Finestra Aperta - n. 2/2017

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Quadrimestrale di informazione a carattere socioculturale della UILDM LAZIO onlus. Numero 2, anno XXVI, settembre 2017. Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 2 e 3, Roma 2009.

Numero 2 Anno XXVI

Finestra Aperta La rivista della UILDM LAZIO onlus

Al parco, al lavoro, per strada, a scuola: i nostri diritti negati

E intanto

gli asini dicono la loro

Uildm: La Settimana delle Sezioni celebra i volontari Salute: Un sito web spiega la Duchenne


Finestra Aperta - Settembre 2017

Numero 2 Anno XXVI Settembre 2017

Sommario

Finestra Aperta, quadrimestrale a carattere socioculturale a cura della UILDM – UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - SEZIONE LAZIALE onlus, acronimo “UILDM LAZIO onlus” Via Prospero Santacroce, 5 00167 Roma.

Pagina 3 Editoriale

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Rubare il parcheggio è violenza privata A. A. Vegliante

Direttore responsabile: Serena Malta. Caporedattore, grafica e impaginazione: Manuel Tartaglia. Redazione: Andrea Desideri, Mara Di Gregorio, Angelo Andrea Vegliante. Hanno collaborato: Davide Montesi. Stampa: Cristiano Edizioni Srl, via Alfredo Fusco, 113 - 00136 Roma. Finito di stampare settembre 2017. Copie 1300. Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 2 e 3, Roma 2009. Iscrizione numero 721/12-’91 Tribunale di Roma.

Tutto è normale in un paese neutrale S. Malta Pagina 4 Diritti negati Questa non è una scuola per tutti M. Tartaglia Un’altalena contro le barriere mentali Note stonate al Rock in Roma A. Desideri Le contraddizioni di Uci cinemas Porte di Roma M. Tartaglia

Trasferimento legittimo? M. Tartaglia Pagina 14 Salute Mio figlio ha la Duchenne. E ora? Chi sono? Come mi chiamo? M. Tartaglia Un robot per terapista D. Latella Come tulipani A. Desideri Anoressia, bulimia, obesità G. Le Pera, M. Mattiocco Francia: arriva la legge anti anoressia A. A. Vegliante Prole in ordine D. Latella Pagina 22 Cultura La parodia che fa riflettere A. A. Vegliante Il regista di se stesso A. Desideri Pagina 24 Sport Due facce della medaglia A. Desideri Pagina 25 Uildm Volontari: sette giorni per conoscerli Un impegno che si rinnova A. Del Picchia Crescere fuori dalla zona di comfort E. Bakir Pagina 30 Appunti Torna l’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità A. A. Vegliante Avete mai sentito parlare del tennis in carrozzina? A. Irano Pagina 31 Come trovarci, come sostenerci

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Editoriale Di Serena Malta

Tutto è normale in un paese neutrale

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orreva l’anno 1977 quando fu approvata la Legge 517, che aboliva le classi differenziate e introduceva l’integrazione scolastica per tutti gli alunni con o senza disabilità. La Legge stabiliva inoltre il numero di ore di sostegno e il numero massimo di alunni all’interno di una classe che ospitava un alunno con disabilità. Ha compiuto dunque quarant’anni e sono stati tanti i tentativi di svuotare la Legge da suoi contenuti, come l’ormai storica problematica sulle ore di assistenza didattica per i disabili, che ogni anno si ripresenta puntuale come i servizi tv sui saldi estivi. La Legge è stata messa in discussione attraverso le gite scolastiche in più di un’occasione, escludendo gli alunni con disabilità, ma con la Scuola Svizzera di Milano si è toccato veramente il fondo. Nella Scuola Svizzera, privata, che però produce diplomi che danno accesso alle università italiane, un regolamento interno al punto “Disturbi dell’apprendimento o comportamentali, handicap motori”, recita: “Essendo la Scuola Svizzera impegnativa e multilingue, non è ottimale per studenti affetti da disturbi dell’apprendimento, quali: dislessia, discalculia, Adhs, sindrome Asperger, autismo e disturbi comportamentali. In caso di disturbi di lieve entità

gli allievi vengono aiutati dagli insegnanti a progredire, ma devono comunque soddisfare i regolari criteri di promozione. Eventuali costi derivanti da conseguenti lezioni supplementari, assistenza psicologica o fisica saranno a carico dei genitori. Essendo l’edificio su più livelli, privo di ascensore, non è altresì una Scuola adatta a studenti con gravi handicap motori”. Quindi l’istituto non si limita a un generico rifiuto, ma elenca le patologie che proprio non possono accedervi, come se rispondesse ad altre Leggi di un altro Stato. Come spesso accade, l’indignazione è generale ma le risposte da parte delle istituzioni e in particolare del ministro dell’Istruzione Fedeli appaiono deboli: la ministra in prima battuta dice che si deve verificare, verificare cosa? Il suo sottosegretario su Facebook pubblica un inciso, specificando il nulla del nulla. La notizia è veloce, corre e passa tra copia e incolla di articoli di giornale e qualche velina di parlamentari non ancora in vacanza. Capeggiano intanto i commenti sotto le notizie, figli di una sottocultura dedita all’intolleranza e al razzismo, che anche in questo caso non si fa attendere. Se non sei normale, se non hai le capacità, se sei un povero disabile, allora

non puoi far parte di un percorso di studi normale, devi andare in una scuola per quelli come te, anzi se è possibile nasconditi e esci poco, questo è quello che scrivono i leoni da tastiera, senza pensare che un giorno la discriminazione potrebbero subirla e sì, forse un giorno in questo Paese non ci sarà più posto per gli stupidi, ma ancora non è giunto quel giorno. Ora è il momento della salvaguardia dei diritti, della difesa delle lotte per la non discriminazione e per l’integrazione, contro la segregazione delle persone disabili. Mentre arriva la notizia che la norma sarà cancellata e che verrà istallato un ascensore, da queste pagine vogliamo lanciare un augurio alla scuoletta elvetica: che mai la vostra struttura possa ospitare talenti come Frida Kahlo, Henri de Toulouse-Lautrec, Sir Winston Churchill, Ludwig Van Beethoven, Stephen Hawking, Franklin D. Roosevelt e molti altri, tra cui il dislessico Albert Einstein. Gente come loro non ha bisogno di un istituto privato, la cui retta è la paga di un precario per sei mesi di lavoro. Vi lasciamo con la vostra perfezione e la normalità di quei figli di papà annoiati che vi piacciono tanto. Noi ci teniamo i nostri geniacci, con le loro difficoltà, i loro limiti ma con l’unicità di essere diversi. FA

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Questa non e’ una La Scuola Svizzera di Milano scoraggia i Di Manuel Tartaglia

F

a discutere e riflettere il caso della Scuola Svizzera di Milano, segnalato da Repubblica e rilanciato da molte altre testate giornalistiche. Si parla di un istituto elvetico privato con sede nel capoluogo lombardo, che aveva approvato un regolamento piuttosto discutibile, che i genitori degli alunni della scuola erano tenuti a sottoscrivere. Il capitolo della discordia è il 2.5 (“Disturbi dell’apprendimento o comportamentali, handicap motori”), che recita: “Essendo la Scuola Svizzera impegnativa e multilingue, non è ottimale per studenti affetti da disturbi dell’apprendimento, quali: dislessia, discalculia, Adhs, sindrome Asperger, autismo, e disturbi comportamentali. In caso di disturbi di lieve entità gli allievi vengono aiutati dagli insegnanti a progredire, ma devono comunque soddisfare i regolari criteri di promozione. Eventuali costi derivanti da conseguenti lezioni supplementari, assistenza psicologica o fisica saranno a carico dei genitori. Essendo l’edificio su più livelli, privo di ascensore, non è altresì una Scuola adatta a studenti con gravi handicap motori”. Si sconsiglia, insomma, la frequentazione dell’istituto da parte di alunni con disturbi dell’apprendimento, ai quali non ver-

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rebbe garantito alcun supporto che permetta loro di studiare alla pari coi propri compagni, nonché a quelli con difficoltà motorie, che non riuscirebbero a muoversi liberamente in un edificio con barriere architettoniche. Il famigerato capitolo 2.5 stride ironicamente con il 2.1 (“Norme generali, profilo pedagogico”), che indica la visione della Scuola Svizzera di Milano: “La Scuola ritiene importante educare gli allievi al rispetto delle varie manifestazioni della natura e dell’umanità; insegnare loro a capirle e a considerarle come un arricchimento”. Il mondo della politica non ha esitato a reagire con pubbliche dichiarazioni riportate dai giornali, una volta che la notizia è diventata di pubblico dominio. A cominciare dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli: “Non è accettabile. In Italia dal ‘77 sono superate le classi differenziali. Il nostro impianto di scuola è proprio quello di includere, non di escludere chi ha più difficoltà. Io in prima persona lavoro da sempre per l’inclusione, perché tutti i ragazzi e le ragazze possano avere accesso a un percorso scolastico con strumenti che li aiutino e permettano loro di sviluppare al meglio le loro capacità”. E valuta azioni legali: “Sto verificando se sia una iniziativa della singola


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scuola per tutti ragazzi con disabilità dall’iscriversi. L’indignazione non è unanime scuola o una direttiva svizzera”. Anche il sindaco di Milano Beppe Sala stigmatizza l’accaduto: “Non è la Milano che vogliamo”. Non altrettanta sensibilità è stata manifestata da tanti navigatori in Internet che, protetti dal proprio account virtuale, non hanno perso l’occasione di commentare la notizia a modo loro. Su Tiscali, tale Lorenzo Hess dichiara: “per me non è una cosa sbagliata, se delle persone hanno dei problemi è giusto che siano seguiti a parte, del resto la stessa cosa sarebbe nel caso inverso.... se una persona non ha problemi che ci farebbe con degli insgnanti di sostegno?? non sanno piu’ chi colpevolizzare con questi articoli”. Angelo Belleri tenta discutibili excursus storici: “Anni fa, una persona intelligente aveva proposto classi selezionate per merito, ossia chi era particolarmente portato allo studio sarebbe stato messo in una classe di ‘secchioni’, e così via a discendere fino alla formazione di una inevitabile classe degli asini. Immaginate cosa dissero i sinistri...”. Moreno Ragoni urla a caratteri cubitali: “NON E’ NECESSARIO CHE TUTTI DEBBANO E/O POSSANO FARE TUTTO! CI SONO DEGLI ISTITUTI, ISTITUZIONI STATALI, ISTITUZIONI PRIVATE ECC.. CHE HANNO DELLE REGOLE CON DELLE LIMITAZIONI! SE CI

RIENTRI BENE ALTRIL’ingresso della Scuola Svizzera di Milano MENTI STAI FUORI SENZA SE E SENZA MA! FATE DOMANDA NEI CORAZIERI [sic!] PUR ESSENDO ALTI 1,60! VEDRETE COME VI PRENDONO! SE CI SONO DELLE SCUOLE CHE PER GRADO DI APPRENDIMENTO, RETTE ECC... NON POSSONO ESSERE PER TUTTI BENE! COS’ E’!!!!!”. Il tono non cambia su TG Com 24, con Mp1967 che va dritto al punto: “Visto che non hanno conpopuli che dipendono le scelte tributi dallo stato è giusto che delle istituzioni. Finisce quindi accettino chi vogliono. Basta con un dietro front il caso della con questo buonismo!!!”. GiuScuola Svizzera di Milano che, lia Boriom, invece, la mette in per evitare ulteriori dissapori, politica: “beh con le credecide di cancellare il padenziali che ha credo non ragrafo dolente dal famigerato accetterebbero neppure il miregolamento. nistro fedeli !!! i nostri politici Segno che un po’ di usono dei ciarlatani , tante pomanità ancora la si può trolemiche inutili per nascondere vare? Pare di sì, anche a i problemi reali. colpo di stato giudicare dalle parole di e via tutti”. Dijonn tenta di raRestigam, l’autrice dell’unico zionalizzare l’esclusione dei commento fuori dal coro che bambini con disabilità dalla abbiamo trovato in Rete: scuola: “Non è necessario es“Stavo pensando ad Einstein e sere perforza dei razzisti, ma è a quel fisico in carrozzina indubbio che certe patologie persone ke non si sono fatte richiedano strutture e perfermare da una disabilità! sonale apposito, se una scuola Questa scuola come tutte le privata non può garantire una scuole svizzere devono impacorretta gestione mi pare rare a vedere le xsone x quello normale che non accetti”. Ke sono e aiutarle a sviluppare Per fortuna, non è dalla vox le.loro doti!”. FA

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Un’altalena contro le La battaglia di Michela Aloigi, madre di un bambino con Di Andrea Desideri

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vanti e indietro, grazie ad una spinta. Può essere divertimento, altri ci ritrovano il senso della vita, sicuramente i più piccoli vi passano le giornate. Un’altalena, di umori, emozioni e stati d’animo, che da un parco giochi diviene lo specchio di una società civile. Succede ad Imperia, piccolo comune ligure, dove qualche mese fa è stata disposta la chiusura di un’altalena dal parco giochi cittadino. Questo gioco, stavolta aveva la particolarità di essere dedicato ai bambini con disabilità. Infatti, per chi è in carrozzina anche salire su un’altalena diventa problematico. A Imperia, nel novembre scorso, l’utopia era divenuta una realtà possibile grazie alla tenacia di Michela Aloigi che, con la sua organizzazione La Giraffa a Rotelle, ha investito dei soldi per montare nel parco un’altalena accessoriata per persone con disabilità. Ovviamente, l’attrazione era a disposizione di tutti. Anche dei bambini normodotati che, però, la vivevano diversamente: ci montavano spesso sopra in maniera errata, causandone la rottura, cosicché il sindaco del paese ne chiese la chiusura. Tale decisione non è stata accolta benissimo da Michela che, essendo anche madre di un ragazzo con disabilità, ha vissuto l’intera vicenda come un so-

pruso. Agli inizi di Luglio, insorge su Facebook: “Io e Matteo ringraziamo tutti quei cittadini che hanno fatto chiudere l’altalena così che i propri figli ‘normodotati’ possano rimanere incolumi mentre loro chiacchierano e giocano con il cellulare! O sono tranquilli tranquilli al mare poiché non hanno bisogno di aiuto o accessibilità. Noi, non vi preoccupate, andiamo a rinchiuderci a casa... Grazie! W la civiltà!”. Al termine di un parapiglia mediatico con le autorità, nei giorni successivi l’altalena è tornata ad essere disponibile al suo posto, grazie ad un ulteriore investimento fatto da Michela ed altri volontari. Al termine di questa battaglia, che si è conclusa con la garanzia da parte del sindaco affinché ci sia una maggiore vigilanza e custodia del mezzo per evitare ulteriori episodi spiacevoli, abbiamo contattato la signora Aloigi per provare ulteriormente a far luce su questo caso contorto, che da un paesino è arrivato sino alle cronache nazionali.

Che idea si è fatta dopo tutta questa vicenda? “La mia è stata una protesta di civiltà, più che altro. È inconcepibile che si chiuda l’unico gioco che garantisca un’inclusione sociale per via di pochi incivili che l’hanno usato nella maniera

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sbagliata. In questo il Comune ha sbagliato, preferendo chiudere tutto, dando adito alle proteste di alcune famiglie, invece che trovare una soluzione adeguata. Ci sono stati dei genitori che si sono lamentati, che non tolleravano l’altalena, la ritenevano un pericolo, invece che un’opportunità. Questo è il livello di apertura nel nostro paese, ecco perché cerco di impegnarmi anche con la mia associazione”.

Si aspettava questa reticenza da parte dei suoi concittadini? “Speravo di avere un po’ più di appoggio. Non è il discorso del gioco in sé, ma la possibilità di poter vivere un parco tutti insieme: i nostri figli, noi genitori e tutta la collettività. La bella cosa dovrebbe essere riuscire a vivere tutti la città in egual modo, invece è successo quel che è successo”.

Da cosa dipende questo difetto di inclusione sociale? “Io in Rete, forse, sono stata un po’ troppo cruda. Le dico la verità: ci vorrebbe una mentalità diversa, cioè capire che noi siamo come le altre famiglie. Abbiamo soltanto bisogno di alcuni accorgimenti per andare avanti, come tutti. Quindi vanno rispettate tutte le esigenze. Quando si vede che quattro o cinque bambini grandicelli vanno


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barriere mentali disabilità, per un parco giochi accessibile a tutti a tutta velocità su un’altalena di quella portata, magari, da genitore, bisognerebbe porre un freno a certi comportamenti. Sinceramente gli altri genitori facevano finta di niente, ecco. Nelle altalene non ci si va in piedi a tutta velocità, l’altalena è un gioco tranquillo per dondolarsi. Non certo fatto per cinque o sei ragazzoni grandi che vanno a tutta velocità, si fanno male loro, fanno male agli altri, e si rompe un bene comune”.

Sulla pagina Facebook dell’associazione abbiamo visto che ci sono stati degli sviluppi... “Fortunatamente, sabato mattina ci sono arrivati i pezzi di ricambio. Quindi io ho sentito l’ingegnere del Comune, per capire se potevamo montarli, e mi ha detto di sì. Grazie al cielo!”.

Questi ricambi sono arrivati a spese vostre o il Comune vi ha dato una mano? “No, tutto a nostre spese. Il Comune ci ha detto che nei prossimi giorni, spero sia vero, farà una recinzione per mettere in sicurezza sia l’altalena che i ragazzi. Ci hanno detto soltanto di avere pazienza, intanto l’altalena funziona, quindi spero che questa storia possa essere lasciata alle spalle”.

Come giudica l’atteggia-

mento delle istituzioni che non l’hanno aiutata? “Qui il più grosso scoglio è mentale, la grande maggioranza non riesce a capire che tutti siamo uguali, che tutti abbiamo i soliti bisogni, che anche una persona sulla sedia a rotelle vuole andare al cinema, vuole andare sull’altalena, vuole andare a mangiarsi una pizza. Qui non c’è questa mentalità: la maggior parte delle persone con disabilità è chiusa in casa. La mentalità è ristretta anche fra le istituzioni, che non considerano queste cose. È brutto parlare così della città dove vivo, ma è come se fossimo un po’ invisibili per loro”.

Qual è il problema di base che poi porta a questo? “Manca la voglia, manca la sensibilità, non è solo una questione economica. Tante cose si possono fare comunque, dandoci una mano e collaborando insieme, ma se manca la voglia di inclusione, se manca la considerazione, se manca il rispetto, allora siamo a zero”.

Le altre famiglie di persone con disabilità come si stanno ponendo? “Mi danno manforte, ma dietro le quinte. Non si espone nessuno perché sanno che vengono sottovalutati dalle istituzio-

ni. Parliamoci chiaro: io sono additata, la gente preferisce non esporsi, mi danno un aiuto morale. Con quello che faccio io, spero anche di liberare queste persone dalla paura di stare nascoste. Paura di giudizi e pettegolezzi”.

Avete smo?

subito

ostraci-

“Più persone sono state infastidite da quello che ho fatto e dal mio impegno. Ho subito minacce, ho avuto paura per mio figlio, perché Matteo non parla, Matteo non si muove, Matteo non si difende, quindi la paura era per lui. Secondo me, sono uscita più fortificata da questo, ho denunciato le cose e andiamo avanti”.

Per il futuro cosa si augura? “Di poter vivere più serenamente possibile. Andare a un ristorante, a un cinema con mio figlio, in maniera normale. Per l’associazione, il prossimo progetto a cui tengo molto, è quello di mettere delle pedane per poter accedere ad alcuni negozi. Per poter avere una vita normale, senza chiedere una mano ogni dieci metri. Poi abbiamo messo su una campagna per raccogliere fondi, così da mettere accanto all’altalena un bellissimo girello, dove potranno andare bambini sia disabili che normodotati”. FA

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Note stonate al Non mancano le critiche dagli spettatori Di Andrea Desideri

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ostepay Rock in Roma è uno degli eventi musicali più attesi dell’estate, che da anni rinfresca le notti romane con i più grandi nomi della musica italiana e internazionale. Svoltosi all’Ippodromo delle Capannelle dal 23 giugno al 2 agosto, non ha purtroppo perso occasione per far parlare di sé in maniera negativa. A dirlo sono le oltre 5.300 recensioni sulla pagina Facebook ufficiale della manifestazione: molte, troppe negative, non esageriamo se arriviamo ad affermare che più della metà esprimono disgusto dopo aver assistito ad un concerto pagato profumatamente. Sotto accusa l’acustica, l’organizzazione e la sicurezza. Chantal, ad esempio, si lamenta dell’igiene: “Brunori Sas eccezionale. Lo rivedrò sicuramente. Unica nota positiva di una location a dir poco imbarazzante! Avremmo dovuto chiamare i #Nas (o il servizio Sisp della #Asl) per la situazione in cui versavano i bagni. Mai prima ho pensato che i bagni chimici potessero essere più puliti dei bagni normali. Immagino non vengano puliti da mesi!”. C’è chi, invece, non ha apprezzato i cambi di location repentini come Chiara: “Sono seriamente sconcertata da quanto il concerto degli Alter Bridge sia stato gestito in maniera pes-

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sima. Loro grandiosi come sempre, ma l’organizzazione è stata la peggiore tra quelle di tutti i concerti a cui ho assistito in vita mia. Partendo dal principio: non si può relegare una band simile a suonare in un locale come l’Orion di Roma. Nonostante lo scetticismo ho voluto comunque dare una possibilità. Non è andata male come credevo, è andata molto, molto peggio. Orari non rispettati e questo può accadere, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Acustica terribile, le voci dei cantanti non si sentivano. E non sto dicendo che erano lievemente oscurate dagli strumenti, era proprio difficile cogliere una strofa o una parola. Io conosco tutti i loro testi a memoria e più volte mi sono trovata a chiedermi cosa diavolo stessero cantando. Ci avevano assicurato un’aria condizionata che, se c’è stata, è stata praticamente inesistente. Il caldo era soffocante, tanto che in molti hanno preferito uscire a metà concerto”. Salvatore, sperando in una risposta che non arriverà mai, la butta sul ridere: “Far organizzare concerti al Rock in Roma è come far gestire un sito di incontri a Pacciani”. Queste sono solo alcune delle innumerevoli testimonianze che potrete trovare sui social net-


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Rock in Roma e dai giornalisti con disabilità work di riferimento, le quali sembrerebbero descrivere una serie di situazioni tutt’altro che edificanti. Incontriamo Stefania, una ragazza di Eboli e residente a Roma, che ha assistito al concerto di Daniele Silvestri. Lei all’Ippodromo delle Capannelle c’è stata e, dopo aver lasciato una recensione al vetriolo sul Web, ha scelto di raccontarci a voce quali criticità ha incontrato. Le sue parole non fanno altro che avvalorare una serie di inadempienze strutturali, ponendo l’accento anche sulla questione dell’accessibilità per persone con disabilità: “Sono un po’ disorganizzati, soprattutto per la postazione e i parcheggi. Per il parcheggio loro dicono che c’è scritto sul sito ed effettivamente è così, ma una volta lì le indicazioni lasciano completamente a desiderare. Per parcheggiare non ci sono indicazioni. Se tu arrivi senza aver visionato il sito o la mappa, non c’è una indicazione per trovare il parcheggio riservato, bisogna fare un giro lungo su via Appia e poi ritornare indietro. Ma lì non è a vista e i parcheggiatori esterni non ne sanno nulla. Nemmeno le pattuglie dei vigili hanno saputo rispondere. Io non ritornerò per la visibilità (se devo vedermi un concerto così da lontano, evito) e per il problema che ogni volta

ho col parcheggio”. In effetti, sul sito ufficiale c’è una sezione dedicata alle persone con disabilità, che però ribadisce soltanto la predisposizione di un’area riservata, in cui ha accesso anche l’accompagnatore della persona. Due righe appena che non possono giustificare la mancanza di indicazioni in loco. La questione dell’accessibilità precaria è soltanto l’apripista che consente di arrivare al più clamoroso dei soprusi: un giornalista con disabilità aveva richiesto, con largo anticipo sulle prevendite, due accrediti stampa per il concerto del 9 luglio di Ms Lauryn Hill. Come da prassi, c’è stato uno scambio di e-mail con uffici stampa di riferimento (il sito ufficiale di Rock in Roma fornisce tutte le indicazioni per richiedere tagliandi). Una prima e-mail di richiesta, a cui è seguita la seguente risposta: “Gli accrediti vengono concessi in prossimità del concerto, solo in quel momento ti sapremo dire se sarà stato possibile accreditarti. Per quanto riguarda la postazione, in caso di conferma dell’accredito, troveremo certamente una soluzione. Stai pur tranquillo. Una serena Pasqua. A presto”. L’epilogo non si riesce a trovare neppure in questa intricata vicenda, che è andata avanti per qualche mese, senza

alcuna risposta. Un silenzio che non si è rotto nemmeno di fronte alle reiterate sollecitazioni: “Gentilmente, posso chiederle più o meno - quanto tempo prima posso rivolgermi nuovamente a Lei in modo da trovare tagliandi disponibili data la mia situazione? Grazie mille e buona giornata”. La fantasia e l’originalità non sono mancate al corrispondente che, da aprile a luglio, si è interfacciato con un ufficio stampa latitante segnalato dall’organizzazione per poi ritrovarsi a mani vuote. Senza alcuna spiegazione. Se per chiunque vale il principio secondo cui domandare è lecito e rispondere è cortesia, al Rock in Roma preferiscono tacere. Rendersi irreperibili. Soltanto che fin quando si ostacola la visibilità di un evento a persone con disabilità, stiamo parlando di una scelleratezza ingiustificabile, ma recuperabile. Non appena si nega il diritto all’accessibilità ad un giornalista si sta scavalcando il diritto di cronaca. Potremmo arrivare a pensare che in certi ambienti sia gradita esclusivamente un certo tipo di stampa e a chi ha una disabilità venga ancora consigliato, con “segnali inequivocabili”, di restare a casa propria. FA

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Le contraddizioni Ci rechiamo nel moderno multisala, Di Manuel Tartaglia

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a rubrica L’Intrufolone prende in esame un noto multisala, rilevando non poche lacune organizzative. Dopo l’ottima esperienza registrata al The Space Parco de’ Medici, di cui vi avevamo dato conto recentemente su FinestrAperta.it, stavolta ci spostiamo alla periferia nord di Roma, all’interno del centro commerciale Porta di Roma (in via Alberto Lionello, 101), che ospita negozi, ristoranti, attività di vario genere ed un cinema, l’Uci Cinemas Porta di Roma, oggetto della nostra visita. DAL PARCHEGGIO ALLA SALA Usciti dal Grande Raccordo Anulare e imboccata la rampa per via Bufalotta/zona commerciale, si arriva alla imponente costruzione. La prima cosa da fare è localizzare i parcheggi. Ce ne sono un’infinità, diversi dei quali riservati alla clientela con disabilità. Intelligentemente, questi posti sono stati collocati in prossimità delle entrate, quindi il percorso dall’auto all’ingresso sarà breve. Attenzione, però: tutte le entrate sono munite di tappeto mobile, ma solo alcune di ascensore. Occhio, quindi, ai cartelli. Una volta entrati nel centro commerciale, raggiungiamo il primo piano dove, insieme ad

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altri esercizi commerciali, è situato l’ingresso del cinema. Ricordiamo che gli orari d’apertura sono da domenica a giovedì dalle 10:30 all’1:30; venerdì e sabato dalle 10:30 alle 3:30. PRIMA ANOMALIA: I BIGLIETTI D’INGRESSO Dopo aver scelto quale film vedere e a quale orario, tra l’ampia scelta a disposizione, ci rechiamo alla cassa. La fila è lunga, ma alle persone con disabilità è consentito passare avanti. Cominciano i grattacapi. Siamo due spettatori in carrozzina, senza accompagnatori. L’operatore alla cassa specifica: “Non potete sedervi vicini”. Perché? “Perché non ci sono abbastanza posti per le carrozzine, quindi uno di voi due assisterà al film dal lato destro della sala e l’altro dal lato sinistro”. Proponiamo, allora, per non disperderci, di far sedere una delle due persone su un normale sedile, accanto all’altra in carrozzina. L’operatore acconsente e stampa due biglietti gratuiti. ALTRE ANOMALIE: LE PROCEDURE E LE CONTESTAZIONI DELL’ADDETTO Coi nostri biglietti in mano, dobbiamo raggiungere la sala, che si trova al piano superiore,


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di Uci Cinemas Porta di Roma imbattendoci in non poche bizzarrie ma l’ascensore per raggiungerlo è chiuso a chiave, il che ci costringe a recarci al bar dell’Uci Cinemas Porta di Roma e chiedere dell’addetto in grado di sbloccarlo, che poco dopo arriva. Quest’ultimo, prima di aprirci la porta dell’agognato ascensore - che in tutti gli altri cinema da noi sperimentati può essere utilizzato senza chiedere permessi o chiavi - esamina i nostri biglietti d’ingresso, dopodiché sentenzia: “Con questi biglietti non posso farvi entrare”. Perché? “Perché non dovrebbero essere gratuiti, ma dovreste pagare come tutti”. E fin qui potremmo anche starci, ma allora perché l’altro addetto ha stampato due biglietti omaggio? “Inoltre - aggiunge - non potete sedervi sulle poltrone della sala, ma dovete restare entrambi sulle vostre carrozzine”. Perché? “Per motivi di sicurezza, perché se ci fosse un incendio, un terremoto o qualsiasi altra emergenza, ci mettereste troppo ad alzarvi dal sedile e mettervi sulla carrozzina”. Alla fine lo zelante dipendente ci rassicura: “Non ce l’ho con voi, è il mio collega che ha fatto degli errori. Per questa volta vi lascio entrare con questi biglietti”.

La porta dell’ascensore si apre e finalmente saliamo di un piano. Qui troviamo la nostra sala e scopriamo che, al contrario di quanto ci era stato riferito, lo spazio senza sedili su cui stare con la carrozzina è sufficiente per farci stare entrambi vicini, evitando così di assistere alla proiezione da due lati separati della sala, senza peraltro intralciare il viavai degli altri avventori. Alla fine del film, per andarcene, dobbiamo scendere nuovamente di un piano. Cerchiamo ancora un addetto per farci aiutare e ce ne andiamo. CONSIDERAZIONI FINALI Possiamo affermare che Uci Cinemas Porta di Roma sia tecnicamente accessibile, sen-

za dubbio. D’altro canto, non possiamo non manifestare perplessità su diversi aspetti, che pregiudicano la nostra valutazione: 1. Un cinema di recente costruzione come questo, che ha le casse in un piano e le sale in un altro. 2. Non si può prendere liberamente l’ascensore, ma ogni volta bisogna cercare un addetto e farselo aprire. 3. L’ambiguità sui costi: gli spettatori disabili pagano il biglietto o no? 4. Il divieto a due persone in carrozzina di assistere ad una proiezione l’una accanto all’altra. 5. Il divieto agli spettatori disabili di usufruire delle poltrone riservate al pubblico. FA

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Rubare il parcheggio e’ violenza privata C

Lo stabilisce la sentenza 17794/ 2017 della Suprema Corte

Di Angelo Andrea Vegliante

i sono voluti otto anni per arrivare alla sentenza definitiva: occupare un parcheggio riservato alle persone con disabilità è violenza privata, ma solo in alcuni casi. Per capire meglio la sentenza n. 17794/2017, stabilita dalla Quinta Sezione Penale della Suprema Corte, bisogna ripercorrere i fatti. Nel 2009, a Palermo, Giuseppina, una donna con disabilità, si reca al parcheggio riservato di cui è titolare, occupato però da un’altra vettura. Il proprietario del mezzo lascerà l’auto lì per ben sedici ore, mentre la donna si rivolge a diverse forze dell’ordine per chiedere giustizia, senza però ricevere aiuto. La vicenda si conclude alle 2:30 di notte, con la rimozione dell’auto da parte del carroattrezzi. In seguito, Giuseppina querela Mario, il quale davanti alla Corte sostiene che non sia stato lui a parcheggiare lì, ma il figlio. Niente scuse: il Tribunale di Palermo lo condanna a quattro mesi di carcere per violenza privata, sentenza poi confermata in appello. Non basta neanche il ricorso dell’uomo, che vede la sentenza confermata anche dalla Corte di Cassazione, che lo ritiene colpevole del reato ex art. 610 c.p., sempre con la condanna di

violenza privata, insieme al risarcimento danni di 5mila euro per la parte offesa e il pagamento delle spese processuali. Vicenda risolta, però ci sono due punti su cui soffermarsi. Primo su tutti, il tempo: ci sono voluti ben otto anni di lavori giuridici per arrivare a questa sentenza storica. Un altro punto su cui dobbiamo riflettere è la sentenza in sé. Si è giunti a parlare di “violenza privata” in quanto il parcheggio riservato era di proprietà della persona. Dunque, se ci trovassimo di fronte a un parcheggio generalmente riservato alle persone con disabilità (quelli di un centro commerciale o di un cinema, per esempio), senza che vi sia un proprietario specifico, non ci troveremmo di fronte a un reato penale, bensì alla violazione dell’articolo 158 comma 2 del Codice della Strada, punibile con una multa salata. Servirebbe un altro passo in più per rendere definitivamente ai furbetti del parcheggio vita difficile. C’è chi ha costruito dispositivi tecnologici in grado di evitare l’occupa-

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zione di un parcheggio riservato (ne abbiamo parlato, si tratta di Tommy) e chi, invece, grazie a ironia e video virali, vuole insegnare il rispetto per gli altri (The Ramp Lesson è l’ultima iniziativa conosciuta alle cronache). “Se vuoi il mio parcheggio, prenditi anche la mia disabilità”, recitava lo slogan di una vecchia iniziativa. Oggi si è vinta una battaglia, ma la guerra del parcheggio è ancora aperta. FA


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Trasferimento legittimo?

I giudici si sono pronunciati in merito alla possibilità di opporsi al cambio di sede dei lavoratori con familiari disabili Di Manuel Tartaglia

C

osa accade quando viene chiesto il trasferimento di un lavoratore che si prende cura di un familiare con disabilità? Sono più importanti le esigenze familiari o quelle aziendali? Diverse sentenze, nel tempo, hanno ribaltato il punto di vista sulla questione. LA LEGGE 104 E IL PUNTO SUI TRASFERIMENTI La 104/1992 è la cosiddetta “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” e contiene una serie di indicazioni per favorire, da un lato, i cittadini con disabilità e, dall’altro, i loro familiari che se ne prendono cura. Tra i vari articoli della Legge 104 che riguardano quest’ultima categoria, ha suscitato non pochi dibattiti il numero 33, comma 5, rivolto al lavoratore che assiste un familiare con certificazione di handicap in situazione di gravità. Il succitato articolo sancisce che “Il lavoratore [...] ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”. Attenzione alle interpretazioni: l’articolo 33, comma 5, della Legge 104/1992 parla esplicitamente di “familiare con certificazione di handicap in

situazione di gravità”. Ne consegue, dunque, che tutti i lavoratori che abbiano in cura un familiare, sì disabile, ma non grave, siano esclusi da tale privilegio. Se verrà imposto loro, dal proprio datore di lavoro, di trasferirsi presso altra sede, non potranno opporsi appellandosi alla Legge 104.

LA SENTENZA 25379/2016 E LE DISABILITÀ NON GRAVI Tutto questo fino al 12 dicembre del 2016, giorno in cui la Corte di Cassazione stabilisce, con la sentenza numero 25379, che il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare disabile è vietato anche nella circostanza in cui la disabilità non presenti la connotazione di gravità. La sentenza spiega che il concetto di “handicap in situazione di gravità”, deve essere interpretato alla luce dei principi costituzionali e comunitari di tutela della persona disabile.

LA SENTENZA 12729/2017 E IL LEGITTIMO TRASFERIMENTO Capitolo chiuso, dunque? No, perché con una nuova sentenza (la numero 12729/ 2017), la Cassazione rimescola le carte, giustificando il legittimo trasferimento. Il caso era sorto su azione di una lavoratrice, che assiste una persona disabile convivente, alla quale era stato imposto di spostarsi in una nuova sede, più lontana di 10 chilometri dalla precedente. Inutile appellarsi alla Legge 104: Tribunale e Corte d’Appello hanno rigettato la domanda. I giudici hanno ritenuto prioritario il bisogno del datore di lavoro di trasferire la ricorrente, in quanto il posto da lei occupato era stato soppresso. In definitiva, è stato stabilito che, in assenza di una soluzione che soddisfi entrambe le parti, le esigenze dell’azienda vengono prima di quelle del lavoratore. Come ci conferma questo caso, è fondamentale interpretare i dettagli enunciati nella norma. Quando si dice “il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina”, va evidenziata l’espressione “ove possibile”, perché se questa possibilità non c’è, il datore di lavoro ha tutto il diritto di scegliere la sede più indicata per il proprio dipendente. FA

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Mio figlio ha la Duchenne. E ora? N

Un sito Web spiega cosa può fare il genitore di un bambino con distrofia

Di Manuel Tartaglia

ell’immaginario collettivo la nascita di un figlio è un evento felice e portatore di serenità in famiglia. La realtà è un po’ più complessa perché, sì, una vita nuova che arriva è senz’altro una benedizione per le persone che la accolgono, ma per loro è anche fonte di stress, sacrifici e ansie. Una vera e propria bomba, che esplode nel nucleo familiare e rimette in discussione ritmi di vita, relazioni interpersonali, impegni lavorativi e sociali. È anche vero che si tratta di eventi che tutti hanno affrontato e in qualche modo superato, il più delle volte con soddisfazione. C’è chi, però, deve fare più fatica degli altri, come i genitori al cui figlio viene diagnosticata una patologia come la distrofia muscolare di Duchenne. Sono casi in cui le ansie di cui sopra vanno a sommarsi alla preoccupazione per il benessere del proprio bambino e il timore di non essere in grado di venire incontro alle sue esigenze. La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica rara che colpisce generalmente i bambini maschi. Coinvolge l’apparato muscolare, rendendo progressivamente impossibile la deambulazione e causando gravi complicazioni respiratorie e cardiache. Nonostante i progressi della scienza,

ad oggi non esiste una cura per debellare questa patologia, che va gestita nel migliore dei modi grazie alla fisioterapia e all’intervento di medici specialisti. La qualità della vita dei pazienti con distrofia, inoltre, deve essere assicurata da una serie di accorgimenti legali, sociali, culturali, in grado di assicurare loro un margine di autonomia più ampio possibile. Come affrontare tutto questo senza sentirsi smarriti? Un buon punto di partenza può essere senz’altro il sito Web Tu e Duchenne, versione italiana di Duchenne and You, realizzato da Ptc Therapeutics, azienda biofarmaceutica impegnata nella ricerca di terapie contro le malattie rare. Proviamo, dunque, a navigare in Tu e Duchenne. Dalla pagina iniziale si può accedere a quattro sezioni principali: “Informazioni sulla Duchenne”, “Comprendere la genetica”, “Famiglia e amici” e “Risorse sulla Duchenne”. “Informazioni sulla Duchenne” è un contenitore di informazioni sulla malattia. Con parole comprensibili, viene spiegata l’origine della patologia, i suoi effetti, cosa si può fare per limitarne le complicanze. “Comprendere la genetica” si sofferma sull’aspetto prettamente scientifico della distrofia di

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Duchenne, con schede divulgative sulla genetica, sui test e su come vanno interpretate le diverse informazioni in essi contenute. “Famiglia e amici” è la sezione che viene incontro a tutti quei dilemmi di carattere umano, sociale ed etico legati al rapporto con un bimbo con distrofia. Come dovrebbe rapportarsi a lui un genitore? Quali strategie può utilizzare per non essere sopraffatto dallo stress che comporta il proprio ruolo? Queste ed altre domande troveranno qui delle risposte semplici e incoraggianti. “Risorse sulla Duchenne”, infine, fornisce informazioni pratiche per passare dalle parole ai fatti: medici, associazioni, strutture specializzate, supporto per realizzare un piano di cura e via discorrendo. Tutto quello che c’è da sapere si trova qui. Le informazioni presenti nel sito Web sono piuttosto esaustive e ben organizzate. Il linguaggio è volutamente semplice, col fine di garantire a tutti gli utenti la comprensione dei contenuti. La navigazione risulta agevole, con pagine leggibili, senza fronzoli o ambiguità. Grazie a iniziative come Tu e Duchenne i genitori di bambini con distrofia possono scoprire che un approccio sereno alla patologia è possibile. FA


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Chi sono? Come mi chiamo? Sono tante le domande che una persona con Alzheimer può porsi. Ora le risposte sono a portata di smartphone

L

a vita di quasi tutti noi è in Rete. Più o meno consapevoli di ciò che comporta, condividiamo in Internet i nostri gusti, le nostre idee, le nostre preferenze sui temi più disparati, dalla cucina fino alla politica. Buona parte degli utenti dei social network mette addirittura alla mercè del Web i propri dati sensibili, noncurante dell’importanza di salvaguardare la privacy. Ci sono casi in cui, tuttavia, questo fenomeno può avere dei risvolti positivi ed è da queste premesse che trae la sua forza Chat Yourself, un’app nata dalla collaborazione di Nextopera, Young & Rubicam, Italia Longeva (network del Ministero

della Salute, Regione Marche e Irccs Inrca) e Facebook. Chat Yourself si presenta come una chat a tutti gli effetti (in particolare come Facebook Messenger, che va scaricato sullo smartphone dell’utente per poter usufruire del servizio) e la sua particolarità è che ci permette di chattare, appunto, con noi stessi. L’intuizione arriva dagli autori dell’applicazione, che hanno compreso le potenzialità di questo software per venire incontro alle esigenze di chi è affetto dalla malattia di Alzheimer. Immaginiamo di soffrire di vuoti di memoria e di trovarci, per esempio, in strada alla ricerca della nostra a-

bitazione: ci basterà chiedere a Chat Yourself “Dove abito?” e ricevere in tempo reale la risposta con il nostro indirizzo. Allo stesso modo, potremo chiedere il nome di un nostro familiare che ci sfugge, che cosa preferiamo mangiare e così via. Ogni volta riceveremo una puntuale risposta: “Tua sorella si chiama Francesca”, “Di solito mangi pollo, ma sei allergico ai peperoni” e così via. Le risposte alle nostre domande saranno sempre corrette perché, in qualche modo, siamo noi stessi a darle. Al primo accesso, infatti, l’applicazione chiede all’utente - o a chi si prende cura di lui - di rispondere ad una cinquantina di domande per poter raccogliere le informazioni necessarie a fornire successivamente le risposte. Quando la persona con Alzheimer tornerà ad utilizzarla, dunque, sarà come se parlasse con un’altra sé, che ricorda tutto alla perfezione. M.T.

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Un robot per terapista T

Riabilitazione e robotica, un binomio vincente per tanti pazienti neurolesi

Di Désirée Latella

ra i Centri riabilitativi che si stanno distinguendo nell’applicazione della robotica, va senz’altro citato l’Irccs Centro Neurolesi “Bonino Pulejo”, che utilizza la migliore tecnologia disponibile sul mercato per il trattamento dei propri pazienti. Ne parliamo con il Dirigente Neurologo, il Dottor Rocco Salvatore Calabrò.

Quando giunge la Neuroriabilitazione Robotica all’Irccs di Messina? “Dal 2013 è iniziata l’avventura con la robotica. È stata davvero una scommessa: abbiamo iniziato con il Lokomat ed eravamo davvero pochi a crederci, ma in alcuni anni siamo riusciti a creare uno dei laboratori più all’avanguardia in

Italia. In atto, il servizio di Neuroriabilitazione Robotica e Cognitiva Avanzata, da me diretto con orgoglio, offre ai pazienti la possibilità di effettuare riabilitazione neuromotoria e cognitiva con l’ausilio di device robotizzati e realtà virtuale per un recupero funzionale ottimale”.

Cos’è la riabilitazione robotica e come si coniuga alla riabilitazione convenzionale? “La riabilitazione robotica utilizza dei device elettromedicali ‘intelligenti’, che consentono un controllo attivo del movimento, attraverso una riabilitazione intensa, ripetitiva, e orientata al recupero funzionale. I risultati di tale riabilitazione, specie quando associata alla terapia convenzionale (alla quale si integra e non si contrappone), sono incoraggianti, ma sono necessari ulteriori studi per definire protocolli e linee guida”.

Quali sono gli obiettivi? “Fornire il massimo recupero possibile, nel minor tempo possibile, così da favorire un reinserimento sociale ottimale”.

Quali sono gli strumenti per la riabilitazione robotica? Il Centro di riabilitazione dell’Irccs di Messina

“Il servizio di robotica è tra i più avanzati ed equipaggiati in Italia e dispone di esoscheletri

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per l’arto inferiore (Lokomat Nanos, Pro e Free-D, ed Ekso Bionic), robot per l’arto superiore (Armeo Power e Spring, Amadeo), tapis-roulant in assenza di gravità (Alter-Gravity), Ciclo-Fes e sistemi di realtà virtuale (Nirvana, e Caren, l’unico presente in Italia)”.

Per quale tipologia di pazienti è indicato questo tipo di servizio? “Per tutti i pazienti con lesione del sistema nervoso centrale (ictus, trauma cranico e midollare, sclerosi multipla, Parkinson, malattie neuromuscolari eccetera. Al servizio accedono i ricoverati in regime ordinario e di Dh, e i pazienti ambulatoriali, previa richiesta dello specialista”.

Il lavoro di equipe quanto è importante nella costruzione e realizzazione del progetto riabilitativo? “Il team multidisciplinare è sicuramente il punto di forza del servizio. Del mio gruppo fanno parte neurologi, neurofisiologi, fisiatri, fisioterapisti, infermieri, psicologi e tecnici della riabilitazione psichiatrica e di neurofisiopatologia. La neuroriabilitazione è il punto naturale d’incontro di questo vasto panorama di professionisti con background culturale così diverso”. FA


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Come tulipani

Le lesioni midollari colpiscono una ingente quantità di pazienti ogni anno. Cosa si può fare per loro? Di Andrea Desideri

T

ulipano vuol dire “cappello” o “copricapo” - da “tulband” - ed è stato scelto per definire tale fiore, che ricorda proprio una sorta di cappuccio. Appartenente alla famiglia delle Liliaceae, è famoso per essere variegato nella sua eccentricità. Molti pensano sia nato in Olanda, mentre in realtà ha origini persiane. Proprio questo suo eclettismo, dovuto non solo alle controverse origini, Silvio Soldini (regista italiano di fama internazionale) l’ha usato per intitolare uno dei suoi film più famosi. Restando in tema di “Pane e Tulipani”, i fiori vengono spesso accomunati alla figura dei pazienti, poiché entrambi appaiono tutti molto simili, ma posseggono aspetti, qualità e situazioni differenti di cui bisogna prendersi cura. Quindi, se tiriamo in ballo il numero 250mila, non dovrebbero venire in mente soltanto gli esemplari del primo campo di tulipani UPick d’Italia - impiantato quest’anno in Lombardia, precisamente a Cornaredo, dall’olandese Edwin Koeman - ma anche l’ingente quantità di persone con malattie midollari. Ogni anno altrettanti individui riscontrano patologie al

midollo spinale, con conseguente perdita della sensibilità e della funzionalità motoria. I traumi midollari causano, a seconda del livello, paralisi delle gambe o addirittura di tutti e quattro gli arti, e possono arrivare a coinvolgere i muscoli respiratori, costringendo il paziente alla respirazione artificiale. Per questo, la Regione Lombardia, che non ha a cuore soltanto la botanica ma anche e soprattutto la salute dei cittadini, sta promuovendo un’iniziativa denominata “Conoscere per Capire”, che parte dal Centro Polifunzionale Spazio Vita Niguarda di Milano, per garantire un servizio di orientamento e informazione sui progressi della ricerca nell’ambito della lesione midollare. Una condizione irreversibile sembra essere la diretta conseguenza ad una patologia midollare, tuttavia l’interruzione di fibre nervose potrebbe essere ristabilita grazie ad un ripristino spontaneo delle connessioni midollari, attraverso l’aggiramento delle connessioni neuronali interrotte tra muscoli e cervello, per mezzo di protesi atte a supportare il movimento. Quando invece la lesione midollare coinvolge la muscolatura respiratoria, si ricorre

alla ventilazione. I ricercatori hanno studiato un enzima batterico - la condroitinasi che, iniettato in un’area del midollo ancora illesa, è in grado di rafforzare le connessioni con il sistema motorio-respiratorio. Ulteriori passi in avanti, poi, sono stati compiuti nel settore delle interfacce uomo-macchina e la sua applicazione. La creazione di esoscheletri costruiti su misura può far riacquisire un notevole tasso di indipendenza e autonomia: ad esempio, chi indossa un esoscheletro riceve una leggera pressione sulle braccia quando i suoi piedi stanno per toccare terra, questo consente di ritrovare il controllo volontario dei movimenti, pur essendo mediati da una macchina guidata attraverso la mente. Quindi i soggetti possono andare incontro ad un notevole miglioramento neurologico e mirare ad un parziale recupero delle funzioni motorie, realizzando quel che fino a qualche anno fa sembrava essere un’utopia: avere una qualità di vita dignitosa, in base alle singole esigenze di ogni persona. Ridare nuova linfa alle speranze assopite di chi è alle prese con la malattia giorno dopo giorno, proprio come si fa con i fiori. FA

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Anoressia, bulimia, obesita’: I disturbi alimentari più diffusi, spiegati dalla psicologa e Di Giulia Le Pera e Melissa Mattiocco

I

disturbi alimentari colpiscono, più frequentemente di quanto non si creda, tanti giovani, in particolare ragazze. Cerchiamo di capire cause ed effetti del fenomeno con l’aiuto della dottoressa Roberta Lepori (psicologa) e della dottoressa Lucilla Gagliardi (nutrizionista) della UILDM LAZIO onlus.

Da cosa derivano disturbi come anoressia, bulimia e obesità? Gagliardi: “L’anoressia, è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da una notevole riduzione del peso corporeo e da un desiderio ossessivo di perdere peso. Si pensa che possa derivare da una disfunzione dell’ipotalamo, cioè il centro della fame, per un trauma subito in precedenza. Ci sono due tipi di anoressia: l’anoressia restrittiva e l’anoressia bulimica, la prima porta a ridurre notevolmente le calorie e a fare un eccessivo esercizio fisico, la seconda porta al vomito auto indotto o all’assunzione di lassativi. Per quanto riguarda l’obesità, si ha un eccesso di peso dovuto da un aumento di introito calorico e riduzione della spesa energetica. Le cause possono essere neurologiche, psicologiche, ambientali, genetiche o legate a farmaci”. Lepori: “Al contrario di ano-

ressia e bulimia, l’obesità non è riconosciuta come malattia psichiatrica, viene però ricondotta ad un problema di tipo psicosociale. Anoressia e bulimia vengono riscontrate soprattutto nell’età adolescenziale, sono disturbi prevalentemente femminili. Inizia tutto in maniera molto banale, prendiamo ad esempio la ragazza che per la prova costume deve perdere 2 kg e si mette a dieta, lo stesso avviene per la bulimica che magari dopo un’abbuffata ad un matrimonio si sente piena e decide di prendersi un lassativo per evacuare tutto. Poi si entra in un meccanismo perverso, in cui non è il cervello che controlla il corpo, ma il corpo che controlla il sintomo e quindi il meccanismo in cui entra l’anoressica è la restrizione nell’assunzione delle calorie, la paura di diventare grassa e la visione alterata del peso forma, che non è mai abbastanza. Parliamo di bulimia quando abbiamo ricorrenti episodi di abbuffate di una volta o più a settimana per un periodo prolungato di tre mesi, con delle condotte sbagliate di autoeliminazione”.

Quali sono i sintomi più evidenti di questi disturbi?

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Gagliardi: “Nel caso dell’anoressia, il sintomo più evidente è la notevole perdita di peso, che porta ad una malnutrizione molto importante, con tutte le sue problematiche, quali una maggiore sensibilità alle infezioni, problemi cardiologici, ipotensione o problemi gastrointestinali, come stipsi e osteoporosi. Nel caso dell’obesità, invece, è l’eccesso di peso che può portare poi a difficoltà respiratorie e alle patologie maggiormente associate all’obesità”.

Cos’è che fa capire alle persone affette da disturbi alimentari che è arrivato il momento di chiedere aiuto? Lepori: “Né l’anoressica, né la bulimica chiedono aiuto, soprattutto l’anoressica, poiché grande controllante: controlla le calorie, la quantità, la qualità del cibo, il peso, le relazioni con le amiche o quelle interfamiliari, è una grande ossessiva, è bravissima a scuola, infatti l’anoressica è quella che prende tutti 10, quindi non chiede aiuto, perché tutto questo controllo le dà un potere esagerato ed essendo quindi così brava a controllare tutto, sa dosare perfettamente tutto ciò che mangia, ed è


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cosa sono e come superarle dalla nutrizionista difficile che si senta male, riuscendo anche a fare sport in queste condizioni. Lo stesso in maniera differente avviene per la bulimica, nel senso che la bulimica, non ha controllo. La bulimia, nasce da un grande vuoto emotivo, ed è un po’ lo stesso meccanismo che c’è nelle tossicodipendenze, in cui il grande vuoto emotivo viene riempito con qualcosa. La bulimica assume un gran quantitativo di cibo e questo non la fa star bene, così inizia il processo di evacuazione, con il vomito autoindotto, che dopo le prime volte diventa spontaneo. La bulimica non chiede aiuto perché si vergogna, perchè si rende conto che tutto questo scarso controllo non le fa bene. Spesso si accorgono di questi disturbi gli insegnati, che cercano di parlare con le famiglie”. Gagliardi: “Per l’obeso è abbastanza semplice in quanto si rende conto di avere difficoltà nel fare le scale, come qualsiasi altra attività. Ad ogni modo la situazione è chiara dopo delle analisi, osservando i valori: glicemia alta, colesterolo, trigliceridi o pressione”.

Una volta conclamati, come si contrastano questi disturbi?

Gagliardi: “Per l’anoressia è importantissima la collaborazione stretta tra lo psichiatra e il nutrizionista, con un intervento molto cauto, visto che al paziente abituato a non mangiare non si può proporre una dieta ipercalorica, quindi si va a proporre una dieta ipocalorica, che va ad aumentare gradualmente di settimana in settimana, andando a raggiungere la quota calorica adeguata. Però da parte del paziente ci può essere una resistenza, quindi spesso si deve scendere a compromessi, addirittura ci sono casi in cui si arriva alla terapia in vena”. Per quanto riguarda il paziente obeso, si prende in considerazione una terapia dietetica, affiancata da attività fisica e una terapia comportamentale e, nel caso in cui ci sia una componente psichiatrica, al paziente può anche essere prescritto un farmaco”. Lepori: “Il cibo è solo uno strumento, anche se poi, quando iniziamo a parlare con persone affette da questi disturbi, ci facciamo colpire dalle anoressiche, coi loro stratagemmi per non far capire che non hanno mangiato oppure dal senso di pietas che

ci viene a vedere una bulimica dopo aver vomitato, ma non dobbiamo dimenticare che questa patologia è un sintomo, come ad esempio un attacco di panico o una fobia, sono dei sintomi che si attivano su un determinato stato di malessere. Il cibo è solamente uno strumento e quindi gli psicologi non devono fermarsi alla superficie, ma devono andare oltre e chiedersi il perché di determinati atteggiamenti, facendo delle domande più mirate e interpellando anche i familiari, dai quali viene fuori una situazione familiare particolare. Il più delle volte si parla di una coalizione, infatti il ragazzo che viene preso da una di queste patologie, viene triangolato, ossia è coalizzato con un genitore contro l’altro e quindi, trovandosi in una situazione che lo stritola, attiva un sintomo per rompere un meccanismo patologico che è intorno a lui, anche se chiaramente non ci riesce e l’unica soluzione sarebbe quella di tirarsi fuori dal conflitto. Quindi non dobbiamo soffermarci sul rapporto che questi pazienti hanno col cibo, poiché questo è solo uno strumento che serve loro per arrivare da qualche parte”. FA

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Francia: arriva la legge anti anoressia I

Contrastare i disturbi alimentari partendo dal mondo della moda

Di Angelo Andrea Vegliante

l 6 maggio 2017, in Francia, è entrata in vigore una nuova legge detta “anti anoressia”, volta a contrastare questo disturbo. Esiste un metro di giudizio per capire quando un soggetto è anoressico. Il peso del proprio corpo deve essere sotto l’85% di quello previsto in base all’età e all’altezza e/o l’indice di massa corporea (BMI) inferiore a 17,5. La legge francese contro l’anoressia, entra in vigore in un paese dove la moda e la percezione del proprio corpo la fanno da padrona. Grazie alla “loi mannequin”, prima di salire sulle passerelle, ogni modella dovrà presentare un certificato medico - valido per due anni - per accertare “lo stato generale di salute della persona, valutato in particolare rispetto al suo indice di massa corporea, che le permetta di esercitare l’attività di modella”, come previsto dal codice del lavoro. Inizialmente, era stato proposto di fissare a 18 il limite minimo del BMI, ma l’ipotesi è stata scartata, sembra su pressioni del mondo della moda. I trasgressori saranno puniti con multe fino a 75mila euro e 6 mesi di prigione. La legge è ancora in fase embrionale, in quanto il primo ottobre 2017 verrà completata con l’inserimento di una norma che, precisa il ministero della Sanità

francese, imporrà “l’obbligo di accompagnare le fotografie ad uso commerciale con la menzione ‘fotografia ritoccata’ qualora siano state apportate delle modifiche al computer”, riferendosi a tutte le forme di pubblicità esistenti (cartellonistica, Internet, stampa e via discorrendo). La Francia non è il primo paese europeo a dotarsi di armi legislative contro i disturbi dell’alimentazione. Già nel settembre 2006 la Spagna adottò misure simili, vietando alle modelle con indice di massa corporea inferiore a 18 di sfilare alla Pasarela Cibeles, l’appuntamento mondano più atteso dagli spagnoli. In Francia sono circa 600mila giovani (di cui 40mila anoressici) a presentare disturbi nel comportamento alimentare, e rappresentano la seconda causa di mortalità fra i 15 e i 24 anni, dopo gli incidenti stradali. Con uno sguardo invece rivolto all’Italia, sono oltre 3 milioni le persone con disturbi alimentari, di cui 2,3 milioni sono adolescenti: il 95,9% è composto da donne, mentre il restante 4,1% da uomini. La mortalità si attesta attorno al 5 e 10% e si stima che chi soffre di anoressia abbia un rischio di morte dieci volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Il binomio anoressia-moda è sempre stato visto come un

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tabù, un argomento da non sollevare. La prima enorme crepa la produsse nel 2007 “No anoressia”, la campagna shock promossa da Nolita e curata da Oliviero Toscani per Flash&Partners, che vide la modella venticinquenne Isabelle Caro posare nuda, mostrando a tutta Italia il suo corpo ridotto ad un peso di 31 chili di sole ossa. “Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo - affermò Isabelle all’epoca -, adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo ripugna. Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d’aiuto a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire”. Solo dopo un lungo percorso riabilitativo, la ragazza riuscì a raggiungere il suo massimo peso di 42 chili. Il 17 novembre 2010, però, la giovane francese morì all’età di ventotto anni. Dal 2012, in Italia, è stata istituita una Giornata Nazionale contro i Disturbi del Comportamento Alimentare o Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, fissata al 15 marzo. Esistono istituzioni preposte a cui rivolgersi per combattere i disturbi alimentari, come il numero verde 800 180969 o il sito www.disturbialimentarionline.it, che mappa le strutture e le associazioni dedicate. FA


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Parole in ordine

Cos’è l’afasia e in che modo si riabilita un paziente afasico. Intervista alla dottoressa Simona Leopardi Di Désirée Latella

L’

Aita (Associazione Italiana Afasici) dà una descrizione semplice ma efficace dell’afasia: “Gli afasici soffrono di disturbi del linguaggio causati da lesioni cerebrali (trombosi, emorragie, traumi cranici, tumori, encefaliti)”. Queste lesioni non alterano la loro intelligenza, o la loro capacità di provare sentimenti come chiunque altro. Esse impediscono, però, di utilizzare normalmente il linguaggio nelle attività di tutti i giorni. Approfondiamo l’argomento con la Dottoressa Simona Leonardi, Psicologa presso l’Irccs Bonino-Pulejo di Messina, che si occupa di Riabilitazione cognitiva avanzata per i pazienti afasici post ictus, tramite l’impiego di software.

Quali sono le conseguenze a cui porta l’afasia post ictale? “L’afasia è un disturbo del linguaggio che compare in seguito a lesione del Sistema Nervoso Centrale, le conseguenze dipendono dalla tipologia di Afasia, in generale si suddividono in afasie fluenti, in cui il paziente mantiene il linguaggio, ma con un’insalata di parole, cioè le parole che produce non hanno significato e il fiume di parole non è contestualizzato, inoltre ha difficoltà ad eseguire ordini semplici; anche l’attenzione e la concentrazione sono

inficiate. Invece, nell’afasia non fluente, il paziente ha una forte difficoltà nella produzione del parlato, mentre la comprensione, seppur inficiata, ha un margine di recupero più ampio”.

Come si l’afasia?

La dottoressa Leopardi al lavoro

riabilita

“All’Irccs viene trattata con il software Power-Afa, creato ad hoc per i pazienti afasici”.

Che ruolo ha lo psicologo all’interno del progetto riabilitativo con soggetti afasici? “Lo psicologo ha una funzione importante nel progetto riabilitativo e lavora in sinergia con il logopedista, pur lavorando su due livelli del linguaggio diversi, i nostri ruoli si integrano. Chiaramente il logopedista si occupa della parte meccanica del linguaggio, mentre lo psicologo lavora sui domini cognitivi correlati all’afasia (attenzione, funzioni esecutive, prassie). Principalmente ci occupiamo di potenziare la motivazione e sostenere il paziente nel percorso di accettazione di un nuovo sé, in quanto spesso i tempi di recupero sono lunghi e non conoscendo ad oggi una percentuale certa dei soggetti che recuperano, spesso questi si scoraggiano incorrendo nella

depressione reattiva, che, come dice la parola stessa, nasce a reazione alla malattia che il soggetto sta vivendo”.

Quali variabili sono fondamentali nella buona riuscita del progetto riabilitativo? “Sicuramente, una concreta motivazione, un saldo supporto da parte dei familiari e flessibili strategie di coping. Il paziente, una volta dimesso, deve fare i conti con una nuova vita, una diversa gestione dei propri spazi e risorse. Per cui, sviluppare delle strategie flessibili che lo aiutino a sostenere lo stress derivante da tutta una serie di eventi che non è possibile gestire come prima della malattia, è certamente la strada giusta da percorrere”. FA

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Finestra Aperta - Settembre 2017

La parodia che fa riflettere O

Carrozzati’s Karma ironizza sui luoghi comuni della disabilità

Di Angelo Andrea Vegliante

ccidentali’s Karma, la canzone di Francesco Gabbani vincitrice dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, è stata oggetto di numerose parodie. Da qualche tempo, circola anche Carrozzati’s Karma, la rivisitazione di Maria Chiara e Elena Paolini, due sorelle di Senigallia, che - grazie al brano in questione - hanno voluto sdoganare alcuni concetti sulla disabilità con ironia e ritmo. Finestra Aperta le ha contattate.

Com’è nata l’idea di questa rivisitazione di Occidentali’s Karma? Maria Chiara: “L’idea mi è venuta notando che tra le tante parodie di Occidentali’s Karma, ne mancava una a tema disabilità. Gli stereotipi nei media sono un tema che mi ha sempre scaldato molto, quindi l’argomento mi è venuto in mente subito. Mi sono messa a giocare con la melodia, cercare le giuste immagini e contare le sillabe. Della ripresa e del montaggio si è occupata Elena”.

Avete mai ricevuto un riscontro da Francesco Gabbani? Maria Chiara: “Sarebbe fantastico. Adoriamo la sua musica”.

Nella canzone attaccate gli stereotipi più diffusi, per esempio chi vede la persona con disabilità con pietismo.

Elena: “Il pietismo è molto diffuso. Poi siamo visti come particolarmente fragili, persone pure e innocenti, o come eroi, modelli, esempi di vita. O al contrario, perché gli stereotipi viaggiano spesso su binari opposti, come persone acide, lamentose e che riversano le loro supposte frustrazioni sugli altri. Chiaramente, e per fortuna, non è che la maggior parte della persone abbia questi stereotipi. Il problema è che a causa di barriere architettoniche e sociali vige una specie di Apartheid per cui i disabili non riescono a partecipare a tutti gli aspetti della società”.

Attaccate anche i media. Allora non si salva proprio nessuno? Maria Chiara: “C’è qualche esempio virtuoso, ovviamente, ma ancora non si è diffuso un linguaggio adeguato quando si parla di disabilità. Il linguaggio è spesso improntato al sensazionalismo”. Elena: “Poiché la disabilità è percepita come tragica, spesso chi è disabile e semplicemente esce di casa è visto come coraggioso di default. Ogni tanto le persone in carrozzina si sentono dire che sono coraggiose anche quando fanno cose basilari tipo andare a fare la spesa, per capirci. Posso essere

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coraggiosa se affronto la security ai concerti per convincerli a non mettermi dietro a tutti per inesistenti ragioni di sicurezza solo perché sono disabile, ma non perché mi alzo dal letto la mattina”.

Spesso sentiamo dire che la persona con disabilità vuole solo essere accettata nella comunità, invece voi preferite che venga costruita una rampa... Maria Chiara: “Io non ci tengo ad essere accettata, penso che sia un concetto fuorviante e un po’ paternalistico. Insomma, le persone omosessuali bisogna accettarle? Quello che voglio è vivere la mia vita il più liberamente possibile, senza barriere che me lo impediscano. La rampa di cui parliamo ironicamente nella nostra canzone è un simbolo che racchiude tutti quegli investimenti concreti di cui hanno bisogno le persone disabili per poter vivere alla pari degli altri: accessibilità, assistenza personale, diritti e libertà di movimento”.

Vi aspettavate questo riscontro? Maria Chiara: “No, lo scopo era divertirci e far divertire. Tra l’altro non sono neanche una cantante amatoriale. Si vede che il messaggio è passato più delle stonature!”. FA


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Il regista di se stesso

Lorenzo Santoni racconta la sua disabilità nel modo che gli riesce meglio: realizzando film Di Andrea Desideri

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ettere ordine al caos della nostra mente non è cosa facile. Ci sono quelli che credono al destino e quelli che assecondano le proprie passioni, esistono poi pochi fortunati e tenaci che riescono a trasformare la passione in ragione di vita. Un regista può riordinare arrivando a dargli un senso quei tasselli e quei tabù con cui ha sempre convissuto. È così per Lorenzo Santoni, giovane regista toscano, che ha l’opportunità di poter tramutare i propri stati d’animo in immagini, storie e opere, grazie al grande schermo. Questa peculiarità non la possiede soltanto lui, infatti la Toscana è un ricettacolo di attori e registi, Santoni però ha il merito di portare la disabilità alla ribalta in maniera innovativa e mai banale. Dà un taglio alla disabilità senza escluderla, la presenta come una conseguenza quasi involontaria che può colpire indistintamente, cambiare delle vite senza per questo peggiorarle. In ogni girato - per ora soltanto cortometraggi scende a patti con sé stesso mostrando le sue paure ed aspettative, che non sono poi tanto diverse da chiunque altro conviva con una patologia invalidante. I suoi film sono uno spaccato della società che integra, disin-

tegrando, la diversità, facendo notare come a crearsi barriere per primi siano le stesse persone con disabilità che, ponendosi in maniera troppo pessimistica e il più delle volte - rinunciataria, innalzano muri ulteriori ad una convivenza serena nella routine quotidiana. L’importanza dei sogni e il saper coltivare le proprie passioni, nonostante le avversità, sono principi cardine per il giovane Lorenzo che, prima con Le nubi della mente poi con Una bellissima bugia, lo dimostra ampiamente agli addetti ai lavori del settore cinematografico e alle platee che incontra portando in giro i suoi progetti. Ha ricevuto il consenso e il favore del pubblico e dell’amministrazione nella sua città natale, Grosseto,

Il regista Lorenzo Santoni

della quale ha persino valorizzato alcune opere e punti di ritrovo culturale attraverso i suoi film. Si è fatto apprezzare da attori come Beniamino Marcone e Paolo Sassanelli, con cui ha condiviso il set, dirigendoli in maniera impeccabile. Così hanno dichiarato gli stessi su Youtube durante la presentazione del film che li ha coinvolti. Lorenzo Santoni, all’età di ventisei anni, sogna il suo primo lungometraggio (che sta già scrivendo), convive con la sua disabilità che, tuttavia, non gli impedisce di rispolverare qualche riconoscimento. Ad esempio, quello di miglior regista esordiente per Una bellissima bugia, corto che viene ancora riproposto in varie parti d’Europa (compresa Cannes). Inoltre, il giovane Lorenzo vanta vittorie in concorsi prestigiosi come il premio “Mario Garriba” alla settima edizione del Festival Internazionale Filmspray e il primo posto al concorso “Diversi ma uguali” indetto dalla Provincia di Grosseto. Un ragazzo umile che dalla scuola di cinema arriva sino ad alcuni dei più grandi palcoscenici del settore, una giovane promessa mantenuta (dicono) perché - come viene ribadito in un suo corto “la vita non è altro che una bugia che ci raccontiamo, facciamo che sia almeno bella”. FA

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Due facce della medaglia

Si confidano con noi gli atleti Roberto La Barbera e Assunta Legnante, tra successi collezionati e aspettative per il futuro Di Andrea Desideri

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ondra ha ospitato quest’estate i Campionati Mondiali Paralimpici di atletica leggera. In quell’occasione abbiamo incontrato Roberto La Barbera (Argento alle Paralimpiadi di Atene 2004, quindici medaglie tra Mondiali ed Europei nel salto in lungo) e Assunta Legnante (Oro a Rio 2016 e Londra 2012, campionessa mondiale di lancio del peso). Le premesse per degli ottimi risultati ci sono tutte, come ci confida Assunta Legnante: “Ripongo speranza su tutta la squadra, sono fiduciosa in tutte le donne, ognuna di loro ha un punto di forza: Martina Caironi è una sicurezza. Poi c’è Monica Contraffatto, che è in netto miglioramento, quindi può essere veramente la mina vagante. La Maspero è un’atleta che si allena molto bene e quindi è pronta al grande salto. Poi c’è la Arjola Dedaj, che quest’ anno ha fatto grandi progressi nel salto in lungo, per cui mi aspetto una grande gara a livello internazionale. Noi siamo una famiglia, siamo un gruppo ben affiatato”. Roberto La Barbera conferma le aspettative della collega: “In questi ultimi sei anni di Nazionale che ho vissuto, è stato un continuo miglioramento per ognuno di noi. Sia per gli uomini, sia per le donne. Quindi, sulla scia di questi miglioramenti di

anno in anno, noi siamo fiduciosi che continueremo a migliorare. Il dove è impossibile stabilirlo con esattezza, diciamo che basta che ognuno migliori quel 2-3% ogni volta e - sommato a tutti i componenti della Nazionale - fa una percentuale molto alta, perciò come gruppo si può cementificare ulteriormente la consapevolezza della nostra forza e dei nostri mezzi. La mia favola, che è la stessa che sta vivendo Assunta, è che alla nostra età possiamo ancora permetterci di gareggiare ad alti livelli risultando ancora incisivi. Me ne son sempre fregato dell’anagrafe, io mi sento giovane e le prestazioni che faccio di anno in anno lo dimostrano a chiunque, ma soprattutto a me stesso. Questo vale anche per gli altri componenti del gruppo che, di volta in volta, hanno migliorato i loro standard. Cosa si può dire a un gruppo del genere? Soltanto di continuare così”. La forza di un gruppo si vede dai risultati che ottiene, dopo le Paralimpiadi di Rio c’è bisogno di arrivare a Tokyo 2020 nel miglior modo possibile, questo Mondiale, quindi, diventa uno spartiacque fondamentale: “Questo è un punto di passaggio dopo le Paralimpiadi dell’anno scorso, un punto importante perché vincere un titolo mondiale è sempre uno stimolo per gli anni avvenire.

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L’obiettivo principale è arrivare bene a Tokyo 2020, anche se manca ancora un po’. Ci alleniamo per quello, gli anni sono quelli che sono”. Come si presenta, dunque, il futuro dei nostri atleti? “Fino a che mi sentirò bene e avrò questa voglia continuerò, il futuro è ancora da scrivere”, ammette La Barbera, mentre Legnante sembra avere le idee più chiare: “Voglio arrivare a sfatare un tabù: poter partecipare alle olimpiadi per normodotati, non inseguendo la medaglia, ma anche soltanto simbolicamente per far capire che siamo degli atleti a tutti gli effetti anche noi. Questo invito mi è stato già fatto, quando il presidente della Federazione Italiana di atletica leggera mi ha proposto di partecipare l’anno prossimo agli Europei dei normodotati. Ci sono però delle situazioni burocratiche da risolvere ma sarebbe una bellissima cosa”. Mentre la Legnante continua la ricerca di partner per affermarsi ulteriormente nel suo ambito e La Barbera è alle prese con la stesura del film che racconterà la sua biografia (Un Ragazzo in Gamba) la squadra italiana continua a coltivare sogni e speranze che non sembrano essere così irraggiungibili. Per questo ed altro, forza Azzurri! FA


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Volontari: 7 giorni per conoscerli P

La Settimana delle Sezioni 2017 celebra il volontariato in Uildm

Di Annalisa Del Picchia*

er una Organizzazione come la UILDM LAZIO onlus poter contare sulla presenza di Volontari, persone che dedicano il proprio tempo alla nostra causa, è un dono prezioso. Per comunicare a tutti l’importanza di questo dono abbiamo deciso di dedicare la prossima “Settimana delle Sezioni”, che quest’anno si svolge dal 2 all’8 ottobre, al tema del volontariato, mettendo in evidenza le storie dei giovani e degli adulti che negli anni ci sono stati a fianco, che hanno condiviso momenti importanti per l’Associazione e il suo sviluppo. Questo evento, giunto alla sua terza edizione, che vede coinvolte tutte le Sezioni Uildm d’Italia, nasce con lo scopo di aprire le Sedi Uildm al territorio per informare e sensibilizzare le persone sul tema della disabilità, delle malattie neuromuscolari e sostenere l’inclusione sociale. Durante la “Settimana delle Sezioni” vengono organizzati degli incontri aperti a quanti vogliono avere informazioni su come diventare volontari, sul Servizio Civile Volontario, in che modo poter essere d’aiuto e sulle attività svolte dalla nostra Organizzazione; vi è anche l’occasione per raccontare cosa fa la UILDM LAZIO onlus, grazie

alle risorse volontarie e quali servizi può svolgere, lasciando spazio alla voce degli stessi volontari di ieri e di oggi, per poter raccontare l’esperienza del volontariato dal loro punto di vista, attraverso interviste, fotografie e video. La UILDM LAZIO onlus da molti anni dà grande spazio al volontariato, avendo al suo interno anche un ufficio dedicato al suo coordinamento, ed impiegando risorse volontarie in diversi sportelli di Orientamento Uildm e attività dell’Associazione, come l’as-

sistenza domiciliare e alla mobilità con i Volontari in Servizio Civile o il supporto alle attività di raccolta fondi. Un altro esempio è quello della Redazione della Web Radio FinestrAperta, di cui fanno parte giovani ragazzi volontari con disabilità e non, che animano le trasmissioni. Per conoscere tutte gli eventi della Settimana delle Sezioni basta visitare il nostro sito web www.uildmlazio.org o la nostra pagina Facebook. *Responsabile Raccolta Fondi UILDM LAZIO onlus

Debora Bartorelli, volontaria dello Sportello di orientamento al lavoro presso la UILDM LAZIO onlus

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Un impegno che Otto per mille della Chiesa Valdese, Di Annalisa Del Picchia

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nche quest’anno la Chiesa Valdese, tramite l’otto per mille, si conferma uno dei più importanti donatori del non profit in Italia e nella cooperazione allo sviluppo all’estero. I progetti finanziati nell’anno 2016/ 2017 sono 686 in Italia, per un totale di oltre 20 milioni di euro stanziati, e 365 progetti all’estero, per oltre 14 milioni di euro. La UILDM LAZIO onlus è rientrata tra le organizzazioni che hanno ricevuto i fondi, ottenendo ancora una volta la fiducia della Chiesa Valdese nel proprio operato. Infatti, la Chiesa Valdese crede nella nostra organizzazione già da alcuni anni avendo finanziato, con i fondi dell’otto per mille, anche il progetto “Punti di Vista” nel 2013 e nel 2014 e il progetto “Percorsi di inclusione sociale per persone con disabilità grave” nel 2015. La Chiesa Valdese è da anni impegnata in attività sociali, avendo deciso che i fondi ricevuti con l’otto per mille non siano utilizzati per fini di culto - ad esempio per finanziare le attività religiose e spirituali della Chiesa, la costruzione di locali di culto o per mantenimento dei pastori - ma unicamente per progetti

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di natura assistenziale, sociale e culturale, o a sostegno di progetti nei Paesi in via di sviluppo, da realizzarsi in collaborazione con organismi internazionali sia religiosi che laici. È “l’altro otto per mille”, come si legge nel claim della campagna informativa 2017, che invita a firmare per la Chiesa valdese (Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi). “Un otto per mille diverso perché trasparente - spiega il Moderatore della Tavola Valdese, pastore Eugenio Bernardini - dal momento che sul


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si rinnova un aiuto concreto

Una escursione del Gruppo Giovani Uildm, una delle tante attività svolte grazie al sostegno della Chiesa Valdese

sito ottopermillevaldese.org pubblichiamo il resoconto degli interventi finanziati e per quale ammontare. È diverso perché da sempre finalizzato esclusivamente a interventi sociali, educativi e culturali realizzati in Italia e nel mondo”. Nel 2017 la Chiesa Valdese ha voluto sostenere la nostra Associazione, con i fondi dell’otto per mille, finanziando, con un contributo di 22.300 euro, parte del progetto “Autonomia e Vita Indipendente nella Disabilità Grave: Percorsi Possibili”, che ha preso il via a gennaio di quest’anno. Il Progetto prevede l’attivazione di servizi e attività in modo da

migliorare la qualità della vita di 134 persone con disabilità grave e complessa e delle loro famiglie residenti nei Municipi del Comune di Roma, favorendo percorsi di autonomia, attraverso il potenziamento delle attività di assistenza sociale sui territori finalizzate all’aiuto personale, sostegno alla vita domestica, sostegno scolastico e lavorativo, trasporto e accompagnamento, segretariato sociale. Tutto ciò è possibile attraverso una collaborazione proficua di un’equipe composta da operatori volontari, medici, assistenti sociali,

psicologi e consulenti alla pari. Una collaborazione con la Chiesa Valdese che ha permesso alla UILDM LAZIO onlus di attivare dei servizi gratuiti molto importanti per le persone con disabilità e le loro famiglie, con l’obiettivo di migliorarne la qualità della vita. Insieme si può fare tanto! FA

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Crescere fuori dalla Sei giovani europei si trovano a Roma Di Eda Bakir*

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Tutti alla festa di saluto dei volontari Sve

al 5 giugno al 4 agosto 2017, alla UILDM LAZIO onlus si è svolto il progetto di Servizio Volontario Europeo (Sve), denominato “Moving Out of Circles”, in collaborazione con i partner Asociación Cultural En Construcción (Spagna), Eesti Erinoorsootöö Ühing noor (Estonia), Association for Cultural, Economic, Heuristic and Linguistic Cooperation (Bulgaria) e Nodibinajums Pievienota Vertiba (Lettonia). Il progetto ha visto la partecipazione di sei giovani Toms, Ilva, Christel, Maksim, Adrian e Pancho, più i loro cani guida Ebony e Jean - provenienti dai paesi partner, impegnati con attività di volontariato a tempo pieno in un percorso di apprendimento creato ad hoc per loro. Una metà del gruppo di volontari era composta da persone con disabilità sensoriale e fisica, l’altra meta no. Un gruppo integrato, quindi, con età e background diversi, con varie motivazioni, interessi e talenti, che si è impegnato per due mesi a lavorare con la Uildm. Il tema del progetto era quello della mobilità. Il programma prevedeva che i volontari facessero varie videointerviste con diverse persone, esplorando questa tematica. In particolare, il fine era capire

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che cosa limita e che cosa permette la mobilità nelle persone. Sicuramente la mobilità non è un tema nuovo per la nostra Associazione. La rivendicazione del diritto alla mobilità e all’accessibilità fa parte integrante dei valori che perseguiamo. Con questo progetto abbiamo voluto approfondire il concetto di mobilità, cercando di uscire dai nostri soliti ambiti, dai nostri “circoli” (quindi “Moving Out of Circles”, come si dice in inglese) ed allargare la nostra definizione. Quindi non ci siamo fermati all’esperienza delle persone con disabilità, ma abbiamo allargato lo spettro ad altre categorie.


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zona di comfort per un progetto Sve sulla mobilità Per le video-interviste, abbiamo contattato delle persone dalle diverse esperienze riguardo la mobilità: persone con disabilità, che hanno fatto il loro percorso di emancipazione verso l’autonomia; persone che sono rifugiate in Italia, che sono dovute scappare dai loro paesi a causa di guerre, povertà o mancanza di diritti fondamentali; persone che si muovono dentro Roma o girano il mondo in bicicletta e si impegnano per cambiare la mobilità autocentrica in Italia con il loro attivismo; giovani che hanno fatto esperienze di mobilità in altri continenti come l’Africa... Cosa pensano tutti loro della mobilità? Come la vivono? Foto di gruppo coi protagonisti di Moving Out of Circles

Perché per loro è importante? Il prodotto delle videointerviste è visibile sul canale YouTube del progetto Moving Out of Circles, con sottotitoli in italiano e inglese. In più, le riflessioni dei ragazzi sul progetto e i loro incontri con gli intervistati sono stati condivisi all’interno del programma radiofonico Moving Out of Circles su Radio FinestrAperta (i podcast sono disponibili sul sito Web www.uildmlazio.eu). Alla fine del progetto, per celebrare il lavoro svolto dai volontari e condividere i risultati, la UILDM LAZIO onlus ha organizzato un aperitivo in terrazza lo scorso 28 luglio con musica, cibo e bevande, che ha visto una partecipazione numerosa di ex volontari, ex collaboratori ed amici dell’Associazione. Un’anteprima del videocollage è stata proiettata per dare un assaggio del progetto, mentre per vedere le interviste complete si può visitare il canale YouTube dedicato. Il ringraziamento va ancora ai partner ed ai volontari Toms, Ilva, Christel, Maksim, Adrian e Pancho per il loro impegno. Non vediamo l’ora di realizzare altri progetti di successo per permettere ulteriore apprendimento ai giovani. *Responsabile Sportello Mida UILDM LAZIO onlus

Esperienze accessibili in un paese straniero: le opportunita’ di Erasmus+

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oving Out Of Circles è un progetto Sve finanziato grazie ai

Fondi Erasmus+ dell’Unione Europea. Un progetto di Servizio Volontario Europeo è un percorso di apprendimento non formale, che si realizza attraverso attività di volontariato in un contesto internazionale. I giovani tra i diciassette e i trent’anni, possono fare volontariato in un’associazione di un paese europeo diverso da quello di provenienza, per un periodo che va da un minimo di due mesi ad un massimo di un anno. I fondi necessari per coprire i costi del progetto (vitto, alloggio, viaggio, assistenza, corso di lingua eccetera) sono messi a disposizione dal programma Erasmus+ dell’Unione Europea. I progetti Sve sono economicamente accessibili per tutti i giovani perché costoro non devono sostenere alcuna spesa per partecipare. È sufficiente rivolgersi ad un’associazione competente per la consulenza, come la UILDM LAZIO onlus, che offre servizi come ente di coordinamento, accoglienza e invio per progetti Sve dal 2004, con particolare attenzione all’inclusione di giovani con disabilità in questi progetti. Per maggiori informazioni su come accedere al programma, scrivere all’indirizzo mida@uildmlazio.org. E.B

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Avete mai sentito parlare del tennis in carrozzina?

Appunti

Di Antonella Irano

I

l tennis in carrozzina è uno sport poco popolare, eppure esiste dal 1976. Nato negli Usa, in Italia debutta nel 1987, grazie a quattro ragazzi paraplegici toscani che, appassionati di ping pong, decidono di abbandonare il tennis da tavolo e provare a sfidarsi sui campi da tennis. Questo sport ha le stesse regole del tennis tradizionale, a parte il fatto che la palla può rimbalzare due volte prima di essere respinta e che si può giocare a pieno campo. In Italia ci sono circa 150 atleti che partecipano ai vari tornei e si dividono in due categorie: chi ha esclusivamente disabilità agli arti inferiori (open) e chi anche agli arti superiori (quad). Esistono anche i tornei misti, cioè normodotati contro persone con disabilità, dove solo i primi si devono atttenere alle regole del tennis tradizionale. L’Italia è il paese in cui si disputano più tornei e gli appassionati di questo sport aumentano di anno in anno riuscendo a ritagliarsi uno spazio nelle trasmissioni televisive che si occupano esclusivamente di tennis. Chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza del tennis in carrozzina, può consultare il sito Internet www.federtennis.it/carrozzina. FA

TORNA L’OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA DISABILITÀ L’11 luglio 2017 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali comunicava la riapertura dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Il decreto prevede la ricostituzione dell’ente, che “si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale delle persone con disabilità rispetto al resto della popolazione - come si legge nel comunicato -, in vista del superamento di tutte le forme di diseguaglianza aggiuntive, per rispondere alla giusta e ineludibile richiesta di cittadinanza piena e integrale delle persone con disabilità, in coerenza con le previsioni della Convenzione Onu sui loro diritti”. Il nuovo coordinatore dell’Osservatorio sarà Pietro Barbieri, per diversi anni presidente della Fish (Federazione Italiana Superamento Handicap) e grande conoscitore del mondo associazionistico. Una carica importante per una riapertura significativa: “Di per sé, l’Osservatorio è l’organismo che non si sostituisce alle attività e alle responsabilità del Governo - spiega Barbieri a Finestra Aperta -, ma mette in campo degli strumenti per poter dare tutte le opportunità per applicare tutti i diritti per le persone con disabilità. L’Osservatorio è uno strano mix di competenze, tra l’appartenenza alla società civile e alle istituzioni. Io non provengo dalla parte istituzionale, ma provengo dal mondo del Terzo Settore. Però ho già creato un confronto forte e chiaro con le istituzioni, in quanto l’Osservatorio è il luogo del dialogo tra le istituzioni e la società civile. Questo è ciò che noi dobbiamo costruire, per fare in modo che qualcosa accada in positivo per le persone con disabilità”. Le attività sono ancora in fase embrionale, ma alcuni obiettivi sono già ben definiti: “È chiaro che ci sono alcune linee da seguire, tra la declinazione della Convenzione Onu sulla Disabilità e la sua applicazione: abbiamo una distanza tra l’enunciato e la sua concretizzazione. Questo perché c’è ancora un forte pregiudizio nella popolazione e nei soggetti che poi devono mettere in campo le policy. Bisogna ridurre questo gap anche culturale”. La ricostituzione dell’Osservatorio può essere letta anche come la volontà da parte del Governo di aprire un dialogo col mondo associazionistico: “Sostanzialmente sì - conferma Barbieri -. Il vero nodo lo avremo alle elezioni per vedere cosa succederà. Oggi c’è un Governo che interpreta bene la strada che gli è stata lasciata. Per il futuro non abbiamo ben chiaro quale Governo ci sarà, da quello dipenderà l’Osservatorio. Dovremo vedere cosa succederà ad aprile 2018, per capire anche il nostro futuro e quello delle persone con disabilità”.

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Angelo Andrea Vegliante


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Come trovarci La Uildm Lazio onlus Ricordiamo a tutti il numero del centralino della UILDM LAZIO onlus: 06 6604881. Il sito Web dell’associazione è presente all’indirizzo www.uildmlazio.org.

Come sostenerci

Q

ui di seguito segnaliamo le coordinate utili per chi volesse so-

Il settore Asis

stenere le attività della UILDM LAZIO onlus:

All’interno dell’associazione, il settore denominato “Asis” (Area servizi integrazione sociale) è quello che si occupa di tutti quegli aspetti, esclusi quelli sanitari, legati all’autonomia della persona con disabilità. Di seguito trovate i recapiti dei referenti della Sezione. Massimo Guitarrini, responsabile Asis e referente Volontariato e Servizio Civile, risponde al numero 06 66048886 e all’e-mail massimo.guitarrini@uildmlazio.org. Maura Peppoloni, referente Rapporto con le Istituzioni e Qualità della Vita, è reperibile in sede al numero 06 66048870 e all’e-mail maura.peppoloni@uildmlazio.org. Il Segretariato Sociale (telefono 06 66048880), lo sportello di orientamento al lavoro Quelli della 68 (telefono 06 66048868) e lo sportello di consulenza sulla mobilità UILDMobility (06 66048868) rispondono rispettivamente alle e-mail serviziosociale@uildmlazio.org, sportello68@uildmlazio.org e mobilita@uildmlazio.org. Annalisa Del Picchia, referente del settore Fund Raising, risponde all’e-mail fundraising@uildmlazio.org e al numero 06 6635757.

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Conto

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Distrofia

Muscolare - Sezione Laziale onlus Via

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Santacroce,

5

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00167 Roma”. - Conto corrente bancario con le seguenti coordinate formato Iban: IT90Z0200805250000000767797. Unicredit

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Ottoboni. - Versamento del 5 per mille della dichiarazione dei redditi al codice fiscale 80108650583. - In Internet con Paypal, tramite l’apposita pagina del nostro sito Web

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L’ufficio Comunicazione e immagine L’ufficio Comunicazione e Immagine comprende la redazione di Finestra Aperta e l’ufficio stampa della UILDM LAZIO onlus. Si trova al terzo piano della sede dell’associazione ed è raggiungibile tutti i giorni dalle 9:30 alle 17:00. Telefono: 06 6623225 o 06 66048803. E-mail: comunicazione@uildmlazio.org e finestra.aperta@uildmlazio.org. Serena Malta, direttrice di Finestra Aperta, è sempre disponibile al suo indirizzo di posta elettronica serena.malta@uildmlazio.org. Manuel Tartaglia, caporedattore e grafico, è in sede i lunedì, mercoledì e venerdì.

Su Facebook

P

otete trovare la nostra associazione anche sul popolare so-

cial network digitando le parole “Uildm Lazio”.

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