La Concessione Italiana di TianJin

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LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIANJIN 1901 – 1947

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INDICE INTRODUZIONE 1. LA QUESTIONE COLONIALE ITALIANA IN CINA 1.1. La Cina tra il XIX e XX secolo 1.2. Origine e sviluppo del settlement in Cina 1.3. Il Trattato Italo-Cinese del 1866 1.4. Il Protocollo di Pechino del 1901

2. LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIANJIN 2.1. L'accordo con la Cina per il settlement di Tianjin del 1902 - Genesi 2.2. L'amministrazione della Concessione e i suoi Regolamenti - Sviluppo 2.2.1. Organi amministrativi 2.2.2. Organi giudiziari 2.2.3. Organi di controllo 2.2.4. Regolamenti 2.2.5. La Banca Italiana per la Cina 2.3. Il Trattato Italo-cinese del 1928 2.4. Gli anni '30 2.5. La condizione degli italiani e degli indigeni nella concessione 2.6. La Seconda Guerra Mondiale e l'Accordo di Pace del 1947 - La retrocessione alla Cina.

3. L'IMMAGINE DELLA CONCESSIONE IN PATRIA NELLE MEMORIE E NEI RESOCONTI DI VIAGGIO DEI CONTEMPORANEI 3.1. Luigi Barzini 3.2. Vincenzo Fileti 3.3. Arnaldo Cipolla 3.4. Luciano Magrini 3.5. Mario Appelius 3.6. Roberto Suster 3.7. Michele C. Catalano 3.8. Cesare Cesari 3.9. La Stampa della Sera 3.10. Italo Zingarelli

4. UN SAVIGLIANESE A TIANJIN: IL CANNONIERE DEL BATTAGLIONE SAN MARCO MARIO STEFANO MOLLEA.

5. ALLEGATI 5.1. Accordo con la Cina per il settlement di Tianjin (1902) 5.2. Regolamento fondamentale della Concessione Italiana in Tianjin (1913) 5.3. Regolamento di Polizia ed Igiene (1913) 5.4. Regolamento Edilizio (1913) 5.5. Statuto Municipale e Regolamento per la sua applicazione (19221923)

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5.6. Regolamento Municipale della concessione italiana di Tianjin (1924) 5.7. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia - n.134 del 10/06/1929 5.8. Ditte italiane stabilite in Cina (1932) 5.9. Pubblicità della Banca Italiana per la Cina (1932) 5.10. Pubblicità del Lloyd Triestino (1932) 5.11. Movimento economico Italo-cinese (1921-1930) 5.12. VIII Censimento Generale (1936) 5.13. Biglietti di Banca - The Chinese Italian Banking Co. 5.14. La concessione italiana oggi. Immagini. (2013) BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE La città cinese di Tianjin (天津), fondata nel 1404 dall’Imperatore Yongle dei Ming, colui che edificò Pechino, rappresentava – e rappresenta tutt’oggi – un crocevia fondamentale per il commercio e per gli scambi all’interno del vasto impero cinese: lo stesso nome della città significa Guado Celeste, in quanto considerata da sempre porto naturale di Pechino e porta di accesso alla capitale. A partire dal 1842 ed in seguito ai Trattati Ineguali tra la Cina e le Potenze europee, Tianjin conobbe un periodo di grande sviluppo urbanistico e commerciale all’interno di un sistema che poteva definirsi di tipo semi-coloniale. La città divenne sede di nove concessioni o settlements stranieri che occupavano un’area dieci volte più estesa di quella occupata dalla città cinese. Apparvero così quartieri differenti per stile architettonico ed urbanistico, una sorta di replica fedele delle città europee, con viali alberati, ville e villini nei più svariati stili in voga nel periodo, banche e società commerciali, moderni servizi e trasporti pubblici. Il numero delle concessioni di Tianjin superò di gran lunga quelle delle maggiori città cinesi aperte agli stranieri; basti pensare che la città di Shanghai – molto più estesa e popolosa – aveva solo tre concessioni: l’internazionale, la francese e la giapponese. Gli interessi italiani a Tianjin iniziarono con la Rivolta dei Boxer (1900), quando anche il nostro Paese, insieme alle Potenze, inviò in Cina un battaglione a difesa delle Legazioni di Pechino assediate dai ribelli xenofobi. Dopo la firma del Protocollo di Pechino, il 7 giugno 1902 l’Italia ottenne ufficialmente un terreno in concessione perpetua di circa 770 acri sulla riva destra del fiume Beihe, tra quelle che erano la concessione Russa e la concessione Austro-ungarica. Nel corso degli anni il terreno paludoso e malsano su cui sorgeva, venne trasformato e bonificato, sorsero strade ordinate ed asfaltate, eleganti edifici pubblici e privati, apparve insomma una piccola, moderna città italiana in miniatura. Il quartiere italiano divenne così popolare tra le classi agiate cinesi che molte famiglie altolocate lo scelsero come luogo di residenza, prediligendolo alle altre concessioni: i cinesi la definirono la concessione aristocratica. L’eleganza del quartiere e il suo felice sviluppo architettonico coincisero però con un mancato sviluppo commerciale ed economico in gran parte causato dal disinteressamento del Governo centrale e dalla mancanza di solidi investimenti: Tianjin non riuscì ad essere per l’Italia una testa di ponte per una penetrazione commerciale nel vasto territorio cinese, cosa che invece fu per le altre potenze. Vetrina, durante il Regime, della nuova Italia Fascista, l’avventura italiana in Cina si concluse nel 1947 con la firma del trattato di pace dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, che impose all’Italia la rinuncia a qualsiasi pretesa 4


territoriale in Cina e la restituzione della concessione e di tutte le sue proprietà mobili ed immobili. La concessione italiana di Tianjin è stata per molti anni un capitolo poco noto della nostra storia coloniale. L'obiettivo di questo lavoro è stato quello di ricostruire, anche attraverso le fonti dell’epoca e con una serie di allegati alcuni inediti, le vicende che portarono all’ottenimento di un settlement in Cina, il suo sviluppo ed in modo particolare la sua organizzazione amministrativa e politica. La ricerca qui presentata si inserisce in un percorso scientifico che utilizza l'approccio prosopografico, attraverso la ricostruzione delle vite pubbliche e private dei politici, dei militari, dei diplomatici e dei giornalisti che ebbero direttamente a che fare con lo sviluppo della concessione e con i maggiori eventi storici ad essa collegati. Su queste figure è stato possibile rintracciare notizie, informazioni ed indicazioni bibliografiche in alcuni dizionari bibliografici, primo fra tutti il Dizionario Bibliografico degli Italiani; per altri invece si sono dovute utilizzare fonti diverse, come le pubblicazioni italiane ed estere dei contemporanei. Particolare attenzione è stata data alla fotografie d'epoca. Il presente lavoro di tesi si articola in cinque capitoli. Il primo affronta la questione coloniale italiana in Cina, attraverso una ricostruzione storica dei maggiori eventi che caratterizzarono il paese tra il XIX ed il XX secolo, analizzando principalmente le cause politiche e diplomatiche che portarono allo sviluppo dei settlements e di come l'Italia si inserì nel complesso scacchiere cinese con il Trattato del 1866 e del successivo Protocollo del 1901. Il capitolo secondo tratta lo sviluppo della concessione italiana di Tianjin, nell'arco di tempo che va dalla firma dell'Accordo con la Cina del 1902 fino alla retrocessione nel 1947, dopo i Trattati di Parigi. Ci si sofferma in modo particolare sull'amministrazione della concessione, analizzando gli organi amministrativi, giudiziari, di controllo e i numerosi regolamenti e statuti municipali, che vengono raccolti e commentati. Il capitolo terzo invece vuole ripercorrere grazie alle memorie ed i resoconti di viaggio dei contemporanei, l'immagine della concessione in Patria attraverso gli occhi di giornalisti e viaggiatori italiani. Figure come Luigi Barzini, Arnaldo Cipolla, Mario Appelius, Italo Zingarelli hanno lasciato importati reportage sulla vita che si trascorreva a Tianjin ed in Cina, a volte infarciti di retorica di regime, ma pur sempre preziosi dal punto di vista storico. Il capitolo quarto si discosta leggermente dai precedenti in quanto vuole essere un omaggio ad un nostro connazionale, cannoniere del battaglione San Marco di stanza a Tianjin nella caserma Ermanno Carlotto negli anni 1931-1932. Si ricostruisce la vita di Mario Stefano 5


Mollea attraverso una selezione delle preziose ed inedite fotografie che egli scattò durante la propria permanenza in Cina. L'ultimo capitolo invece raccoglie una serie di allegati citati nei precedenti capitoli e di complemento ad essi. Il volume è completato poi da una bibliografia costituita in maggior parte da pubblicazioni edite nella prima metà del '900 trattanti la concessione e da una serie di volumi più recenti, che non hanno certo l'ambizione di fornire un quadro completo sul tema, ma piuttosto delle indicazioni volte a suscitare l'interesse del lettore.

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Nota. Il sistema di trascrizione fonetica dei nomi cinesi nel testo è quello ufficialmente in uso nella Repubblica Popolare Cinese, il sistema pinyin. Tuttavia, i nomi di persona e di luogo noti con altre trascrizioni sono stati lasciati nella forma più diffusa conosciuta in Occidente. La conoscenza dell'autore della lingua e della storia cinese hanno permesso di inserire numerosi nomi in caratteri cinesi e note esplicative, in modo da rendere il testo più preciso e dettagliato oltre che curioso. 7


1. LA QUESTIONE COLONIALE ITALIANA IN CINA. 1.1 La Cina tra il XIX e il XX secolo. Fin dal 1644 la Cina era governata dalla dinastia Qing, una dinastia non cinese, originaria della Manciuria, una regione storica del nord-est della Cina che comprende le attuali province del Heilongjiang, Jilin, Liaoning e parte della Mongolia interna. I Mancesi, una volta conquistata la Cina, assimilarono la cultura cinese, lasciando pressoché immutata la struttura amministrativa ereditata dalla precedente dinastia Ming, favorendo le arti, la cultura, le scienze, i commerci all'interno del paese e con gli Stati tributari. Consapevoli delle loro differenze etniche, avevano continuato a promuovere misure per impedire la propria assimilazione alla maggioranza della popolazione cinese di etnia Han 1: queste includevano il divieto ai cinesi di risiedere in Manciuria, considerata terra di origine della dinastia e ad essa esclusivamente riservata, l'uso di una propria lingua ufficiale, il mantenimento di un proprio ordinamento delle forze militari conosciute come le otto bandiere, la proibizione dei matrimoni misti, il divieto alle donne mancesi di fasciarsi i piedi. La gestione degli affari mancesi fu tenuta separata dalla normale amministrazione del paese e gestita dalla corte e dal clan imperiale. 2 Sotto il regno dell'imperatore Qianlong (1736-1795), il più grande imperatore della dinastia, l'impero cinese raggiunse la sua massima estensione territoriale. A fine XVIII secolo, l'impero aveva stabilito la sua supremazia su una superficie superiore a quella controllata da qualsiasi altra dinastia precedente. Sul Tibet la sovranità era esercitata attraverso un residente e dei contingenti militari, nel Xinjiang attraverso governatori militari, sui Mongoli attraverso le bandiere e i legami personali tra gli imperatori e i principi. Sui paesi confinanti, come la Corea, la Birmania e il Vietnam, l'impero esercitava una specie di protettorato nell'ambito del sistema tributario sinocentrico. 3 Qianlong, mecenate, diede un forte impulso allo sviluppo delle lettere, della pittura, delle scienze, ordinò la pubblicazione di una enciclopedia in 36.000 volumi, si interessò di architettura commissionando diversi palazzi ed edifici esistenti ancora oggi. Risale al suo regno la prolifica collaborazione con il gesuita Giuseppe Castiglione 4, il quale divenne intimo del sovrano e della sua famiglia.

La Cina è uno stato multietnico composto da 56 etnie diverse: la principale è quella degli han (汉族,hanzu), che costituisce il 92% della popolazione; i manciù (满族 ,manzu), invece, costituiscono oggi circa lo 0,9% della popolazione. (N.d.A) 2 ROBERTS, Storia della Cina, 2005, pp. 295-297. 3 SABATINI, SANTANGELO, Storia della Cina, 2000, p. 593. 4 Giuseppe Castiglione (Milano, 1688 - Pechino, 1766) in Dizionario Bibliografico degli Italiani, Vol. 22, Treccani, 1979. 1

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La massiccia crescita della popolazione, che nel 1762 raggiunse i 200 milioni e nel 1794 i 313 milioni, fu il risultato della pace e della sicurezza protratte per più di un secolo. 5 Nel 1793 il governo di Londra inviò un'ambasceria guidata da Lord Macartney 6 con il compito di concludere un trattato che aprisse la Cina al commercio britannico e stabilisse tra i due paesi regolari relazioni diplomatiche, con un'ambasciata inglese nella capitale Pechino. Nell'incontro con l'imperatore Qianlong, Macartney ricevette un decreto imperiale nel quale venivano respinte tutte le sue richieste: la Cina disponeva di tutto quanto potesse aver bisogno e non aveva necessità delle merci straniere. Viste respinte le loro richieste, i mercanti inglesi introdussero in Cina l'oppio in quantità sempre più crescenti. 7 I divieti imposti dalle autorità non ebbero alcun effetto sulla società: ciò che preoccupa di più i governanti era che il traffico d'oppio era in mano a società segrete di tipo mafioso presenti soprattutto nella Cina meridionale. I mercanti inglesi riuscirono così ad attuare un drenaggio di ricchezza senza aver sottoposto la Cina al loro dominio. La gravità della situazione indusse nel 1839 il governo cinese a bloccare il contrabbando, inviando a Canton uno dei più grandi funzionari dell'epoca, Lin Zexu (17851850). L'iniziativa imperiale offrì il pretesto agli inglesi per dichiarare guerra alla Cina. 8 Scoppiò così la Prima Guerra dell'Oppio (1839-1842), che coinvolse le città di Canton, Shanghai e Nigbo. Il Trattato di Nanchino 9 del 1842 pose fine alla guerra e costituì il primo dei cosiddetti trattati ineguali imposti alla Cina dalle potenze straniere. Stabiliva la cessione dell'isola di Hong Kong alla Gran Bretagna, l'apertura di cinque nuovi porti al commercio estero, la soppressione del monopolio commerciale dei mercanti cinesi di Canton, l'introduzione della giurisdizione extraterritoriale, la creazione delle concessioni territoriali, moderate tariffe doganali, la clausola della nazione più favorita ed infine il pagamento di una forte indennità di guerra. 10 I benefici economici e giuridici del trattato vennero estesi entro due anni a tutte le potenze europee grazie alla clausola della nazione più favorita. 11 COLLOTTI PISCHEL, Storia dell'Asia Orientale, 1995, p. 35. Lord George Macartney (1737-1806), conte, visconte e barone, primo emissario inglese in Cina. Per il resoconto della missione diplomatica in Cina si veda PEYREFITTE, Alan, L'impero immobile ovvero lo scontro dei mondi, Longanesi, 1990. 7 Per uno studio dettagliato sul fenomeno storico e sociale dell'oppio in Cina si veda ZHENG, Yangwen, Storia sociale dell'oppio, Torino, UTET, 2007. 8 COLLOTTI PISCHEL, 1995, pp. 35-37. 9 Per il testo completo del trattato: www.international.ucla.edu/asia/article/18421. 10 SABATTINI, SANTANGELO, 2000, pp. 598-599 11 ROBERTS, 2005, pp. 325-333. 5 6

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I Manciù, quando si impadronirono del potere a Pechino, ereditarono l'idea tradizionale della superiorità della Cina, centro del mondo, sugli altri paesi. La sconfitta riportata dalla dinastia minò il prestigio dei Manciù e fece sorgere, in seno all'élite dirigente, un atteggiamento critico che costituì la base del successivo sviluppo del nazionalismo han. 12 La penetrazione straniera in Cina non era l'unico problema del governo imperiale: grande peso nella crisi dell'impero lo ebbero le ribellioni interne. La crescita della popolazione aveva portato al limite della sussistenza molte famiglie contadine e l'aumento esponenziale della corruzione alla fine del regno di Qianlong aveva portato al decadimento del sistema della manutenzione del controllo delle acque, con gravi ripercussioni in campo agricolo. Gli imperatori Jiaqing (r. 1796-1820) e Daoguang (r. 1820-50) ereditarono la gestione di uno stato gravemente indebolito. Nel 1850 morì l'imperatore Daoguang e gli successe al trono il figlio, l'imperatore Xianfeng (r. 1850-1861). La maggior rivolta fu certamente quella dei Taiping (1850-64), la cui base sociale era costituita dai battellieri portatori della Cina centrale e sud-orientale e dai contadini della stessa area. 13 Il movimento, con basi ideologiche vagamente mutuate dal cristianesimo, fece leva sulla tradizione antimancese delle regioni del sud e nel giro di pochi anni travolse l'ordine sociale esistente fino ad occupare nel 1853 la città di Nanchino, dove venne installata la loro capitale. Ne nacque così un regno effimero, il Celeste Regno della Grande Pace, che osò sfidare il potere imperiale. 14 La repressione fu spietata, la città di Nanchino venne espugnata e rasa al suolo nel 1864, i ribelli giustiziati e appesi alle mura della città. L'ordine venne così ristabilito. La rivolta dei Taiping fu solo il più vasto è noto movimento di ribellione dell'epoca. Società segrete sorsero a Xiamen e a Shanghai, altre attaccarono Canton. Banditi Nian terrorizzarono la Cina del Nord (1851-68). Cinesi di religione musulmana insorsero nello Yunnan (1856-73) e nello Shanxi-Gangsu (1862-73). Secondo stime recenti, la popolazione cinese che nel 1850 ammontava a 410 milioni, dopo le varie rivolte e sommosse minori si era ridotta nel 1873 a circa 350 milioni. 15 Nel 1860 una rinnovata offensiva dei Taiping, aveva invaso la foce dello Yangzi, impadronendosi dei grandi centri di Hangzhou e Suzhou e minacciando la stessa Shanghai. La Corte Qing chiese l'aiuto delle forze anglo francesi, le quali andarono con le loro cannoniere a difendere Shanghai e il delta dello Yangze, contribuendo così a salvare la dinastia. FAIRBANK, Storia della Cina contemporanea, 1988, p. 125 SABATTINI, SANTANGELO, 2000, pp. 598-600 14 COLLOTTI PISCHEL, 1995, pp. 41-42 15 FAIRBANK, 1988, pp. 99-110 12 13

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In questo modo, la restaurazione Qing del 1860 si assicurò l'aiuto straniero. In quegli stessi anni gli interessi della dinastia vennero legati a quelli del dominio imperiale indiretto dell'Inghilterra sull'Asia orientale con la creazione della Dogana Marittima Imperiale per gestire il commercio estero cinese. Vi era il forte rischio, dovuto alla corruzione cinese e straniera, che il pagamento dei diritti doganali previsti dai trattati, non sarebbe mai avvenuto. Nel 1854 negli uffici della Dogana Imperiale di Shanghai vennero insediati degli ispettori stranieri con il compito di far pagare onestamente le tariffe. Questa soluzione venne estesa a tutti i porti franchi, garantendo così a Pechino un reddito crescente e sicuro, che i sovrintendenti cinesi alle dogane erano obbligati a riscuotere e di cui dovevano rendere conto. Le Potenze straniere si garantirono così il pagamento delle pesanti indennità di guerra. 16 Nel 1885, il trattato firmato con i francesi abolì dopo secoli il rapporto tributario del Vietnam verso la Cina, costituendo le condizioni del protettorato francese sulle zone ancora indipendenti del Vietnam. Il processo di distruzione del sistema di influenza cinese in Asia era iniziato a partire dal 1857 con l'arrivo dei francesi nel Vietnam del sud. Nel 1894 il Giappone dichiarò guerra alla Cina per il controllo della Corea, fino ad allora regno tributario della Cina. La sconfitta fu pesante: il trattato di pace firmato nel 1895 a Shimonoseki imponeva alla Cina la cessione dell'isola di Taiwan e della penisola del Liaodong, oltre all'autorizzazione ad aprire fabbriche giapponesi in territorio cinese e al pagamento di una forte indennità. La protesta delle altre Potenze fece sì che il Giappone rinunciasse alla penisola del Liaodong 17 in cambio di altro denaro. Per la clausola della nazione più favorita tutte le altre potenze acquisirono il diritto di aprire fabbriche in Cina. 18 La vittoria del Giappone sulla Cina gettò l'estremo oriente in un decennio di rivalità imperialiste: per pagare l'indennità la Cina si indebitò con degli obbligazionisti europei. La dinastia si salvò a spese della popolazione, placando gli stranieri con una politica di concessioni e servendosi delle loro armi per reprimere le rivolte. L'impero fu rafforzato da una restaurazione del potere dinastico, che comportò tuttavia dei cambiamenti fondamentali: il governo delle province fu assunto da funzionari cinesi che comandavano eserciti regionali, mentre Pechino collaborava con l'Inghilterra e con le altre potenze per cominciare a modernizzare le sue forze armate, i suoi rapporti diplomatici, il commercio estero. Il sistema ufficiale continuava a

FAIRBANK, 1988, pp. 139-145 Provincia del Liaoning (N.d.A). 18 COLLOTTI PISCHEL, 1995, pp. 38-39 16 17

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funzionare, ma il potere stava passando a poco a poco dalle mani dei mancesi a quelle dei cinesi . 19 Il dramma causato dall'invasione dei barbari occidentali e dalla loro superiorità in campo militare e tecnico, mise la classe dirigente cinese di fronte al problema di come reagire ad essi e come valutare la loro cultura. Alla fine del secolo emersero diversi movimenti riformisti: il più importante fu quello dei modernisti, che vedevano nelle riforme Meiji del Giappone un esempio da seguire e da applicare alla Cina. I modernisti ebbero i massimi esponenti in Kang Youwei e Liang Qichao, i quali, nel 1898, cogliendo l'occasione di circostanze favorevoli, riuscirono a farsi affidare dal giovane imperatore Guangxu (r. 18751908) compiti di governo e per 103 giorni introdussero una quarantina di editti imperiali una serie di riforme radicali nella pubblica amministrazione, nel sistema educativo, nelle pratiche economiche, nelle forze armate e nel diritto. Il periodo di riforme prese il nome di La riforma dei 100 giorni (11 giugno - 21 settembre 1898). 20 La reazione da parte dell'Imperatrice Vedova Cixi (1835-1908) 21, che di fatto deteneva il potere dell'impero e che rappresentava la frangia più conservatrice, non si fece attendere: inscenò un colpo di Stato militare, fece arrestare e rinchiudere l'imperatore, fece giustiziare tutti i riformatori tranne Kang e Liang che riuscirono a fuggire Giappone. Il movimento riformatore del 1898 fu seguito da un periodo di reazione: l'Imperatrice Vedova prestò orecchio ai più rigidi principi reazionari manciù, che per educazione ricevuta, ignoravano il mondo esterno e se ne facevano vanto. 22 Alla fine del 1898 prese vita in Cina un nuovo movimento, anch'esso di origine contadina, gli Yihetuan, conosciuti in Occidente con il nome di Boxer. Il movimento xenofobo e nazionalista dei Boxer nacque nelle regione dello Shangdon e del Zhili 23, entrando subito in conflitto con le autorità tedesche, che in questa regione avevano concessioni e attività produttive. Nel 1900 la situazione esplose: i primi a farne le spese furono i missionari cristiani e i cinesi convertiti, poi gli stranieri in generale. A marzo e aprile, tutta la regione di Baoding 24 e di Tianjin cadde nelle mani dei Boxer; tra la fine di maggio e l'inizio di giugno essi distrussero la ferrovia che da Baoding conduce a Pechino e tennero testa a tutte le truppe imperiali inviate contro di loro. Il 4 giugno 24

FAIRBANK, 1988, pp. 158-159 COLLOTTI PISCHEL, 1995, p. 45 21 Sulla vita dell'Imperatrice Vedova Cixi si veda: Jung Chang, L'imperatrice Cixi, Longanesi, Milano 2013; Anchee Min, L'Imperatrice Orchidea, Corbaccio, Milano 2004; Daniele Varè, Yehonala, Bemporad, Firenze 1933. 22 FAIRBANK, 1988, p. 177 23 Il Zhili (lett. direttamente governato dalla Corte) era l'antico nome della regione intorno a Pechino. Dal 1928 ha preso il nome di Hebei. (N.d.A) 24 Baoding era la capitale della provincia del Zhili e sede del Governatore. (N.d.A) 19 20

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navi da guerra arrivarono a Dagu 25, il 10 giugno l'ammiraglio inglese Seymour lasciò Tianjin con 2000 uomini di varia nazionalità per andare a proteggere le legazioni di Pechino, tentativo che però fallì. 26 Pechino diventò centro del movimento e nel sud del paese ripresero i disordini nelle campagne. Nonostante gli ordini ricevuti, l'esercito cinese si schierò contro gli stranieri: la sera stessa la guarnigione di Tianjin attaccò le concessioni. I Boxer, in un primo momento ostili alla dinastia Qing, si schierano a favore di essa contro l'invasione straniera. Cavalcando l'onda della rivolta popolare, la Corte Imperiale il 21 giugno, per ordine dell'Imperatrice Vedova Cixi e del gruppo dominante, dichiararono formalmente guerra a tutte le potenze.

L'Imperatrice Vedova Cixi (al centro) nell'inverno del 1903-04 con le sue dame, fotografia privata scattata nel giardino del Palazzo Imperiale di Pechino (Arthur M. Sackler Gallery).

La rivolta dei boxer nell'estate del 1900, rimane uno degli eventi più noti del secolo scorso, poiché un gran numero di diplomatici, missionari e giornalisti rimasero assediati per otto settimane di seguito nel quartiere delle legazioni di Pechino: 473 civili stranieri insieme a 3000 cristiani cinesi difesi da 451 guardie straniere. Ma nelle province del nord-est vengono sterminati dai boxer, in modo spesso atroce, più di 200 missionari e 32.000 cristiani cinesi. 27 Gli assediati vennero salvati da una spedizione internazionale con 16.000 uomini tra giapponesi, russi, inglesi, americani, tedeschi, francesi, austriaci e italiani. Il 14 agosto il corpo di spedizione entrò a

I Forti di Dagu sorgono a circa 60 km da Tientsin, vennero costruiti nel 1816 per difendere la capitale Pechino dagli attacchi dal mare. Distrutti dopo la sconfitta dei Boxer, oggi rimangono alcune rovine ed un museo. (www.travelchinaguide.com/attraction/tianjin/dagu-fort.htm). 26 CHESNEAUX, La Cina, vol. II, 1974, pp. 111-122. 27 CHESNEAUX, 1974, p.116 25

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Pechino, che venne saccheggiata, liberò le legazioni, mentre l'Imperatrice Vedova Cixi e la Corte ripararono a Xi'an 28 portando con sé l'imperatore Guangxu. 29 Il Protocollo dei Boxer 30 firmato il 16 dicembre del 1901 dal principe Qing 31, rappresentante dell'imperatore e da Li Hongzhang (1823-1901), ministro plenipotenziario, con i rappresentanti delle 11 potenze straniere vincitrici, ebbe un carattere punitivo: la Cina venne condannata a pagare un'indennità enorme, fissata in 450 milioni di tael haikwan 32, equivalenti a circa 67 milioni di sterline oro, una cifra pari al valore totale delle importazioni registrate nel 1905. Il pagamento, garantito dagli introiti delle dogane, venne dilazionato in un arco di tempo di 39 anni - dal 1902 al 1940 - ad un tasso di interesse concordato del 4%, che fece lievitare l'importo effettivo da pagare fino alla cifra di 982 milioni di tael haikwan, pari a circa 146 milioni di sterline oro. Inoltre alti funzionari vennero giustiziati; nelle regioni coinvolte con la rivolta vennero sospesi per cinque anni gli esami imperiali per l'ammissione alla carriera pubblica; il quartiere della legazioni a Pechino fu ampliato fortificato e presidiato da una guarnigione permanente; nuove concessioni territoriali vennero approvate. 33 E' proprio grazie al Protocollo dei Boxer che l'Italia il 21 gennaio 1901, ottenne il possesso di fatto del terreno su cui verrà edificata la concessione di Tianjin. 34 Il primo decennio del novecento segnò la fine del millenario impero: l'opposizione si sviluppò e si organizzò. Il regime imperiale tentò effettivamente di disarmare questa opposizione riprendendo il suo programma e applicando una politica di riforme trasversali maggiori di quelle che avevano proposto i riformisti del 1898. Ma il declino del regime era in una fase troppo avanzata: le riforme 35 ne accelerano il Capitale della provincia dello Shaanxi, dista 1075 km dalla capitale. (N.d.A) CHESNEAUX, 1974, p. 118 30 Per il testo completo si veda: www.international.ucla.edu/asia/article/18133. 31 Aixinjueluo Yikuang, Principe Qing di Prima Classe (1838-1917) (N.d.A) 32 Il tael haikwan o tael doganale era stato istituito in seguito ai trattati del 1842 come moneta di conto con la quale sarebbero stati espressi i diritti di dogana nei cinque porti aperti; esistevano altri tipi di tael, alcuni per uso interno altri su base regionale. Il tael doganale corrispondeva a 37 grammi e 797 di argento al cambio medio di lire oro 3,75 per tael haikwan. (Sulla complicatissima questione del cambio nella Cina dell'epoca si veda MUSSO, La Cina ed i cinesi, pp. 864-876, ed in particolar modo la nota 52 p. 866). 33 FAIRBANK, 1988, pp. 179-180 34 CATELLANI, 1915, p. 220. 35 Le riforme furono iniziate dall'Imperatrice Vedova a partire dal gennaio 1901. Vennero creati i ministeri sul modello di quelli occidentali, riformate le forze armate nel 1903, il tradizionale sistema degli esami venne abolito nel 1905, avviata una politica costituzionale nel 1906 che portò alle elezioni di assemblee consultive provinciali nel 1909 e ad un'assemblea consultiva nazionale del 1910, l'istituzione di un gabinetto con 13 ministri nel 1911. (FAIRBANK, pp. 200-203). 28 29

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crollo. Nel periodo 1901-11 erano presenti molti di quei tratti che caratterizzano la storia tradizionale cinese alla fine dei cicli dinastici: disordini agrari, carestie, indebolimento del potere centrale, rivolte. Lo sviluppo dell'imperialismo e del nazionalismo diedero però a questi fenomeni un nuovo significato: questa volta la caduta di una dinastia coincise con la caduta del sistema imperiale. 36 Il 14 novembre del 1908 morì l'imperatore Guangxu ed il giorno dopo l'Imperatrice Vedova Cixi. Il 25 dicembre del 1908 salì al trono l'ultimo imperatore della Cina, Puyi, con il nome di regno di Xuantong 37. La rivoluzione cinese, capeggiata da Sun Yat-sen 38, scoppiò il 10 ottobre del 1911 ad Hankou: nel giro di sei settimane, tutte le province centro meridionali e una parte di quelle del Nord, proclamarono la loro indipendenza dal governo centrale. Il 1 gennaio del 1912 veniva proclamata a Nanchino la Repubblica di Cina e come presidente Sun Yat-sen. Ma il Nord del paese rimaneva ancora sotto il dominio della dinastia Qing: la Corte inviò il primo ministro e comandante in capo dell'esercito, Yuan Shikai (1859-1916), il quale aprì le trattative con il governo provvisorio della Repubblica cinese. 39 Yuan Shikai, generale ambizioso e corrotto, riuscì a convincere l'Imperatrice Vedova Longyu (1868-1913) a far pressioni sul consiglio di reggenza, affinché il sovrano abdicasse. L'imperatore abdicò il 12 febbraio 1912. Teoricamente, la repubblica non venne instaurata dal popolo in armi, ma da un atto di benevolenza dell'imperatore nei confronti dei suoi sudditi: nell'editto di abdicazione "si riconoscevano i segni dei tempi e si decideva di investire la nazione del potere sovrano e di instaurare un governo costituzionale a base repubblicana" 40. Con il

CHESNAUX, 1974, p.131. Aixinjueluo Puyi (爱新觉罗·溥仪, 1906 - 1966). Per la biografia in lingua italiana ed inglese di Puyi si veda: Puyi, Sono stato imperatore, Bompiani, 1987 ( l'autobiografia del sovrano tradotta dal cinese); BEHR, Edward, L'Ultimo Imperatore, Rizzoli, 1987; WANG, Ch'ing hsiang, China Last Emperor as An Ordinary Citizen, Beijing, CIBT, 1986; BRACKMAN, Arnold, The Last Emperor, New York, Carrol&Graf, 1991; JOHNSTON, Reginald, Twilight in the forbidden city, London, Oxford Un. Press, 1985; POWER, Brian, The Puppet Emperor, the Life of Puyi Last Emperor of China, New York, Universe Books, 1988; Li Shuxian, My husband Puyi, Beijing, China Travel and Tourism Press, 2008. Vasta invece risulta essere la bibliografia in lingua cinese. A titolo esemplificativo: Puyi, Wo de qian ban sheng (La prima metà della mia vita), Beijing, Qunzhong Chubanshe, 1964; Yuzhan, Modai huangdi de ershi nian (Vent'anni con l'Ultimo Imperatore), Beijing, Shehui chubanshe, 2000; Wang Qingxiang, Aixinjueluo Puyi de huazhuang (Biografia fotografica di Aixinjueluo Puyi), Wang Qingxiang, Li Shuxian, Puyi de hou ban sheng (La seconda metà della vita di Puyi), Tianjing Chubanshe, 1988; Shanghai, Shanghai Renmin chubanshe, 1990; Li Hao, Modai Huangdi yanjiu ( Studi sull'Ultimo Imperatore), Taipei, Lihao chubanshe, 1988. Un capolavoro assoluto resta il film di Bernardo Bertolucci, L'Ultimo Imperatore, del 1987. (N.d.A) 38 Sun Zhongshan (1866-1925). 39 FAIRBANK, pp. 209-210. 40 JOHNSTON, Reginald, F., Twilight in the Forbidden City, Oxford University Press, London, 1985, pp. 86-87. 36 37

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clima di forte instabilità creatosi dopo il 1912 si era favorito di molto la penetrazione straniera in Cina, che divise il paese in zone di influenza economica, a seconda dell'alleanza che gli Stati europei creavano con i capi militari di turno. Il governo di Pechino era in realtà solo un governo di facciata, privo di ogni potere e in balia dei generali. 41 Sun Yat-sen si dimise e Yuan Shikai fu eletto a Nanchino presidente provvisorio della Repubblica, insediandosi in tale carica a Pechino il 10 di marzo. Egli riuscì a prevalere e con la repressione impose al paese la propria autorità fino a tentare, invano, di proclamarsi imperatore nel 1916 ma un colpo apoplettico pose fine ai suoi sogni di gloria. Iniziò così in Cina il periodo detto dei Signori della Guerra (1916-1928), un periodo di frantumazione politica sotto vari comandanti militari, che esercitavano le funzioni di governatori delle province. Nessuno, né le potenze straniere né gli stessi Signori della Guerra, volevano la disgregazione della Cina e nessuno di essi tentò di fondare una nuova dinastia. Gli stranieri, in forza dei vari trattati ineguali che l'impero aveva dovuto firmare e che la Repubblica aveva riconfermato e garantito, esercitavano un dominio di tipo semicoloniale sulla vita del paese, cioè non ne controllavano la politica, ma le amministrazioni locali, l'economia e la gestione dei pubblici servizi. L'epoca dei Signori della Guerra è conosciuta in Cina come il periodo di maggior corruzione, nel quale la vita economica e sociale risultava periodicamente sconvolta. 42 Il 14 agosto del 1917 la Cina dichiarò guerra agli Imperi Centrali con la promessa di vedersi restituire i possedimenti tedeschi nello Shandong. La cosa non implicò alcuno sforzo militare, ma solo il sequestro dei beni e delle navi tedesche in Cina, l'occupazione delle concessioni controllate dalla Germania e dall'Austria (Qindao e Tianjin) 43 e l'invio in Occidente di circa 200.000 operai cinesi 44. La Cina riuscì a cancellare i diritti di extraterritorialità ed annullare i pagamenti per l'indennità dei Boxer dovuti alla Germania e all'Austria-Ungheria. 45 Quando giunse a Pechino la notizia che la Conferenza di Versailles 46 aveva deciso di passare al Giappone i possedimenti e le prerogative della Germania in Cina, fu indetta per il 4 maggio 1919 una manifestazione di studenti ed intellettuali contro il Giappone e contro i 41 WOODHEAD, A, A Visit to Manchukuo, Shanghai Mercury Press, Shanghai, 1933, pp. 5-6. 42 FAIRBANK, pp. 224-230. 43 I rapporti diplomatici con Germania e Austria-Ungheria erano stati interrotti cinque mesi prima: il 15 marzo la Cina aveva occupato la concessione tedesca di Hankou e il giorno 16 quella di Tientsin; il 14 agosto fu occupata la concessione austro-ungarica di Tientsin. (BALOSSINI, Concessioni in Cina, 1934, p. 44) 44 CHESNAUX, 1974, p.222. 45 ROBERTS, 2002, p.454 46 La Cina non firmò il Trattato di Versailles. ( BALOSSINI, 1934, p.45)

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Signori della Guerra, che prese il nome di Movimento del 4 maggio 47. Il controllo finanziario, diplomatico e militare esercitato dal Giappone sulla Cina si accentuò tra il 1917 e il 1918. La partecipazione della Cina alla Grande Guerra fu il pretesto per firmare vari accordi e prestiti tra il governo giapponese e il governo dei Signori della Guerra del Nord: il più importante di essi venne ufficialmente chiamato "prestito della partecipazione della Cina alla guerra europea", che permise di finanziare l'equipaggiamento degli eserciti dei generali cinesi. 48 Le cricche politico-militari conservatrici continuarono a disputarsi il controllo del governo centrale di una repubblica sempre più debole e sempre più soggetta agli intrighi delle grandi potenze: dissidenze regionali, rivalità provinciali, banditismo locale caratterizzavano ormai la scena politica. Nel luglio 1921 nasceva a Shanghai il partito comunista cinese. Mentre il nord del paese era in balia dei signori della guerra, nel sud Sun Yatsen riprese la lotta, deciso a fare del suo paese una nazione indipendente, sovrana e moderna. Il partito di Sun, il Guomintang, Partito Nazionalista, sostenuto dall'URSS, si alleò con i comunisti cinesi. Tra il 1923 e il 1927, con l'aiuto dei consiglieri politici e militari sovietici e con il sostegno dei comunisti, il regime instaurato a Canton divenne il centro di una rivoluzione nazionale che mirava a riunificare il paese con la lotta armata. Ma nel 1925 Sun morì e il suo posto venne preso da un giovane generale, Chiang Kai-shek 49. Nel luglio 1926, sotto

COLLOTTI PISCHEL, 1994, p.173. CHESNAUX, 1974, p. 226. 49 Chiang Kai-shek (蔣介石,Jiang Jieshi, 1887-1975). Militare e politico cinese. Assunse la guida del Partito Nazionalista Cinese dopo la morte di Sun Yat-sen nel 1925. Compì gli studi militari all'Accademia di Baoding vicino a Pechino nel 1906. Si trasferì in Giappone per frequentare l'Accademia militare Tokio nel 1907, servendo nell'Esercito Imperiale Giapponese dal 1909 al 1911. Nel 1925 venne nominato comandante in capo dell'Esercito Nazionale Rivoluzionario e nel 1926 lanciò la Spedizione del Nord, per la riunificazione della Cina. Nel 1927 instaurò a Nanchino il governo nazionale appoggiato dalle forze conservatrici. Nel 1928, con la conquista di Pechino e con l'alleanza di Zhang Xueliang, signore della guerra della Manciuria, la Spedizione del Nord poteva dirsi conclusa e la Cina unificata sotto un unico governo dopo 17 anni. Dal 1927 al 1937 vide il consolidamento del potere di Chiang e del partito nazionalista: modernizzazione, sviluppo delle ferrovie, strade, sviluppo industriale ed agricolo caratterizzarono questo periodo di relativa stabilità politica. L'invasione giapponese della Manciuria nel 1931 coincise con la lotta interna contro il dilagare del comunismo. Nel 1936 il Generalissimo Chiang, mentre si trovava a Xi'an, venne rapito da Zhang Xueliang e costretto a costituire con Mao Zedong un fronte unito contro l'invasore giapponese. Nel 1937 il Giappone invase la Cina dando il via alla guerra; nel dicembre la capitale dovette essere spostata a Chonqing. Il Giappone si arrese alla Cina nel 1945. La lotta si spostò così contro i comunisti di Mao: gli USA, che aveva fornito consistenti aiuti a Chiang, minacciarono di sospenderli se non si fosse arrivati in tempi rapidi ad una pacificazione interna. Nel 1946 scoppiò la guerra civile. Nel 1947 Chiang varò la nuova Costituzione e venne eletto presidente dall'Assemblea Nazionale. La situazione volse a sfavore dei nazionalisti, i comunisti avanzarono sempre di più grazie anche all'aiuto sovietico. Il 21 gennaio 1949 il generalissimo rassegna le dimissioni da presidente della Cina. Il 10 dicembre cadde l'ultima città in mano al governo nazionale.Chiang e sua moglie Song Meiling raggiunsero l'isola di 47 48

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il suo comando, prese il via la "Spedizione contro il Nord" che avrebbe dovuto assicurare, sconfiggendo i Signori della guerra, l'unificazione della Cina e l'eliminazione delle ipoteche delle potenze imperialistiche. Nel 1927 venne occupata Shanghai. Chiang Kaishek scatenò una grande pressione contro i comunisti anche all'interno del proprio partito che portò alla rottura dell'alleanza rivoluzionaria. Il nuovo governo, nazionalista, si instaurò a Nanchino. 50 Questa nuova fase politica prese il nome di "decennio di Nanchino" (1927-1937).

Il Generalissimo Chiang Kai-shek (Franklin D. Roosevelt Library, New York)

Chiang Kai-shek riuscì a stringere accordi con i maggiori Signori della Guerra del Nord e portò sotto il potere nominale del suo governo quasi tutta la Cina all'interno della Grande muraglia. Il 10 ottobre 1928, diciassettesimo anniversario della rivoluzione del 1911, venne festeggiato come compimento dell'unificazione nazionale. In realtà il controllo era ristretto alle sole province costiere, ricche ed urbanizzate; l'idea di un regime moderno e centralizzato era quindi ancora utopica. Il vero strumento di potere era costituito dall'esercito, il regime non era Taiwan in aereo per non far più ritorno in Cina. Il 1 marzo del 1950 venne nominato presidente della Repubblica di Cina, carica che ricoprì fino alla morte. Morì nel 1975 all'età di 77 anni. La sua salma riposa in un sarcofago di granito nella sua dimora in attesa di ritornare in Cina per essere sepolta nel tempio della sua famiglia a Fenghua, cittadina vicina a Ningbo, come egli stesso scrisse nel suo testamento. (FENBY, Generalissimo: Chiang Kaishek and the China He Lost, Simon & Schuster edition, 2005, p 172 e seg.). 50 FAIRBANK, pp. 176-220.

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liberale e neppure di tipo parlamentare. Vennero avviate diverse riforme in campo economico, dell'istruzione e del diritto. 51 Nel corso degli anni Trenta il governo di Nanchino si trovò ad affrontare due nemici: uno interno, i comunisti di Mao Zedong, l'altro esterno, i Giapponesi invasori. Il 18 settembre 1931, l'esplosione di una mina sulla Ferrovia della Manciuria Meridionale, fu il pretesto per i giapponesi di occupare militarmente tutta la Manciuria. L'episodio, conosciuto come "incidente del 18 settembre", segnò l'inizio dell'invasione giapponese della Cina e la creazione dello stato del Manchukuo 52. La guerra tra il Giappone e la Cina scoppiò il 7 luglio del 1937. Nel giro di pochi giorni Pechino e Tianjin vennero occupate: le truppe giapponesi avanzarono rapidamente lungo le linee ferroviarie senza trovare resistenza da parte dei militaristi regionali. A Shanghai invece la situazione fu diversa: qui si trovavano le migliori truppe del nuovo esercito cinese, compresa una serie di fortificazioni a difesa della ferrovia Shanghai-Nanchino. La concessione giapponese della città venne bombardata e ne seguì una battaglia di tre mesi. Il 5 novembre sbarcarono le truppe nipponiche e quelle cinesi si ritirarono verso Nanchino che cadde in mano nemica il 12 dicembre. Nel novembre del 1937 il governo nazionalista trasferì la capitale a Chongqing, mentre le truppe giapponesi, pur incontrando una resistenza ostinata, riuscirono a prendere Canton il 21 ottobre, tagliando fuori dal controllo nazionalista tutte le regioni costiere. 53 Nel frattempo il governo di Chiang Kai-shek e il partito comunista cinese insidiato a Yan'an 54, combattevano su due fronti, contro il Giappone e l'uno contro l'altro. Alla fine di agosto del 1937 un accordo tra le due fazioni portò alla costituzione di un fronte unico tra il partito comunista e il partito nazionalista, contro il nemico comune. Da quel momento in poi, il fronte unico fu formalmente mantenuto fino alla fine della guerra. 55 Il 30 marzo del 1940 i Giapponesi instaurarono a Nanchino un governo collaborazionista guidato da Wang Jingwei 56. La Cina si trovava così COLLOTTI PISCHEL, 1994, pp. 231-235. Lo Stato del Manchukuo (Manzhouguo) venne fondato dai Giapponesi nel 1932 come sorta di stato repubblicano e trasformato in impero nel 1934, con a capo Puyi, ultimo imperatore della Cina. L'Impero del Manchukuo si dissolse nel 1945, dopo la resa del Giappone. (N.d.A) 53 ROBERTS, 2005, pp. 504-506. 54 Provincia dello Shaanxi, qui si trovava il quartier generale comunista di Mao. (N.d.A) 55 FAIRBANK, pp. 310-311. 56 Il governo fascista riconobbe il regime di Wang Jingwei nel luglio del 1941. In seguito al riconoscimento, si ebbe dapprima la rottura delle relazioni diplomatiche tra Chongqing e Roma, e poco dopo lo stabilimento di relazioni diplomatiche formali tra Roma e Nanchino. (SAMARANI, DE GIORGI, Lontane Vicine, 2011, pp. 79-80) 51 52

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divisa in quattro aree: a nord lo Stato fantoccio del Manchukuo 57, a Nanchino e nelle regioni costiere il governo collaborazionista di Wang Jingwei, nelle regioni interne la Zona Libera controllata dai nazionalisti e nelle regioni del Nord i comunisti di Mao. L'attacco su Pearl Harbor, il 7 dicembre del 1941, segnò l'entrata in guerra degli Stati Uniti e l'alleanza con il governo nazionalista di Chiang Kai-shek per la difesa dell'Asia e del Pacifico. 58 La Seconda Guerra Sino-giapponese terminò nell'agosto del 1945 dopo il lancio delle bombe atomiche sul Giappone: fu una vittoria a sorpresa poiché né i nazionalisti né i comunisti erano consapevoli dello sviluppo delle armi atomiche, e avevano supposto che la fine del conflitto non sarebbe avvenuto sino al 1946. La Manciuria venne occupata dalle truppe sovietiche e restituita al governo nazionalista alla fine del '45. Vani furono i tentativi americani per provare a persuadere i nazionalisti e i comunisti ad accettare un cessate il fuoco a formare una coalizione di governo: nel luglio del 1946 scoppiò la guerra civile. Tra il 1947 e il 1948 i comunisti conquistarono la Manciuria e gran parte della Cina del Nord, costringendo i nazionalisti a difendere le maggiori città e le linee chiave di comunicazione. Shanghai cadde a maggio e Canton a ottobre del 1949. Il 1 ottobre 1949 Mao Zedong a Pechino proclamava la nascita della Repubblica Popolare Cinese. A dicembre Chiang Kai-shek trasferì il proprio governo a Taiwan, portando con sé i fondi esteri della Cina e circa due milioni di sostenitori del partito, compreso mezzo milione di soldati. 59 1.2. Origine e sviluppo del settlement in Cina.

Prima della stipulazione del Trattato di Nanchino, il territorio cinese era, se non assolutamente chiuso di fatto, legalmente interdetto agli stranieri. A questa regola avevano fatto eccezione le concessioni ottenute dalla Russia nel 1689 circa la penetrazione dal confine occidentale 60 e a quelle ottenute da altre nazioni europee circa i porti di Xiamen e di Canton (Guangzhou) 61. Vi erano pertanto in Cina due categorie di stranieri ammessi a dimorare nel territorio: i missionari che potevano recarsi anche all'interno del paese mediante la concessione di permessi individuali, ed i commercianti, ammessi secondo l'arbitrio dei mandarini, nel solo porto Il Manchukuo era stato invece riconosciuto alla fine del 1937, dopo che l'Italia aveva aderito al Patto anti-Comintern firmato dalla Germania e dal Giappone nel novembre 1936. (SAMARANI, DE GIORGI, Lontane Vicine, 2011, p. 75) 58 ROBERTS, 2005, p. 508-514 59 ROBERTS, 2005, pp.524-534. 60SABATTINI, SANTANGELO, 2000, pp. 589-593. 61 I Portoghesi giunsero in Cina nel 1517, gli Spagnoli nel 1626. (SABATTINI, SANTANGELO, 2000, p. 490. 57

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di Canton, dove erano rappresentati sia da agenti delle grandi compagnie costituite in Europa, sia da commercianti indipendenti dalle compagnie. Canton era l'unico porto all'interno del quale potevano essere svolte attività economiche, ed era il solo dove poterle fare legalmente secondo le leggi cinesi ed essere tutelati da garanzie. La legge cinese eliminava ogni possibilità di commercio diretto, creando tra i produttori e i consumatori cinesi e i commercianti stranieri, un sistema di interposte persone. 62 Vennero così a crearsi dalla seconda metà del XVIII secolo delle compagnie o corporazioni di mercanti cinesi che stabilivano il prezzo delle merci da vendere agli europei e che partecipavano agli utili del loro commercio qualunque fosse il venditore. 63 Nel 1760 nove di esse ottennero il monopolio, prendendo il nome di gonghang, corporazioni pubbliche, cohong secondo il dialetto cantonese. Questi commercianti organizzati dovevano regolare il commercio straniero, assicurare obbedienza agli ordini del Governo e servire come esclusivo intermediario per ogni comunicazione tra governo centrale e negozianti stranieri. Amministravano inoltre un fondo costituito dal prelevamento del tre per cento sul commercio estero, destinato a sopperire ogni perdita derivante da debiti, multe o insolvenze. Come compenso per questi privilegi, che rimarranno immutati per quasi sessant'anni, le corporazioni dovevano pagare al governo centrale i diritti doganali ed erano responsabili sia della corretta condotta degli stranieri sul suolo cinese sia delle navi ancorate al porto di Canton. Essi erano investiti dal governo imperiale di pieni poteri nell'esercizio delle funzioni amministrative e finanziarie e nell'assicurare l'osservanza di nuove leggi o editti da parte dello straniero. La minaccia era la sospensione immediata del commercio. 64 Gli europei, ed in modo particolare la Compagnia Britannica delle Indie orientali, vendevano tessuti di cotone, stagno, piombo, e acquistavano, medicine, porcellane, tè, ma il valore complessivo delle merci acquistate era circa sei volte superiore a quella delle merci vendute. Essendo il saldo pesantemente passivo per gli inglesi, essi introdussero sul mercato cinese l'oppio, prodotto nel Bengala, il quale determinò una serie di danni economici, morali e sociali, che provocarono la reazione delle autorità cinesi. L'incremento delle vendite causò un crescente drenaggio di argento, valuta con la quale veniva pagato l'oppio. Nel 1839 venne inviato a Canton come commissario imperiale plenipotenziario Lin Zexu (1745-1850), il quale confiscò ai mercanti inglesi i loro carichi d'oppio, facendoli poi distruggere. Gli inglesi furono costretti a lasciare Canton per Macao, da dove furono obbligati a partire CATELLANI, La penetrazione straniera nell'estremo oriente, 1915, p.121 SABATTINI, SANTANGELO, 2000, pp. 594-596 64 CATELLANI, 1915, pp. 124-125 62 63

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in seguito alle pressioni del governo cinese sul governatore portoghese. La reazione degli inglesi si fece presto sentire: nel 1839 sbarcarono in varie località della costa occupando i porti di Canton, Shanghai, Ningbo. Iniziò così la Prima Guerra dell'Oppio che si concluse nel 1842 con la firma del Trattato di Nanchino, il primo dei cosiddetti trattati ineguali imposti dalle Potenze occidentali all'Impero cinese. 65 ll Trattato di Nanchino del 1842 stipulato dalla Cina con la Gran Bretagna e i trattati stipulati in seguito con le altre nazioni, abolirono il sistema di commercio fondato, nei riguardi dei cinesi sul monopolio di pochi, e nei riguardi degli stranieri sul divieto delle contrattazioni dirette con i cinesi. Gli europei furono ammessi a risiedere nei porti aperti e a commerciare senza intermediari: questa clausola divenne diritto comune di tutti gli stranieri per effetto della clausola della nazione più favorita che venne inserita in tutti i trattati, nei 47 porti che successivamente vennero aperti al commercio estero. 66

Copia del Trattato di Nanchino, 1842 (Hong Kong Museum of History, Hong Kong)

Ma, oltre alla libertà commerciale, era riconosciuta per la prima volta agli stranieri la facoltà di risiedere nelle città aperte senza limite di tempo e di dimorarvi con le rispettive famiglie sotto la protezione dei propri consoli 67. Veniva data loro la possibilità di costruire case, magazzini, chiese, ospizi e ogni cosa necessaria alla salute fisica ed ai bisogni intellettuali e spirituali. Sempre per la clausola della nazione più favorita, divenne questo un beneficio comune a tutti gli stranieri. 68 ROBERTS, 2002, pp. 322-327 CATELLANI, 1915, p. 130 67 Art. 2 del Trattato di Nanchino (N.d.A) 68 Secondo l'Amministrazione Imperiale delle Dogane, alla fine del 1900 gli stranieri residenti in Cina ammontavano a 16.811 dei quali 5471 inglesi, 2900 giapponesi, 1908 65 66

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L'assegnazione di un'area particolare destinata agli stranieri non era originariamente né un privilegio da essi richiesto né un limite imposto dal governo imperiale: il Trattato di Nanchino non fa nessun riferimento a concessioni o settlements, ma si limita a stipulare nell'art. 2, a favore dei sudditi britannici, il diritto di residenza nei cinque porti aperti al commercio estero. La tendenza naturale degli stranieri a raggrupparsi per ragioni sia di affinità che di sicurezza - le condizioni igienico sanitarie delle città cinesi erano di gran lunga inferiori a quelle delle città europee dell'epoca - e la loro preferenza per le aree assegnate dalle rispettive autorità, determinarono a poco a poco in tali porti la formazione di agglomerati distinti da quelli cinesi che vivevano sotto molti aspetti di una vita propria. 69 Il Trattato franco-cinese di Huangpu stipulato il 24 ottobre 1844 contiene una precisazione importante che non troviamo nel Trattato di Nanchino: disponeva infatti che i cittadini francesi potessero trasferirsi con la famiglia nei cinque porti aperti, risiedervi e commerciare senza impedimenti e restrizioni; stabiliva inoltre che le autorità locali cinesi, con il console, avrebbero determinato il quartiere o l'area più idonea per la residenza dei francesi e le norme per la costruzione. Con il passare degli anni e con la stipula di nuova trattati cosidetti ineguali, si fece si che il diritto di richiedere un'area particolare per la residenza degli stranieri finì per essere una conseguenza sottointesa ed implicita all'apertura di un porto o di una città agli stranieri. Il Trattato di Nanchino, abolendo le regole che erano stati in vigore fino alla sua stipulazione circa la residenza degli stranieri, conferiva loro la facoltà di risiedere e di possedere un'abitazione in ciascuna località pertinente ai porti aperti al commercio. 70 Da questo momento, non solo nei rapporti particolari tra consoli ed autorità locali, ma anche nei rapporti generali fra la Cina e gli altri stati, si iniziò a parlare non solo dei diritti individuali degli stranieri, ma anche del diritto collettivo ad avere un settlement o concessione di terreno delimitata per la loro residenza. Cosi, sin dal principio, si andavano manifestando due specie di settlements: quelli generali, rispetto ai quali la concessione veniva fatta agli stranieri senza distinzione di nazionalità, e quelli particolari assegnati ad una sola nazione (oppure, come distingue Balossini in Concessioni in Cina, americani, 1941 russi, 1343 tedeschi, 1175 portoghesi, 1054 francesi, 221 spagnoli, 200 svedesi, 160 danesi e 141 italiani. La metà circa era residente a Shanghai. Le ditte straniere erano 773, mentre le navi entrate ed uscite dai porti aperti nel 1900 ammontavano a 69.230. Alla fine del 1912, l'Amministrazione delle Dogane dava come residenti in Cina 144.754 stranieri dei quali 75.210 giapponesi, 45.908 russi, 8690 inglesi, 3869 americani, 3133 francesi, 2817 tedeschi, 2785 portoghesi, 2342 altre nazionalità, 600 italiani. Uscirono ed entrarono dai porti cinesi 169.935 navi. (CATELLANI, 1915, p.131). 69 CATELLANI, 1915, pp. 132-136 70 CATELLANI, 1915, p. 137-138

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nazionali e plurinazionali). Per esempio sia Canton che Shanghai avevano una concessione municipale francese accanto a quella internazionale; Xiamen solo la concessione internazionale; Tianjin un sistema di concessioni nazionali. Gli stranieri che non appartenevano alla nazionalità della concessione non erano esclusi dall'abitarvi: nel 1910, 330 Francesi vivevano nel settlement internazionale di Shanghai e 436 in quello francese e mentre la massima parte degli Inglesi viveva nel primo, 317 risiedevano nel secondo e degli Italiani 12 dimoravano in questo e 124 in quello 71. Tutte queste convenzioni mentre garantivano, a favore degli stranieri, la facoltà del possesso e dell'uso di beni immobili nei porti aperti, si riferivano ad un titolo diverso da quello di proprietà. Ad esempio, il trattato italiano del 1866 stabiliva che gli Italiani potessero costruire ed affittare case e prendere a censo terre e che avessero facoltà di fare contratti per i terreni o per le costruzioni a loro gradimento, ai prezzi ordinari del luogo. Il trattato inglese del 1858 parlava di buy or rent houses e di lease lands. Quello francese dello stesso anno parlava del diritto di louers des maisons et des magasins ou bien affermer des terrains. 72

La citta di Tianjin nel 1912. Il rettangolo all'estrema sinistra era il sito della città cinese; la concessione italiana si trovava in alto rispetto alla città cinese, tra la stazione ferroviaria e il fiume; tutto in torno sono dislocate le altre concessioni straniere. (Madrolle's Guide Books: Northern China, The Valley of the Blue River, Korea. Hachette & Company, 1912- University of Texas Libraries).

Secondo il diritto pubblico cinese dell'epoca la proprietà del suolo apparteneva all'imperatore e, non essendo mutati i fondamenti di quel 71 72

CATELLANI, 1915, p. 165 CATELLANI, 1915, p.143

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diritto pubblico dopo la rivoluzione repubblicana del 1911, allo Stato. L'imperatore poteva ad arbitrio determinare l'imposta e dedicare senza compenso ad uso pubblico qualunque fondo fosse per tale uso giudicato necessario. Il godimento dei possessori del suolo risultava però come quello dei proprietari in ogni altro paese dove esisteva il regime della proprietà privata, potendo il detentore, finché non venisse meno al pagamento del canone dovuto, vendere o ipotecare liberamente il proprio fondo. Quando gli stranieri furono ammessi nei porti aperti all'acquisto di immobili, si cominciò a concedere all'acquirente europeo una locazione perpetua: per raggirare le disposizioni che impedivano agli stranieri di acquistare in Cina l'assoluta proprietà del suolo, si ricorse all'espediente di concedere loro dei leases perpetui mediante il pagamento di un canone annuo corrispondente ad una moderata imposta fondiaria 73. Gli acquisti di immobili fatti in un settlement nazionale da uno straniero di diversa nazionalità, non dovevano essere registrati nel consolato della nazione concessionaria, ma era sufficiente la registrazione presso il consolato della nazione dell'acquirente. 74 La concessione di aree particolari agli stranieri e l'affluenza di persone venute ad abitarvi e a possedervi, comportarono la necessità di ordinamenti amministrativi particolari, relativi alla convivenza di nuovi gruppi, alla loro vita sociale, alla tutela dell'igiene, della sicurezza e della viabilità: iniziarono cosi a svilupparsi opportuni organi amministrativi costituiti da municipi e da autonomie comunali. 75 La costituzione ed il governo del municipio cadevano sotto il controllo di due autorità: quella cinese, rappresentante lo Stato al quale continuava ad appartenere il territorio e quella straniera, rappresentante gli abitanti, soggetti in Cina alle leggi e alle autorità amministrative e giudiziarie del paese d'origine ( principio dell'extraterritorialità). 76 Quando un settlement era assegnato in genere agli stranieri di ogni nazionalità, oppure quando in settlement assegnato ad una sola nazione si ammettevano a risiedere o a possedere proprietà anche cittadini di altri Stati, era necessario che la Costituzione del nuovo municipio e le successive modifiche al suo ordinamento, fossero approvate dai rappresentanti di tutti gli Stati interessati. Diventava in questo modo legittima la competenza dell'autorità municipale nei confronti dei residenti stranieri, che altrimenti avrebbero potuto invocare l'esclusiva competenza delle proprie autorità nazionali; un solo regolamento CATELLANI, 1915, pp. 144-145 CATELLANI, 1915, p. 165. 75 CATELLANI, 1915 p. 159 76 CATELLANI, Formazione di gruppi municipali internazionali in Estremo Oriente, 1902, p.36 73 74

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municipale era obbligatorio per tutti i residenti indipendentemente dalla loro nazionalità. 77 Tutti i residenti stranieri, senza distinzione di nazionalità, ne formavano il corpo elettorale, anche se con varie condizioni di censo: insieme ai consoli stranieri ed al governo cinese, costituivano l'autorità tutoria. Si trattava di una formazione nuova, particolare, che garantiva agli stranieri protezione con il minimo di sacrificio della sovranità territoriale, impedendo così una colonizzazione ed uno smembramento del territorio cinese. 78 Gli organi amministrativi che si vennero così a creare nelle concessioni furono sostanzialmente tre, pur con qualche piccola variante nel nome: i Consoli, l'Assemblea generale, il Consiglio municipale. I primi agivano singolarmente o collettivamente (nelle concessioni plurinazionali), a mezzo del decano del corpo consolare. La seconda era il complesso dei residenti che rispondevano ai requisiti richiesti dagli Statuti. Il terzo veniva eletto dall'Assemblea ed era insieme ai Consoli, organo meramente esecutivo. 79 Ai Consoli era attribuito il potere di emanare Statuti e Regolamenti fondamentali. In origine era richiesta l'approvazione della Cina agli Statuti municipali, ma si stabilì poi una consuetudine contraria. Spettava inoltre ai Consoli la convocazione dell'Assemblea generale. Le competenze dell'Assemblea generale erano di norma le seguenti: l'approvazione degli Statuti e dei Regolamenti fondamentali, la nomina del Consiglio municipale, la verifica dei conti da esso presentati. Il Consiglio municipale era competente in tutte le materie amministrative municipali come l'esecuzione del bilancio ed i lavori pubblici. 80 Per quel che riguarda invece l'amministrazione della giustizia, si vennero a creare delle organizzazioni giudiziarie proprie alle concessioni e, almeno nel funzionamento, distinte dagli organi consolari giudicanti sul resto del territorio cinese. Le competenze andavano distinte in base alle controversie da esaminare: tra residenti cinesi era competente il solo giudice cinese; tra stranieri della stessa nazionalità giudicava il loro tribunale consolare mentre tra stranieri di diversa nazionalità giudicava il tribunale consolare del convenuto o dell'accusato; nel caso di controversie tra stranieri e cinesi giudicavano le cosiddette Corti miste. Le Corti miste avevano competenza civile delimitata ai soli fini della concessione. 81 I settlements non erano colonie appartenenti in Cina ad una o più nazioni straniere, poiché non avvenne mai una trasmissione di sovranità territoriale; non erano nemmeno delle repubbliche CATELLANI, 1902, p. 37 CATELLANI, 1902, p.38 79 BALOSSINI, ENRICO C., Concessioni in Cina, Sansoni Editore, Firenze, 1934, p. 59 80 BALOSSINI, 1934, pp. 58-59. 81 BALOSSINI, 1934, pp.61-64. 77 78

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internazionali, poiché si trattava di territori destituiti di ogni personalità internazionale e di ogni autonomia di ordine costituzionale. Erano piuttosto parti del territorio cinese dove ad una comunità straniera veniva concesso di organizzare una propria amministrazione comunale. 82 Secondo la definizione di Balossini si trattava di "una zona (restata sotto il dominio eminente cinese e considerata neutrale), per la quale la Cina ha concesso in modo espresso o tacito, ad una sola o a una collettività di Potenze, esercizio di poteri sovrani, a tempo illimitato e al fine di proteggere interessi economici e commerciali". 83 Lo sviluppo delle concessioni nella città di Tianjin risultava più recente rispetto a quelle delle altre città cinesi: essa infatti non fu annoverata fra quelle dichiarate aperte al commercio straniero dal Trattato di Nanchino, ma venne inserita solo in seguito nella Convezione di pace anglo-cinese firmata a Pechino il 24 ottobre 1860 84. Tianjin divenne una città commerciale inferiore soltanto a Shanghai e a Wuhan e tra il 1874 e il 1894, il centro della direzione degli affari esteri cinese. 85 La sua importanza commerciale venne assicurata dalla comunicazioni: ferroviarie, con la linea per Pechino inaugurata nel 1897 e fluviali, con la navigabilità del fiume Haihe e dei canali ad esso collegati. 86 1.3 Il trattato italo cinese del 1866.

I primi contatti tra l'Italia e la Cina risalgono al tardo medioevo quando monaci e mercanti raggiunsero l'impero cinese che all'epoca era governato dalla dinastia mongola degli Yuan (1279-1368). Si può dire che per tutta l'antichità fino al XVIII secolo furono Italiani alcuni dei principali protagonisti dell'incontro tra la cultura europea e quella cinese: basti pensare a Marco Polo e a Matteo Ricci, mercante il primo, gesuita il secondo, che vissero in Cina per anni, in stretto contatto con le élite culturali del paese e con la Corte Imperiale. 87 Nell'Italia preunitaria gli unici due Stati ad intrattenere relazioni con la Cina furono il Regno di Sardegna e il Regno delle Due Sicilie: si trattava di una presenza formale poiché non si configurava né l'esistenza di rapporti con il governo imperiale né di commerci da tutelare e garantire. Nel 1816 il suddito inglese Thomas Dent assunse la carica di console generale del Regno di Sardegna a Canton (all'epoca unico porto aperto cinese): si trattava di un console di favore, cioè un semplice CATELLANI, 1915, pp. 440-441 BALOSSINI, 1934, p. 22 84 Convezione di Pechino (北京條約,Beijing Tiaoyue). Insieme al Trattato di Tientsin ( 天津条约, Tiānjīn Tiáoyuē, 1858), pose fine alla Seconda Guerra dell'Oppio (1856-60). 85CATELLANI, 1915, p. 198 86 Tientsin era il crocevia del Canale Imperiale, imponente opera idraulica che collega Pechino ad Hangzhou, nel sud del paese. (N.d.A.) 87 SAMARANI, DE GIORGI, Lontane, vicine, Carocci Editore, Roma, 2011, p. 17 82 83

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mercante che per sottrarsi al monopolio britannico della Compagnia delle Indie Orientali, aveva ottenuto la designazione consolare. 88 L'interesse della Corte Sabauda a stabilire relazioni diplomatiche con il Celeste impero avvenne in seguito alla firma dei primi trattati ineguali tra il 1842 del 1844. Nel 1846 Clemente Solaro della Margarita, primo segretario di Stato per gli affari esteri, propose l'invio di una missione diplomatica in Cina per stipulare un trattato che estendesse al Regno Sardo i diritti accordati dalla Cina alle Potenze. Il progetto venne però accantonato per problemi di bilancio. Nel 1850, Cristoforo Negri, capo del commercio della segreteria di Stato per gli affari esteri, riprese l'idea di Solaro, ma da un punto di vista commerciale: la diffusione in Europa della malattia del baco da seta provocò una forte crisi dell'industria serica piemontese e indusse i produttori a rivolgersi ai mercati orientali per importare la materia prima ma soprattutto per cercare nuove tipologie di bachi per riavviare la produzione locale. 89 L'iniziativa di estendere la rete consolare del Regno in Cina fu presa nel 1857 da Cavour. Lo scopo era quello di tutelare e promuovere le attività connesse all'industria serica: essendo Canton in quegli anni il principale centro della guerra dell'oppio, come sede consolare ufficiale venne scelta Shanghai, città in forte sviluppo con traffici internazionali molto intensi. Venne così nominato nuovamente un cittadino inglese, James Hogg, console onorario del regno di Sardegna dal 1860 al 1868. Dopo l'unificazione nazionale gli incarichi diplomatici passeranno a funzionari di carriera. 90 Le relazioni diplomatiche fra il Regno d'Italia e l'Impero cinese iniziarono ufficialmente il 26 ottobre 1866, quando venne firmato a Canton il trattato di commercio e navigazione. Oltre ad interessi di carattere commerciale, questa volta vi era un'intenzione politica di affermare gli interessi nazionali nel contesto internazionale. Il maggior sostenitore dell'apertura dei commerci con la Cina era il ministro dell'agricoltura Luigi Torelli, che riuscì a convincere tanto il re Vittorio Emanuele II quanto il primo ministro Lamarmora. 91 La missione diplomatica - che toccò Cina e Giappone - venne affidata all'ammiraglio Vittorio Arminjon 92, che con pochi mezzi, partì l'8 novembre 1865 con il piroscafo Regina da Napoli alla volta di Montevideo: da li proseguì con il piroscafo Magenta alla volta dell'Estremo Oriente. La missione aveva tre obiettivi. Un obiettivo FRANCIONI, Il "Banchetto Cinese", Nuova Immagine Editrice, Siena, 2004, p. 13 FRANCIONI, 2004, pp. 14-15 90 FRANCIONI, 2004, p. 16 91 SAMARANI, DE GIORGI, 2011, p. 18 92 Vittorio Arminjon (Chambéry, 1830 - Genova, 1897). Per il resoconto del viaggio si veda: V.ARMINJON, Il Giappone e il viaggio della corvetta Magenta nel 1866. Coll'aggiunta dei trattati del Giappone e della China e relative tariffe, Genova, 1869; Id., La China e la missione italiana del 1866, Firenze, 1885. 88 89

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politico, poiché il viaggio intorno al mondo della nave Magenta rappresentava una sorta di visita ufficiale della nuova Italia in tutti i porti stranieri che avrebbe toccato. Un obiettivo commerciale e diplomatico, con la stipula di trattati di amicizia di commercio e di navigazione. Un obiettivo scientifico, con la raccolta di materiale per le collezioni zoologiche, botaniche, mineralogiche, etnografiche da destinare ai musei italiani. 93 Arminjon giunse nella baia di Yokohama il 4 luglio 1866 94 e raggiunse Shanghai il 10 settembre. Il 25 settembre approdò a Tianjin dove ottenne il lasciapassare per la capitale dal governatore generale del Zhili e sovrintendente al commercio dei porti del Nord, l'autorità che all'epoca trattava direttamente con gli stranieri. La cerimonia della firma ebbe luogo il pomeriggio del 26 ottobre presso lo Zongli Yamen 95 a Pechino: alla presenza di alcuni mandarini di rango elevato, dei segretari e degli interpreti, Vittorio Arminjon e il Commissario Imperiale sottoscrissero e posero i loro sigilli al trattato, redatto in quattro copie autentiche, due in lingua cinese e due in lingua italiana. 96 La missione italiana lasciò Pechino il 2 novembre alla volta di Tianjin e il 6 novembre il Magenta riprese il mare alla volta dell'Italia. Il Trattato d'amicizia e di commercio fra il Regno d'Italia e l'Impero della Cina 97 era composto da 35 articoli e da nove regolamenti e un tariffario doganale. L'articolo 2 stabiliva le relazioni diplomatiche e lo scambio di agenti diplomatici accreditati: «Per il mantenimento delle buone relazioni nell'avvenire, Sua Maestà il re d'Italia e sua Maestà l'imperatore della Cina, conformemente all'uso stabilito fra le grandi nazioni amiche, aggradiscono che sua Maestà il re possa, ove gli sembri conveniente, accreditare un agente diplomatico presso il governo di Sua Maestà l'imperatore della Cina, e reciprocamente, che Sua Maestà l'imperatore possa ove gli sembri conveniente, accreditare un agente diplomatico presso il governo di Sua Maestà re d'Italia».

L'articolo 3 e l'articolo 4 stabilivano il diritto dei diplomatici a risiedere in Cina, la libera circolazione e le loro immunità : FRANCIONI, 2004, p. 19; SAMARANI, DE GIORGI, 2011, p. 20 Il trattato con il Giappone venne firmato a Yeddo (Tokyo) il 25 agosto 1866. (N.d.A) 95 Lo Zongli Yamen era l'ufficio che si occupava degli affari esteri, letteralmente l'Ufficio incaricato degli affari con tutte le nazioni. Venne creato nel 1861 e abolito nel 1901 quando al suo posto venne istituito il Ministero degli Affari Esteri (Waiwubu). (N.d.A.) 96 FRANCIONI, 2004, p. 32 97 Tutti gli articoli citati del trattato sono tratti da: V.ARMINJON, Il Giappone e il viaggio della corvetta Magenta nel 1866. Coll'aggiunta dei trattati del Giappone e della China e relative tariffe, Genova, 1869 93 94

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«Sua maestà l'imperatore della Cina acconsente che l'agente diplomatico di Sua maestà il re d'Italia colla propria famiglia, e colle persone di sua casa, abbia residenza fissa a Pechino o vi si rechi eventualmente a scelta del governo italiano. Il rappresentante di Sua maestà il re d'Italia godrà di tutti i privilegi ed immunità che egli competono secondo il diritto delle genti […]». «E inoltre stabilito che nessun impedimento potrà farsi ai movimenti del rappresentante di Sua maestà o delle persone di suo seguito. Questo rappresentante potrà spedire o ricevere il proprio carteggio da qualsiasi punto della costa gli aggradi; le sue lettere di suoi effetti saranno inviolabili. Potrà servirsi di corrieri speciali, i quali avranno per via la medesima protezione e le medesime agevolezze che le persone deputate al trasporto dei dispacci del governo imperiale. In una parola egli godrà dei medesimi privilegi concessi ai funzionari di uguale grado, secondo l'uso delle nazioni di Occidente […]».

Gli articoli sicuramente più interessanti sono l'articolo 11 e l'articolo 12, nei quali viene garantito ai sudditi italiani il diritto di costruire edifici o di affittare terreni, e quindi in modo indiretto il diritto a risiedere nei porti aperti al commercio, cosa fino ad allora vietata, se non nella sola città di Canton:

«Le navi italiane possono trafficare nei porti seguenti: Canton - Swatow Amoy - Foochow - Ningbo - Shanghai - Nankin - Chinkiang - Kiukiang e Hankow sul fiume Yangtse - Chefoo - Tianjin - Niuchuang - Tamsui e Taiwanfoo nell'isola Formosa e Kiung chok nell'isola di Hainan 98 . Gli italiani possono in questi porti commercio con chicchessia, entrare e uscire con le proprie navi e merci, costrurre ed affittare case, prendere il censo terreni, ed edificare chiese, ospedali e cimiteri». «Gli italiani che vogliono nei porti od altrove fabbricare o aprire case, magazzini, chiese, ospedali e cimiteri, potranno fare contratti per i terreni o per le costruzioni a loro gradimento, ai prezzi ordinari del luogo, con equità e senza esazioni da qualunque delle due parti».

Viene inoltre garantita loro la possibilità di viaggiare liberamente all'interno del paese purché muniti di passaporto emesso dal console e vidimato dall'autorità locale: «Gli italiani possono viaggiare in ogni parte dell'interno della Cina, così per diporto come per interessi commerciali, sempre che siano muniti di passaporti dati dal console e vidimati dall'autorità locale. Si dovrà presentare il passaporto, se richiesto. […]».

Secondo la trascrizione pinying: Guangzhou (capoluogo del Guangdong), Shantou (prov. del Guangdong), Xiamen (prov. del Fujian), Fuzhou (capoluogo del Fujian), Ningbo (prov. del Zhejiang); Shanghai, Nanjing (capoluogo del Jiangsu), Zhenjiang ( prov. del Jiangsu), Jiujiang ( prov. del Jiangxi), Hankou (prov. dello Hubei), Yantai (prov. dello Shandong), Tianjin, Yingkou (prov. del Liaoning), Dansui e Gaoxiong (Repubblica di Cina, Taiwan), Haikou (capoluogo dell'Hainan). (N.d.A)

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L'articolo 16, prendendo spunto dai trattati firmati dalle altre potenze, garantiva ai sudditi italiani l'extraterritorialità: «I sudditi cinesi che si rendano colpevoli di atto criminale contro italiani saranno arrestati e puniti dalle autorità cinesi secondo le leggi della Cina. Gli italiani colpevoli di atto criminale contro cinesi saranno arrestati e puniti dalle autorità italiane, secondo le leggi del loro paese, e in quelle forme e quei modi che saranno in seguito determinati dal governo italiano. Il governo cinese da parte sua eserciterà la propria giurisdizione sopra i sudditi cinesi. […]».

Seguono poi una serie di articoli di natura tecnica su questioni riguardanti le navi, le merci, le dogane, il contrabbando e le tariffe (articoli 14-49). Il trattato stabiliva poi che le comunicazioni tra il governo italiano ed il governo cinese sarebbero state redatte in due lingue e nel caso che qualche differenza fosse conosciuta nelle versioni italiane o cinese, si riteneva corretta quella redatta nella lingua della nazione scrivente (articolo 50). L'articolo 54 invece inseriva nel trattato la clausola della nazione più favorita, clausola presente in tutti i trattati tra l'Impero cinese e le potenze europee dopo il 1842: «E' espressamente stipulato che il Governo ed i sudditi italiani avranno il pieno diritto ed in uguale misura tutti i privilegii, immunità e vantaggi che sarebbero stati o saranno nell'avvenire concessi da Sua Maestà l'Imperatore della China al Governo od ai sudditi di ogni altra nazione. Similmente se alcuna delle potenze europee facesse alla China qualche utile concessione, la quale non fosse pregiudizievole agli interessi del Governo o dei sudditi italiani, il Governo di Sua Maestà il Re farebbe ogni sforzo per aderirvi».

Allegati al Trattato vi erano poi nove regolamenti e il tariffario doganale. 1.4 Il Protocollo di Pechino del 1901 ed i negoziati italo-cinesi del 1906. La Guerra dei Boxer 99 si concluse nel 1901 con la firma del Protocollo di Pechino, avvenuta nella capitale cinese alla presenza dei rappresentanti della corte imperiale e delle undici potenze vincitrici 100. Vedi par. 2.1. Luigi Barzini, in Nell'Estremo Oriente, da un resoconto avvincente e dettagliato dell'attacco agli occidentali durante la Guerra dei Boxer: nel capitolo XVI descrive l'attacco al quartiere delle Legazioni di Pechino, nel cap. XVII l'incendio della Legazione Italiana, fino alla descrizione di una Tientsin desolata e devastata dalla

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Il 7 giugno 1901 il Ministero della Guerra italiano decise il rimpatrio di una parte del corpo di spedizione: rimasero in Cina, come forze d'occupazione, 656 uomini, ai quali si aggiunse un distaccamento di marina; due compagnie di bersaglieri fecero ritorno nel 1902; le restanti nel 1906, quando i compiti di presidio furono assunti integralmente dalla Regia Marina e in parte dall'Arma dei Carabinieri. Il Corpo d'occupazione italiano venne stanziato presso la Legazione a Pechino, ai forti di Dagu e a Shanhaiguan; il comando generale si stabilì invece a Tianjin, nei pressi del luogo in cui sorgerà la concessione. Con il trattato di pace venne riconosciuta a ciascuna potenza l'extraterritorialità delle legazioni e delle concessioni e il diritto da parte delle nazioni firmatarie di mantenere una guardia permanente per consentirne la difesa. In base a tali clausole quindi l'Italia mantenne un corpo di occupazione del Nord della Cina fino al 1904, sostituito in seguito da un contingente di circa 250 uomini della Regia Marina. 101 Nel 1905 - sull'esempio dell'Inghilterra, degli Stati Uniti, del Portogallo e del Giappone - anche l'Italia intraprese i negoziati per la revisione dell'ormai vetusto Trattato di Commercio stipulato da Arminjon nel 1866. Il ministro degli esteri Tommaso Tittoni dette l'incarico al conte Gallina e al console a Shanghai Nerazzini di preparare un promemoria ad uso del Ministero per la compilazione delle istruzioni in merito. Il Promemoria Gallina-Nerazzini, consegnato il 22 settembre 1905, presentava un quadro desolante degli interessi italiani in Cina che poteva da un lato giustificare l'inerzia del Governo italiano in merito all'opportunità di rivedere il vecchio accordo. L'iniziativa di una revisione non era stata assunta in prima battuta dal Ministero degli Esteri, ma da una serie di pressioni esercitate a nome del Governo cinese dall'ambasciatore a Roma. I primi negoziati ufficiali vennero convocati per il 18 maggio 1906 a Shanghai, alla presenza della commissione cinese composta da 14 membri tra i quali il Viceré del Zhili, Yuan Shikai. Agli inizi di giugno la commissione italiana completò la stesura provvisoria del trattato, composto da 12 articoli: i primi quattro miravano in primo luogo a favorire il commercio di esportazione della seta che era all'epoca il prodotto cinese che rivestiva maggior interesse per le imprese italiane; l'articolo cinque, elemento politicamente più interessante, cercava di assicurare all'Italia dei diritti preferenziali sulle concessioni che il Governo cinese avesse deciso di attribuire in futuro, in particolare nel settore minerario e ferroviario nelle province del Zhili e del Zhejiang; i restanti sette articoli riguardavano la navigazione a vapore nelle acque interne, la riforma del battaglia. ( BARZINI, Nell'Estremo Oriente, Casa editrice Medella, Sesto S. Giovanni, 1917). 101 RASTRELLI, Achille, Italiani a Shanghai. La Regia Marina in Estremo Oriente, pp. 19-35.

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sistema giudiziario e i diritti di extraterritorialità, la creazione di compagnia a capitale misto cinese e italiano, la disciplina delle imprese minerarie, la riforma monetaria, il trattamento della nazione più favorita, le norme generali sul trattato. 102 I negoziati ufficiali vennero convocati il 26 luglio 1906, ma fin da subito Nerazzini dovette scontrarsi da una parte con la totale chiusura dei diplomatici cinesi - il cui intento era quello di non accordare all'Italia alcuna soddisfazione particolare - e dall'altra con lo stesso Governo italiano il quale riteneva che l'Italia dovesse limitarsi al sostegno dei suoi imprenditori senza eccessive ambizioni politiche o territoriali, poiché la Cina non rientrava nelle mire espansionistiche del Paese. La situazione di stallo portò il diplomatico italiano a rompere le trattative, fatto che lasciò costernato i membri della commissione imperiale. Una serie di successivi incontri tra la commissione italiana e i delegati cinesi stabilirono variazioni da apportare al testo originale degli articoli, ma ancora una volta, la decisione del Ministero degli Esteri cinese di non accettare le ultime proposte italiane, decretò di fatto il fallimento del progetto. La Cina era determinata a non concedere più di quanto aveva già concesso a Inghilterra, Stati Uniti e Giappone visto che tutti gli altri paesi - Italia compresa - potevano comunque usufruire dei vantaggi garantiti dalla clausola della nazione più favorita. La commissione per la revisione dei trattati venne sciolta all'inizio del 1907. 103

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FRANCIONI, 2004, pp. 207-209. FRANCIONI, 2004, pp. 216-226.

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2. LA CONCESSIONE ITALIANA DI TIANJIN. 2.1 L'Accordo con la Cina per il settlement di Tianjin del 1902. Genesi della concessione. Dopo la conclusione dell'assedio dei Boxer alle concessioni internazionali e della battaglia per la città cinese, Tianjin venne occupata dalle Forze Alleate ed amministrata da un governo militare che prese il nome di Governo Provvisorio di Tianjin, il quale restò in carica dal luglio del 1900 fino ad agosto del 1902. Durante questi due anni emerse dalla mente degli amministratori occidentali l'idea di una città moderna: un nuovo sistema di trasporto pubblico, nuove costruzioni, un sistema di distribuzione dell'acqua potabile, l'illuminazione elettrica e lavori radicali per garantire la salute pubblica. Priorità del Governo Provvisorio erano il mantenimento della sicurezza pubblica, una standardizzazione delle pratiche amministrative ed un annichilimento delle forme cinesi, che vennero così rapidamente rimpiazzate con una sconcertante replica delle forme provenienti dal proprio paese d'origine. Il concetto di bellezza, moralità e igiene, profondamente radicati nell'ideologia coloniale di conquista, furono necessari a giustificare l'imposizione di modelli occidentali, che portarono a modellare Tianjin come una replica delle città europee. La forma geometrica ordinata che caratterizzava le città cinesi tradizionalmente cinte da mura, scomparve per lasciare il posto a viali alberati, prospettive, castelli in stile bavarese, edifici neogotici, piazze all'italiana con fontane e caffè parigini. 104 L'Italia aveva stabilito all'interno della concessione britannica di Tianjin un primo consolato, la sede del comando della spedizione ed un piccolo ospedale da campo, struttura che verrà in seguito ampliata in tre villini affittati nell'area della concessione francese. Tra gli ufficiali medici italiani di stanza a Tianjin va ricordato il tenente medico Giuseppe Messerotti Benvenuti (1870-1935), il quale ha lasciato una raccolta di 400 fotografie e 58 lettere, indirizzate alla madre, di commento alle fotografie realizzate, che costituiscono un eccezionale documento storico. 105 Il possesso di fatto di un'area a Tianjin data per l'Italia il 21 gennaio 1901, quando le truppe italiane stanziate occuparono una parte del

MARINELLI, Maurizio, Projecting Italianità on the Chinese Space: the Construction of the "Aristocratic" Concession in Tianjin, in Italy's Encounters with Modern China, a cura di Maurizio Marinelli e Giovanni Andornino, New York, Palgrave & Mc Millian, 2014, pp. 7-11. 105 CARDANO, N., PORZIO, P.L., Un quartiere italiano in Cina, Gangemi editore, 2004, pp. 8-15. La raccolta delle lettere e delle fotografie è stata pubblicata in: MESSEROTTI BENVENUTI G., Un italiano nella Cina dei Boxer, Volume primo - lettere, Volume secondo -fotografie, 1900-1901, a cura di Nicola Labanca e Paolo Battaglia, Associazione Giuseppe Parini - Archivi Modenesi, Modena, 2000 104

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sobborgo della città cinese compresa tra la concessione russa, la linea ferroviaria e la sponda sinistra del fiume. 106 L'ordine di occupazione venne impartito dal marchese Giuseppe Salvago Raggi (1866-1946) 107, ministro plenipotenziario a Pechino ed autorizzato da Giulio Prinetti, ministro degli esteri del Regno d'Italia. 108 La mattina del 21 gennaio il tenente di vascello Mario Valli, comandante della guarnigione italiana di stanza a Tianjin, occupò l'area destinata a diventare la concessione italiana. Il 2 febbraio 1901 lo stesso Valli informò con una circolare il corpo diplomatico presente in città che l'Italia aveva di fatto occupato questo territorio nel rispetto degli interessi e dei diritti che le altre potenze europee avevano a Tianjin. Una seconda lettera venne inviata il 5 febbraio 1901, con la quale si metteva a conoscenza il corpo diplomatico dei nuovi confini che la concessione italiana avrebbe assunto. Proteste in merito a questioni territoriali e di confine si levarono dal console degli Stati Uniti e dal console della Russia. Il 1 aprile 1901, Valli, in qualità di ufficiale comandante delle truppe italiane, fece pubblicare sul Tianjin Express un avviso in italiano ed inglese con il quale si invitavano i cittadini italiani, cinesi o di altre nazionalità che vantavano diritti di proprietà all'interno dell'area della concessione a farlo entro e non oltre il 20 aprile 1901. Lo stesso proclama venne trasmesso al corpo consolare. Diversi cinesi residenti vantarono diritti di proprietà e vennero inseriti in un apposito registro, mentre nessun residente straniero si fece avanti. 109 In Patria, l'acquisizione della concessione rappresentò un'opportunità di riscatto ed orgoglio nazionale dopo la fallimentare politica coloniale di fine ottocento: in Africa, con la sconfitta di Adua nel marzo del 1896, durante il secondo Governo Crispi (1893-1896); in Cina, con la crisi di Sanmen del 1899, durante il Governo Pelloux (1898-1899). 110 CATELLANI, E., 1915, p. 220. Resse la Legazione di Pechino dal maggio 1897 all'ottobre 1898 e di nuovo nell'aprile 1899 con credenziali di ministro residente. Il 13 dicembre 1900 fu nominato ministro plenipotenziario per la firma del trattato di pace con la Cina. Nel 1901 venne trasferito al Cairo. Sulla vita dell'ambasciatore si vedano: GIUSEPPE SALVAGO RAGGI, Ambasciatore del Re. Memorie di un diplomatico dell'Italia liberale, Le Lettere, 2011; Lettere dall'Oriente, Edizioni Culturali Internazionali Genova, Genova, 1992; PIER GIORGIO FASSINO, Giuseppe Salvago Raggi: un nobile prestato alla diplomazia. Brevi note nel centenario della nomina a Governatore dell’Eritrea, in URBS Anno XX - n. 1 - Marzo 2007. 108 MARINELLI, Maurizio, The genesis of the Italian Concession in Tianjin: a combination of wishful thinking and realpolitik, in Journal of Modern Italian Studies, 15:4, 2010, p. 537. 109 MARINELLI, Maurizio, Ibid., 2010, p. 544 110 Dopo che la Cina era stata sconfitta dal Giappone nel 1895, le potenze straniere pretesero ed ottennero nuove concessioni territoriali. Il nuovo Governo di Pelloux (1898-1899) si fece subito fautore di una politica espansionista: approfittando del colpo di stato in atto in Cina contro la Riforma dei Cento Giorni, il ministro italiano a Pechino, Renato De Martino propose al Governo di richiedere alla Cina la concessione della baia di Sanmen, nella provincia del Zhejiang. La reazione cinese fu negativa e la 106 107

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L'area della concessione occupava una superficie di circa 459 mila metri quadrati secondo Catellani 111 (447.647 secondo De Antonellis 112, 120 acri secondo Cesapi 113 oppure 771 mu - un mu corrisponde a circa 0,0667 ettari - corrispondenti a circa 51,42 ettari secondo fonti cinesi 114). Confinava a nord con la ferrovia Pechino - Mukden (oggi Shenyang), ad est con la concessione russa, a sud con il fiume Beihe ed a ovest con la concessione austroungarica e con la città cinese. Il primo rilievo del territorio del quartiere italiano porta la data del novembre 1901 ad opera del Guardiamarina Filippo Vanzini. 115 L'area complessiva poteva essere divisa in quattro parti ed appariva agli occhi del visitatore come un vasto pantano. Procedendo da sud (fiume) verso nord (ferrovia) il territorio era così costituito: 1. un'area più elevata e sufficientemente spianata di circa 100.000 metri quadri utilizzata come deposito del sale: Fileti spiega che il livello più alto rispetto al terreno circostante era stato ottenuto scavando tutto intorno a quest'area una linea di fossati, che con il tempo si erano trasformati in laghetti pestilenziali, dove i bambini cinesi usavano bagnarsi. I depositi del sale erano di proprietà di una compagnia privata con monopolio governativo e l'esproprio sarà causa di contenzioso con le autorità cinesi. 2. L'area occupata dal villaggio cinese di circa 200.000 metri quadri, nel centro della concessione: si trattava di case povere e fatiscenti, circa 867, addossate le une alle altre e separate da viottoli sterrati; la maggior parte delle abitazioni distrutte in conseguenza della guerra. Poca l'attività commerciale, circa 200 botteghe, rivolte a soddisfare i bisogni di prima necessità della

nota ufficiale inviata dall'Italia venne respinta, rendendo il nostro paese l'unica potenze straniere a vedersi rifiutata dalla Cina la richiesta di una concessione. Il ministro de Martino minacciò l'uso della forza e su indicazioni del ministro degli esteri Canevaro, inviò un ultimatum alla Cina: se entro quattro giorni l'Impero non avesse soddisfatto le richieste italiane, la nave da guerra Marco Polo - da qualche mese nell'area - avrebbe occupato militarmente la baia. Una serie di disguidi, di telegrammi rimbalzati tra Roma e Pechino, l'intervento degli Inglesi e il poco peso politico-militare che l'Italia aveva agli occhi dei Cinesi, portarono i rappresentanti italiani a ritirare l'ultimatum. L'insuccesso diplomatico e la curiosa vicenda dell'ultimatum presentato e poi ritirato costarono il richiamo in patria del ministro De Martino e le dimissioni del Governo Pelloux. Da questo momento in poi "il Governo italiano si convinse della necessità di limitare la propria politica in Cina all'interno delle azioni collettive decise di concerto con le altre potenze straniere". (SAMARANI, DE GIORGI, 2011, pp. 24-28). 111 CATELLANI, 1915, p. 221. 112 DE ANTONELLIS, G., L'Italia in Cina nel secolo XX, in Mondo Cinese, n.19, Lugliosettembre 1977, p. 52. 113 CESARI, Cesare, La Concessione italiana di Tien-Tsin, Roma, Istituto Coloniale Fascista, 1937, p. 17. 114 MARINELLI, Maurizio, Self Portrait in a Convex Mirror: Colonial Italy Reflects on Tianjin, Global City, 2007, p. 128. 115 FILETI, Vincenzo, La Concessione italiana di Tientsin, Genova, Barabino e Graeve, 1921, p. 14.

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popolazione residente. L'attività primaria della popolazione, che oscillava tra i 14 e 16 mila cinesi, era costituita dal commercio del sale e dal suo indotto. L'unico edificio europeo era quello della Caserma Savoia e l'unica attività europea era costituita da una taverna ad uso dei soldati presso la caserma gestita da uno dei due italiani residenti. L'altro era addetto alla costruzione del nuovo ponte internazionale. 116 Fileti descrive così le abitazioni: « vi sorgevano un migliaio di abitazioni, per la maggior parte capanne erette dei lavoratori delle saline con graticcio di canne, piantate direttamente sulla nuda terra e un impasto di paglia e di fango che teneva luogo di calce. Alla miseria di tali abitazioni corrispondeva la povertà delle suppellettili. […] La popolazione ammontava a circa 17.000 anime. […] Il villaggio era attraversato da angusti viottoli non selciati e in condizioni deplorevoli. Naturalmente non vi esisteva alcun servizio pubblico. […] L'acqua ognuno se la procura come può e la trova sempre cattiva, donde l'uso fra i cinesi di bere quasi esclusivamente tè bollente». 117 3. L'area a nord del villaggio, che costituiva la parte peggiore della concessione, caratterizzata da acquitrini malsani profondi dai tre ai quattro metri, pestilenziali in estate e completamente ghiacciati in inverno. 4. Il cimitero cinese, che sorgeva sulle parti emergenti del terreno paludoso: qui trovavano sepoltura gli abitanti del vicino villaggio (circa 14 mila tombe). Il cimitero rappresentò il problema più urgente da risolvere, anche perché si trovava in uno stato di desolante abbandono, con le bare a cielo aperto e con i resti mortali in balia dei cani randagi. Va ricordato inoltre che su questi terreni limitrofi alla stazione ferroviaria, venne combattuta una furibonda battaglia durante l'assedio della città, così come descrive Barzini. 118 Gli Italiani si trovarono così a fronteggiare tre problemi: il primo riguardava la vasta area occupata dal cimitero cinese; il secondo era rappresentato dalla depressione del terreno che causava acquitrini ed allagamenti; il terzo riguardava invece i rapporti con i vicini cinesi. Da parte del governo centrale imperiale non vi furono resistenze all'occupazione da parte italiana, che invece vennero poste da parte delle autorità locali: nella relazione indirizzata a Li Hongzhang, governatore generale della Provincia del Zhili, il daotai119 di Tianjin Relazione del Tenente di Vascello Mario Michelagnoli, in CARDANO, N., PORZIO, P.L., Un quartiere italiano in Cina, Gangemi editore, 2004, pp. 26-27. 117 FILETI, 1921, pp. 15-16. 118 BARZINI, 1917, pp. 67-69. 119道臺, daotai: magistrato sovrintendente con funzioni amministrative, sotto il controllo del governatore provinciale, in settori specifici dell'amministrazione a livello 116

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Zhang Lianfeng, descriveva le miserabili condizioni di vita dei residenti, la presenza di attività commerciali legate all'industria del sale e la presenza del cimitero. Particolare enfasi venne data proprio alla presenza di magazzini ed attività legate all'industria del sale che all'epoca rappresentava un'importante voce del gettito provinciale, poiché si trattava di un'attività legata ad un monopolio statale. Tutte queste considerazioni portarono il governatore generale Li a concludere che l'area in questione non potesse essere data in concessione al Governo italiano, proprio per la presenza di attività commerciali e di residenti cinesi che da queste attività dipendevano. Ma ormai il territorio della concessione era già di fatto occupato dalle truppe italiane e quando il daotai si recò in ispezione sul luogo, scoprì che le pietre di limite con il carattere Yi (意,Italia) erano già state poste nel terreno. 120 L'ufficializzazione della concessione fu posticipata a dopo la conclusione dell'accordo di pace tra la Cina e le Potenze Alleate, firmato a Pechino il 7 settembre 1901 e dopo il rientro della Corte Qing nella capitale nel gennaio del 1902. All'occupazione di fatto si aggiunse un titolo di diritto quando il ministro plenipotenziario inviato di S.M. il Re d'Italia a Pechino, conte Giovanni Gallina (1852-1936) 121 e il daotai delle dogane marittime di Tianjin, Tang Shaoyi (1862-1938), siglarono il 7 giugno 1902 a Pechino, l'accordo relativo alla cessione del terreno. 122 L'Accordo con la Cina per il settlement di Tianjin 123 era costituito da 14 articoli e non richiese l'approvazione del Parlamento italiano, poiché non comportò aumenti territoriali né oneri finanziari per lo Stato. 124 locale (comunicazioni, opere idrauliche, tributi, monopolio del sale, affari militari, dogane, etc.). (SMITH, R.J., The Qing Dinasty and the Traditional Chinese Culture, Rowman&Littlefield, London, 2015, p. 108). 120 MARINELLI, The genesis of Italian Concession, 2010, pp.548-549. 121 Successore di Salvago Raggi. Segretario di prima classe a Pechino nel 1892, poi a Parigi, Londra e Costantinopoli; venne destinato nuovamente a Pechino il 1 dicembre 1901 con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Nel 1907 fu destinato con credenziali di ambasciatore a Tokio. Senatore del Regno, morì a Torino nel 1936. (http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/All/98CD3A28E30BB57A4125646F005BF72 5/$FILE/1056%20Gallina%20Giovanni%20fascicolo.pdf, ultima consultazione novembre 2016). 122 CATELLANI, 1915, p. 220. 123 Per il testo completo: vedi All. 5.1. 124 BALOSSINI, 1934, p. 72. Nuzzo nel suo Italiani in Cina, afferma che: «giuridicamente il suo atto di nascita fu un accordo di diritto privato che non richiedeva una ratifica legislativa e con il quale non si acquistavano nuove aree. Il governo italiano semplicemente prendeva in fitto terreni già materialmente occupati, e quindi non determinava un aumento del territorio nazionale, né imponeva oneri finanziari a carico dello Stato. L'assenza dell'approvazione da parte delle Camere il pagamento di un canone annuo portarono la dottrina, quasi unanimemente a riconoscere il permanere della sovranità cinese sulla concessione e ad escludere che

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Il Governo cinese cedeva 125 con questo atto in perpetuità al governo italiano, come concessione, il terreno occupato in precedenza dalle truppe italiane e su quello riconosceva la piena giurisdizione italiana nello stesso modo stabilito per le altre concessioni; non si parlava dunque di cessione della sovranità territoriale ma di esercizio di poteri sovrani. 126 Recita infatti l'Art. 1: «Per favorire lo sviluppo del commercio italiano nel nord della Cina e specialmente nella provincia del Cili, il Governo cinese consente a cedere in perpetuità al Governo italiano, come Concessione, un'estensione di terreno sulle rive del fiume Peiho, nella quale il governo italiano eserciterà piena giurisdizione, nello stesso modo stabilito per le Concessioni ottenute da altre nazioni»

Anche se l'Art. 3 stabiliva chiaramente che:

«Tutto il terreno governativo nella detta Concessione sarà dato dal Governo cinese gratis al Governo italiano, che ne diverrà regolare proprietario senza alcun pagamento».

Venne comunque stabilito un canone di affitto, che secondo Cesapi, serviva a «salvaguardare forse di fronte ai Cinesi una forma di affittanza anziché di completa cessione o per costituire una specie di tassa» 127, all'Art. 12: «Il Governo italiano corrisponderà al Governo cinese il fitto annuo di un tiao di sapeche 128 da consegnarsi alle Autorità locali per ogni mu di terreno dell'area della attuale concessione, come è stato disposto egualmente negli accordi di concessione conclusi con le altre potenze».

questa potesse essere qualificata come colonia. Nell'assenza però di un'effettiva sovranità territoriale l'Italia godeva dell'esercizio di poteri sovrani, riconosciuti formalmente dal primo articolo dell'accordo e dilatati dal carattere perpetuo della concessione. La perpetuità rappresentava un elemento determinante dell'Istituto, che rompeva la linearità delle categorie dogmatiche entro cui la dottrina si affannava a chiudere l'esperienza italiana e attraverso cui ribadiva la preminenza del momento giuridico nella costruzione del discorso economico e politico». (NUZZO, Luigi, Italiani in Cina. La concessione di Tientsin, in Oltremare. Diritto ed Istituzioni. Dal colonialismo all'età post-coloniale, a cura di A. MAZZACANE, CUEN, Napoli, 2006, pp. 264-265). 125 Come ricordano sia Catellani che Fileti, il diritto di proprietà dei terreni in Cina apparteneva esclusivamente all'Imperatore, per cui i terreni potevano essere ceduti solo sotto forma di fitti perpetui o no. Questo fondamento del diritto cinese è rimasto immutato fino ai giorni nostri. (N.d.A.) 126 BALOSSINI, 1934, p. 74. 127 CESARI, 1937,p. 15. 128 Il tiao equivaleva a 3,75 lire italiane dell'epoca, vale a dire 37 grammi d'argento. Considerando una superficie di circa 770 mu, il canone annuo era di circa 2900 lire, che rivalutato in euro corrisponderebbe oggi a 9.900 euro annui. Una cifra irrisoria. (FRANCIONI, 2004, p. 178; ISTAT, Coefficienti di rivalutazione della lira in base all'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati).

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Nuzzo afferma che «il riconoscimento della sovranità cinese, il mantenimento della proprietà cinese del territorio ceduto in affitto venivano ridotti a nudum nomen, disattivati dalla perpetuità della concessione, che sovrapponeva alla facoltà di invito implicita nel contratto d'affitto un diritto la cui natura reale sembrava ricordare piuttosto quella del locatario perpetuo, dell'enfiteuta o del beneficiario di un contratto di lease». 129 Anche in questo accordo veniva ribadita, come nel Trattato commerciale del 1866, la clausola della nazione più favorita, all'Art. 10: «Se altre Potenze, trattando questioni di concessione col Governo cinese, ne ottengono speciali vantaggi, l'Italia, fondandosi sul diritto della nazione più favorita, godrà anch'essa d'identici privilegi».

La concessione doveva essere amministrata da una municipalità italiana che non si sarebbe opposta allo stabilimento, nei limiti della concessione, di strutture ed impianti da parte delle compagnie telegrafiche e telefoniche dello Stato cinese (Art.13). Una serie di articoli trattano invece questioni più pratiche riguardanti per esempio il possesso dei terreni da parte cinese e la loro salvaguardia, l'esproprio al prezzo vigente della concessione giapponese diminuito del dieci per cento (Art. 5), la confisca dei terreni senza proprietari (Art. 6), la possibilità da parte cinese di acquistare proprietà e di risiedere all'interno della concessione (Art. 8), il divieto di riparare le abitazioni distrutte del villaggio ( Art. 7). I due temi più spinosi, vale a dire la questione dei depositi del sale, dei quali il Governo italiano prometteva di farsi carico del loro trasferimento, e quello delle sepolture e della loro rimozione, venivano trattati agli articoli 4 e 9: «Il deposito del sale è di proprietà di una compagnia privata con monopolio governativo: il Governo italiano avendo preso pieno ed esclusivo possesso di quel terreno, si obbliga a trovare, d'accordo con i mercanti del sale, un terreno sulle rive del Peiho, conveniente a quella industria, e si obbliga pure di pagarne il prezzo ed i lavori necessarii di adattamento a banchina del sale».

«Per le tombe che si trovano nella concessione, se il proprietario le rimuove lui stesso, allora l'Italia gli pagherà per ogni feretro la somma di quattro taels, senza pagare il prezzo del terreno. Se si tratta poi di cimitero pubblico, per il trasporto e la cessione le Autorità locali e il delegato italiano si porranno d'accordo. Le spese per la compera del terreno e il trasporto delle sepolture, saranno a carico dell'Italia».

A parte il dibattito sulla natura giuridica della concessione, essa in realtà nasceva con l'intento di favorire lo sviluppo delle attività 129

NUZZO, 2006, p. 265.

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economiche italiane nel Nord della Cina e quindi ad incentivare iniziative imprenditoriali in un territorio entro il quale il libero esercizio delle attività commerciali era garantito e tutelato dalle leggi nazionali. In un primo momento a Roma si pensò di ricorrere all'iniziativa privata sia per la gestione amministrativa della concessione sia per la raccolta di capitali per l'esecuzione degli importanti lavori infrastrutturali di bonifica. Il 6 dicembre 1901 era stata fondata da una cordata di imprenditori italiani a Shanghai la "Società per la messa in valore della concessione italiana di Tianjin". La società si sarebbe fatta carico della bonifica dei terreni, dello spostamento del cimitero, del trasferimento delle industrie del sale e dell'esproprio di terreni e fabbricati; in cambio il Governo avrebbe concesso lo sfruttamento di 4/5 dei terreni. Un accordo poco conveniente. Nel 1902 il ministro degli esteri Giulio Prinetti 130 e l'amministratore delegato della società Rizzardi, concordarono uno schema di contratto, ma il Ministero sollevò alcuni dubbi sulla necessità o meno di una legge autorizzativa. Venne richiesto un parere al Consiglio di Stato, il quale ritenne necessaria una legge del Parlamento poiché si trattava di beni appartenenti al patrimonio dello Stato. Ci si trovò di fronte ad un paradosso giuridico poiché, come afferma Nuzzo, « si sosteneva che l'accordo italo-cinese del 1902 non richiedeva, non avendo determinato un aumento del territorio nazionale, l'approvazione del Parlamento e si riteneva Tianjin ancora sotto la sovranità cinese, ma nello stesso tempo il supremo organo della giustizia amministrativa utilizzava la legge sull'amministrazione del patrimonio dello Stato per sostenere la necessità di un provvedimento legislativo di carattere autorizzativo sul presupposto che il contratto con la società per la messa in valore di Tianjin avrebbe determinato una cessione di territorio acquisito». 131 Quando nel 1903 venne finalmente redatto il disegno di legge Tittoni 132, le lungaggini burocratiche avevano ormai portato ad un disinteressamento sulla questione e allo scioglimento della società. 133 Finché durò l'occupazione puramente militare, la reggenza della concessione fu tenuta dai Tenenti di Vascello, che ne limitarono i confini (1901), intrapresero lavori di prosciugamento, edificarono la caserma che prese il nome di Savoia e crearono una guardia di polizia mista della quale prese il comando il maresciallo dei Carabinieri Fascina, Ministro nel Governo Zanardelli, dal 15 febbraio 1901 al 9 febbraio 1903. (N.d.A) NUZZO, 2006, p. 272-274. 132 Tommaso Tittoni (1855-1931). Ministro degli Esteri nel Governo Giolitti II, dal 3 novembre 1903 al 28 marzo 1905. Il 16 marzo 1905, dopo le dimissioni di Giolitti, divenne Presidente del Consiglio conservando il portafoglio degli Affari Esteri. (http://storia.camera.it/deputato/tommaso-tittoni-18551116/governi#nav, novembre 2016). 133 FRANCIONI, 2004, p. 152 130 131

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compilatore del primo regolamento di polizia locale (1913). Fu organizzata un'amministrazione centrale e si introdusse un sistema tributario, «similmente a quanto si praticava nelle altre concessioni». 134 Fino al 1912 la nostra concessione visse momenti economicamente difficili: l'unica entrata era costituita dalle tasse, puntualmente pagate, dei residenti cinesi, che permise all'amministrazione di poter eseguire i primi urgenti lavori di bonifica. Dal 1902 al 1904 i costi per il mantenimento delle strade, la costruzione dei canali di scolo delle acque, delle fognature e di bonifica in generale ammontarono a circa 578 mila taels, pari a solo il 10% delle spese totali (nel 1904 si arrivò a poco più dell'8%). Il resto delle spese era costituito dai salari pagati sia al personale italiano che al personale cinese operante all'interno della concessione, dagli affitti per alcuni edifici e per le spese di manutenzione in generale. Una così carente disponibilità di denaro non lasciava spazio a ulteriori progetti di sviluppo urbano e a tutto questo si aggiunsero, nel 1903, i costi per la rimozione ed il trasferimento del cimitero cinese, stimato in circa 10.000 taels. 135 Pur trovandosi in ristrettezze economiche, nel 1905, le autorità decisero di dare il via ai lavori di sviluppo urbano della concessione. Il problema principale a cui si dovette far fronte era costituito dalla natura stessa del terreno: la parte centrale della concessione si trovava ad un livello inferiore rispetto al fiume e per questo motivo soggetta a frequenti inondazioni senza possibilità di scolo delle acque. Vennero studiate due soluzioni di bonifica: la prima, più rapida ed economica, non teneva in considerazione i dislivelli del terreno; questa soluzione obbligava però all'uso costante di pompe per il drenaggio delle acque che oltre a non garantire la sicurezza dell'area, avrebbe avuto dei costi di gestione e di manutenzione molto elevati nel lungo periodo. La seconda soluzione - quella adottata - prevedeva invece una trasformazione radicale: livellare l'intera area alla stessa quota della concessione russa e comunque ad un livello superiore a quello di massima piena del fiume. Questa soluzione, più complessa e più costosa, avrebbe però risolto in via definitiva il problema degli allagamenti e dell'insalubrità del luogo. I lavori di bonifica iniziarono nell'area a nord, quella interessata dal passaggio della principale via di comunicazione tra la concessione russa, austriaca e la città cinese. Venne così aperto il Corso Vittorio Emanuele III, principale strada della concessione, largo 22 metri. 136 Il Governo italiano, nell'approvare il progetto, anticipò 60 mila lire, corrispondenti a circa 25 mila dollari messicani, per dare la prima FILETI, 1921, pp. 18-19. DE ANGELI, Aglaia, Italian land auctions in Tianjin: Italian colonialism in early twentieth-century China, in Journal of Modern Italian Studies, 2010, p.563. 136 DE ANGELI, 2010, p. 564. 134 135

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spinta ai lavori più urgenti: si cominciò così con l'esproprio dei primi terreni a nord del villaggio cinese, alla rimozione totale del cimitero e all'immediata messa a valore dei terreni. Si concluse un contratto con la società belga Compagnie des Tramways et d'Eclairage de Tianjin alla quale si consentì il passaggio attraverso la concessione italiana di una linea tranviaria di collegamento tra la città cinese e la stazione ferroviaria. La società belga, oltre a versare una percentuale per il diritto di passaggio, fornì l'illuminazione pubblica, da estendersi anche sulle future strade. Un contratto analogo venne stipulato per la distribuzione dell'acqua potabile. 137 Il costo per lo sviluppo urbano completato nel 1907 corrispose al 57% dei pagamenti. 138 Il 31 ottobre 1907, il Governo italiano annunciò in Italia e in Cina la vendita all'asta di 39 lotti di terreno della concessione di Tianjin, pari a 10,76 ettari, per un valore di circa 119.535 taels (equivalenti a 312.512 lire). L'asta si sarebbe tenuta in forma orale nei locali della caserma Savoia e le offerte sarebbero dovute pervenire in modo appropriato, specificando il numero dei lotti interessati e l'offerta per ciascuno di essi; era inoltre richiesto un deposito cauzionale pari al 5% del valore presso la Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Tianjin. La mappa con l'indicazione dei lotti, il regolamento dell'asta e tutte le condizioni di vendita, vennero trasmesse alle 57 prefetture in Italia e ai consolati in Cina. Alla prima convocazione, fissata per il giorno 5 maggio 1908, l'asta andò deserta; il Ministero degli Affari Esteri decise così di fissare una seconda convocazione per il 6 luglio, ma anche questa volta l'asta andò deserta. Anche la terza e ultima convocazione del 14 novembre fu un fallimento. Alla fine del 1908 la concessione si trovava in bancarotta. Erano in gioco il prestigio e la dignità dell'Italia in Estremo Oriente: fu così che nel 1912 il Governo, con la Legge n. 707/1912 139, concesse un prestito di 400 mila lire attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, per lo sviluppo della concessione, ad un tasso di interesse annuo del 4%. 140 La somma stanziata rese superflua la sopravvivenza del villaggio cinese, divenuto ormai un ostacolo alla costruzione di nuove ed eleganti arterie fronteggiate da villini in stile europeo o semi-foreign, per ricchi occidentali e cinesi. 141 I lavori interessarono subito l'apertura di una nuova strada, Via Principe di Udine 142, perpendicolare a Corso Vittorio Emanuele III, che congiungeva la stazione ferroviaria alle banchine sul FILETI, 1921, p.22. DE ANGELI, 2010, p. 565 139 GU n. 162 del 10 luglio 1912. 140 DE ANGELI, 2010,pp. 557-566 141 NUZZO, p.277 142 In onore di Tommaso di Savoia-Genova (1884-1963), Principe di Udine. (N.d.A) 137 138

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fiume, tagliando a metà il villaggio cinese. 143 Da quel momento lo sviluppo urbanistico della concessione fu inarrestabile. Durante la Prima Guerra Mondiale, per un generoso concorso finanziario erogato dalla Croce Rossa, la concessione accolse i trentini e triestini che dopo una lunga odissea attraverso la Russia giunsero a Tianjin e, curati e equipaggiati, entrarono poi a far parte del corpo di volontari italiani destinati con gli Alleati alle operazioni in Siberia contro i bolscevichi. 144 2.2. L'amministrazione della Concessione e i suoi Regolamenti. Sviluppo.

L'Accordo Italo-cinese del 1902 prevedeva l'istituzione di una municipalità, ma a causa del numero esiguo di residenti italiani ed europei, l'amministrazione fu provvisoriamente retta ex-officio da un console amministratore. Il tenente di vascello Vincenzo Fileti fu colui che più di ogni altro determinò lo sviluppo e l'immagine del quartiere: assunse l'incarico di reggente della concessione dal 1904 al 1907, di reggente del consolato dal 1907 al 1908 ed infine gerente ed amministratore fino al 1920. 145 Nel 1921, alla fine del suo mandato in Cina, il console Fileti commentava così il grande lavoro svolto e il lavoro ancora da fare: «La nuova amministrazione erediterà una situazione che, nata dal nulla, ha oggi una consistenza patrimoniale che tra beni mobili ed immobili, costituiti questi ultimi per la maggior parte da terreni ancora invenduti lungo la sponda del fiume, si avvicina alla cifra di 10 milioni di lire italiane; tutte le spese per la costruzione della concessione essendo state regolarmente liquidate. In cifre larghe furono circa dollari 800.000 così distribuiti: per l'esproprio dei terreni e delle vecchie case della concessione dollari 350.000; per la rimozione dei cimiteri dollari 150.000. Con il resto fu provveduto all'acquisto di carri, di muli e di attrezzi da pompieri, all'arredamento di locali, allo equipaggiamento del corpo di polizia, alla illuminazione, ecc. a tutte queste spese fu fatta fronte con le sole risorse del settlement, e lo sforzo non fu indifferente se si ricorda che il primo bilancio della concessione, all'atto della presa di possesso, dava solo un avanzo di dollari 200 al mese. Oggi [1921, N.d.A.] la situazione economica è tutt'altra: la media degli introiti annuali ammonta a circa dollari

«Nella costruzione della via Principe di Udine largamente era stata impiegata la sabbia del Pei-ho, sì che il fiume, intorno alla concessione, ne era rimasto sgombro. Della circostanza si profittò per provvedere contemporaneamente alla sistemazione della sponda del fiume, in modo da rendervi possibile l'approdo dei galleggianti. Così i terreni lungo il Pei-ho, allacciati dalla via principe di Udine con la stazione ferroviaria, acquistarono una notevole importanza e trovarono presto facile collocazione a prezzi assai remunerativo e tali da costituire un cespite rilevante per la concessione. Le tasse in vigore, e specialmente la edilizia e la fondiaria, si poterono così mantenere abbastanza miti in confronto degli altri settlements, ciò che servì di richiamo a favore dei terreni fabbricabili». FILETI, 1921, pp. 24-26. 144 CESARI, C., Possedimenti italiani d'oltremare, Roma, 1934, p. 115. 145 CARDANO, PORZIO, 2004, p. 34. 143

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40.000 e quella delle spese ordinarie a circa dollari 20.000; e, se si pensa che le tasse che si pagano in concessione sono sensibilmente inferiori a quelle in vigore negli altri settlements e che gli impiegati vi sono meglio retribuiti e assistiti, nessuna preoccupazione può rimanere circa la solidità delle finanze della concessione, la quale peraltro molto si aspetta ancora dai lavori fluviali in corso e dall'apertura al grosso traffico della banchina d'Italia. E questo un obiettivo al quale bisognerà dare sempre speciale riguardo, perché la prosperità della concessione e la propaganda di italianità, di cui la concessione è destinata ad essere fonte, sono strettamente connesse allo sviluppo del traffico attraverso quel nostro territorio. […] L'avvenire è oggi nelle stesse mani della colonia, la quale lo renderà fortunato se, sotto la guida e col consiglio del rappresentante del R. Governo, saprà, senza nulla sacrificare alla propria intraprendente attività, sempre più e meglio conquistare alla concessione le simpatie e la fiducia dei cinesi. Il nostro compito non è ultimato; siamo riusciti, è vero, a farci conoscere e stimare dai cinesi, ma occorre star sempre vigili nella gara di penetrazione pacifica che tutte le nazioni seguono in Cina. […] Dall'azione che sapremo svolgere nell'attuale periodo storico che attraversa la Cina, e che dovrà decidere del suo assetto, dipenderà il nostro avvenire politico e commerciale in estremo oriente». 146

Come abbiamo visto in precedenza la concessione o settlement non era dunque una colonia, ma una municipalità: pertanto non ritroviamo un'amministrazione di tipo coloniale, come lo era per esempio quella esistente in Eritrea e nelle altre colonie italiane. Non esisteva la figura del governatore generale o viceré e nemmeno l'organizzazione gerarchica e piramidale del governo coloniale presente in altre realtà. Al vertice si trovava infatti un console amministratore, che dipendeva dalla Legazione di Pechino: una figura quindi che proveniva dalla tradizionale carriera diplomatica ma che ricopriva un incarico simile a quello di sindaco. La concessione italiana fin dall'inizio fu concepita come una municipalità e come tale gestita ed organizzata, soggetta alle leggi comunali e provinciali vigenti nel Regno e con propri regolamenti. Il ruolo di console amministratore venne mantenuto anche dopo l'elezione del primo consiglio municipale e quando nel 1924 venne istituito il podestà, egli altri non era che il console amministratore. Il personale militare, che costituiva la componente italiana più numerosa, era costituito in un primo momento da un distaccamento della Regia Marina e poi a partire dal 1925 dal Battaglione Italiano in Cina, voluto da Mussolini e costituito da una compagnia del battaglione San Marco di circa 300 marinai. Importante era anche all'interno della concessione la presenza di personale indigeno impiegato nell'amministrazione municipale: sia il corpo di polizia che il corpo dei pompieri erano costituiti da cinesi al comando di ufficiali e sottufficiali italiani. 146

FILETI, 1921, pp. 63-66.

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Era inoltre presente una sezione locale del Partito Nazionale Fascista. Le prime costruzioni di una certa importanza presero il via a partire dagli anni dieci: il Consolato 147 (1912), la progettazione dell'ospedale italiano148 (1914) terminato nel 1922, l'inizio della costruzione del Municipio149 (1919) terminato nel 1921. Il primo Regolamento fondamentale della Concessione italiana del 1913, stabiliva che «finché il R. Governo non ritenga opportuno costituire un'Amministrazione municipale, la concessione sarà amministrata dal R. Consolato o per il tramite di un R. Amministratore. La Legazione d'Italia in Cina avrà il controllo su tale Amministrazione». 150 E così fu sino al 1923. Con il dispaccio del Regio Ministero degli Affari Esteri diretto alla R. Legazione di Pechino in data 3 gennaio 1923, numero 200345/1, veniva approvato lo Statuto Municipale della Concessione italiana di Tianjin ed il Regolamento per la sua applicazione. Lo Statuto ed il Regolamento erano stati redatti nel settembre precedente dal regio console amministratore Luigi Gabbrielli e dal regio Ministro a Pechino Vittorio La palazzina del Consolato fu il primo edificio pubblico a sorgere sul Corso Vittorio Emanuele III: costruito in stile toscano o neorinascimentale, veniva considerato l'edificio più elegante. Il terreno su cui sorse, venne ceduto al Governo italiano in estinzione del debito di 60 mila lire contratto per i primi lavori nella concessione. L'edificio, a pianta quadrata con tetto a padiglione ed un'altana centrale, venne costruito dalla ditta italiana di Egidio Marzioli anche con l'intento di diffondere e promuovere l'arte italiana all'estero. Nel 1925, l'architetto Bonetti, progettò un ampliamento del palazzo, con la costruzione di una veranda riscaldata per ricevimenti, di una serra e di un edificio basso per i servizi tecnici. L'edificio ospita oggi la sede della Conferenza Politico Consultiva del Popolo della Provincia dell'Hebei. (CARDANO, PORZIO, 2004, pp. 36-37). 148 La costruzione del primo ospedale a Tientsin costruito secondo i più moderni canoni si deve all'Associazione Nazionale per la Protezione dei Missionari Cattolici, alla quale venne ceduto gratuitamente il terreno sul Corso Vittorio Emanuele III. Venne realizzato tra il 1914 e il 1922 a causa dei rallentamenti dovuti allo scoppio della Grande Guerra. L'edificio venne progettato dall'ingegnere Ruffinoni e dall'ingegnere Borgnino in stile rinascimento, in granito, marmo di Pechino e mattoni rossi aveva una capienza di quaranta posti letto divisi in otto reparti specialistici. Nel 1937 prese il nome di Ospedale del Sacro Cuore. (CARDANO, PORZIO, 2004, p. 39). L'edificio esiste ancora oggi, accanto alla chiesa del Sacro Cuore. (N.d.A.). 149 Il Palazzo della Municipalità venne costruito su progetto dell'ingegnere Rinaldo Luigi Borgnino nel gennaio del 1919 su di un terreno lasciato libero dalla demolizione della vecchia ed ormai inadeguata Caserma Savoia, sempre sul Corso Vittorio Emanuele III. La costruzione in stile neo medievale (a ricordo dei palazzi di epoca comunale italiani), doveva avere una forte valenza rappresentativa e simbolica verso la popolazione locale. Grande cura venne data sia ai materiali utilizzati che ai particolari decorativi: finiture in pietra o maiolica, marmi e pavimenti di Pietrasanta forniti dalla ditta Gazzeni di Roma, le decorazioni lignee del Salone del Consiglio realizzate dalla ditta C.I.N.T.I.A. e le sette vetrate dall'artista Galileo Chini, dell'omonima manifattura, realizzate nel 1921. Con lo scioglimento del Consiglio municipale nel 1925, l'edificio perse la sua valenza e negli anni '30 si trovava già in stato di abbandono. (CARDANO, PORZIO, 2004, pp. 44-54). Bombardato nel 1937 durante l'invasione giapponese della città, il palazzo ormai in rovina è stato abbattuto negli anni '50. (N.d.A.) 150 CATELLANI, 1915, p. 479. 147

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Cerruti. Il Regolamento fondamentale fu invece approvato nella seduta dell'assemblea del 17 giugno1924.

Il Regio Consolato, visto dal cortile del Palazzo della Municipalità. (Fonte: Musso, La Cina ed i Cinesi)

L'articolo 1 dello Statuto stabiliva che la concessione sarebbe stata «retta da un'amministrazione municipale la quale funzionerà sotto la sorveglianza del regio Console, o di chi ne fa le veci, con il controllo della legazione di S.M. in Cina e sotto la tutela del R. Ministero degli Affari Esteri». Prevedeva inoltre la creazione di un Consiglio municipale composto da cinque consiglieri eletti per suffragio, portato a sette qualora gli elettori, italiani e stranieri, superassero il centinaio. Erano elettori gli italiani maggiorenni residenti a Tianjin, iscritti nel registro del consolato, sia possidenti che non possidenti nella concessione; potevano inoltre essere elettori anche gli stranieri maggiorenni proprietari o residenti nella concessione da almeno un anno (Art. 2). 2.2.1. Organi amministrativi.

Lo Statuto prevedeva l'istituzione di quattro organi amministrativi: il Console, l'Assemblea degli elettori, il Consiglio Municipale, ed il Comitato consultivo cinese. Il Console. Il Console aveva il compito di sorvegliare la municipalità ed era di diritto il presidente del Consiglio Municipale (Art.7). Era inoltre incaricato del mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica e pertanto il corpo di polizia veniva posto esclusivamente sotto i suoi ordini (Reg. app., art. 3). Spettava al console indire le elezioni (Art. 3). 47


L'Assemblea degli elettori. Formata secondo le norme stabilite, aveva competenza per l'elezione del Consiglio e l'approvazione dei Regolamenti fondamentali.

Il Consiglio municipale. Costituito da cinque membri eletti col sistema maggioritario (Art. 5), sette membri nel caso in cui gli elettori residenti avessero superato le cento unità. Nella prima riunione dopo le elezioni il Consiglio aveva facoltà di nominare il vice-presidente ed il tesoriere che rimanevano in carica un anno e potevano essere quindi essere rieletti (Art. 7). La carica di consigliere era onoraria (Art. 12) e si doveva essere in possesso della cittadinanza italiana, uno solo di essi poteva essere di altra nazionalità (Art. 14). Il Consiglio municipale deliberava sopra gli argomenti seguenti: questioni di carattere fiscale; questioni di ordine patrimoniale aventi per oggetto la gestione della proprietà della concessione; promulgazione di regolamenti d'igiene, di edilizia, di polizia ed altri; approvazione ed esecuzione di progetti e opere pubbliche; esercizio di espropriazione per cause di pubblica utilità; redazione del catasto; ed in genere tutti gli argomenti che il console reputava opportuno sottoporre al Consiglio (Reg., art. 1).

Il Comitato consultivo cinese. Il problema della rappresentanza amministrativa dei cinesi venne risolto permettendo loro di eleggere un Comitato con voto consultivo, con le stesse norme che regolavano l'elezione dei membri del Consiglio Municipale (Art. 26).

Il Palazzo della Municipalità, visto dal cortile del Regio Consolato. (Fonte: Musso, La Cina ed i Cinesi)

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2.2.2. Organi giudiziari. Per gli organi giudiziari basterà dire che il Tribunale consolare italiano a Tianjin aveva competenza generale di carattere territoriale, analoga a quella delle Corti miste di Shanghai (Regolamento, art. I). 151 2.2.3. Organi di controllo.

Organi di controllo erano il console a Tianjin e il Ministro d'Italia a Pechino, così come disposto dall'articolo 1 dello Statuto municipale. Balossini afferma che «il carattere speciale della concessione si riflette nell'esercizio dell'autorità tutoria, che non è esercitata come per gli altri comuni: un vincolo molto stretto avvince la concessione al Ministero degli Esteri, il quale ha l'alta tutela». 152 L'articolo 35 dello Statuto municipale ricordava che «in tutti i casi non contemplati dal presente Statuto avrà vigore la convenzione del 1902 tra l'Italia e la Cina e la Legge Comunale e Provinciale Italiana», equiparando di fatto l'amministrazione della concessione a quella di un qualsiasi comune italiano.

151 «Per i cittadini italiani in Cina provvedeva la Legge Consolare del 28 gennaio 1866 numero 2804, seguita da Regolamento Consolare, Regio Decreto 7 giugno 1866 numero 2996, che stabiliva il modo di esercitare la giurisdizione in quei paesi ed in quei casi in cui i trattati e gli usi ne consentano l'esercizio. In materia penale il console è giudice delle contravvenzioni; il tribunale consolare, composto dal console o da chi ne fa le veci, che lo presiede, e di due giudici scelti fra le persone residenti nel distretto consolare, preferibilmente italiani, è competente per i delitti, essendo riservate alla Corte di Assise di Ancona il giudizio sui crimini. Le sentenze dei consoli sono inappellabili e contro di esse non si dà nemmeno ricorso in Cassazione. L'appello dalle sentenze profferite dai tribunali consolari è di competenza, per la Cina, della Corte di Appello di Ancona, e dovrà essere interposto per dichiarazione a farsi nella cancelleria del tribunale consolare chi ha pronunciato la sentenza, nei cinque giorni dalla sua prolazione in presenza delle parti o dei loro rappresentanti, o se la sentenza fu pronunciata in assenza di uno di essi, nei 10 giorni dalla notificazione fatta personalmente o alla dimora. […] In materia civile i consoli giudicano senza appello le cause il cui valore non eccede le lire 500. Le controversie eccedenti le lire 500 sono di competenza del tribunale consolare costituito come sopra, le cui sentenze fino alla concorrenza di lire 1500 sono inappellabili; oltre le lire 1500 l'appello, per la Cina, è di competenza della Corte di Appello di Ancona. […] Le leggi da applicarsi sono quelle dello Stato, in tutto ciò per cui non sia altrimenti statuito dai trattati, dalle consuetudini e dalla presente legge. […] Le cause riguardanti lo stato civile delle persone sono sempre riservate ai tribunali del regno, salvo i consoli e dai tribunali consolari la cognizione di tali questioni in via incidentale, nel qual caso gli effetti della sentenza saranno limitati alla specie decisa. […] I consoli, infine, possono fare prescrivere regolamenti di polizia e provvedimenti di pubblica sicurezza nei limiti dei trattati e degli usi vigenti nei paesi di loro residenza». (MUSSO, 1926, pp. 429-430). 152 BALOSSINI, 1934, p. 81.

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2.2.4. Regolamenti. Un primo vero e proprio corpus regolamentare venne emanato solo nel 1913; nel 1924, con l'istituzione della municipalità, vennero emanate una serie di nuove leggi che di fatto sostituivano le precedenti. Le leggi fondamentali erano le seguenti: Regolamento fondamentale. Approvato il 4 luglio 1913, firmato dal R. Ministro Carlo Sforza; composto da 6 articoli più 2 articoli addizionali e transitori. Regolamento di polizia ed igiene. Approvato il 4 luglio 1913, firmato dal Reggente il R. Consolato, Vincenzo Fileti; composto da 33 articoli.

Regolamento edilizio. Approvato il 4 luglio 1913, firmato dal Reggente il R. Consolato, Vincenzo Fileti; composto da 12 articoli. 153

Statuto Municipale. Approvato il 3 gennaio 1923, firmato dal R. Console Amministratore, Luigi Gabbrielli e dal R. Ministro a Pechino, Vittorio Cerruti; composto da 35 articoli. Regolamento per l'applicazione dello Statuto Municipale. Approvato il 3 gennaio 1923, firmato dal R. Console Amministratore, Luigi Gabbrielli e dal R. Ministro a Pechino, Vittorio Cerruti; composto da 6 articoli. Regolamento fondamentale. Approvato il 17 luglio 1924, firmato dal Regio Console Presidente del Consiglio Municipale, Luigi Gabbrielli; composto da 9 articoli e da 6 disposizioni transitorie. Regolamento di polizia. Approvato il 5 luglio 1924 dal Consiglio Municipale; composto da 136 articoli.

Regolamento Edilizio. Approvato il 23 e 25 luglio 1924 dal Consiglio Municipale; composto da 59 articoli e 3 moduli allegati. 153

CATELLANI, 1915, pp. 476-489.

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Regolamento d'igiene. Approvato il 25 luglio 1924 dal Consiglio Municipale; composto da 19 articoli. 154

Ma «l'interessante esperimento di autogoverno» 155 non sarebbe durato a lungo, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento amministrativo fascista, che prevedeva l'istituzione di un podestà di nomina regia in sostituzione del precedente sistema elettorale e la soppressione dei consigli comunali, delle giunte e dei sindaci. 156 Anche a Tianjin venne sciolto il Consiglio municipale e nominato il Podestà, che di fatto era lo stesso console, assistito da un organo consultivo, la Consulta municipale. La concessione continuava a rimaneva sotto il controllo diretto della Legazione di Pechino e sotto l'alta vigilanza del Ministero degli Affari Esteri. MUSSO, 1926, pp. 1381-1396. FERRANTE, 2000, p. 11. 156 «L'istituzione del podestà nei comuni del Regno rappresenta una delle riforme del Fascismo profondamente rinnovatrice dei nostri ordinamenti. Il bisogno di assicurare all'amministrazione locale elementi idonei, di sottrarre all'ingerenza delle fazioni e al contratto dei partiti, e di darle un funzionamento sicuro e fecondo di benessere, rese necessario proporle un organo unico individuale che accentrasse tutto il potere comunale. Per rimuovere la causa dei mali che affliggevano i comuni, divenuti oggetto di conquista e strumento di potenza e di lotta dei partiti politici, il Fascismo ha abolito innanzi tutto il sistema elettorale nella formazione degli organi locali, attribuendola agli organi dello Stato. Il legislatore fascista, con la legge 4 febbraio 1926, numero 237, soppresse l'organizzazione amministrativa di origine elettorale nei comuni con popolazione non superiore ai 5000 abitanti, preponendo loro un podestà di nomina regia, assistito da un organo consultivo, la consulta municipale nominata dal prefetto ove la si ritenga opportuna. Con Regio Decreto legge 3 settembre 1926, numero 1910, l'istituto podestarile fu esteso a tutti i comuni del Regno, ad eccezione del Comune di Roma, trasformato in governatorato. […] Con l'istituzione del podestà, il Comune ha conservato la sua personalità giuridica, la sua autonomia amministrativa; solo è cambiato l'organo di amministrazione e il suo modo di formazione che è di nomina governativa e non deriva più dal metodo elettorale. Il podestà è un funzionario onorario, organo individuale di amministrazione attiva del Comune di cui è rappresentante. Esplica tutte le funzioni che prima erano di competenza di tre organi distinti: sindaco, giunta e consiglio; adotta i provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di edilizia, di polizia locale ed igiene, per motivi sanitari e di sicurezza pubblica; e come ufficiale del governo adempie, sotto la direzione delle superiori autorità, tutte le funzioni che gli sono demandate dalle leggi. Le sue deliberazioni sono adottate con l'assistenza del segretario comunale; il suo ufficio è normalmente gratuito, dura in carica quattro anni e può essere riconfermato […]. Donde emerge che la nomina del podestà implica un elemento fiduciario; è un atto discrezionale del governo, determinato dalle qualità morali e politiche e dalla capacità amministrativa della persona […]. Il podestà e il vice podestà, prima di entrare in carica, devono prestare il giuramento prescritto, sotto pena di decadenza dell'ufficio». (Partito Nazionale Fascista, Dizionario di Politica, Roma, Istituto Italiano della Enciclopedia Italiana, Anno XVIII E.F. - 1940, voce podestà, pag. 439). 154 155

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Proseguiva intanto lo sviluppo urbanistico del quartiere. La concessione fu dotata di un giardino pubblico, intitolato al Conte Carlo Sforza e poi al Principe Umberto: come ricorda Fileti «moltissimo si interessò l'elemento cinese che, a differenza di quanto si pratica negli altri settlements, è ammesso a frequentarlo». 157 Al suo interno, nel 1917, trovò sede il Circolo Italiano, che offriva ai residenti, insieme a vari sport una biblioteca fornita di libri e riviste italiane. Il parco venne ampliato nel 1920. Nel 1917 l'ingegner Tommaso Pincione progettò l'edificio in ferro che ospitava il mercato alimentare sulla via Conte Gallina, oggi abbattuto. Nell'aprile 1926, sulla via Matteo Ricci, venne inaugurata la Caserma Ermanno Carlotto, un edificio composto da due corpi di fabbrica con un cortile centrale destinato alle esercitazioni militari e ginniche 158. Al suo interno fu stanziato un battaglione di marina del reggimento San Marco e poteva contenere circa 1000 uomini. Il 18 aprile 1928, l'ex imperatore della Cina Puyi, all'epoca residente nella concessione giapponese di Tianjin, visitò la caserma ed assistette ad un'esercitazione militare. 159 Nel 1925 venne progettato l'ampliamento della stazione dei pompieri, l'edificio della caserma di polizia ed i locali destinati agli addetti della nettezza urbana, sul terreno lasciato libero dalla demolizione della Caserma Savoia, tra le vie Principe di Udine e la via Vettor Pisani. 160

FILETI, 1921, p. 48. Fileti descrive un episodio mondano che si svolse nel giardino: «Il giardino della concessione italiana ebbe un momento di grandissima notorietà, così fra l'elemento cinese che tra le popolazioni degli altri settlements, in occasione di una grande festa internazionale organizzata tra le colonie straniere di Tientsin a beneficio delle Croci Rosse degli Alleati. A ricordo e a onore dei sacrifici che durante la Grande guerra pativa la città martire, la colonia trasporto un angolo di Venezia in Cina, scavando nei viali del giardino dei veri canali, gettando ponti, costruendo antiche gondole e improvvisando gondolieri e veneziane nei loro tradizionali costumi. Il successo della Sezione italiana fu grandissimo e fruttò una somma ingente, che fu versata alla cassa comune. Di essa 50.000 lire furono poi attribuite alla Croce Rossa Italiana». (FILETI, 1921, p. 54). 158 «Dopo il 1940, con la diminuzione dei militari italiane stanziate in Cina, la caserma venne abbandonata e consegnata all'esercito giapponese, alleato al momento di quell'italiano. L'edificio ha continuato per molti anni ancora ad essere utilizzato come caserma (esercito americano, esercito del Guomindang) ed è stato successivamente destinato ad usi civili».(CARDANO, PORZIO, 2004, p. 54). 159 «Il 5 marzo 1925 aveva luogo la cerimonia ufficiale della formazione del battaglione italiano in Cina, che doveva intervenire con l'opera di protezione nei dissidi militari e politici di Peiping (Pechino) e della Cina settentrionale. E subito nell'aprile del 1926 veniva inaugurata la nuova caserma Ermanno Carlotto. Il 13 aprile 1928 il battaglione ricevette una visita, non ufficiale, dal giovane ex imperatore della Cina Pu-Yi, che allora viveva a Tientsin. Per l'occasione tutto il battaglione italiano sfilò in parata». (CATALANO, C. Michele, Tientsin e la concessione italiana, in Le vie d'Italia e del Mondo, anno IV, n. 6, Milano, Touring Club Italiano, 1936, p. 540). 160 CARDANO, PORZIO, 2004, pp. 55-56. 157

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Pianta della concessione. Anni '20. (Fonte: Catellani, La penetrazione straniera nell'Estremo Oriente)

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La Caserma Ermanno Carlotto. (Fonte: Catalano, Le Vie d'Italia e del Mondo)

Si riporta l'elenco completo dei toponimi delle vie presenti nella concessione a sistemazione ultimata: 1. Dalla ferrovia verso il fiume: 1.1. via Fiume 1.2. corso Vittorio Emanuele III 1.3. via Salvago Raggi 1.4. via Matteo Ricci 1.5. via Vincenzo Rossi 1.6. via Ermanno Carlotto 1.7. via Conte Gallina 1.8. via Roma 1.9. Piazza Regina Elena 1.10. Piazza Dante 1.11. via Marchese di San Giuliano 1.12. Banchina d'Italia 2. Dalla concessione austriaca verso la concessione russa: 2.1. via Zara 2.2. via Trieste 2.3. via Marco Polo 2.4. via Torino 2.5. Via Vettor Pisani 2.6. via Tripoli 2.7. via Principe di Udine 2.8. via Firenze 2.9. via Trento

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La Piazza Regina Elena, con al centro la fontana della Vittoria, inaugurata nel 1927. (Fonte: Musso, La Cina ed i Cinesi)

Corso Vittorio Emanuele III - in basso a destra il tramway. L'edificio in costruzione in alto a sinistra è quello della Caserma Carlotto. (Fonte: Musso, La Cina ed i Cinesi)

2.2.5. La Banca Italiana per la Cina - The Italian Bank For China. La Banca italiana per la Cina venne fondata nel febbraio 1920 sotto la ragione sociale di Sino-Italian Bank mediante la cooperazione di un gruppo finanziario italiano, facente capo al Credito Italiano e di un gruppo cinese. Alla presidenza venne nominato Shu Shiying, ex ministro della Repubblica cinese e Lionello Scelzi, console generale del Regno d'Italia. Disponeva inizialmente di un capitale versato di lire italiane oro di 4 milioni e di dollari cinesi d'argento di 1.200.000. 161 AMERI, Ernesto Francesco, La Cina, Genova, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, Anno X E.F. - 1932, pp. 50-51; DE ANTONELLIS, Giacomo, Una banca per la Cina nella prima metà del secolo sostenuta dal Credito Italiano, in Mondo Cinese, maggio-agosto 1996.

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Aveva la propria sede a Shanghai e una filiale a Tianjin, in Rue de France, 92, nella Concessione francese. Il compito principale era quello di promuovere ed incoraggiare, con un'adeguata assistenza bancaria, l'incremento dei traffici italo-cinesi; in particolare si occupava dei finanziamenti delle esportazioni di prodotti manifatturati italiani in Cina, nonché di quelli relativi alle importazioni in Italia, Francia, Stati Uniti, ecc. delle materie prime caratteristiche della Cina, come la seta, le pelli, le pellicce e simili; in generale trattava tutte le operazioni a cui usavano comunemente dedicarsi le banche estere in oriente. Nel 1921, la banca commissionò all'American Bank Note Company una specifica carta moneta 162: una serie di biglietti da 1, 5 e 10 yuan con la conferma di cambio da parte delle autorità cinesi. Non esiste però la certezza che questa moneta abbia avuto corso effettivo, a causa del continuo deprezzamento del cambio: il biglietto italo-cinese, legato alle riserve in taels d'argento, avrebbe sofferto di questa debolezza finanziaria. Nel 1924 il gruppo cinese venne disinteressato e il capitale della banca, passato interamente sotto il controllo del gruppo italiano, fu convertito in 1 milione di dollari statunitensi interamente versati. La Banca cambiò ragione sociale e divenne Banca italiana per la Cina. Nel 1932 aveva riserve per 181.000 dollari americani. Alla banca vennero affidati incarichi fiduciari dal Governo cinese, come quello delle operazioni di conversione dei vecchi buoni cinesi in un nuovo prestito 8%, ed al Governo italiano quello della riscossione delle quote mensili relative all'indennità dei Boxers, cosicché venne autorizzata a fregiarsi della qualifica di banca ufficialmente incaricata di speciali servizi del R. Tesoro italiano. 163 La banca costituiva il maggior investimento di capitali italiani in Cina: il movimento generale nei suoi conti passò da 197 milioni di taels e 10 milioni di dollari americani nel 1929 a 271 milioni di taels e 13 milioni di dollari americani nel 1931, mentre l'importo dei finanziamenti fatti dalla banca nel solo articolo delle sete di esportazione cinese fu, per il quinquennio 1926-1930, di lire 4.036.000 e di dollari 1.941.700. 164 Vedi All. 7.13. AMERI, 1932, p. 51. 164 La situazione precipitò con l'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940: gli affari si ridussero drasticamente, scomparvero gli incassi della indennità dei Boxers, i collegamenti con la Patria insicuri e saltuari. Dopo l'8 settembre 1943, cambiò anche il rapporto con gli alleati Giapponesi : la notizia dell'armistizio arrivò a Tientsin solo il 9 settembre ed i Giapponesi, dopo aver occupato la concessione e disarmato i soldati del Battaglione San Marco, chiusero la banca e deportarono gli Italiani che non giurarono fedeltà alla Repubblica di Salò. Finita la guerra la situazione non migliorò, poichè le clausole del trattato di pace resero pressochè improbabile il recupero del patrimonio. La sede di Tientsin chiuse definitivamente, mentre restò operativa la sede di Shanghai che custodiva ancora qualche deposito. Il 2 luglio 1947 i vertici della banca imposero la chiusura di ogni attività in Cina finchè la situazione politica non si fosse stabilizzata, e la sede legale della banca spostata a Vaduz. Nel 1949 la banca prese il nome di SINIT 162 163

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Moderne palazzine lungo Corso Vittorio Emanuele III. (Fonte: Catalano, Le Vie d'Italia e del Mondo)

2.3. Il Trattato Italo-cinese del 1928 e la questione irrisolta dell'extraterritorialità. Il periodo tra le due guerre mondiali - caratterizzato da un forte sviluppo economico ed edilizio della concessione - coincise con una critica situazione politica e sociale in Cina: iniziò quello che gli storici cinesi chiamano l'epoca dei Signori della guerra (1916-1928). 165 Alla fine del 1925 la guerra scoppiò tra i due generali più potenti: Zhang Zuolin, Signore della guerra della Manciuria e Wu Peifu, Signore della guerra della cricca del Zhili. Il generale Zhang Zuolin 166, sconfitto, batté in ritirata con tutto il suo esercito dirigendosi rapidamente verso Tianjin. - Società per Iniziative Finanziarie, Bancarie e Commerciali - ma non avrebbe più operato sul mercato cinese. (DE ANTONELLIS, Giacomo, Una banca per la Cina nella prima metà del secolo sostenuta dal Credito Italiano, in Mondo Cinese, maggio-agosto 1996). 165 Citerò qui solo i fatti storici che interessarono direttamente la concessione italiana di Tientsin. Per un inquadramento storico dell'epoca dei Signori della guerra si veda: ROBERTS, J.A.G., Storia della Cina, Roma, Newton&Compton, 2005, pp. 451-470. 166 Daniele Varé (1880-1956), diplomatico e scrittore, ministro d'Italia in Cina dal 1927 al 1931, descrive così il potente generale cinese, nell'incontro avvenuto a Pechino l'11 giugno 1927: «la figura più interessante rimane sempre quella di Cian Tso-lin: piccolo, esile (un gingillino, come lo descrive un nostro ufficiale toscano), col viso abbronzato segnato da piccole rughe parallele, che vanno dal naso al lobo dell'orecchio e non tolgon nulla all'espressione giovanile della faccia. Quando si parla con lui si ha l'impressione che non sia solo un generale fortunato di eserciti raccogliticci. Ha progetti ed ambizioni che oltrepassano il proprio tornaconto personale. Sogna di ridare alla Cina la gloria e la possanza d'una volta. Temo che per lui - come per Yuan Shi-kai, quando io ero qui l'ultima volta, il compito sia troppo arduo». (VARE', Daniele, Il diplomatico sorridente, Milano, Casa Editrice Mondadori, 1944, pp. 321-322).

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L'allarme venne lanciato in tutta la città, poiché si temeva che l'esercito sbandato e disorganizzato potesse riversarsi nelle ricche concessioni e darsi al saccheggio: si costruirono trincee con sacchetti di sabbia, si posizionarono cavalli di Frisia, si innalzarono alti reticolati per le vie della concessione italiana e si raddoppiarono i turni di guardia notturni. La difesa della concessione fu affidata ai soldati del battaglione San Marco. Il 24 dicembre 1925 le prime truppe sbandate entrarono nella concessione attraverso il corso Vittorio Emanuele III, ma vennero immediatamente fermate dalle mitragliatrici. Non vi furono perdite tra i soldati italiani. Un secondo tentativo di sfondamento avvenne il giorno dopo, ma anche questa volta i soldati italiani fermarono i cinesi al di là dei sacchi delle trincee. La situazione si normalizzò nel gennaio 1926 e verso i primi di marzo vennero rimossi i posti di blocco e le trincee. 167

Soldati italiani in assetto da guerra, corso Vittorio Emanuele III, 1925. (Fonte: Musso, La Cina e i Cinesi)

La crisi politica cinese del 1927, culminata con la rottura tra nazionalisti e comunisti e l'annientamento politico-militare di questi ultimi da parte dei primi, vide l’Italia sostanzialmente allineata alle maggiori potenze nell'evacuazione dei cittadini stranieri dalle principali aree interessate dai combattimenti. Mussolini inviò un telegramma nel quale si affrettò a chiarire che l'Italia era pronta ad usare la forza nel caso in cui si fossero verificati rischi per l'incolumità dei cittadini o per gli interessi italiani, e che il Governo affermava la propria contrarietà all'eventuale abrogazione dei Trattati Ineguali firmati in passato. 168 BASSETTI, Sandro, Colonia italiana in Cina, Vignate, Lampi di Stampa, 2014, pp. 294-299. 168 SAMARANI, DE GIORGI, 2011, pp. 56-57. 167

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Nel 1928, dopo la vittoriosa Spedizione Settentrionale 169, il generale Chiang Kai-shek proclamava a Nanchino la nascita del Governo Nazionalista: questo periodo storico prese il nome di decennio di Nanchino (1928- 1937), dal nome della città che a partire dal 21 giugno 1928 divenne la nuova capitale della Cina 170. Il Regno d'Italia riconobbe il Governo Nazionalista ed il 27 novembre 1928 venne firmato a Nanchino, da Daniele Varè, ministro plenipotenziario inviato straordinario in Cina, e da Wang Zhengting, ministro per gli Affari Esteri, un nuovo Trattato preliminare di amicizia e di commercio, in sostituzione di quello del 1866 171: il trattato era composto da 5 articoli e da 4 annessi, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale numero 134 del 10 giugno 1929. 172 L'articolo 2, nell'ottica della politica di rinuncia all'extraterritorialità intrapresa ormai da anni dai Governi cinesi, stabiliva che «i contraenti saranno soggetti nei territori dell'altra parte alle leggi e alla giurisdizione dei tribunali di quella parte, presso i quali tribunali avranno libero e facile accesso per la difesa dei loro diritti». Ma sicuramente più interessante risulta essere l'Annesso 1: «In nome del Governo Nazionale della Repubblica Cinese ho l'onore di dichiarare che l'articolo II del Trattato firmato oggi Cina e l'Italia dovrà intendersi come avente effetto dal 1 gennaio 1930. Prima di tale data il governo cinese prenderà particolareggiati accordi con il governo italiano per l'assunzione da parte della Cina della giurisdizione sui sudditi italiani. Ove non si raggiungano tali accordi entro la data sopra menzionata, i sudditi italiani saranno soggetti alle leggi e alla giurisdizione cinese dalla data che sarà fissata dalla Cina dopo che essa avrà raggiunto un accordo circa l'abolizione delle extraterritorialità con tutte le potenze firmatarie dei trattati di Washington 173, prestando convenuto che tale data dovrà essere applicabile a tutte le dette potenze.

La spedizione del Partito Nazionalista Cinese (GMD) per riunificare la Cina fu lanciata nel luglio 1926 da Chiang Kai-shek, comandante in capo dell'Esercito Rivoluzionario Nazionale, contro i Signori della Guerra del Nord. In quel momento comparvero diverse fazioni, le quali si differenziavano fra loro sia per il livello di ostilità o sospetto verso i comunisti, entrati nel GMD nel 1922 e rappresentati negli organi centrali, sia per la fedeltà a Chiang Kai-shek, che si impose come nuovo leader. Appunto con i comunisti si consumò la rottura fra il 1926 e il 1928, che ebbe il suo apice nella sanguinosa repressione dei moti di Shanghai e Canton del 1927 a opera di Chiang. Nel 1927 il governo fu trasferito a Nanchino. Con la conquista di Pechino nel giugno 1928, si concludeva la Spedizione Settentrionale e l'unificazione della Cina. (ROBERTS, 2002, pp. 474-480). 170 Pechino (Beijing, Capitale del Nord) venne rinominata Beiping, Pace del Nord. I diplomatici accreditati presso il nuovo Governo Nazionalista continuarono ancora per anni a risiedere nell'antica capitale. (N.d.A.). 171 SAMARANI, DE GIORGI, 2011, p. 57 172 Vedi All. n. 5.7. 173 Alla Conferenza per la Limitazione degli Armamenti tenutasi a Washington nel 1921 parteciparono gli Stati Uniti d'America, il Belgio, l'impero britannico, la Francia, l'Italia, il Giappone, l'Olanda ed il Portogallo. I governi delle potenze decisero di stabilire di comune accordo con la delegazione cinese una commissione per l'abolizione della giurisdizione extraterritoriale in Cina. L'abbandono dei diritti di 169

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Per potenze firmatarie di trattato di Washington si dovranno intendere quelle potenze, all'infuori della Cina, che parteciparono direttamente alla discussione sulle questioni del Pacifico e dell'estremo oriente nella conferenza sulla limitazione degli armamenti tenutasi a Washington nel 19211922».

In risposta, Daniele Varè dichiarava che «il Governo italiano era perfettamente in accordo con quanto sopra». La rinuncia all'extraterritorialità da parte dell'Italia era quindi subordinata alle decisioni da parte delle potenze firmatarie del trattato di Washington e pertanto rimandata a data da destinarsi. Nell'interessante volume La Cina, edito dalla Camera di Commercio ed Industria "Italo Asiatica" di Genova nel 1932, la questione della extraterritorialità veniva così riassunta: «Ben 16 Potenze estere godono in Cina il privilegio della giurisdizione consolare, in seguito alla quale i cittadini di queste potenze residenti nel territorio della Repubblica sono sottratti all'applicazione della legge Cinese. Il Governo Nazionalista Cinese ha ereditato dal vecchio regime questa singolare ed anacronistica situazione che intacca direttamente il principio della sovranità dello Stato sul proprio territorio, e si è adoperato e si adopera, con trattative internazionali e dirette con i Governi interessati, per farla cessare. Col tacito consenso delle principali Potenze interessate, il Governo Nazionale, il 28 dicembre 1928, dava mandato allo Yuan (Ministero, N.d.A.) Esecutivo e a quello Giudiziario, di dare ordine ai Ministri competenti perché preparassero un piano secondo il quale a decorrere dal 1 gennaio 1930 tutti gli stranieri residenti nel territorio della Cina e che usufruivano del privilegio extraterritoriale dovessero uniformarsi alle leggi, ordinanze e regolamenti debitamente promulgati dal Governo Centrale e Locale della Cina. Peraltro, il pronunciamento fatto dal Governo Nazionale in maniera forte nel dicembre 1929, non ha ancora trovato la sua pratica attuazione. Ed i diplomatici Cinesi, troppo esperti per credere all'efficacia di una immediata abolizione unilaterale delle extraterritorialità, continuano a trattare la questione con i Governi interessati». 174

extraterritorialità era però subordinata alla conformità del diritto e del sistema giudiziario cinese a quello delle nazioni occidentali. Le varie potenze si impegnarono quindi ad abbandonare progressivamente o in differente maniera i loro rispettivi diritti di extraterritorialità a patto che queste clausole venissero rispettate. Ed infatti, a tale scopo, il governo cinese incaricò la Commissione sulle Extraterritorialità, fondata nel 1920, di studiare i problemi connessi con la questione e di formulare delle proposte da sottoporsi alla detta commissione internazionale. La commissione cinese intraprese la pubblicazione in inglese e in francese delle principali disposizioni legislative moderne della Cina. ( MUSSO, 1926, pp. 457-463). Ma a causa della grande instabilità politica in cui versava il paese i lavori della commissione si arenarono e la questione dell'abolizione dell'extraterritorialità sarebbe stata risolta solamente durante la Seconda Guerra Mondiale (N.d.A.). 174 AMERI, E., La Cina, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, 1934, pp.88-89.

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2.4. Gli Anni '30. Un primo segnale di cambiamento dell'azione diplomatica nei confronti della Cina nazionalista da parte dell'Italia arrivò nel 1927, con la nomina di Daniele Varè a Ministro d'Italia presso la Legazione di Pechino: la scelta condivisa di Vittorio Emanuele III e di Mussolini fu dettata soprattutto dalla fama di esperto in questioni orientali che il diplomatico aveva ottenuto con la sua lunga esperienza in Cina. 175 Nel maggio dello stesso anno venne destinato a Pechino il giovane segretario di Legazione Galeazzo Ciano, figlio dell'eroe di guerra Costanzo Ciano, che vi rimarrà fino al 1929. Nel 1930, subito dopo il matrimonio con Edda Mussolini, Ciano fece ritorno in Cina questa volta come Console Generale a Shanghai e vi rimase, con la moglie, fino all'aprile 1933. Ciano giocò un ruolo fondamentale per i rapporti tra i due Paesi: la cooperazione militare fu l'obiettivo che ebbe maggior successo, in quanto non solo si concretizzò con l'invio di una missione aeronautica e una navale, ma favorì anche la crescita di ordinazioni di materiale bellico da parte cinese e una collaborazione in campo industriale per la realizzazione di importanti opere strutturali nel settore aeronautico. 176 L'obiettivo più rilevante su cui Galeazzo Ciano lavorò costantemente durante il suo periodo di rappresentanza in Cina fu però quello di creare delle basi solide per la diffusione del pensiero fascista, grazie anche all'amicizia personale che lo legava a Zhang Xueliang - il giovane maresciallo - e alle notorie simpatie di Chiang Kaishek per Mussolini. 177 Il 18 settembre 1931, prendendo come pretesto un attentato contro i binari della ferrovia presso Mukden (l'attuale Shenyang), l'Esercito giapponese invase la Manciuria: a capo del nuovo stato, il Manchukuo, venne posto l'ultimo imperatore della Cina, Puyi. L'episodio, ricordato come Incidente del 18 settembre, segnò l'inizio dell'invasione giapponese della Cina. La Società delle Nazioni, pur condannando l'episodio 178, si arrese di fronte al fatto compiuto.

MOCCIA, Vincenzo, La Cina di Ciano, 2014, pp.76-123. Nel 1934, all'apice dei rapporti fra i due paesi, la Legazione d'Italia in Cina venne elevata al rango di Ambasciata. (N.d.A) 177 L'introduzione e lo studio in Cina del Fascismo si concretizzò con la nascita del Movimento Vita Nuova ( 新 生 活 運 動 , Xīn Shēng Huó Yùn Dòng) che mirava al rinnovamento materiale e morale della Cina, ispirato ai principi e alle idee fasciste e confuciane. (N.d.A) 178 La Lega delle Nazioni istituì un'apposita commissione d'inchiesta per l'accertamento dei fatti, la Commissione Lytton, dal nome di Lord Lytton che la presiedeva. Lo accompagnavano diversi altri membri tra cui il conte Aldrovandi, diplomatico italiano. Il verdetto della Lega delle Nazioni, deliberato sul finire del 1932, si basava dunque sul Rapporto Lytton, frutto di sei mesi di intenso lavoro. La Lega, tuttavia, fu impotente nell'imporre da subito sanzioni o prendere provvedimenti contro il Giappone, a causa delle opinioni contrarie della Gran Bretagna e alla non partecipazione degli Stati Uniti. La Commissione raccomandava che il governo del 175 176

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Quando alla fine del 1933, Ciano lasciò la Cina, il Governo nazionalista di Chiang Kai-shek era diviso su due fronti: da un lato l'offensiva giapponese, che aveva portato all'indipendenza della Manciuria e dall'altro lato la lotta per l'annientamento dei comunisti. L'anno che segnò la fine dei rapporti amichevoli tra Cina ed Italia fu il 1935, quando il nostro Paese attaccò l'Etiopia e l'aggressione venne condannata dalle Società delle Nazioni. La Cina, alle prese con l'invasione giapponese e le nuove pressanti richieste del Governo di Tokio, decise per l'applicazione delle sanzioni contro l'Italia fascista, nella speranza anche di ottenere un seggio alla Società delle Nazioni di Ginevra con il quale avrebbe potuto far valere meglio le richieste di intervento internazionale contro il Giappone. L'adesione dell'Italia all'Asse Roma-Berlino (24 ottobre 1936) segnò il progressivo avvicinamento del nostro paese al Giappone, il quale riconobbe tra i primi l'Impero italiano; dopo l'adesione di Roma al Patto Anti-Comintern avvenuto il 6 novembre 1937, il Regno d'Italia riconobbe ufficialmente, il 1 dicembre 1937, l'Impero del Manchukuo. 179 A partire dall'inizio del 1938 le relazioni diplomatiche tra l'Italia e la Cina nazionalista entrarono in una sorta di limbo che si protrasse per tutta la durata del conflitto mondiale. Negli anni '30 i possedimenti italiani cominciarono a consolidarsi, sia grazie alle buone relazioni diplomatiche tra la Cina e l'Italia, sia per merito del miglioramento del commercio che gli scambi tecnici tra i due Paesi. Durante la prima metà degli anni '30 la concessione di Tianjin conobbe un periodo di serenità e di prosperità caratterizzato da un buon assetto commerciale e da un discreto sviluppo imprenditoriale. 180

Manchukuo si modificasse - in modo da rendere certo il governo della stessa Cina - in una sorta di grande regione autonoma sotto controllo giapponese. Dove il Rapporto Lytton enfatizzava l'autonomia della Manciuria ma non una sua indipendenza dalla Cina, i Giapponesi enfatizzavano proprio la sua indipendenza de facto. Il rappresentante del Giappone alla Lega delle Nazioni rifiutò la tesi che la Manciuria fosse storicamente parte integrante della Cina, sostenendo anzi che si trattava proprio del contrario, essendo la Manciuria storicamente una sorta di proprietà privata della dinastia Qing. Il Rapporto Lytton non servì poiché il Giappone lasciò la Lega delle Nazioni nell'agosto del 1933. (GIACHINO, M., Aixinjueluo Puyi e il Manzhouguo, 19311946, Tesi di laurea magistrale, Rel. Prof.ssa De Togni, Università di Torino, A.A. 20062007). 179 Il libro L'Italia e l'Imperialismo giapponese in Estremo Oriente di Alessandro Vagnini ricostruisce la missione del Partito Nazionale Fascista in Giappone e nel Manchukuo, avvenuta nel 1938 a seguito del riconoscimento diplomatico del nuovo stato da parte dell'Italia. 180 Nel 1936, la popolazione italiana ammontava complessivamente a 358 persone, di cui 321 maschi e 37 femmine. Le famiglie erano 25 con 56 componenti; due le convivenze, una civile (istituto di cura) e una militare ( Battaglione Italiano con 292 componenti). La popolazione civile ammontava a 66 individui, di cui 34 celibi e nubili. Solo 8 persone erano impiegate nella amministrazione pubblica.

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L'impianto urbano era ormai del tutto consolidato, le pochissime attività produttive poste alle estremità, principalmente nei pressi della banchina fluviale e della ferrovia. La mancanza all'interno della concessione di fabbriche ed opifici, fece sì che il quartiere fosse sostanzialmente una zona residenziale abitata dai ceti più ricchi, soprattutto cinesi, i quali le conferirono il nome di quartiere aristocratico. Molte le personalità e gli uomini politici cinesi che scelsero di ritirarsi nella concessione: Liang Qichao, intellettuale e politico; Duang Qirui e Jin Yupeng, ex primi ministri del Governo cinese; Li Yuanhong e Cao Kun, ex presidenti della Repubblica di Cina; Zhang Tinghe, sindaco di Tianjin. 181 I coniugi Ciano parteciparono a due eventi pubblici nella concessione: il primo, il 20 gennaio 1932, quando Galeazzo passò in rassegna il Battaglione Italiano in Cina schierato in piazza Regina Elena; il secondo, il 21 aprile 1932, il Natale di Roma, Edda Ciano Mussolini assistette ad un saggio ginnico presso la Caserma Carlotto e alla consegna delle tessere del partito ai componenti del Fascio locale. 182 Alla fine degli anni Trenta vennero costruiti gli ultimi due edifici pubblici, carichi di monumentalità, simbolo della nuova Italia Fascista all'estero: l' edificio del Forum e la Casa degli Italiani, «i più recenti edifici pubblici di cui il Fascismo ha dotato questa zona italiana d'Oriente». 183 L'edificio del Forum, circolo ricreativo e sportivo, venne inaugurato il 20 settembre 1934: grandiosa costruzione con un'alta torre d'angolo decorata con quattro enormi fasci littori posti sulla sommità e altorilievi sulle due facciate. L'edificio sorge tra quelle che erano la piazza Regina Elena e la via Marco Polo; oggi è stato restaurato e conserva intatti i quattro fasci littori. Il giornalista Italo Zingarelli in un articolo su La Stampa apparso nel 1939 ricorda: «Benché in Estremo Oriente siamo in una graziosa cittadina italiana […] mangiamo all'italiana in un ristorante appartenente ad italiani e diretto da un astigiano, bevendo - se ci aggrada - buon Chianti, Capri, coronata, Barolo,

I cinesi ammontavano a 7.953 individui, di cui 5.291 maschi e 2.662 femmine. Gli stranieri residenti erano 184, di cui 49 Belgi, 30 Spagnoli, 29 Russi e 18 Giapponesi e altre nazionalità non specificate. (VIII Censimento Generale della Popolazione - 21 aprile 1936 - XIV, Volume V, Libia - Isole Italiane dell'Egeo - Tientsin) 181 CAPALBI, CARDANO, PORZIO, 2004, pp.74-78. 182 BASSETTI, 2014, p. 307. La prima sezione del Partito Nazionale Fascista in Cina venne fondata nel 1926 a Pechino da Antonio Riva (1896-1952). Nato a Shanghai, asso della prima guerra mondiale e mercante d'armi, creò a Pechino una società commerciale, The Asiatic Import and Export Co., con sede anche a Tientsin, dove si era trasferito nel 1923. Accusato di tradimento dai cinesi nazionalisti dopo la fine della guerra, venne scagionato grazie alle sue influenti amicizie; nuovamente accusato di tradimento dai comunisti cinesi e di aver attentato alla vita del presidente Mao, venne condannato a morte nel 1952. (ALIGHIERO, B., L'uomo che doveva uccidere Mao, Excelsior1881, Milano, 2008). 183 Giornale Luce B0697 del 19/06/1935.

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Grignolino, i nostri liquori e le nostre migliori acque minerali. Il gigantesco fascio littorio di questo ritrovo la sera, illuminandosi la cupola alla quale si appoggia diventa il segnacolo della città. Chi lo scopre da lontano, arrivando col treno, dice: Siamo a Tianjin». 184

Il Forum (Fonte: Catalano, Le Vie d'Italia e del Mondo)

La Casa degli Italiani, in puro stile '900 185, venne edificata tra il 1935 e 1936; oggi non esiste più.

Nel frattempo la situazione politica cinese si aggravò, nuovi venti di guerra soffiarono sul paese: il 7 luglio 1937, prendendo spunto da una schermaglia con le truppe cinesi intorno a Pechino, i Giapponesi sfondarono la linea del fronte e invasero la Cina. L'episodio è conosciuto come l'Incidente del ponte Marco Polo 186, che segnò l'inizio del Secondo conflitto Sino-giapponese e l'inizio, a detta di molti storici, del Secondo Conflitto Mondiale. Le truppe giapponesi entrarono a Pechino il 29 luglio 1937, mentre Tianjin venne bombardata sia da parte cinese che da parte giapponese: reparti di truppe italiane occuparono parte del territorio compreso tra la concessione ed il ponte internazionale a difesa dei nostri interessi. Tianjin cadde la mattina del 31 luglio 1937. Il Comando Supremo Italiano, preoccupato per l'aggravarsi della situazione militare nella

A Tien Tsin, ma in Italia, da La Stampa, 30 agosto 1939. Giornale Luce B0697 del 19/06/1935. 186 Il ponte Marco Polo (Luguo Qiao) sorge a circa 20 km a sud-ovest di Pechino. Il ponte deve il suo nome al fatto che Marco Polo lo descrisse ne Il Milione. (N.d.A) 184 185

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Cina del Nord, decise di inviare più forze ed alcune navi militari a difesa dei possedimenti italiani di Tianjin, Shanghai ed Hankou. 187 Su La Stampa del 30 luglio 1937 il corrispondente da Shanghai scrisse: «Mentre abbandonavano Pechino, durante le ore notturne, i cinesi ammassavano minacciosi concentramenti di truppe attorno alla concessione nipponica di Tianjin; e la battaglia mancata di Pechino non tardava a scoppiare furibonda qui. L'aviazione e l'artiglieria sono entrate in azione. Un reggimento della 29ª Armata, che si dislocava nell'interno della città, sorpreso dall'artiglieria giapponese, ha avuto molte centinaia di morti. Reparti di truppe italiane hanno occupato parte del territorio compreso tra la concessione italiana ed il ponte internazionale. In tutte le concessioni è stato proclamata la legge marziale e lo stato di emergenza. Nelle prime ore del pomeriggio, i nipponici sferrarono un tremendo attacco aereo. In meno di due ore, ben 12 trimotori da bombardamento giapponesi hanno gettato oltre 30 bombe di grosso calibro, e molte altre minori. Le bombe hanno provocato l'incendio dell'ufficio postale e della stazione. Le fiamme si sono estese all'Asiatica Petroleum Co. di proprietà britannica che questa sera era trasformata in un immenso braciere data l'infiammabilità delle merci custodite. Altre bombe hanno appiccato il fuoco alla Università di Nantai e in parecchi altri quartieri della città. Vi sono morti e feriti in numero rilevante, seppure attualmente gli studenti siano in vacanza. Il villaggio di Palitai presso la Università è totalmente in preda alle fiamme e le vittime anche colà debbono essere numerose. Altre bombe sono cadute presso il palazzo municipale, che è rimasto assai danneggiato. Nei pressi della stazione ferroviaria gruppi di casupole sono state colpite rase al suolo. Il bombardamento e valso a sloggiare le truppe cinesi dal recinto ferroviario che è ora occupato da quelle nipponiche. Nel tardo pomeriggio il portavoce militare nipponico ha precisato che gli apparecchi giapponesi avevano bombardato il villaggio di Palitai, l'Università di Nankai, la residenza municipale. […] Il bombardamento è cessato alle 19 locali, ma tutto sta a indicare che esso può ricominciare da un momento all'altro. A quell'ora otto giganteschi incendi arrossava il cielo. Il corpo consolare sta compiendo sforzi per ottenere una tregua delle ostilità, ma finora con risultati negativi. Il generale Katzuki ha respinto le proteste dei consoli contro i bombardamenti, giustificandoli con un codicillo del trattato dei Boxer».

In seguito all'adesione del nostro paese al Patto Anti-Comintern, e con il conseguente avvicinamento a Tokio, il rapporto fra la Cina Nazionalista e l'Italia Fascista cambiò improvvisamente poiché Chiang Kai-shek interruppe ogni rapporto con Roma. Intanto la situazione in Cina precipitò: l'esercito giapponese avanzò inesorabilmente, il 13 dicembre 1937 entrò a Nanchino e compì una delle più gravi stragi di civili avvenute durante la guerra, il cosiddetto massacro di Nanchino 188. Un BASSETTI, 2014, pp. 316-317. Il Massacro di Nanchino o Stupro di Nanchino fu l'episodio più atroce del Secondo Conflitto Sino-giapponese. I militari nipponici si diedero a stupri, omicidi, saccheggi e incendi, causando 300.000 vittime in buona parte civili. Per una ricostruzione 187 188

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anno dopo, nell'ottobre del 1938, caddero Canton e Hankou; la capitale della Cina venne spostata a Chongqing, nelle regioni occidentali. Tutta la Cina costiera e buona parte delle grandi città si trovarono alla fine del '38 sotto l'occupazione nipponica. Il 14 giugno del 1939 i Giapponesi iniziarono il blocco delle concessioni a Tianjin: vennero sbarrate tutte le strade che conducevano alle concessioni, istituiti rigorosi controlli sui veicoli, sui passanti e sulle mercanzie, che causò la paralisi del commercio. Anche le vie di comunicazioni fluviali vennero bloccate. Il blocco delle concessioni interessò quella britannica e francese, che vennero circondate da reticolati elettrificati e dotate solo di due accessi. Sia i cinesi che i britannici e francesi venivano sistematicamente perquisiti. Gli unici a poter circolare liberamente e a non essere perquisiti erano i cittadini italiani e tedeschi, alleati dei giapponesi. Il commento, di Concetto Pettinato, su La Stampa del 30 giugno 1939: «L'Estremo Oriente è ritornato di piena attualità: il Giappone ha di fronte i suoi veri più implacabili avversari, gli imperialismo plutocratici occidentali. La speranza nutrita a Londra e a Parigi di considerare il conflitto nel Pacifico come un compartimento stagno rispetto alle posizioni europee si è rilevata un'illusione. Il mondo è sempre più piccolo: se mai dovesse scoppiare il conflitto esso non avrà confini, sarà un conflitto mondiale».

Il 1 settembre 1939 l'esercito tedesco invase la Polonia ed il 3 settembre la Francia e il Regno Unito dichiararono guerra alla Germania nazista. Scoppia il Secondo Conflitto Mondiale.

2.5. La condizione giuridica degli Italiani e degli indigeni nella Concessione. Italiani. Gli italiani residenti e proprietari godevano della clausola dell'extraterritorialità, pertanto erano soggetti esclusivamente alla Legge italiana: per la concessione italiana di Tianjin legiferavano quegli stessi organi che facevano le leggi per il resto dello Stato italiano. Per il diritto pubblico italiano, l'alta tutela sulla concessione era esercitata dal Ministero degli Esteri e dal Ministro a Pechino. Valore complementare aveva la Legge comunale e provinciale italiana. 189 Il Tribunale Consolare di Tianjin aveva competenza generale di carattere territoriale, giudicava quindi delle questioni di indole patrimoniale, relative a beni che si trovavano nella concessione, anche se il proprietario era cinese. dettagliata dell'episodio storico si veda: CHANG, IRIS, Lo stupro di Nanchino. L'olocausto dimenticato della seconda guerra mondiale, Corbaccio Editore, 2000. 189 BALOSSINI, 1934, p.86.

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Indigeni. I primi Land Regulation vietavano lo stabilimento degli indigeni nei settlements, ma a partire dal 1860 la situazione cambiò: i cinesi, minacciati dai ribelli Taiping, si ripararono nelle concessioni e lì vi rimasero, attratti dagli elevati salari che il lavoro tecnico ma anche quello più umile potevano offrire loro. L'aumento dell'immigrazione cinese continuò negli anni seguenti sebbene gli affitti fossero notevolmente superiori a quelli delle città cinesi e sebbene il costo della vita fosse notevolmente aumentato: si trattava ormai di una popolazione indigena stabile e in buona parte agiata. L'autorizzazione a risiedere nel settlement non implicava quella di possedere immobili, ma in realtà una gran parte di essi nelle concessioni era posseduta da cinesi attraverso l'utilizzo di prestanomi europei. 190 La situazione dei cinesi residenti nella concessione italiana era diversa rispetto a quella di altre realtà analoghe. Fin dall'Accordo del 1902, veniva infatti stabilito che i cinesi potessero acquistare terreni nel settlements e risiedervi, a patto che si conformassero ai regolamenti vigenti 191; lo stesso principio veniva sancito nel Regolamento del 1913, con l'aggiunta di una dichiarazione scritta, con la quale i residenti indigeni si impegnavano al rispetto e all'obbedienza dei regolamenti, presenti e futuri, e previa autorizzazione da parte del console. 192 Il Regolamento annesso allo Statuto del 1923 equiparava di fatto i proprietari e residenti cinesi ai proprietari e residenti di altre nazionalità all'interno della concessione, poiché «sarà per essi obbligatoria quella dichiarazione di sottomissione richiesta ai sudditi di potenze straniere 193». Come ricordava Italo Zingarelli in un articolo del 1939, la concessione italiana fu la prima ad ammettere i cinesi a risiedere in condizioni di assoluta uguaglianza, così come fu la prima nel 1920 ad aprire ai cinesi i cancelli del suo giardino pubblico. 194 Cosa non scontata, basti pensare che i parchi pubblici dei settlements di Shanghai vennero aperti ai cinesi solo nel 1928. I cinesi avevano dunque un interesse notevole nelle amministrazioni municipali ed essi avrebbero avuto in teoria anche il diritto di essere rappresentati: nella concessione italiana, così come nelle altre concessioni, il problema della rappresentanza amministrativa dei cinesi venne risolto in parte permettendo loro di eleggere un Comitato con voto consultivo, con le stesse norme che regolavano l'elezione dei membri del Consiglio Municipale. Infatti l'Art. 25 dello Statuto del 1923 sanciva che «i proprietari e residenti cinesi della concessione CATELLANI, 1915, pp. 302-303. Accordo, 1902, Art. 8. 192 Statuto, 1913, Art. 2. 193 Regolamento, 1923, Art. B. 194 ZINGARELLI, A Tien Tsin, ma in Italia, LA STAMPA, 30 agosto 1939 - Anno XVII 190 191

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eleggeranno con le stesse norme previste per gli elettori italiani e stranieri un comitato composto da tre cinesi», «con solo voto consultivo, in carica due anni e rieleggibili» (Art.26).

Giardino Principe Umberto, già Conte Gallina. (Fonte: Catalano, Le Vie d'Italia e del Mondo)

Gli indigeni residenti nei settlements erano in teoria giuridicamente sudditi cinesi, non usciti dal territorio e pertanto non sottratti all'autorità dello Stato al quale appartenevano. Nella pratica, essendo il settlement municipale un ente amministrativo ed essendo anche un ente straniero, si aveva, come conseguenza della dimora degli stranieri in quell'area, una subordinazione amministrativa dei cinesi che vi dimoravano alle autorità municipali straniere. Godevano dunque della stessa extraterritorialità dei residenti stranieri. Catellani afferma che: « E' pertanto naturale che, nell'area assegnata alla residenza degli stranieri, dove un gruppo di questi ultimi siasi formato ed abbia costituito un particolare organismo amministrativo, debbano valere almeno le stesse immunità che i trattati riconoscono nelle singole abitazioni e proprietà degli stranieri, esistenti isolatamente in territorio cinese. […] Sicché la necessaria cooperazione delle autorità consolari e l'eventuale subordinazione a queste ultime degli atti esecutivi ordinati dalle competenti autorità territoriali nei riguardi di indigeni residenti nei settlements, non sono effetto d'una particolare rinuncia e diminuzione dei diritti della sovranità territoriale cinese, […] ma sono piuttosto applicazione della normale immunità locale stipulata a favore degli stranieri in Cina. Tali immunità locale si manifesta collettivamente rispetto a tutta l'area del settlement e a tutte le abitazioni che in quello sono stabilite, perché è la somma delle immunità locali singole che gli stranieri vi potrebbero invocare; perché quell'area era originariamente ai soli stranieri ad esclusione degli indigeni; perché questi, a titolo di residenza, vi sono ospiti di quelli […]. Trattasi dunque di una applicazione collettiva della

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immunità locale sancite dai trattati, la quale, se limita le concrete manifestazioni della sovranità territoriale, specialmente in quanto si tratti di atti esecutivi, non le limita né in proporzioni diverse né a titolo diverso da quello che avvenga rispetto alle singole abitazioni degli stranieri esistenti in territorio cinese». 195

Per i cinesi che risiedevano a qualunque titolo nelle concessioni, valeva dunque quella regola di giurisdizione nei processi misti (Corti Miste) che era sancita nei trattati; la stessa regola era applicabile in generale anche a quei residenti cinesi che violassero i regolamenti municipali. L'attività della Corte Mista era determinata in materia civile e penale dalle regole pattuite nei Trattati. 2.6. La Seconda Guerra Mondiale e l'Accordo di Pace del 1947. La retrocessione alla Cina.

Il 30 marzo del 1940 i Giapponesi instaurarono in Cina un governo collaborazionista con a capo il presidente Wang Jingwei 196 conosciuto in Cina come Governo fantoccio di Nanchino 197. Il 10 giugno 1940, il Regno d'Italia, alleato della Germania nazista, dichiarò guerra alla Francia e al Regno Unito. Nel periodo compreso fra il giugno 1940 e settembre del 1943, la concessione italiana di Tianjin - insieme ai consolati di Shanghai, e Hankou, all'ambasciata di Pechino e al forte di Shanhaiguan - visse un periodo relativamente tranquillo, nonostante qualche difficoltà con il Comando Militare giapponese di occupazione che non gradiva la presenza degli occidentali in Cina, anche se alleati. Dopo l'attacco di Pearl Harbour, l'8 dicembre 1941, la Cina, alleata degli Stati Uniti d'America, dichiarò guerra all'Italia, alla Germania e al Giappone. Per effetto del Patto Tripartito, l'11 dicembre 1941 l'Italia e la Germania dichiararono guerra agli Stati Uniti. Si acuirono le difficoltà nei collegamenti con la madre patria: il Battaglione San Marco, la forza militare a difesa della concessione venne saltuariamente rinforzata da CATELLANI, 1915, p. 309. Wang Jingwei (1889-1944). Stretto collaboratore di Sun Yat-sen, di idee progressiste e socialiste, ma convinto anticomunista. Oppositore di Chiang Kai-shek all'interno del Partito Nazionalista, trattò con i Giapponesi che lo misero a capo del Governo fantoccio di Nanchino. Morì in Giappone a causa di complicazioni mediche dopo un attentato al quale era sfuggito nel 1939. In Cina è considerato un grande traditore (hanjian). (N.d.A) 197 Il 1 luglio 1941, il nuovo ambasciatore Francesco Maria Taliani, presentò le credenziali al governo collaborazionista di Nanchino. L'ambasciatore Taliani fu uno dei pochi diplomatici italiani in Cina a confermare la fedeltà al Re dopo l'8 settembre. Per questa sua scelta venne arrestato dai Giapponesi insieme alla famiglia e internato in un campo di prigionia fino alla fine della guerra. Descrisse questi fatti travagliati nel volume E' morto in Cina, edito nel dicembre del 1949. (N.d.A) 195 196

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complementi sbarcati dalla nave Eritrea, giunta in Estremo Oriente dopo la caduta dell'Africa Orientale. 198 La firma dell'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943), giunse a Tianjin la mattina del 9 settembre: la situazione per gli Italiani divenne immediatamente drammatica, in quanto i Giapponesi da alleati diventarono nemici e occuparono la concessione. Sandro Bassetti nel suo volume Colonia italiana in Cina, dà un resoconto dettagliato di ciò che accade in quel giorno nella concessione di Tianjin: «I reparti italiani di Tianjin, al comando del capitano di fregata Carlo Dell'Acqua, circondati da un intero reggimento giapponese guidato dal tenente colonnello Tanaka (una forza di circa seimila uomini con decine di mezzi corazzati leggeri e parecchi cannoni da campagna) decidono sulle prime di tentare una disperata resistenza. Gli italiani, che vogliono proteggere i numerosi civili presenti, tra i quali il console Stefanelli, si trincerano nella caserma Ermanno Carlotto, nel Forum e nel Municipio, appostando seicento tra soldati e marinai armati con trecento fucili, cinquanta pistole, cinquanta mitragliatrici Breda e Fiat, pesanti e leggere; quattro cannoni da 75/27 mod. 06, quattro autoblindo Lancia. Il raggruppamento dispone di cinque automezzi, una cinquantina di cavalli, due milioni di proiettili di vario calibro e viveri e medicinali per circa una settimana. Il tenente colonnello Tanaka […] intima la resa senza condizioni agli italiani. Sulle prime gli ufficiali italiani respingono l'ingiunzione e giapponesi parlano diversi colpi di cannone a scopo intimidatorio. Contemporaneamente giunge nel presidio italiano l'allarmante notizia dell'imminente arrivo a Tianjin di un'intera divisione giapponese di rinforzo, dotata di carri armati e numerose artiglierie. E' allora che il capitano di fregata Dell'Acqua, nonostante il parere contrario di molti suoi soldati che vogliono continuare la lotta, decide di arrendersi. La sorte dei prigionieri italiani è avventurosa. Centosettanta di essi aderiscono alla Repubblica Sociale Italiana e continuano a combattere a fianco dei giapponesi e dei germanici, mentre il resto decide di non collaborare ed è rinchiuso in diversi campi di concentramento, a Tianjin, in Corea e Giappone e sottoposto a lavori forzati. Le forze del battaglione San Marco presenti in Cina, quattrocento uomini, sono dislocate nella caserma Carlotto di Tianjin e nell'acquartieramento di Shanghai, quando da Roma, giungono gli ordini di distruggere gli archivi segreti, autoaffondare le navi e consegnare il personale in caserma adottando un comportamento atto a salvare la dignità nazionale. Le caserme sono circondati dai giapponesi. Al personale è consentito di scegliere: collaborare o rifiutare ogni forma di collaborazione. La lontananza dalla madrepatria e la scarsa conoscenza degli avvenimenti rendono difficile la scelta. Chi preferisce collaborare trova reimpiego dei cantieri navali, chi rifiuta è internato nei campi di concentramento». 199

L'8 settembre distrusse anche l'intera rete diplomatica italiana: le autorità giapponesi posero sotto sequestro le rappresentanze diplomatiche e consolari in Cina, che vennero restituite ai funzionari del 198 199

BASSETTI, 2014, p. 334. BASSETTI, 2014, pp. 340-341.

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Ministero degli Affari Esteri di Salò solo qualche mese dopo, grazie anche all'intercessione dei tedeschi alleati. La sede dell'Ambasciata d'Italia venne trasferita a Nanchino e vennero riaperti gli uffici di Shanghai e Tianjin. Nel frattempo sia la Repubblica Sociale (luglio 1944), sia il Regno d'Italia 200 (dicembre 1944), che le Potenze Alleate, rinunciarono definitivamente alle concessioni e ai diritti di extraterritorialità: terminava così una situazione giuridica mai chiarita, generata da trattatati ineguali ed ingiusti, che perdurava da quasi cento anni. La Stampa del 17 luglio 1944 riportava la seguente notizia: «In occasione della firma del trattato fra la Cina Nazionale e l'Italia per la concessione di Tianjin, il Ministro degli Esteri cinese ha indirizzato al Duce un telegramma nel quale esprime la sua soddisfazione per l'accordo intervenuto fra i due Paesi, nonché la gioia per l'amicizia che regna fra la Cina Nazionale e l'Italia di Mussolini; il Ministro esprime, inoltre, la speranza che l'amicizia fra i due Paesi continuerà costantemente a migliorare. Il trattato Italo-cinese, che è stato firmato venerdì scorso dal Ministro cinese e dall'Incaricato d'Affari della Repubblica Italiana presso il Governo cinese di Wang Jingwei, dottor Spinelli, è ispirato alle dichiarazioni delle potenze del Tripartito nei riguardi degli interessi stranieri in Cina, dichiarazioni che, in ossequio al principio del rispetto della completa sovranità del governo della Cina, contemplano la rinuncia ai diritti di extraterritorialità. Con il trattato firmato venerdì a Nanchino, l'Italia rimette nelle mani del Governo Nazionale cinese l'amministrazione della concessione di Tianjin e rinuncia ai diritti di extraterritorialità e di tenere truppe nella zona della concessione».

Anche in Oriente la situazione bellica volgeva ormai a favore degli Alleati: il 1 aprile 1945 le truppe americane sbarcarono sull'isola di Okinawa, il 6 agosto venne sganciata la bomba atomica su Hiroshima e due giorni dopo iniziò l'invasione sovietica della Manciuria e la dichiarazione di guerra dell'URSS al Giappone. Il 15 agosto 1945 l'Imperatore Hirohito annunciò la resa del Giappone. Le relazioni diplomatiche tra il Regno d'Italia e il Governo cinese ripresero lentamente e con grandi difficoltà, dovute ai problemi generati dal conflitto mondiale trasversali a tutti i paesi ed in particolar modo dalla forte incertezza e instabilità politica dell'Italia e della Cina del tempo: il cambio istituzionale in Italia nel giugno del '46 e la guerra civile in Cina a seguito della rottura tra i Nazionalisti ed i Comunisti. I contrasti principali tra Roma e Nanchino nascevano dal fatto che la Cina chiedeva che la retrocessione della concessione di Tianjin e la rinuncia ai diritti di extraterritorialità venissero inserite nel trattato di

Le trattative formali con Nanchino iniziarono già nel gennaio del 1943, dopo la retrocessione alla Cina delle concessioni giapponesi e l'entrata in guerra della Cina collaborazionista a fianco delle potenze dell'Asse, avvenuta il 9 gennaio. Nello stesso periodo anche la Francia, gli Stati Uniti e l'Inghilterra rinunciarono ai loro diritti e restituirono le concessioni al governo di Chang Kai-shek. (SAMARANI, DE GIORGI, 2011, pp. 82-85).

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pace, mentre l'Italia non ne vedeva l'utilità, in quanto confermava gli impegni assunti con i precedenti accordi. Il nuovo ambasciatore d'Italia in Cina Sergio Fenoaltea riuscì a raggiungere il paese solamente nel luglio del '46, mentre già nell'ottobre del 1945 era stata riaperta l'ambasciata cinese a Roma, anche se il nuovo ambasciatore cinese si sarebbe insediato solo nel maggio del 1946. 201 Il 10 febbraio 1947 a Parigi il marchese Antonio Meli Lupi di Soragna firmò il Trattato di Pace tra l'Italia e le potenze vincitrici. La Sezione V Speciali Interessi della Cina, tratta in modo particolare la questione dei possedimenti italiani in Cina e dei Trattati ineguali. L'articolo 24 stabiliva infatti la completa rinuncia al Protocollo di Pechino firmato il 7 settembre 1901 e ad ogni genere di indennità: «l'Italia rinuncia a favore della Cina a tutti i benefici e privilegi risultanti dalle disposizioni del protocollo firmato a Pechino il 7 settembre 1901 e dei relativi allegati, note e documenti complementari ed accetta l'abrogazione, per quanto la riguardava, del detto protocollo, allegati, note e documenti. L'Italia rinuncia egualmente a far valere qualsiasi domanda di indennità al riguardo». L'articolo 25, invece, sanciva la fine dell'avventura italiana in Estremo Oriente, ovvero la retrocessione della concessione italiana di Tianjin: «l'Italia accetta l'annullamento del contratto d'affitto concessole dal Governo cinese in base al quale era stabilita la concessione italiana Tianjin ed accetta inoltre di trasmettere al Governo cinese tutti i beni e gli archivi appartenenti al Municipio di detta concessione». Infine, articolo 26, prevedeva la rinuncia da parte dell'Italia dei diritti accordati «rispetto alle concessioni internazionali di Shanghai e di Amoy» e il conseguente trasferimento al governo cinese. Intanto la situazione politica in Cina andava sempre più peggiorando, l'avanzata delle truppe comuniste verso le regioni costiere ed i grandi centri urbani era ormai inarrestabile. Il 16 dicembre del 1948 Pechino si arrese; il 13 gennaio 1949 Tianjin venne bombardata dai Comunisti e la città cadde il 15 gennaio alle ore 13, pressoché senza combattere. L'Esercito Popolare di Liberazione entrò in città attraverso l'ex concessione italiana: la presenza straniera a Tianjin era ormai da tempo ridotta al minimo e tutte le rappresentanze consolari erano già state chiuse. Il 1 ottobre 1949 Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, mentre il Governo Nazionalista di Chiang Kai-shek si ritirava a Taiwan. L'ambasciatore Fenoaltea rientrò in Italia nel gennaio del 1950, mentre in Cina rimasero diplomatici di secondo rango, un console generale a Shanghai ed un console a Tianjin. Il mancato riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte dell'Italia - dovuto alla nostra politica filoamericana e allo scoppio della guerra di Corea - fece sì che il 201

SAMARANI, DE GIORGI, 2011, pp.86-90.

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personale diplomatico venisse considerato alla stregua dei privati cittadini: con il passare dei mesi la situazione peggiorò, le sedi diplomatiche vennero requisite dal Governo cinese, così come vennero requisite tutte le proprietà dei cittadini italiani che ancora risiedevano in Cina, in particolare a Tianjin e a Shanghai. Tra l'inverno del 1950 e l'estate dell'anno successivo furono arrestati alcuni esponenti della vecchia comunità italiana residente in Cina da decenni, tra i quali Antonio Riva e monsignor Tarcisio Martina, rappresentante a Pechino della Santa Sede. Tra la fine del 1951 e l'inizio del 1952 tutte le sedi diplomatiche italiane vennero chiuse ed il personale rimpatriato con tutte le difficoltà del caso. 202 ***

Le relazioni diplomatiche tra l'Italia e la Repubblica Popolare Cinese riprenderanno solo il 6 novembre 1970.

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MOCCIA, 2014, pp.153-157.

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3. L'IMMAGINE DELLA CONCESSIONE IN PATRIA NELLE MEMORIE E NEI RESOCONTI DI VIAGGIO DEI CONTEMPORANEI. Nelle pagine seguenti sono raccolti e selezionati alcuni brani, tratti in maggior parte da libri e da articoli di giornale, che raccontano la concessione di Tianjin attraverso gli occhi di quei giornalisti e scrittori che ebbero la fortuna e l'occasione di essere inviati in Cina come corrispondenti esteri. Ciò che molti di loro descrivono è una Cina antica, rimasta immutata nel tempo, con le sue usanze e tradizioni millenarie che contrastano con il mondo delle concessioni europee, espressione della supremazia della civiltà occidentale e delle potenze coloniali, igieniche, razionali nel loro sviluppo e provviste dei mezzi più moderni. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, le notizie che giungevano in Italia sulle vicende cinesi erano sempre molto frammentate e il più delle volte provenivano da agenzie anglosassoni o francesi. Questa condizione rimase tale fino alla soglia del Fascismo, quando anche il nostro Paese si dotò di corrispondenti esteri e di un'agenzia di stampa, la Stefani. 203 Nel 1900 le prime pagine dei giornali si colmarono di notizie dettagliate - anche se il più delle volte molto romanzate - che giungevano dalla Cina in seguito allo scoppio della Guerra dei Boxer e con la spedizione in Oriente per la difesa delle Legazioni straniere assediate dai Cinesi: ad esempio il settimanale La Domenica del Corriere dedicò prime pagine ed articoli agli episodi più eroici e coraggiosi. La spedizione venne però poi offuscata dall'assassinio di Re Umberto I e relegata in pagine secondarie. Nel 1907, tenne banco una sfida degna di nota, il raid Pechino-Parigi, con l'equipaggio italiano composto dal principe Scipione Borghese, Ettore Guizzardi come chaffeur dell'Itala, raccontato dal giovane inviato del Corriere della Sera, Luigi Barzini, che faceva parte del gruppo. 204 Con l'avvento del regime Fascista, l'interessamento per la concessione italiana di Tianjin tende a farsi più considerevole: il nostro settlement divenne vetrina dei progressi del fascismo, dell'operosità delle italiche genti e delle nostre capacità a sviluppare e far fiorire anche le terre più desolate e desolanti. In tutti i testi vengono lodati gli sforzi degli Italiani per bonificare e mettere a reddito una landa di terra paludosa che nessuna potenza straniera aveva preteso: Tianjin diventa «una sintesi delle capacità colonizzatrici del nostro popolo, che possiede il segreto di TRAFELI, Simona, Italia e Italiani in Cina, Tesi di Dottorato in Storia, Università di Pisa, Rel. L. Baldisseri, XXIII Ciclo. 204 L'epico viaggio è narrato in: BARZINI, Luigi, La metà del mondo vista da un automobile - da Pechino a Parigi in 60 giorni, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1908. 203

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trasformare miracolosamente le paludi e i deserti in zone di vita e di lavoro» 205 e doveva essere per tutti «come l'ha definita il Duce, una sentinella avanzatissima della civiltà italiana» 206. Vengono sottolineati e lodati gli sviluppi positivi dei rapporti politici italo-cinesi «galvanizzati per di più dall'enorme fascino che la personalità di Mussolini esercita anche in Cina» ma riconosciute purtroppo le mancanze «degli organi economici e finanziari che sono indispensabili per prender parte efficacemente alla competizione internazionale» 207. Traspare una richiesta di maggiori investimenti da parte delle nostre imprese, sia per contare di più sulla scena internazionale, sia per garantire delle solide basi per un domani e per non farsi trovare così impreparati. Autori come Appellius, Suster, Magrini, Cipolla hanno per anni raccontato sui loro giornali e raccolto nei loro libri una Cina ancora lontana e misteriosa, all'apparenza immobile ma in realtà in tumulto ed in trasformazione, riconoscendo con una sconcertante lungimiranza una potenza economica pronta ad esplodere e a farsi nuovamente spazio tra i grandi del mondo. Tianjin per loro rappresentava dunque uno dei punti di riferimento della nostra potenza nel mondo. 208

CATALANO, C. Michele, Tientsin e la concessione italiana, in Le vie d'Italia e del Mondo. 206 CESARI, Cesare, La Concessione Italiana di Tien Tsin. 207 APPELLIUS, Mario, La Crisi di Budda. 208 SUSTER, Roberto, La Cina Repubblica. 205

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3.1. Luigi Barzini - Nell'Estremo Oriente, 1917. Nacque ad Orvieto il 7 febbraio 1874 da una famiglia di piccoli industriali. Intraprese studi di ragioneria che abbandonò senza aver conseguito il diploma. Trascorse alcuni anni nella città natale proseguendo l'attività della famiglia, dalla quale era rimasto orfano. Si recò a Roma nel novembre del 1898 riuscendo ad introdursi nell'ambiente giornalistico, diventando redattore di un mediocre giornaletto politico di modesta diffusione, il Fanfulla, con il quale si creò una discreta notorietà. Nel 1899 accettò la proposta del Corriere della Sera di recarsi a Londra come corrispondente. Iniziò cosi quella feconda collaborazione tra l'autore e il quotidiano milanese che durerà per ventiquattro anni. Rimase a Londra per circa un anno, apprese la lingua, perfezionò la tecnica giornalistica, inviando al giornale interviste, articoli di varietà, notizie del giorno sotto forma di dispacci telegrafici. Nell'estate del 1900, il Corriere decise, con un'iniziativa senza precedenti, di inviarlo al seguito della spedizione internazionale che era diretta in Cina per reprimere la rivolta dei Boxer. Il 10 luglio 1900 si imbarcò a Genova per la Cina: inviò numerose corrispondenze, nelle quali si dimostrò informatore cauto e coscienzioso, riuscendo a dare un quadro veritiero ed interessante della Cina in fermento. Il resoconto di quel viaggio è descritto nel libro Nell'Estremo Oriente, pubblicato nel 1915, nel quale ci da una descrizione di Tianjin nell'agosto del 1900, città devastata dalla guerra e nella quale gli Italiani si stavano facendo spazio tra le altre potenze europee nella spartizione della Cina. Nel 1901 ritornò in Europa attraverso il Giappone e la Siberia. Fu cronista di eventi storici importanti vissuti in prima persona come la visita di Vittorio Emanuele III allo Zar Nicola II, il conflitto russogiapponese del 1904-05, il resoconto della battaglia di Mukden 209, l'unico pervenuto in Europa e inviato con un telegramma di quattordicimila parole. Partecipò, nel 1907, alla celeberrima Pechino-Parigi con il principe Borghese e il meccanico Guizzardi sull'automobile Itala, percorrendo insieme gli oltre sedicimila chilometri del disagiato percorso, in un'epoca in cui l'automobilismo era ancora a livelli pioneristici. I resoconti del viaggio apparvero sia sul Corriere sia sul Daily Telegraph. La sua vita avventurosa continuò negli anni seguenti: nel 1908 in America, nel 1911 a Tripoli nell'imminenza dello sbarco italiano, di 23 febbraio - 11 marzo 1905. Mukden, il cui nome manciù significa "prospera capitale" era la capitale storica della Manciuria e sede del governo mancese prima della conquista della Cina nel 1644. Oggi si chiama Shenyang ( 沈阳), capitale della Provincia del Liaoning. (N.d.A.) 209

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nuovo in America per l'inaugurazione del Canale di Panama nel 1914, finché lo scoppio del primo conflitto mondiale lo vide corrispondente di guerra nei vari fronti. Alla fine del 1921 si recò negli Stati Uniti dove fondò a New York un quotidiano filofascista in lingua italiana, il Corriere d'America (1923). Nel 1931 rientrò in un'Italia ormai cambiata ed il periodo di assenza lo rese alquanto estraneo al rinnovato ambiente politico e giornalistico italiano. Collaborò in quegli anni alla Gazzetta del Popolo; gli venne quindi offerta la direzione del Mattino di Napoli, che rifiutò in un primo momento, ma che poi dovette accettare grazie anche alle insistenze di Arnaldo Mussolini e del Duce. Probabilmente a causa del suo modo di fare giornalismo in stile statunitense, prematuro per l'Italia di quel periodo e a causa di un malinteso per un'intervista apparsa su di un quotidiano francese, venne rimosso da Mussolini dalla direzione del Mattino. Non assunse più la direzione di alcun giornale. Nel 1934 fu nominato senatore del Regno, continuò a viaggiare in Russia e in Spagna durante la Guerra Civile. Durante la seconda guerra mondiale, Barzini visitò il fronte russo, dal quale inviò corrispondenze a vari quotidiani. Nella Repubblica sociale venne nominato da Mussolini presidente dell'Agenzia Stefani. Visse gli ultimi anni della sua vita appartato, a causa del suo precedente atteggiamento filofascista. Morì a Milano il 6 settembre 1947. 210 Un giro per Tien-Tsin 211 Tien-Tsin, 23 agosto 212 Alloggiamo nella casa di un ricco commerciante tedesco, il signor March, il quale funge da console italiano e svedese. Egli come tutti i residenti europei, è fuggito con la moglie e i figli in Giappone. La sua casa è affidata ai nostri marinai, e questa l'ha salvata dal saccheggio. Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 7, a cura di Piero Melograni, 1970 BARZINI, Luigi, Nell'Estremo Oriente, Sesto San Giovanni, Casa Editrice Madella, 1917, pagg. 66-70. 212 1900 (N.d.A.). Barzini arriva a Tientsin qualche giorno prima del corpo di spedizione italiano salpato da Napoli con la benedizione di Umberto I il 16 luglio e arrivato a Dagu (il porto di Tientsin) il 29 agosto 1900. Egli è il primo giornalista italiano a giungere a Tientsin pochi giorni dopo la fine della battaglia: la città è un cumolo di macerie fumanti e di cadaveri putrefatti, le poche abitazioni ancora in piedi sono state requisite dalle forze europee per farne caserme. E' in questo scenario desolato, descritto dall'autore con dovizia di particolari, che inizia ufficialmente l'avventura italiana in Cina e che porterà di li a poco al possesso di un terreno paludoso e malsano sul quale verrà costruito uno dei quartieri più eleganti della città. Le forze italiane erano composte da 1.965 uomini suddivisi tra 83 ufficiali e 1.882 soldati, nonché da 178 quadrupedi. Con lo sbarco di queste truppe l'effettivo italiano è portato a 2.445 uomini. (Bassetti, Colonia italiana in Cina, pagg. 200 e seg.). 210 211

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Tutte le abitazioni europee abbandonate sono state completamente saccheggiate. Dai Cinesi? No… dai difensori. Gli americani si sono distinti moltissimo in questo «sport». Essi formano una truppa valorosa, resistente, ammirabile ma che ha anche tutti i requisiti della soldatesca filibustiera. […] I Russi pure al sacco si sono portati, non c'è bisogno di dirlo, discretamente. Molti danni sono stati fatti per puro vandalismo. […] Stringe il cuore girare per questa casa abbandonata, dove noi, più che alloggiati siamo accampati. Per tutto vi è infatti un disordine militaresco che produce, per contrasto, un senso di desolazione indicibile in questo ambiente famigliare e intimo. […] In tutte le case vi è un'eguale occupazione militare. Di fronte a noi sta una caserma di americani; più giù lo stato maggiore russo; in fondo a una via una caserma d'indiani, poi una di fanteria di marina francese. Questa parte della città, che è stata meno danneggiata, ha l'aspetto di una immensa caserma. Ma il più interessante è il lato nord, dove si sono svolti i recenti e sanguinosi combattimenti. Ho fatto un giro sul teatro della lotta. Uno dei punti più importanti è la stazione ferroviaria che è stata perduta e riconquistata cinque volte dalle truppe alleate. Dal lato sud della linea ferroviaria si stendono i magazzini, poi v'è il Pei-ho 213 e al di la vi sono le concessioni europee. Rimontando il Pei-ho si trova la città cinese che prende le due rive. Dal lato opposto della linea ferroviaria si apre la campagna tutta solcata da fossi e cosparsa di tombe. Lontano si vede un villaggio, una specie di sobborgo completamente demolito. Da questo lato i boxer e le truppe imperiali protette dai fossati e dalle tombe, hanno dato gli assalti decisivi. Ho sorpassato la linea di picchetti russi che bordeggia la ferrovia, e mi sono inoltrato nel campo di battaglia. A pochi passi dal terrapieno della ferrovia ho trovato lo scheletro di un cinese. Le ossa erano scomposte, rosicchiate dai cani girovaghi. I piedi erano ancora conficcati nelle scarpe di tela bleu che portano i soldati. La tunica bleu, pesante, con fasce nere, brulicava di vermi. Aveva ancora a tracolla una piccola pala da guastatore, con una costa dentata a sega, tenuto da un astuccio e da una correggia di cuoio. Il teschio affonda nel fango, e la lunga coda, lavata dalla pioggia, pareva uno strano serpente nero, che lo stesse divorando. Intorno allo scheletro il terreno era cosparso di bossili di cartuccie. Qua e là vari oggetti: scarpe, tuniche. cartucciere di seta fatte a panciotto, piene di cartuccie ancora inesplose, tutto a metà sepolto nel fango. La campagna da lì al villaggio è letteralmente seminata di ossa e di oggetti. La battaglia si è svolta sulle sepolture: morte sopra morte. Mi aggiravo in quella solitudine spaventosa, dove le cose mi apparivano come lorde di putredine umana, e dove nel silenzio tragico del campo di Pei-ho, il fiume Baihe (白河): era l'antico nome del fiume che attraversa Tientsin. Oggi il fiume si chiama Haihe (海河). (N.d.A.) 213

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battaglia tutto mi parlava di fragore e del tumulto del combattimento passato li sopra come una tempesta di piombo e fuoco […]. Nel villaggio la lotta deve essere stata lunga e accanita. Dietro ad un primo muro ho contato quattro scheletri scomposti circondati da centinaia di bossoli da cartucce Mauser. […] Il villaggio era stato distrutto dal fuoco. Le porcellane e i vetri fusi avevano formato dei rivoletti madreperlacei fra le screpolature del terreno. […] Per due giorni Tien-Tsin ha continuato ad ardere. […] La devastazione si estende dall'altra parte della città, lungo il Pei-ho. Le vie ancora sono chiuse dalle barricate, dietro alle quali biancheggiano delle ossa. Proprio vicino ai settlements europei, ho veduto una gamba scheletrica ancora calzata. Lungo le vie della città cinese gli indigeni si levano tutti rispettosamente, quando un europeo passa, e salutano militarmente. I cinesi di buona condizione, vestiti di seta cilestrina e lilla, si tirano da una parte rispettosamente e si affrettano a fare tre o quattro inchini cerimoniosi. Nessun negozio è aperto, nessuna casa da thè e nemmeno - cosa straordinaria in Cina - nessuno di quei mille monti di pietà, che le alte aste imbandierate e ornate di draghi segnalano. Soltanto qualche misero friggitore di cavallette o venditore di nauseanti frittelle ha piantato i suoi banchi sulle vie spopolate. […] Lo Yamen 214, dove abitava il vicerè, fuggito alla metà del mese scorso, è in mano alle truppe russe, francesi e giapponesi. Ogni tanto si incontrano dei soldati che vi trascinano dei prigionieri afferrati per il codino. Se ne fucilano una quindicina al giorno, senza tante cerimonie, fi questi prigionieri. Vicino allo Yamen si eleva un forte, in possesso dei giapponesi, dal quale è stata maggiormente bombardata la città europea. […] Questo forte era armato da otto grossi cannoni Krupp - che ora stanno nel mezzo della corte allineati - di ultimissimo modello. Sono questi alcuni dei cannoni che la Germania ha voluto vendere quasi per forza alla Cina. Intorno al forte si vedono degli enormi monticoli, coperti con stuoie fermate da grossi sassi. Sono monti di cadaveri cinesi. Sugli spalti si trovano i proiettili pronti e le granate cariche che i cinesi non hanno fatto in tempo ad adoperare. Lì presso sono le rovine di «Notre Dame de la Victoire», una chiesa gotica di cui non rimane che un pezzo di fronte deturpato. L'antica chiesa venne Lo Yamen ( 衙门) era la residenza e l'ufficio di un magistrato dello stato cinese in epoca imperiale, quella figura che in occidente è conosciuto come mandarino. A seconda del grado e dell'importanza della carica, assumeva dimensioni e fasti maggiori. Qui si amministrava la giustizia a livello locale e si riscuotevano le tasse. L'autore parla di Vicerè poiché a Tientsin risiedeva un vicerè, in quanto la città, in seguito alle Guerre dell'Oppio, era divenuta un porto aperto al commercio con l'occidente nel quale gli occidentali potevano risiedere stabilmente. (N.d.A) 214

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abbattuta dai cinesi nel '71 215, durante i moti antistranieri che anche allora furono terribili; era una grande chiesa molto bella. I missionari la ricostruirono un po' più piccola. Ora, per la seconda volta, la chiesa è stata distrutta. Non molto lontano, verso la campagna si eleva un grande casamento europeo; è la scuola militare, che è stata uno dei fulcri del combattimento. Per la sua posizione elevata, dominante la città, la scuola militare si prestava al piazzamento delle artiglierie. In uno dei combattimenti qui intorno, un nostro bravo ufficiale di marina, il guardiamarina Carlotto 216, ha perduto la vita. Le forze alleate avevano conquistato la scuola, dalla quale si erano poi ritirate, dopo aver gettato nel Pei-ho gli otturatori dei cannoni cinesi presi. I cinesi ritornarono immediatamente alla loro antica posizione con nuovi cannoni. Seguì un cannoneggiamento vivissimo. Il Carlotto, in piedi presso ad un pezzo di artiglieria, completamente esposto, guardava freddamente con il cannocchiale gli effetti del tiro per consigliare il puntatore. Una palla di Mauser gli attraversò il petto. Noi abbiamo pochissimi uomini qua, ma un esercito intero difficilmente avrebbe potuto dar maggior prove di valore. I nostri cinque marinai, morti nella spedizione dell'ammiraglio Seymour, salvarono la colonna. Fu un combattimento epico di otto contro duemila. Tutti i componenti della spedizione erano dispersi nei campi, disarmati, chi lavandosi nei fossi, chi fumando. I nostri otto erano a guardia. Quando da un villaggio circondato da alberi, sbucarono fuori circa duemila «boxer», i nostri avrebbero fatto in tempo a ritirarsi, ma la colonna era dispersa e impreparata alla difesa. Gli italiani attaccarono combattimento, ritirandosi a passo a passo, fermandosi spesso per trattenere la valanga cinese. Cinque vennero sopraffatti, fra i quali il sotto capo Rossi, caduto con il petto rivolto al nemico, circondato da una corona di cadaveri cinesi. Per il loro eroismo la colonna ebbe tempo di correre alle armi e di respingere i «boxer». 1871. Nel periodo 1860-85 sono state calcolate più di un centinaio di insurrezioni in Cina. Probabilmente la chiesa venne distrutta durante una di queste rivolte. Nessuna di esse tuttavia riuscì a rovesciare il potere della dinastia Qing , nonostante la sua debolezza, per l'eterogeneità dei movimenti e il loro scarso coordinamento. (Sabattini, Santangelo, Storia della Cina, pagg. 603-606) 216 Ermanno Carlotto (Ceva, 30 novembre 1878 - Tientsin, 27 giugno 1900). Medaglia d'oro al Valor Militare alla memoria. Allievo dell'Accademia Navale di Livorno dal novembre 1892, nell'agosto del 1898, conseguita la nomina a Guardiamarina, imbarcò sull'incrociatore Carlo Alberto in procinto di salpare dall'Italia per una crociera addestrativa nelle Americhe e nei mari dell'Estremo Oriente. Nel 1900 conseguì la promozione a Sottotenente di Vascello, prendendo imbarco sull'ariete torpediniere Elba, stazionario del Mar della Cina nell'ambito della Divisione Navale dell'Estremo Oriente. Nell'occasione della rivolta xenofoba in Cina, al comando di un drappello di 20 uomini sbarcati dall'Elba, partecipò alla difesa di Tientsin assaltata dai Boxer; il 19 giugno 1900 cadde colpito gravemente mentre, allo scoperto, dirigeva il fuoco dei suoi uomini durante un cruentissimo assalto dei Boxer all'edificio della Scuola Militare che stava difendendo. (sito della Marina Militare Italiana, www.marina.difesa.it). 215

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Ebbene, queste cose le agenzie telegrafiche avevano dimenticato di dircele. Era necessario che io le sentissi da quegli inglesi che le hanno vedute, per conoscerle.

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3.2. Vincenzo Fileti - La Concessione italiana di Tianjin, 1921. Nacque a Palermo il 19 settembre 1875. Iniziò la carriera come guardiamarina della Regia Marina per diventare poi capitano di corvetta nel 1918. Dal 1904 al 1920 fu Regio Amministratore della concessione di Tianjin da lui messa a valore. Dal 1907 al 1908 e dal 1911 al 1920 reggente il consolato di Tianjin. Nel 1919 passò nel ruolo consolare come console, per diventare poi console generale di terza classe nel 1920, di seconda classe nel 1923 e di prima classe nel 1925. Nel 1923 prese servizio al consolato di Quito, per essere poi trasferito a Malta e a La Canea (Creta) nel 1927. Fu console generale a Giannina (Grecia) fino al 1932, per poi essere collocato definitivamente a riposo. Morì a Genova-Pegli l'8 agosto 1939. 217 La Concessione Italiana di Tien-Tsin 218.

[…] Procedendo dal sud al nord, dal fiume verso la stazione ferroviaria, si incontrava prima una estensione di terreno, circa 100.000 metri quadrati, sufficientemente spianata e ad un livello superiore al normale. Questa zona serviva come deposito di sale. L'alto suo livello era stato raggiunto scavando tutto allo ingiro, una linea di fossati trasformatisi con il tempo in laghetti pestilenziali, ove usavano bagnarsi i ragazzi del villaggio. Subito dopo incominciava il villaggio, che si estendeva su una superficie di circa duecentomila metri quadrati. Esso occupava la zona centrale della Concessione; vi sorgevano un migliaio di abitazioni, per la maggior parte capanne erette dai lavoratori delle saline con graticce di canne, piantate direttamente sulla nuda terra, e un impasto di paglia e di fango che teneva luogo di calce. […] La popolazione ammontava a circa diciassettemila anime. Era di carattere piuttosto mite […]. Il villaggio era attraversato da angusti viottoli non selciati e in condizioni deplorevoli. Naturalmente non vi esisteva nessun servizio pubblico. […]A nord del villaggio si stendeva la zona più infelice della Concessione. Essa era costituita da un terreno paludoso, ove le acque raggiungevano la profondità di 3 a 4 metri, veri laghetti che durante l'inverno […] divenivano una compatta lastra di ghiaccio […] . Sulle parti emergenti di questa zona venivano depositate le bare dei morti del villaggio, onde il luogo aveva l'aspetto di un vasto cimitero abbandonato ed allagato, reso ancora più triste dall'assenza di vegetazione, della quale per altro non esiste traccia in tutta la Concessione.

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Chi è? Dizionario degli Italiani d'Oggi, Formiggini Editore, Roma, 1936. Vincenzo Fileti, La Concessione Italiana di Tien-Tsin, pagg. 7-66.

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[…] Fu dunque deciso di livellare tutto il terreno della Concessione e fu tracciato il piano regolatore da servire di guida nella esecuzione dei lavori. Il Governo, nell'approvare il progetto, accolse pure la richiesta di anticipare la esigua somma di lire 60.000, allora circa 25.000 dollari messicani, per dare la prima spinta ai lavori più urgenti. Si cominciò con l'esproprio di pochi terreni a nord del villaggio. […] Coi lavori di bonifica, che furono iniziati subito, si eseguì la rimozione dei cimiteri, che vennero relegati in terreni acquistati in territorio cinese e lontano dalla Concessione. […] Per non arrestarsi bisognò mettere al più presto in valore la striscia di terreno già espropriata e convenientemente sistemata, svegliandovi il traffico e il movimento. Si concluse allora un accordo con la società belga «Compagnie des Tramways et d'Elairage de Tianjin» alla quale si consentì il passaggio attraverso la Concessione di una linea tramviaria, che dalla città cinese portava direttamente alla stazione ferroviaria. […]La Società belga, oltre a versare una percentuale dei suoi utili per i diritti di passaggio, si obbligò a fornire l'illuminazione pubblica a prezzi di favore e di eseguirne a proprie spese l'impianto, da estendersi anche sulle future strade. […] Con la progressiva bonifica e la sistemazione dei terreni di bassa quota, si rendeva necessario iniziare al più presto la posa di una fognatura che scaricasse le acque di scolo nel fiume. Occorreva perciò procedere allo sventramento del villaggio per tracciarvi la prima strada, che dal limite più settentrionale della Concessione arrivasse al fiume. La importanza di tale arteria era tanto più grande in quanto congiungeva la ferrovia al fiume e veniva a costituire un eccellente richiamo al traffico attraverso la Concessione, sì che diventò più tardi una delle principali ed eleganti vie della Concessione. La strada prese il nome di «Principe di Udine», in onore del primo principe di casa Savoia che, proprio in quei giorni, metteva piede nella Concessione Italiana 219. Nella costruzione della via Principe di Udine largamente era stata impiegata la sabbia del Pei-Ho, si che il fiume, intorno alla Concessione, ne era rimasto sgombro. Della circostanza si approfittò per provvedere contemporaneamente alla sistemazione della sponda del fiume, in modo da rendervi possibile l'approdo dei galleggianti. […] Lo sviluppo della Concessione fu in seguito talmente rapido che nello stesso anno in cui la Cassa Depositi e Prestiti rimetteva l'ultima rata del prestito delle 400.000 lire, la Concessione fu in grado di effettuarne il totale rimborso. Fu coraggiosamente iniziata la costruzione della via Marco Polo, nella quale fu posata una nuova fognatura centrale. Anche i terreni lungo tale strada trovarono facili acquirenti e la via Marco Polo si arricchì anch'essa di graziose costruzioni, abbellite da una lussureggiante vegetazione, quale in tempo non lontano non si sarebbe potuto 219

Ferdinando di Savoia-Genova (1884-1963). (N.d.A)

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immaginare. Contemporaneamente si procedeva alla costruzione delle strade minori. […] Sorsero così ben presto strade di collegamento che furono denominate via Tripoli, via Matteo Ricci, Conte Gallina,. Marchese Salvago Raggi, e le trasversali Vettor Pisani, Ermanno Carlotto, via Marchese di San Giuliano, e via Roma, mentre ricevevano la loro sistemazione definitiva le due strade di confine, via Trieste e via Trento, che separavano la Concessione dalle due limitrofe, l'Austriaca e la Russa. Fu anche sistemata la piazza Regina Elena, che aspetta di essere decorata da una fontana in marmo commessa già all'industria italiana e che formerà il primo esemplare in Cina di tale genere di abbellimento stradale. La maggior parte delle strade ebbe la pavimentazione in asfalto. Questo sistema fu per la prima volta adottato nella Concessione italiana e dal generalizzarsi di esso molto si attende la città di Tianjin contro i polveroni che insidiano la salute pubblica. La sistemazione della Concessione , iniziata al nord con la via Vittorio Emanuele, aveva in breve volgere di anni raggiunto la sponda del Pei-Ho, alla quale si era data in tempo anteriore soltanto un assetto provvisorio. Sul piano stabilito dalle Autorità portuarie fu provveduto in modo definitivo con il totale banchinamento e con la costruzione di una strada verso il fiume, che fu chiamata Banchina d'Italia. Con quest'ultimo lavoro la Concessione ebbe il suo aspetto completo. […] In relazione ai bisogni della cresciuta popolazione, un benemerito nazionale, l'ing. Tommaso Pincione, disegnò ed eresse un elegante e pratico mercato che fu il primo del genere a sorgere a Tianjin. Più tardi, per ragione di opportunità, il mercato venne riscattato e gestito dall'Amministrazione della Concessione. La Concessione fu anche dotata di un grazioso giardino pubblico, al quale moltissimo si interesso l'elemento cinese, che a differenza di quanto si pratica negli altri Settlements, è ammesso a frequentarlo. Del giardino una parte è riservata alla ginnastica e ai giuochi dei bambini ed in esso ha pure la sua sede il Circolo Italiano che la Colonia, piccola ma intraprendente e cosciente del proprio valore morale, volle e fondò a segnacolo di nazionalità. […] Ma l'opera più importante a favore non solo della popolazione della Concessione ma anche di quelle limitrofe, fu l'erezione dello Ospedale Italiano. La città di Tianjin, sebbene da circa tre quarti di secolo avesse visto sorgere i primi Settlements, non conosceva fino ad allora un vero e proprio ospedale. E' merito di italiani se l'ospedale oggi vi esiste. L'opera si deve alla benemerita Associazione Nazionale per la protezione di Missionari Cattolici, alla quale la Concessione cedette gratuitamente il terreno necessario. […] Con l'assetto definitivo della Concessione […] l'opera l'opera dell'Amministrazione straordinaria poteva dirsi compiuta. Ultima sua missione restava quella di insediarvi un regolare Consiglio 84


Amministrativo formato tra i residenti, con membri nazionali - che ne costituiranno la maggioranza - e con rappresentanti degli stranieri che vivono in Concessione. Tra i Consiglieri siederanno anche i rappresentanti cinesi residenti nel Settlements, e sarà pregio della Concessione di avere così esaudito una giusta aspirazione del popolo che ci ospita. La stampa cinese di tutte le città ove sorgono Settlements stranieri rilevò con espressione di grato animo il programma di tale sistemazione amministrativa e formulò l'augurio che la Municipalità degli altri Settlements avessero presto a seguire l'esempio dell'Italia, chiamata culla della civiltà occidentale e paese dalle istituzioni più liberali. Si pensò dunque a provvedere una degna sede al futuro Consesso Municipale e di addivenne alla costruzione del palazzo che ora sorge al Corso Vittorio Emanuele III, su area che era stata appositamente riservata di fronte al R. Consolato ed adiacente alla sede della Polizia e agli uffici urbani della Concessione. La costruzione di questo edificio è opera dell'ingegnere R. Borgnino, cui la Concessione deve anche le più eleganti palazzine che la adornano. Entro il corrente anno 1921 ne sarà ultimata la decorazione interna, di stile e suppellettile esclusivamente italiana e la Municipalità vi potrà essere insediata.

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3.3. Arnaldo Cipolla - Per la Siberia in Cina e Giappone, 1924 - Nella Grande Asia Rivoluzionaria, 1931. Nacque a Como il 26 settembre 1877 da famiglia benestante con vocazione patriottico-militare. Venne infatti avviato alla carriera militare, diplomandosi all'Accademia di Modena con il grado di sottotenente. Ma la vocazione militare, che per altro rimarrà durante tutto il corso della sua vita, cedette presto il posto a quella giornalistica. Cominciò quasi per caso, nel 1904, quando si arruolò volontario con i mercenari assoldati dal Belgio e diretti in Congo. Il padre colpito dalla vivacità delle lettere inviate dal figlio, decise di farle pubblicare in un volumetto fuori commercio dal titolo Dal Congo. Il libro valse ad Arnaldo l'assunzione presso il Corriere della Sera con il ruolo di redattore viaggiante. Al Corriere vi rimase fino al 1910, acquistandosi la notorietà come corrispondente dall'Africa, in particolar modo per una duplice traversata dell'Etiopia che descrisse nel volume Nell'impero di Menelik (1911). Effettuò anche importanti servizi dall'Italia come quello sul terremoto di Messina e Reggio dove arrivò prima di altri inviati. Nel 1910 passò a La Stampa di Torino, rimanendovi sino al 1914. Grazie ai servizi sulla guerra di Libia entrò nel novero dei più importanti corrispondenti di guerra dell'epoca. Nel 1914 divenne redattore viaggiante della Gazzetta del Popolo di Torino, ove rimarrà fino al 1922. Durante la Grande Guerra seguì le truppe sul fronte belga, su quello francese, tedesco ed infine in Romania e Serbia. Quando l'Italia entrò in guerra, si arruolò volontario negli Alpini combattendo sul Pasubio. Seguirà le operazioni in Fiandra a seguito dei britannici e poi ad Odessa tra i Russi Bianchi. L'anno della Marcia su Roma vide il suo ritorno a La Stampa. Questo secondo periodo di collaborazione durerà un decennio e segnerà il periodo di maggior popolarità di Cipolla come giornalista, corrispondente, acclamato conferenziere e personaggio pubblico dell'Italia Fascista, copioso scrittore ed aurore di popolari diari di viaggio. Nel 1924 venne dato alle stampe Per la Siberia in Cina e Giappone (Paravia) con il quale l'autore raccontò il suo viaggio in Oriente nel 1923, servendosi di quello che si riteneva ormai un collegamento perduto dopo la Rivoluzione del 1917: la Transiberiana. Dalla prefazione si legge che: «L'autore è stato il primo giornalista europeo che abbia raggiunto la Cina ed il Giappone per la via siberiana dopo la Rivoluzione russa; dimostrando così che l'Estremo Oriente era pur sempre a tre settimane di distanze da noi e non ad una lontananza chimerica come si riteneva fosse definitivamente confinato» 220.

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CIPOLLA, Per la Siberia, in Cina e Giappone, dalla prefazione.

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Nel 1931 venne invece pubblicato Nella Grande Asia Rivoluzionaria (Paravia), racconto del viaggio in Russia, Siberia, Mongolia e Cina, in un'Asia in fermento e notevolmente mutata. In tutti e due i libri l'autore dà un affresco di quello che era la Concessione Italiana di Tianjin e la sua vita. Fu proprio a Tianjin che Cipolla incontrò e conobbe l'ultimo imperatore della Cina, Puyi, salito al trono nel 1908 con il titolo di Xuantong. Nel 1932 tornò alla Gazzetta del Popolo, ove rimase sino al 1935. In quell'anno passò a Il Messaggero di Roma e sebbene non fosse più giovane, non esitò a seguire Graziani nell'impresa etiopica: le sue corrispondenze, con rinnovata popolarità, esaltavano le operazioni belliche contro l'esercito del Negus e gli valsero il conferimento di una croce di guerra. Tornò in patria malato e morì a Roma il 25 febbraio del 1938. 221 Tien-Tsin italiana 222 Da TIEN-TSIN, settembre 223 Tien-tsin che in linguaggio cinese significa «Guado del Cielo» cioè porto di Pechino, considerato giustamente come il paradiso terrestre cinese, è a tre ore e mezza di ferrovia dalla capitale e costituisce una delle massime città della Repubblica del Fiore Centrale 224. Conta più di un milione di abitanti cinesi e tremila europei ed americani, più una dozzina di migliaia di giapponesi, ed è specialmente interessante per contenere le così dette «Concessioni» europee, americana e giapponese, che sono vere e proprie città singole nell'enorme città cinese con diritti di extraterritorialità e di proprietà particolari. Si tratta insomma di basi di penetrazione economica e politica per l'Occidente (Italia e Belgio da venti anni a questa parte) su di una soglia della Cina del Nord, quella ritenuta di più facile accesso e meglio difendibile. […]Il terreno dove sorge Tien-Tsin, lungo le rive dell'Hai-Ho, è una sterminata palude. Per costituire le fondamenta sulle quali edificare le «Concessioni» che tutte si stendono lungo il fiume si è dovuto cominciare a colmare la palude, lottare con il fango per poter inseguito tracciare strade, edificare case, creare parchi e boschi, costruire banchine. Oggi Tien-Tsin se non offre al turista nessun aspetto caratteristico cinese e se è in complesso una grigia metropoli senza attrazioni particolari, costituisce Dizionario Bibliografico degli Italiani, Vol.25, a cura di Francesco Dragosei, Treccani, 1981 222 CIPOLLA, Per la Siberia, in Cina e Giappone, Torino, Paravia, 1924, pagg. 189-195. 223 1923 224 In cinese 中华民国 (zhonghua minguo, Repubblica di Cina). In lingua cinese, Cina si traduce come il Paese di Mezzo (中国, zhongguo) oppure Paese del Fiore Centrale (中华 , zhonghua). (N.d.A) 221

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dal punto di vista della penetrazione occidentale in Cina una magnifica vittoria delle nostre razze su questo mondo in dissoluzione. […] La Concessione italiana di Tien-Tsin non è molto vasta in paragone di quelle inglesi e francesi ma è senza dubbio la più bella e la più felicemente situata rispetto ai pericoli delle inondazioni. Infatti nella piena del 1917 restò all'asciutto, mentre le altre Concessioni rimasero all'asciutto. Ha l'aspetto di una linda e civettuola cittadina nostra grazie alla rigorosa, geniale ed amorosa amministrazione del Console di Sua Maestà il Re d'Italia a Tien-Tsin, commendatore Luigi Gabrielli. E vive di una fiorente vita propria che l'avvenire svilupperà ancora. La topografia della Concessione ha la forma di un trapezio con il lato maggiore di circa mille metri lungo il fiume e il minore di trecento che accompagna la ferrovia verso la Manciuria. E' profondo ottocento metri ed intersecata da una rete stradale ad angoli retti. L'arteria principale, sul prolungamento della strada centrale delle altre Concessioni è intitolata a Vittorio Emanuele III, le altre vie ricordano i nomi dei grandi viaggiatori italiani in Cina, dei nostri ufficiali che perdettero la vita nella guerra contro i boxer e di quelli che la Concessione fondarono e fecero progredire: Gallina, Sforza, Salvago-Raggi, ecc. Altre strade sono intitolate alle nostre città maggiori. Un bellissimo giardino pubblico adorna la cittadina e nella Piazza Regina Elena sorge la fontana monumentale in marmo di Carrara inaugurata da poco in omaggio ai pionieri italiani in Cina e a ricordo della nostra portentosa vittoria sull'Austria. Questa fontana di squisito gusto è la sola che esista in tutta la Cina, paese dei pozzi antidiluviani. E' in stile Rinascimento sormontata da un'agile colonna a capitello sul quale si leva la copia dell'Alata Vittoria in bronzo del Museo di Napoli. Sulle quattro facce della base sono incisi i nomi di Marco Polo, di Odorico da Pordenone, di Matteo Ricci e di Giovanni da Montecorvino. Ma i pregi artistici della Concessione italiana di Tien-Tsin non si limitano alla fontana. V'è il Palazzo Municipale appena finito, anzi inaugurato solennemente il 10 novembre scorso dal nostro ministro in Cina commendator Cerruti alla presenza delle Colonie italiane in Cina, Shanghai e Tien-Tsin. L'edificio Municipale è semplicemente una meraviglia per la ricchezza dei marmi e delle decorazioni interne. Molte città italiane importanti invidierebbero a Tien-Tsin il suo Municipio e soprattutto il salone al primo piano rivestito di legno di Teak, col soffitto a cassettoni e con le invetriate colorate che riproducono la suggestiva scena del ricevimento di Marco Polo da parte di Kubilay Kan, opera squisita di Galileo Chini. Sinora l'amministrazione della Concessione era tenuta dal Console. E dal primo amministratore, il commendator Filetti, attuale Ministro a Quito al quale si deve la creazione di questa città italiana all'attuale console commendator Gabrielli, lo sviluppo di essa fu continuo e costante tanto da gareggiare con le altre Concessioni e da superarle dal punto di vista artistico ed igienico. Con le ultime 88


recentissime elezioni venne formato un consiglio di cinque membri eletti dagli italiani residenti a Tien-Tsin, che in totale sono circa un centinaio, presieduto dal Console. Con il Consiglio comunale venne pure eletto un Consiglio consultivo cinese di tre membri formati da cinesi che abitano la Concessione. Anche l'ospedale della Concessione appartenente all'Associazione Nazionale delle Missioni, di cui è presidente l'insigne egittologo Schiaparelli, è un grande e bel edificio in funzione da circa un anno. Il dottor De Giovanni che lo dirige me lo fa visitare da capo a fondo, mostrandomi con orgoglio le ricche dotazioni chirurgiche, i reparti dove sono accolti gratuitamente i cinesi e quelli riservati agli europei. […] Le case della Concessione che sono circa duecento, nelle forme più varie, alcune anche assai seducenti, sono quasi tutte circondate da giardini. La cittadina è provvista dei mezzi piu moderni di fognatura e d'illuminazione e presidiata da un Corpo di Polizia indigena comandata dai Signori Boveri e Baj, ambedue piemontesi e già appartenenti alla marina militare. Ogni Concessione ha la sua Polizia indigena particolare; la nostra è certo fra le migliori per aspetto esteriore e disciplina. L'uniforme ricorda quella militare italiana e la caserma che ospita le guardie è un modello. Il signor Boveri mi fa trovare riunito, schierato, il Corpo di Polizia esecutore impeccabile dei movimenti militari. Tuttavia egli mi spiega le ragioni per le quali la Polizia è armata di soli bastoni e perché si ritenga più prudente di tenere sotto chiave fucili e mitragliatrici. Con i tempi che corrono non è il caso di fidarsi di nessun cinese. […] Ma, per la difesa degli italiani a Tien-Tsin, a parte la presenza della R. Nave «Sebastiano Caboto» (in proporzione dei nostri reali interessi in Cina, l'Italia vi ha rappresentanza diplomatica, consolare e navale dignitosissime) la virtù italica dell'improvvisazione supplirebbe, nei casi, a questa trascurabile manchevolezza essendovi nella nostra colonia elementi ex-militari combattenti eccellenti. La Concessione italiana di Tien-Tsin è in floride condizioni finanziarie benché le tasse che pagano gli abitanti siano inferiori a quelle di tutte le altre Concessioni. Il commendator Gabrielli trovò alla sua venuta un avanzo di una trentina di mila di taels (il tael è circa 16 lire italiane) e trasmise al nuovo Consiglio Comunale, dopo due anni di gestione, una cifra tripla. Si pensa quindi alla costruzione lungo il fiume della banchina che ancora non esiste e ad altri miglioramenti. In complesso la Concessione è un modello in miniatura di città moderna, non vi mancano neppure autopompe da incendio americane capaci di spegnere il fuoco di una metropoli di grattacieli. Ormai sul territorio della Concessione non esiste, si può dire, uno spazio libero: tutto il terreno disponibile è stato assegnato e coloro che in origine ebbero la fortuna di acquistare appezzamenti a vile prezzo li hanno poi rivenduti con guadagni ingenti 89


specialmente ai ricchi cinesi desiderosissimi di fabbricare le proprie case sul territorio degli appezzamenti europei, perché una delle caratteristiche più singolari delle Concessioni europee di Tien-Tsin è quella di essersi lasciate invadere dai cinesi che vi ci sentono più sicuri dinanzi alle mutevoli fortune dei partiti politici dell'uno e dell'altro aspirante al potere supremo. Nella Concessione italiana, per esempio, le case abitate da cinesi sono l'ottanta per cento della totalità. E la stessa cosa si verifica presso a poco nelle altre Concessioni. Noi ospitiamo oltre ad ex-Presidenti della Repubblica e del Consiglio, un antico Ministro delle Finanze al quale il potere permise un arricchimento rapido e iperbolico 225. […] Sul lembo italiano del «Guado» vive pure un originale letterato cinese che ha tradotto nella sua lingua la «Divina Commedia». Peccato che non vi sia nessuno in Italia che possa controllare quel superbo lavoro. Con la retrocessione alla Cina della due Concessioni che fiancheggiavano la nostra - la russa e l'austriaca - noi ci siamo venuti a trovare isolati in piena città cinese, e forse per questo la fiducia nella sicurezza territoriale della Concessione Italiana è stata al quanto compromessa. Anche perché la «Caboto» non può, durante i mesi invernali, rimanere ancorata nel fiume di Tien-Tsin per non lasciarsi imprigionare dai ghiacci; e perché non è facile per essa risalire il fiume sino alla nostra banchina. […] Tutto questo per concludere che Tien-Tsin europea, che in alcune parti del quartiere inglese e francese ha aspetti eleganti e lussuosi, non è certo nella condizione dei tempi che seguirono la repressione dei boxer, e cioè la città dove l'europeo era temuto al punto che i cinesi non osavano camminare sui marciapiedi. Il domani è sulle ginocchia di Giove e, dopo la catastrofe giapponese 226, diventato più enigmatico che mai. […] Sino a qualche tempo fa, Tien-Tsin italiana possedeva anche un Ufficio Postale italiano, ma dopo la conferenza di Washington tutti gli uffici postali europei in Cina sono stati soppressi compiendo una atto importante sulla strada delle abolizioni delle capitolazioni. E' però doveroso dire che la Posta cinese retta da funzionari europei al soldo della Cina, oltre che funzionari cinesi, funziona in guisa ammirevole. E non soltanto come Posta, ma anche come centro prezioso di informazioni sicure su tutto lo sterminato Paese. Gli italiani di Tien-Tsin occupano in generale delle eccellenti posizioni sociali. Ricorderò fra i molti che onorano il Paese l'ingegner Pincioni, capo ufficio tecnico della Navigazione sul fiume Hai-Ho, una fra le cariche più cospicue tenute da stranieri nel Nord-Cina; l'avvocato Debarbieri, l'architetto Borgnino autore del Palazzo municipale e dell'Ospedale e valenti professionisti ed industriali come il Garibaldi, l'ingegner Serra, Si riferisce a Cao Kun (1862-1938, presidente della Repubblica dal 1923 al 1924) e a Li Yuanhong (1864-1928, presidente della Repubblica dal 1916 al 1917 e dal 1922 al 1923). (N.d.A). 226 L'autore si riferisce al sisma di Tokyo del 1 settembre 1923. (N.d.A) 225

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ecc. ecc. Esiste pure a Tien-Tsin una sezione del partito nazionale fascista con una trentina di aderenti. Fuori dei limiti della Concessione italiana, sul terreno di quella inglese, sorge il cimitero dei marinai e dei soldati italiani caduti combattendo per la difesa di Tien-Tsin all'epoca dei boxer. Sono venticinque tombe che il 18 giugno, anniversario della resa di Tien-Tsin alle forze internazionali, ricevono dalle fanciulle europee un tributo di fiori. Nel programma del futuro immediato della nostra Concessione, vi è pure la fondazione di una scuola di arti e mestieri per i cinesi. Ma dal momento che i proventi della Concessione di Tien-Tsin sono abbastanza cospicui (di solo diritto di passaggio del tram elettrico per il Corso Vittorio Emanuele III la Concessione riscuote quattro mila dollari annui) e non difficilmente aumentabili, è augurabile che una scuola italiana venga fondata anche in Cina. Non foss'altro che per una nostra affermazione nazionale dinanzi alle fiorenti scuole americane, inglesi e francesi. Nella Grande Asia Rivoluzionaria, Cipolla descrive il suggestivo incontro con Puyi, l'ultimo imperatore della Cina, che risiedeva all'epoca nella concessione giapponese di Tianjin; di lì a pochi mesi Puyi avrebbe lasciato la città per recarsi in Manciuria, nel Nord-Est della Cina per essere nominato nel 1932 prima Capo dell'Esecutivo - una sorta di presidente della repubblica - del neonato Manzhouguo (Manchukuo) e poi imperatore dal 1934 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La descrizione che segue ci da uno spaccato della vita mondana dell'epoca. I diamanti di Tien-Tsin e il Signor Pu-Y (l'ex imperatore) 227

Era fatale che incontrassi l'ultimo «Figlio del Cielo» che sette anni or sono portava ancora il poetico nome di Siouen T'oung 228 e faceva professione di prigioniero della Repubblica nell'ultima cinta della «Città Violetta riservata» di Pechino 229, in un ritrovo alla moda di Tien Tsin, famosa per le sue concessioni ancora in vita, europee e giapponese, per le turbolenze periodiche che l'agitano, per essere costruita sul fango delle rive del Pei Ho, per incorporare o meglio ingoiare nei due milioni di suoi abitanti cinesi ogni brandello d'esercito battuto che in essa si rifugia e si fonde, passando dalla condizione militare alla civile ed in fine per il nome che porta: Tien Tsin, che significa «Guado del cielo», cioè porto di Pechino dal quale dista 150 chilometri appena.

CIPOLLA, Nella Grande Asia Rivoluzionaria, Torino, Paravia, 1931, pagg. 194-203. Xuantong. (N.d.A) 229 Si riferisce alla Città Proibita detta anche Città Purpurea dal colore delle sue mura, residenza dei sovrani al centro di Pechino: nel 1924 venne istituito il Museo del Palazzo. (N.d.A.) 227 228

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Non vi descriverò di Tien Tsin, fatica che compii già, e ripetutamente, nel nebbioso passato, dirò soltanto che vi ho constatato un aumento impressionante di vita mondana, di seducente e pessima qualità, che si trascorre durante le ore più inoltrate della notte in locali «ad hoc» tanto nella sterminata città cinese come nelle Concessioni europee. E' consigliabile per un europeo di trascurare la prima, dato l'inconveniente di non riuscire più a ritrovare la strada di ritorno, per effetto di soppressione violenta da parte dei briganti in gita di piacere metropolitana. Del resto l'alta classe cinese, gli americanizzati, la gente nuova insomma, preferisce le Concessioni alla distesa città nativa e in quelle, certi eleganti «dancing» dai «jazz» formati da russi più o meno bianchi […] dove le attrazioni accettabili sono formate da donne russe, […] e le inaccettabili da etere cinesi, che qui si chiamano «diamanti», assai graziose nella loro esasperante esilità […]. Sopprimersi, piuttosto che fare una cattiva figura in pubblico, questo è l'abito mentale irriducibile di ogni cinese. Si può esiger da lui qualunque cosa, a condizione di salvare, almeno nella forma, il suo amor proprio o meglio la sua dignità esteriore che accompagna tutta la vita di un cinese sia esso ministro o facchino, imperialista o comunista. Ecco spiegata la ragione per cui il giovane signore cinese in abiti europei, seduto ad un tavolino del «dancing» vicino al mio, assieme ad una deliziosa damina cinese in ambigua toeletta azzurro mezzo «terra fiorita» e mezzo parigina, con capellatura semicorta e pendenti «salomè» alle orecchie, dinanzi due modesti bicchieri di limonata (la consumazione meno dispendiosa) si chiama oggi a Tien Tsin il signor Pu-y, pure essendo stato sino a qualche anno fa S.M. l'imperatore Siouen T'oung, l'ultimo della dinastia degli Tsing, deposto a cinque anni a causa dell'avvento della repubblica da lui medesimo proclamata il 31 dicembre 1911 230, cioè il giorno nel quale Yuan Sci Kai 231 diventò presidente dopo aver pianto lacrime abbondanti prostrato dinanzi al piccolo Figlio del Cielo (gli domandava scusa per essere costretto a portargli via la corona). Di modo che oggi l'ex Imperatore ha 25 anni circa, mentre la sposa, che è una principessa mancese 232, ne ha 23. La coppia rimase a Pechino in una strana condizione di ostaggio della Repubblica sino alla calata di Cian Zo Lin 233 . Passò quindi a Tien Tsin dove si sentiva meno esposto alle eventualità di una brutta fine per effetto dell'instabilità dei governi che si succedevano nell'antica Corte del Nord, i quali convien dirlo, nei riguardi L'Editto di Abdicazione della Dinastia Qing (清帝退位詔書,qingdi tuiwei zhaoshu) del 12 febbraio 1912 istituiva un governo repubblicano per volere imperiale. L'autore confonde la data dell'abdicazione ufficiale con quella della proclamazione della Repubblica di Cina. (N.d.A.) 231 Yuan Shikai (1859-1916), Primo presidente della Repubblica di Cina. (N.d.A) 232 Imperatrice Wang Rong (1906-1946). (N.d.A) 233 Zhan Zuolin (1875-1928), Signore della Guerra della Manciuria. (N.d.A) 230

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dell'ex sovrano si sono mostrati tutti d'accordo nel non passargli mai un sapeco d'ottone bucato dei cinque milioni di «taels» d'indennità promessigli della Repubblica all'atto della deposizione 234. Motivo per cui Siouen T'oung languiva in una miseria relativa nella prigione dorata del palazzo imperiale e per sbarcare il lunario con la sposa e la piccola corte di fedeli che li circondavano, era costretto a vendere gli oggetti preziosi che gli erano rimasti. Ma la coppia ex imperiale potè rifugiarsi a Tien Tsin ed affittare una modesta villetta nella concessione inglese, disponendo ancora di qualche fortuna, tanto è vero che poche settimane fa il sovrano detronizzato ha venduto per mila dollari ( dollari cinesi, s'intende) il suo corredo di pellicce, per passarne il ricavato alla Commissione di soccorso per gli affamati dello Scensì235 […]. La munificenza dell'ex imperatore ha fatto ottima impressione ed ha valso ad attenuare l'ostilità che gli manifesta la società nobile di Pechino, capitanata dalla mia amica Principessa Dan, che non perdonano a Siouen T'oung di aver cambiato nome, diventando il semplice signor Pu-y, vale a dire di aver rinunciato ad ogni atteggiamento di rivendicazione imperiale. Malgrado la rinuncia non potevo impedire a me stesso di sentirmi abbastanza commosso considerando che il mio vicino di tavolino nel «dancing» poco frequentato ma più elegante di Tien Tsin, era infine la stessa persona che rappresentava la tragedia della vecchia Cina defunta, ma che potrebbe anche resuscitare domani, almeno nella sua forma monarchica ed unitaria […]. Ma al «dancing» di Tien Tsin , dinanzi ai bicchieri di limonata, il nipote della grande e implacabile imperatrice dei boxer Tsen Hi 236, portava un paio di occhiali neri ed aveva una faccia insignificante. […] Sono in compagnia di un amico europeo con relativa compagna russa che […] mi confida che «devo» alzarmi e passare a salutare la coppia ex imperiale al suo tavolino. Il signor Pu-y, cioè Siouen T'oung, non potrà che esserne lusingato. Però devo stare bene attento a non guastare il «salvamento della faccia» dell'ex imperatore, chiamandolo con i suoi antichi attributi. Gli dirò semplicemente: «Buona sera signor Pu-y! Ho avuto l'onore di esserle presentato a Pechino sette anni fa. Sono qui di nuovo per qualche

234 Si riferisce al Trattamento favorevole dell'Imperatore dei Grandi Qing dopo la sua Abdicazione, in breve Trattamento Favorevole: un accordo economico e di garanzia per il sovrano e per la sua famiglia stipulato il 16 febbraio 1912. Prevedeva oltre ad una cospicua indennità annuale, anche l'uso dei palazzi interni della Città Proibita e l'uso esclusivo del Palazzo d'Estate di Pechino, oltre che al continuo mantenimento dei Mausolei Imperiali della dinastia Qing. L'unico punto dell'accordo ad essere rispettato fu l'uso della Città Proibita come abitazione. (Johnston, Twilight in the Forbidden City, London, Oxford University Press, 1985). 235 Shanxi, provincia cinese. (N.d.A) 236 L'Imperatrice Vedova Cixi (1835-1908). (N.d.A)

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giorno. Come sta lei? E la signora Pu-y si trova bene a Tien Tsin?». Il resto verrà da sé. Il resto è venuto così bene che qualche giorno dopo […] una piccola carovana turistica della quale faceva parte il signor Pu-y e signora, nonché il compilatore di queste note, si dirigeva con una capace e potente automobile in gita di piacere ad uno di quei pochi luoghi della Cina che,all'infuori di Pechino e dintorni, valgono la pena di essere visitati, vale a dire alle Tombe dei Ming 237. […] Forse i contadini si sarebbero commossi di più se fossimo stati in grado di renderli edotti della vera persona del signor Pu-y, ma c'era di mezzo la «faccia» del medesimo da salvare, senza contare il suo certissimo rifiuto a voler essere qualche cosa di diverso dal signor Pu-y, cittadino benestante di Tien Tsin, munito di un paio d'inverosimili occhiali neri e dalla fisionomia fissata in una smorfia di perenne sorriso nella gialla faccia emaciata. […] Nessuno ci accoglie alla dimora dello spirito del massimo antenato Ming. La tomba-villa non ha custodi. […] Il signor Pu-y che durante tutta la gita, non ha pronunziato che delle banalissime frasi, che non si è tolto mai gli occhiali neri dal viso, che non ha alterato un muscolo del viso atteggiato alla smorfia-sorriso che sapete, rimane evidentemente il personaggio più suggestivo della situazione, poiché se le cose gli andavano bene, se cioè fosse rimasto sul trono sino alla fine dei suoi giorni poteva farsi costruire un mausoleo del genere […]. Mi sembra quindi venuto il momento di scordarmi dell'assoluto impegno con il quale i suoi compagni di gita continuano a dargli del «mister Pu-y» e di chiamarlo «Maestà!» o per lo meno «Sire!» e di complimentarmi per il genio architettonico dei suoi predecessori che conobbero Marco Polo. Il signor Pu-y, ha accettato il titolo, è stato ad udire il complimento, ha riso rumorosamente inchinandosi come fanno i cinesi quando odono qualche cosa che si suppone possa arrecar loro piacere ed ha condensato il suo stato d'animo nell'espressione: «all right!».

Le Tredici Tombe della Dinastia Ming sorgono a 50 chilometri a nord di Pechino. (N.d.A)

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3.4. Luciano Magrini - La Cina d'oggi, 1925. Nacque a Trieste il 2 gennaio 1885. Fondò giovanissimo una sezione del Partito Repubblicano Italiano (PRI), insieme ad alcuni studenti triestini che frequentavano l'università di Vienna, ma venne scoperto dalla polizia asburgica e costretto a fuggire ad Udine. Nel 1904 raggiunse Milano dove iniziò a lavorare per L'Italia del Popolo fino a quando non cessò le pubblicazioni; nel 1907, il suo primo libro intitolato Il Pericolo Tedesco, lo fece notare da C. Treves che lo chiamò a Il Tempo. Quando nel 1910 il giornale chiuse, si trasferì a Il Secolo, dove rimase fino al 1923, anno in cui decise di andarsene in seguito alla fascistizzazione del giornale. Si trasferì quindi al Corriere della Sera dove rimase fino al 1925 e poi a La Stampa finchè nel 1927 si dimise per evitare compromessi con il regime, ritirandosi dal giornalismo. Durante il Fascismo fu costantemente sorvegliato e anche imprigionato nel 1933 con l'accusa di aver tentato di ricostituire il partito socialista, ma le accuse furono del tutto infondate e venne rilasciato. Mantenne però i contatti con gli ambienti antifascisti. Nel dopoguerra tornò alla vita politica, con l'elezione alla Costituente e al giornalismo, dirigendo per anni i giornali del Partito Repubblicano. Nel 1948 fu sottosegretario al Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale, interessandosi in particolar modo di emigrazione. Nelle elezioni politiche del 1948 non venne rieletto. La sua insoddisfazione nei confronti del mondo politico crebbe sempre di più, fino a quando nel 1951, dopo l'alleanza del suo partito con la DC, uscì dal PRI. Si dedicò allora ad approfondire lo studio della cultura cinese, sua antica passione nata nel 1923, nel corso di un viaggio in Estremo Oriente come inviato del Corriere e di un nuovo soggiorno nel 1926 come inviato della Stampa. Da quei viaggi nacquero Attraverso il Giappone (1925), La Cina d'Oggi (1925) e In Cina e in Giappone (1927). Nel 1954 fondò a Milano l'Istituto Culturale Italo-Cinese, creato al fine di migliorare le relazioni culturali tra i due paesi. Dedicò a questa attività gli ultimi anni della sua vita, pubblicando la celebre rivista Quaderni di civiltà cinese. Morì a Milano il 9 dicembre 1957. 238

Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 67, a cura di Corrado Scibilia, Treccani, 2006.

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L'Italia a Tianjin 239 Tianjin, dicembre 1923 Situata fra Pechino e il mare, sulle due rive del fiume Peho che un italiano prese e mantiene accessibile, per nove mesi all'anno, alla navigazione, Tianjin appare, con la sua duplice facciata europea, distesa in alte e solide costruzioni lungo le rive del fiume, A primo aspetto chi giunge a Tianjin d'inverno, quando il porto bloccato dai ghiacci è deserto di navi, non riesce ad immaginare la importanza commerciale della città, ma un breve soggiorno consente una visione approssimativa della sua ampiezza e della sua efficienza economica. Tianjin è lo sbocco commerciale della Cina settentrionale. Qui giunge il grande canale imperiale - incominciato venticinque secoli fa, che attraversa per quattrocento leghe la Cina da Tianjin ad Hangtceu 240, al sud di Shanghai, utilizzato attualmente solo da piccole imbarcazioni - che gli americani si propongono di restaurare e di adattare alle moderne necessità. Dietro la cortina delle operose concessioni europee, cosparse di banche, di industrie e di imprese commerciali, si stende la vasta città cinese con oltre un milione di abitanti. […] Fra le quinte del commercio di Tianjin si possono scorgere singolari origini di certi prodotti di nostra conoscenza nazionale. Immaginano le nostre signore che molti supplementi delle loro capigliature e molte di quelle retine che tengono fissate le loro capigliature sono fatte con capelli cinesi? Immaginano che parecchi cappelli di paglia che vengono venduti in Europa - ed anche in Italia - come cappelli di paglia di Firenze sono confezionati con paglia di grano e di riso della provincia che diede i natali a Confucio? 241 […] Prima della guerra 242 vi erano a Tianjin sette concessioni straniere. La guerra ha dimezzato questa embrionale lega delle nazioni accampata sul territorio cinese. L'intervento della Cina in guerra, a fianco degli alleati, ha fatto perdere agli austriaci e ai tedeschi le concessioni territoriali ed i diritti di extraterritorialità, poi la rivoluzione bolscevica ha eliminato le abbondanti prerogative russe. Così ora sulla riva sinistra del Peho rimane solitaria, in ottima posizione presso la ferrovia e presso al ponte internazionale, la concessione italiana e sulla riva destra del fiume stanno allineate le concessioni inglese, francese e giapponese.

MAGRINI, Luciano, La Cina d'Oggi, Milano, Ed. Corbaccio, 1925, pagg. 47-53. Hangzhou, Provincia del Zhejiang. (N.d.A) 241 Confucio (551- 479 a.C.) nacque a Qufu, nella Provincia dello Shangdong, da tutt'altra parte rispetto a Tientsin. Fino al 1928 la provincia dove sorge Tientsin si chiamava Zhili ( che significa direttamente governata dalla Corte); nel 1928 cambiò denominazione e divenne provincia dell'Hebei ( che significa a nord del Fiume Giallo). Nel 1949 Tientsin è diventata una municipalità sotto diretto controllo del Governo centrale. (N.d.A) 242 La Prima Guerra Mondiale. (N.d.A) 239 240

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[…] Davanti alla concessione italiana, nella maggior parte dei mesi aperti alla navigazione, staziona la cannoniera Caboto. La concessione italiana è la più piccola di tutte, copre una superficie di circa mezzo milione di metri quadrati con un chilometro di non ancor costruita banchina, ma proporzionalmente è la concessione più edificata, troppo costruita in confronto alla composizione della sua popolazione e delle possibilità di futuri sviluppi di iniziative italiane su questa unica concessione italiana in Cina. L'aspetto della concessione è assai lusinghiero. Belle strade asfaltate e pulite richiamano con i loro nomi il ricordo di città italiane. Graziose ville ben costruite, un giardino pubblico con una piccola serra di fiori, un'elegante fontana monumentale nella piazza Regina Elena, servizi pubblici perfetti con autopompa per gli incendi ed inaffiatrice automobile per le strade, ordinata caserma delle guardie cittadine con una trentina di gendarmi cinesi in nuove e linde divise italiane, un ospedale modello ricco di modernissimi strumenti chirurgici e di materiale farmaceutico istituito dall'associazione nazionale per la protezione dei missionari italiani all'estero, un municipio, in stile rinascimento, con marmi e stucchi, con sale riccamente ammobiliate e vetrate colorate, istoriate appositamente da Galileo Chini, costituiscono la struttura di questo comune italiano cresciuto sulla concessione di Tianjin. Tutto ciò è ammirevole quando si pensi che vent'anni fa questa zona era un pantano. Ed il merito dei costruttori di questa piccola oasi italiana è veramente considerevole. L'ospedale italiano per organizzazione e modernità degli impianti, è il migliore di Tianjin ed è una delle più provvide istituzioni in Cina. Normalmente può ospitare quaranta ammalati ma in caso di epidemie ne può accogliere anche duecento. Disimpegna un servizio gratuito quotidiano di ambulatorio con una media di mille visite al mese; è aperto agli stranieri ed ai cinesi senza distinzione di confessione, di Tianjin; è diretto da un medico vercellese, il dottor Maurizio De Giovanni, da oltre vent'anni in Cina. Ma, se si vuol limitar l'ammirazione all'ospedale e si cerca nella concessione italiana qualche altra istituzione pubblica che abbia oltre alle apparenze esteriori un contento pratico ed una sostanza viva si rimane un po' delusi, si avverte qualche lacuna, si sente che manca qualche cosa, si rileva qualche vuoto; manca nella concessione, che pure ha un prospero bilancio ed un patrimonio di oltre un milione e duecentomila lire, una scuola italiana; mancano botteghe nelle vie; mancano imprese commerciali; non è ancora cominciata la costruzione della banchina che dovrebbe dare alla concessione uno sviluppo commerciale. La concessione italiana appare, a differenza delle concessioni degli altri paesi, una tranquilla villeggiatura, non una base di iniziative e di operosità commerciali ed industriali. La stessa banchina cino-italiana ha la sua sede nella concessione francese. 97


Poche cifre offrono l'aspetto della concessione. Il novantacinque per cento della superficie della concessione appartiene oramai a privati, in gran parte cinese, fatta eccezione per due piccoli lotti di terreno ancora in possesso dell'amministrazione; il cinque per cento, cioè ventiquattromila metri quadrati, rimane scoperto e destinato alla zona industriale. Nella concessione abitano cinquemila cinesi, 350 stranieri e 110 italiani e la proprietà fondiaria è rappresentata dall'80 per cento da cinesi, per il 15 per cento da stranieri e per il 5 per cento da italiani. La concessione italiana è divenuta una villeggiatura di ricchi cinesi. Funzionari arricchiti, ex ministri e persino un ex presidente della repubblica che si ritirarono dalla vita pubblica con un gruzzolo di denaro e che temevano di esporre le conseguite fortune alla confisca soggiornando in territorio cinese, hanno costruite nella concessione italiana ampie e comode ville. Solo due industrie italiane sono sorte nella concessione: l'oleificio Marzoli, il saponificio e l'industria dei marmi della ditta Garibaldi e d'Angelo. La concessione non dovrebbe essere amministrata coi criteri speculativi adottati per i comuni italiani e non dovrebbe essere considerata come la vetrina artistica di un comune italiano: la concessione dovrebbe essere riguardata come una posizione economica italiana per gli italiani. Non sfugge a nessuno l'opportunità che nell'avvenire sia possibilmente vietato agli italiani, proprietari nella concessione, di rivendere a stranieri case e terreni e che il terreno della cosidetta zona industriale sia riservato esclusivamente ad imprese italiane agevolando e stimolando le iniziative nazionali con particolari facilitazioni. Altrimenti l'italianità della concessione rimarrà solo nei nomi delle strade e se l'Italia avrà dimostrato ai cinesi ed a stranieri, di saper costruire ed organizzare nella concessione una graziosa cittadina di villeggianti avrà anche palesato l'impotenza a farne una base di attività commerciali ed industriali italiane. Da poco più di un mese la concessione italiana ha un rudimentale consiglio comunale composto da cinque membri tutti italiani. Sono elettori tutti gli italiani residenti a Tianjin e gli stranieri domiciliati nella concessione che paghino, questi secondi, una locazione di trenta dollari al mese, però non più di uno straniero può far parte del consiglio. I cinesi votano separatamente ed eleggono un comitato di tre membri con solo voto consultivo. Lo statuto fra altro ammonisce che «non sono eleggibili coloro che sono da ritenersi inadatti alla funzione di consigliere per ragioni di ordine pubblico e di convenienza sociale». Il console è di diritto presidente del Consiglio comunale e può rifiutare di rendere esecutiva una deliberazione del Consiglio. Giova sperare che il nuovo consiglio comunale provvederà anzitutto all'istituzione di una scuola italiana. Unica fra tutte le concessioni straniere quella italiana, che pure ha un vistoso bilancio, è senza scuole. Abbiamo un palazzo municipale con vasti saloni vuoti che potrebbero 98


utilmente essere, almeno in parte, adibiti a scuola italiana aperta anche alla frequentazione degli scolari cinesi della concessione. E sarebbe utilissima una camera di Commercio italo-cinese ed una mostra campionaria permanente di prodotti italiani. Qualunque sieno le sue attuali crisi politiche l'avvenire economico della Cina non par dubbio. Molti segni annunziano che il vecchio mondo asiatico ci rivelerà un nuovo tesoro lungamente nascosto.

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3.5. Roberto Suster - La Cina Repubblica, 1928. Nacque a Trento l'11 novembre 1895. Irredentista, giornalista, strettamente legato a Mussolini, fu inviato speciale del Popolo d'Italia in Germania (1920-24), in Russia (1924-27), in Cina e Giappone (1927), in Persia, nei Balcani e nei Paesi Baltici (1928); nel 1929 fu a Praga come corrispondente dell'Agenzia Stefani. Nel 1933 venne inviato a Varsavia con l'incarico di capo ufficio stampa dell'Ambasciata d'Italia, nonché direttore della rivista Polonia-Italia e presidente dell'associazione di studi esteri in Polonia. Nel gennaio del 1938 venne nominato direttore dei servizi dalla Francia dell'Agenzia Stefani, agenzia che diresse poi dal 1 gennaio 1940 fino all'8 settembre 1943. Arrestato dai Fascisti con l'accusa di tradimento il 17 novembre del '43, verrà rilasciato nel 1944. Negli ultimi anni della sua vita lavorò all'Eco della Stampa a Roma. Morì nel 1966. 243 La concessione italiana in Tianjin 244

Tianjin, situata sul Peho, a cinquanta miglia circa dal mare, è il più importante e il più attivo porto della Cina settentrionale. Dal punto di vista europeo trovandosi a sole tre ore di ferrovia da Pechino, è pure il più importante punto strategico della Cina, poiché costituisce la testa di ponte che unisce la capitale, e quindi le Legazioni, al resto del mondo. Prima della guerra, vi erano a Tianjin, sette concessioni straniere, assunte dalle varie nazioni in circostanze diverse, e organizzate così da costituire una specie di unico sistema,dopo la rivolta dei boxer che aveva imposto l'intervento internazionale. La conflagrazione europea, ha distrutto oggi questa embrionale «Lega delle Nazioni» accampata in terra di Cina, e sono scomparse qui, come ovunque, la concessione russa, quella germanica e quella austriaca; così che ora, sulla sponda sinistra del fiume, rimane solitaria la concessione italiana accerchiata tutta da quartieri cinesi e con di fronte, sull'altra sponda del fiume, allineate le concessioni inglese, francese e giapponese. Ogni concessionario, indipendentemente dalle altre consorelle e dalla amministrazione cittadina, ha una propria polizia, propri servizi pubblici e propri sistemi tributari, così da costituire una specie di piccolo territorio nazionale, sul quale vigilano rappresentanze armate degli eserciti patri. Le proporzioni e l'importanza di queste concessioni, misurate in cifre, ci dicono che la concessione inglese copre una superficie di 900 acri di terreno, con circa 1500 cittadini inglesi abitantivi e 30.000 cinesi ospitati, più una forza residente in questo momento di circa 3000 uomini; la Chi è? Dizionario degli italiani d'oggi,Formiggini Editore, Roma, 1948; ISNENGHI, L'Italia del Fascio, Giunti, Firenze, 1996. 244 SUSTER, Roberto, La Cina Repubblica, Alpes, Milano, 1928, pp. 187-192. 243

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concessione giapponese copre una superficie di 350 acri, con 15.000 connazionali, 40.000 cinesi e circa 2000 soldati; la concessione francese copre una superficie di 350 acri, con 400 connazionali, 10.000 cinesi, e 1500 soldati; la concessione italiana, infine, copre una superficie di 124 acri, è abitata da 140 connazionali, ospita 5000 cinesi ed è presidiata da 700 marinai. Come si vede, la concessione nostra, è la più piccola, e ai suoi tempi era anche la peggiore, poiché comprendeva nella sua quasi totalità unicamente terreni di ex-saline e cimiteri abbandonati, era cioè una palude, un pantano malsano ripudiato da tutti coloro che potevano starne lontani. La nostra presa di possesso e i primi anni di nostra amministrazione non furono quindi esageratamente invidiabili né invidiati, e solo da pochi anni questo lembo di patria è divenuto degno della bandiera che lo protegge. Vediamo infatti che oggi l'aspetto della nostra concessione è più che lusinghiero e che bellissime strade, asfaltate, pulite, ben illuminate la tagliano con un ben disposto piano topografico, richiamando con i loro nomi il ricordo di città lontane; vediamo che ville, palazzine, quartieri signorili si alternano e s'inseguono fra i giardini, costruiti tutti con gusto e stile a norma delle disposizioni emanate dalle nostre autorità; vediamo che un magnifico giardino pubblico, un'elegante fontana monumentale, un edifizio municipale in stile rinascimento con marmi e stucchi, con sale riccamente ammobiliate e vetrate-italiche colorate, un ospedale modello con relativo gabinetto farmaceutico, una magnifica caserma per le nostre truppe, costituiscono la struttura fondamentale di questo modello di Comune italiano trapiantato in Cina. Dal punto di vista amministrativo, la concessione non pesa per un centesimo sul bilancio dello Stato; anzi, con oculate misure di economia, con saggi metodi tributari, in questi ultimi anni è riuscito perfino ad avere un bilancio attivo e a creare un fondo di riserva che ora vien devoluto per la costruzione della banchina sul fiume, banchina che servirà a valorizzare la concessione stessa anche dal punto di vista economico. Finora la concessione italiana, con le sue ville, il suo ordine, la sua tranquillità aveva assunto la funzione e l'aspetto di villeggiatura o meglio della città-giardino, nella quale stranieri e cinesi arricchiti, ex-ministri ed ex-industriali ritiratisi a vita privata, venivano a cercar rifugio, lontani dai rumori, dagli intrighi, dai pericoli. Ora se questo è lusinghiero dal punto di vista morale, praticamente costituisce un elemento negativo, poiché nelle intenzioni e nelle speranze le concessioni dovevano servire come base di operazioni per una più vasta e proficua penetrazione economica, industriale e finanziaria sul mercato cinese. In questo senso, infatti tutte le altre nazioni e specialmente l'Inghilterra e il Giappone, organizzarono le loro zone, affrontando nei primi anni qualche delusione e molte perdite, ma riuscendo poi a rifarsi a usura dei dubbi patiti, sia dei denari anticipati. 101


Per quel che ci riguarda, noi sappiamo già che finora le nostre iniziative in Cina non furono né molto numerose né molto audaci, e quindi non si tradisce nessun segreto constatando che anche la nostra concessione di Tianjin, come testa di ponte agli effetti pratici della nostra espansione non ha raggiunto ancora quello sviluppo che sarebbe stato desiderabile. Per fortuna quello che non si è fatto ieri si è sempre in tempo, specialmente in Cina, a farlo oggi e domani, e così è da salutare con anche maggior gioia il nuovo indirizzo che si vuol dare alla vita di questo nostro minuscolo territorio. La costruzione della banchina sul fiume, infatti, che sarà ultimata dentro l'anno e sarà raccordata con un binario alla stazione ch'è vicinissima, provocherà senza dubbio un afflusso di movimento commerciale nelle nostre strade, e si apriranno dei negozi che oggi mancano, sorgeranno delle industrie che oggi si cercano inutilmente, si costruiranno degli edifizi ad uso speculativo, che oggi son ancora attesi nelle aree libere. Ed è da augurarsi che le nostre ditte più forti, le nostre industrie più potenti, i nostri giovani più attivi, si decidano a prendere in considerazione anche questa oasi italiana che prospera in Estremo Oriente, vogliano approfittare delle facilitazioni che in essa possono godere, vogliano compiere qualche assaggio del mercato cinese, rinsanguando il gruppo di pionieri che da tanti anni con tenace pazienza lavoran qui, con fede immutata nei destini della Patria. Una nazione come la nostra d'oggi, infatti, non ha nessuna zona di mondo che non la interessi, non ammette nessun problema politica economico e sociale,che non la riguardi; e per questo Tianjin costituisce, anche se povera d'importanza economica, uno dei punti di riferimento della nostra potenza nel mondo. Finora i nostri marinai del glorioso battaglione da sbarco «San Marco» hanno costituito l'orgoglio e la prova viva di questa nostra nuova volontà, affermando e vincendo il confronto coi distaccamenti di tutte le altre nazioni; finora la nostra amministrazione ha realizzato l'inverosimile, trasformando le cose e la natura cosi da creare un modello, per tutti di come si organizza la vita nella comunità; finora i nostri connazionali, coll'attività spasmodica, coll'onestà della nostra razza, hanno assicurato al nostro nome una fama che non teme critiche; ma ora bisogna riunire tutti questi elementi, bisogna armonizzare tutte queste energie e a farlo deve essere l'Italia, la Nazione che si profila in tutta la sua capacità dietro gli individui. Qualche pessimista osserverà che non vale la spesa di impegnarsi proprio ora in una concessione in Cina, visti i postulati cinesi di riprendere le concessioni stesse; ma, a parte il fatto che personalmente noi crediamo quel giorno ancora assai lontano, osserveremo che, se mai la concessione si dovesse restituire, sarà certo a tante maggiori e migliori condizioni che 102


lo faremo se la concessione nostra sarà potenziata in tutti i modi e sotto tutti i riguardi. E qui bisogna citare all'ordine del giorno, la nostra amministrazione che, nonostante le preoccupazioni correnti, contrariamente a quello che si è fatto nei territori concessionari altrui, ha continuato anche quest'anno in pieno il programma stabilito di lavori pubblici e di migliorie, a dimostrazione che non è solo per averne un personale ed egoistico vantaggio che si son trasformati i territori avuti, ma è più che tutto come esempio per gli indigeni.

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3.6. Mario Appelius - La crisi di Budda, 1935. Nacque ad Arezzo il 29 luglio 1892. Si imbarcò a quindici anni su di un mercantile interrompendo gli studi liceali, peregrinò per Africa ed Estremo Oriente esercitando vari mestieri: cameriere, impiegato, commesso viaggiatore; in Egitto, ventenne, esordì nel giornalismo al Messaggero Egiziano. Con lo scoppio della Grande Guerra, rientrò in Italia dove si arruolò in marina; nel 1922 aderì al Fascismo ed entrò nella redazione de Il Popolo d'Italia; divenne uno degli esponenti del giornalismo del regime più in vista, grazie alla sua prosa vivace e alla protezione di Arnaldo Mussolini. Fu redattore, collaboratore e corrispondente de Il Mattino, La Nazione, La Gazzetta del Mezzogiorno, L'Illustrazione Italiana, Augustea; pubblicò diversi racconti di viaggio e romanzi esotici. Come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, partecipò alle campagne di Etiopia e di Spagna, poi riprese i viaggi in Estremo Oriente; durante la Seconda Guerra Mondiale, Appelius fu corrispondente dell'Agenzia Stefani in Polonia e Francia. La sua attività giornalistica si adeguò totalmente alle necessità della propaganda fascista, anche ricorrendo talvolta alla deformazione sistematica dei fatti bellici, nell'intento di esaltare la condotta della guerra dall'Asse. Dopo la fine della guerra fu processato per apologia del fascismo e condannato, fruendo poi dell'amnistia. Morì a Roma il 27 dicembre 1946 245. L'Italia in Cina 246

Scianghai, luglio 247 L'Italia svolge in Cina una tradizionale politica di prestigio la quale risale all'epoca dei boxers ed ha assunto col Fascismo un andamento più vigoroso. Nel campo economico all'atto pratico abbiamo iniziato un lavoro di penetrazione solamente durante il periodo sfortunatamente troppo breve del ministro Ciano quando all'abitudinaria formula Varé 248 di non cercare grattacapi si sostituì il concetto fascista di sviluppare attività italiane in ogni parte del mondo. Il giovane conte Ciano, appoggiandosi al maggior prestigio della nuova Italia, favorito dalla sua qualità personale Dizionario Bibliografico degli Italiani, Vol. 3, Treccani, 1961. APPELIUS, Mario, La crisi di budda, Milano, Mondadori, 1935, pagg. 334-338 247 1934. 248 Daniele Varé (1880-1956). Diplomatico e scrittore, ministro d'Italia in Lussemburgo (1926-27) poi in Cina (1927-31). Firmò il Trattato di amicizia e commercio con la Cina nel 1928 che sostituì quello del 1860. Infine ministro in Danimarca (1931-32). Fra le sue opere Il Diplomatico sorridente (1941). (www.treccani.it) 245 246

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di irradiare simpatia, allacciò intimi rapporti di amicizia con gli uomini più importanti degli ambienti politici ed economici sia di Scianghai che di Nankino 249 e seppe valersene per fare un piccolo posto anche all'Italia nella sua grande gara internazionale per le forniture alla Cina. I suoi successori seguono la strada aperta ma la penetrazione italiana nel mercato cinese procede con enorme lentezza e spesso s'incanta per la ragione capitale che mentre possediamo in Cina nella presenza della flotta, nella rete diplomatico-consolare, nella Concessione di Tien-tsin, nelle ottime relazioni fra i due governi tutti gli elementi di prestigio di una Grande Potenza, galvanizzati per di più dall'enorme fascino che la personalità di Mussolini esercita anche in Cina, manchiamo viceversa del tutto degli organi economici e finanziari che sono indispensabili per prender parte efficacemente alla competizione internazionale. * Resi più difficili gli scambi italo-cinesi dalla contrazione mondiale dei commerci, ristretti i tradizionali traffici della seta fra Como e Scianghai, paralizzate quasi le nostre vendite di seta artificiale per la vittoriosa concorrenza dei giapponesi ( ai quali noi medesimi abbiamo insegnato i metodi di fabbricazione) i nostri reali interessi in Cina si riducono al momento attuale alla Concessione di Tien-tsin, all'ottimo servizio marittimo del Lloyd Triestino, alla Compagnia di Navigazione italo-cinese sull'Yang-Tse-Kiang 250, alla missione aeronautica presso il Governo di Nankino, alla piccola Banca Italiana per la Cina, alle Missioni Cattoliche, al Circolo Italiano di Scianghai ed a poche imprese commerciali private di modestissima entità. La Concessione di Tien-tsin ben amministrata vive di vita propria e benché sia disgraziatamente mal situata (per essere incastrata in mezzo alle ex Concessioni austriaca e russa ridiventate territorio cinese) rappresenta la nostra pedina più importante sullo scacchiere cinese. La Concessione è in via di sviluppo grazie a varie ottime iniziative prese negli ultimi tempi. Suscettibile di ulteriori migliorie, forse anche territoriali, offre una base eccellente (politica, fiscale e di mano d'opera) a quegli industriali italiani che sull'esempio di parecchi industriali inglesi, nordamericani, francesi, giapponesi e tedeschi si decisero ad impiantare in territorio cinese le loro industrie per sfruttare razionalmente le immense possibilità del mercato dell'Estremo Oriente, saltare le barriere doganali, eliminare il sovraprezzo del trasporto marittimo, sfruttare il bassissimo costo della manodopera cinese ed il buon prezzo di certe materie prime (lo stesso combustibile) che possono essere fornite dalla Cina o dalla Manciuria. Un industriale che abbia a Tien-tsin la sua

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Nanchino era tornata ad essere la capitale della Cina dal 1927. (N.d.A) Yangzi o Changjiang, il Fiume Azzurro. (N.d.A)

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industria ha potenzialmente nel suo raggio di azione un mercato di cinquecento milioni di consumatori: tutto l'Estremo Oriente. […]La Banca Italiana per la Cina, filiale del Credito Italiano, è anch'essa un inizio che andrebbe vigorosamente sviluppato, per poter dire di possedere realmente in Cina un Istituto bancario, cioè un organo finanziario potenziatore degli interessi italiani e propulsore di traffici italiani. Proprio in questi giorni si sta elaborando la fondazione di un'altra Banca provinciale italo-cinese che qualora si concretasse rappresenterebbe un rafforzamento dei nostri interessi in Cina. * Tracciata con franchezza la situazione si può concludere che l'Italia ha in Cina le basi ed il prestigio per svolgervi opera di apostolato civile e di espansione economica. L'ascendente che il Fascismo esercita su alcuni nuclei dirigenti della Cina faciliterebbe una azione dell'Italia in grande stile sul mercato cinese. La nazione che affronta a fondo il problema della sua espansione economica e spirituale in Estremo Oriente ed approntare gli strumenti economico-finanziarii che sono indispensabili per scendere in lizza accanto agli altri Stati, tenendo in conto le inevitabili difficoltà iniziali d'ogni impresa del genere e le necessità categorica di uniformare l'importanza dei mezzi alle esigenze in un mercato come l'Estremo Oriente, altrettanto ricco di possibilità che pieno di concorrenti. […] L'organizzazione fascista rende facili quei coordinamenti di forze e di programmi che sono necessarii in Estremo Oriente per ottenere risultati positivi e continui. Il Governo, per dichiarazione dello stesso Duce, ha appresso ripetutamente l'interesse con cui l'Italia fascista segue le vicende dell'Estremo oriente. La recente elevazione al rango di Ambasciata della nostra Legazione in Cina attesta quale sia lo stato d'animo del Governo nazionale. Si tratta quindi di mettere il problema sul tappeto e di risolvere con efficienza di mezzi.

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3.7. Michele Catalano - Le Vie d'Italia e del Mondo, 1936. Articolo pubblicato da Michele C. Catalano sulla rivista numero 5 - anno IV del maggio 1936. Tianjin e la Concessione Italiana

La Concessione Italiana di Tianjin, sebbene di limitata estensione (mezzo chilometro quadrato), per la sua posizione e per la funzione che esercita nella vita della grande metropoli, ha un valore superiore a quello che generalmente le viene attribuito. I suoi 7000 abitanti, dei quali 150 Italiani, oltre 6000 cinesi ed il restante di altre nazionalità, rappresentano una notevole popolazione in rapporto al territorio, in quanto nella maggior parte appartengono a categorie sociali medie ed elevate e danno alla vita della Concessione un tono di signorilità che la distingue dalle altre. La nostra Concessione si estende dalla zona ferroviaria, nella quale sbocca con il Corso Vittorio Emanuele e con le due importanti arterie dei traffici, Via Fiume e Via Trieste, alla banchina di approdo del Pei-ho, favorita dalle condizioni delle correnti che ne consentono una intensa utilizzazione. La banchina d'Italia, prospiciente quella Giapponese, non altrettanto favorita dal capriccioso Pei-ho, è pulsante di vita, clamorosa e pittoresca come avviene sempre in Oriente, ma anche ordinata. Questo carattere d'ordine e di signorilità è dagli stessi Cinesi apprezzato a tal segno che nella Concessione Italiana risiedono alcune delle loro famiglie più facoltose, e molti uomini d'affari, che hanno aziende e uffici in altre zone, preferiscono abitare le eleganti villette che si allineano lungo i viali ridenti e tranquilli della zona italiana. La nostra Concessione ha quindi un alto valore morale perché dimostra come, nonostante le tragiche vicende che hanno impedito agli Italiani, in lotta per l'unità e l'indipendenza della Patria, di collaborare con le altre Potenze nell'avventurosa valorizzazione delle zone del Pacifico, non è mancata all'Italia l'intuizione delle nuove e grandiose possibilità. Ma le aspirazioni della rinata Italia furono ostacolate da altre Potenze, gelose d'un eventuale intervento del giovane Stato, spiritualmente in grado di assumere il suo posto d'avanguardia nell'opera civilizzatrice dell'Occidente nell'Estremo Oriente. Solo quando il ciclone xenofobo del 1899-1900 minacciò di spazzar via di colpo le deboli difese dei monopolizzatori, l'Italia fu accolta come alleata e conquistò, con l'eroismo e con il sangue dei suoi figli, il diritto di presenza in quelle estreme regioni del mondo. E l'Italiano che visita quelle lontane regioni, vede, con viva emozione, il Tricolore sventola su Tianjin italiana. 107


[…]Anche a Tianjin l'Italia ha dato prova delle sue capacità civilizzatrice. La posizione della nostra Concessione, favorevole dal punto di vista economico, presentava gravi difficoltà per la natura del suolo acquitrinoso e malsano e per l'abbandono in cui era rimasto l'agglomerato di casupole di fango che costituivano l'abitato indigeno. L'opera di bonifica compiuta, la razionale utilizzazione dello spazio, l'impianto dei servizi di illuminazione,di trasporto,di igiene, hanno trasformato in pochi decenni uno dei peggiori quartieri nella zona più ridente e più salubre della metropoli. Di questo ci si rende subito conto allorchè, appena usciti dalla stazione, si imbocca uno dei grandi e diritti viali dal nome italico, lieti d'alberi e di giardini, percorsi ordinatamente da veicoli d'ogni tipo e da una folla pittoresca e disciplinata. Il colore locale esiste: accanto alle lussuose automobili e agli autocarri, corrono i pus-pus 251 trainati da agilissimi corridori, avanzano i carri trainati dai buoi; guizzano i ciclisti, saltellano, sotto gravi e voluminosi carichi, i coolies 252. Tutti cercano di dar segno della loro presenza e della loro premura con un frastuono di avvisatori, trombette, campanelli, pronti tuttavia a sostare ai crocicchi, in attesa del «via» del vigile che manovra i segnali luminosi e i semafori del traffico. I marciapiedi sono percorsi dai più svariati campioni di razze e di abbigliamenti, che costituiscono la scenografia etnografica della Cina settentrionale. Gli ultimi esemplari di codini dondolanti e di piedini rattrappiti 253 si alternano con i primi saggi delle ultime audacie della moda occidentale: i costumi europei, nella parte moderna di Tianjin, non danno quel senso di stonatura e d'artificio che si avverte in altre città dell'Estremo Oriente. Le principali arterie, come il Corso Vittorio Emanuele, percorso dalla linea tranviaria della Metropoli, la Via Trento e Trieste che segna il confine con la Concessione ex-austriaca, e la Via Roma che attraversa la Concessione sulla linea dei due ponti limitrofi e allaccia la piazza Dante e la piazza Regina Elena, sono animate e clamorose. Sulle grandi vie del traffico sbocciano le strade residenziali, linde come viali di un parco, costeggiate da ville che si ispirano allo stile italico e riproducono nell'assieme architettonico aspetti delle città italiane, suscitando nei connazionali nostalgiche illusioni. I tre quarti della superficie della Concessione sono di carattere residenziale ed un quarto è utilizzato ai fini commerciali, specie per i depositi delle merci che affluiscono per via di mare, allineati sulla operosa banchina d'Italia che si svolge nell'ansa del fiume Pei-ho. L'autore intende il risciò. (N.d.A) Lavoratori sfruttati nei lavori più umili, di solito contadini. (N.d.A) 253 L'uso del codino mancese venne imposto a tutti gli uomini dopo la conquista della Cina da parte della dinastia Qing, fino alla caduta della monarchia nel 1912. I piedi fasciati, invece, erano un'usanza esclusiva dei cinesi han: abolita ufficialmente nel 1902, sopravviverà negli strati più bassi della popolazione fino alla proclamazione della repubblica popolare. (N.d.A) 251 252

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La nostra piccola colonia, operosa, disciplinata, rappresenta degnamente l'Italia Fascista. L'entusiasmo con cui tutti gli Italiani, stretti attorno ai gerarchi, anelano di dare prove della loro lealtà e della loro fede è un esempio di solidarietà nazionale che altri popoli ammirano e che tiene alto, di fronte agli asiatici, il prestigio della nostra razza. […]Ma ben altre prove, anche se meno clamorose, ho potuto avere del rispetto con cui gli Italiani sono considerati dai Cinesi, osservatori scrupolosi e critici irriducibili della condotta degli Occidentali. Tale atteggiamento è dovuto certo all'enorme prestigio riverberato sul nome d'Italia dalla personalità del Duce e dalla disinteressata simpatia che il Governo fascista ha dimostrato, in molte circostanze, per il popolo cinese […]. L'amministrazione della Concessione, con il riordinamento datole dal Governo fascista, è affidata ad un Podestà, che è attualmente il R. Console d'Italia, coadiuvato da una consulta composta di cittadini italiani e di residenti cinesi, sempre che non siano impiegati nell'amministrazione stessa. Tale eccezione è suggerita dal sincero desiderio del nostro Governo di assicurare ai residenti la tutela dei propri interessi e la libertà di esprimere le aspirazioni della popolazione. La nostra piccola colonia è costituita da impiegati, commercianti e professionisti e non manca di un tono signorile e simpatico rilevato con compiacimento dai Cinesi. Ed è significativo che i militi cinesi della Polizia della Concessione si dimostrino fieri di vestire l'uniforme italiana, onorati di servire sotto l'emblema della nostra civiltà millenaria. Ho potuto ammirare la disciplina e il contegno di questo nostro reparto di polizia cinese agli ordini di ufficiali italiani, che disimpegna i servizi di polizia metropolitana con stile impeccabile e con entusiasmo sincero. Molto opportunamente il Governo fascista ha voluto dare alla nostra presenza in Cina un carattere degno di una grande Potenza, con l'aumento delle nostre forze marittime e terrestri, la costruzione di una nuova caserma (1)254 e le cure poste dai rappresentanti per sviluppare, in un'atmosfera di simpatia e di cordialità i rapporti saldamenti costituiti fra le due nazioni. Tra le maggiori iniziative recenti va ricordato il «Forum» centro sportivo e di svago, edificio maestoso, progettato e costruito da Italiani, che conferisce una nota di vivace mondanità alla fisionomia di quel settore della nostra Concessione, diventato ormai un punto di attrazione per la metropoli. […] Al Consolato ed al Municipio, pulsanti di attività, vibra il nuovo spirito fattivo ormai irradiato dal Fascismo ovunque sia un nucleo «Il 5 marzo 1925 aveva luogo la cerimonia ufficiale della formazione del Battaglione Italiano in Cina, che doveva intervenire con opera di protezione nei dissidi militari e politici di Beiping e della Cina Settentrionale. E subito nell'aprile del 1926 veniva inaugurata la nuova caserma "Ermanno Carlotto". Il 13 aprile 1928 il Battaglione ricevette una visita, non ufficiale, del giovane ex-imperatore della Cina Pu-Yi, che allora viveva a Tientsin. Per l'occasione tutto il Battaglione Italiano sfilò in parata». (nota nel testo). 254

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di Italiani. Una visita alle nostre istituzioni filantropiche consente di rilevare qualcuna delle espressioni del nostro concetto della collaborazione fra le due civiltà. L'Ospedale italiano, per quanto di limitata capacità, è fornito degli impianti più moderni e gode di alta reputazione anche per il trattamento degli ospitati. E' questa una delle nobili attività svolte dai nostri Missionari Francescani, che con le opere educative, asili, scuole elementari e professionali alimentano nella popolazione sentimenti d'amore e di stima per i nostri connazionali. Ed a Tianjin, di fronte al risultato veramente ammirevole della paziente e tenace opera compiuta da pochi uomini, con mezzi modesti ma con tesori incommensurabili di fede e di energia, si ha la percezione precisa della nostra razza, rinata nella idealità del Fascismo. E' una sintesi delle capacità colonizzatrici del nostro popolo, che possiede il segreto di trasformare miracolosamente le paludi e i deserti in zone di vita e di lavoro. Questa è la storia e il significato morale di Tianjin. Inizio eroico di soldati e marinai che, per l'onore della Patria lontana seppero fare delle armi attrezzi di bonifica, e ufficiali di marina che manovrarono gli strumenti nautici per misurare, rettificare, delimitare confini, e furono diplomatici, uomini d'affari, ingegneri, costruttori, medici, maestri. E tutto questo fecero, non per conquistare una miniera o un pozzo o un beneficio, da potere comodamente sfruttare, ma per creare una città, organizzare un popolo, dare un saggio della sapienza e della potenza d'Italia.

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3.8. Cesare Cesari - La Concessione italiana di Tien-tsin, 1937. Nacque a Modena il 28 marzo 1870. Laureato in giurisprudenza, scelse la carriera militare, arrivando sino al grado di generale di divisione. Insegnò legislazione e storia all'Accademia militare di Modena, fu capo dell'ufficio storico dello Stato Maggiore, membro della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, nonché membro di diversi istituti italiani e stranieri. Dal 1921 al 1924 fu segretario dell'Istituto Coloniale Fascista (poi Italiano) e direttore dal 1921 al 1927 della Rivista Coloniale. Nel 1931 venne premiato dall'Accademia d'Italia per le sue pubblicazioni di storia militare. Dopo il 1945 fu libero docente di storia delle colonie all'Università di Roma e redattore della rivista l'Oltremare. 255 La Concessione Italiana di Tien-Tsin 256

[…] La località assegnata alle varie nazioni è quasi un sobborgo di Tien Tsin, compreso fra la linea ferroviaria che unisce questa città al porto di Takù e la sponda sinistra del fiume Pei-ho. La ferrovia fu inaugurata nel 1888, raddoppiando subito il movimento commerciale che prima si svolgeva soltanto per la malsicura via di terra e più ampiamente lungo il fiume. La città di Tien Tsin, come tutti sanno, è un emporio di primo ordine. Marco Polo che lo visitò nel 1280 rimase fin da allora impressionato della sua grandezza e soprattutto della fertilità del suolo di tutta la provincia, solcata da numerosi canali, intercalata da laghi e perciò in ottime condizioni di produttività agricola. Evidentemente da quell'epoca lontana essa ha continuamente progredito ed ha raggiunto ormai una forte attrezzatura industriale; la popolazione della città si è decuplicata nonostante il fatto che la città stessa occupa una zona che non è delle più salubri. Il terreno scelto per la nostra concessione era infatti in origine un vasto pantano, ma situato ad oriente della città, confinante direttamente con le altre concessioni straniere e con quella parte di Tien Tsin che ospita in prevalenza elementi cinesi dediti al commercio, posta inoltre sulla riva del fiume e vicino alla stazione ferroviaria. L'accordo fu definito dal conte Gallina inviato straordinario e ministro plenipotenziario e l'occupazione avvenne con gli stessi reparti di truppa che erano di ritorno dalla spedizione internazionale. I punti principali di questo accordo comprendeva innanzi tutto il consentimento della Cina alla cessione perpetua e gratuita della zona Chi è? Dizionario degli italiani d'Oggi, Roma, 1948; GIANCARLO, M., Il Consenso coloniale, Carocci, 2002. 256 CESARI, Cesare, La Concessione Italiana di Tien Tsin, pagg. 3-23 255

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prestabilita, poi talune modalità riguardanti le proprietà private ed infine una serie di disposizioni per facilitare le comunicazioni ed il transito tra le colonie limitrofe ed il territorio italiano. L'unico onore per simulare un canone d'affitto fu quello di fissare un lieve pagamento annuo da parte dell'Italia. […] La striscia di terreno concessa misurava 120 acri cioè un chilometro di lunghezza e mezzo chilometro di larghezza. Era come si è detto una zona pantanosa che serviva per deposito del sale e nella quale si annidavano alcune centinaia di luride capanne che ospitavano 15 o 16 mila cinesi nelle più deplorevoli condizioni igieniche ed economiche. La posizione era tuttavia conveniente e non occorreva altro che di valorizzarla. Finchè durò l'occupazione puramente militare, la reggenza della concessione fu tenuta da ufficiali di marina che ne limitarono i confini, vi intrapresero lavori di prosciugamento, vi edificarono una caserma a cui apposero il nome di Savoia, vi crearono una guardia di polizia mista della quale prese il comando il maresciallo Fascina dei Carabinieri, compilatore del primo regolamento di polizia locale. In seguito, per merito del console Chiostri e del tenente del genio Cecchetti si fece un accordo con la Società Belga dei tram di Tien Tsin per il passaggio di una linea diretta alla stazione ferroviaria, attraverso un ponte di ferro, costruito dai nostri soldati e marinai. […] Intanto il Conte sforza era nominato Ministro a Pechino e per merito suo il consolato italiano di Tien Tsin ebbe la sua sede nella concessione, cosa questa che ne elevò moltissimo il valore. Attorno alla sede consolare sorsero subito nuove ed eleganti costruzioni e l'intiero settlement assunse un aspetto così signorile che i cinesi lo battezzarono «la concessione aristocratica». Importante soprattutto fu infatti l'ospedale civile dovuto alla benemerita Associazione per la protezione dei Missionari Cattolici. Gran fortuna per noi aver avuto laggiù per un lunghissimo periodo di circa venti anni il console generale Vincenzo Fileti, allora ufficiale di marina sbarcato dalla Vettor Pisani. A lui si deve lo sviluppo, l'affermazione e la simpatia incontrata presso gli elementi indigeni e stranieri di quel piccolo ma florido centro di italianità in Oriente. […] Oggi la nostra zona di Tien Tsin ospita circa 300 italiani, oltre alla guarnigione costituita da un battaglione di marina del glorioso reggimento San Marco ed è abitata da sei o settemila cinesi i quali appartengono in maggioranza a classi elevate. Ha un'ottima banchina sul fiume, prospiciente a quella giapponese, ed è solcata da vie ampie, tutte alberate e ricche di villini e di edifici costruiti col maggiore buon gusto come il Municipio, il Consolato, la Chiesa Cattolica, l'Ospedale, il Mercato coperto, il fabbricato del Campo sportivo e le due caserme Savoia e Carlotto. Quest'ultima inaugurata nel 1926. Il battaglione che vi risiede fu 112


passato in rivista due anni dopo dal giovane ex imperatore della Cina che risiedeva allora a Tien Tsin e che ne fu ammiratissimo. Le strade principali portano inoltre i nomi di via Trento, via Trieste, via Fiume, via Marco Polo e le loro trasversali ricordano, oltre le due già citate, anche i nomi di Vincenzo Rossi, di Ermanno Carlotto, del marchese di San Giuliano e delle due città di Roma e Firenze. La via Vittorio Emanuele è percorsa dalla linea tramviaria e le due più belle piazze sono intitolate a Dante e alla Regina Elena. Nonostante il traffico intenso e continuo, regna in tutte queste strade la massima pulizia; la popolazione indigena è rispettosa delle leggi municipali e queste sono fatte osservare da un piccolo corpo di agenti cinesi agli ordini di ufficiali italiani, fieri di indossare un uniforme che conferisce ad essi notevole prestigio. L'amministrazione che per parecchi anni fu retta dal nostro Console con funzioni di sindaco coadiuvato da un consiglio comunale sul modello dei municipi italiani, è passata attualmente essa pure nelle mani di un Podestà, nominato dal nostro Ministro degli Esteri e che è di fatto la stessa autorità consolare. Il controllo è esercitato dall'Ambasciata . La condizione poi che il Podestà sia coadiuvato da una Consulta, composta di cittadini italiani e di cinesi residenti, va rilevata in modo particolare in quanto dimostra che la stessa amministrazione è un organo di tutela degli interessi e delle necessità della popolazione immigrata e di quella indigena. Allo scopo poi di garantire questa funzione uno speciale statuto stabilisce, infatti, che non possano essere consultori i singoli impiegati. La nostra Concessione, come tutte le altre, riveste pertanto un carattere di municipio autonomo, nel quale la sovranità astratta del paese permane, ma è attenuata e sospesa dai privilegi di cui godono gli stranieri. Essa non è dunque una colonia e dipende per conseguenza dal Ministero degli Affari Esteri. […] Nella operosa Tien Tsin la nostra concessione è un saggio evidente di tale attitudine geniale della nostra razza ad esercitare, senza asprezza, la sua funzione di guida e di tutela. Piccola entità territoriale essa è un occhio nel lontano Oriente e verso di esso debbono convergere, insieme all'attenzione di tutti gli italiani, anche la loro riconoscenza per coloro che alto vi tennero sempre il nome della Patria. Per qualsiasi avvenimento possa verificarsi nella compagine politica e sociale della Cina, la concessione di Tien Tsin rimane come l'ha definita il Duce, una sentinella avanzatissima della civiltà italiana.

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3.9. La Stampa della Sera, 11-12 Aprile 1932 - Anno X.

L'Italia in estremo oriente. LA NOSTRA CONCESSIONE DI TIEN TSIN. Pechino, aprile. Molti anni fa, e precisamente nel 1911, un comunicato del ministero degli esteri, annunziava che era stata approvata una spesa di L. 400.000 per la concessione italiana di Tianjin. L'occasione buona perché qualche giornale si ricordasse finalmente che noi avevamo laggiù, in Cina una concessione, cioè una microscopica colonia, della quale tutti si erano dimenticati. E per dire il vero, in quei tempi, a ricordarsi delle colonie non c'erano se non coloro che, al parlamento o sui giornali ne chiedevano periodicamente l'abbandono definitivo. La concessione di Tianjin, che misura mezzo kilometro quadrato, costituiva in quel tempo poco meno di una vergogna nazionale. Sorgeva come tutte le altre concessioni, sulle rive del Pei-ho, ma a differenza delle altre essa presentava un aspetto desolato e desolante. Salvo una palazzina per il consolato una caserma, il resto non era se non una specie di palude, acqua e fango, periodicamente allagata o messa in secca dalle piene e dalle magre del fiume. E sugli isolotti, se così possono essere chiamati, sorgevano delle luride catapecchie abitate da cinesi. Tutto questo, a fianco delle altre concessioni, ridenti di Ville e palazzi, con strade asfaltate, tranvie elettriche, fognature, servizi pubblici d'ogni genere. Il settlement, era stato concesso nel 1901, durante l'occupazione internazionale, più per iniziativa di alcuni connazionali per volontà del Governo di Roma il quale non voleva saperne di «imprese coloniali». E per questo, tre anni prima, lo stesso Governo - se diversi gli uomini, non era diversa la mentalità - aveva ricordato un vergognoso scacco a proposito della baia di San Mun, a sud di Shanghai, imprudentemente occupata e poi subito abbandonata, davanti alla prima protesta diplomatica cinese. Al tempo della rivolta dei boxers e della successiva occupazione internazionale di Pechino di Tianjin era tornato a manifestarsi l'opportunità e la possibilità di un'affermazione politica e territoriale in Cina. Fu quindi per iniziativa di alcuni residenti che il ministro Salvago Raggi decise di far occupare una zona di terreno lungo il Pei-ho da parte di una compagnia di bersaglieri. La presa di possesso ebbe dapprima carattere provvisorio. L'occupazione militare di alcuni punti strategici della Cina - fra cui i forti di Ta-Ku, che sbarravano l'ingresso del Pei-ho (vale a dire la parte di acceso per Tianjin e Pechino) e quella dei forti di Shanghaikwan tra il mare e la Grande muraglia - se dovesse protrarsi 114


alcuni anni, e si protrasse realmente. Appariva quindi conveniente avere un punto di appoggio, e la concessione lo poteva essere. Il 7 giugno 1902 venne stabilito un accordo italo cinese che assegnava la concessione in perpetuo l'Italia. L'amministrazione era formata da un Consiglio presieduto dal Console e formato da residenti, con membri nazionali di maggioranza e con rappresentanze degli stranieri e i cinesi. La concessione non visse ma il vivacchiò fino al 1912, epoca nella quale vennero eseguiti i primi lavori di risanamento. Grazie alla sua posizione lungo il fiume e alla facilità di comunicazioni, La concessione prosperò rapidamente, e in un ventennio, si è trasformata ed è divenuta una delle più belle concessioni europee, attraversata dal tramvai ed illuminata a luce elettrica, con perfetti servizi pubblici. Le costruzioni si sono moltiplicate; sono sorti edifici d'abitazione, uffici, palazzine private. E abitate, oltre dal reparto di marinai che vi è di guarnigione, da circa 500 europei e da forse 5000 cinesi. L'importanza politica e militare della concessione, dopo il trasporto della capitale della Repubblica da Pechino a Nanchino, è molto diminuita, sebbene non possa dirsi annullata del tutto. Essa è legata alla funzione di Pechino nell'insieme della Cina, funzione che ora è divenuta secondaria ma che non è escluso - in Cina tutto è possibile - non possa diventare ancora di primo ordine, sebbene la vecchia capitale cinese abbia gran difetto della eccentricità e della vulnerabilità, in quanto troppo vicina alla frontiera settentrionale, e soprattutto ora a quella mancese. Non è invece diminuita la sua importanza commerciale, malgrado l'attuale conflitto con il Giappone abbia provocato un ristagno parziale degli affari. Ma la posizione geografica di Tianjin, che sta alla Cina settentrionale come Shanghai alla centrale, assicura alla città una sempre più grande importanza nel campo commerciale. Tianjin è un grande mercato dal quale passa un fiorentissimo commercio di importazioni e di esportazioni. Vi confluiscono tutti i prodotti dei quali è ricca la Cina: carbon fossile, arachidi, juta, lana di pecora, pelo di cammello, olio di cotone, oli minerali di resina, pelli animali, crine, argenteria, liquerizia, uova, canape, setole, ecc. L'importazione è pure assai ragguardevole: automobili, biciclette, cappelli da uomo, cotone, rame, nichel, marmi, conserve alimentari, tessuti di cotone e di lana, aghi da cucire, foderami, bottoni di metallo, colori di anilina. A 36 miglia dal mare, e alla confluenza del Pei-ho con lo Hun-ho, e con un grande canale navigabile che mette in comunicazione il porto di Tianjin con lo Jan-Tse-Kiang, la città non potrebbe avere più favorevole posizione. Tianjin, che ha una popolazione di circa 900.000 abitanti, giace su una pianura alluvionale, che si estende dai monti oltre Pechino fino al mare, attraverso la quale il Pei-ho scorre con giri e rigiri, per un corso tortuosissimo che rende di 70 miglia la via d'acqua tra Tianjin ed il mare, 115


mentre è di 30 miglia per ferrovia. C'è una università, parecchi cotonifici ed importanti mercati di riso e di sale. Unico elemento di incertezza nella situazione è la nuova condizione politica della Manciuria, la quale una volta indipendente, porterebbe il confine della Cina a Shanghaikwan, cioè a pochi chilometri da Tianjin. Ed è incognita grave, in quanto riguarda non solo l'avvenire politico della Cina settentrionale, ma anche quello economico.

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3.10. Italo Zingarelli - LA STAMPA, 30 agosto 1939 - Anno XVII

A TIEN TSIN, MA IN ITALIA Nascita, vita e sviluppo della nostra concessione in Cina

Tianjin, agosto. In Italia ci credono in pericolo imminente, minacciati dalla fame e dalla sete, in una parola costretti a minare una vita impossibile, quale in una zona di guerra deve essere, sappiano che noi - caldo ed insonnia a parte stiamo benissimo: noi viviamo sul territorio italiano e salutiamo il tricolore che sventola sugli edifici pubblici e molte case private. Benché in estremo oriente siamo in una graziosa cittadina italiana abbiamo un console che è anche il nostro podestà, una nostra polizia, un nostro ospedale (settantacinque posti letto), una nostra Chiesa ed una nostra farmacia e mangiamo all'italiana in un ristorante appartenente ad italiani e diretto da un astigiano, bevendo - se ci aggrada - buon Chianti, Capri, coronata, Barolo, Grignolino, i nostri liquori e le nostre migliori acque minerali. Il gigantesco fascio littorio di questo ritrovo la sera, illuminandosi la cupola alla quale si appoggia diventa il segnacolo della città. Chi lo scopre da lontano, arrivando col treno, dice: Siamo a Tianjin. Città in miniatura. La concessione italiana di Tianjin intitola le sue strade a Vittorio Emanuele III, a Marco Polo, a Galeazzo ciano, che in Cina è stato ministro plenipotenziario, il principe di Udine, all'eroico tenente Ermanno Carlotto - caduto qui durante la rivolta dei boxers - a Vettor Pisani, a Matteo Ricci, al marchese di San Giuliano. In piazza Regina Elena sorge la prima fontana di marmo adoperata in Cina per abbellimento stradale; abbiamo poi la piazza del littorio, via Tripoli, via Roma, via Trento e via Trieste. Ed è in sostanza una città in miniatura, che si percorre in lungo e in largo in breve tempo, l'intera superficie essendo di 462 mila e 600 metri quadrati, la rete stradale non superando gli 8 chilometri. Quanti sono gli abitanti? Due anni addietro non arrivava a diecimila: cominciata la guerra, fu un affluire di abitanti di altre concessioni, e di aree minacciate, ed i profughi di villaggi impauriti per il diffondersi della guerriglia e del terrorismo. Sebbene lo sviluppo edilizio fosse stato forte - per impedire il rincaro degli affitti ci volle un calmiere podestarile - amici e parenti dovettero accogliere nelle loro case tanta gente, che nel dicembre scorso si era 19.000 anime e oggi siamo sulle 23.000. In altri tempi generali e uomini politici compromessi in infelici avventure solevano ritirarsi della concessione italiana di Tianjin, per godersi in una ridente villa, avite o acquistate ricchezze; più che degli emigrati politici, costoro erano dei 117


pensionati dai quale non si poteva temere noie, anche perché in Cina, in ogni epoca al generale sconfitto in battaglia o ministro caduto in disgrazia, si sono fatti ponti d'oro. Ma nell'ultimo biennio la concessione non ha tenuto a dare asilo ad emissari di un qualsiasi campo, essendo la situazione ben diversa, e il controllo degli stranieri è stato tale, che chi doveva temerne l'ha evitato. Gli italiani sono circa centoventi (piemontesi, veneti, romani, napoletani e via via), altrettanti i marinai del battaglione San Marco che ha una bella caserma costruita nel 1924; la forza del battaglione è diminuita in seguito all'invio di un reparto a Shanghai. I nostri connazionali, mentre una quindicina di sacerdoti e suore si dedicavano alla parrocchia e all'ospedale, fanno i costruttori, gli importatori di prodotti alimentari e di manufatti, con i meccanici e i tessili alla testa, e sono spedizioniere, esercenti di autorimesse, fabbricanti di salumi, proprietari di edifici, di officine meccaniche e di aziende specializzate per gli impianti elettrici. Qualcuno copre tuttora alte cariche nell'amministrazione postale cinese, altri dirigono e inquadrano il corpo della nostra polizia del quale sono italiani il comandante, l'ispettore capo e due ispettori. Questa polizia, le cui origini risalgono al 1900, anno in cui un maresciallo dei carabinieri venne distaccato da Pechino con pochi uomini per porre le basi, ha un'organizzazione modello, italianissima, e te ne accorgi appena vedi sfilare al passo gli agenti, tutti cinesi, che portano con eleganza l'uniforme di tipo coloniale, hanno imparato il saluto fascista benissimo e camminano sveltamente con gli stivaloni, come se le pantofole non fossero state la calzatura della loro infanzia e della loro adolescenza. Compresi i pompieri, il corpo conta circa duecento uomini, che si occupano della circolazione stradale, dell'igiene dei mercati e della lotta contro la delinquenza, che nella nostra concessione non alligna: l'anno scorso i ladri fecero un magro bottino di $ 1500 e la polizia li rintracciò quasi interamente. Degli agenti una quindicina parlano l'italiano, alcuni l' inglese, altri il francese. Magnifici atleti, ottimi giocatori di pallacanestro, fino al 1936, cioè a dire sino alla vigilia dei disordini, i nostri agenti sono stati secondi nei campionati per la Cina settentrionale. La popolazione cinese stima la polizia italiana moltissimo e i giovani che riescano a farne parte accoppiano alla soddisfazione di potersene andare a casa a 55 anni compiuti, con un gruzzolo che permette loro di dedicarsi a un piccolo commercio. Il villaggio del '900. A Tianjin il tricolore fu piantato all'indomani della rivolta dei boxers, che scoppiò nel 1900. L'area sulla quale gli italiani hanno nel frattempo investito circa mezzo miliardo di lire, il 21 di gennaio del 1901, quando lo occuparono le nostre truppe che facevano parte della spedizione internazionale, villaggio di misere capanne costruite con canne, paglia e fango dai lavoratori delle saline. Un vasto tratto era paludoso, con specchi 118


d'acqua profondi tre o quattro metri, e lì i cinesi andavano a seppellire nei pezzi di terreno emergenti i loro morti: il luogo, racconta il comandante Fileti, un ex ufficiale di marina che fu per 15 anni console d'Italia a Tianjin, e non prese mai una licenza, rassomigliava a un cimitero abbandonato e allagato. Allorché il governo imperiale cinese, con atto del 7 giugno 1902, ebbe deceduto all'Italia il territorio, il Guardia marina Filippo Vanzini ne fece una pianta che va conservata tra i più vecchi documenti della nostra attività coloniale. A quei tempi l'espansione dell'Italia nel mondo, cosa che turbava la mente di pochi e prova ne sia che nell'apprendere che per valorizzare i terreni ci sarebbero voluti dei quattrini, dal governo negati, qualcuno consigliò senz'altro di restituire la concessione alla Cina. La valorizzazione fu iniziata, in un regime di diretta economia, da funzionari che altrimenti si sarebbero ridotti a custodi delle locali miserie e durante l'occupazione militare la reggenza fu tenuta dal tenente di vascello, comandante il reparto della regia marina distaccato a Tianjin. Introdotto il sistema tributario, organizzata dall'amministrazione, compilato il primo bilancio mensile, risultò che ammontando le spese a 900 lire e le entrate a 1350, rimanevano 450 lire da dedicare mensilmente alla valorizzazione. Sia premesso che la concessione non era neppure di livello uguale: per economico che fosse la manodopera cinese, prosciugamenti e colmate con quelle poche lire non era da pensare. Comunque si fecero. Il tenente del genio Cecchetti ragionò che non portando tutta l'area allo stesso livello, ci sarebbero voluti idrovori costosissimi per effettuare lo scolo delle acque, mentre con grandi lavori di sterro compiuti utilizzando le sabbie che il fiume Pei-Ho deponeva sulla nostra sponda, e con una fognatura, si sarebbe avuto il vantaggio di bonificare la zona dei laghi e di sottrarre, al tempo stesso, la concessione (mediante il rialzo del livello) al pericolo delle inondazioni periodiche: adottata, quest'idea si è dimostrata eccellente, tanto che nel 1917 un'alluvione che fece mezzo milioni di vittime e danni enormi, e inondò le concessioni straniere di Tianjin sulla destra del fiume, risparmiò all'italiana, sulla sinistra, che emerse dalle acque come un'isola. Ancora oggi, all'epoca delle piene, la nostra concessione non ha bisogno di prendere misure protettive. Per quest'opera fondamentale il governo anticipo sessantamila lire, somma che anche a quei tempi non bastava a far considerare una ragazza a un buon partito, e siccome le sessantamila lire fecero presto ad andarsene, bisognò altrettanto presto procedere alla valorizzazione dei terreni bonificati, permettendo ad una società belga di impiantare una linea tranviaria destinata a congiungere, attraverso la nostra area, la città cinese con la stazione ferroviaria. Il contratto, che rese necessaria la costruzione di un ponte in ferro e dell'odierno corso Vittorio Emanuele III, assicurò alla municipalità una partecipazione agli utili della società belga, che dovette pure fornire di luce la zona, eseguendo a proprie spese 119


l'impianto dell'illuminazione stradale. Contemporaneamente fu costruito l'acquedotto. Verso il 1915 si trattò infine di invogliare dei privati e delle imprese ad acquistare dei terreni per far risorgere delle case e non era facile, giacché tutti davano preferenza alla concessione britannica o alla francese o alla tedesca, che già offrivano maggiori comodità di vita. Ci si riuscì cedendo i primi terreni sottoposto, e con agevolazioni, e questo invogliò anche parecchi degli italiani residenti - non numerosi - che investirono i loro risparmi. Tutta ville e villini, per il suo verde, i suoi fiori, i suoi giardini, La concessione italiana, pioniera nell'adozione delle strade asfaltate, sotto l'aspetto edilizio differisce grandemente dalle altre che ricordano piuttosto tipiche strade e piazze ed edifici dei rispettivi paesi, e come è stata la prima ad ammettere i cinesi a risiedere in condizioni di assoluta uguaglianza, così è stata nel 1920 la prima ad aprire ai cinesi i cancelli del suo giardino pubblico. Dopo l'arresto determinato dalla guerra e dal periodo immediatamente successivo, nel '21 la concessione s'è regalata un municipio di stile toscano e tra il '23 e '33 ha avuto il suo massimo sviluppo. Per favorire gli esportatori italiani, due anni or sono è stato istituito un centro commerciale italiano, che fa propaganda per le nostre industrie ed il nostro turismo. Il Fascio, fondato nel 1923, e intitolato a Gino Baccella, medaglia d'oro, e la sede si trova nella Casa d'Italia, edificio che rappresenta il nostro stile più moderno. Il giuramento degli irredenti. Costretta a mettersi cinque o sei volte, nel breve corso della sua esistenza, in stato di difesa o per tener lontano fazioni schieratesi attorno ad ambizioni generali cinesi, o temendosi altre rivolte tipo boxers, , o mantenersi neutrale nel conflitto fra Giappone e Cina, la concessione italiana di Tianjin, efficacemente protetta, nelle vicende locali non ha avuto che pochissime vittime e l'ultima è stata il marinaio Renzo Consolini, che la sera del 29 luglio del 1937, quando i cinesi attaccarono la vicina stazione ferroviaria, fu colpito, stando di vedetta sulla torre del municipio, da una pallottola di una mitragliatrice cinese; nella stessa circostanza cadde un nostro agente di polizia cinese, mentre altri due rimasero feriti. Pagine bellissime della storia della concessione parlano dell'accoglienza fatta agli italiani delle province redente caduti in prigionia di guerra russa, avviati dalla Siberia verso Tianjin per essere rimandati in Europa. Ne vennero più di 1500: arrivarono scalzi, laceri, denutriti, in condizioni che destava pietà e ribrezzo, e per alloggiarli si adattarono a caserme pure i mercati e le case private, e per curarli fu trasformato in ospedale anche l'edificio della polizia. Per vestirli, svuotati che furono i magazzini, fu impiantata una speciale sartoria. Fu a Tianjin che gli irredenti mandati dall'Austria a combattere in Russia prestarono giuramento di fedeltà alla Patria ricuperata. Uno è morto qui: riposa dunque in terra italiana. Qualcuno è rimasto qui a lavorare, o è tornato. 120


E' capo di questa comunità italiana un trentino, volontario di guerra, medaglia d'oro.

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Piazza Regina Elena, cartolina a colori, Anni'30, con scritta in giapponese e inglese. A sinistra il Forum. (Proprietà dell'Autore)

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4. UN SAVIGLIANESE A TIANJIN: MARIO STEFANO MOLLEA, CANNONIERE DEL BATTAGLIONE SAN MARCO.

Mario Stefano Mollea, con la divisa del Battaglione San Marco. (Pola, Istria, fine anni ’20)

Mario Stefano Mollea nacque a Savigliano, in provincia di Cuneo, il 19 giugno 1910. Ultimo figlio di una famiglia numerosa, iniziò a lavorare alla S.N.O.S. 257, per poi trasferirsi a Pola per il servizio militare nella Regia Marina ed in particolare nel Battaglione San Marco. 258

La Società Nazionale delle Officine di Savigliano (SNOS) venne fondata il 2 aprile 1880: oggetto dell’impresa furono la costruzione e la riparazione di materiale ferroviario, ponti metallici, tettoie, macchinario elettrico e, in genere, lavorazione del legname. La sede delle officine fu individuata in uno stabilimento situato nel comune di Savigliano, in provincia di Cuneo, dove sorgevano i capannoni già appartenuti alla società concessionaria della ferrovia Torino-Cuneo. Nel 1889, dopo la fusione con la Società Anonima Italiana Ausiliare, si trasferì nella città di Torino, negli stabilimenti di Corso Mortara, dove proseguì la propria attività fino al 1999, anno in cui venne smantellata. Gli stabilimenti di Savigliano passarono invece alla Fiat Ferroviaria nel 1975 e alla ALSTOM nel 2000, che li possiede tutt’ora con il nome di ALSTOM Ferroviaria. (N.d.A.) 258 Il Reggimento San Marco è un'unità militare di fucilieri di marina in forza alla Marina Militare Italiana e costituisce, insieme al Reggimento Lagunari Serenissima, in 257

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Imbarcato sulla Regia Nave Libia per la Campagna Estremo Oriente, dal 1931 al 1932 fu a Tianjin con il Battaglione Italiano a difesa della concessione e ai Forti di Shanhaiguan, dove il nostro paese possedeva una caserma ottenuta dopo il Trattato del 1901. Visitò anche Pechino. Combattè nella Guerra d'Etiopia (1935-36), ma a causa di problemi di salute fu congedato e non venne impiegato nella Seconda Guerra Mondiale. Ritornò a Savigliano, dove si sposò nel 1938 con Natalina Ferrari e dove continuò l’attività di famiglia. Ebbe due figli, Pierangelo, nato nel 1939 e Giovanni Battista, nato nel 1943 e scomparso nel 2016. Morì a Savigliano il 23 gennaio 1963. Mario Stefano Mollea ha lasciato in eredità una collezione di fotografie uniche ed eccezionali: due album che contengono una raccolta di istantanee a ricordo di questa grande avventura con scene che spaziano dalla Caserma Ermanno Carlotto alle vedute della concessione di Tianjin, dalle scene di vita con i commilitoni alle caserme italiana ed estere di Shanhaiguan e ai monumenti più significativi di Pechino. Scene di vita pubblica ed ufficiale si alternano a scene di vita allegre e gioviali insieme ai compagni d’armi. forza all'Esercito Italiano, la componente anfibia delle Forze Armate Italiane. Le origini risalgono al 1713, quando Vittorio Amedeo II di Savoia, istituì il Reggimento La Marina, un reparto costituito da marinai della squadra navale. Nel 1815 il Reggimento venne ampliato e impiegato anche durante la Prima Guerra d'Indipendenza; per volere del Conte di Cavour divenne Fanteria Real Marina nel 1861. Utilizzati in diversi conflitti (Tunisia, Creta) nel 1900 sbarcarono in Cina per combattere contro i Boxer. La nuova Brigata Marina, costituita nel 1915 si distinse in Libia (1911) e durante la Grande Guerra (1915-18). A partire dal 17 marzo 1919, con decreto di re Vittorio Emanuele III la brigata fu costituita come Reparto di Fanteria Marina: il 25 marzo 1919 la città di Venezia concedeva al reparto di fregiarsi del proprio stemma, il leone alato, come ringraziamento per il valore dimostrato da quegli uomini. Da allora prese il nome di San Marco. In seguito ai disordini verificatisi in Cina nel 1924, il battaglione venne inviato a Tientsin con la R.N. Libia e nello stesso anno, per volere di Mussolini, creato il Battaglione Italiano in Cina. La cerimonia ufficiale d'insediamento fu celebrata il 5 marzo 1925. Le compagnie che formavano il Battaglione erano San Marco, Libia e San Giorgio; il loro compito quello di garantire le comunicazioni tra Pechino e il mare, la protezione degli Italiani e dei loro interessi e come forza di copertura per lo sbarco di altre truppe eventualmente inviate in Cina. Durante i mesi estivi le compagnie venivano inviate a turno presso i forti di Shanhaiguan per completare le istruzioni di tiro e di carattere tattico. Al momento dell'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940, la concessione era presidiata da circa 300 marinai del Reggimento San Marco; con il Giappone ancora neutrale, fino al dicembre del '41, le truppe italiane in Cina vissero un periodo relativamente tranquillo; successivamente, come alleati, i rapporti si mantennero abbastanza cordiali fino al 25 luglio 1943, quando l'avvento del Governo Badoglio determinò un clima di sospetto e diffidenza verso l'alleato italiano. Dopo l'armistizio, l'8 settembre 1943, le truppe giapponesi entrarono nella concessione e nella caserma Ermanno Carlotto, disarmarono i soldati, requisirono le armi ed arrestarono e internarono quelli considerati traditori, cioè coloro i quali si proclamarono fedeli al Re e non alla Repubblica Sociale. Il 10 febbraio 1947 il Trattato di Parigi soppresse la concessione italiana di Tientsin e i 300 marinai del battaglione San Marco prigionieri degli Alleati in Cina e Giappone furono lentamente rimpatriati. (RASTELLI, A. Italiani a Shanghai. La Regia Marina in Estremo Oriente, Mursia, 2011, pp. 32-60; www.trentoincina.it; http://btgsanmarco.it.).

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Buona parte delle immagini non presentano né date né indicazioni geografiche o di eventi (solo quelle scattate al forte di Shanhaiguan hanno il nome della località scritto sul retro a matita), pertanto si è cercati di essere il più precisi possibili nell’indicare date e luoghi. Senza dubbio la raccolta meriterebbe uno studio più approfondito e una pubblicazione dedicata. Si ringrazia la famiglia Mollea, in particolar modo Francesca, nipote di Mario Stefano, e sua madre Gabriella, moglie di Giovanni, per aver concesso l’onore di pubblicare per la prima volta una selezione di fotografie tratte da questo eccezionale reperto storico, e per aver ricostruito, con difficoltà, la biografia del nonno, scomparso prematuramente molti anni fa.

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LA CASERMA ERMANNO CARLOTTO - vedute interne -

Veduta del cortile della caserma.

Armeria.

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Sala lettura.

Sala ristoro per i soldati.

Sala da pranzo di rappresentanza.

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Mensa dei soldati.

Bar.

Cucine.

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Sala da pranzo per gli ufficiali.

Soggiorno per ufficiali.

Palestra.

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Salotto ufficiali.

Infermeria.

Camerate.

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LA VISITA DI EDDA CIANO MUSSOLINI PER IL NATALE DI ROMA E SAGGIO GINNICO - 21 APRILE 1932

Edda Ciano (prima a sinistra) accompagnata dai membri del Partito e dagli ufficiali della Regia Marina.

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MESSA DI PASQUA ALL'INTERNO DELLA CASERMA CARLOTTO - MAGGIO 1932

Mario Mollea è indicato dalla freccia.

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VEDUTE DELLA CONCESSIONE

Il Ponte Austriaco, che collegava la città cinese (a sinistra) a Corso Vittorio Emanuele III attraverso la ex concessione Austro-Ungarica (a destra). Si notino i fili del Tranway.

Corso Vittorio Emanuele III.

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Via Vincenzo Rossi, soldati e posto di guardia in seguito ai disordini dovuti all’invasione Giapponese della Manciuria. L'edificio alla spalle (esistente ancora oggi) era la residenza di Tang Yulin, Signore della Guerra della Cricca del Fengtien.

Presidio di soldati sulla Banchina d'Italia.

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Cavalli di Frisia e filo spinato a protezione della concessione.

La Banchina d'Italia (a destra) vista dal lato di quella giapponese.

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SHANHAIGUAN. CAMPO ALLA GRANDE MURAGLIA.

Il tratto finale della Grande Muraglia a Shanhaiguan: in fondo, il mare.

Il Battaglione Italiano sulla Grande Muraglia.

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Il rancio. ( Mario Mollea, in piedi a sinistra)

L'accampamento con la bandiera del Regno d'Italia.

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L'accampamento.

Mario Mollea (primo a destra).

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SHANHAIGUAN. LA CASERMA ITALIANA.

L'ingresso alla caserma con il motto "Dio, Patria, Re".

Mario Mollea.

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Esercitazioni militari nel cortile della Caserma Italiana.

Treno per il trasporto truppe.

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La Caserma Italiana. Veduta d'insieme.

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Autoblindo Lancia. (Mario Mollea, secondo da destra)

La Caserma Giapponese. Esercitazione di soldati nipponici.

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5. ALLEGATI. 5.1. ACCORDO CON LA CINA PER IL SETTLEMENT DI TIANJIN. 259 S.E. il Conte Gallina, Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario di S.M. il Re d'Italia in Cina, e S.E. Tang-shao-i, Taotai delle Dogane marittime di Tianjin, ecc. ecc., hanno convenuto quanto segue:

ART. 1 - Per favorire lo sviluppo del commercio italiano nel Nord della Cina e specialmente nella provincia del Cili, il Governo cinese consente a cedere in perpetuità al Governo italiano, come Concessione, un'estensione di terreno sulle rive del fiume Peiho, nella quale il Governo italiano eserciterà piena giurisdizione, nello stesso modo stabilito per le Concessioni ottenute da altre nazioni. ART. 2 - La linea di confine della Concessione italiana è la seguente: comincia dal punto A, segnato nel piano accluso, sulla ferrovia e, seguendo il limite di confine della Concessione russa, finisce sul fiume Peiho al punto marcato B, di qui, volgendo verso Nord, segue la riva del fiume fino ad incontrare il limite in pietra al punto marcato C. Da questo punto volgendo verso Est, segue la linea rossa marcata sul piano e giunge di nuovo alla ferrovia nel punto D. Di qui, seguendo la linea ferroviaria, torna al punto di partenza A. La linea DA è però considerata provvisoria, a causa di proprietà reclamate dalla ferrovia al Nord della linea. Negoziati speciali avranno luogo tra la Legazione italiana e l'Amministrazione della ferrovia, ed al confine DA sarà fissato a norma di questo speciale accordo definitivo. Per evitare ogni possibile malinteso e confusione, sono state già poste, dalle Autorità italiane, pietre di limite che definiscono esattamente la linea di confine da tutti i lati. ART. 3 - Tutto il terreno governativo nella detta Concessione sarà dato dal Governo cinese gratis al Governo italiano, che ne diventerà regolare proprietario senza alcun pagamento.

ART. 4 - Il deposito del sale è di proprietà di una Compagnia privata con monopolio governativo: il Governo italiano, avendo preso pieno ed esclusivo possesso di quel terreno, si obbliga di trovare, d'accordo coi mercanti del sale, un terreno sulle rive del Peiho, conveniente a quell'industria, e si obbliga pure di pagarne il prezzo ed i lavori necessarii ad adattamento a banchina del sale. 259

CATELLANI, 1915, pp. 473-476.

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ART. 5 - I Cinesi proprietari, che hanno titoli regolari, saranno lasciati in possesso delle loro proprietà. L'Italia però si riserva il diritto, a qualunque epoca, di dichiarare di propria iniziativa se vi sia utilità pubblica ed igienica, o se lo richieda l'affluenza dei commercianti italiani e lo sviluppo della Concessione, e potrà allora, volta per volta, equamente, acquistare tutte le proprietà della Concessione. Per il prezzo delle case o del terreno si porrà direttamente a trattare coi proprietari. L'area di terreno in questione è densamente popolata. Il prezzo dei terreni e delle case dovrà essere uguale al prezzo corrisposto nella Concessione giapponese, meno il 10%, secondo la classificazione che sarà fatta dalla Municipalità del Settlement. Il terreno che non occorre al Governo italiano, sarà lasciato proprietà del popolo, che potrà liberamente acquistarlo o venderlo. Solo non potrà venderlo a stranieri; né potrà fittarlo od ipotecarlo senza previo permesso della Municipalità italiana. Al tempo della compera della proprietà, versato che sia il prezzo, si permetterà però ai proprietari di continuare, temporaneamente, a risiedere ancora, per sei mesi dopo la data del pagamento. Sarà però anche ammesso un accordo diverso fra le due parti. ART. 6 -Se nella Concessione si trovano proprietà senza padrone, o il cui padrone sia sconosciuto, l'Italia pubblicherà un proclama perché il proprietario venga avvertito e presenti i suoi titoli. Se 12 mesi dopo la proclamazione del detto proclama, nessuno si presenta, la Municipalità italiana può confiscare detto terreno. ART. 7 - Non è permesso di riparare le case che ora si trovano distrutte nella Concessione. Ma se il proprietario ha titoli regolari da presentare, l'Italia potrà, a norma dell'art. 6, acquistarle. ART. 8 - I Cinesi potranno acquistare terreno nel settlement e risiedervi. Ma occorre che si conformino ai regolamenti che l'Italia stabilirà appositamente in futuro.

ART. 9 - Per le tombe che si trovano nella Concessione, se il proprietario le rimuove lui stesso, allora l'Italia gli pagherà per ogni feretro, la somma di quattro taels, senza pagare il prezzo del terreno. Se si tratta poi di cimitero pubblico, per il trasporto e la cessione le Autorità locali e il delegato italiano si porranno d'accordo. Le spese per la compera del terreno e il trasporto delle sepolture, saranno a carico dell'Italia.

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ART. 10 - Se altre Potenze, trattando questioni di Concessione con il Governo cinese, ne ottengono speciali vantaggi, l'Italia, fondandosi sul diritto della nazione più favorita, godrà anch'essa di identici privilegi.

ART. 11 - Dopo che la Convezione sarà firmata, il Ministro per il commercio del Nord pubblicherà subito un proclama per annunziare che detta località è stata già data al Governo italiano come Concessione.

ART. 12 - Il Governo italiano, corrisponderà al Governo Cinese il fitto annuo di un tiao di sapeche da consegnarsi alle Autorità locali per ogni mu di terreno dell'area della attuale Concessione, come è stato disposto egualmente negli accordi di Concessione conclusi con altre Potenze. ART. 13 - La Municipalità italiana della Concessione non si opporrà a che Compagnie telegrafiche e telefoniche dello Stato piantino dei pali nella Concessione per necessità di comunicazione.

ART. 14 - La Cina preparerà cinque copie di questo accordo, che saranno accompagnate dal testo italiano e dalla pianta della Concessione e munite della firma e del suggello ufficiale di S.E. il Conte Giovanni Gallina, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di S.M. il Re d'Italia in Cina e di Tangshaoi, Delegato di S.E. il Governatore Generale del Cili, Taotai delle Dogane marittime di Tianjin, ecc. Di queste cinque copie, una sarà depositata nel Ministero degli Affari Esteri in Cina, una nell'Ufficio del Governatore Generale del Cili, una nella R. Legazione d'Italia a Pechino, una nell'Ufficio del Taotai delle Dogane marittime di Tianjin ed una nel Regio Consolato di Tianjin. Pechino, 7 giugno 1902.

Firmato: G. GALLINA - Firmato: TANG

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5.2. REGOLAMENTO FONDAMENTALE DELLA CONCESSIONE ITALIANA IN TIANJIN. 260 ART. 1. La Concessione italiana di Tianjin deve essere retta da un'Amministrazione municipale elettiva sotto la direzione effettiva del regio Console o di chi ne fa le veci e sotto l'alto controllo della Legazione di sua maestà in Cina. Elettori sono gli italiani dimoranti in Tianjin, posseggano o no nella Concessione, e i sudditi di altre potenze estere che siano proprietari nella Concessione. Un regolamento speciale fisserà le norme per l'elezione e il funzionamento dell'Amministrazione municipale.

ART. 2. I sudditi italiani hanno diritto di comperare o affittare terreni della Concessione. I sudditi di altre potenze estere in Cina potranno godere dello stesso diritto, solo dopo consegna di una dichiarazione scritta, approvata e vidimata dai rispettivi consoli, di obbedire a tutti i regolamenti che per la Concessione abbiano emesso o siano per emettere in futuro, tanto l'Amministrazione municipale di essa quanto il regio Consolato in Tianjin o le superiori autorità. Ove siffatta obbedienza venisse, da parte dei detti sudditi esteri, a mancare, il regio Consolato avrà pieno ed assoluto diritto di espellerli e di far porre all'asta, entro sei mesi dall'espulsione, tutti gli immobili di loro proprietà della Concessione. Anche di siffatta condizione sarà fatta espressa menzione della dichiarazione di cui sopra. I sudditi cinesi potranno acquistare proprietà, solo se espressamente autorizzati dal regio Consolato. L'eventuale autorizzazione non sarà rilasciata che dietro consegna di una dichiarazione analoga a quella richiesta dalle Potenze. Le norme tutte, di cui sopra, avranno pieno valore anche di fronte a chi avesse a divenire proprietario in seguito ad una presa ipoteca. ART. 3. Quando l'Amministrazione della Concessione sia autorizzata a vendere dei terreni, li porrà di regola all'asta per lasciarli al miglior offerente. Tuttavia, onde sempre più garantire il carattere nazionale della Concessione, il regio governo è disposto a cedere, quando gli sembra opportuno, dei terreni ad italiani, anche a trattativa privata e non all'asta, o a un'asta riservata solo agli italiani, ma alla condizione che gli italiani acquirenti si obblighino a rispettare le seguenti condizioni: a) in caso l'acquirente voglia disfarsi del terreno cedutogli, o di parte di esso, dovrà farne la prima offerta all'Amministrazione della Concessione, la quale potrà, se voglia, farne il riacquisto, mediante pagamento del primitivo presso cui vendè - o del

260

CATELLANI, 1915, pp. 476-479.

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prezzo promozionale, si tratta di una parte - aumentati dell'interesse composto del 5% per anno; b) l'acquirente potrà, se vuole, ipotecare il terreno acquistato; ma all'atto di ipoteca dovrà essere specificato che nel caso l'ipotecario in futuro abbia ragione di far agire l'ipoteca, dovrà, per quanto riguarda il terreno, sottostare anche l'Amministrazione della Concessione lo riacquisti, se così le piaccia, per il prezzo cui essa l'aveva ceduto all'ipotecante, aumentato dell'interesse composto del 5% per anno. Solo in caso l'Amministrazione della Concessione rifiuti di esercitare tale suo diritto, l'ipoteca avrà il suo libero corso. Se invece l'Amministrazione della Concessione ritenga conveniente riacquistare il terreno ipotecato, e se su questo siano sorti fabbricati, essa si obbliga a cederlo all'aggiudicatario dei fabbricati a un prezzo non superiore al valore di stima del giorno, che sarà eseguita dalla stessa commissione che procederà alla stima dei terreni della Concessione per il pagamento della tassa fondiaria. Tale valore di stima sarà reso di pubblica ragione prima della messa all'incanto dei fabbricati.

ART. 4. Le eventuali vendite di terreni da parte dell'Amministrazione della Concessione, saranno decise esclusivamente dal regio Consolato che provocherà la previa approvazione della Legazione.

ART. 5. Tutti gli atti di compravendita e affitto relativi alla proprietà immobiliare nella Concessione, dovranno essere rogati presso il regio Consolato in Tianjin o di essere registrati entro un mese. Trascorso detto periodo, sarà inflitta una multa non superiore a cento dollari. Gli atti concernenti ipoteche su dette proprietà dovranno pure essere eseguiti presso il regio Consolato in Tianjin, nel modo richiesto dalla legge. In caso contrario, a tali atti non sarà riconosciuto nessun diritto di precedenza su altri diritti che fossero vantati sulle proprietà in parola. ART. 6. Un piano catastale sarà depositato nel regio Consolato, ove potrà essere consultato dagli interessati. I proprietari potranno chiedere degli estratti, dietro pagamento di un tael per mu (600 mq). Ad ogni registrazione o di trasferimento, il Consolato richiederà uno di tali estratti. Esisterà al Consolato un registro dei trasferimenti, su cui saranno iscritte tutte le variazioni nello stato di proprietà. 147


Pechino, 4 luglio 1913. Il Regio Ministro. C. SFORZA.

ARTICOLI ADDIZIONALI E TRANSITORI.

ART. 1. Finché il regio Governo non ritenga opportuno costituire un'Amministrazione municipale, la Concessione sarà amministrata dal Consolato o per tramite di un regio Amministratore. La Legazione d'Italia in Cina avrà il controllo di tale Amministrazione. ART. 2. Le vendite di favore agli italiani, delle quali all'articolo 3 del regolamento fondamentale, non avranno luogo che nella misura e tempo consentiti dal bilancio della Concessione, la cui Amministrazione provvederà anche almeno un lotto di terreno rimanga sempre disponibile per la cessione, alle condizioni di cui sopra, agli italiani nuovi arrivati. Tra eventuali varie richieste per vendite di favore, sarà favorito il connazionale che intenda impiantare un'industria o un commercio, o che meno possieda nella Concessione. Pechino, 4 luglio 1913. Il Regio Ministro. C. SFORZA.

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5.3. REGOLAMENTO DI POLIZIA ED IGIENE. 261 ART. 1. Le carte da gioco, i giochi d'azzardo, le case di tolleranza e in genere tutte le manifestazioni immorali o scandalose sono proibite. ART. 2. La mendicità è proibita. ART. 3. È proibito fumare oppio in qualsiasi luogo. ART. 4. Nessun pubblico esercizio potrà essere aperto senza autorizzazione dell'autorità di polizia. ART. 5. I venditori ambulanti dovranno essere muniti di licenza. ART. 6. Tutti i ruotabili dovranno essere parimenti muniti di licenza, fissata bene in vista, e durante la notte portare un fanale acceso. ART. 7. I pubblici esercizi dovranno essere chiusi alle 23, salvo ad ottenere volta per volta speciali permessi. ART. 8. I conduttori dei veicoli e i cavalieri dovranno mantenere un'andatura regolare, e quando con la loro imprudenza diano occasione ad accidenti anche non gravi, e quando non tengano la sinistra sulla strada, saranno passibili di pena pecuniaria. ART. 9. I quadrupedi e i dovranno stazionare nei luoghi indicati. ART. 10. A nessun ruotabile o cavaliere e permesso per correre il marciapiede. ART. 11. È proibito occupare il terreno con mercanzie o depositi di qualsiasi genere, senza preventiva autorizzazione. ART. 12. Chi ottiene il permesso di fare depositi con mercanzie e altri materiali o di eseguire riparazioni in vicinanza delle strade o lungo le medesime, dovrà porre lanterne accese durante la notte ovunque ciò appaia opportuno per evitare accidenti. ART. 13. Tutte le costruzioni anche provvisorie atte ad impedire la libera circolazione sono proibite. ART. 14. È proibito danneggiare le opere pubbliche e di pubblica utilità. ART. 15. Sono vietati depositi di polvere, San Pietro, petrolio e di altre materie infiammabili atte a compromettere l'incolumità pubblica, nonché l'accensione di fuochi artificiali o comuni nell'abitato, lo sparo di petardi, eccetera, senza averne ottenuta autorizzazione. ART. 16. E proibito gettare immondizie e acque sporche fuori dei luoghi assegnati. E proibito sciorinare biancheria od altro dalle finestre o balconi prospicienti le strade principali. ART. 17. I rivenduglioli non potranno esporre la loro mercanzia al pubblico, su posti fissi, senza averne ottenuto il permesso. ART. 18. I negozianti sono tenuti di esporre delle insegne in italiano e cinese. Sarà loro permesso di tenerne in qualsiasi altra lingua straniera, ma alla condizione che anche una in italiano sia esposta. ART. 19. Sono vietati il commercio e la detenzione di mercanzie esalanti cattivi odori atti a compromettere la sanità pubblica. 261

CATELLANI, 1915, pp. 480-485.

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ART. 20. Tutti i cani dovranno portare un collare col nome del padrone e una medaglia numerata rilasciata dal capo della polizia. Ogni proprietario di cani pagherà una tassa di dollari tre ogni anno e per cane. ART. 21. I cani circolanti in Concessione devono inoltre essere di museruola, o tenuti a mano con una cordicella. ART. 22. I cani sprovvisti di collare e di museruola saranno uccisi; gli altri saranno presi e uccisi dopo 24 ore, qualora non siano stati reclamati dai proprietari. Le contravvenzioni agli articoli 20, 21,22, sono punite per la prima volta con la multa di dollari cinque; le successive con dollari 10. ART. 23. Tutti i galleggianti, che accostano alla banchina della Concessione, dovranno pagare un diritto di attraccaggio proporzionato al loro tonnellaggio. ART. 24. Può essere concessa la licenza per apertura di teatri cinesi, purché i proprietari si impegnino di garantire la morale e l'incolumità pubblica. Alle ore 23:30 le rappresentazioni devono cessare ed i teatri si devono chiudere. ART. 25. Chiunque per qualsiasi titolo si trovi investito della proprietà o dell'amministrazione di case dovrà, entro 15 giorni, dichiarare all'ufficio di pubblica sicurezza a quali persone abbia affittato o, a qualsiasi titolo, concesso l'uso dei locali dello stabile. Non dichiarata ancora successivamente tutti i cambiamenti che sopraggiungessero, e nel tempo di 15 giorni dall'avvenuto cambiamento. Lo stesso obbligo spetta a coloro che, prendendo in affitto appartamenti o altri locali, li subaffittassero ad altri. Entro gli stessi termini ogni capo di famiglia deve indicare tutti i componenti e successivamente notificare i cambiamenti che accadono nella composizione di essa, specificando il nome, cognome e le altre qualifiche delle persone che entrano a farne parte e di quelle che ne escono. Coloro che sono preposti alla direzione di convitti, alberghi, ospizi di ogni genere, si pubblici che privati, sono pure obbligati a dare il nome delle persone che accolgono nei loro stabilimenti e di quelle che ne escono. Le dichiarazioni di che è parola nel presente articolo, devono farsi direttamente all'ufficio di pubblica sicurezza sopra stampati che saranno, a richiesta, forniti dall'ufficio stesso. Gli alberghi dovranno tenere un registro dei passeggeri, nel quale sarà annotato il nome e cognome, la professione, la provenienza, la destinazione del viaggiatore, il giorno dell'arrivo e la data di partenza. 150


Le contravvenzioni alle disposizioni in parola saranno unite con l'ammenda sino a dollari cinque, estensibile a dollari 10 in caso di recidiva. ART. 26. Appena constatato in Concessione un caso di malattia di carattere epidemico, esso deve subito essere denunciato all'ufficio di pubblica sicurezza. Avviso deve anche subito darsi dei casi di morte in genere, ed è obbligo di presentare la dichiarazione relativa di un medico, ove sarà specificato da qualche malattia o quale accidente fu prodotta la notte. I morti di malattia non contagiosa debbono essere seppelliti non più tardi di 36 ore dopo la constatazione medica. I morti invece per malattia infettiva devono essere seppelliti appena sbrigate le pratiche sanitarie, ed i parenti del defunto devono sottoporsi a tutte le disinfezioni e a tutte quelle altre disposizioni (compreso il trasporto in locali d'isolamento) che saranno suggerite dal medico della Concessione nell'interesse della salute pubblica. ART. 27. Ogni proprietario di case e stabili di qualsiasi genere, che affidi ad altri suoi immobili, o parte di essi, e tenuto a informare i suoi inquilini degli obblighi speciali che loro incombono nell'atto stesso che vengono a risiedere nella Concessione. Nel contratto d'affitto deve pertanto essere chiaramente menzionato che l'affittuario, presa conoscenza dei regolamenti della Concessione, si impegna a rispettarli. ART. 28. Nei contratti d'affitto deve inoltre essere considerata come causa di rescissione la mancanza di adempimento da parte dell'inquilino agli obblighi di cui all'articolo 27. ART. 29. L'affittante è moralmente responsabile, verso l'autorità della Concessione, della condotta del proprio inquilino. Egli non potrà quindi reclamare nessun compenso dall'amministrazione della Concessione nel caso che il di lui inquilino, straniero o cinese, avendo meritata, per qualsiasi motivo, l'espulsione dalla Concessione, venisse con ciò a dichiararsi nullo il di lui contratto d'affitto. L'affittante potrà solo far valere i suoi diritti presso l'autorità dalla quale dipende il proprio affittuario. ART. 30. A titolo di misura sanitaria, obbligo è fatto a tutti i proprietari di casa, il cui affitto è, o viene stimato, superiore a tael 15 mensili, di provvedere la casa stessa di un impianto per l'acqua potabile corrente. ART. 31. La pulitura delle fosse antisettiche, ed il trattamento in genere delle materie fecali, o emananti odori sgradevoli, dovrà farsi tra le 24 e l'alba. Detto trasporto sarà sotto il controllo dell'autorità, e mediante un compenso mensile all'impresario da parte del richiedente. ART. 32. Nella zona da espropriare, gli abitanti sono tenuti a osservare quanto segue: 151


a) pulire ogni mattina, oltre che la casa, anche il tratto di strada corrispondente; b) tenere un lume acceso davanti la porta dell'abitazione fino alle 24:00; c) non intraprendere nuove costruzioni, né eseguire riparazioni senza autorizzazione; d) non vendere né passare ad altri la proprietà di stabili o terreni senza autorizzazione; e) denunciare i decessi, le malattie di carattere epidemico, le nascite e matrimoni; f) non seppellire i morti in Concessione; g) non possedere armi e munizioni; h) chiedere autorizzazione per le nenie dei morti, matrimoni, anniversari, eccetera, e così per le rispettive processioni; i) ogni famiglia deve essere munita di una carta di censimento tenuta costantemente in regola; j) chiunque circoli a notte avanzata deve tenere fanale acceso. Chiunque voglia attraversare la Concessione con cadaveri, processioni funerarie, o matrimoni, dovrà ottenere il permesso preventivo. I cantastorie e i pubblici trattenimenti devono essere autorizzati dall'ufficio di polizia. Il cinese di cattiva condotta potrà essere espulso dalla Concessione. ART. 33. Tutte le contravvenzioni al presente regolamento saranno punite o con pene pecuniarie da fissarsi secondo l'importanza della contravvenzione, con la espulsione dalla Concessione, e sempre quando non rivestano gravità, per essere accompagnate da oltraggi, violenze, resistenze, eccetera, agli agenti incaricati di contrastarle; nel qual caso i cinesi saranno deferiti al tribunale cinese e gli stranieri ai rispettivi consolati. Tianjin, 4 luglio 1913.

Il Reggente il R. Consolato F. FILETI.

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5.4. REGOLAMENTO EDILIZIO. 262 ART. 1. Tutti i fabbricati lungo il corso Vittorio Emanuele dovranno essere di stile europeo ed esclusivamente abitati da europei di buoni costumi, o anche da cinesi di elevata situazione sociale che ne ottengano il permesso dal regio Consolato. Detti fabbricati potranno essere adibiti ad uso negozio, se diretti ed amministrati da europei e per generi di lusso europei. I lotti lungo il fiume saranno adibiti ad uso di depositi per le merci in genere. Sulla parte nord dei lotti fiancheggianti la linea ferroviaria potranno costruirsi dei magazzini (godowns) purché diano sufficiente garanzia di sicurezza. Vi sono proibiti i depositi scoperti. Nel resto della concessione saranno permesse anche costruzioni del così detto stile semi-foreign, ma purché decoroso, e con piano superiore sul fronte stradale. ART. 2. Tutti i piani di costruzione, di qualsiasi genere, dovranno essere in precedenza presentati al regio Consolato, e riceverne l'approvazione preventiva. La spesa preventiva approvazione dovranno ricevere le successive modificazioni o riparazione, che man mano fossero ritenute convenienti dai proprietari. Delle riparazioni potranno anche essere direttamente ordinate dal regio Consolato tutte le volte che le crederà necessarie per ragioni di pubblica sicurezza o di igiene. ART. 3. Il livello del pianterreno di ogni applicato non dovrà essere inferiore a quello fissato per lo stradale. ART. 4. Le verande, i balconi ed i fregi e ornamenti in genere di un fabbricato non dovranno sorpassare l'allineamento del bordo esterno del marciapiede. ART. 5. Le latrine, le stalle, le cucine ed in genere tutti i locali che, per l'uso al quale sono destinati, emaneranno del fumo o degli odori sgradevoli, saranno possibilmente costruiti dietro l'abitazione e mai sul fronte prospiciente la strada principale. ART. 6. Le facciate delle costruzioni lungo il corso Vittorio Emanuele, che non saranno ad una distanza superiore ai 4 m dal bordo del marciapiede esterno alla strada, dovranno seguire l'allineamento del detto bordo del marciapiede. Le altre devono essere fronteggiate da una cancellata in ferro che segua il profilo del marciapiede. In tutte le altre strade la suddetta distanza viene ridotta a metri due, e la cancellata potrà essere di differente materiale, purché sempre decorosa. ART. 7. Le abitazioni lungo il corso Vittorio Emanuele dovranno essere munite di una fossa antisettica nella quale dovranno anche far capo i 262

CATELLANI, 1915, pp. 483-487.

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cessi riservati alla servitù. Tutte le acque piovane debbono essere condotte, a mezzo di apposite canalizzazioni, fino ai muri di cinta della proprietà. Da detto punto saranno connesse alla fognatura generale della concessione, a cura dell'amministrazione ed a spese del proprietario. Alla stessa fognatura possono essere portate le acque dei bagni. In tutti i casi è rigorosamente vietato fare scolare le acque piovane, o di qualsiasi altra provenienza, sopra i marciapiedi. ART. 8. Le case di due proprietari confinanti, che non sono destinati ad avere un numero in comune, dovranno essere rispettivamente costruite ad una distanza non inferiore ai tre metri dal comune confine. Nel quartiere cinese la suddetta distanza non sarà inferiore ai due metri. ART. 9. Le case appartenenti ad uno stesso proprietario dovranno mantenere una distanza non inferiore ai tre metri. Nel quartiere cinese, invece, sempre che si tratti di fabbricati che non occupino più di un terzo di mu (mq. 600), il cortile interno compreso, la suddetta distanza minima potrà essere ridotta a un metro e mezzo. ART. 10. È proibito coprire tetti con paglia, canne o altro materiale che non dia una sufficiente garanzia in caso di incendio. ART. 11. Tutte le controversie che avessero a sorgere tra due proprietari confinanti, circa i propri diritti e doveri, in relazione alle loro proprietà, saranno portate davanti al tribunale consolare italiano in Tianjin e giudicate a norma delle leggi italiane. ART. 12. Il regio Consolato avrà pieno diritto di fare sospendere e demolire tutte le costruzioni o riparazioni che non rispettassero le norme sopra fissate. Tianjin, 4 luglio 1913.

Il Reggente il R. Consolato. V. FILETI.

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5.5. STATUTO MUNICIPALE E REGOLAMENTO PER LA SUA APPLICAZIONE. 263

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MUSSO, 1926, pp. 1381-1388.

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5.6. REGOLAMENTO MUNICIPALE DELLA CONCESSIONE ITALIANA A TIANJIN - REGOLAMENTO FONDAMENTALE. 264

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MUSSO, 1926, pp. 1381-1388.

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5.7. GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO D'ITALIA - NUMERO 134 DEL 10 GIUGNO 1929 - ANNO VII.

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5.8. DITTE ITALIANE STABILITE IN CINA. 265

AMERI, Ernesto Francesco, La Cina, Genova, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, Anno X E.F. - 1932

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5.9. PUBBLICITA' DELLA BANCA ITALIANA PER LA CINA 266

AMERI, Ernesto Francesco, La Cina, Genova, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, Anno X E.F. - 1932

266

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5.10. PUBBLICITA' DEL LLOYD TRIESTINO. 267

AMERI, Ernesto Francesco, La Cina, Genova, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, Anno X E.F. - 1932

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5.11. MOVIMENTO ECONOMICO ITALO-CINESE 268

AMERI, Ernesto Francesco, La Cina, Genova, Camera di Commercio e Industria Italo Asiatica, Anno X E.F. - 1932

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5.12. VIII CENSIMENTO GENERALE DELLA POPOLAZIONE

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5.13. BIGLIETTI DI BANCA - THE CHINESE ITALIAN BANKING CO. 269

Banconota da 5 Yuan.

Nel 1921 vennero fabbricati presso l'American Bank Note Company una serie di biglietti del valore di Yuan 10, 5 e 1, per conto della Chinese Italian Banking Corporation, con data di emissione 5 settembre 1921. Non entrarono mai in circolazione. (Banca Popolare di Novara, La moneta italiana. Un secolo dal 1870, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1971, pp. 396-398).

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Banconota da 10 Yuan.

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5.14. LA CONCESSIONE ITALIANA OGGI. (Fotografie dell'Autore, 2013)

Dopo decenni di abbandono e di incuria - dovuta anche alla carenza abitativa e ad un'avversione verso tutto ciò che rappresentava la vita borghese ed il mondo occidentale - il quartiere della concessione italiana sta ritornando all'antica eleganza grazie ad un considerevole progetto avviato nel 2004 dalla Municipalità di Tianjin in collaborazione con tecnici ed esperti italiani. La società italiana SIRENA e il colosso cinese nel settore edile e degli investimenti HAIHE, iniziarono il restauro di 22 dei 67 edifici ancora presenti nella zona, con un investimento di oltre 100 milioni di euro, interamente versati dalla Municipalità attraverso la Banca di Cina. 270 Il progetto "New I-Style Town" (新意街, Xin Yi Jie, lett. le nuove strade italiane)271 prevede che la zona diventi un importante polo economico e finanziario, oltre che un'area di forte attrattiva turistica con negozi e ristoranti di lusso. 272 Di seguito una serie di fotografiche scattate dall'autore nell'estate del 2013.

MEROLA, Marco, Sirena nel cuore di Tianjin, ristrutturati 22 edifici storici, in La Repubblica, 19 gennaio 2006; RAMPINI, Federico, Cina, la città degli italiani, in La Repubblica, 23 novembre 2004. 271 MARINELLI, Maurizio, The New I-Style Town. From Italian concession to commercial attraction, in www.chinaheritagequarterly.org, 25 luglio 2012. 272 Laura Rampazzo ha ricostruito nella sua tesi di laurea il lavoro di restauro ed i progetti di sviluppo del quartiere italiano. (RAMPAZZO, L., Un pizzico d’Italia nel cuore della Cina: la concessione di Tianjin, Tesi di Laurea Magistrale, Rel. Prof. Samarani e prof.ssa De Giorgi, Università Ca’ Foscari, Venezia, AA. 2011/2012). 270

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La Caserma Ermanno Carlotto, oggi sede di uffici.

Piazza Regina Elena e la Colonna della Vittoria, oggi Piazza Marco Polo.

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Villino con torre.

La residenza di Liang Qichao, oggi museo.

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La ex Chiesa del Sacro Cuore, annessa all'ex Ospedale (destra).

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Il Forum, oggi Palazzo della Cultura dei Lavoratori n.1.

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Fasci littori. Particolare.

Via Marco Polo, oggi Minzu Lu.

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Via Roma, oggi Ziyou Lu.

Via Conte Gallina, oggi Guangfu Lu.

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