ff3300 issue 5

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Fuel for your mind issue #05

Contents: INTERVISTE: otolab - lenny freedom & order: bilak / mooren / mevis delta - david pearson ---------------------------------------TESI: siracusa - woodland per specula in aenigmate movimento naturale della popolazione ---------------------------------------DOSSIER: wijdeveld & wendigen -

www.ff3300.com - info@ff3300.com

Settembre/Ottobre - Anno II


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EDITORIALE


FF3300 cambia, sposta il baricentro. Un nuovo progetto grafico un nuovo progetto editoriale una nuova struttura redazionale nuove scelte nella gestione dei contenuti. Il nuovo Layout corrisponde al rinnovamento dell’identità della rivista, ad una sistematizzazione del lavoro redazionale, con una distribuzione dei carichi e dei tempi migliore, e di più facile gestione. - non ci sarà un indice - ogni articolo sarà riportato nella sua lingua originale - la rivista sarà composta utilizzando la doppia pagina, e non la singola - ogni doppia pagina avrà proporzioni 16:9, come lo schermo - i testi sono composti con il carattere disegnato da MOLOTRO: il Dic Per il resto non è cambiato nulla, dentro c’è sempre tanta “ciccia”. Alessandro


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COLOPHON collabora anche tu con noi. invia i tuoi progetti redazione@ff3300.com

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Direzione artistica & Direzione redazionale & Progetto editoriale: Alessandro Tartaglia Consulenza indispensabile e paziente: Carlotta Latessa, Silvio Nicola Spina, Luciano Perondi Typefaces: Dic Sans - Dic Mono: disegnati da Luciano Perondi (Molotro) Hanno

collaborato a questo numero: Sara Allevi, Silvio Nicola Spina, Carlotta Latessa, Ivano Salonia, Stefano Menconi, Gabriele Rosso, Roberto Picerno.

Foto in copertina: Nunzio Saccinto Ringraziamento speciale: Luciano Perondi (Molotro) Website: www.ff3300.com


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MOLOTRO TYPEDESIGN www.molotro.com

DIC SPECIMEN.

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THE QUICK BROWN FOX JUMPS OVER THE LAZY DOG the quick brown fox jumps over the lazy dog

THE QUICK BROWN FOX JUMPS OVER THE LAZY DOG the quick brown fox jumps over the lazy dog THE QUICK BROWN FOX JUMPS OVER THE LAZY DOG the quick brown fox jumps over the lazy dog

THE QUICK BROWN FOX JUMPS OVER THE LAZY DOG the quick brown fox jumps over the lazy dog


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TALKINGS

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Esistono gli alieni? ne avete visti? Ovviamente si. Ne conosciamo diversi, anche il collettivo ne è pieno.

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WHAT IS OTOLAB? METODO E SENSO DEL RITMO, TRA INTERACTION DESIGN ED ARTI VISIVE. @ WWW.OTOLAB.NET Da chi è composto il team?

Negli ultimi 6 anni abbiamo lavorato prevalentemente sulle performance audiovisive, intese come ricerca di sinestesia tra forme audio e forme video; anche se questa sperimentazione è quella per la quale siamo più conosciuti, in realtà lavoriamo anche su molte altri piani: produzioni di musica elettronica non associata al video, djing dance, vjing, installazioni, realizzazione di opere derivate dalle performance, workshop e seminari. Attorno ad otolab si muovono una quindicina di persone, il che da un lato rende a volte complicata la gestione dell’interazione all’interno del collettivo, dall’altro mette in fucina una grande energia e conoscenze molto diverse.

Questa è sempre una domanda a cui è tormentosamente lungo rispondere. In modo estremamente sintetico: dies_ (audio, video, grafica), fd (video); kcid (audio); mud (audio, video, grafica); massi (audio); orgone (video e software); peppolasagna (audio, hardware e software); rudi_mental (audio); sn (audio); ssim_el (audio); tech_data (audio); tonylight (audio e hardware); xo00 (video e grafica); zerosinapsi (audio e video); menthos (audio); nina (audio).

foto archivio otolab

Che tipo di progetti portate avanti?

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Tecnicamente come si crea una performance di live media? Diciamo che non la questione tecnica è il secondo step. Il primo passo è l’impostazione metodologica e progettuale del lavoro: capire cosa vogliamo fare, declinarne gli aspetti concettuali più salienti, etc. Una volta tracciato il percorso, si decide come farlo; da questo punto di vista non esistono regole precise: si può lavorare a fondo su una singola suggestione data da un software (come in “quartetto .swf”) o costruire materialmente uno 12 |

strumento audiovisivo (come in “videomoog”) o una jam session di strumenti visivi (“circo ipnotico”); si può stratificare tecniche audio e video completamente diverse (come in “polystatic” o “stare_mesto”) o trovare dei difetti in uno strumento e farli diventare un punto di forza (“hemline”); alcuni lavori hanno il loro punto di forza nell’organizzazione multischermo (“op7”) ed altri creano il mondo a partire dall’utilizzo di luci e audio multifonici (“puntozero”).

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Dolce o salato? Siamo tanti, quindi c’è spazio per tutto. Quali sono i possibili sviluppi di questi nuovi linguaggi? riuscite a vedere della applicazioni pratiche per il vostro lavoro di avanguardia? Noi al momento siamo interessati prevalentemente alle forme espressive strettamente artistiche, ma sicuramente esistono una miriade di applicazioni, dall’enterteinement agli interactive environements passando per la


Pensate che a livello didattico sia stato interessante il workshop tenuto all’ISIA di Urbino? Che risultati avete ottenuto? Raccontateci questa esperienza... Da quando abbiamo iniziato a fare corsi e laboratori ci siamo resi conto di quanto sia stimolante per noi avere un feedback continuo con gli studenti, ci aiuta a mantenere una visione fresca sulle cose. Il workshop che abbiamo tenuto all’ISIA di Urbino

non è stato da meno. Abbiamo trovato degli studenti molto motivati e un bellissimo spirito nell’affrontare il lavoro, il tutto condito da una splendida cornice architettonica, gastronomica e culturale. Decisamente una bella esperienza.

foto archivio otolab

comunicazione intermediale e lo sviluppo di interfacce.


Il vostro lavoro è una questione di sensibilità o di razionalità? entrambe? in che misura?

Entrambe le componenti sono fondamentali. Come ti ho detto la progettazione è cruciale, ma il momento della scelta della poetica delle forme è una questione strettamente legata alla sfera dell’emotività. 14 | FF3300 | MUSICA / GRAFICA: otolab


foto archivio otolab


Qual’è stata la vostra esperienza progettuale che vi ha lasciato di più dal punto di vista umano? perché? Questa è una domanda alla quale è molto difficile rispondere, perché ogni progetto è un nuovo viaggio nel quale si impara qualcosa di nuovo. Sicuramente il primo punto di svolta è stato “quartetto.swf”, perché ci ha insegnato molto sull’interplaying e sulla gestione di pattern complessi dal vivo; “op7” è stato un altro punto di svolta, perché ci siamo trovati a lavorare sul palco in 9 per la prima volta. Ma, ripeto, ogni lavoro è un nuovo viaggio. Quali sono i software che utilizzate per creare le vostre performance? Dipende sempre da quali sono gli obiettivi. Lavoriamo con i principali software di editing 16 |

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audio e video, con Flash, con software per il 3d; ultimamente stiamo utilizzando molto Isadora, che è un ambiente relativamente semplice per costruire strumenti audiovisivi complessi. Ma una parte sempre cresecente del nostro lavoro è legata a strumenti autocostruiti, come il girello di fd e tonylight e il pepposcopio di peppolasagna. Progetti per il futuro? Ce ne sono diversi in cantiere. Innanzitutto vogliamo potenziare “puntozero”, un live esafonico basato sulla sinestesia puntiforme con un grande cerchio di luci; poi vogliamo utilizzare gli studi fatti per i visual dell’Icarus Enseble al rec_festival 2007 per un nuovo live; inoltre, stiamo iniziando a lavorare su un nuovo live dance audiovisivo, con l’obbiettivo di coniugare l’esperienza dei live


foto archivio otolab

più sperimentali e quella delle serate più legate alla techno. Sullo sfondo rimane l’idea del superlive, una performance audiovisiva multifonica per 8 schermi della durata di 2 ore; per quello, però, abbiamo bisogno di una produzione.


LEANDER HERZOG DAI GRAFFITI AL DESIGN GENERATIVO TRA FUNK, HIPHOP, E JAZZ... @ ... Who are you? tell us something about you and your imagination world... My name is Leander Herzog. People call me Lenny. I do graffiti, illustration, graphic design and webdesign. Since about two years I’m trying to learn to use my computer. I started to use programming to do generative graphics and became addicted to it. Yes really, ask my girlfriend... My aim is to be able to freely express myself with all media. I can’t tell you about my imagination world, I’m constantly trying to visualize it... what do you think about design? I love design. I can’t imagine to do anything else. When I watch tv, I wonder why anyone gives a shit about design.

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what do you think about generative design? When I wrote my first loops I thought this will be a new way to produce images. Now I think that it is much more than only complex computergraphics. Generative design opens up a lot of completely new ways for me. I believe that codebased design together with new production technologies like fabbing, 3d-milling and lasercutting will change the designworld. And yes, a lot of this change is caused by processing. Programming is nothing new, but that it is accessible to people like me is amazing. I’m no programmer, I’m extremely bad with mathematics and I don’t like computers. So without Casey Reas and Ben Fry, I would only have my hands and adobe. I believe that in the future things will move, become more dynamic and complex.

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Generative design can handle that. Right now there is a community out there doing generative design, from client work to art. But where I come from and where I have been I’m the only one working with generative strategies. I’m sure that in the next years this will change. And maybe oneday even schools will realize that.


Serial objects, variations, looking for a poetry in your works, choose 5 words to describe your way to design...

love, trial, error, eat, sleep. 2012 Maya profecies tell some obscure revelation about the end of the world, what do you think about that? At least then we know that we will be safe for the next four years. I hope they were wrong and there is some time left for us to change things. Tell us something about your graffiti activity... I started writing graffiti when I was fourteen. I then worked only analog until 2003. I realized that I have to get some digital skills. Analog costs time and money. Digital costs less money and even more time. In search for styles I decided to go for interactive and moving images. Now I’m slowly learning how to move in digital

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space and how I can translate ideas into code. Everything I know about images, composition, forms and colors I learned from graffiti. Graffiti is also about spreading your work all over. I realized that graffiti is not only about walls and paint, and that with coding and the internet I can do more than just with running around on the local trainlines. The generative graphics I do at the moment have not much to do with graffiti, but in the near future it will. As a designer this is just off the topic, but as a writer i hope to take graffiti to a new level with what I’m learning now. Spraycans and coding seem to be something completely unrelated, but it’s not. The space for graffiti is getting smaller. If you have time and money and a crew that’s organized like the secret service, you can hit

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the streets. But in a few years this will become impossible. At least where I live... In order to survive, graffiti needs to evolve into digital spaces. And just using a mouse instead of using a can is not really an evolution.

I can develop my own code. In case I can’t do it, I need to call somebody who can. In the end nobody cares how an idea was built.

What did you study during your formation?

Open source philosophy has definitely changed my way of learning and working. I try to use opensource tools whenever possible. I cannot replace every commercial software that I need with opensoure software. I really hope that oneday this will be possible. Another amazing thing is to see how opensource projects grow and evolve over time. For example within the processingcommunity there is new stuff all the time and things get better every day, this is wonderful. I believe that opensource is a real alternative to the commercial model. It works. A lot is changing right now and we’ll see who makes it. Opensource is sexy. Serials suck. Fuck that. I don’t want these pro-specialgold-edition-packages, I’m broke anyway... I don’t want autoupdates and fileformats I don’t understand. And I don’t want the same shiny buttons like everyone else.

I study at hyperwerk (www.hyperewerk.ch) in Basel/Switzerland. I started to study at the departement for visual communication at the Basel School of Design. The school and their approach to teaching is very classic and oldschool. I didn’t like those old cats and the students were also quite boring. It was more or less like in an office or governmentjob... So I left this departement and went to Hyperwerk. At Hyperwerk there are not many teachers but sometimes there are great people for workshops like Marius Watz, Joreg, or Massimo Banzi. That was very important for me and a big influence on my personal work. Right now I’m working on my diplomathesis. I will have my bachelor at the end of this year. Design and code, two different world? No. Code is just something like many other tools. Thinking with code is something one must learn. But after all it’s nothing different. The really important thing is having ideas and being creative. Maybe I need a pencil, a spraycan, a camera, or some kind of software. And if there is no software,

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what do you think about open source philosophy?

What kind of music do you listen? I listen to rap, jazz, funk andsoul.

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The names o three different person who changed the history...

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foto archivio otolab

Joshua Davis, showed me that what I do is not completely stupid even before everybody else started talking about generative design. John Maeda, you do the math.. Theo Jansen, just check him out, you’ll see...


FREEDOM & ORDER QUATTRO MOSTRI SACRI DELLA GRAFICA OLANDESE ALL’ISIA DI URBINO @ WWW.ISIAURBINO.IT Urbino, 17 marzo 2008 - Freedom and order, l’evento che nel titolo prende spunto dallo stile progettuale dei maestri della grafica olandese - ovvero perfetto equilibrio tra rigore e sperimentazione - ne porta, per la prima volta in Italia, quattro insieme: Karel Martens, Armand Mevis, Maureen Mooren, Peter Bilak. L’Olanda è infatti uno dei Paesi “guida” nell’ambito della grafica e della tipografia grazie ad una diffusa cultura della progettazione visiva, legata anche alla sensibilità della committenza pubblica e i quattro graphic designer invitati dall’Isia (Istituto Superiore Industrie Artistiche) di Urbino, ne sono autorevoli testimoni. Appartenenti a generazioni diverse, ma accomunati dal riconoscimento internazionale per il proprio lavoro e dall’impegno nella didattica ad alto livello,

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i quattro progettisti lavoreranno per un’intera settimana con gli studenti che avranno così l’opportunità di entrare in relazione diretta con quanto di meglio e di più innovativo offre la scena mondiale. Il programma della manifestazione si apre lunedì 7 aprile alle ore 15.30 con una conferenza aperta al pubblico, ad ingresso libero, per continuare fino a venerdì 11 con il workshop Crossover, riservato ai frequentanti il corso di diploma di secondo livello in comunicazione visiva. Il workshop sarà accompagnato da una mostra sui quattro maestri olandesi progettata dagli studenti stessi ed allestita nella nuova aula magna della scuola, che ha sede nel suggestivo monastero di S. Chiara, fondato per volere di Federico di Montefeltro.


FREEDOM AND ORDER È STATO ORGANIZZATO DALL’ISIA DI URBINO CON IL PATROCINIO DELL’AGI - ALLIANCE GRAPHIQUE INTERNATIONALE, DELL’AIAP - ASSOCIAZIONE ITALIANA PROGETTAZIONE PER LA COMUNICAZIONE VISIVA E DEL COMUNE DI URBINO.

Foto di Fabio Gioia


freedom and order /mevis do you prefer to design typefaces, or to design with typefaces? why? i prefer to design with typefaces, i never did it (typefaces), i don’t know tohow to do it, i don’t know the software. And i have no fantasy about it. what do you think about the connections between typography and writing? i don’t think every text need proper typography, but good texts need good typography. what is the inheritance of dutch graphic design school? what is your method? dutch inheritance is form follows function, like modernism, my method is form follows concept. are you happy about your works? so and so, I end to be quite critical and not always happy with the results, i am most happy with recent works, but in general I think we achieved what I wanted to achieve. what does it mean to teach graphic design? i think it is important to help students to understand design, i think i am able to help them and that’s why i like to do it.

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Let’s go back to the beginning, when you were about 25 years old... tell me something about that perid... how did you start to work, and where? We started to work in Amsterdam, straight after art school , i was very naive, i didn’t understand what graphic design implied. But being naive also means that you have a very open approach, meaning you do a lot of experimentation. We slowly discovered what graphic design means. who are your masters? Karel Martens, Tibor Kalman, Wim Crouwel, Jan van Toorn, Edward Fella, Piet Zwart, Wilem Sandberg, Paul Rand, Hendrik Werkman which are your models? Martin Margiela, Bruce Nauman, Lars von Trier.


Mevis & Van Daursen


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Foto di Fabio Gioia / Tipografia di Peter Bilak


freedom and order /bilak do you prefer to design typefaces, or to design with typefaces? why? I like to design typefaces because I find it fascinating how simple forms connect to words and form written language. Type design is quite meditative, slow and sometimes tedious process, and that’s why I also feel a need to sometimes to step away from it, and get a wider perspective, so I don’t look only at details of letters. To compensate, I write texts, and design - both activities requite to zoom out, and not work with details but with the whole. So both type design and graphic design are complementary in my practice. what do you think about relations between typography and writing? Typography is a representation of language, so obviously writing and type are closely related. what is the inheritance of dutch graphic design school? what is your method? Although I have lived in the Netherlands for 10 years, I am not Dutch, and in my work i combine various influences. I lived and studies in 5 different countries, and each of them had a specific influence on my life and work. I suppose this is what shows also in my work, thought we cannot probably talk about method, but only influences.

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As it comes to method, I don’t have one. I only try to take each single project seriously, and work like this was my first project. This becomes difficult when the studio is running for many years, and this is also a reason why I use various disciplines in my work, so i don’t loose inspirations. are you happy about your work? I am happy when I work. When I finish working, I don’t think about the work too much. what does it mean teach to design? teaching design is a reflection on practice and theory. Again, it further complements my work. I spent 4 days a week in my studio, and one day teaching is a time to stop and think how other people work, which also has influence on my further work. I am not thinking on my time in school as really teaching, because it is a postgraduate course. It is more about asking questions, and hopefully providing inspiration. You can teach how to make basic elements of design, but that is not so interesting. As you know creative activities cannot really be thought, one has to ask himself to step away from what has been already done, and find his own way.


come back to the beginning, when you was about 25 years old... tell me something about that period... how do you start to work, and where? When I was 25, I had my first job at a big agency which I didn’t like. I quit my job after 9 months, and went to postgraduate school (Jan van Eyck Akademie in Maastricht). This is where I met people who influence my work (Karel Martens, Rick Poynor, Armand Mevis, Rick Poynor, Irma Boom) so this period had a major importance for other things to come.

Peter Bilak


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Foto di Fabio Gioia


freedom and order /mooren do you prefer to design typefaces, or to design with typefaces? why? I prefer to design with typefaces, i think design typefaces is very specific and i am interesting in design with typefaces. what do you think about the connections between typography and writing? typography is the form of the content (writing) with typography i express the content what is the inheritance of dutch graphic design school? what is your method? i think it focus a lot on contents, and about mentality, in graphic design. are you happy about your works? sometimes i am very happy, and sometimes i am less happy. what does it mean to teach graphic design? i think it is very important for students to be teached by graphic designers from this moment, i am not interesting in technical aspect, i think mentality is most important, the students have to learn at first mentality, approach, way to do.

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Let’s go back to the beginning, when you were about 25 years old... tell me something about that period... how did you start to work, and where? After graduated, i went to NYC, for one year, to work in a company. After that, i came back to Netherland, and i start to work, at first like freelance, and after with Daniel van der Velden, and we worked toghether until 2007. Since the end of 2007 i work on my own. who are your masters? when i was student Tibor Kalman, now i really don’t have a specific master, i do like a lot of graphic designers, but i am more interested and influenced by artists.


Martens

foto archivio otolab


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Foto di Fabio Gioia


DELTA

IL WRITER / ARCHITETTO CHE INTRODUSSE LA TERZA DIMENSIONE NEI GRAFFITI @ ... Who did you want to be as a kid? I wanted to be an inventer. What was the first thing in your life that you remember being really passionate and excited about? I remember Lego, making plastic model kits, airplanes, then photography, then graffiti. Can you tell us about your artistic education? I didn’t do any official artistic education. I did go to study design engineering. But basic education was self education and by graffiti culture. How did you come to be involved in graphic design and visual culture?

to work for a company, and I decided that I wanted to do graphics. Through Graffiti I had build some credits, so I could get some commisions. Can you tell us a little bit about your background? I have been living in Amsterdam since I was 4 years old. Starting writing graffiti at age 14, went to study Design engineering, after that being a self declared graphic designer, turning into an artist over time. What influences has your local scene had on your work? Probably more then I would recognise myself.

After graduating engineering, I didnt want

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Which were the writers and in generally the artists who inspired your works and your view of the letters’ evolutions?

Delta

Many writers have more or less influenced me. From New York to Paris to all over the world.


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Delta


Which way your “being an artist” conditioned your family living? It is more easy, as I can start whenever I want. On the other hand, I do bring my work home, sometimes also working on sundays Tell us a little about the work you made for your latest show in London. How do you live the moments before the opening of your exhibition? I have been working for quite some time for this show. It felt like doing exams in a way. I am pretty happy with all the work done for that. I think it is another step forwards.

Can be verious things. Music, decay, stuff in general, events, other peoples work. What are you working on at the moment? Cleaning up my studio, to get back to work again. When you started painting graffiti, were you already thinking that art could be a lifestyle for you? When did you realize that you could live on art?

You’ve worked on art toys. What are those made of, how did you construct them, and do they represent anything? The toys I did were made of vinyl, they were just a little adventure. The whole production took about a year, and lots of work. But it was nice to get the boxes with the logo on it in. Can you tell me about your best experience with a client? Tough question. I do not do many work with clients anymore, mainly autonomous, but Best thing is when a client trusts you, and leaves you do what you want to do. Please tell us more about your lifestyle. For example describe your typical day, your favourite movie, favourite music, food. haha, family man. Getting up early, playing with my son, working, going home. not very rock and roll.

When I started writing, I had never the idea that I would do something like that after turning 18 years old. Looking back do you feel there are writers, street artists who have not

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Delta

Where do you get your inspiration from?

got the credit and the attention they deserved. I am sure there are. Also many people that get more credit then they deserve. But time sorts out many things. MC Hammer is not that big now anymore, is he.



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What do you enjoy doing in your free time? If I wake up really earlly, I don’t mind taking a little nap. What are your future projects in general? I have several ideas for new work I want to work on. Can’t tell that right now.

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WHAT’S THE AIM OF YOUR ART WORK? IT’S A MISSION. I JUST WANT TO MAKE THINGS.

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GREAT IDEAS!

AN INTERVIEW WITH DAVID PEARSON, AUTHOR OF PENGUIN TYPOGRAPHICAL COVERS @ WWW.DAVIDPEARSONDESIGN.CO.UK who are your masters? Hans Schmoller Hans’s attention to detail and beautifully restrained, economic typography is hard not to admire. Derek Birdsall The clarity and sophistication of Derek’s ideas emphasize the difference between individual cover designs, making them easily memorized and instantly recognizable, and yet – when his books are displayed collectively – they seem to have the most wonderful cumulative effect. Derek is a major reason for me wanting to work for Penguin and on series books in particular. How you and Penguin Books did you meet? I checked Penguin’s website for job opportunities every week during my last few months at University and one day discovered a vacant post in the text design department.

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I was lucky enough to get the job and start the day after I graduated. How did you convince your commitence to product a typographic and mostly chamaleonic book layouts? I argued that - due to the highly subjective nature of philosophy, why should we use literal imagery that might only serve to mislead the reader. Type-driven covers challenge the reader to project meaning onto them, and so, seem to fit better the subject. After all, if you can activate the reader’s interpretive participation you will make the whole experience a more meaningful one. Did you impose it? or not? I did, yes.

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GREAT IDEAS #1

There is no early Christian font revival contemporary with St Augustine, so designer Catherine Dixon decided on a more lateral approach for Confessions of a Sinner (Great Idea no. 3): ‘... my work focused instead on ideas about how lettering could be used in a certain celebratory and decorative sense. I also wanted to retain a crudeness in the letterforms used. The Vere Dignum font offered both these things. It also reflected ideas about visual excess and restraint as it has an over indulgent, curly variant of the plain base font. I have to say, though, that it bothered me quite a lot at first that the letterforms were not historically legitimate. But that is to miss the point of the series idea, I think. That has far more to do with a way of looking at aspects of past practice and extracting the ideas informing that practice, as much as it is about copying the visual manifestations of different styles.’


What is “great ideas”? how did you design it? tell us more... Great Ideas are a series of 20 books charting over 2,000 years of social, political and philosophical writing. The design situates the writing in its historical and geographical place through typography and incorporates a limited colour palette (black, and red, which is the traditional second printing colour) to create a unified look across all titles. The debossing of type tips a nod to letterpress printing (albeit in a rather amplified way) while the choice of an uncoated*, off-white stock reinforces the link with traditional printing.

* Free from protective, ultraviolet laminates. What do you think about Jan Tchichold and Penguin Books history? He was there for just two years but the impression he made was so significant that you’d be forgiven for thinking it a lifetime. I’m an avid collector of Penguin books and this in-turn has provided me with a broad understanding of Penguin history and an ambition to uphold their design values in my own work.

Note. The word ‘Great’ refers to the impact these texts had on the world rather than an assessment of their virtues.

To do this I held back until I was ready to show all 20 covers at the same time, thus making the strongest possible statement.

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GREAT IDEAS #1

An initial concern was sparked by the lack of a publisher’s logo on the covers. To emphasise the period-specific styling I had decided to represent the company and series names with words only, arguing that this treatment – when applied consistently across 20 titles – would then create its own brand identity. The roughs seemed to have an immediate impact, and this bought me time to go away and research the project in full, with the expectation that I would return with a more complete solution. During this period I was able to sound out other designers – namely Phil Baines and Catherine Dixon (my college tutors), and one of my old classmates, Alistair Hall. This would ensure two things: that the project would have an in-built level of quality control (typophiles can be very unforgiving if you get it wrong) and that collectively the covers would appear varied and interesting. Phil’s approach opened my eyes and made me realise that I too could push the idea further than I had originally imagined. The series could have quite easily turned into a straight-laced, visual history of lettering, but we were now finding more and more abstract ways to represent the subject matter. This gave the project personality and even a little humour. Finally, after eight weeks of intense activity, came the unveiling. I guess I’d begun to feel rather protective of the work since it was the first project I’d been allowed to manage, so I wanted to give it the strongest chance of success.


Which music do you listen to while you are designing? I mainly listen to moody instrumental stuff during the day - especially if I’m typesetting. Things like: Susumu Yokoto; Murcof; Do Make Say Think; Minotaur Shock or Kings of Convenience if I’m in the mood for some vocals.I’m also obsessed by a pretentious arts radio station called ‘Resonance FM’. They think nothing of broadcasting insect noises for 5 hour-on-end and this can often lead to weird and wonderful image making!

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GREAT IDEAS #3


GREAT IDEAS #3

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GREAT IDEAS #2


ABOUT GREAT IDEAS & PENGUIN BOOKS...

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In Britain today, books fight fiercely for shelf space. Full-bleed pictures and huge type are very much the norm, and the idea that a quietly suggestive cover could be heard through the noise seems to be increasingly overlooked. There is a common notion within publishing that academics will buy a book regardless of its cover whereas your average consumer has to be manipulated all the way to the check-out. This is a belief not found commonly in other European countries, wherebooks are consistently packaged with dignity and a respect for thebuying public. Austere-looking covers sit happily next to packets ofsweets in Italian railway kiosks, whilst the most commercial French novels need carry no more information than a tiny title and author name on a plain white background.

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FF3300 | TIPOGRAFIA / GRAFICA: Great Ideas! - David Pearson


The conceit for ‘Great Ideas’ is to take existing Penguin books and chip pieces off. This is partly to try to encourage buyers to go from the chip back to the classic it came from and partly to remain true to the vision of Allen Lane (the founder of Penguin Books), that the publisher existed to educate and to popularise. While spanning over 2,000 years of philosophy, the first 20-book selection addresses many very contemporary issues, such as globalisation, the environment, religious intolerance, and so on. So what is the most appropriate aesthetic for philosophy? How do you sum up a text that tells us everything and, yet nothing at all? Perhaps abstract shapes, patterns or evocative landscapes? At once these solutions feel too contrived, too knowing.

GREAT IDEAS #3

In the UK, this rather utilitarian approach has never been more neatly executed than by Penguin Books in its early years. The founding of the company in 1935 heralded a new, egalitarian era of publishing. For the first time, the ordinary man or woman in the street was able to buy a pocket-sized paperback for the price of a packet of cigarettes. Bookbuying was no longer the preserve of the privileged classes, and books could now sell in huge quantities. Significantly, Penguin achieved this early success without the aid of pictures, shiny foil or marketing slogans, just simple, approachable design. Over the years, the clarity of Penguin’s purpose had become somewhat compromised by shifting production costs and an increasingly competitive marketplace. And in the field of ‘classic’ literature, in order to maintain their leading position – and to justify their cover price – many of the books had developed into unwieldy tomes loaded with annotation and critical essays which had the effect of narrowing their appeal, resulting in a more academic readership. In 2004 Simon Winder (a Commissioning Editor for Penguin Press) began to develop an idea for a mini-series – modest in both pagination and price – that might go some way towards shaking off the stigma that had attached itself to the buying of classic literature. These new books would revert to Penguin’s original ‘A’ format* which would give them back an easy, pamphletty feel and enable a significant price reduction.


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PROJECTS

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FF3300 | GRAFICA: IdentitĂ visiva di Siracusa


SIRACUSAE

IPOTESI D’IDENTITÀ VISIVA - CITTÀ DI SIRACUSA IVANO SALONIA @ ... Operativamente l’immagine coordinata nasce generalmente ed è impostata sul marchio, sul logotipo, e si sviluppa in tutte le applicazioni funzionali, dallo stampato per corrispondenza al biglietto di presentazione, dal catalogo al manifesto, alla confezione del prodotto, fino alle insegne sui mezzi di trasporto fino alla pubblicità. L’aspetto formale è preponderante: si identifica l’emittente attraverso scelta precisa di elementi grafici: essa ovviamente può anche essere negativa, nel senso di identificare non solo ciò che si deve fare, ma anche ciò che non si deve fare (leggi l’uso di determinati colori, o accostamenti o situazioni, ecc.).

Sketch - SIRACUSAE

Per immagine coordinata si intende l’immagine che enti, società ditte, danno di se attraverso la particolare di struttura estetica degli stampati, della pubblicità, della segnaletica e del design dei prodotti o del particolare stile dei servizi offerti. Il concetto di immagine contiene in sé quindi sia gli aspetti formali sia gli aspetti di contenuto, di credibilità delle comunicazioni visive coordinate dalla progettazione in modo globale. L’immagine è tanto più valida quanto più stretta e la correlazione fra la sostanza e l’appartenenza delle sue comunicazioni. D’altronde è stata ampiamente verificata l’ipotesi che una valida progettazione globale di immagine possa influenzare le decisioni di comportamento dell’emittente, nel senso di prevenire o correggere aspetti o fatti che contrastano con la (buona immagine) prevista.


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Immagini da Siracusa / materiale di ricerca


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un organismo di promozione). Devono quindi perseguire in primo luogo l’obiettivo di rendere riconoscibile un’attività, e quindi hanno solitamente una fisionomia caratterizzata in funzione da esplicitare il senso di organizzazione e struttura. Esprimono una necessità comunicativa molto significativa, fanno conoscere la città, ma sempre riconducendola alla identità del servizio o della funzione proposta. Sono strumenti attuativi della promozione urbana, che possono al tempo stesso esprimere una potenzialità comunicativa che oltrepassa lo specifico da rappresentare. Un terzo caso, infine ed è questo l’oggetto del concorso di Siracusa, i marchi rappresentano il dato visivo di un vero e proprio brand. Sono la forma visiva, la dote comunicativa, di un prodotto che non è solo la città nella sua forma amministrativa, e neppure solo in quella performativa del turismo o di altre strategie economiche, ma è molto di più. È l’insieme di tutte queste risorse, ma anche e soprattutto il loro essere valori spendibili per la distinzione, la riconoscibilità, la concorrenzialità. Il “nome” visivo si trasforma in un vero e proprio prodotto, la città diventa una marca, il centro di una strategia di marketing ad ampio spettro. Diventa anche “sigillo di qualità” per i comportamenti degli attori locali, per le molteplici azioni di promozione e per le infinite gamme di articoli e merci che possono essere prodotti.

FF3300 | GRAFICA: Siracusae - Ivano Salonia

Testo di Mario Piazza

I marchi per l’immagine delle città possono essere ricondotti a tre tipologie. In tutti i casi rappresentano e rendono visivo il volto delle città con un segno,una marca, un simbolo, ma differiscono in maniera sostanziale in relazione al valore strategico e comunicativo di questi distintivi d’immagine. Un primo ambito è rappresentato da quei segni che definiscono il volto istituzionale di una città, il suo essere ambito amministrativo, municipalità. I marchi solitamente si richiamano alla “memoria” araldica delle città,hanno una impostazione progettuale di consuetudine. Sono stemmi costruiti con i richiami storici, gli emblemi, le tradizioni visive della città. Nel casomancassero, con lo stesso impianto araldico vengono adattate anche forme moderne, rese schematiche e sovente di derivazione aziendale. Questa tipologia di marchi risponde sovente ad ambiti di codificazione in riferimento ai dispositivi araldici, dove segni e colori sono normati, rispondono a precisi significati. Devono contemplare, nelle forme, uno statuto di esplicita ufficialità ed adempiere non solo alle necessità di identificazione e di comunicazione (in genere istanze secondarie), ma soprattutto quelle che potremmo definire liturgiche (protocolli cerimoniali, rappresentanza). Un secondo caso raggruppa quei marchi che rappresentano in forma sintetica e visiva l’immagine delle città con la funzione preminente di individuare un servizio e/o una funzione (l’ufficio turistico,


identità visive di riferimento (città, regioni, istituzioni)

Il progetto nasce dall’esigenza della città di Siracusa di avere per sé un’identità visiva, fino ad ora assente. L’ente Provincia in collaborazione con l’Aiap bandisce un concorso internazionale a riguardo. Un concorso che mira a fornire ai progettisti quanto più materiale visivo e storico, tale da chiarire in partenza le esigenze e le caratteristiche di una città con una storia millenaria come Siracusa. II percorso comincia con una raccolta di elementi che riassumono le peculiarità della città, a tal proposito seguono numerose mostre e convegni. A dare un’indicazione molto importante c’è anche il parere dei cittadini, che in una raccolta d’interviste, dicono la loro su come vorrebbero vedere rappresentata la propria città. Le indicazioni a riguardo sono tante e tutte diverse, come tanti sono gli elementi storici e naturalistici rappresentativi del luogo.


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Il primo passo da fare è quello di scegliere il percorso progettuale più appropriato: cosa rappresentare? Rappresentare? Descrivere?

COME?...

Una scelta che influenzerà il resto del lavoro merita particolare attenzione. L’idea di base è quella di valorizzare la storicità di Siracusa con un segno che si ispira al passato ma che si rivolge al futuro. Dopo un’attenta analisi degli elementi siamo giunti alla conclusione che la scelta di uno solo di essi comporterebbe un’inevitabile esclusione di tutti gli altri. Una elaborazione grafica di qualche monumento potrebbe inoltre apparire troppo didascalica e semplicistica. La scelta giusta sembra essere quella di evidenziare la moltitudine di civiltà e culture che nel corso degli anni hanno caratterizzato, non sempre in tempi diversi, lo stesso luogo. La storia di Siracusa infatti ha conosciuto la presenza di tante culture diverse. La città fu fondata nel 734 a.C. da coloni greci, successivamente passò un lungo periodo di tirannia fino al 212 a.C. quando perse ogni autonomia e libertà sotto l’Impero Romano. Dopo quasi tre secoli venne annessa all’impero Bizantino. Nel 878 gli Arabi conquistarono gran parte della Sicilia Orientale tra cui Siracusa, dopo di essi vennero i Normanni, gli Svevi e gli Spagnoli. All’interno del centro storico inoltre troviamo un intero quartiere ebraico; “la Giudecca”. I trascorsi storici delineano una moltitudine di culture che nel corso dei secoli

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si sono sovrapposti e mischiati tra di loro, lasciando segni nella cultura e nella città. Questo insieme di culture rappresenta una fonte di ricchezza, un patrimonio culturale unico. Il nostro lavoro partirà dai segni lasciati dalle varie culture abbracciando sia i segni più prettamente religiosi sia quelli che appartengono alla sfera popolare. Un singolo segno è poco, ma un intero alfabeto no! Un nuovo carattere che riprenda un po’ della storia della città, che si ispiri ai segni lasciati nel tempo dalle culture e dalle religioni, ai segni popolari e religiosi, è quello che fa per noi.

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Ricerca iconografica e segni corrispondenti


elementi tratti dalla ricerca iconografica

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Un elemento di chiaro esempio mi è dato dai lavori per la regione Sardegna e per la regione Umbria, eseguiti dallo studio BCPT di Perugia. In questi due progetti, c’è stato un lavoro sul lettering ispirato alle forme arcaiche di scrittura ed agli elementi architettonici. Insieme al prof. Marco Tortoioli Ricci esaminiamo e discutiamo sulle forme del carattere. La cosa più naturale all’inizio sembra mantenere le grazie dei caratteri romani, ma rischieremmo di avere un carattere troppo legato al passato. Inoltre le grazie

potrebbero perdersi, nell’uso del carattere a corpi molto piccoli. Dopo alcune prove, sembra che qualcosa possa andare nella direzione giusta. Costruiamo il nome Siracusa partendo dai segni che riteniamo più accattivanti, in più vediamo che la stratificazione culturale nel tempo può essere comunicata anche con un movimento verticale delle lettere.


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essere le difficoltà ma soprattutto i tempi di incisione. Passo il periodo estivo a Siracusa. Chiedo in giro di chi potrebbe aiutarmi in questo lavoro. Dopo qualche giorno di ricerca capisco che l’unica persona che mi può essere di grande aiuto è il sig. Gibilisco, proprietario di una ditta di lavorazione di pietre tombali.

immagine promozionale

Dopo una prima fase di bozze sembra già delineata una possibile versione che ci convince; basterà qualche piccola modifica per renderlo più leggibile. Il ritmo dato dalle lettere più grandi e da quelle che si spostano in alto è funzionante. In un secondo momento decidiamo di modificare la A. Dobbiamo ricordarci che il nostro lavoro deve essere quanto più intuitivo e facilmente comprensibile, in modo particolare quando lavoriamo per un’amministrazione pubblica. Una volta segnate le linee guida del marchio, il segno nato dalla penna deve incontrare il mezzo della pietra: occorre inciderlo. Per fare questo è necessario avere i mezzi giusti e le conoscenze adatte. Le incisioni sulla pietra oggi vengono fatte con i pantografi, macchinari appositi che riescono ad avere precisione millimetrica. Quello che serve a noi però è sfruttare le imperfezioni della mano umana e i limiti tecnici che si incontrano usando lo scalpello ed il martello. Il prof. Luciano Perondi mi invita a provare in prima persona. Non avendo né competenze né conoscenze, chiedo di incontrare un type designer che ha già fatto questo tipo di esperienza: Albert Pinggerra. Da lui cerco di farmi spiegare quali sono stati gli ostacoli maggiori che aveva incontrato nello scolpire il suo carattere: lo Strada. Avendo guardato con attenzione il materiale che mi ha mostrato, mi rendo conto di quali possono


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i risult forme e ri d 78 |

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cambino leggermente di forma, oppure posizionate alla fine delle parole perdano la discendente, se presentve. In questo modo, digitando il testo, il carattere è in grado di gestire autonomamente le legature creando coppie di lettere che all’occorrenza si uniscono e mutano di posizione. Il carattere che identificherà con il suo segno è il nuovo carattere creato: il Meta Plus. Affianco al carattere che abbiamo disegnato, si sente l’esigenza di affiancarne un’altro, che servirà a comporre i testi più lunghi e/o ad essere utilizzato in ambiti in cui, per motivi di chiarezza e semplicità il Sira risulterebbe fuori luogo. Uno degli esempi potrebbe essere la composizione di paragrafi di testo oppure di segnaletiche.

il carattere disegnato per il progetto d’identità SIRACUSAE

La scelta iniziale di creare un carattere per l’identità visiva di una città apre la porta alla possibilità di sviluppare un’immagine forte. Prendendo in considerazione le applicazioni si prevede che il marchio non sia il suo unico uso impiego. Parte della comunicazione esterna, potrebbe essere riconoscibile a primo impatto attraverso di esso. Non è pensato per essere usato in testi troppo lunghi o in corpi piccoli, ma acquista forza in corpi grandi o come headline. Per disegnarlo abbiamo preso spunto dai risultati della ricerca, cercando di mantenere alcune forme e riadattando i disegni di ciascuna lettera in modo da renderle omogenee tra loro. I segni Arabi, Ebraci entrano così in connessione con le incisioni dei tagliapietre e con i simboli più popolari, rappresentati dalle forme scaramantiche dei pescatori.Si uniscono segni molto diversi tra loro per forma e provenienza in un unico formalismo. Il carattere in minuscolo si sviluppa su tre righe sulle quali le lettere, grazie a delle particolari legature, si uniscono spostandosi nella parte inferiore o superiore. Le vocali sono le principali candidate a farlo, anche se in alcune particolari combinazioni anche le consonanti cambiano di posizione. Questa funzione è attivabile grazie alla programmazione in Open Type. Si può notare inoltre come alcune lettere legandosi ad altre


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Dopo alcune prove iniziali ci rendiamo conto che la resa ottimale del logo si ottiene riproducendolo in negativo, in questo modo scegliamo questa versione come quella principale. Per quanto riguarda il lato della comunicazione, dovremmo aggiungere qualcosa al semplice nome della città. Alla versione incisa decidiamo di aggiungere un elemento nella parte finale del nome, rifacendoci al nome storico “Syracusae”. Infatti aggiungiamo una e cercando di renderla meno invasiva possibile. Non vogliamo cambiare il nome, mimetizzandola in modo che sembra un ricciolo della precedente A. La nostra intenzione è quella di suggerire e non dimenticare il nome storico. Il nome al plurale deriva dal fatto che nell’antichità la città era composta da cinque polis più piccole; da qui il soprannome di pentapoli.

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Per quanto riguarda il colore, abbiamo analizzato il colore della pietra siracusana. Da quello che si nota a prima vista è molto chiara e non sarebbe funzionale usare un colore simile al bianco in previsione delle possibili applicazioni. Un bianco leggermente sporco sul bianco della carta rischia infatti di perdersi,ricordandoci che il marchio che abbiamo intenzione di usare prevede il lettering in negativo su un fondo colorato. Guardando con attenzione, il colore della pietra presenta delle sfumature più scure con zone che tendono ora al verde ora al rosa. Queste tonalità si prestano e serviranno alle declinazioni del marchio.


il logotipo


declinazioni cromatiche e sistema d’identità

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applicazione


PER POTER DESCRIVERE PIÙ CHIARAMENTE CHE COS’È WOODLAND PARTO DA UNA LUNGA “PREMESSA” DI SIMBOLI LEGATI ALL’ALBERO (LA FORESTA) E AI SUOI RAPPORTI CON GLI ANIMALI (UOMO).

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FF3300 | ILLUSTRAZIONE: Woodland - Giacomo Trivellini


WOODLAND

WOODLAND (DALL’INGLESE): AREA COPERTA DA ALBERI. DIVERSAMENTE DALLA FORESTA, PERMETTE AL SOLE DI PENETRARE ATTRAVERSO I RAMI, LIMITANDO L’OMBRA. GIACOMO TRIVELLINI

Woodland è un libro. Il libro contiene woodland e il suo mondo. Un mondo fatto di luce e di sagome che prendono forme che conosciamo, che vediamo sempre e che forse non ci stupiscono più. Un mondo dove predomina la natura arcaica, incantarice e sublime. La forma più simbolica e rappresentativa diventa quindi l’albero, che anima, protegge e distorce (a volte) le creature che possiede (figure ambigue e bizzarre). Da qui il titolo “Woodland” che in italiano può significare “foresta”, “bosco”, o anche “terra del legno” o “terra degli alberi”.

Termini diversi ma che comunque descrivono un’area circoscritta e incontaminata, come lo è quella del libro. Il libro contiene anche un dvd. Il dvd contiene un’animazione che riecheggia le sensazioni delle illustrazioni, ma le rende più reali e solide muovendole. Le scene sono tutte inedite, non presenti nel libro, ma sono immerse nello stesso clima e nello stesso bianco.

Immagine tratta da Woodland

@ ...


IL SIMBOLISMO VEGETALE Il primo carattere distintivo e simbolicamente significante delle piante è il loro appartenere contemporaneamente al mondo sotterraneo e a quello esterno, condiviso con l’uomo. Gli alberi, poi, rappresentano un caso particolare: costituiti da tre parti fortemente caratterizzate nel loro aspetto (radici, fusto, chioma) sembrano aver differenziato la loro struttura in funzione dell’ambito cosmico nel quale le parti stesse vengono a svilupparsi. Le radici, nere e nascoste, si snodano nelle profondità ignote della terra; il tronco appartiene al mondo degli uomini; e la chioma, con le foglie, i frutti e i fiori, si estende al di sopra del mondo e dell’uomo, verso il cielo. L’albero è dunque per eccellenza un simbolo vivente della struttura stratificata del cosmo, punto di contatto fra i tre mondi, uranio, terrestre e ctonio. Nell’albero, poi, si compendiano anche i quattro elementi fondamentali dell’Universo: la Terra, che ne sostanzia e nutre le radici; l’Acqua che si diffonde come linfa in tutta la pianta; l’Aria che ne vivifica le fronde; e il Fuoco che si sprigiona dal suo legno. Ma senza dubbio il più evocativo degli aspetti simbolici dell’albero è quello legato alla ciclicità della vegetazione, in cui si può scorgere chiarissimo un riferimento alla continuità vitale che supera indenne fasi di apparente morte, per rinascere

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immancabilmente alla primavera successiva in un ciclo senza fine. L’albero è quindi anche una potente immagine della forza vitale. Inoltre bisogna notare come l’uomo stesso, nella sua figura corporea, riecheggi l’immagine arborea, con la sua struttura longilinea ed ortogonale al suolo, al quale lo legano i piedi, come delle radici, e dal quale sembra volersi allontanare, per immergersicol capo, come la chioma degli alberi (e non si chiamano forse anche i capelli “chioma”?), nelle regioni celesti. Ecco che quindi l’albero diviene anche immagine simbolica dell’uomo, che a sua volta rappresenta un punto d’incontro tra le varie regioni cosmiche, riflesso, esso stesso, del Microcosmo in cui si rispecchia fedelmente il Macrocosmo. Questa parentela tra uomo e mondo vegetale si esprime nei miti di creazione in cui l’uomo discende direttamente da una pianta. Ai miti dell’origine umana della pianta, fanno riscontro parallelamente tutti quelli in cui le piante del mondo naturale hanno origine dalla morte o dalla trasformazione di un dio o di un eroe mitico: dal corpo di Osiride nasce il grano; dal sangue di Attis, le viole; da quello di Adone le rose e gli anemoni; Ciparisso si trasforma in cipresso, Dafne in alloro e così via. Ci si trova cioè in una situazione di continuità simbolica: l’albero, simbolo dell’unità dei regni cosmici, lo è anche di quella dei regni della natura. E scompaiono,

FF3300 | ILLUSTRAZIONE: Woodland - Giacomo Trivellini


Immagine tratta da Woodland


TUTTO RIMANE SOSPESO TRA IL DETTO E IL NON DETTO, TRA L’INDECIFRABILITÀ E LA SEMPLICITÀ DELL’IMMAGINE, TRA PIÙ POSSIBILI SPIEGAZIONI, TUTTE PROBABILMENTE SBAGLIATE.

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FF3300 | ILLUSTRAZIONE: Woodland - Giacomo Trivellini


a questo punto, anche i confini tra l’animale e il vegetale. Il persistere della credenza in piante al confine tra il mondo vegetale e quello animale, anche fino a tempi recenti, non fa che confermare la sostanziale unità ed omogeneità della potenza creatrice. LA FORESTA E IL BOSCHETTO

Immagine tratta da Woodland

A differenza del singolo albero la foresta rappresenta simbolicamente un mondo alternativo a quello della terra coltivata dall’uomo. Spesso compare nelle saghe e nelle favole ed è popolata da esseri misteriosi quali streghe, draghi, giganti, gnomi, leoni, orsi ecc., tutti personaggi che incarnano quei pericoli che il giovane deve affrontare al momento dell’iniziazione: alla fine, superate le prove, diventerà un vero uomo. L’immagine risale a quelle epoche nelle quali le foreste ricoprivano amplissime zone del mondo e le superfici da coltivare dovevano essere strappate con fatica alla natura. Nei sogni la “foresta oscura” indica una fase specifica dell’evoluzione della personalità, caratterizzata da un profondo disorientamento: un’area legata alla sfera dell’inconscio a cui l’uomo cosciente accede con riluttanza. La luce, che nelle favole filtra attraverso i rami degli alberi, indica la speranza di un luogo finalmente sicuro. La foresta, natura selvaggia e caotica, viene sentita in quanto tale come inquietante e minacciosa:

per questo la fantasia umana l’ha popolata di Uomini del Bosco, folletti e coboldi, ma anche di elfi buoni e in grado di aiutare chi li incontra. Per molti uomini spirituali, invece, la foresta divenne un luogo di solitudine e di isolamento dalle preoccupazioni del mondo abitato. Gli eremiti non temono i pericoli della foresta, anche perchè sono protetti da forze superiori e inspiegabili a tutti. Dal punto di vista della psicologia del profondo, la foresta è il simbolo, per l’adolescente, della femminilità, che egli deve esplorare pur apparendogli inquietante. Il giovane sembra così in generale dominato dal “verde crepuscolo dell’inconscio talora illuminato e talora oscuro, una vita nascosta al mondo esterno”. La foresta come simbolo onirico è ricca di “molti elementi, di natura anche contraddittoria, innocenti o minacciosi. Vi si raccoglie ciò che forse un tempo, forse non troppo lontano potrà affiorare ai livelli consci della nostra esistenza civilizzata”. I briganti corrispondono alla personificazione di componenti primitive e pericolose del nostro essere, poichè la nostra natura non è, come si sa esclusivamente positiva. Diverso dalla foresta è il boschetto, che non si estende a perdita d’occhio, ma rappresenta uno spazio circoscritto di natura mistica e prodigiosa, quasi magica. Mentre la foresta oscura simboleggia la paura dell’uomo dinnanzi alla natura ignota e selvaggia,


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ANIMALI E SIMBOLISMO Abbiamo già parlato dell’albero (e della foresta) come forza creatrice di vita. Con e attraverso l’albero prendono forma nuovi esseri viventi, animali che si nutrono del suo frutto o che ne trovano riparo. Siano considerati nostri amici fedeli oppure siano evitati come nemici insidiosi; siano amati fino alla venerazione oppure perseguitati fino al sacrificio, è certo che gli animali sono in un rapporto “passionale” con l’uomo; un rapporto “magico” che risale a tempi e a miti antichissimi. L’uomo riconosce in ogni bestia (feroce o addomesticata) qualcosa di umano che gli somiglia ma anche

qualcosa di extraumano e così l’animale diventa simbolo di una realtà a volte soprannaturale, a volte “magica”. Niente o quasi, del resto, ci è più familiare, fin dall’infanzia,delle immagini e rappresentazioni di animali. Personaggi dei fumetti, dei cartoni animati e delle favole sono ben conosciuti. Una buona metà dei libri per l’infanzia sono dedicati ad animali. E nei sogni dei bambini riportati da Piaget, su una trentina di osservazioni più o meno nette, nove si riferiscono a sogni di animali. Né meno significativo è il fatto che i bambini non abbiano mai visto la maggior parte degli animali che essi sognano. È ben presente, poi, la favolosa mitologia sulle abitudini degli animali, del tutto lontana da quel che può rivelare l’osservazione diretta della realtà zoologica. Per cui la salamandra, nella nostra immaginazione, resta sempre legata al fuoco come la volpe all’astuzia. L’esperienza, quindi, non potrà mai contraddire un certo orientamento “animale” dello strato profondo del nostro immaginario. Vero è, peraltro, che la distinzione tra i due mondi, quello dell’immaginazione e quello della realtà esterna, è ben chiara. Così, i Kuranis australiani, per esempio, distinguono assai chiaramente tra Animali e simbolo l’archetipo immaginario e l’animale oggetto dell’esperienza di caccia. Quest’ultimo viene chiamato jiak, mentre all’archetipo animalesco

Immagine tratta da Woodland

il boschetto, limitato nella sua estensione, che può consistere anche soltanto di pochi alberi, rappresenta un luogo di raccoglimento e di quieto incontro con potenze ed esseri sovrumani. Nel boschetto sacro di Dodona, in Epiro, si venerava Zeus, il quale esprimeva la sua volontà sotto forma di oracolo attraverso lo stormire delle querce, a lui consacrate. Nell’antica Roma era noto il boschetto sacro di Ariccia presso il lago di Nemi; esso era consacrato a Diana aricina e un sacerdote ne sorvegliava gli alberi. Tali boschetti offrivano spesso protezione ai fuggitivi. È accertato che anche per i Celti e Germani essi rappresentavano luoghi sacri, in cui gli dei si rivelavano.


dei racconti e delle leggende, è riservato il nome muk-jiak, cioè “animale notevole”. È poi il caso di precisare che, oltre al suo significato archetipo e generale, l’animale è suscettibile di essere iperdeterminato da caratteri che non sono necessariamente riferibili direttamente all’animalità. Così, ad esempio, le significazioni principali dell’uccello sono quelle, generali, dell’ascensione e del volo che l’uccello divide con la freccia. Da qui una serie di significati che trascendono, appunto, la mera animalità: l’ape e la formica divengono simbolo di operosità, il leone di regalità, il cane di fedeltà e così via. Inoltre, l’animale ignoto alla fauna locale diventa mostro. I rettili e i sauri si trasformano in draghi, al serpente boa si attribuiscono due grandi braccia con le quali trascina gli elefanti in fondo all’acqua. Con l’aiuto dell’immaginazione si attribuiscono ad un animale elementi non pertinenti alla sua morfologia (ai pipistrelli si attribuiscono denti umani), si aumenta la sua grandezza (si favoleggia che nelle indie le mosche sono grosse come piccioni), si dà ad ogni animale terrestre un equivalente acquatico (abbiamo così i cervi marini, le scimmie di mare ecc.). Poichè gli animai sono portatori di un simbolismo e di una mitologia assai importanti per la vita religiosa (si pensi, per restare vicino a noi, all’Agnello di Dio), comunicare con gli animali, parlare il loro linguiaggio, diventare

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loro amico e signore equivale ad appropiarsi di una vita spirituale molto più ricca della vita semplicemente umana del comune mortale. D’altra parte, aglin occhi del “primitivo”, gli animali hanno un prestigio considerevole: conoscono i segreti della vita e della natura, conoscono anche il segreto della longevità e dell’immortalità. Del resto, l’amicizia con gli animali e la conoscenza del loro linguaggio rappresentano un richiamo al Paradiso.

FF3300 | ILLUSTRAZIONE: Woodland - Giacomo Trivellini


Immagine tratta da Woodland


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Immagine tratta da Woodland


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“Per il selvaggio il mondo è tutto animato (con un anima) e gli alberi e le piante non fanno eccezione alla regola” James Frazer, Il ramo d’oro

LE TAVOLE

Il libro ha un formato di 23,5X18 (aperto

Tutte le tavole del libro sono realizzate con la stessa tecnica. L’ecoline e la sua imprevedibile mutevolezza,le sue tracce pulsanti, i suoi contorni indefinibili, sono associati ad un segno (matita, penna, pennino, tratto pen, penna stilografica) più rigido ma molto leggero. Insieme, sporcati ogni tanto da pastelli o matite o pennarelli, creano su sfondo bianco le stravaganze di Woodland. Le tavole sono state pensate dall’inizio per occupare la totalità della doppia pagina, andando ad occupare lo spazio in rapporto con il loro stesso contrasto pieno-vuoto, con la

di 23X36) ed è costituito da 24 tavole illustrate (3 sedicesimi). Tutte le tavole (ad eccezione del frontespizio) vanno ad occupare l’intera doppia pagina insieme al testo, composto interamente con lo stesso corpo e carattere. Il prototipo è stampato su carta laser da 120 grammi e rilegato a fisarmonica e brossurato a caldo.

propria struttura e con il testo.

Immagine tratta da Woodland

IL LIBRO


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MOVIMENTO NATURALE DELLA POPOLAZIONE Foto di Francesca Bellussi

I CAMBIAMENTI SOCIALI E TERRITORILI NELLA CONTEMPORANEITÀ SI STANNO IDENTIFICANDO SEMPRE PIÙ, NON SOLO NELLE GRANDI METROPOLI, OGGI CONSIDERATI CENTRI PRINCIPALI DI SCAMBIO, MA ANCHE IN PICCOLI CENTRI, DOVE A VOLTE È MAGGIORMENTE POSSIBILE COMPRENDERE IL VALORE DELLA RELAZIONE. FRANCESCA BELLUSSI

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Per questo ho analizzato la realtà nella quale vivo, per soffermarmi e successivamente scoprire un piccolo quartiere nelle vicinanze di Urbino, ideato per ospitare studenti, ora adeguato a famiglie di emigranti, la maggior parte mussulmani. La disgregazione dal centro di Urbino rafforza il senso discriminatorio di una etnia che però si identifica in una comunità in quanto attenti a preservare abitudini e ritmi. Un luogo in cui non ti senti subito a tuo agio,ma che con attenta osservazione puoi cogliere, accettando costrizioni per noi impensabili e forse troppo ristrette. In ogni caso il mio continuo vagare mi ha rapportato con una vita differente e curiosa, la mia presenta è stata in alcuni casi

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difficile e ingestibile, ma lo sguardo ha continuamente raccolto attimi di una quotidianità sconosciua. La fotografia, lo studio del cambiamento interculturale attuale, le parole di Simmel sul concetto di disgregazione si sono intensificate lungo il tempo. Parole, dialoghi, scontri idealistici, osservazioni nascoste e timide sono cresciute nel breve tempo in cui io per prima emigravo verso loro. Lo scatto diventa comunicazione, le parole raccontano l’immaginario non visivo e i colori defiscono gli spazi fra le stanze. Ho circostritto

FF3300 | FOTOGRAFIA: Il movimento naturale della popolazione, Francesca Bellussi


Foto di Francesca Bellussi


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Foto di Francesca Bellussi

il territorio, mentre sviluppavo i sensi verso una così alta forma di intimità che a mia volta ho usato per descrivere un luogo, che diventa un non luogo (Marc Augè) perdendo identità e centro. La quotidianità degli avvenimenti a volte spaesante, mi sussurra i limiti del mio sguardo portandomi oltre la porta che socchiusa invita ad ascoltare il suono di una pregheria. La religione pervade fra le scritte nei muri, le scarpe fuori dall’uscio, i tappeti che distesi ovunque colorano il degrado urbano, mentre il movimento naturale della popolazione continua.


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FF3300 | MUSICA / GRAFICA: otolab


Foto di Francesca Bellussi


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FF3300 | MUSICA / GRAFICA: otolab


Foto di Francesca Bellussi


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FF3300 | MUSICA / GRAFICA: otolab


Foto di Francesca Bellussi

Una città che trascura il benessere dell’anima, obbliga il proprio benessere in modo degradante e materiale


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FF3300 | MUSICA / GRAFICA: otolab


Foto di Francesca Bellussi

Il graduale abbandono del principio di “centralità” disciplinare è proprio il fine di quella “rete di connessioni” da sostituire al “discorso unico”. Connessioni intese come intrecci tra una pruralità di punti di vista che formano il “sapere antropologico”, che è processo, qualcosa che si costruisce attraverso la costruzione ed azione partecipata, il cui fine comune non dovrebbe essere soltanto la costruzione di una città e di un patrimonio “d’arte”, bensì di una città e di un patrimonio “di cultura”, che assorba e trasformi il cambiamento in comportamenti profondi e assunti sociali. Per arrivare infine al momento, sarà utopia?, in cui artista, architetto, urbanista, antropologo, con grande disponibilità, ciascuno accettando di sparire un pò, si dichiareranno pronti a fare e disfare affinchè qualcosa dell’ una o dell’altra progettualità possa con-fondersi e diventare opera collettiva. Da “Cuore di Pietra” di Mili Romano


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Foto di Francesca Bellussi


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Foto di Francesca Bellussi


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Foto di Francesca Bellussi


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Foto di Francesca Bellussi


“CI SONO UNA VECCHIA E UNA NUOVA COSCIENZA DELL’EPOCA. L’ANTICA TENDE ALL’INDIVIDUALE. LA NUOVA TENDE ALL’UNIVERSALE. LA LOTTA TRA L’INDIVIDUALE E L’UNIVERSALE SI RIVELA SIA NELLA GUERRA MONDIALE, SIA NELL’ARTE CONTEMPORANEA”.

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WIJDEVELD & WENDINGEN LA GRAFICA IN OLANDA, TRA NEOPLASTICISMO E CULTURA DELLA TIPOGRAFIA (PARTE 1)* DI SILVIO NICOLA SPINA

simbolica nella figurazione bidimensionale. Esistevano da tempo in Olanda alcune organizzazioni come A+A (“Architectura et Amicitia”), la MBVA o la BNA, le associazioni degli architetti olandesi con il loro organo di stampa Bouwkundig Weekblad, a cui tutti facevano riferimento. Inoltre, dal 1919 al 1932 vengono redatti degli annuari sugli sviluppi della cultura architettonica e artistica, a cura della V.A.N.K., Nederlandsche Vereeniging voor Ambachtsenen Nijverheidskunst. C’è modo, insomma, per i più attivi, di partecipare intensamente ai dibattiti culturali e ideologici che di volta in volta vengono attivati.

*NEI PROSSIMI NUMERI IL DOSSIER PROSEGUIRÀ CON LA PUBBLICAZIONE DELLA PARTE 2 E DELLA PARTE 3

1929 - Lauw

A DIFFERENZA DEGLI ALTRI PAESI DOVE LA GRAFICA HA AVUTO INNOVATORI CHE PER FORMAZIONE ARTISTICA PROVENIVANO DALLA PITTURA O COMUNQUE DALLE ARTI DA CAVALLETTO — basti pensare al tradizionale cartellonismo — in Olanda la nuova disciplina deriva direttamente dall’esperienza architettonica. Va anche detto, per meglio inquadrare il problema, che in nessuna altra nazione le associazioni di categoria e le corporazioni sono mai state in grado di integrare così bene architetti e artisti, gli uni e gli altri interessati a tematiche fortemente differenti, come lo sono ad esempio le istanze sociali connesse all’urbanesimo e la rappresentazione


Sotto il profilo storico e teorico, dopo P.J.H. Cuypers, il costruttore del Rijksmuseum di Amsterdam, tutti sono concordi nel considerare Hendrik Petrus Berlage (18561934 ) il padre di tutte le nuove esperienze dagli anni Dieci in poi. Le nuove generazioni inoltre scopriranno ben presto il nuovo astro dell’architettura americana: quel Frank Lloyd Wright che lo stesso Berlage, dopo un viaggio negli stati uniti nel 1911, contribuisce a far conoscere in Europa. Fin dagli anni introduzione TIPOGRAFIA E ARTE NELLA GRAFICA OLANDESE della prima guerra mondiale, grazie alla sua neutralità, l’Olanda diventa terreno di fermenti culturali, dove le

posizioni di molti protagonisti si radicalizzano. Per consuetudine aleggia un pensiero che si ispira al socialismo romantico di William Morris, con punte di anarchismo utopico negli artisti più individualisti. Molti fanno parte di società teosofiche e non disdegnano l’occulto. Tra di essi alcuni insospettabili come Mondrian o Zwart. Dobbiamo ricordare tra l’altro, che le origini della grafica olandese vedono la contaminazione dell’Art Noveau locale, soprattutto nell’opera di Jan Toorop e di Thorn Prikker, con la decorazione estremorientale dei batik dell’indonesia e delle arti popolari delle Indie Olandesi. Quei motivi grafici si mescolano un pò alla volta, nel primo dopo guerra, con le nuove tendenze espressioniste che giungono dalla Germania. Nel 1917 si costituisce il movimento “De Stijl” di cui è animatore Theo van Doesburg, e alla fine del medesimo anno esce il primo numero dell’omonima rivista. Il gruppo


si compone, oltre che di Van Doesburg, di Mondrian, di Bart van der Leck (che lascerà subito dopo il movimento), di Vilmos Huszár, di Anthony Kok, dello scultore belga Vantongerloo, degli architetti oud, Wils, Van’t Hoff (questi ultimi si allontaneranno dopo circa un anno); poco dopo si aggiungerà Rietvelde più tardi Van Eesteren, Hans Richter, WernerGräff. Il movimento nasce “per reagire al barocco imperante nell’architettura moderna”e mette in atto una rigida teorizzazione per dar vita a una nuova arte plastica che sopprima ogni forma “naturale”. Diretta, fino alla morte avvenuta nel 1931

da Theo van Doesburg, De Stijl è una piccola rivista, realizzata con pochi mezzi ma che si propone come veicolo di collegamento tra i più importanti movimenti artistici europei d’avanguardia,dunque con efficaci scambi in campo sperimentale secondo le tendenze dadaiste, futuriste, costruttiviste, neoplastiche, bauhaüsiane. Grafico ufficiale della rivista è Vilmos Huszár, un ungherese che opera nell’ambiente artistico olandese. Le sue composizione rigidamente ortogonali e i suoi caratteri senza linee curve, al pari dei testi poetico-visivi di Van Doesburg, aprono nuovi orizzonti a coloro che del design ne faranno una vera e propria professione, come Piet Zwart. Individualismo, romanticismo, misticismo, espressionismo, costituiranno invece il leit-motiv di un’altra rivista, sorta nel 1918 e diretta per alcuni anni da un altro degli architetti-grafici: Hendricus Theodurus Wijdeveld.

Lavoro tipografico basato sullo studio degli ideogrammi Cinesi


La rivista,che peraltro è di grande formato (quadrato, cm 33 X 33 ), di pregevole fattura e rilegata alla giapponese con un nastro vegetale, viene denominata Wendingene in essa sembra rispecchiarsi la cultura ufficiale operante soprattutto ad Amsterdam. Nel ricostruire la storia dei movimenti artistici e dei gruppi di architetti protagonisti della cultura degli anni Venti in Olanda, alcuni studiosi hanno voluto individuare due poli fortemente contrapposti: uno operante ad Amsterdam,tradizionalista, visionario e reazionario; l’altro facente capo a Rotterdam, funzionalista,oggettivista e internazionalista. Guardata a distanza questa contrapposizione

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risulta decisamente pretestuosa e distorta. Innanzitutto perché la cosiddetta “Amsterdamse School” ha lasciato un segno indelebile del suo patrimonio architettonico. Questo senza nulla togliere a chi vi si opponeva, come Oud o Wils con il loro esempio di una grande lezione di architettura e urbanistica, così come per altri che hanno assunto atteggiamenti più morbidi e di equidistanza come Dudok o Staal. A quel tempo la maggior parte degli architetti e degli artisti assume posizioni fortemente radicali e vivacemente critiche, gli uni nei confronti degli altri, e una leggera flessione o tolleranza può bastare per essere considerati veri traditori. Tutto questo è anche il frutto di un’ampia componente di pensiero, a cominciare dalla fede protestante che coinvolge tesi teologiche e teosofiche, a cui si aggiungono razionalismo cartesiano e spinoziano, iconoclastia e simbolismo.

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Quando anche Piet Zwart esordisce verso il 1917, nelle cosiddette “arti industriali” partecipando a Den Haag a una mostra con alcuni interessanti mobili (sono presenti anche Berlage, De Klerk e Kramer), egli è certamente molto vicino al gruppo De Stijl, ma non vi aderisce. È certamente vicino a Robert Van’t Hoff, uno degli architetti di De Stijl che dopo una lunga e proficua esperienza nello studio di Wright in America, rientrato in Olanda nel 1914, costruisce due case in cemento armato “alla Wright” facendo molto scalpore. È vicino anche a Jan Wils, altro architetto wrightiano con il quale avrà un lungo rapporto di lavoro, e con Vilmos Huszár.

Intanto la posizione filosofica di Zwart si sposta e dal pensiero socialista di tipo morrissiano si fa più marxista, come del resto avviene per Van’t Hoff. Nel 1919 sulla base delle ripercussioni rivoluzionarie della Russia Sovietica, in Olanda viene fondato il movimento Bond van Revolutionair-Socialistische Intellectuellen, indipendente dai partiti di sinistra, e con un legame informale con il Nieuwe Amsterdammer (il movimento, di ispirazione anarchica, cessa le attività nel 1922). Tra i soci, Berlage, Van Doesburg, Wijdeveld, J.F. Staal, Van Loghem, Zwart (socialismo idealistico e linea misticoanarchica dunque si compenetrano). Zwart non condivide l’arte totalizzante di De Stijl. Ciò che denuncia è la caduta dell’artista nel dogma o nell’astrazione della filosofia, prendendosela soprattutto con Van Doesburg.

Alcuni stampati del periodo di riferimento in Olanda



Alfabeto modulare


“Inevitabilmente — come ha scritto Ger Harmsen — coloro che rimasero fedeli a De Stijl si allontanarono dalla politica, e quelli che della politica fecero una ragione di vita, si allontanarono da De Stijl”. 132 |

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Copertine di Theo Van Doesburga


Intanto, nel 1920 si forma un’altra delle varie associazioni professionali: Opbouw, che avrà un ruolo di primo piano nella cultura olandese degli anni Venti e Trenta. Zwart lavora diversi anni nello studio di Berlage (dal 1921 al 1927), acquisendo così un’importante esperienza in campo architettonico e in quello del design e, in quegli stessi anni insegna alla Rotterdamse Akademie voor Beeldende Kunsten en Technische Wetenschappen, battendosi costantemente per il rinnovamento propedeutico. Con Zwart l’uso della tipografia in senso gestuale e provocatorio, così come era stata intesa dai futuristi, dai dadaisti e dallo stesso Van Doesburg, si traduce

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in meditata composizione e in rigore grafico, in tensione spaziale e in equilibri dinamici. Il messaggio grafico secondo Zwart va dunque inteso come progetto, ed egli fa proprie le tecniche di comunicazione adottate dagli artisti, per trasformarle in linguaggio visuale. Determinante l’incontro di Zwart con Kurt Schwitters nel 1923, durante un convegno dadaista voluto da Van Doesburg, il quale sulla rivista “De Stijl” aveva cominciato a pubblicare composizioni tipografiche (poesia visiva?) con lo pseudonimo di J.K. Bonset. Una sorta di espressività della parola secondo una forma visuale e una forza verbale, già divulgata da Marinetti e da Tristan Tzara (ma individuata ancor prima da Mallarmé e da Apollinaire). Di grande importanza è da considerare per Zwart poi l’incontro con il russo El Lisitskij, di cui subisce totalmente il fascino. Lo considera acuto, essenziale,

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attivissimo. È tramite l’opera di quest’ultimo (specie la Storia di due quadrati), che Zwart mette a punto una tecnica comunicazionale adatta al recitatore di poesie. Il tentativo è di rompere gli schemi di una monotona e costante lettura, mettendo in evidenza le necessità ritmiche e dinamiche del testo.

“Da una scrittura passiva, confusa, inarticolata — ha detto lo stesso El Lisitskij — si passa a una scrittura attiva, articolata [...] Perciò la plastica tipografica deve fare attraverso l’ottica ciò che la voce e il gesto dell’oratore fanno per l’espressione dei suoi pensieri”. Alcuni stampati del periodo di riferimento in Olanda


Nelle varie fasi di approfondimento della ricerca zwartiana vi sono alcuni momenti importanti di verifica per la definizione dell’ambito entro cui deve operare il designer grafico e gli strumenti di cui dispone, come la tipografia e il lettering da una parte, e il nuovo mezzo espressivo sempre più presente nel mondo delle comunicazioni: la fotografia. Un altro significativo punto di riferimento per gli olandesi è costituito dalla pubblicazione del volume di Laszlo Moholy-Nagy, Malerei — Fotografie — Film, del 1927. Dopo questo Bauhausbucher, il cinema inteso come medium, diventa una fonte di ispirazione

fondamentale, anche in Olanda, per i nuovi orientamenti del graphic design. Fotografia, fotomontaggio, manipolazione dell’immagine, si compenetrano sempre più con gli elementi della tipografia pura. Dopo il 1927, Zwart dialoga soprattutto con Paul Schuitema, un altro interessante operatore visuale olandese, che di lì a poco diventa il coordinatore di De 8 en Opbouw, e con Jan Tschicold, teorico e grafico che insegna tipografia a Monaco e con il quale ha un intenso scambio epistolare. Con l’uso della macchina fotografica e della tipografia usata in senso espressivo, Zwart intende la grafica come appropriazione di nuovi linguaggi, per creare un nuovo modo di comunicare. La tipografia diventa un fine coerente con il concetto pubblicitario. Anche l’invenzione della composizione “a bandiera” fa parte della nuova tipografia di quell’epoca, che tende ad essere elementare , funzionale (la forma deve

“La prima generazione tras La seconda ha tentato, con dell’arte, di trasformare il m 136 |

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seguire la funzione), oggettivistica e dinamica (soprattutto con l’uso del carattere bastone). Zwart considera il testo e l’immagine, non come un commento del primo alla seconda, ma “due fattori organicamente uniti”. Tutto è scandito secondo un’analisi percettiva acutissima, con un rapporto perfettamente equilibrato di pieni e di vuoti, di figure e di sfondo. Grazie all’uso della stampa in colore, giunge a integrazioni e compenetrazioni di rara tensione. Anche per Zwart possono valere le parole che Schuldt ha avuto per El Lisitskij:

Alcuni stampati del periodo di riferimento in Olanda

sformò l’arte. l’aiuto mondo”.


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