa;

• presenza di un significativo numero di nuclei familiari con background migratorio;

• forte presenza di nuclei familiari con svantaggi socioeconomici.

Essendo le Stelle Mission la progettualità di punta dell’Area Infanzia, questi progetti possono contare anche su un ulteriore strumento importante per il partenariato e il lavoro di co-progettazione. Si tratta di un Tavolo Trasversale di confronto a cui partecipano professionisti di Mission Bambini afferenti a tutte le aree di competenza della Fondazione (Progetti, Comunicazione, Volontariato e Raccolta fondi). L’obiettivo è quello di attivare i processi pertinenti ai diversi dipartimenti al fine di supportare i progetti connettendoli con il lavoro della Fondazione intera. I/Le referenti delle Stelle Mission si confrontano direttamente e in autonomia con i componenti del Tavolo Trasversale con la supervisione del coordinamento dell’Area Infanzia.

Area infanzia in Italia

Scheda progettuale delle Stelle Mission

OBIETTIVO GENERALE: contrasto alla povertà educativa attraverso il supporto e il rinforzo di servizi socioeducativi per la prima infanzia accessibili e ad alto impatto educativo per bambini e bambine nella fascia 0-6 e le loro famiglie.

TARGET

1. BAMBINI E BAMBINE 0-6 anni: le Stelle Mission intendono garantire l’opportunità di accesso a servizi socioeducativi di qualità a tutti i bambini e le bambine nella fascia 0-6, con particolare attenzione per quelli e quelle maggiormente vulnerabili, offrendo progettualità educative costruite sulle specifiche necessità. Un attento percorso di monitoraggio e una supervisione offerta dall’Area Infanzia di Mission Bambini permette alle équipe dei servizi infanzia di lavorare in maniera concreta e solida rispetto al percorso educativo di bambini e bambine.

2. FAMIGLIE: i genitori e gli adulti di riferimento rappresentano una parte attiva del percorso educativo offerto ai loro bambini e bambine, e sono accompagnati e supportati nella crescita di competenze genitoriali mediante corsi di formazione, gruppi di confronto, consulenze psicologiche, webinar, incontri online e piattaforme digitali ricche di contenuti pedagogici.

3. ORGANIZZAZIONI: Fondazione Mission Bambini opera per rafforzare le competenze professionali e tecniche delle organizzazioni coinvolte al fine di migliorare la loro capacità operative, programmatiche, finanziarie ed organizzative. Tre i livelli di intervento:

• Operatori/trici: sono offerti percorsi di formazione sui temi psico-pedagogici legati all’infanzia attraverso formazioni dirette e l’utilizzo di una piattaforma online con contenuti multimediali, dispense e ricerche. È inoltre fornita una consulenza pedagogica per garantire momenti di confronto e condivisione a livello nazionale, mantenendo uno sguardo continuativo rispetto alle azioni messe in atto nei servizi.

• Organizzazione: mediante la formazione offerta da Mission Bambini sui temi del management aziendale viene formata all’interno di ciascun centro infanzia la figura del Manager di Sostenibilità a cui è affidato il controllo e la gestione del servizio e le attività di raccolta fondi volte a rendere sostenibile il servizio nel tempo.

• Territorio: gli/le educatori/trici e in particolare i/ le coordinatori/trici dei servizi sono coinvolti/e in un percorso formativo relativo alla figura dell’Operatore di Prossimità e Accoglienza. Il suo

compito è quello di creare e sostenere una rete territoriale in grado di costruire una presa in carico globale della famiglia e del bambino o bambina. Oltre ai Servizi Sociali e gli enti del terzo settore si lavora per coinvolgere le Istituzioni pubbliche, le scuole e i cittadini affinché la tutela dell’infanzia diventi una corresponsabilità di tutti.

MODALITA’ DI LAVORO

Il progetto si basa su un partenariato triennale (rinnovabile) con diverse realtà collocate sul territorio nazionale e che hanno già precedentemente collaborato con Mission Bambini. Questi presidi educativi sono le Stelle e ciascuna realtà che partecipa al progetto come partner lo fa attraverso un proprio servizio educativo che eroga attività differenti ad esempio nido, centro prima infanzia, consulenza genitoriale, counseling, laboratori... Il valore aggiunto di questa “messa in rete” delle varie peculiarità dei territori si concretizza proprio nella volontà di non fornire proposte precostituite ma, al contrario, di pensare progetti che riconoscano e valorizzino le specificità individuale.

Seguendo una logica di condivisione di buone pratiche per una crescita professionale, ogni realtà locale che risponde ai bisogni specifici valorizzando le risorse del territorio e le proprie competenze, condivide con le altre Stelle le strategie sperimentate. Il progetto Scintilla, inoltre, si integra con altre

progettualità attive in un’ottica di complementarità e con la finalità di rendere i servizi coinvolti poli

educativi di qualità per la fascia 0-6 anni, capaci di lavorare in modo circolare e sinergico a processi di presa in carico globale della famiglia attraverso l’attivazione dell’intera comunità educante.

Caratteristica del tipo di lavoro che Mission Bambini garantisce alla rete nazionale delle Stelle è un approccio capace di lavorare in maniera sinergica accogliendo e rispondendo a diverse sfaccettature della povertà educativa.

Il coordinamento di Mission Bambini, in collaborazione con una consulente pedagogica, promuove una crescita delle singole realtà grazie all’accompagnamento, alla supervisione, alle comunità di pratiche con l’obiettivo di supportare concretamente la messa a terra del modello di ingaggio e coinvolgimento pensato per le famiglie, sui diversi territori, per essere il più possibile aderente alle esigenze delle famiglie stesse.

La rete creata e curata da Fondazione Mission

Bambini ha sostanzialmente dato vita ad una macro-équipe multidisciplinare formata da diverse figure operative dei servizi gestiti dagli enti partner e coinvolte nelle progettualità in capo a Mission

Bambini su tutto il territorio italiano (educatori/trici, pedagogisti/e, counselor, psicologi/ghe, coordinatori/ trici di servizio, …).

Area infanzia in Italia

LE AZIONI IN RELAZIONE AI TARGET

All’interno della cornice del progetto Scintilla, ciascuna Stella realizza le seguenti azioni con i diversi target:

FAMIGLIE

• Laboratori aperti a genitori e figli: laboratori incentrati sull’arte, sulla lettura e su altre discipline, sulla scoperta e gestione delle emozioni personali, con lo scopo di favorire la relazione genitore-bambino/a ma anche di creare processi di evoluzione che coinvolgano tutti gli attori in gioco.

• Incontri di formazione e confronto: incontri dedicati ai genitori su tematiche varie (ad es. rapporto genitori/figli, salute, conflitti intrafamiliari, conciliazione famiglia-lavoro, ecc.) al fine di avere spazi di confronto supportati da professionisti esperti che possono curare il processo di consapevolezza e di comprensione.

• Affiancamento individuale: attenzione individuale rivolta alle famiglie più fragili per la gestione di problemi specifici connessi all’educazione di figli/e e ad altre aree che incidono sulla stabilità familiare.

• Presa in carico della Comunità: presa in carico attraverso il lavoro dell’Operatore di Prossimità e Accoglienza a cui è affidato il compito di orientare e segnalare le famiglie alla rete territoriale di riferimento.

BAMBINI E BAMBINE 0-6 ANNI

• Accesso gratuito o tariffe agevolate ai servizi.

• Ampliamento dei servizi extra curriculari: laboratori, uscite, incontri e feste.

• Supporto formativo agli educatori: formazioni, buone pratiche, professionisti specialisti per garantire qualità ed efficienza nelle risposte date alle sempre nuove esigenze di ogni bambino o bambina.

• Attivazione di percorsi di supporto (ibridi: presenza/digitale).

• Presa in carico personalizzata delle situazioni di più ampia vulnerabilità.

L’IMPEGNO DI MISSION BAMBINI NEI CONFRONTI

DEI PARTNER E DEI PROGETTI

La Fondazione si impegna nei confronti dei partner a supportare la crescita degli/delle operatori/trici e ad implementare la qualità dei servizi educativi, attraverso le seguenti azioni:

FORMAZIONE PEDAGOGICA: attivazione di corsi di formazione su temi specifici legati all’infanzia in base a un’attenta analisi condivisa del bisogno emergente. Lo sguardo è sempre multidisciplinare quindi, accanto a corsi su tematiche specificatamente educative e pedagogiche, la Fondazione propone anche percorsi che allargano lo sguardo degli/delle operatori/trici ad altre discipline come la psicomotricità.

Area infanzia in Italia

FORMAZIONE MANAGERIALE: attivazione di corsi in gestione e controllo, fundraising e comunicazione, project management, impresa sociale…

SCAMBI DI BUONE PRATICHE: comunità di pratiche con l’obiettivo di condividere i saperi, non solo intesi come conoscenze ma anche come strategie, capacità di analisi e di risoluzione di problemi, in modo che ogni realtà possa declinarli all’interno del proprio servizio costruendo conoscenza insieme. Ad esempio, durante la Pandemia 2020 sono stati organizzati una serie di incontri e scambi strutturati con l’obiettivo di condividere idee e pratiche al fine di trovare strumenti di lavoro nuovi per la situazione creatasi (es. strumenti e modalità per un’efficace gestione del colloquio da remoto con i genitori).

PIATTAFORME DIGITALI: piattaforma progettata per proporre contenuti fruibili anche a distanza, per garantire un ampio target di destinatari, sia dalle famiglie che degli/dalle operatori/trici in ottica di crescita professionale.

SUPERVISIONE PEDAGOGICA: spazi di confronto, garantiti dal sinergico lavoro della consulente pedagogica e della coordinatrice dell’Area Infanzia, che stimolano la crescita professionale grazie allo sviluppo delle competenze riflessive rispetto alle dimensioni pedagogiche.

Conclusioni

L’Area Infanzia risulta rappresentativa di una modalità di lavoro e di approcci che riguarda anche il resto della Fondazione Mission Bambini. Cambiano i target e gli obiettivi progettuali ma non la cornice di senso che caratterizza il lavoro di Mission Bambini. Obiettivo di questo documento è, quindi, quello di esplicitare posture, sguardi, processi e attenzioni che entrano in gioco nella progettazione di Mission Bambini e che, per quanto riguarda il lavoro con i partner permettono di:

• Avere punti cardinali condivisi che orientano progetti e interventi.

• Implementare la qualità del lavoro educativo a partire da spunti teorici che entrano in relazione con le pratiche

• Costruire un linguaggio comune con significati condivisi per poter avere chiarezza comunicativa e un focus attento e puntuale su indicatori in grado di raccontare in maniera chiara e trasparente gli interventi che vengono sostenuti e implementati

• Promuovere elasticità e adattabilità per rispondere in maniera più adeguata alle esigenze specifiche dei territori

CONTATTI

Per informazioni su:

• Fondazione Mission Bambini e sulle possibilità di supporto: info@missionbambini.org

• Sui progetti in Italia: progetti.italia@missionbambini.org

• Sui progetti dell’Area Infanzia (coordinamento Area Infanzia): Serena Sartirana - serena.sartirana@missionbambini.org

Il documento è stato redatto da Silvia Brena e Noemi Michilini (RELINT) e da Elisa M.F. Salvadori e Serena Sartirana (FMB)

La parte grafica è stata curata da Aresia Gargiulo (FMB)

Agosto 2025

TOOLKIT A SOSTEGNO DELLA

QUALITA’ EDUCATIVA

NEI SERVIZI 0-6

Questo documento – esito di un percorso di ricerca e consulenza con il Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano - nasce dal desiderio di presentare ai partner, secondo la logica di lavoro condiviso e partecipato che caratterizza la Fondazione, la cornice pedagogica in cui si inseriscono i progetti sostenuti da Mission Bambini (FMB).

Questo materiale vuole essere uno strumento conoscitivo in favore dei partner, sia nuovi sia consolidati, affinché possano essere esplicitate le visioni e le modalità di lavoro della Fondazione nella gestione dei progetti e delle relazioni, in una dimensione di senso e significati che affondano nella storia e nelle evoluzioni di FMB.

TOOLKIT A SOSTEGNO DELLA

QUALITA’ EDUCATIVA NEI SERVIZI 0-6

PREMESSE

Siamo consapevoli che l’adozione di posture educative differenti e l’integrazione di nuove teorie nel lavoro quotidiano non siano processi immediati né privi di difficoltà. Tuttavia, è altrettanto riconosciuto che le pratiche quotidiane, se osservate e analizzate attentamente, spesso riflettono implicitamente teorie educative significative. Pertanto, riteniamo che le pratiche rappresentino un punto di partenza fondamentale per l’introduzione e l’approfondimento di nuove prospettive teoriche nei servizi educativi 0-6. Attraverso una riflessione critica su queste pratiche è possibile rendere operative le teorie pedagogiche e tradurle in azioni concrete, promuovendo un ambiente educativo in cui le teorie e le pratiche si arricchiscono reciprocamente. In questa visione, le attività svolte quotidianamente all’interno nei servizi per la fascia 0/6 possono diventare

una potente leva per l’apprendimento di posture educative che riflettono approcci teorici fondamentali, come quelli esplorati nelle Linee Guida Pedagogiche (LGP) della Fondazione. Tali attività quotidiane non rappresentano solo occasioni di apprendimento, ma anche momenti di trasformazione del “proprio modo di vedere il mondo”, delle proprie cornici epistemologiche e percettive, che informano lo sguardo attraverso cui gli educatori e le educatrici (e gli adulti in generale) interpretano le situazioni educative e le esperienze dei bambini e delle bambine, influenzando così la qualità dell’intervento educativo.

A partire da questa premessa, lo strumento che proponiamo si concentra sulla presentazione di esempi concreti di pratiche quotidiane, utilizzati come leve per introdurre innovative prospettive teoriche e posture educative all’interno dei servizi 0/6. Questi esempi permettono di rendere visibili e comprensibili le cornici pedagogiche proposte nelle LGP, favorendo una loro applicazione pratica in diversi contesti. Possono inoltre essere utilizzate come strumenti per osservare e rileggere le proprie pratiche. Permettono, infatti, di analizzare le proprie modalità di intervento (nonché quelle del gruppo di lavoro, del servizio e dell’organizzazione), esplorarle, metterle sotto una lente critica, ed eventualmente (scegliere di) modificarle.

Di seguito alcune considerazioni di natura trasversale che sono da considerarsi delle premesse all’uso del Toolkit:

• Gli approcci che sono posti a fondamento delle Linee Guida Pedagogiche richiedono non tanto di essere tradotti in attività definite, ma soprattutto di essere interiorizzati nell’identità professionale del/la professionista dell’educazione e di informare ogni sua singola pratica. Questo toolkit vuole proporre alcuni spunti per facilitare la comprensione dell’introduzione di questi approcci e di questa logica innovativa nel lavoro quotidiano dei servizi educativi 0-6.

• Nell’ambito dei servizi 0-6, le attività non riguardano solo il lavoro diretto con i/le bambini/e, ma si estendono anche alla partecipazione attiva delle famiglie, come sottolineato dal Decreto Legislativo 65/2017 (Sistema Integrato 0-6) e dal Decreto Legge 107/2015 (Buona Scuola). Questi provvedimenti promuovono l’importanza di un coinvolgimento attivo delle famiglie nella vita educativa del/la bambino/a, favorendo un approccio integrato che riconosca l’importanza della relazione tra contesti educativi e familiari. In questo scenario, le attività non sono semplicemente occasioni di intervento, ma momenti significativi in cui le famiglie e i/le professionisti/e dell’educazione costruiscono insieme il percorso di crescita del/la bambino/a.

• Le azioni educative quotidiane, sebbene possano sembrare semplici e ordinarie, non sono da considerarsi prive di valore. Come sottolineato da Vanna Iori (2018), queste piccole pratiche quotidiane possiedono un

grande potenziale educativo, che emerge solo quando si riflette sul senso e sull’intenzionalità che le guidano. Questo aspetto è fondamentale per comprendere come anche le pratiche che sembrano ovvie possano, se riflettute correttamente, diventare atti profondi di valorizzazione e di crescita per il/la bambino/a e la famiglia.

• Per attivare il processo di cambiamento di sguardo e postura (integrare i 4 approcci al proprio operato), è fondamentale che il/la professionista si impegni in un continuo processo di riflessività, che permette di prendere consapevolezza delle proprie pratiche e modificare la propria postura professionale (Schön, 1993; Mortari, 2003, 2011). La capacità riflessiva non solo aiuta a migliorare la qualità del proprio intervento, ma consente di adattarsi in modo più sensibile e adeguato alle esigenze del/la bambino/a e della famiglia. La riflessività, quindi, diventa un processo dinamico che promuove una pratica educativa in continua evoluzione, centrata sul/la bambino/a, sulle famiglie e sulle relazioni che si instaurano.

Questo toolkit è concepito come una risorsa flessibile e dinamica che permette di sperimentare in prima persona approcci teorici complessi, traducendoli in attività pratiche e coinvolgenti per i bambini e le bambine. Inoltre, le attività proposte possono supportare ulteriormente l’adozione delle teorie sottostanti, fornendo ad educatori ed educatrici un’opportunità per una riflessione continua.

Approccio educativo basato sui diritti

Affinché un diritto possa essere pienamente riconosciuto, deve essere esigibile e non rimanere solo un principio teorico o formale. Dal punto di vista pedagogico, educare seguendo l’approccio dei diritti richiede un cambio di prospettiva per tutti i professionisti coinvolti: non si tratta di soddisfare un bisogno (dei/lle bambini/e, delle famiglie etc..), ma di garantire l’esigibilità di un diritto, ossia la possibilità di vederlo concretamente realizzato e messo in pratica (Premoli, 2012).

Gli esempi che seguono si riferiscono all’applicazione concreta di alcuni diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC, 1989).

Questi esempi sono utili per avvicinarsi al tema dei diritti attraverso piccole azioni quotidiane svolte da educatori ed educatrici nei servizi 0-6. Pur concentrandosi sui singoli diritti, nella pratica quotidiana i diritti si intrecciano tra loro e non possono essere considerati isolatamente (Macinai, 2013). Lavorare per la realizzazione di un diritto spesso comporta effetti anche su altri diritti ad esso interconnessi.

Anche in questo caso sono presenti sia esempi in negativo che in positivo. L’obiettivo non è tracciare un confine tra “chi lavora bene e chi lavora male” ma vedere come nel concreto sia possibile agire in una prospettiva che tenga conto dei diritti anche nella quotidianità (non servono sempre progetti o attività apposite). In questo senso, gli

esempi in positivo servono per rintracciare l’approccio dei diritti nelle proprie pratiche, mentre quelli in negativo possono fungere da stimolo per riflettere su di esse ed eventualmente modificarle.

Diritto all’Ascolto e alla Partecipazione (Art. 12 )

Esempio positivo:

i/le bambini/e vengono coinvolti nella scelta su come organizzare e/o allestire gli spazi del nido. Le/gli educatrici/tori dedicano un tempo alla raccolta di preferenze, idee, pareri dei bambini e delle bambine, non solo attraverso il linguaggio verbale ma anche attraverso l’osservazione di gesti, espressioni e scelte dirette. Poi sistemano lo spazio tenendo conto di quanto emerso.

Esempio negativo: l’educatrice/tore sceglie sempre le attività da proporre ai/lle bambini/e senza considerare le reazioni o le preferenze dei bambini, limitando la loro possibilità di esprimersi.

Diritto all’Educazione e all’Accesso a (Art.CulturaliMateriali 28-29)

Esempio positivo: sono presenti angoli lettura con libri di diverse culture e lingue, accessibili ai bambini, per stimolare la curiosità e il rispetto della diversità.

Esempio negativo: gli educatori/le educatrici leggono sempre gli stessi libri e non danno spazio alla varietà culturale o alla libera esplorazione dei materiali da parte dei bambini.

alDiritto

Gioco e al Riposo (Art. 31)

Esempio positivo: nell’organizzazione del servizio è previsto un tempo in cui i/le bambini/e possono scegliere autonomamente attività e materiali; oppure: i/le bambini/e possono scegliere di non partecipare alle attività proposte.

Esempio negativo: le attività previste non possono essere modificate tenendo conto dei bisogni/ esigenze dei bambini (non si può decidere di uscire all’aperto -perché i bambini sono molto agitati quel giorno- invece di fare i travasi).

Diritto alla DiscriminazioneNon e al Rispetto delle Differenze

(Art. 2)

Esempio positivo: nell’area lettura vengono proposte immagini e racconti che rappresentano diverse culture, abilità e famiglie (non in modo stereotipato o folkloristico).

Esempio negativo: i giochi presenti (bambole, simbolico, etc.) rispecchiano un unico modello culturale, escludendo la diversità e limitando l’identificazione dei bambini con realtà differenti.

Diritto alla Salute e Benessereal

(Art. 24)

Esempio positivo: durante i pasti (anche merenda) ci sono momenti dedicati all’educazione alimentare attraverso il gioco e l’esplorazione sensoriale del cibo; i/le bambini/e possono sperimentare.

Esempio negativo: l’accesso ai servizi igienici è previsto solo in alcuni momenti (sulla base delle esigenze del servizio) e non sempre (il/ la bambino/a non può andare in bagno quando ne ha bisogno).

Diritto Protezionealla da Ogni Forma di Violenza

(Art. 19)

Diritto al Nome all’Identitàe

(Art. 7)

Esempio positivo:

gli educatori/le educatrici promuovono il rispetto reciproco tra i bambini, favorendo attività che li aiutano a riconoscere e gestire le proprie emozioni come giochi di gruppo, discussioni e role- playing.

Esempio negativo: quando un bambino riporta di aver (avuto) accesso a contenuti violenti (non adatti), l’equipe educativa non prende provvedimenti. Non viene avviata alcuna discussione su ciò che è accaduto, né si interviene per verificare l’accaduto o per educare i bambini sui pericoli di contenuti inappropriati.

Esempio positivo:

gli educatori/le educatrici utilizzano il nome di ciascun bambino, senza abbreviazioni o soprannomi e cercando di pronunciarlo in modo corretto. Ogni bambino/a è incoraggiato/a a dire il proprio nome e a sentirsi riconosciuto come individuo unico.

Esempio negativo: nella foto sull’armadietto (registro attività, sacchetta materiale, etc.) il/la bambino/a non ha il suo nome ma un’abbreviazione se è lungo o complesso (la facilità prevale sul diritto), oppure compare il cognome X in caso di affido pre-adottivo (la burocrazia prevale sul diritto).

allaDiritto

Libertà di Espressione

(Art. 13)

Esempio positivo: durante il laboratorio artistico i/le bambini/e hanno accesso a materiali vari (colori, stoffe, materiali naturali) per esprimere la propria identità e creatività senza necessariamente dover seguire modelli imposti (ad esempio, ricalchiamo il quadro “La notte stellata” di Van Gogh).

Esempio negativo:

le attività creative proposte nel servizio sono sempre guidate e con schemi predefiniti, limitando la libertà espressiva dei bambini e il riconoscimento della loro unicità. La creatività viene interpretata come assenza di regole, invece di essere vista come un’opportunità per esplorare in modo libero e individuale.

Approccio e prospettiva

Come per la partecipazione, anche nel caso dei diritti vi è una notevole differenza tra applicare un approccio basato sui diritti e seguire una prospettiva basata sui diritti. Mentre l’approccio basato sui diritti pone al centro il rispetto e la promozione attiva dei diritti dei bambini in ogni decisione e azione educativa, la prospettiva basata

sui diritti riconosce i diritti ma li considera come uno degli aspetti da integrare nel lavoro educativo, senza necessariamente metterli al centro delle scelte quotidiane (Premoli, 2012).

Le attività che seguono illustrano come tale differenza può manifestarsi concretamente nella quotidianità dei servizi 0/6, poiché le pratiche e le modalità di intervento variano a seconda di quale delle due strade (approccio o prospettiva) viene scelta (dal servizio, dall’equipe di lavoro, dal singolo professionista).

Approccio basato sui diritti

Possibili attività con i/le bambini/e:

• Laboratori interattivi sui diritti – Attraverso giochi di ruolo, storie illustrate e attività creative, i/le bambini/e scoprono i loro diritti (es. diritto all'istruzione, alla protezione, alla partecipazione).

• Consigli dei bambini – Creazione di spazi di ascolto in cui i bambini possono esprimere le loro opinioni e contribuire a decisioni che li riguardano.

• Simulazioni di situazioni reali – Esempi pratici su come far valere i propri diritti, come chiedere aiuto in caso di bisogno o come partecipare attivamente alla comunità.

• Incontri con figure istituzionali – Conoscere chi tutela i loro diritti (es. difensore dei minori, assistenti sociali) e come possono accedervi.

Approccio basato sui diritti

Possibili attività con le famiglie:

• Incontri di sensibilizzazione – Informare i genitori sui diritti dei/lle bambini/e e sulle risorse disponibili per supportarli (es. sostegni economici, servizi educativi).

• Sportello di orientamento – Supporto pratico per famiglie che vogliono accedere a servizi (es. iscrizione scolastica, assistenza sanitaria) o segnalare violazioni di diritti.

• Gruppi di mutuo aiuto – Creazione di spazi di confronto tra genitori per condividere esperienze e strategie per garantire il benessere dei/lle figli/e.

• Accompagnamento attivo – Supporto personalizzato per affrontare situazioni di difficoltà rispetto ai propri diritti, con operatori che affiancano le famiglie nel dialogo con istituzioni e servizi.

Prospettiva basata sui diritti

Possibili attività con i/le bambini/e:

• Laboratori esperienziali – Attività su temi come l’autostima, la gestione delle emozioni e la convivenza, in cui i diritti emergono naturalmente (es. rispetto reciproco, diritto all’espressione) ma senza essere il tema centrale.

• Routine educative inclusive – Creazione di spazi e momenti in cui tutti i/le bambini/e possono partecipare e sentirsi accolti, senza discriminazioni, ma senza esplicitare sempre il concetto di “diritto”.

• Narrazione e giochi cooperativi – Storie e giochi che promuovono valori come la solidarietà e l’empatia, integrando il concetto di rispetto e dignità senza focalizzarsi esplicitamente sui diritti.

• Coinvolgimento graduale – I/le bambini/e vengono ascoltati e coinvolti nelle decisioni quotidiane (es. scelta delle attività, regole di convivenza), senza formalizzare il processo come un “diritto alla partecipazione”.

Prospettiva basata sui diritti

Possibili attività con le famiglie:

• Percorsi di sostegno alla genitorialità – Incontri su temi educativi (es. gestione dei conflitti, comunicazione efficace, etc.), in cui si parla di diritti in modo trasversale, come parte di un contesto più ampio di crescita familiare.

• Iniziative di comunità – Attività per rafforzare la rete sociale tra famiglie (es. eventi, laboratori), dove il concetto di “diritti” è presente ma non centrale, valorizzando piuttosto il senso di appartenenza e reciprocità.

• Accesso facilitato ai servizi – Orientamento e supporto per le famiglie nel raggiungere servizi educativi e sociali, senza impostare il discorso sull’”esigibilità dei diritti” ma piuttosto sul miglioramento della qualità della vita.

• Spazi di dialogo informale – Momenti di confronto con educatori/trici su temi della vita quotidiana, dove i diritti vengono considerati in modo trasversale, ma senza essere il punto di partenza principale.

Modello Ecologico di Bronfenbrenner

L’approccio ecologico di Bronfenbrenner (1986) offre una prospettiva utile per comprendere lo sviluppo del/ la bambino/a all’interno di un sistema complesso di relazioni. Secondo questo modello, la crescita del bambino non avviene in isolamento, ma è il risultato dell’interazione tra diversi livelli di contesto. In generale, nei servizi 0/6, sono riconducibili all’approccio ecologico tutte la azioni e gli interventi che si basano sull’idea che la crescita e lo sviluppo del/ la bambino/a siano prodotto di un’interazione tra diversi fattori (e diversi sistemi) e non il frutto di una causalità lineare. Integrare l’approccio ecologico nel lavoro educativo significa quindi considerare il bambino all’interno della sua rete di relazioni. Questo si traduce in pratiche quotidiane basate sulle connessioni tra bambino/a, famiglia e comunità capaci di valorizzare il contributo di tutti i soggetti coinvolti nel suo percorso di crescita (Lazzari, 2020). Di seguito alcuni esempi generali:

• Il coinvolgimento delle famiglie nella vita del servizio favorisce una continuità educativa tra casa e nido.

• La collaborazione con servizi sanitari e sociali rafforza il supporto alla genitorialità.

• L’adozione di un modello educativo inclusivo contribuisce a diffondere una cultura dell’infanzia basata sui diritti e sul benessere.

• L’organizzazione di spazi e routine che rispettano i bisogni e i tempi dei bambini favorisce un senso di sicurezza e benessere, stimolando interazioni significative con adulti e pari.

• I momenti di dialogo quotidiano tra educatori e genitori permettono di condividere osservazioni e strategie educative, creando una relazione di fiducia e coerenza tra casa e servizio.

• Le attività di gruppo tra bambini di età diverse (es. lettura condivisa, gioco cooperativo) favoriscono la costruzione di competenze sociali e il supporto tra pari.

• La creazione di reti con biblioteche, musei, associazioni culturali e sportive amplia le opportunità educative dei bambini e facilita la partecipazione delle famiglie alla vita della comunità.

• La progettazione di spazi educativi accessibili e accoglienti per tutte le famiglie, comprese quelle con background culturali diversi o in situazione di vulnerabilità, aiuta a costruire un ambiente più equo e inclusivo.

• L’organizzazione di eventi aperti alla comunità (es. feste di fine anno, giornate della lettura, laboratori con i nonni) rafforza il senso di appartenenza e la collaborazione tra famiglie, educatori/trici e territorio.

• La formazione continua sui temi dello sviluppo infantile e del lavoro con le famiglie garantisce un approccio sempre più consapevole e integrato nelle pratiche educative.

• La partecipazione del servizio educativo a tavoli di lavoro interistituzionali permette di contribuire alla

definizione di politiche per l’infanzia più attente ai bisogni reali delle famiglie.

I successivi esempi, suddivisi per sistemi, mostrano come sia possibile tradurre l’approccio ecologico in azioni concrete dei servizi 0-6, non solo rivolte al loro interno ma anche verso l’esterno:

1. A livello di interazioni dirette del bambino con adulti e pari (microsistema)

Routine prevedibili e flessibili al nido → Creare ambienti strutturati ma adattabili ai bisogni dei/le bambini/e, favorendo la sicurezza emotiva e il coinvolgimento attivo.

Gioco libero e relazionale → Dare spazio a interazioni spontanee tra bambini/e, lasciando che imparino attraverso l’osservazione e l’imitazione reciproca.

Punto di vista delle famiglie → Integrare il punto di vista dei genitori (come vedono il/la bambino/a) al proprio, a partire dal riconoscere il loro ruolo attivo nello sviluppo del/la bambino/a.

2. A livello di connessioni tra i contesti di vita del bambino: casa, servizio educativo, comunità/società (mesosistema)

Comunicazione costante tra casa e servizio → Scambio quotidiano di informazioni con le famiglie (tramite app, quaderni o momenti di confronto) per creare fiducia e continuità educativa.

Incontri periodici con le famiglie → Momenti di dialogo con educatori/trici e genitori per individuare strategie educative comuni (non significa che la famiglia deve fare ciò che si fa a scuola, né viceversa) e rispondere ai bisogni emergenti.

Raccordi tra servizio e realtà del territorio → Organizzare incontri tra educatori/trici e altre figure di riferimento per il/la bambino/a (professionisti ma anche sport, volontariato, etc.) per supportare lo sviluppo e facilitare i passaggi.

3. A livello di influenza dei contesti indiretti sul bambino, come politiche e servizi (esosistema)

Sportelli di consulenza genitoriale → Offrire spazi di ascolto per le famiglie all’interno dei servizi educativi, coinvolgendo esperti (psicologi, pedagogisti).

Collaborazione con servizi sanitari e sociali → Creare una rete con pediatri, consultori e servizi sociali per individuare precocemente situazioni di difficoltà e supportare le famiglie.

Gruppi di sostegno alla genitorialità → Organizzare incontri in cui i genitori possono condividere esperienze e supportarsi tra loro, anche in modalità scambio di buone pratiche.

4. A livello di valori culturali, politiche educative, modelli di riferimento nella società (macrosistema)

Promozione di un’educazione inclusiva → Creare ambienti che accolgano la diversità (linguistica, culturale, abilità diverse), adattando pratiche educative ai bisogni di tutti/e i/le bambini/e.

Sensibilizzazione sui diritti dell’infanzia → Integrazione di una cultura dell’infanzia basata sul rispetto e il benessere, coinvolgendo la comunità e gli enti locali.

Coinvolgimento delle famiglie nella co-progettazione del servizio → Dare voce ai genitori nelle decisioni educative, riconoscendoli come parte attiva della comunità educante.

Partecipazione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze

Gli esempi successivamente riportati si riferiscono a processi partecipativi, piuttosto che a un approccio basato sulla partecipazione, che dovrebbe essere una scelta metodologica del servizio o dell’organizzazione. La partecipazione, infatti, non è un semplice atto isolato, ma un processo strutturato che implica il coinvolgimento significativo delle persone in tutte le fasi di un’azione o dei processi decisionali e progettuali. I processi partecipativi, invece, riguardano attività in cui la partecipazione è un elemento centrale che si integra con gli altri approcci e metodologie dell’organizzazione o del servizio. Riteniamo quindi utile proporre alcuni esempi di singole attività per illustrare come sia possibile sperimentare forme di partecipazione anche in assenza di un progetto o di una scelta metodologica condivisa da tutta l’organizzazione. Gli esempi che seguono si riferiscono alla scala di partecipazione proposta da Hart (1992) con le successive rivisitazioni del processo di partecipazione (Shier, 2001; Lundy, 2007; Arnstein,2019). I primi tre livelli non rappresentano forme autentiche di partecipazione, ma sono inclusi per chiarire la specificità delle azioni nei livelli superiori della scala.

8. Iniziative interamente guidate dai bambini

7. Iniziative guidate dai/dalle bambini/e con il supporto degli adulti

6.

Decisioni condivise tra adulti e bambini/e consultazione e informazione

Assegnazione di ruoli e informazione partecipazione simbolica decorazione Manipolazione

LIVELLI DI NON-PARTECIPAZIONE

(primi 3 gradini – da evitare!)

1. Manipolazione

Gli adulti “usano” i bambini e le bambine per far sembrare che partecipino, ma in realtà non hanno alcun potere decisionale.

Esempi:

-Un servizio educativo 0/6 organizza un murales “realizzato dai bambini”, ma in realtà i disegni sono fatti dagli adulti e ai/lle bambini/e viene chiesto di colorare o vengono messi in posa per le foto.

-L’equipe invita le famiglie a una riunione per discutere il programma educativo dell’anno ma le decisioni sono già state prese senza il loro reale coinvolgimento. Le famiglie sono semplicemente ascoltate, ma non influenzano in alcun modo il processo decisionale.

2. Decorazione

I bambini sono coinvolti per “abbellire” un progetto pensato dagli adulti, senza che il loro contributo abbia un vero valore.

Esempi:

-I bambini vengono vestiti con costumi per una recita decisa dagli adulti (educatrici/operatori) senza che abbiano scelto il tema o il modo di partecipare.

-Le famiglie vengono invitate a partecipare alla “giornata delle culture” portando i cibi tipici ma non sono coinvolte

nella pianificazione dell’evento o nella scelta del tema. La loro partecipazione è un’aggiunta agli eventi decisi dagli organizzatori.

3. Partecipazione simbolica

Ai bambini viene detto che stanno partecipando, ma in realtà le decisioni sono già prese dagli adulti.

Esempi:

-Un progetto di giardinaggio al nido in cui i bambini piantano fiori per la foto finale, ma senza essere coinvolti nella cura delle piante o nelle decisioni (quando farlo? dove metterle? chi fa cosa? Etc.).

-Durante gli incontri con le famiglie per discutere dei progressi dei/delle bambini/e, le famiglie sono informate solamente su decisioni già prese, senza avere la possibilità di contribuire o influenzare realmente le strategie educative.

LIVELLI PARTECIPAZIONE AUTENTICA

(dal 4° all’8° gradino)

4. Assegnazione di ruoli e informazione (minimo accettabile per una buona partecipazione)

Gli adulti prendono decisioni, ma spiegano ai bambini cosa stanno facendo e perché.

Esempi:

-Durante un laboratorio artistico, l’educatrice decide di dipingere con le mani e spiega ai/alle bambini/e perché lo fa e chiede il loro parere sulle tecniche da usare.

-Durante un incontro, l’educatrice spiega alle famiglie le nuove attività educative pianificate per i/le loro figli/e, illustrando le ragioni di tali scelte. Viene chiesto il parere delle famiglie riguardo a quale attività potrebbe essere più utile per i/le bambini/e, pur rimanendo la decisione finale nelle mani degli/delle educatori/trici.

5. Consultazione e informazione

Gli adulti chiedono l’opinione dei/delle bambini/e prima di decidere e spiegano loro come useranno le idee raccolte.

Esempi:

-Prima di organizzare un angolo lettura, l’educatrice osserva quali libri i/le bambini/e scelgono più spesso e chiede loro cosa piace di più. Poi usa queste informazioni per allestire lo spazio.

-Prima di introdurre delle nuove attività extracurricolari

(fuori orario), le educatrici inviano un sondaggio alle famiglie per raccogliere opinioni e suggerimenti rispetto alle tematiche e alle tempistiche. Le famiglie vengono informate su come verranno utilizzati i loro suggerimenti per strutturare il progetto.

6.Decisioni condivise tra adulti e bambini/e Gli adulti e i/le bambini/e collaborano nella progettazione delle attività.

Esempi:

-Per scegliere i materiali da mettere nel gioco simbolico, l’educatrice mostra diverse opzioni ai/alle bambini/e e osserva quali preferiscono, adattando l’ambiente in base ai loro interessi.

-Il nido organizza un evento/festa e coinvolge le famiglie nella scelta del tema e delle attività, della struttura dell’evento e di come spendere il budget a disposizione. Le famiglie partecipano attivamente nella progettazione, contribuendo con le proprie idee e preferenze.

7. Iniziative guidate dai/dalle bambini/e con il supporto degli adulti

I/le bambini/e propongono idee e gli adulti li aiutano a realizzarle senza imporre il loro punto di vista.

Esempio:

-Alcuni/e bambini/e iniziano spontaneamente a costruire una casetta con i cuscini. L’educatrice nota l’interesse e fornisce materiali aggiuntivi per espandere il gioco, senza dirigere l’attività.

-Durante un incontro alcune famiglie propongono di avviare un progetto di orto scolastico. Le educatrici e il personale ausiliario forniscono il supporto necessario, come i materiali e la logistica, ma le famiglie sono libere di organizzare e gestire l’iniziativa secondo la loro visione.

8. Iniziative interamente guidate dai bambini (livello più alto di partecipazione) I bambini decidono cosa fare, come farlo e gli adulti sono presenti solo come facilitatori.

Esempi:

-I bambini notano una pozzanghera in giardino e iniziano a sperimentare con l’acqua e il fango. Gli educatori li osservano e seguono la loro iniziativa, lasciando che esplorino liberamente. -Le famiglie decidono di organizzare un mercatino di beneficenza per raccogliere fondi per la scuola dell’infanzia. Si occupano della pianificazione, della raccolta dei materiali e dell’organizzazione dell’evento, mentre gli educatori sono presenti solo per fornire supporto logistico, senza intervenire nelle decisioni.

Approccio basato su punti di forza e bellezza

Nei servizi educativi per l’infanzia, lavorare con bambini/e e famiglie non significa solo rispondere ai bisogni e affrontare le difficoltà, ma anche riconoscere e valorizzare ciò che funziona, ciò che ha valore e ciò che permette di andare avanti. L’approccio basato sui punti di forza aiuta a mettere in luce le competenze già presenti nei/ lle bambini/e e nei loro contesti di vita, facendo leva sulle risorse esistenti per far fronte alle sfide e alle difficoltà (Formenti, 2012). Allo stesso modo, la ricerca della bellezza non si limita all’aspetto estetico, ma diventa un modo di guardare la realtà: anche nelle situazioni più complesse è possibile trovare elementi di valore, storie di crescita e possibilità di trasformazione (Premoli, 2012). Infine, essere tutori di resilienza significa saper sostenere un/a bambino/a nel superare le difficoltà, riconoscendo e valorizzando le sue risorse (Santerini, 2019). Significa anche aiutarlo/a a dare significato alle esperienze, offrendo uno sguardo positivo sul passato (ciò che è stato capace di fare), sul presente (ciò che sa fare) e sul futuro (ciò che sarà in grado di fare), accompagnandolo nel costruire strategie per affrontare le sfide. Integrare questi tre principi nel lavoro quotidiano nei servizi 0-6 significa creare contesti educativi in cui il/ la bambino/a e la sua famiglia sono visti nella globalità, integrando alle mancanze e criticità anche i punti di forza e

le competenze presenti. L’educazione diventa un processo di costruzione di senso, possibilità e bellezza. I successivi esempi mostrano come la ricerca della bellezza, il focus sui punti di forza e la resilienza possano diventare pratiche quotidiane nei servizi 0-6.

Lavorare sui Punti di Forza

L’approccio basato sui punti di forza si concentra su ciò che funziona, sulle capacità già presenti nei/lle bambini/e e nelle famiglie, e su come valorizzarle.

Esempi pratici:

• Osservazione e valorizzazione delle competenze individuali → Un bambino che fatica a esprimersi verbalmente ma è molto attento ai dettagli nei disegni può essere incoraggiato a raccontare attraverso immagini e simboli.

• Feedback positivi e incoraggianti → Invece di riprendere un errore e rimproverare (ad esempio un bambino cerca di bere ma si rovescia l’acqua addosso), si può dire: “Hai trovato un modo tutto tuo di farlo, proviamo a trovare altri modi insieme?”...

• Riconoscere e rafforzare le competenze dei genitori → In un incontro con una famiglia in difficoltà, invece di concentrarsi solo sui problemi, partire da ciò che già

fanno bene: “Ho notato che il tuo bambino si illumina quando giochi con lui. Questo è un aspetto prezioso su cui possiamo lavorare insieme”.

La Ricerca della Bellezza

La bellezza in educazione non è solo estetica, ma riguarda la capacità di trovare significato, valore e possibilità anche nelle situazioni difficili.

Esempi pratici:

• Trovare la bellezza nelle storie di vita → Se un/a bambino/a arriva da un contesto familiare difficile, invece di etichettarlo come “problematico”, si possono esplorare le risorse presenti nella sua storia familiare.

• Creare contesti di cura e meraviglia anche nei piccoli gesti → Rallentare il ritmo per consentire a tutti/e (inclusi gli adulti!) di apprezzare momenti semplici, come osservare la luce del sole filtrare in una stanza o soffermarsi su un dettaglio di un disegno.

• Lavorare con la bellezza nascosta nei materiali → Creare atelier o laboratori con oggetti di recupero, mostrando ai/lle bambini/e come anche qualcosa di apparentemente inutile possa trasformarsi in qualcosa di speciale e significativo.

Essere tutori di Resilienza

Essere un tutore di resilienza significa essere presenti in modo autentico e credere nelle capacità del/la bambino/a e della sua famiglia.

Il supporto alla resilienza permette ai/lle bambini/e e alle famiglie di affrontare le sfide con strumenti adeguati, rafforzando il senso di autoefficacia e la fiducia nelle loro capacità e possibilità.

Esempi pratici:

• Storie di resilienza → Leggere e raccontare storie di personaggi che affrontano sfide e trovano soluzioni, facendo emergere il messaggio che “anche quando le cose sono difficili, possiamo trovare un modo per andare avanti”.

• Offrire un ambiente che permetta di esprimere le emozioni → Angoli morbidi, materiali che facilitano il gioco simbolico, educatori/trici che accolgono il pianto senza reprimerlo, mostrando che ogni emozione ha il diritto di esistere.

• Coinvolgere le famiglie nel riconoscere la resilienza

→ Chiedere ai genitori: “Qual è un momento in cui tuo/a figlio/a ha superato una difficoltà?” e usare quella narrazione per rinforzare il senso di autoefficacia del/la bambino/a. Fare lo stesso con i genitori e i membri della famiglia.

Attività laboratoriali

Questa parte del toolkit contiene quattro percorsi laboratoriali pensati per guidare educatori e educatrici nell’adozione di approcci innovativi nell’interazione con i bambini e le bambine, attraverso attività strutturate che si focalizzano sulle quattro prospettive chiave per la Fondazione. Tali attività sono progettate per stimolare la curiosità e la creatività di bambini e bambine, promuovendo un ambiente educativo in cui il pensiero critico e la bellezza delle esperienze quotidiane vengano esplorati e valorizzati.

Ogni percorso include spunti riflessivi e domande di rilettura, che supportano il processo di autoanalisi e miglioramento continuo. Alla fine dell’attività gli/le educatori/trici saranno invitati/e a ripensare e adattare le attività, seguendo il filo di una riflessione che aiuti a rielaborare le pratiche in modo consapevole e critico, in relazione agli obiettivi teorici e metodologici di riferimento.

Ogni attività laboratoriale può essere adattata e personalizzata in base alle esigenze del proprio servizio o gruppo di riferimento, poiché le attività non sono rigidamente prescrittive ma interattive. La flessibilità è un elemento fondamentale di questo toolkit: gli/le educatori/trici possono modificare i percorsi proposti per rispondere alle caratteristiche specifiche dei bambini e delle bambine, garantendo una maggiore inclusività e la personalizzazione dell’esperienza educativa.

SCHEDA ATTIVITÀ

Come lanci l’attività?

Introdurre il tema mostrando immagini di vari mestieri e ponendo domande aperte ai bambini per stimolare il ragionamento: “Chi aiuta i malati?” “Chi prepara il cibo?” “Chi spegne il fuoco?” “Chi ripara un’auto?”

Dopo che i bambini hanno riconosciuto i mestieri, vengono invitati a imitare i movimenti associati a ciascuno (es. “Mescoliamo la pasta come un cuoco/cuoca!”).

Struttura dell’attività

Gioco di ruolo: Scegli il tuo mestiere

1. Ogni bambino/a sceglie liberamente un mestiere e riceve un accessorio corrispondente.

Gli/le educatori/trici incoraggiano la libertà di scelta, senza assegnare ruoli prestabiliti, supportando attivamente ogni scelta.

2. Organizzare piccoli scenari di gioco, in cui i/le bambini/e simulano il lavoro scelto:

Medico/a: cura un peluche con lo stetoscopio.

Cuoco/a: mescola ingredienti immaginari in una pentola.

Pompiere/a: spegne il “fuoco” con un panno blu.

Giardiniere/a: pianta fiori di carta in una scatola con terra finta.

Meccanico/a: ripara un’auto giocattolo con chiavi di plastica.

Parrucchiere/a: pettina e decora i capelli di un peluche.

3. Guidare il gioco con piccole narrazioni stimolanti: “Oh no, il peluche ha la febbre! Il dottore o la dottoressa possono aiutarlo?” “Abbiamo bisogno di un/una chef per preparare un pranzo speciale!” “La macchina si è rotta! Chi può aggiustarla?”

Focus

Approccio educativo basato sui diritti. Focus su non discriminazione, in particolare quella di genere.

Scopo

Questa attività aiuta i/le bambini/e a sviluppare consapevolezza insegnando loro a riconoscere gli stereotipi e le discriminazioni di genere. Promuove il diritto alla non- discriminazione, stimolando il rispetto per le differenze, l’empatia e la capacità di vedere ogni persona oltre le etichette, valorizzando le unicità di ciascuno.

Partecipanti

min 5 max 15 bambini e bambine fascia 3-4 anni (anche fino a 6).

Durata

circa 1 ora e 30, suddivisa in momenti di esplorazione, gioco e riflessione finale

Materiali

Immagini di persone che svolgono diversi mestieri

Accessori simbolici per ogni mestiere (es. stetoscopio giocattolo, mestolo, caschetto, annaffiatoio, pettine, chiavi di plastica, panno blu per il fuoco, ecc.)

Scatola con terra finta e fiori di carta

Peluche o bambole per simulare situazioni di cura.

Come chiudi l’attività con i/le bambini/e?

Condivisione: Raccontiamo il nostro mestiere

Chiedere a ogni bambino/a di raccontare cosa ha fatto nel suo ruolo e come si è sentito/a.

Sottolineare che tutti possono fare ogni mestiere, rinforzando il messaggio di non discriminazione. Mostrare immagini di uomini e donne che svolgono gli stessi mestieri, per rafforzare l’idea che non esistono lavori “da maschi” o “da femmine”.

Possibile collegamento con il tema dei diritti: tutti/e hanno il diritto di scegliere il proprio lavoro e di essere rispettati per le proprie scelte! Puoi concludere con un momento celebrativo, una canzone sui mestieri o un applauso collettivo per tutti i partecipanti, oppure con una domanda aperta: “C’è un mestiere che vi piacerebbe fare da grandi?”

Come comunichi l’attività alle famiglie?

Invia una breve documentazione dell’attività con foto e una descrizione dell’esperienza.

Messaggio chiave (esempio): “Oggi abbiamo esplorato i mestieri e scoperto che tutti, maschi e femmine, possono fare qualsiasi lavoro! I bambini hanno giocato a essere cuochi, meccanici, medici e molto altro, sperimentando l’importanza della libertà di scelta.”

Possibile suggerimento alle famiglie: “Parlatene insieme a casa! Quali mestieri vi piacciono e perché?”

Riflessione finale

Per i bambini e le bambine

Ti è piaciuto il mestiere che hai scelto? Perché?

Ti piacerebbe provare un altro mestiere la prossima volta?

C’è stato un mestiere che non conoscevi e che hai scoperto oggi?

Per gli/le educatori/trici

I/le bambini/e hanno potuto scegliere liberamente il loro mestiere o ci sono state influenze negli abbinamenti?

Ci sono stati casi in cui i/le bambini/e hanno mostrato resistenze a scegliere un mestiere non stereotipato? Se sì, come è stato gestito?

L’attività ha stimolato il dialogo sulla parità di genere? Quali osservazioni sono emerse dai/lle b ambini/e?

Ci sono stati segnali di preconcetti o stereotipi? Se sì, quali strategie possiamo adottare per lavorarci in futuro?

Come possiamo arricchire questa esperienza per renderla ancora più inclusiva?

Domande riflessive

Queste domande possono aiutare gli/le educatori/trici a riflettere criticamente sul loro approccio e sulle dinamiche emerse durante l’attività, favorendo un miglioramento continuo nel promuovere la parità di genere, la non discriminazione e la decostruzione degli stereotipi di genere.

sul processo

• In che modo i/le bambini/e hanno potuto esprimere liberamente le loro preferenze nella scelta dei mestieri?

Ci sono stati momenti in cui alcuni/e bambini/e hanno seguito schemi stereotipati nella scelta? Se sì, come ho reagito?

• Tutti/e i/le bambini/e si sono sentiti a proprio agio nel gioco di ruolo? Se no, cosa posso fare per creare un ambiente più inclusivo?

• Come ho gestito eventuali commenti stereotipati (es. “Questo è un lavoro da maschi/femmine”)?

sul ruolo dell’educatore

• Sono riuscito/a a proporre l’attività senza influenzare le scelte dei/lle bambini/e?

• Ho dato spazio a tutte le voci, evitando di rinforzare preconcetti esistenti?

• Come mi sono sentito/a quando un/a bambino/a ha scelto un mestiere non stereotipato? Ho incoraggiato la sua scelta in modo naturale e positivo?

• Ho favorito un ambiente in cui tutti/e si sentissero liberi di esprimersi senza timore di giudizio?

sugli ostacoli e sulle opportunità

• Ci sono stati bambini/e che hanno espresso resistenze nel giocare un ruolo non tradizionale? Come posso affrontare meglio queste situazioni in futuro?

• L’attività ha sollevato domande o dubbi nei/lle bambini/e? Se sì, come ho risposto e come posso approfondire questi spunti in futuro?

• Ci sono state reazioni inaspettate da parte dei/lle bambini/e? Se sì, quali e cosa mi hanno insegnato?

• Quali attività complementari potrei proporre per rafforzare il messaggio di parità e libertà di scelta nei mestieri?

sugli effetti dell’attività

• Come hanno reagito i/le bambini/e all’idea che tutti possano fare ogni mestiere?

• Ci sono stati cambiamenti nelle loro opinioni durante o dopo l’attività?

• Quali segnali mi fanno pensare che questa esperienza sia stata significativa per i bambini e le bambine? Come posso coinvolgere maggiormente le famiglie per rafforzare questo messaggio anche a casa?

SCHEDA ATTIVITÀ

L’eco delle emozioni

Come lanci l’attività?

Introdurre il tema con domande aperte:

• “Avete mai sentito che un’emozione si può ‘contagiare’?”

• “Cosa succede se entriamo in una stanza e tutti sono felici? E se invece sono arrabbiati?”

• “Secondo voi, le emozioni di mamma, papà, delle maestre o della cuoca della scuola ci influenzano?”

Si mostra un piccolo esperimento con gli specchi:

• Se sorrido, cosa succede alla mia immagine nello specchio?

• Se faccio una faccia arrabbiata, come cambia l’espressione del mio viso?

• E se ora tutti proviamo a (sor)ridere insieme, che effetto fa nella stanza?

Struttura dell’attività

1. Gioco della “Rete delle Emozioni”

• I/le bambini/e si siedono in cerchio. L’educatore/trice tiene un gomitolo di lana e dice un’emozione (es. gioia, tristezza, rabbia, stanchezza).

• Poi lancia il gomitolo a un/a bambino/a dicendo: “Se io sono felice e sorrido a te, come ti fa sentire?”

• Il/la bambino/a risponde e lancia il gomitolo a un altro, spiegando come l’emozione si trasforma o si trasmette.

• Alla fine, il filo crea una rete visibile di connessioni emotive, dimostrando come le emozioni viaggiano tra le persone.

2. Il passaggio delle emozioni

• Si usano delle palle morbide colorate: ogni colore rappresenta un’emozione (es. giallo = felicità, blu = tristezza, rosso = rabbia, verde = calma).

Focus

Modello ecologico di Bronfenbrenner (interconnessione tra individui e contesti)

Focus: Educazione emotiva (riconoscere, esprimere e comprendere le emozioni)

Consapevolezza relazionale (come le emozioni si propagano negli ambienti di vita)

Scopo

Questa attività permette ai bambini di prendere consapevolezza del proprio impatto emotivo sugli altri e di riconoscere l’interdipendenza delle emozioni all’interno della comunità scolastica e familiare, proprio come teorizzato da Bronfenbrenner nel suo modello ecologico

Partecipanti

Bambini e bambine 3-6 anni (adattabile per i più piccoli con semplificazioni) Educatori e personale scolastico. Possibile coinvolgimento delle famiglie in una fase successiva

Durata

circa 1 ora e 30, suddivisa in momenti esperienziali e di riflessione

Materiali

Specchi piccoli o cartoncini argentati (per osservare le proprie espressioni)

Cartelloni e pennarelli per rappresentare le emozioni

Sagome di persone (ritagliate o disegnate) per creare una rete visiva di connessioni

Palle morbide o fili di lana per rappresentare il passaggio delle emozioni

• L’educatore/trice dice: “Immaginate che questa pallina sia un’emozione. Se io la passo a qualcuno con forza, lui come si sentirà?” (dimostra lanciando velocemente una pallina).

• I bambini sperimentano passandosi le palline con gesti diversi (gentilezza, fretta, rabbia) per comprendere come il modo in cui trasmettiamo le emozioni può influenzare chi le riceve.

3. Condivisione e rappresentazione grafica

• Su un grande cartellone si disegna una scuola/classe/gruppo al centro e attorno varie figure (bambini, genitori, insegnanti, cuochi, personale scolastico).

• Ogni bambino sceglie un’emozione e la disegna vicino a una figura, spiegando: “Quando la maestra è felice, io mi sento…” o “Quando la mamma è stanca, io mi accorgo perché…”.

• Si osserva insieme come le emozioni si collegano in tutto l’ambiente della scuola e della casa.

Come chiudi l’attività con i/le bambini/e?

Proporre una breve riflessione collettiva:

Cosa avete scoperto sulle emozioni oggi?

Che effetto hanno su di noi le emozioni degli altri?

Che effetto hanno le mie emozioni sugli altri?

Quali emozioni vogliamo portare con noi per il resto della giornata?

Si può concludere con un piccolo gesto simbolico: ogni bambino sceglie un’emozione e la “lancia” in aria con un movimento delle mani, immaginando di diffonderla nella scuola/classe/sezione.

Come comunichi l’attività alle famiglie?

Prima dell’avvio dell’attività scrivere una breve comunicazione ai genitori:

“Nei prossimi giorni esploreremo insieme ai/lle bambini/e come le emozioni si diffondono e si riflettono sugli altri. Abbiamo scoperto che anche un piccolo gesto può influenzare chi ci sta accanto! Vi invitiamo a osservare insieme ai/lle vostri/e figli/e come le emozioni si muovono dentro la famiglia: quali emozioni sono più presenti? Come possiamo aiutarci a vicenda nei momenti difficili?”

Proporre una “sfida in famiglia”: notare e raccontarsi a cena quali emozioni si sono trasmesse durante la giornata. A fine attività si può creare un piccolo “angolo delle emozioni” con il cartellone prodotto dai bambini e immagini dell’attività.

Riflessione finale

Coincide con chiusura attività

Domande riflessive

Queste domande possono aiutare educatori ed educatrici a valutare l’attività e a migliorare la propria capacità di accompagnare i bambini nella comprensione delle emozioni e del loro impatto sugli altri, in un’ottica ecologica. Inoltre, possono servire per riflettere su come stimolare la consapevolezza emotiva e la capacità di cogliere le connessioni tra le proprie emozioni e l’ambiente circostante, permettendo agli adulti di affinare continuamente il loro approccio nel sostenere relazioni empatiche e consapevoli nel quotidiano.

sul processo

I/le bambini/e hanno compreso il concetto di “eco delle emozioni” e di connessione tra persone?

Ci sono stati momenti di resistenza o difficoltà nel riconoscere il legame tra le emozioni?

Sono riuscito/a a dare spazio a tutti senza forzare la partecipazione?

sul ruolo dell’educatore/trice

Sono riuscito/a a mantenere un atteggiamento neutro e facilitante senza influenzare troppo le risposte dei/lle bambini/e?

Ho favorito il riconoscimento di una varietà di emozioni, senza semplificare troppo tra “positive” e “negative”?

Sono stato capace di far comprendere che le emozioni sono sempre presenti a scuola (classe, servizio...) e hanno degli effetti anche se spesso non li vediamo?

sugli ostacoli e sulle opportunità

Alcuni/e bambini/e hanno trovato difficile esprimere le proprie emozioni? Come posso supportarli meglio?

Il contesto scolastico (nido, servizio educativo…) favorisce o ostacola una riflessione condivisa sulle emozioni?

Questa attività ha aperto nuove possibilità per approfondire l’educazione emotiva con bambini e bambine?

sugli effetti dell’attività

Dopo l’attività, i/le bambini/e hanno iniziato a notare e commentare di più le emozioni negli altri?

I/le bambini/e hanno dimostrato maggiore consapevolezza su come le loro emozioni influenzano il gruppo?

Questa esperienza ha avuto un impatto sulle relazioni tra bambini e bambine in classe, e tra bambini/e e adulti?

SCHEDA ATTIVITÀ

Attività extra-ordinaria!

Come lanci l’attività?

Presentare ai bambini l’obiettivo: creare un pomeriggio speciale con i genitori. Esempio: Che ne dite di organizzare un pomeriggio speciale con i vostri genitori? Il giorno X verranno a trovarci a scuola (o al nido) per due ore, e abbiamo pensato che potreste essere voi a decidere cosa fare insieme. Vi piacerebbe?

Struttura dell’attività

Introduzione:

Parlare con i/le bambini/e del concetto di “partecipazione” e del fatto che oggi prenderanno delle decisioni insieme e che tu guiderai solo il processo senza intervenire.

Spiega che ognuno può proporre le proprie idee e invita i/le bambini/e a esprimere tutte le idee che hanno in mente, senza giudicare.

La struttura centrale viene definita in base a ciò che fanno i bambini e le bambine. I passaggi potrebbero essere:

• brainstorming delle proposte: il gruppo trova un modo per far emergere le idee e le proposte di tutti/e;

• il gruppo individua/crea le proposte da realizzare

• il gruppo lavora insieme per definire come realizzarle: chi farà cosa? Come possiamo renderlo speciale?

• progettazione del pomeriggio: si può fare in gruppo (ad esempio, chi si occupa dei giochi, chi dell’allestimento, chi della musica, ecc.), ma la decisione su chi fa cosa deve essere un processo condiviso e partecipato.

E’ fondamentale che gli educatori/trici svolgano un ruolo da facilitatori, seguendo il più possibile i principi della piena partecipazione.

Focus

Partecipazione collaborativa; focus sulla partecipazione attiva di bambini e bambine e sull’empowerment nella decisione collettiva.

Scopo

Questa attività aiuta i/le bambini/e a sviluppare un senso di appartenenza e responsabilità, insegnando loro l’importanza di esprimere le proprie idee e partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano. Attraverso il dialogo e la collaborazione, promuove il diritto all’ascolto e alla partecipazione, stimolando la fiducia in sé, il pensiero critico e la capacità di contribuire alla costruzione di un ambiente più equo e inclusivo.

Partecipanti

min 5 max 15 bambini e bambine fascia 4-6 anni

Durata circa 2 ore

Materiali

Non sono previsti materiali particolari ma possono essere utili post-it, fogli grandi e colori (pennarelli, matite etc..) a seconda del linguaggio che si intende utilizzare durante la fase di progettazione.

Come chiudi l’attività con i/le bambini/e?

Guidare il gruppo nella riflessione sul processo di partecipazione. Possibili domande/spunti:

Cosa avete pensato quando vi è stato chiesto di scegliere qualcosa da fare insieme ai vostri genitori?

Come vi siete sentiti quando gli/le altri/e bambini/e hanno proposto idee diverse dalle vostre?

Vi è piaciuto lavorare insieme per decidere cosa fare?

Cosa vi ha fatto sentire che la vostra opinione era importante?

Come vi sentite adesso che avete preso una decisione insieme agli altri?

In futuro, cosa vorreste decidere insieme?

Come vi è sembrato essere coinvolti nella decisione di cosa fare?

E’ stato facile o difficile dover decidere senza un adulto?

Come vi sentite dopo aver lavorato e deciso insieme?

Cosa vi sembra di aver imparato oggi?

Se possibile: trovare con i/le bambini/e le differenze tra quello vissuto e altri processi decisionali (a seconda del gruppo).

Non dimenticarti di ringraziare tutti/e per il loro impegno e confermare l’appuntamento con i genitori.

Come comunichi l’attività alle famiglie?

Chiedere alle famiglie la disponibilità a passare insieme un pomeriggio (due ore) a scuola.

Informare le famiglie che per definire l’iniziativa del “pomeriggio speciale” verrà svolta un’attività laboratoriale basata sulla partecipazione.

Al termine dell’attività comunicare le attività selezionate, in modo che i genitori possano essere preparati a partecipare attivamente.

Riflessione

finale

In questo laboratorio la riflessione finale coincide con la parte di chiusura dell’attività

Domande riflessive

Queste domande possono aiutare gli/le educatori/trici a prendere consapevolezza del proprio ruolo e a migliorare continuamente il modo in cui promuovono la partecipazione autentica di bambini e bambine.

sul processo di partecipazione

• In che modo i/le bambini/e hanno avuto la possibilità di esprimere liberamente le loro idee?

• Ci sono stati momenti in cui alcune voci sono state più ascoltate di altre? Come ho gestito eventuali squilibri? Tutti i/le bambini/e hanno partecipato attivamente? Se no, cosa posso fare in futuro per coinvolgere maggiormente chi ha partecipato meno?

• Il processo decisionale è stato realmente condiviso o gli adulti hanno orientato troppo le scelte?

sul Ruolo dell’Educatore/trice

• Come mi sono sentito/a nel lasciare ai/lle bambini/e il controllo delle decisioni? È stato facile o difficile? Perché?

• Sono riuscito/a a mantenere una posizione di accompagnamento senza imporre le mie idee?

• Ho fornito strumenti adeguati per aiutare i/le bambini/e a esprimere il loro pensiero e prendere decisioni consapevoli?

• Ho favorito un ambiente di ascolto e rispetto reciproco?

sugli ostacoli e sulle opportunità

• Quali difficoltà sono emerse nel percorso di partecipazione? (Es. difficoltà nel raggiungere un accordo, bambini timidi, leadership dominanti)

• Quali strategie hanno funzionato meglio per facilitare il processo?

• Come potrei migliorare il mio approccio per rendere ancora più autentica la partecipazione di bambini/e?

• Ci sono stati momenti in cui ho sentito la necessità di intervenire per guidare il processo? Cosa avrei potuto fare diversamente?

sugli effetti della partecipazione

• Come hanno reagito i/le bambini/e alla possibilità di decidere?

• Che cosa mi ha sorpreso del modo in cui i bambini hanno affrontato il processo decisionale?

• Quali segnali mi fanno pensare che i/le bambini/e abbiano vissuto questa esperienza come significativa? Quali apprendimenti posso portare con me per le prossime esperienze di partecipazione?

SCHEDA ATTIVITÀ

Il Bello Nascosto: Scopriamo la Meraviglia

Intorno a Noi

Come lanci l’attività?

Invitare i/le bambini/e a riflettere con domande aperte:

• “Dove pensiamo di trovare cose belle nella nostra scuola?”

• “Ci sono spazi che ci sembrano brutti o poco interessanti?”

• “E se provassimo a guardarli meglio?”

Per introdurre la ricerca, si possono mostrare immagini di dettagli sorprendenti in luoghi inaspettati (es. una crepa in un muro che sembra un disegno, la luce che filtra da una finestra creando giochi di ombre).

Struttura dell’attività

1. Esplorazione della bellezza

• suddividere i/le bambini/e in piccoli gruppi con diversi strumenti di osservazione (lenti, cornici di cartone, teli colorati, specchi).

• esplorare la scuola cercando dettagli belli (dove preferiscono i/le bambini/e).

• esplorare la scuola cercando dettagli belli nei posti considerati brutti (da confronto iniziale).

• chiedere a ogni bambino/a di scegliere un dettaglio che trova bello e incorniciarlo con lo strumento scelto.

2. Raccolta delle scoperte

• chiedere ai/lle bambini/e di raccontare ai compagni cosa hanno trovato di bello e perché.

• fotografare le loro scoperte o aiutarli a rappresentarle con il disegno.

• se possibile, raccogliere piccoli oggetti naturali (foglie, sassi, pezzi di corteccia) che hanno suscitato meraviglia per creare una piccola “Collezione della Bellezza”.

Creare un piccolo spazio espositivo con le immagini, i disegni e gli oggetti raccolti, chiamandolo “Angolo della Bellezza Nascosta” (o decidere il nome con i/le bambini/e).

Focus

Approccio basato su punti di forza e bellezza.

Focus: capacità di osservazione e di meravigliarsi; valorizzazione dei contesti quotidiani.

Scopo

Questa attività aiuta i bambini a sviluppare uno sguardo attento e positivo, insegnando loro a trovare valore e bellezza anche nei contesti meno evidenti, stimolando la curiosità, la creatività e la capacità di apprezzare il mondo con occhi nuovi.

Partecipanti

Bambini e bambine 3-6 anni, suddivisi in piccoli gruppi a seconda dell’età

Durata

Circa 1 ora, suddivisa in momenti di esplorazione, raccolta e condivisione

Materiali

Lenti di ingrandimento

Cornici di cartone per “incorniciare” dettagli (o anche vere se disponibili)

Teli trasparenti colorati per modificare la percezione degli spazi

Specchi piccoli per osservare superfici e riflessi

Fotocamera o tablet per documentare le scoperte

Fogli e colori per rappresentare le bellezze trovate

Come chiudi l’attività con i/le bambini/e?

Concludere con una conversazione collettiva:

• “Qual è stata la scoperta più sorprendente?”

• “Ora pensiamo che la bellezza sia solo nei posti belli, o possiamo trovarla ovunque?”

È possibile concludere con un breve rito finale: i bambini scelgono una scoperta e la “donano” simbolicamente alla scuola, raccontandola agli altri.

Come comunichi l’attività alle famiglie?

Condivisione di alcune foto delle scoperte con una breve descrizione dell’esperienza.

Creazione di un piccolo pannello o mostra con i disegni e le immagini raccolte. Suggerimento per casa: “Proviamo anche a casa a cercare la bellezza nei posti meno attesi. Quali dettagli ci sorprendono?”

Riflessione finale

Per i bambini e le bambine

Cosa ti ha sorpreso di più nella ricerca?

Hai trovato bellezza in un posto in cui non pensavi ci fosse?

Come possiamo fare per ricordarci che la bellezza è ovunque?

Per gli/le educatori/trici

I bambini sono riusciti a spostare il loro sguardo verso dettagli inaspettati?

Ho lasciato spazio alla loro esplorazione senza guidarli troppo?

Ho notato differenze nel modo in cui i bambini più piccoli e più grandi hanno percepito la bellezza?

Come posso integrare questa attività in altre esperienze quotidiane per continuare a sviluppare la loro capacità di meravigliarsi?

Domande riflessive

Queste domande possono essere utili per gli/le educatori/trici nel valutare l’attività e migliorare la propria capacità di facilitare la ricerca della bellezza nei contesti quotidiani. Inoltre, possono essere utili per valutare la propria capacità di stimolare la curiosità dei/ lle bambini/e, permettendo agli/le educatori/trici di migliorare continuamente il loro approccio alla ricerca del bello nel quotidiano.

sul processo di lavoro

• I/le bambini/e hanno partecipato attivamente alla ricerca della bellezza o hanno avuto bisogno di molte indicazioni?

• Ho lasciato spazio ai/lle bambini/e per esprimere liberamente le loro scoperte o ho influenzato la loro osservazione con le mie idee?

• Ci sono stati momenti in cui l’attività ha preso una direzione inattesa? Come ho reagito?

• Quali strumenti e strategie hanno funzionato meglio per stimolare la loro attenzione ai dettagli meno evidenti?

sul Ruolo dell’Educatore/trice

• Ho incoraggiato i/le bambini/e a sviluppare un punto di vista personale sulla bellezza?

• Ho ascoltato e valorizzato le loro scoperte, anche quando non coincidevano con la mia idea di bellezza?

• Sono riuscito/a a creare un clima che favorisse la meraviglia e l’esplorazione senza giudizio?

• Quali linguaggi (verbale, corporeo, espressivo) ho usato per stimolare la loro curiosità? Potrei diversificarli in futuro?

sugli ostacoli e sulle opportunità

• Alcuni/e bambini/e hanno trovato difficile vedere la bellezza in posti inaspettati? Cosa posso fare per aiutarli in futuro?

• Ci sono stati bambini/e che si sono mostrati disinteressati? Come ho cercato di coinvolgerli?

• Ho notato differenze nel modo in cui i/le bambini/e hanno percepito la bellezza? Età, esperienze pregresse o attitudini personali hanno influenzato il loro approccio?

• L’ambiente scolastico ha favorito o ostacolato questa attività? Ci sono spazi o materiali che potrei utilizzare meglio in futuro?

• Come posso rendere questo tipo di esperienza più frequente nella routine educativa?

sugli effetti dell’Attività

• I/le bambini/e hanno cambiato il loro modo di guardare gli spazi intorno a loro dopo l’attività?

• Quali scoperte hanno colpito di più il gruppo?

• Dopo l’esperienza, i/le bambini/e hanno iniziato a notare e condividere dettagli belli anche nella quotidianità?

• Come posso coinvolgere le famiglie nel proseguire questa ricerca della bellezza a casa e nella vita quotidiana?

Il documento è stato redatto da Elisa M.F. Salvadori e da Noemi Michilini e Silvio Premoli (RELINT)

La parte grafica è stata curata da Aresia Gargiulo (FMB)

Agosto 2025

BIBLIOGRAFIA

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Formenti, L. (Ed.). (2012). Re-inventare la famiglia. Maggioli Editore.

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Iori, V. (2018). Educatori e pedagogisti. Senso dell’agire educativo e riconoscimento professionale. Trento: Erickson.

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Mortari, L. (2003). Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione. Carocci.

Mortari, L. (2011). La qualità essenziale della riflessione. Educational Reflective Practices, (2011/1-2).

Premoli, S. (2012). Bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili. Nuove direzioni nei servizi socioeducativi. Franco Angeli.

Santerini, M. (2019). Pedagogia socio-culturale (Vol. 2019, pp. 1-234). Mondadori Università.

Schön, D. A. (1993). Il Professionista riflessivo: per una nuova epistemologia della pratica professionale (Vol. 152). Edizioni Dedalo.

Shier, H. (2001). Pathways to participation: Openings, opportunities and obligations. Children & society, 15(2), 107-117.

Allegati

Sistema di Monitoraggio e Verifica

SISTEMA DI MONITORAGGIO E VERIFICA

FRAME TEORICO-METODOLOGICO

L’approccio valutativo entro cui si collocano gli strumenti proposti si articola secondo due orientamenti principali, complementari tra loro.

Il primo orientamento, al quale fa riferimento la Scheda di verifica dei progetti, assume la logica della verifica finale, intesa come momento conclusivo e riflessivo sull’intero percorso progettuale (Bezzi, 2010; Palumbo, 2016). Questa fase è funzionale a rileggere in modo sistematico quanto realizzato, attraverso l’impiego di indicatori goal-oriented (Stame,1998; 2016). Non si tratta di un mero adempimento formale, bensì di un’opportunità per attivare – anche attraverso una corretta rendicontazione – un processo di analisi critica e di apprendimento, capace di restituire senso e coerenza all’intero intervento.

La verifica finale prevede la raccolta integrata di dati quantitativi e qualitativi, relativi sia agli input (caratteristiche dei beneficiari, loro contesti di appartenenza, interventi ecc.) sia agli output generati. Tale lavoro assume anche una funzione comunicativa, poiché i dati generati per la rendicontazione interna e per l’ente finanziatore, possono contribuire – attraverso una fedele narrazione – a dare visibilità e a far riconoscere il valore del progetto anche all’esterno. In termini più generali, traduce operativamente il rispetto del criterio della trasparenza rafforzando la credibilità e la capacità strategica dell’organizzazione. Da ultimo, sul fronte interno, attivare processi di verifica rigorosi genera valore formativo, poiché costruire e ritornare sulla documentazione può stimolare riflessioni sulle pratiche adottate e orientarle verso un miglioramento continuo (Montalbetti, 2024).

Il secondo orientamento, nel quale si inserisce lo strumento per la raccolta delle storie di cambiamento significativo, si ispira al paradigma del positive thinking, una prospettiva innovativa nella ricerca valutativa, fondata sull’idea che “si impara di più dai successi che dai fallimenti” (Lo Presti, 2020). All’interno di questo framework è adottata la tecnica del Most Significant Change (MSC), elaborata da Davies e Dart (2005), che prevede la raccolta di storie di cambiamento dal campo e la selezione di quelle ritenute più significative. Alla base di questo approccio vi è l’assunto che i diversi attori coinvolti possano cogliere differenti tipologie di cambiamento, in

base alla propria posizione e prospettiva. I cambiamenti sono quindi validati in chiave soggettiva e intersoggettiva, attraverso un processo partecipativo e collaborativo che, lungi dall’indebolire la qualità delle evidenze, ne rafforza la credibilità, validità e rigore metodologico (Giovannini, 2014), valorizzando l’agency individuale e la validazione degli effetti da parte dei partecipanti (Stern, 2016).

Insieme, questi due orientamenti offrono una prospettiva valutativa integrata e sinergica, che cerca di rispondere ad una doppia esigenza: quella legata alla logica dell’accountability e quella connessa con la prospettiva del learning (Altieri, 2009). Sul fondo l’idea che entrambe queste logiche debbano procedere di pari passo in modo da soddisfare i vincoli e al tempo stesso assumere senso per chi partecipa. In altri termini, occorre garantire trasparenza e responsabilità verso gli stakeholder e, al tempo stesso, alimentare processi di apprendimento organizzativo e miglioramento continuo, puntando, a lungo termine, a costruire una cultura della valutazione solida e orientata ai risultati.

Katia Montalbetti – Professoressa Ordinaria di Pedagogia

Sperimentale Luglio 2025

Enrico Orizio – Assegnista di ricerca in Pedagogia

Sperimentale

Università Cattolica del Sacro Cuore

BIBLIOGRAFIA

Altieri, L. (2009). Valutazione e partecipazione: Metodologia per una ricerca interattiva e negoziale. Milano: Franco Angeli

Bezzi, C. (2010). Il nuovo disegno della ricerca valutativa. Milano: Franco Angeli.

Davies, R., & Dart, J. (2005). The Most Significant Change (MSC) technique: A guide to its use. CARE International.

Giovannini, M. L. (2014). Il dibattito su valutazione ed evidenze: per un processo valutativo credibile e trasparente. Journal of Educational, Cultural and Psychological Studies (ECPS Journal), 9, 101-126.

Lo Presti, L. (2020). La valutazione partecipativa nei contesti educativi e sociali. Milano: Franco Angeli.

Montalbetti, K. (2024). La valutazione in campo educativo e formativo: Logiche, scenari, esperienze. Milano: Vita e Pensiero.

Palumbo, M. (2016). Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare (2ª ed.). Milano: Franco Angeli.

Stame, N. (1998). L’esperienza della valutazione. Roma: SEAM.

Stame, N. (2016). Valutazione pluralista. Milano: Franco Angeli.

Stern, E. (2016). La valutazione di impatto. Una guida per committenti e manager (trad. di L. Fantini; ediz. it. a cura di N. Stame). Milano: Franco Angeli.

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