FARCORO 3-2021

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n. 3 / 2021

Primo Piano

Convegno per i 50 anni di AERCO

Dossier

Cori multietnici in Italia

Analisi

Igor Stravinskij


FarCoro

n. 3 / 2021

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CN/BO

Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 01 DI SANDRO BERGAMO

FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Settembre-Dicembre 2021 Edizione online: www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. DIRETTORE RESPONSABILE Sandro Bergamo direttore@farcoro.it REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Silvia Perucchetti silviaperucchetti@yahoo.it Silvia Vacchi cod0408@gmail.com GRAFICA E IMPAGINAZIONE Ufficio Comunicazione AERCO Valentina Micciancio webmaster@aerco.emr.it STAMPA Tipolitografia Pixartprinting, Venezia SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 0510067024 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.

IN COPERTINA Concerto a San Martino nell’ambito del Convegno per il 50° di AERCO: Cappella Musicale San Francesco da Paola di Reggio Emilia

La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 02 DI ANDREA ANGELINI

Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 03 Polifonia a quattro voci DI PUCCIO PUCCI

50 anni tra memorie e desideri nel convegno dell’AERCO DI SANDRO BERGAMO E SILVIA VACCHI

Dossier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 La musica è già cambiata (dove il diritto arranca) DI LUCIANA MANCA

L’esperienza del Coro Papageno Il progetto Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna DI MICHELE NAPOLITANO

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 I cori al cinema (1) DI SILVIA VACCHI

L’antiromantico che amava Venezia DI FRANCESCO IULIANO

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Igor Stravinskij

DI FRANCESCO BARBUTO

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Camillo Cortellini DI LUIGI DI TULLIO

Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Eunoè - Paradiso Terrestre

DI FRANCESCO DI GIORGIO, STEFANO DALFOVO E SILVIA BIASINI

La Cappella Musicale della Cattedrale di Reggio Emilia DI SILVIA PERUCCHETTI

Il personaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 La scomparsa di Gianni Malatesta DI SILVIA VACCHI

Notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Il Festival Corale Voci nei Chiostri DI SILVIA BIASINI

CantaBO: un festival fuori dalle righe

Libri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 I Canterini di Longiano DI FRANCESCA SCARIOLI

Relazione in musica DI SANDRO BERGAMO


Editoriale

SANDRO BERGAMO Direttore Responsabile

L’archeologo e antropologo britannico Steven Mithen, in un testo del 2005 (Il canto degli antenati, ed. it. 2007), dapprima chiarisce, analizzando una serie di casi clinici (musicisti che hanno perso l’uso della parola e conservato quella della musica e viceversa) che il linguaggio e la musica sono indipendenti e vengono in parte guidate da aree diverse del nostro cervello; successivamente, esaminando i reperti dell’uomo di Neanderthal, dove le cavità ossee contenenti gli organi della fonazione appaiono poco sviluppate mentre lo è ampiamente quella del cranio destinata all’area del cervello dedita alla musica, trae una conclusione sorprendente: il nostro antenato di Neanderthal non conosceva la parola, ma sapeva cantare. Dotato di orecchio assoluto, era in grado di distinguere l’altezza dei suoni emessi e attribuire ad essi diversi significati. Le possibilità di comunicazione, rispetto a un linguaggio verbale, erano ovviamente limitate: e anche per questo il sapiens prese il sopravvento sull’uomo di Neanderthal. Ma questa teoria non può che affascinare noi, che dal canto traiamo emozioni e al canto dedichiamo tante energie. La musica come linguaggio più antico della parola. Non sono pochi i miti in cui la divinità crea il mondo dal suono: e anche nel Primo Testamento, si tratti di suscitare lo spirito dei profeti o di calmare Saul riportandolo a un rapporto equilibrato con Dio, la musica è un ponte verso il divino, ma anche un mezzo per arrivare alla profondità dell’uomo: il luogo, si potrebbe dire, dove l’umano e il divino s’incontrano e si fondono. Ciascuno di noi ripercorre il cammino dell’umanità: il bambino, secondo Mithen, nasce dotato di orecchio assoluto, che perde poi nei primi mesi, per passare all’apprendimento della lingua. Il canto, insomma, ci conduce alla radice della nostra natura umana. E questo distaccarsi dal canto, che mentre viene intensamente coltivato da una minoranza appare abbandonato dai più, ci interroga su cosa sia oggi l’uomo e l’idea che ne abbiamo. Se ne è accennato, in qualche intervento, anche durante il convegno del 50°. Cantare non fa più parte delle abitudini e delle competenze dell’uomo medio. Questo rende da un lato più problematico il quotidiano della nostra coralità amatoriale, che non trova più già ‘pronto’, il corista, ma lo deve formare dalla base: come se a scuola di calcio si dovesse incominciare dall’insegnare a correre. Ma dall’altro rende ancor più prezioso il nostro ruolo: non facciamo solo musica, ma preserviamo e rendiamo disponibile a tutti un elemento importante, fondamentale, della nostra umanità. In un momento che tutti percepiamo come critico della nostra storia, il cantare affonda le radici negli strati più arcaici della nostra vicenda e ci aiuta a scrutare e costruire il futuro.

Coro

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La lettera del Presidente Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra precipitare in un baratro senza fondo, ogni cosa che si era precedentemente costruita con paziente lavoro si sgretola sotto i nostri occhi. Quell’impotenza che i miei nonni mi avevano raccontato nei dettagli quando, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, le persone videro sogni sfumati, occasioni rimandate, lutti con cui fare i conti. La pandemia forse non è una guerra ma sicuramente gli è molto vicina. Chi di noi, direttori e coristi, non ha dovuto sospendere l’attività per cui si era speso da sempre? Chi non è stato attanagliato da un senso di sconforto e di incertezza? Qui in AERCO abbiamo condiviso con tutti voi i dubbi, le tristezze, le rabbie, gli sconforti… Ricordo con particolar emozione gli ultimi mesi del 2020 quando, dopo un cautelato ottimismo che fece seguito alla presa di coscienza di un fatto sconosciuto, i contagi sembravano dover congelare ogni attività. Se da un lato, come direttore di coro, era facile per me cadere nella disperazione per i concerti cancellati, i viaggi rimandati, le prove sospese, i coristi che si vedevano solo sul piccolo schermo, dall’altra, quale rappresentante della coralità regionale, dovevo cercare di infondere ottimismo nei confronti di chi l’aveva perso e continuare a programmare la nostra attività, seppure nella più assoluta incertezza. I primi mesi del 2021, non certo migliori di quelli precedenti, lasciavano però intravedere una possibilità di ripresa, grazie soprattutto alla campagna vaccinale che, in poco tempo, ha permesso una parziale ripresa delle attività musicali. Il mio plauso va alle istituzioni, tutte, da quelli comunali sino al Ministero della Cultura che non ci hanno lasciato mai soli. Tutto sommato sarebbe stato facile per loro non destinare fondi ad un settore, quello corale, che si era collocato nel limbo: niente finanziamenti a fronte di una non attività. Invece si è puntato sulla rimodulazione e sul futuro; ed ecco giungere fondi ristoro per eventi cancellati, altri per la messa online di concerti, ancora per la programmazione di un divenire quanto mai incerto. Non ho mai partecipato, come presidente AERCO, a tanti bandi come in questo periodo! E la partecipazione ha portato buoni frutti. Questo 2021 che volge al termine è per tutti noi speciale, è l’anno del 50° di AERCO: potete immaginare con quale animo lo abbiamo programmato, nel pieno

2 | LA LETTERA DEL PRESIDENTE

della pandemia… Alla fine mi sento di dare un giudizio più che positivo di quanto abbiamo realizzato. Lo ricordo brevemente in questo spazio: Il Concorso di Composizione AERCO, i miei primi cinquant’anni, il festival Voci nei Chiostri, il Concorso di Composizione Corinfesta, i corsi online e quelli in presenza, la Scuola Estiva di Canto Gregoriano, l’Accademia Corale AERCO, la pubblicazione del libro Canti dell’Appennino Parmense, il Convegno del Cinquantenario, i festival Spiritus, CantaBO e D’ante(prima) Corale, il Concorso per Direttori di Coro Romano Gandolfi, la pubblicazione di FarCoro. Inoltre, il rinnovo delle cariche sociali e della Commissione Artistica. Chiuderemo l’anno con i concerti legati al World Choral Day e con il Concerto del Ringraziamento. Tanta e tale attività ha richiesto uno sforzo manageriale che il Consiglio Direttivo, all’unanimità ha deciso di assumere dal 1° Gennaio 2022, con contratto a tempo indeterminato, Mirco Tugnolo, già Direttore Generale AERCO con contratto di collaborazione. A lui e agli altri collaboratori auguro un proficuo lavoro a favore della nostra coralità. Ai cori e ai colleghi direttori chiedo di partecipare sempre più in modo fattivo ed attivo alle tante opportunità che presentiamo; specialmente vorrei che i tanti corsi fossero accolti con estremo entusiasmo. Non c’è un’età in cui non si ha più nulla da imparare, la formazione dura l’arco di una vita. La Commissione Artistica è al lavoro per formare il calendario eventi 2022 che si preannuncia interessante quanto quello in via di conclusione. Ricordo che i cori già iscritti nel 2021 pagheranno, per il prossimo anno sociale, la quota simbolica di un euro, oltre ai 10 relativi all’abbonamento a Choraliter. Anche questo fa parte di quel lavoro capillare di reperimento delle finanze che ci ha permesso di abbattere i costi sostenuti dai nostri cori. Ci sarà anche un altro bel regalo per i cori iscritti, ma di questo non vi svelerò i contenuti. Preferisco lasciarvi con il gusto della sorpresa! Buon Natale a tutti voi!

ANDREA ANGELINI Presidente AERCO


Primo Piano

Polifonia a quattro voci 50 anni di AERCO nel ricordo dei presidenti

DI PUCCIO PUCCI

3.PARTE TERZA Quali stimoli ti ha dato l’AERCO ad aggregare altri Cori nell’Associazione. Giovanni Torre: sono stati proprio gli aspetti positivi, descritti più sopra (cfr. FarCoro 2/2021), già impostati dal mio predecessore Giorgio Vacchi e da me proseguiti e ampliati durante la mia presidenza, che hanno permesso all’AERCO di aggregare altri Cori nell’Associazione. Pier Paolo Scattolin: l’eredità della cultura corale di Vacchi, il fondatore dell’Associazione e le idee di Giovanni Torre che si inserì validamente e con grande competenza musicale per un breve periodo nell’arco della presidenza di Giorgio, costituirono per me un entusiasmante percorso in cui avvenne un grande allargamento delle iscrizioni che cercai di fronteggiare con il contatto diretto, la presenza alle attività dei cori grazie anche al proficuo scambio di idee con il “direttivo”: la realizzazione delle proposte di questo gruppo di responsabili attraverso il concreto ausilio organizzativo di Puccio furono un impegno costante per me e faceva da collante e forte stimolo aggregativo per i cori della regione. Sulla base dei valori precedentemente descritti l’aggregazione dei cori avvenne sulla base della diffusione del “farcoro” come elemento socializzante, la ricerca come metodo di lavoro, lo scambio fra cori senza finalità e modalità mercantili. Si cercò di promuovere l’adesione all’associazione individuando, incoraggiando e promuovendo ogni progettualità che desse la possibilità a ciascun coro di evidenziare le proprie specificità e capacità, potenziali volani per nuove aggregazioni; si era attenti ad evitare sovrapposizioni

con attività decise dal direttivo che potessero mettere in secondo piano quelle già esistenti. Gli stimoli aggregativi, quindi, non avevano il tramite di offerte o vantaggi di tipo amministrativo (seppure non assenti), ma le riunioni avevano per argomento soprattutto temi musicali e di crescita culturale. Quindi non la competitività capace di irradiarsi e stratificarsi con nocumento nelle attività associative, bensì la solidarietà era il principale obiettivo per diffondere il senso autentico dell’AERCO. Era l’idea che un direttore poteva crescere con consapevolezza assieme al suo coro e non l’essere il centro di un’attività valida come trampolino di lancio per una carriera personale: e anche se ciò possa essere considerato come un naturale ed eticamente giusto esito

POLIFONIA A QUATTRO VOCI | 3


complementare, non era lo stimolo più importante. Fedele Fantuzzi: L’associazionismo è per definizione “mettersi insieme, unire forze e idee”, perciò è stata una esigenza, una necessità cercare di raggiungere il maggior numero di realtà corali della regione. Portare a conoscenza gli obiettivi le finalità di AERCO, far sentire vicina e presente la Associazione per cercare insieme di crescere sia a livello musicale che aggregativo… Andrea Angelini: se si vuole avere ‘forza contrattuale’ bisogna essere uniti e numerosi. Questo avviene un po’ ovunque nel mondo sociale ed associativo. Non è ovviamente un fatto solo numerico, i cori non sono ‘clienti’ ma sono i veri destinatari dei servizi che AERCO può offrire. Mi piange il cuore quando un coro decide di non rinnovare l’iscrizione, specialmente se questo è dovuto ad un fatto economico, ad una difficoltà nel pagare la quota associativa. Negli ultimi 6 anni non abbiamo mai modificato la quota se non nel ‘caricare’ il costo dell’abbonamento a Choraliter. L’essere conscio di appartenere ad una rete corale regionale, nazionale, europea, mondiale mi ha dato lo stimolo maggiore per essere continuamente alla ricerca di cori da associare. I cori non possono restare da soli, devono vivere la loro bella attività a fianco degli altri, condividerne valori ed esperienze. Quale motivazione migliore può esistere?

La tua presidenza ti ha consentito di introdurre idee innovative in AERCO atte a dare un miglioramento statutario e aggregativo? Giovanni Torre: come accennato, fino al momento della iscrizione del mio coro (1973), la associazione veniva chiamata AERCIP. Di essa, facevano parte soltanto cori a voci maschili interessati a repertori di canti di ispirazione popolare. L’iscrizione del mio coro, a voci miste, ha comportato un cambiamento di statuto e di ragione sociale. Da allora, su nostra richiesta, l’AERCIP è diventata AERCO. Una associazione cioè, che intendeva comprendere tutte le possibili formazioni corali: dai cori a voci virili, a quelli a voci femminili, bianche e miste, con repertori che spaziavano su tutte le forme della musica vocale. In questo modo, la famiglia corale emiliano romagnola si allineava con quelle già attive nelle altre regioni d’Italia (in particolare: Veneto, Trentino, Lombardia…), avendo però cura di mantenere la specificità che l’aveva distinta fin dalla sua nascita in campo nazionale: e

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cioè, di essere una “Associazione a forte contenuto popolare”, legato al lavoro di ricerca musicale, svolto in regione dai suoi componenti sia sul terreno della tradizione orale che su quello della musica colta. Pier Paolo Scattolin: dopo l’apertura ai cori polifonici e la rinuncia di Giorgio Vacchi alla presidenza, uno dei miei principali obiettivi fu quella di cercare un equilibrio fra la cultura musicali dei cori popolari ancora preponderanti numericamente e quelli polifonici: si trattava di adeguare l’associazione alle nuove istanze prodotte anche dall’adesione di cori gospel e vocal-pop, di cori liturgici, di voci bianche e scolastici. Le rassegne dei cori si aprivano a rappresentare e favorire l’incontro fra culture corali così diverse. Fu necessario nella pubblicistica separare il foglio delle comunicazioni sociali dagli argomenti che riguardavano gli aspetti didattici, culturali e la focalizzazione di importanti attività dei cori e associative; azione che permise di configurare in maniera decisiva l’attuale rivista “Farcoro”, che oggi grazie all’apporto dei vari responsabili che nel tempo si sono succeduti continua con merito e validità. Un ulteriore passaggio verso l’approfondimento dei temi musicali e corali fu l’iniziativa editoriale de “I quaderni di far coro” che diedero all’Associazione uno spessore culturale e musicologico. Fu dato il definitivo assetto alla rappresentanza provinciale


e al convenzionamento con l’Assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna iuxta LR 13/99. Furono inoltre allargate le competenze della commissione artistica, che acquistarono un slancio propulsivo grazie alla vivacità del dibattito e dello scambio rispettoso delle opinioni che poi si traduceva in sintesi di indirizzo e di proposta di modifiche anche statutarie. Si cominciò a porsi il problema della catalogazione, iniziata da Giorgio Piombini, degli archivi musicali presenti in alcuni cori come esperienza da estendere e pianificare successivamente al resto della coralità regionale. In occasione del trentesimo anniversario dell’AERCO fu pubblicato un doppio CD dal titolo AERCO, far coro contenente registrazioni che sintetizzavano la situazione artistica dei cori associati nel 2001. Si moltiplicarono le iniziative didattiche su base provinciale in maniera che fosse diversificata la proposta didattica a secondo delle tematiche che amalgamavano in maniera costruttiva docenze esterne e interne all’associazione. Fu il creato un corso permanente denominato “Chorus” per i direttori e compositori che desse stabilità didattica e organizzazione continuativa ai precedenti laboratori che fin dall’inizio l’AERCO aveva proposto ai propri iscritti. Nelle peculiarità di questo corso c’erano tre aspetti: la presenza di molti cori laboratorio, alcune dei quali provenienti anche da fuori della regione, per dare sostanza concreta alla pratica diretta dell’attività direttoriale, la ricerca di una metodologia tale da far sì che ci fosse spazio per una disciplina rivolta ai formatori didattici e infine la creazione di un circuito di cori ospitanti i direttori sia in veste didattica che concertistica, attività oggi sviluppata e praticata in particolare negli “Sconcerti” del movimento corale Scintille solidali. Fedele Fantuzzi: Devo confessare che non mi sono mai sentito “presidente” vero e proprio, per carattere e personalità…avevo ereditato il lavoro di Presidenti di alto profilo, altamente qualificati dal punto di vista culturale che musicale (sono sempre stato più a mio agio con la musica…), tuttavia credo di aver contribuito al miglioramento strutturale e operativo dell’associazione. Un ringraziamento speciale al grande segretario Puccio che mi ha supportato in tutto con la sua esperienza. Qualche esempio: 1) modificato lo statuto 2) attivato un corso permanente per direttori 3) la Commissione Artistica è stata ampliata, resa più operativa (anche

itinerante…) come supporto ai cori associati, con maggior peso decisionale 4) reso più autonome le delegazioni provinciali sia a livello economico che organizzativo sul territorio 5) ho cercato di essere presente più possibile quando invitato dai cori… Andrea Angelini: il mondo del volontariato ha subito un radicale cambiamento durante i primi anni della mia presidenza. Già alla fine del mandato di Fedele Fantuzzi, AERCO aveva iniziato l’iter per diventare una APS, ovvero un’Associazione di Promozione Sociale. Questo processo è diventato impellente e quanto mai complesso con l’introduzione del D.Lgs 3 Luglio 2017 n° 117, che ha introdotto il Codice del Terzo Settore: una vera rivoluzione che non si è ancora completata e che diventerà definitiva con l’avvio del RUNTS, il famigerato Registro Unico. Essere presidente di un’associazione importante come AERCO, considerata di secondo livello in quanto i suoi soci non sono persone fisiche ma altre associazioni, richiede competenze manageriali, economiche, tecniche, legislative che vanno spesso oltre alla buona volontà e al buon senso. La legge, come spesso si dice, non ammette ignoranza e quindi il tempo che è necessario dedicare ad AERCO, affinché questa navighi sicura, è pari a quello richiesto ad un imprenditore che conduce la propria azienda. Non è un qualcosa di cui è possibile occuparsene a tempo perso, nei ritagli di tempo, ma un compito che ti segue sempre e dovunque, domeniche incluse. Poiché la domanda mi chiede di parlare delle ‘idee innovative’ che ho introdotto, sono orgoglioso di rispondere che, sì, ho creato un team-working più simile ad un’azienda che all’idea ‘romantica’ dell’associazione. Non perché non ami questa visione molto sociale ma perché altrimenti non sarei sopravvissuto al cambio di marcia del mondo associativo. Da questo ne deriva l’impossibilità del fare ‘tutto da solo’ per carenza di tempo e di competenze. L’innovazione si è concretizzata nella definizione di ruoli e responsabilità: un Project Manager che possa seguire le varie attività artistiche, un Direttore Generale che funzioni da raccordo tra il Consiglio Direttivo e i soci, un PR che segua la parte web, grafica e pubblicitaria, un Segretario per la consulenza amministrativa e fiscale, un Delegato per ogni provincia (coadiuvato da un gruppo territoriale) in grado di seguire localmente gli associati, di capirne le necessità e di favorirne lo sviluppo, una Commissione Artistica per il brain-storming progettuale, un Comitato di Redazione al quale affidare la Rivista. E poi, ovviamente e grazie al lavoro di squadra, i contenuti artistici creati negli ultimi anni: le Rassegne regionali ‘Voci nei Chiostri’, ‘Fiumi di Voci’, il Festival POLIFONIA A QUATTRO VOCI | 5


‘CantaBO’, l’Accademia Corale AERCO’, il Festival e Concorso per la Coralità Giovanile ‘Corinfesta’, ‘Cori@ Mo’, i ‘Concerti del Te’, il ‘Festival dei Cori Piacentini’, la partecipazione a ‘Soli Dei Gloria’, i concerti del World Choral Day, i corsi delle delegazioni provinciali (in presenza e online), il Concorso Internazionale per Direttori di Coro ‘Romano Gandolfi’, il Concorso Nazionale Video, il Concorso Internazionale di Composizione ‘AERCO, i miei primi 50 anni’, i contributi erogati ai cori per corsi ed eventi, il ‘Coro Giovanile Regionale’ e la ‘Schola Gregoriana Ecce’. Spero di non aver dimenticato nulla. Lasciatemi, infine essere anche orgoglioso della modernizzazione informatica della segreteria e della responsabilizzazione del suo addetto, della vivacità social-media…

Quale pensi sia oggi il ruolo di una Associazione Corale Regionale? Giovanni Torre: nel 1983, in qualità di Presidente AERCO e insieme a pochi altri Presidenti regionali, sono stato uno dei fondatori della Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali (FENIARCO). Si completava così il processo di diffusione a livello nazionale delle realtà associative, iniziato anni prima da alcuni di noi. Lo scopo, allora, era quello di dare maggiore visibilità e forza contrattuale al lavoro che i cori svolgevano per diffondere l’associazionismo musicale amatoriale nelle singole regioni d’Italia. In realtà, questo lavoro non era ancora riconosciuto appieno dal governo nazionale. Le cose sono cambiate quando, un anno dopo (1984), ho avuto l’opportunità di incontrare l’allora ministro del Turismo e dello Spettacolo, on. Lelio Lagorio, in occasione di un convegno organizzato dal sindaco del mio paese sulle attività musicali e teatrali. Fu un incontro particolarmente fortunato perché mi permise di illustrare il ruolo svolto dai cori italiani e dall’associazionismo musicale amatoriale a un ministro che stava in quegli anni istituendo per legge il “Fondo Nazionale per lo Spettacolo”, con cui si assicurava l’attività delle istituzioni della musica, del cinema e del teatro. Ed è da quell’incontro che anche i cori della FENIARCO poterono utilizzare dei vantaggi che offriva per le loro attività il suddetto Fondo. A maggior ragione, di questi vantaggi poterono cominciare ad usufruirne anche le Associazioni Regionali, nella loro funzione di raccordo fra le esigenze dei singoli cori e le offerte della Federazione tutta. Questo raccordo mi pare che sia oggi ben oliato in tutte

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le regioni, anche se, per aver presieduto una regione che rivolgeva la sua primaria ragione di esistenza al recupero e al mantenimento del suo patrimonio culturale, non posso non dirmi preoccupato per il proliferare in essa di cori che sviluppano la loro attività in tutt’altro settore. E cioè, solo su repertori e programmi cosiddetti etnici, contribuendo così alla lenta scomparsa e perdita di secoli di arte vocale che ha reso l’Italia grande nel mondo. Ma tant’è. Come si dice in Emilia: “Piutôst che gninta, l’è méi piutôst”. Fedele Fantuzzi: sinceramente ho perso quell’entusiasmo che avevo agli inizi, ovviamente a causa dei tempi che stiamo vivendo, della luce in fondo al tunnel che ancora non vedo, della lontananza che indebolisce la passione, lo sconforto generale… oggi però una associazione corale regionale se gestita bene, se attenta ai valori veri, se non si risparmia negli aiuti anche economici ad ogni associato, può e deve essere l’unica possibilità della rinascita “corale” ciò che può far brillare la fiammella della passione del “cantare in coro”; ne sono certo! Pier Paolo Scattolin: allargando lo sguardo alla situazione italiana, penso che una risposta concretamente costruttiva ed efficace richiederebbe un’analisi che senza enfatizzazioni retoriche e autocelebrative descriva quanto in questi anni le associazioni regionali nell’attuazione degli obiettivi statutari originari e dei successivi necessari

Nella foto: in questa pagina e nelle precedenti: Immagini dalla Terza Assemblea Generale AERCIP – Pavullo – 25 febbraio 1973


adeguamenti, abbiano concretizzato o eluso o addirittura distorto i valori che sono il fondamento e la ragione dello sviluppo consortile dei cori. Analisi necessaria affinché ogni associazione regionale possa procedere a ri-conoscere e ri-dare significato anche per il futuro alle ragioni dell’investimento emotivo e partecipativo che ogni singolo coro è chiamato a dare come contributo morale e umano. Mi permetto di esprimere al riguardo alcune opinioni e qualche suggerimento per quello che può valere la mia esperienza nella coralità italiana. Attualmente la pandemia ha accelerato l’esplosione di problemi che si erano già palesati e accumulati nel tempo indipendentemente dalla buona volontà dei responsabili nella ricerca dell’azione e della sua efficacia: mi sembra in particolare che l’attuale ramificazione e moltiplicazione delle associazioni corali siano lo specchio di una crisi dell’associazionismo derivata prevalentemente dal progressivo distacco delle iniziative rispetto ai reali problemi dei cori: per esempio l’investimento di risorse quasi esclusivamente nel premiare i percorsi performanti, nella esasperazione di una prassi competitiva fine a se stessa e nello stimolazione eccessiva dello sviluppo culturale del talent con il conseguente sgretolamento della unitarietà di indirizzo del coro hanno permeato gran parte degli obiettivi e delle scelte che non paiono aver favorito la diffusione della cultura corale e l’idea della aggregazione unitaria del coro, idea che ha consentito a molti cori italiani una propria identificazione e il raggiungimento di traguardi sociali e artistici duraturi nel tempo. I progetti, pur nella pregevolezza delle proposte, oggi diremmo di livello avanzato, molto spesso sono calati dall’alto senza il requisito di complementarietà rispetto alla coralità che tout court potremmo definire “di base”. La distanza rispetto al mondo corale “reale” si è ulteriormente manifestata in questo periodo nell’assenza di efficaci provvedimenti atti ad aiutare i cori in questo periodo di chiusura dell’attività. Tuttavia, oggi sicuramente nei passi decisivi che sono stati fatti nell’azione di inserimento nella didattica della scuola primaria e secondaria il ruolo delle associazioni si è mostrato invece molto efficace e interessante per il futuro: il medesimo buon esito va notato nel campo dell’editoria musicale della composizione per coro. Un aspetto invece in cui mi sembra poco interessato attualmente l’associazionismo italiano è la ricerca “scientifica”, che ha per sua natura la trasmissione del sapere e la traduzione in termini divulgativi dei patrimoni antichi e moderni della cultura musicale vocale e corale: in particolare il patrimonio italiano

ha una grande ricchezza ancora inesplorata e sia quello “storico” che quello etnico hanno un’enorme influenza nella divulgazione di carattere pedagogicodidattico. In questo settore il ruolo dell’associazionismo sarebbe fondamentale nella ridistribuzione di risorse pubbliche alle quali i singoli cori non possono accedere. Il ruolo attuale dell’associazionismo potrebbe essere quello di ripercorrere la strada della valorizzazione e dell’attività partecipativa di ogni coro che va messo al centro dell’essenza esistenziale dell’unione dei cori. Il regionalismo ha senso per me solo se si torna a fare la politica del territorio, del contatto diretto della dirigenza con la coralità, nello stimolare le competenze nella composizione, nella didattica e nella direzione. Altrimenti ogni coro, anche se associato, si vedrà costretto a portare avanti i propri progetti che non riescono ad incrociarsi con i bandi amministrativi dell’associazione: prescindendone si crea così un corto circuito che rischia di non alimentare la qualità artistica dell’Associazione e la partecipazione viva e reale degli associati. Andrea Angelini: ancora lo ribadisco: il ruolo principale è quello di creare la consapevolezza di appartenere ad una rete corale. Mi sono accorto che è questo il lato più difficile del nostro lavoro… All’inizio l’approccio con un nuovo coro avviene, nella norma, a causa dei vantaggi immediati che l’associazione può offrire: gli sconti SIAE, la possibilità di un’assicurazione a costo conveniente, i prezzi ridotti sui corsi e poi, via via, la Rivista, l’essere inseriti in una rassegna, un festival. Poi finalmente i cori si accorgono che, grazie a tutto questo, si crea un fil rouge con gli altri cori, che quello che viene offerto è per certi versi un fine ma anche un mezzo per sentirsi parte del sistema corale Italia. Voglio rendere merito di questo a FENIARCO, la Federazione che riunisce le Associazioni Corali Regionali, il cui lavoro è stato proprio quello di farsi portatrice del messaggio culturale corale. A prescindere da tutto questo, compiti importanti di un’Associazione Corale Regionale sono quelli di lavorare a stretto contatto con le istituzioni al fine di veicolare nel modo migliore possibile la nostra attività e di riceverne il giusto supporto economico. Cantare in coro è il modo più semplice per fare musica, a basso costo, senza limitazioni di età, di capacità e con grande soddisfazione. Vorrei che i cori ci vedessero così…

POLIFONIA A QUATTRO VOCI | 7


Primo Piano

50 anni tra memorie e desideri nel convegno dell’AERCO Dal Canto Ritrovato… DI SANDRO BERGAMO

Com’era il mondo cinquant’anni fa? Come si viveva in Italia? Riandando indietro con la memoria, grazie anche ai racconti di chi ha vissuto quei momenti, capiamo come l’incessante trasformazione delle cose ci abbia portati, in cinquant’anni, molto lontani dal punto di partenza. Era un’Italia sospesa tra il vecchio e il nuovo, l’antico e il moderno: meno scolarizzata (la scuola media unica e obbligatoria, aveva meno di dieci anni, nel 1971); industrializzata sì, ma ancora memore di un passato agricolo che molti ricordavano per averlo vissuto; ormai addentrata nell’economia dei consumi, che unifica i gusti e amalgama gli usi, ma con una cultura popolare segnata da forti identità regionali; il consumo culturale è ancora segnato dalla socialità: e cantare in coro è uno dei modi di vivere questa socialità. Il Coro Leone, che assieme a pochi altri fondò nel 1971 l’associazione regionale, era nato quattro anni prima con queste caratteristiche ‘spontanee’. Gli esordi li racconta, nella prima giornata del Convegno per il 50° dell’AERCO, Lucio Strazziari, che ricorda l’entusiasmo di quei giovani nel primo approccio al canto: un entusiasmo subito indirizzato a strutturarsi più stabilmente grazie ai consigli di Giorgio Vacchi, che suggerì anche un direttore stabile e musicalmente preparato all’entusiasta brigata. Il repertorio è inizialmente quello tradizionale ‘di montagna’, modellato sulla SAT. Pier Luigi Piazzi, che dirige il coro a partire dalla metà degli anni Ottanta, trova appunto questa situazione, come spiega nel suo intervento. Si pone il problema di come mantenere in attività e in buona salute un coro che ha ormai una storia lunga, ma che non deve perdere l’entusiasmo.

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La strada è quella di trovare nuovi canti, cercandoli in ambiti diversi, viaggiando in tradizioni anche lontane, dando a questi canti forme nuove, sposandoli al suono degli strumenti: dapprima il pianoforte, poi via via l’aggiunta di altri. Non solo un canto ritrovato, ma un canto reiventato, maturando strade e gusti autonomi. Era in fondo il problema posto da Giorgio Vacchi fin dagli esordi della sua attività, permeando la natura stessa dell’associazione regionale che si andava costituendo. Silvia Vacchi, nella relazione che per prima ha aperto il convegno, ricorda i termini del dibattito di quegli anni, riassunto in un memorabile convegno svoltosi a Cortina nel 1970: quali sono i confini del canto popolare? Quale rapporto c’è tra la melodia originale e il canto elaborato per coro? Armonizzazione o


elaborazione? E può ancora dirsi popolare una melodia che abbia percorso questa trafila? C’è solo il canto di montagna nel panorama popolare? Fu, in quegli anni, un dibattito stimolante, nel quale Giorgio Vacchi ebbe un ruolo rilevante, offrendo soluzioni e proposte di cui la stessa Silvia, alla testa del Coro Stelutis, ha dato conto in serata, aprendo il concerto con una serie di elaborazioni di canti emiliano-romagnoli opera del padre. Questi temi, fortemente sentiti dal fondatore, si trasferiscono alla neonata associazione, l’AERCIP, che riunisce i Cori di Ispirazione Popolare, e la orientano fin da subito alla ricerca etnomusicologica. Al canto alpino di ispirazione satiana si affianca un nuovo repertorio formato da canti regionali, frutto di ricerca sul campo e successiva elaborazione. La coralità emiliano romagnola può così darsi una identità più definita e può rafforzarla costituendosi in associazione r e g i o n a l e : affrancamento da modelli esterni e costituzione di una associazione sono, nel pensiero di Giorgio Vacchi, due soluzioni per lo stesso problema. Sul solco delle intuizioni di Giorgio Vacchi si collocano gli interventi di Giacomo Monica e di Daniele Venturi che in modi, tempi e luoghi diversi si sono confrontati con la tradizione popolare emiliano romagnola, percorrendo tutte le tappe della filiera. La ricerca sul campo, sviluppata da Monica nell’Appennino Parmense a partire dagli anni ‘70, da Venturi nell’Appennino Emiliano tra 1987 e 2000; la trascrizione di questi materiali, affrontando i mille problemi posti nel passaggio dalla fluidità di una tradizione orale alla fissità di quella scritta; e poi l’elaborazione del materiale così raccolto, tesi fra il rispetto della tradizione, il desiderio di esprimere la propria personalità di compositori e le diverse possibilità

offerte da una tipologia corale che negli anni si è ampliata ai cori misti, femminili, giovanili, di voci bianche, scolastici: tutti strumenti diversi da trattare in modo appropriato. Ma l’evoluzione del mondo corale va al di là dell’ambito popolare. Nell’Emilia Romagna esisteva già una ricca tradizione di cori orfeonici, come ricorda Pier Paolo Scattolin nel suo intervento: uno di questi il Coro Rossini, è tra i fondatori dell’AERCIP e in serata, partecipando al concerto, ha eseguito non solo cori d’opera, ma si è affacciato anche alle composizioni sacre degli operisti, come nel caso del Requiem di Puccini. Il repertorio è soprattutto quello lirico, con qualche escursione nel liederistico o in composizioni sinfonico-corali. Alcuni, dal lirico, passano al polifonico, con le difficoltà che ci potevano essere all’epoca, in cui scarseggiavano le fonti e ci si poteva rifare al massimo ai lavori di Pratella. Nel concerto s e r a l e , l’Accademia Corale Vittore Veneziani ha presentato non solo brani della liturgia romana, ma ha ampliato lo sguardo su altre tradizioni religiose, con un interessante silloge di canti spirituali ebraici. Il Coro Euridice, invece, dopo aver spaziato dal barocco bachiano al Novecento passando per il romanticismo di Mendelsshon, si è cimentato con i versi di Emily Dickinson e Giuseppe Ungaretti, nelle composizioni del suo stesso direttore. Comunque sia, il panorama corale si allarga, nell’associazione entrano nuovi soggetti e si amplia il repertorio. Il nuovo nome, Associazione Emiliano Romagnola Cori (AERCO) è la presa d’atto di questa nuova realtà. Scattolin elenca molte ragioni che lo attrassero verso un’associazione dove ancora non si trovavano cori come il suo Euridice: il radicamento sul territorio, la trasversalità, la solidarietà fra cori e direttori (il ‘soccorso corale’ di Giorgio Vaccchi). Ma l’aspetto che prevalse fu l’idea di formazione che permeava I 50 ANNI DELL’AERCO | 9


già l’AERCIP: formazione a tutti i livelli, da quello base all’eccellenza e che è rimasto un tratto caratteristico dell’associazione regionale fino ad oggi. Un tratto che ha consentito non solo molte attività di formazione interna, ma anche una vasta collaborazione col mondo della scuola, testimoniato anche dalla presenza di Annalisa Spadolini, coordinatrice del Nucleo Operativo del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica presso il Ministero dell’Istruzione: presenza significativa, che ha sottolineato il buono stato di salute della coralità nella scuola: 2.800 i cori scolastici, in una statistica redatta una decina d’anni fa, e circa i 40% delle attività musicali nelle scuole sono ad indirizzo corale. Sono dati preCovid, e si dovrà vedere come la pandemia avrà i nci so, quando t ut to riprenderà; e anche la diversa qualità delle singole esperienze richiede un continuo lavoro formativo: ma anche in questo si misura il valore del lavoro compiuto dall’associazionismo corale, dove l’AERCO esercito un ruolo importante e attivo. Un ruolo che si gioca guardando oltre i confini regionali, incanalando questo enorme lavoro a favore della coralità all’interno del movimento corale italiano. La presenza di Ettore Galvani, presidente di FENIARCO, e il suo intervento in apertura del convegno, sono serviti a sottolineare questo aspetto non secondario della vocazione di AERCO: il suo far parte di un movimento corale che riunisce tutte le regioni italiane in un’unica grande federazione. Questa prima giornata - l’aveva premesso Elide Melchioni, che ha guidato il comitato organizzatore del convegno - è stata dedicata alla parte storica, rivivendo gli entusiasmi e gli ideali degli anni iniziali, ripercorrendo le tappe attraverso la voce dei testimoni,

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verificando come si è giunti all’AERCO di oggi attraverso il contributo di tante persone. Spetterà poi alla seconda analizzare la situazione odierna, le aperture a nuove realtà musicali e a nuove esperienze formative. La realtà della coralità è una continua evoluzione e oggi si pongono problemi diversi da quelli che furono affrontati dai fondatori. Andrea Angelini, nel trarre le conclusioni di questa prima giornata, delinea una coralità diversa da quella sociale di cinquant’anni fa: oggi cantare è più una scelta culturale, o più strettamente musicale. Cantare non è patrimonio comune di ogni individuo, ma frutto di un apprendimento, come avviene per lo strumento musicale. E anche la complessità del mondo in cui viviamo si riflette nella complessità della vita dei cori e della loro associazione. Lo sforzo dell’AERCO è stato rispondere adeguatamente a questa complessità, dotandosi di risorse adeguate e strutture solide, compreso uno staff professionale che possa intervenire laddove il volontariato non basta più, che di fronte a un’urgenza non debba rispondere ‘oggi non posso’ a causa di altri impegni, perché quello è il suo impegno di lavoro. Quello che emerge da questa prima giornata è un’AERCO che si muove in sintonia col proprio passato con un progetto per il proprio futuro. Agostino, nell’XI libro delle Confessioni, si interroga sul tempo: posto che il presente, semplice linea di separazione tra passato e futuro non ha dimensione e quindi non esiste, che il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora, come può esistere, il tempo? E la risposta è che il tempo passato esiste nella nostra memoria, il futuro nei nostri desideri. Forte della sua memoria, animata dal desiderio di mille progetti, AERCO vive un presente carico di speranza e di promesse per il futuro.


… al Canto Rinnovato DI SILVIA VACCHI

La seconda giornata di convegno di Dal Canto Ritrovato al Canto Rinnovato si è aperta alle 10 nello splendido spazio della Piazza Coperta di Sala Borsa, nel centro storico di Bologna. Dopo il breve saluto di Elide Melchioni ascoltiamo Gabriella Corsaro (vicepresidente AERCO) che nella sua relazione affronta con decisione e trasporto il fondamentale tema della motivazione del corista nella scelta del coro. La relatrice è certa di toccare un punto nevralgico per la coralità amatoriale, mai come ora alla ricerca di un ricambio generazionale tra i propri cantori. In questo 2021 ancora fortemente limitato dall’emergenza Covid l’attività corale si configura come il modo per far musica d’assieme più inclusivo e democratico al mondo, in netto contrasto con la competitività imperante e, quindi, anche solo per questo decisamente rivoluzionario. Tra i tanti fattori che possono influenzare la scelta di un coro piuttosto che un altro alcuni sono decisamente imponderabili come la “grinta” del direttore o la consapevolezza dei cantori rispetto ai contenuti del proprio repertorio. Con ardita sintesi la professoressa Corsaro riassume: si dice “cercasi coro” ma si dovrebbe dire “cercasi identità”. L’intervento del professor Luigi Giacomoni, presidente

della commissione artistica dell’AERCO, si è invece svolto sul tema della programmazione e della redazione di progetti. Un argomento assai tecnico ma sempre più vitale per la gestione di un gruppo corale. A fronte delle tante possibilità di finanziamento messe a disposizione da AERCO diventa importante evitare una serie di errori, purtroppo assai diffusi, che possono influenzare negativamente la commissione giudicante anche in presenza di proposte interessanti. La raccomandazione è quella di evitare i toni generici descrivendo i propri progetti con precisione e tenendo realisticamente conto dei loro punti di forza sia a livello di contenuti che di modalità di realizzazione. Silvia Biasini, membro della commissione artistica, dopo aver storicamente inquadrato la figura del direttore di coro ci illustra le strategie recentemente messe in atto da AERCO nell’ambito della formazione. Tre sono stati gli strumenti principali con cui l’associazione ha offerto formazione ai propri membri: 1. i corsi per maestri di cori scolastici, 2. i corsi di alfabetizzazione, 3. AERCO Academy, diretta a maestri, cantori e presidenti di coro perché, oltre a offrire preparazione musicale a vari livelli, prevede anche corsi di management. Tutte le lezioni possono essere seguite sia in presenza che a distanza e sono concentrate nei fine settimana. L’argomento proposto dalla professoressa Maria Luce Monari, docente presso il conservatorio di Parma e direttrice del Coro Lirico San Rocco, è quello dei cori lirici. Dopo un breve excursus storico si presentano alcuni interessanti dati che fanno ben sperare per il futuro di queste formazioni: attualmente i cori lirici in regione sono ben trentadue. Per loro stessa natura questi gruppi tendono a realizzarsi completamente quando hanno modo di cantare il repertorio operistico in vere e proprie messe in scena. La professoressa sottolinea come il corista migliori le proprie capacità interpretative e mnemoniche proprio in virtù della maggior complessità che l’azione drammatica comporta. Richiama anche l’attenzione sui problemi che attualmente affliggono il teatro (a ben vedere, già ben prima dell’emergenza Covid). La crisi degli ultimi due anni ha messo in ginocchio i cori meno numerosi e le piccole produzioni: occorre solidarietà tra i cori. È poi la volta di Fabio Pecci, direttore del coro “Le allegre note” di Rimini e membro della Commissione Artistica dell’AERCO, il quale ricorda a tutti i presenti la necessità di promuovere con decisione la coralità infantile: senza di essa la musica corale non può avere un futuro, da qui nasceranno i coristi e il pubblico di domani. Riassume le principali iniziative messe in campo da AERCO per promuovere questo tipo di at tività: I 50 ANNI DELL’AERCO | 11


Corinfesta. Il concorso di composizione per cori di voci bianche è attivo dal 2017; Concorso città di Riccione. Questa manifestazione per cori di voci bianche era arrivata, prima del C o v i d , a d avere una media di 14 cori partecipanti. Rassegna di cori scolastici. Corso per maestri di cori scolastici. L’iniziativa, già citata da Silvia Biasini, ha avuto molto seguito e si è avvalsa di ospiti di gran nome come Basilio Astulez e Voicu Popescu. Il maestro Pecci ribadisce l’impatto disastroso che l’emergenza Covid ha avuto su tutta la coralità ma specialmente su quella scolastica e chiede che, a livello nazionale, si ridimensionino i protocolli di sicurezza e la “pericolosità” (a suo parere da verificare) del canto corale. La professoressa Elide Melchioni (membro della commissione artistica di AERCO e direttrice del coro Farthan), propone un interessante intervento sul repertorio popolare e sui vari modi per approcciarlo. Dopo un breve excursus sui concetti di “etnico”, “folk” e “popolare” la direttrice del coro Farthan spiega come sia più

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appropriato utilizzare l’espressione “musica tradizionale” in luogo della più imprecisa etichetta di “musica popolare”. Il meccanismo della trasmissione orale è, infatti, quello che caratterizza questo repertorio e che innesca l’apporto creativo da parte dell’interprete. La relatrice ha poi proposto al pubblico alcuni incisivi ascolti tratti da storiche campagne di ricerca etnomusicologica sottolineandone l’arcaicità, da un lato, e l’estrema modernità dall’altro. Da queste e da altre considerazioni nasce lo stile interpretativo del coro Farthan che si prefigge di rivitalizzare il canto tradizionale evidenziandone i tratti arcaici (amensuralità, assenza di temperamento) e liberandone le potenzialità timbriche e espressive grazie ad un costante lavoro di approfondimento dei testi e di immedesimazione. L’ultima relazione della mattinata è stata presentata da Massimo Orlandini, direttore del gruppo vocale Voxtone di Pavullo nel Frignano. Il percorso da lui delineato è partito da una lucida osservazione del repertorio vocal pop, dei motivi del suo successo


ma anche dei suoi limiti. Ecco allora emergere nelle parole del relatore le motivazioni che hanno portato all’attuale repertorio del gruppo in nome di una ricerca dell’originalità orgogliosamente rivendicata. Alcuni ascolti dal repertorio dei Voxtone hanno chiarito le loro recenti scelte musicali. Il loro comune denominatore è la tradizione orale la cui autenticità permette di riunire in uno stesso programma da concerto suggestive elaborazioni a cappella di ninne nanne dell’appennino modenese e antiche ballate irlandesi. I lavori del convegno si sono conclusi con il saluto del Presidente Angelini che, dopo aver ricordato l’importanza dei principali valori di etica corale che animano l’AERCO, si è rallegrato della varietà e qualità delle relazioni ascoltate ritenendole un sintomo di buona salute della coralità emiliano romagnola. Nel pomeriggio, presso la Basilica di San Martino, ho anche avuto il piacere di assistere al concerto Il Canto Rinnovato, evento conclusivo della due giorni dedicata ai cinquant’anni dell’AERCO. Abbiamo visto in azione alcuni dei relatori ascoltati in mattinata con le loro formazioni corali come le voci bianche Le Allegre Note di Riccione (dirette da Fabio Pecci e accompagnate da Ilaria Cavalca al pianoforte) che hanno aperto il concerto con una selezione di brani

Puccio Pucci

tratti dalla pubblicazione di Giacomo Monica Canti dall’Appennino parmense. Sulla polifonia del ‘500 era invece incentrato il programma proposto dal Coro della Cappella Musicale San Francesco da Paola diretto da Silvia Perucchetti che ha eseguito anche musiche inedite di autori reggiani, frutto di ricerche effettuate dalla stessa direttrice. Il loro programma si è concluso con un applauditissimo Sicut cervus di G.P. Da Palestrina. Si sono poi succeduti in scena i Voxtone, diretti da Massimo Orlandini, che hanno proposto tre rarefatte ed eleganti elaborazioni di canti tradizionali del Frignano tratte dallo storico repertorio dei Viulàn seguite da tre grandi classici della musica tradizionale irlandese. La chiusura è poi toccata al Coro Farthan diretto da Elide Melchioni. Le elaborazioni di melodie tradizionali, firmate dalla stessa direttrice, sono state proposte nell’inconfondibile stile incisivo e teatrale a cui la formazione di Marzabotto ci ha piacevolmente abituato negli ultimi anni. A conclusione della giornata la tentazione di scivolare nella retorica della “ripartenza corale” è forte ma cerco di mantenere un po’ di lucidità. È stato veramente bello vedere tante formazioni corali tornare a cantare in pubblico a un buon livello nonostante ciò che è successo nell’ultimo anno e mezzo ed è stato interessante vedere come il trait d’union proposto dall’associazione (Dal Canto Ritrovato al Canto Rinnovato) è stato interpretato con disinvoltura e pertinenza. Spero davvero che occasioni di concerto importanti come quelle proposte da AERCO tornino ad essere non più l’eccezione ma la regola: i cori hanno bisogno di cantare in pubblico.

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Dossier

La musica è già cambiata (dove il diritto arranca) Ricognizione sui cori multietnici in Italia DI LUCIANA MANCA

A CLAUDIA GRIMAZ Plurilinguismo, varietà timbriche, ritmiche e modali: il desiderio di incontrarsi fra persone di Paesi diversi diviene pretesto per creare, collettivamente, musica nuova. Così i cori multietnici amatoriali arricchiscono il panorama artistico di una parte d’Italia, con la direzione di maestri e maestre che hanno messo le proprie competenze musicali al servizio dell’idea di una società più giusta e accogliente. Si è trattato di laboratori di canto, sorti nell’ambito di associazioni culturali o dall’impegno di singole persone che, esasperate dal clima d’intolleranza diffusa, hanno cercato di dimostrare, con la collaborazione di professionisti della musica, che si può stare insieme diversamente, in modo creativo e non giudicante. Nati dal volontariato, dall’autotassazione di alcuni membri o da finanziamenti destinati ai centri di accoglienza, i cori hanno quasi sempre resistito e persino durante i lockdowns per il Covid 19 hanno rappresentato un conforto per i coristi e le coriste. Il presente lavoro è un tentativo di censire le esperienze musicali che, sul territorio italiano, possono essere considerate “cori multietnici”, preferendo questa espressione emica, a quella di cori “interculturali” o “transnazionali”, perché riprende appunto il modo in cui la maggior parte dei cori si autodefinisce nelle pagine web e nelle interviste da me condotte1. La mappatura è, allo stato attuale, in continua trasformazione, perché la ricerca

è attualmente in corso. Si tratta dunque di un work in progress, più che di un elenco esaustivo. La caratteristica che accomuna tutti questi cori è la presenza, più o meno rilevante, di migranti. Sono infatti gruppi musicali nati con il preciso intento di accogliere e includere i “nuovi cittadini”. Esiste però una tipologia diversa di cori multietnici, in cui le tante provenienze geografiche dei membri, sono semplicemente lo specchio del territorio di appartenenza: è il caso di alcuni cori di voci bianche, nel contesto di scuole ad alto flusso migratorio oppure dei cori nelle carceri, che in Italia sono popolate – purtroppo - da un gran numero di detenuti stranieri2. In generale i cori multietnici concentrati prevalentemente nelle regioni dell’Italia settentrionale e a Roma, mentre ne esiste uno di donne a Bari e si ha notizia di brevi laboratori corali non più attivi a Lecce, Palermo e Cagliari. Questa distribuzione sul territorio nazionale riflette quella dei cori in generale, infatti nel Nord Italia, essi sono molto più diffusi; si pensi, ad esempio, all’antica e capillare tradizione dei cori degli Alpini. Inoltre il Nord ha accolto un numero superiore di immigrati rispetto al sud3, attratti dalle maggiori infrastrutture e opportunità lavorative in campo sia agricolo che industriale4. Un elemento comune soprattutto ai cori di vecchia data è la progressiva riduzione della presenza di immigrati. In 2. Cfr. dati raccolti dal Progetto Open Migration, in cui si rileva che la presenza straniera nelle carceri italiane arrivava nel 2013 al 35,3 %: https://openmigration.org/idee/tutti-i-numeri-sugli-stranieri-in-carcerein-europa-e-in-italia/

1. Sulla scelta terminologica cfr. L. Manca, Più semo e mejo stamo. Antidoto

3. Cfr. Centro Studi e Ricerche IDOS, Dossier Statistico Immigrazione 2020,

al razzismo: i cori multietnici a scuola, in Nuova Secondaria, Mensile di

Roma, p.18.

cultura, ricerca pedagogica e orientamenti didattici, Settembre 2021, p. 29,

4. Cfr. ISTAT sulle imprese, pagg. 511-512 al link https://www.istat.it/it/

Edizioni Studium Srl, Roma.

files/2019/12/C14.pdf

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Coro Romolo Balzani (Roma)

molti casi, infatti, a fronte di una maggioranza di “vecchi cittadini”, sono rimaste poche persone di altra nazionalità. Ciò avviene in quanto i migranti tendono facilmente a cambiare città, per trovare condizioni di vita migliori; non solo, i loro impegni lavorativi sono preponderanti, poiché spesso sostentano economicamente la propria famiglia nel Paese d’origine, dunque non sempre hanno il tempo di socializzare o dedicarsi ad attività ricreative, quali il coro. Allo stesso tempo, però, questa stretta connessione economica fra il proprio Paese e l’Italia, fra “qui” e “lì”, viene valorizzata a livello culturale nei cori multietnici, che permettono di diffondere la conoscenza delle musiche del mondo nel luogo di arrivo. La motivazione a partecipare a queste esperienze collettive può pertanto essere molto forte, poiché il senso di gruppo che il coro crea, diviene compensazione rispetto alla crisi di identità che l’esperienza migratoria porta con sé. Il canto diventa aggregazione e appartenenza, come afferma Maria Finica, signora moldava che frequenta il coro Voci dal Mondo, di Mestre: Io veramente quando ho iniziato il coro, […] ho visto una performance, loro per strada, un concerto e […] il lunedì dopo sono venuta anch’io, mi è piaciuto. […] Mi è piaciuto cantare, ma di più volevo integrarmi in questo mondo, perché io sono da vent’anni qua, lavorando solo in casa con le persone anziane, non è che ho trovato subito questa accoglienza bella di gente, anzi, ho trovato tanta cattiveria anche5. 5. Intervista condotta da Luciana Manca a Maria Finica del 27.7.2021, Venezia.

Prime esperienze: cori di voci bianche I primi cori multietnici nascono in Italia nel 2000 e sono due cori di bambini: il Coro multietnico Voci Bianche di Padova e Se…sta Voce di Roma. La scuola è chiaramente il luogo in cui, con la massima urgenza, i bambini e le bambine di diversi Paesi sentono il bisogno di condivisione e scambio. Le classi multietniche ponevano all’epoca, e pongono ancora oggi, questioni a cui il corpo docente cerca di rispondere, trovando nella musica uno strumento “utile e dilettevole”. Il coro svolge diverse funzioni: permette di sviluppare abilità sociali e di ascolto, facilita l’insegnamento dell’italiano L2 ed è un’attività estremamente piacevole. Il progetto di Padova nasceva da un’idea di WFWP Italia - Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo e come scrive la fondatrice Flora Grassivaro, la finalità del coro è di “promuovere la pace, l’integrazione e la conoscenza tra le varie nazionalità presenti a Padova; infatti è gratuito e […] ha l’intento di educare i bimbi non solo alla musica ma soprattutto al rispetto dell’altro e alla solidarietà.” Anche a Roma, nel variegato quartiere di Centocelle, la proposta del maestro Attilio Di Sanza è stata lungimirante e ha dato il via ad un secondo coro, composto da ex cantanti di Se..sta Voce che, nel 2010, hanno scelto di continuare a incontrarsi, oltre la quinta elementare, chiamandosi appunto Quinta Aumentata, giocando sul nome dell’intervallo musicale. Pochi anni prima, nel medesimo contesto scolastico, era stato fondato anche il coro di adulti Romolo Balzani, diretto da Sara Modigliani, la quale dopo aver LA MUSICA È GIÀ CAMBIATA (DOVE IL DIRITTO ARRANCA) | 15


Coro Elikya

collaborato con il coro dei piccoli, insegnando loro canti di emigrazione come “Cento giorni di nave a vapore” o “Mamma mia dammi cento lire”, era stata invitata a ripetere l’esperimento con gli adulti e in particolare con i maestri e le maestre. In seguito sono subentrate due nuove direttrici del coro, Suhmita Sultana, cantante bengalese laureata all’Università di Tagore e Roxana Ene, cantante di origini rumene che aveva scoperto la passione del canto da bambina nel coro Se..sta Voce. L’esperienza di Roxana Ene è un esempio emblematico del successo educativo di un coro multietnico, infatti lei è attualmente cantante professionista e meravigliosa interprete di musica tradizionale romana, una “Rumena romana”.6 Ancora a Roma, nello stesso quartiere, è nato nel 2016, un altro coro scolastico, Voci d’oro, che non aveva l’intento specifico di favorire l’inclusione, tuttavia è a tutti gli effetti un coro multietnico perché rispecchia la popolazione di una scuola ricca di migranti. La maestra Paula Gallardo, specializzata in didattica della musica in Argentina, ha dunque sfruttato la molteplicità culturale di alunni e alunne, per ampliare il repertorio

6. Cfr. Florina Lepadatu, Alessandro Portelli, Lavinia Stan (a c. di), Rumeni Romani, musiche rumene a Roma e nel Lazio, booklet con CD, Nota, Udine, 2018.

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con brani internazionali, canti di lavoro, brani didattici etc. Due cori di voci bianche più recenti sono Stelle che cantano di Bolzano, nato nel 2013 e Mille Note di Trento nel 2017, diretti entrambi dalla maestra Victoria Burneo Sanches, di origini ecuadoregne. I cori hanno partecipato a diverse attività di beneficenza ed eventi sull’inclusione sociale, cantando anche per la raccolta di fondi da destinare alle vittime del terremoto del 2017, in Perù. Inoltre si sono esibiti in Piazza San Pietro, a Roma, insieme a un coro di Shangai, composto da 38 ragazzi e ragazze cinesi affetti da autismo, nell’ambito di un significativo progetto di musicoterapia, portato avanti dal maestro Cao Peng.

Cori misti Il più antico, fra i cori misti è Mikrokosmos – Coro Multietnico di Bologna, nato nel 2004, sul quale si trova un approfondimento nel seguito del presente articolo. Il successivo coro misto in ordine cronologico è il Coro Mediolanum, fondato a Milano nel 2005, dal maestro Carlos Verduga Rivera, originario dell’Ecuador. Il coro è affiancato da cantanti professionisti con cui viene eseguito un repertorio sacro e profano che accentua oltre alla mescolanza fra diverse culture, quella fra musica


scritta e musiche di tradizione orale internazionali. Al coro e alle voci liriche soliste si affianca l’accompagnamento di ensembles di strumenti tradizionali quali il charango, l’arpa paraguaiana, il bombo argentino; si va dunque da brani d’opera a canti tradizionali dell’America Latina e del mondo, Villancicos7, canti natalizi e musica sacra. Dopo qualche anno, nel 2008, viene fondato il coro Voci dal Mondo, a partire da un’iniziativa del comune di Venezia, per valorizzare la zona di Via Piave a Mestre, che aveva iniziato a popolarsi di stranieri, destando malumori fra la gente del luogo. Si formò dunque il Gruppo di Lavoro Piave che in assemblee pubbliche affrontava il tema del benessere della cittadinanza, così, fra le loro iniziative si pensò proprio ad un coro multietnico. Fu contattata la maestra Giuseppina Casarin, mentre gli Operatori di strada, cioè educatori assunti dal Comune, raccoglievano adesioni per il coro nella zona di Via Piave. Inizialmente furono coinvolte soprattutto alcune signore moldave, venute in Italia per lavorare come badanti. L’origine di questo coro ne ha caratterizzato tutta la storia, poiché dall’epoca ad oggi è divenuto una componente fondante nell’ambito delle politiche territoriali, partecipando ai tavoli della ASL, lavorando nell’accoglienza di persone che arrivano attraverso i corridoi umanitari8 della Caritas ecc. Oggi Voci dal Mondo è composto da circa settanta membri di tutte le provenienze e di tutte le età e i suoi concerti sono sempre molto vivaci e il pubblico partecipa ballando con gioia, grazie al coinvolgimento che nasce dal gran numero di coristi e musicisti sul palco. Torniamo a Milano, dove nel 2011 viene fondato il Coro Elikya, che in lingala, lingua del Congo, significa “speranza” ed è diretto, appunto, da un maestro di origini congolesi, Raymond Bahati. Il repertorio scelto comprende canti cristiani internazionali e insieme al Coro Mediolanum, l’altro coro milanese, sono gli unici – allo stato attuale della ricerca - ad interpretare anche canti religiosi. Il gruppo è molto ampio, arriva a più di cinquanta elementi di diverse parti del mondo e diverse religioni. Il nucleo base ebbe origine nel COE (Associazione Centro Orientamento Educativo) dove già dagli anni ’90 venivano organizzati alcuni incontri estivi fra giovani catechisti internazionali che studiavano nelle università pontificie; in quelle occasioni nacque un nuovo modo di vivere la

7. Composizioni monodiche diffuse in Spagna e Portogallo alla fine del XV secolo. 8. Modelli di accoglienza che supportano l’arrivo legale di un certo numero di migranti vulnerabili.

liturgia comunitaria, attraverso la musica dei vari popoli. Il Coro Elikya è una realtà aggregativa a tutto tondo, infatti i membri del coro viaggiano spesso tutti insieme e condividono esperienze ricreative. Il Coro Consonanze di Casalecchio di Reno (BO) nasce nel 2012 e si focalizza sulla comparazione fra canti del Mediterraneo, in particolare delle due sponde del Mar Adriatico. Il maestro Maurizio Mancini, attraverso un lavoro di ricerca e arrangiamento, propone a coristi e coriste canti tradizionali con una particolare attenzione alle minoranze linguistiche slave, arbëreshë e del Sud Est del Mediterraneo. Le caratteristiche esecutive, i modi e gli stili delle culture di tradizione orale emergono nella trascrizione delle partiture, mentre, allo stesso tempo, attraverso il training vocale, vengono valorizzate le diverse espressioni timbriche. In molti casi sono gli stessi coristi stranieri che ne arricchiscono il repertorio con i canti dei loro Paesi d’origine. Il Coro Moro è nato in provincia di Torino, nelle Valli di Lanzo nel 2014 ed è l’unico ad essersi dedicato ad un repertorio specifico, cioè i canti della tradizione orale piemontese, con accompagnamento di strumenti africani, quali il talking drum dei Griot maliani. Il coro è composto da richiedenti asilo e persone del luogo, nato dopo l’arrivo di alcuni ragazzi presso un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria), nel piccolo paesino di Ceres, abitato da circa 1000 anime. Come nel caso del quartiere di via Piave a Mestre, anche qui l’arrivo di questi giovani migranti dall’Africa Occidentale aveva destato sgomento nella popolazione, così Luca Baraldo e Laura Castelli hanno iniziato a frequentarli e hanno fondato il coro, con l’intento di far sfociare quest’esperienza in attività lavorativa per i migranti. L’obiettivo iniziale è stato in parte raggiunto, poiché il coro si è esibito in numerosi concerti retribuiti. Nel 2016 nasce in Toscana quello che, ad oggi, è l’unico coro multietnico attivo nella regione. Si tratta del Coro ConFusion, sorto grazie ad alcuni finanziamenti di uno SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che, come avviene – purtroppo - solitamente, aveva sede in una zona periferica attorno a un centro cittadino, la zona montana del Mugello, nei pressi di Firenze. Negli ultimi anni, in seguito al Covid 19 e alla riduzione dei fondi destinati ai centri di accoglienza, con il Decreto Salvini, la partecipazione dei migranti è diminuita. Il Coro ConFusion ha una spiccata vena contemporanea, l’intento della maestra Benedetta Manfriani è di fondere non soltanto le diverse culture, ma anche la musica folk LA MUSICA È GIÀ CAMBIATA (DOVE IL DIRITTO ARRANCA) | 17


con quella eurocolta. Tutti i cori più “giovani” hanno risentito negativamente dell’esperienza pandemica, poiché erano stati creati poco prima del lockdown di marzo 2020, quindi hanno dovuto rimboccarsi le maniche per mantenere solido un legame appena nato, soprattutto attraverso lezioni online ed incontri virtuali. Il Coro Multispilla di Spilamberto (MO) e il Coro Canto Sconfinato di Pordenone, nascono rispettivamente nel 2017 e 2018, da un sentimento comune dei fondatori: il desiderio di contrastare il livello allarmante di xenofobia raggiunto in quel periodo, nelle loro città. Nicoletta Giugni del Coro Multispilla racconta di come, nel suo lavoro di impiegata presso un ufficio pubblico, fosse esasperata dal clima di razzismo, cosicché decise di chiedere alla futura direttrice del coro, Federica Sala, di mettere su un progetto di musica inclusiva, come forma di reazione all’odio. Allo stesso modo Carlo Mayer del Coro Canto Sconfinato, in seguito ad alcuni tafferugli durante l’apertura di una strutturadormitorio per rifugiati e richiedenti asilo, a Pordenone, sperimentò l’inutilità del dialogo su certi temi e con certi interlocutori. Provò dunque ad immaginare messaggi alternativi più efficaci delle parole, riversando le proprie speranze nella musica! Il coro, inizialmente fu diretto da Giuseppina Casarin che ha “esportato” la virtuosa idea da Mestre a Pordenone, mentre l’attuale maestra è Laura Scomparcini. Quest’esperienza giunge a coronamento di un impegno politico trentennale al fianco dei migranti nell’Associazione Immigrati Pordenone, che ha anche collaborato con le chiese pentecostali della zona. Due giovani e attivissime realtà emiliane, nate nel 2019 sono il Coro multietnico di Periferia di Bologna e il Coro Interculturale Reggio Emilia APS. Il primo è nato con il contributo del Quartiere Navile, è di natura intergenerazionale e la direttrice Maria Grazia Vincitorio, oltre a costruire un repertorio composto da brani tradizionali scelti dai coristi, cerca anche di condurre la composizione “collegiale” di brani propri. Il coro è stato costretto a incontrarsi virtualmente sulla piattaforma Zoom, essendosi costituito proprio nell’anno della pandemia e così alcune canzoni sono nate durante le prove virtuali. Dopo aver scritto collettivamente un testo in italiano, è stato tradotto in diverse lingue e ognuno si è poi sforzato di imparare a cantare una strofa in una lingua diversa dalla propria. Il Coro Interculturale Reggio Emilia APS, invece, è nato da un’idea di Alberto Simonazzi, corista gospel e volontario per l’insegnamento dell’italiano L2 in un centro di accoglienza. L’idea è fin da subito

stata accolta con entusiasmo, ricevendo tante adesioni, ma si è dovuta interrompere l’attività per il Covid e ora il progetto sta ripartendo con un nuovo direttore. Secondo lo statuto dell’associazione da cui prende vita, il coro di Reggio Emilia vuole accogliere persone migranti e con disabilità. La voglia di cantare è tanta e anche quella di mettersi in rete con gli altri cori, infatti il suo fondatore ha creato una rubrica sulla pagina facebook in cui ogni settimana, viene presentato uno dei cori multietnici emersi dalla presente ricognizione in corso. Un’altra interessante iniziativa è stata quella di Carlo Mayer di Canto Sconfinato che ha creato una mappa su google maps, con le posizioni di tutti i cori, di modo che le persone immigrate che si spostano, possano facilmente trovare nuovi contesti in cui cantare9.

Cori di donne Il primo coro multietnico per donne, La Tela, fu fondato a Udine, nel 2006, quando giunsero dall’Est Europa moltissime donne che furono accolte da alcune mediatrici di comunità e dalle Donne in nero, un movimento pacifista e internazionale, sorto a Gerusalemme nel 1988, contro l’occupazione israeliana. Da questa esperienza nacque così l’associazione femminile e interculturale La Tela, che proponeva attività artigianali e artistiche da svolgere insieme alle donne straniere: disegno, danza, teatro e coro. Erano previsti una decina di incontri di laboratorio corale che via via crebbero, raccogliendo l’entusiasmo delle partecipanti. Alla maestra del coro La Tela è stato dedicato questo articolo, Claudia Grimaz, prematuramente scomparsa alcune settimane fa. La presidente dell’associazione Maria Rosa Loffreda la ricorda così: Il sogno di Claudia era quello di poter avere un repertorio che venisse dalle coriste straniere che attraverso i loro ricordi potessero trasmettere a tutte noi e a chi ci ascolta un messaggio di condivisione. […] Il coro anche senza la sua maestra, ma proprio per onorarla e non disperdere il suo insegnamento, continua a cantare. Due anni dopo, nel 2008, è stato fondato presso la Casa delle donne di Modena, Le Chemin des Femmes, un coro transfemminista, a partire da un laboratorio vocale della maestra Meike Clarelli. Il progetto ha messo al centro

9. https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1KmC0X5hhArgAXpCHXTVNSzF_2IOQrLkv&usp=shari

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la relazione fra le coriste, fondendo tradizione e sperimentazione vocale. Oggi, dopo tredici anni di attività, la maestra sente che “l’etichetta di donne migranti inizia a stare sempre più stretta”.10 Più che coro “multietnico”, lo definisce “multidimensionale”, allo stesso modo in cui Giuseppina Casarin, a proposito del coetaneo Voci dal Mondo citato prima, parlava di come esso fosse divenuto una grande comunità, un coro “multi… qualcos’altro”. 11 E n t ra m b e le diret t rici p o n g o n o l’attenzione sui futuri sviluppi dei cori multietnici, che si evolveranno, perché la dimensione transnazionale non dovrà più essere ribadita e si spera che scompaiano anche tutte le complicazioni legate ai permessi di soggiorno, contratti di lavoro, cittadinanza etc. Anche il Coro Mosaico di Monteveglio (BO), nasce nel 2008 grazie ad un’iniziativa della Commissione Pari Opportunità, per creare un luogo di incontro e di scambio di molteplici tradizioni culturali e musicali. È composto da sole donne di diverse provenienze, soprattutto Est Europa e Nord Africa ed è diretto dal maestro Marco Cavazza. Il coro pone particolare attenzione alla ricerca timbrica delle diverse tradizioni vocali, senza eccedere con le armonizzazioni per preservarne l’essenza. Collabora con gli altri cori femminili del territorio, organizzando ogni 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, un evento che prevede concerti e workshops musicali.

10. http://collettivoamigdala.com/le-chemin-des-femmes/ 11. Intervista condotta da Luciana Manca a Giuseppina Casarin - Venezia, 18.7.2021.

Nel 2010 nasce a Roma, e sempre nella zona di Centocelle, il CoroIncanto, diretto dalla già citata Paula Gallardo: si tratta di un esperimento sociale incentrato sul dono dei canti da parte delle varie coriste o di persone esterne, che magari hanno assistito ai loro concerti e hanno voluto regalare un pezzo della loro musica. La direttrice insegna gli arrangiamenti attraverso un metodo pedagogico che integra Orff, Kodaly e Dalcroze e a breve sarà pubblicato un libro, in cui saranno presentate le canzoni del coro con trascrizioni e schede conoscitive e didattiche. Il libro è scritto con la collaborazione di alcune coriste e avrà l’obiettivo di diffondere la buona prassi replicabile del coro multietnico anche nelle scuole. LA MUSICA È GIÀ CAMBIATA (DOVE IL DIRITTO ARRANCA) | 19


Coro ConFusion

Mamme del mondo, nato nel 2018 a Bari, è il più recente progetto di coro femminile ed è anche collocato più a sud degli altri. Il nome era originariamente legato ad un evento che si svolge a Bari da sei anni ed è caratterizzato da una sfilata di costumi tipici di ogni paese, cuciti dalle mamme che sfilano con i loro bambini e bambine. Il coro è nato dall’incontro fra alcune donne provenienti da diversi Paesi e impiegate prevalentemente come badanti. Hanno dunque affrontato diverse difficoltà nella gestione del tempo, dovendo coniugare un lavoro così impegnativo con le prove del coro. Il nucleo originario è nato da Maria Grancharova, bulgara, anche lei badante e maestra di coro. Pian piano il repertorio si è arricchito di brani filippini, georgiani etc, cantati anche da figli e figlie delle coriste.

Sorelle Agazzi, nel quartiere periferico Comasina di Milano, nato nell’ambito di un progetto dal titolo “La Scala fa scuola, un coro in città”. La maestra Isabella Inzaghi aveva effettuato delle audizioni per creare un coro di voci bianche e scegliendo i ragazzi più intonati, aveva casualmente selezionato molti bambini di seconda generazione. Così come le scuole ad alto flusso migratorio, anche le carceri sono luoghi - purtroppo - abitati da una grande percentuale di persone straniere. Il primo coro in carcere, il King Bible Choir di “Rebibbia” a Roma, è stato fondato da Giuseppe Puopolo nel 2003, non è più attivo dal 2016 e si è esibito in numerosi contesti con un repertorio che privilegiava opere classiche e alcuni brani di musica leggera.

Cori “non progettualmente” multietnici

Si aggiungono al precedente il Coro Papageno di Bologna, fondato nel 2011, e il Coro Canto Libero della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova, nato nel 2013, diretto da Giulia Prete e incentrato su un repertorio di polifonie di tradizione orale.

Molto interessanti risultano i cori multietnici “non per scelta”, cioè quelli che, come nel caso del suddetto coro Voci d’oro di Centocelle a Roma, rispecchiano la popolazione del territorio cui appartengono. Un esempio simile è il coro non più attivo dell’Istituto

Nel 2016 nasce il Coro della Nave di San Vittore a Milano, diretto da Paolo Foschini, con sede nella “Nave”, un reparto di San Vittore dedicato alla cura dei detenuti con problemi di tossicodipendenze. L’attività in questo caso va a completare il piano terapeutico nel processo di

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guarigione dei pazienti. Oltre ad alcuni cori non più attivi12 esistono alcune esperienze corali che non vedono la presenza di migranti al loro interno, ma che cantano un repertorio internazionale

12. Fra i cori non più attivi ricordiamo innanzitutto il suddetto primo coro in carcere, il King Bible Choir di “Rebibbia” e altri tre cori nelle carceri: il Coro Musica Dentro di “Regina Coeli” diretto da Silvia Riccio, e due cori nella provincia di Cagliari, il Coro Buon Cammino della sezione maschile dell’omonima Casa Circondariale, diretto da Gigi Oliva e il “Coro ‘e Uta” della sezione femminile del carcere “Ettore Scalas” diretto da Elena Ledda e Simonetta Soro. Seguono Al Frisoun, fondato intorno a una scuola per stranieri del Centro Intercultura del Comune di Nonatola (MO), con la direzione di Fabio Bonvicini; Libere Voci dal Mondo, nato a Londa (FI) nel 2017, diretto da Edoardo Materassi, sorto come risposta all’isolamento dei ragazzi di uno SPRAR e infine, il Piccolo Coro di Piazza Vittorio di Roma, del

e hanno collaborato con alcuni centri di accoglienza, si tratta del Coro Farthan di Marzabotto (BO) ed il Baobab Music Ensemble di Roma, entrambi nati nel 2011.

Conclusioni Rispetto alla world music, intesa come scelta discografica di accostare musiche del mondo, anche avulse dal loro contesto, la musica dei cori multietnici sembra rappresentare quasi l’opposto. È un’esperienza di fusion, distante da qualsiasi logica di mercato, nata direttamente dall’impegno sociale di chi ha fondato i cori e dalle relazioni fra coristi e coriste. Relazioni che fluiscono veloci e ci danno l’immagine immediata di un mondo che cambia, mentre la musica ne segue il passo, molto più “a ritmo”, in fatto di migrazioni e diritti civili in genere, rispetto alla lenta e stantia legislazione italiana.

maestro Giuseppe Puopolo, coro per bambini nato in una scuola, situata nei pressi della Piazza che ha dato il nome alla prima orchestra multietnica italiana. Sarebbe utile anche poter censire tutte le esperienze in cui la musica è divenuta elemento di inclusione sociale nelle scuole e nei centri d’accoglienza, ma si tratta di situazioni che nascono spontaneamente, senza una progettualità che le renda visibili o consultabili, in seguito, online. Un caso interessante di questa tipologia è quello dei laboratori musicali del musicista ed educatore Angelo Fusacchia nello SPRAR di Rieti.

Linkografia essenziale sui cori, nell’ordine in cui sono citati nell’articolo Cori per bambini Coro Multietnico Voci Bianche di Padova https://www.youtube.com/watch?v=Vlyl4zXqVKM&ab_channel=pidro1965 Coro Se…sta Voce (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=b-RoAQinYSM&t=92s&ab_channel=CircoloGianniBosio Coro Quinta Aumentata (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=TzbHTAeDArc&ab_channel=%40cmiruna Voci d’oro (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=SXEyG3UwsGI&ab_channel=paulagallardo Stelle che cantano (Bolzano) (dal minuto 1:33) https://www.youtube.com/watch?v=EQOPWXz9RzY&ab_channel=VICTORIABURNEO Coro Mille note (Trento) https://www.youtube.com/watch?v=4J5mymk4woc

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Cori Misti Coro Mikrokosmos (Bologna) https://www.youtube.com/watch?v=S4sn_6g3fFM&ab_channel=MicheleNapolitanoMicNap Coro Mediolanum (Milano) https://www.youtube.com/watch?v=o3HWnQg5yZ4&t=1105s&ab_channel=MilanoMultietnica Voci dal Mondo (Venezia) https://www.youtube.com/watch?v=NlcCdZn3DVo&ab_channel=TEDxTalks Coro Romolo Balzani (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=UU6svc15cNg&ab_channel=bmpnc2011 Coro Elikya (Milano) https://www.youtube.com/watch?v=UKvIN-wgDYo&t=3963s&ab_channel=ComuneVimercate Coro Consonanze (Casalecchio di Reno – BO) https://www.youtube.com/watch?v=ZHl0Zfo0jVw&ab_channel=ConsonanzeAssociazione Coro Moro (Ceres – TO) https://www.youtube.com/watch?v=iGx7Jdv8K9g&ab_channel=lucabaraldo CoroConfusion (Firenze) https://www.youtube.com/watch?v=KKI9pL6CI1U&t=54s&ab_channel=MurateArtDistrict Canto Sconfinato (Pordenone) https://www.youtube.com/watch?v=WyLT8kKwqIs&ab_channel=CantoSconfinato Coro Multispilla (Spilamberto – MO) https://www.facebook.com/1918616488414500/videos/946339919487505 Coro Multietnico di Periferia (Bologna) https://www.youtube.com/watch?v=IgzNv454bsc&ab_channel=CanaleJamSession

Cori di Donne La Tela (Udine) https://www.youtube.com/watch?v=YG1KHmSA4sU&ab_channel=AssociazioneCulturaleAltoliventina Les Chemin des Femmes (Modena) https://www.youtube.com/watch?v=xSTOrNbSgws&ab_channel=lechemindesfemmes CoroIncanto (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=VFpzJ6yMm70&ab_channel=paulagallardo

Cori in carcere King Bible Choir (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=w0f-A_Rxc5I&ab_channel=giuseppepuopolo Coro Papageno (Bologna) https://www.youtube.com/watch?v=ULUgUQ80bhc&t=75s&ab_channel=Mozart14APS Coro Canto Libero (Padova) https://www.youtube.com/watch?v=u1ScW-1QvsM&t=84s&ab_channel=StefanoFerro Coro della Nave (Milano) https://www.youtube.com/watch?v=xeW59cDdqN8&ab_channel=AmiciDellaNave

Cori che hanno collaborato con SPRAR Coro Farthan (Marzabotto – BO) https://www.youtube.com/watch?v=twF5a_vDfrc&ab_channel=CoroFarthan Baobab Music Ensemble (Roma) https://www.youtube.com/watch?v=gI4prUdbEZ4&ab_channel=ArtigianiDigitaliComunicazioneSensibile

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DI MICHELE NAPOLITANO

L’esperienza del Coro Papageno Nato da un’idea del grande direttore d’orchestra Claudio Abbado e portato avanti dalla figlia Alessandra tramite l’Associazione Mozart14 APS, il Coro Papageno inizia la sua storia precisamente il 17 ottobre del 2011, quando entrammo nella Casa Circondariale di Bologna per la nostra prima prova. I detenuti ci guardavano incuriositi, chi con occhi divertiti e chi con occhi scettici o addirittura increduli. Era il nostro primo incontro di quello che sarebbe diventato un percorso musicale, culturale umano straordinario. Come si può facilmente i m m a g i n a re , f a r e coro in carcere è assai complicato, e ciò è stato possibile solo grazie a un grande lavoro organizzativo da parte della Associazione Mozart14, in sinergia con le diverse anime della Casa Circondariale: l’Amministrazione Penitenziaria e gli agenti di Polizia, da un lato; l’Area Pedagogica e la Scuola, dall’altro. Una collaborazione che potremmo definire, anche questa, di tipo corale. Tutti convinti che la cultura in generale e, nel nostro caso specifico, il fare musica assieme, deve essere un bene a disposizione di tutti e, forse, più che mai di chi è ai margini, per così dire, della società. È stato questo il pensiero che animava il Maestro Abbado quando ebbe l’idea di costituire un coro all’interno del Carcere di Bologna. Ed è con questo spirito, unito alla consapevolezza e alla responsabilità di quanto potesse essere preziosa una attività corale rivolta a detenuti, che ho cercato, assieme alle tante

persone che hanno creduto nel progetto, di portare avanti questo sogno, divenuto presto una realtà concreta e di vero supporto psicologico per i detenuti, anche con l’intento di voler contribuire a restituire un maggiore senso di dignità a chi si trova in condizioni di detenzione. Fino a marzo del 2020, attualmente sono sospese a causa della pandemia, il progetto era così strutturato: una prova settimanale, il lunedì, di circa un’ora e mezza con le sole voci maschili, nella prima parte della mattinata, e con le sole voci femminili, nella seconda parte. Dal punto di vista musicale e didattico, assieme a me, fanno inoltre parte del team artistico anche Stefania Martin, cantante e vocalist, nonché docente di Canto Moderno al Conservatorio di Bergamo, e Claudio Napolitano, pianista freelance di formazione jazzistica, che accompagna anche il coro alle prove e ai concerti. Il loro lavoro garantisce un secondo momento di apprendimento per i coristi, n on c h é u na attenzione più specifica a ll a tec n ic a voc a l e, a l l a teoria musicale, al ripasso delle singole parti, e a problemi musicali particolari o di posture s c o r r e t t e i n d i v i d u a l i . A questi due momenti si aggiunge, una volta al mese (il sabato mattina), la presenza di circa 25 coristi volontari esterni, che cantano in alcuni dei cori che dirigo in città. Questo terzo appuntamento è didatticamente molto importante, perché significa poter contare su coristi di maggiore esperienza, che assumono il ruolo di vere e proprie “guide” all’interno delle varie sezioni vocali in cui cantano (soprani, contralti, tenori e bassi), favorendo così un più rapido processo di apprendimento dei brani e del repertorio in genere, e facendo scoprire ai coristi detenuti come suonano i brani nella loro interezza, poiché, nelle prove del lunedì, li possono ascoltare al massimo a due voci, provando i gruppi maschile e femminile, separatamente. Ma questo appuntamento è certamente

Coro Papageno e Uri Caine Trio - Concerto all’Auditorium Manzoni Di Bologna - 4 Maggio 2019 ( © Roberto Cifarelli)

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Coro Papageno - Concerto alla Casa Circondariale di Bologna - 10 Giugno 2016 ( © Gaia Degli Esposti)

prezioso anche per altri aspetti che vanno al di là del discorso prettamente musicale. Sicuramente quello umano e sociale, poiché le voci femminili incontrano le voci maschili, mettendo in relazione due realtà che, nel luogo in cui operiamo, sono due universi del tutto separati. Dall’altro, è il momento in cui chi sta dentro può venire a contatto con chi sta fuori, e viceversa. Aspetto, questo, che trovo quanto mai prezioso, poiché simbolicamente rappresenta, per i detenuti, che il fuori non si è dimenticato di loro, anzi, se ne prende cura. E del resto, anche per i coristi esterni è un’occasione per conoscere un mondo che, altrimenti, si farebbe molta fatica a immaginare. Nel corso di questi dieci anni, il Coro Papageno ha accolto alcune centinaia di coristi detenuti. Qualcuno c’è dalla fondazione del coro. Altri, invece, sono stati con noi alcuni anni, o soltanto alcuni mesi. Nella stragrande maggioranza dei casi, le ore in cui si è fatta musica insieme, in prova o in concerto, hanno rappresentato un momento di, perdonatemi questa licenza, “evasione”. Attimi di libertà, ma contemporaneamente, anche l’opportunità per entrare in contatto con le proprie emozioni, poiché la voce ci mette in stretta connessione con noi stessi. Fare musica insieme, poi, significa aderire, più o meno consapevolmente, a tutta una serie di regole non scritte che sono insite nel lavoro di gruppo, in particolare, per quello musicale

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e corale: il rispetto reciproco, il sostegno tra coristi all’interno di una sezione, l’accogliere nel coro una nuova voce, l’entrare in contatto e in empatia con chi ci sta a fianco e, forse la cosa più importante, l’ascolto dell’altro. Al Coro Papageno possono partecipare tutti i detenuti che ne fanno richiesta, o meglio, tutti quelli reputati - dall’Area Pedagogica del carcere - compatibili con una attività di gruppo, a seconda anche del reato commesso. Non ci sono selezioni dal punto di vista vocale o musicale, proprio perché convinti che ogni essere umano debba avere la possibilità di esprimersi vocalmente e di vivere la propria musicalità. La voce è un mezzo d’espressione privilegiato del proprio patrimonio culturale ed emozionale. Tutti possono in qualche modo contribuire al risultato finale, e partecipare attivamente al processo di costruzione di esso, ognuno con le sue qualità e i suoi limiti. Ed è per questo che fanno parte del coro persone che amano cantare o che hanno studiato musica quando erano bambini, o semplici appassionati di musica in generale, e allo stesso tempo, nella maggior parte dei casi, fanno parte del coro persone che non hanno mai fatto musica nella loro vita e che, proprio grazie al coro, scoprono la loro voce e il fascino irresistibile del costruire assieme, prova dopo prova, con impegno e dedizione, momenti di bellezza.


Il coro, quindi, si configura, più che mai in una realtà come quella del carcere, come un microcosmo di relazioni, la cui idea costitutiva è la socializzazione, in un comune obiettivo di crescita del gruppo, non solo musicale, ma anche, da tanti altri punti vista. Primariamente, quindi, il nostro fare musica è soprattutto volto a una musica intesa alla comunicazione di emozioni, più che all’esibizione fine a se stessa. Ma, nel corso di questi anni, ci sono stati anche i concerti. Ogni anno il coro ne ha tenuti due. Il primo, che tra noi che lavoriamo al progetto, chiamiamo “il concerto interno”, è una specie di saggio, rivolto ai compagni detenuti non facenti parte del coro. Si svolge tra marzo e aprile, in un periodo dell’anno, cioè, in cui il gruppo si riesce ad assestare dal punto di vista dell’organico e del repertorio. Si deve pensare, infatti, che per la natura stessa del gruppo, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, molti coristi non sono più gli stessi: chi, a fine pena, è uscito; chi, a inizio pena o in attesa di giudizio, è appena entrato. Solo i coristi detenuti veterani e i coristi volontari esterni, che sono sostanzialmente sempre gli stessi da tanti anni, sono il nucleo stabile del coro, quello che ci garantisce di non dover ripartire da zero ogni anno. Il secondo concerto è il “concerto aperto al pubblico”. Un vero e proprio concerto in cui i cittadini possono assistere al lavoro svolto durante l’anno. Questo concerto è solitamente arricchito dalla presenza del Quartetto d’Archi Mirus, che accompagna il coro in alcuni brani, con degli arrangiamenti creati ad hoc. Il repertorio del coro spazia da brani classici a quelli popolari, con una certa predilezione verso la musica etnica, che si è rivelata particolarmente adatta vista la connotazione fortemente interculturale del Coro Papageno. I coristi cantano in moltissime lingue e ciò serve non solo a scoprire paesaggi sonori sconosciuti e lontani, spesso molto affascinanti, ma educa anche a condividere aspetti culturali e, talvolta, religiosi, diversi dal proprio, in un’ottica di conoscenza reciproca, di rispetto, di condivisione. E la musica (o forse, dovremmo dire “le musiche”), lo sappiamo, sono linguaggio universale per eccellenza, capace di avvicinare persone e far vibrare anche i cuori più distanti. Nel corso degli anni, ci sono poi stati anche importanti eventi che hanno portato il Coro Papageno a cantare fuori dal carcere. Nel 2016, per ben due volte: la prima, nell’Aula del Senato della Repubblica per la Festa Europea della Musica, su invito del Presidente del Senato Pietro Grasso; la seconda, in Vaticano, in occasione del Giubileo

dei Carcerati, alla presenza di Papa Francesco. Nel 2017 è stato prodotto il docufilm “Shalom! La musica viene da dentro. Viaggio nel Coro Papageno”, regia di Enza Negroni, produzione Proposta Video di Valeria Consolo in collaborazione con Associazione Mozart14 e Film Commission Emilia-Romagna. Ultimo in ordine di tempo, nel 2019, con un grande concerto al Teatro Manzoni di Bologna, in cui il Coro Papageno ha avuto il privilegio di cantare accompagnato da un trio d’eccezione, il Trio del famoso jazzista Uri Caine. Da ricordare, inoltre, quando venne a trovarci in carcere la popstar Mika, nel 2016, per registrare con noi l’Ave Verum Corpus di Mozart, andato poi in onda nel programma “Stasera Casa Mika” su RaiDue. Certamente, questi momenti sono stati tutti particolarmente intensi, e hanno lasciato un grande segno dentro di noi e dentro ai coristi. Tanto quanto lo hanno fatto, però, anche gli sguardi di gioia e gratitudine dei detenuti, i loro piccoli gesti, le lettere di ringraziamento, i pensieri e persino qualche dono (non potrò mai dimenticare la bacchetta da direttore d’orchestra, in legno, fattami da un detenuto che si cimentava nella falegnameria del carcere). E ancora, gli abbracci, le lacrime di gioia alla fine dei concerti, alle ultime prove prima della pausa estiva, quando ci si separa per un po’ di tempo, e tutte le emozioni vissute, tante quante sono state le note che abbiamo cantato e che speriamo di poter cantare ancora in futuro. Ad oggi il progetto è temporaneamente sospeso e l’Associazione Mozart14 ha purtroppo dovuto chiudere le sue attività, colpita come tante altre realtà che operano nel sociale, per mancanza di fondi. Prima della sua chiusura, si è però impegnata per mettere in sicurezza i suoi progetti, e per individuare enti e realtà del territorio che possano far tornare a vivere il Coro Papageno. A settembre del 2021 il Coro Papageno ha ricevuto la “Turrita di Bronzo” da parte del Sindaco di Bologna Virginio Merola, un importante riconoscimento della città di Bologna nei confronti del progetto. E le sue parole sono state: “un’esperienza unica, che deve continuare con il sostegno delle istituzioni e dei cittadini. Un augurio da parte mia, che per voi sia un nuovo inizio. Mi avete insegnato che la chiave per giudicare un paese è la condizione carceraria e credo che questo sia oggi ancora più valido”. Sono proprio le sue parole e questo riconoscimento recente che riaccendono in noi la speranza e l’ottimismo che il Coro Papageno possa nuovamente tornare a cantare e a creare, ancora, i suoi momenti di infinita bellezza. L’ESPERIENZA DEL CORO PAPAGENO | 25


DI MICHELE NAPOLITANO

Il progetto Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna Era il settembre del 2004 quando, assieme a un piccolo gruppo di tre coristi, Dariush, Malika e Claudia (rispettivamente un musicista iraniano, una giovane marocchina e una entusiasta signora di origini romagnole), mi incontrai per la nostra prima prova. L’idea era quella di formare un coro che, attraverso la musica corale, riunisse italiani e stranieri in un progetto musicale dalla forte componente umana e sociale, con l’obiettivo di mettere in relazione e comunicazione persone di provenienze culturali, linguistiche e religiose diverse. Non sappiamo se sia stato per l’idea in sé del “coro interculturale”, o per il clima gioioso e pieno di energia che si respirava durante le prove musicali, ma sta di fatto che al secondo incontro i coristi erano diventati sette, al terzo otto, e al quarto quindici. Fu proprio in quel momento che ci rendemmo conto che stava realmente nascendo il coro e che, assieme, stavamo costruendo qualcosa di importante per la città di Bologna, qualcosa che non era ancora molto comune in Italia, a quei tempi, e di cui, forse, si sentiva la mancanza. Il coro continuò le sue prove, crescendo sia musicalmente, sia numericamente. Dopo qualche mese, ci fu il primo intervento con qualche brano a più voci, interamente a cappella, cantato durante una delle riunioni delle associazioni del Centro Interculturale “M. Zonarelli”, un Centro del Comune di Bologna che si occupa di promuovere la partecipazione dei nuovi cittadini e cittadine alla vita pubblica locale, sostenendo l’associazionismo migrante e interculturale, con l’intento di valorizzare le culture dei Paesi di origine e di promuovere occasioni di socializzazione. Nei mesi successivi arrivarono altri concerti, tra cui diverse collaborazioni con il Quartiere San Donato di Bologna, che ci aveva sostenuto fino a quel momento, oltre che con le Associazioni del territorio e il Comune di Bologna. Oggi il coro è formato da circa sessanta coristi, una parte di italiani e diversi stranieri, proprio come

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un piccolo mondo rappresentativo della nostra società. Da qui, infatti, il nome Mikrokosmos, un vero e proprio “piccolo mondo” sonoro cittadino, con anche un voluto omaggio alla famosa raccolta omonima composta da Béla Bartók, un capolavoro di composizione e di pedagogia, i cui 153 brani musicali, ordinati progressivamente per difficoltà, sono intrisi di melodie e ritmi tratti e ispirati alla musica popolare del suo paese, e non solo. Tra gli stranieri (termine che su cui personalmente ho sempre avuto più di qualche riserva…perché stranieri rispetto a chi? Ma è giusto per farmi capire…), ci sono coloro che sono già inseriti nel tessuto sociale della città, con un lavoro stabile o una famiglia, ma c’è anche chi è arrivato da poco, magari in cerca di lavoro e di una rete di amicizie e, in alcuni casi, qualche studente Erasmus di passaggio a Bologna. In questi diciassette anni di vita, negli oltre centosettanta concerti fatti per rassegne, festival ed eventi culturali, ci siamo sempre proposti sempre come luogo di cooperazione, rispetto reciproco e buona convivenza sociale, convinti dell’arricchimento che avviene quando culture diverse si incontrano, con l’obiettivo di realizzare, seppur in piccolo, l’idea della pace. Uno degli arricchimenti più preziosi, ad esempio, è stato quello del repertorio, poiché l’avere tra i coristi anche degli stranieri ci ha permesso di poter imparare brani in lingua lingala (cantatoci da un corista congolese), in persiano (grazie a una corista iraniana), in lingua araba (insegnatoci da una corista della Giordania), e altri in polacco, svedese, ceco, spagnolo, tedesco, francese, inglese, portoghese, ungherese, rumeno, serbo, turco, peruviano, camerunense. Tutti questi, appresi grazie alla preziosa presenza di almeno un corista di quella provenienza culturale. Questo ha fatto sì che, negli anni, Mikrokosmos potesse raccogliere e imparare un repertorio molto variegato, in un certo senso originale, poiché molti di quei brani non sono editi e sono stati arrangiati ed elaborati appositamente per il coro, e soprattutto, con una forte identità legata ai coristi del coro stesso. Nel 2005 abbiamo poi deciso di costituirci in Associazione Culturale e, dal quel momento, abbiamo tenuto laboratori didattici di musica e intercultura, curato rassegne musicali - come MikrokosmInFesta, la Rassegna di Primavera - e BolognaCanta - I° Festival dei


Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna (© Piero Gatto)

Cori a Bologna, in collaborazione con il Settore Cultura del Comune di Bologna, riuscendo a coinvolgere dodici cori in cinque serate presso il chiostro della Basilica di S. Stefano (luglio 2010), e proposto il consueto Concerto Corale di Natale (per diversi anni, ovviamente prima della pandemia…), in cui venivano riuniti circa un centinaio di coristi di ogni età e provenienza, pensato anche come un momento di incontro tra diverse generazioni e culture, con anche gemellaggi tra cori e momenti d’insieme a cori uniti.

A gennaio 2007 l’associazione ha deciso di fondare anche Mikrokosmos dei Piccoli, nato con gli stessi obiettivi della formazione degli adulti e che, in tempi più recenti, si è diviso in due formazioni: Mikrokosmos dei Piccoli (bambini tra i 6 e i 10 anni) e Mikrokosmos dei Giovani (ragazzi dagli 11 ai 16 anni).

A luglio del 2007 il progetto Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna ha ricevuto il Premio Nazionale “Interculture Map” per le migliori pratiche interculturali - Sezione Arti e comunicazione, promosso dall’Associazione Africa e Mediterraneo in collaborazione con la Fondazione “Giovanni Agnelli” di Torino e, nel 2011, è stato riconosciuto dal Comune di Bologna come gruppo di “interesse comunale per la sua funzione altamente educativa”. Da settembre 2018, infine, l’associazione si è arricchita di una ulteriore formazione corale, rivolta a coristi tra i 20 e i 35 anni, col nome di Coro Ad Maiora.

IL PROGETTO MIKROKOSMOS - CORO MULTIETNICO DI BOLOGNA | 27


Storia

I cori al cinema (1) Carrellata (non esaustiva) sull’immagine del canto corale nella settima arte

DI SILVIA VACCHI

Voci bianche e audizioni L’immaginario cinematografico ci influenza e ci suggestiona in tanti ambiti. Vedendo un film ci illudiamo di conoscere situazioni lontanissime da noi e abbiamo l’impressione di viaggiare nel tempo e nello spazio. Un bel film può anche ispirarci facendoci conoscere mondi nuovi, può rendere affascinanti attività o professioni che non lo sono o viceversa. È innegabile che il cinema sia una fabbrica di miti moderni e abbia in larga parte colonizzato la nostra fantasia. Da maestra di coro mi è spesso successo di condividere con vari colleghi una considerazione (sarebbe meglio dire lamentela) sulla scarsa presenza del mondo corale nei media. Mi è sorta allora la curiosità di verificare se la nostra attività sia o meno presente nei soggetti cinematografici. Ho anche pensato che potesse essere interessante capire quale fosse il tipo di rappresentazione che ne viene fatta e se vi siano degli stereotipi ricorrenti. Insomma, la domanda alla quale ho cercato di rispondere con questa piccola, e sicuramente limitata, ricerca personale è: come vengono rappresentati i cori nel cinema? Il punto di vista dal quale mi muoverò è quello della direttrice di coro; lungi da me il pensiero di occuparmi di critica cinematografica non avendo la minima competenza al riguardo. Non ho potuto fare a meno, comunque, di far emergere anche i miei gusti personali. Cominciamo prendendo in esame alcuni tra i film in cui il coro costituisce l’elemento centrale della trama. Non sono pochi, contrariamente a quel che pensavo, ma tra questi i veri successi internazionali si contano sulle dita di una mano. I primi esempi che mi piace citare sono dedicati alle voci bianche e presentano l’attività corale ricorrendo ad alcuni elementi

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Les Choristes

narrativi tipici: in tutti ritroviamo un’audizione più o meno severa e un protagonista in forte crisi alla ricerca di dignità e di riscatto. Può rientrare in questo canovaccio “Les Choristes“: film francese di genere drammatico del 2004 diretto da Christophe Barratier. Ebbe un notevole successo, come testimonia la grande diffusione, tra i cori di voci bianche, dei brani corali presenti nella colonna sonora. Il più famoso è senza dubbio “Vois sur ton chemin”, eseguito in tutto il mondo. Può essere considerato un remake poiché il nocciolo della storia è tratto dal film del 1945 “La gabbia degli usignoli” diretto da Jean Dreville, che ottenne una candidatura agli Oscar del 1948 per il miglior soggetto. In entrambi i film è presente anche

Almost Angels


una bella versione di “La nuit” di Rameau. La vicenda è ambientata in un collegio per ragazzi “difficili” durante gli anni ‘40. Nonostante l’opposizione del preside un insegnante di buona volontà tenta di coinvolgere i suoi problematici alunni in una attività corale. Non sarà facile ma il canto d’assieme riuscirà a rendere più umani i rapporti tra i docenti e i ragazzi. Il coro gioca un ruolo fondamentale, andando a costituire un’oasi di bellezza in un contesto (l’istituto di correzione non a caso è soprannominato “pozza di fango”) cupo e punitivo. L’eleganza del repertorio, in parte costituito anche da brani tradizionali, sembra ridare dignità ai giovanissimi protagonisti. Atmosfera piuttosto tesa anche per “Boychoir” film americano del 2014 con la regia di François Girard. Si tratta di un film, uscito in Italia con il titolo “L’ottava nota”, in cui un blasonato coro americano di voci bianche è al centro dello snodo drammatico: un esigente e freddo maestro di coro, interpretato da Dustin Hoffmann, riconosce, in un dodicenne problematico doti canore non comuni. Il protagonista faticherà non poco a conquistarsi la fiducia del maestro e dei compagni ma ne uscirà maturato. Nel corso della vicenda la routine corale del gruppo viene tratteggiata in modo non del tutto superficiale (molte le scene girate durante le prove), ma a farla da padrone è la competitività e la rivalità tra coristi, spesso incoraggiata dal maestro stesso. La scelta dei brani corali predilige i classici: Haendel, Britten, Mendelsshon. Il film ci presenta

l’attività corale come assai affascinante ma anche difficile ed esclusiva con tanto di severe audizioni per gli aspiranti coristi. Il tema, anche se non viene del tutto esplicitato, sembra essere quello del riscatto personale e sociale del protagonista. Analoghe dinamiche (audizioni comprese) le troviamo anche in “I ragazzi dello Zecchino d’Oro” con la regia di Ambrogio Lo Giudice. Questo film per la tv del 2019 narra la nascita del Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna, fondato nel 1963 dalla giovane maestra Mariele Ventre per accompagnare i piccoli interpreti delle canzoni allo Zecchino d’Oro. Vengono cantati alcuni degli storici successi e viene ripercorsa l’epopea televisiva del Piccolo Coro partendo dalle vicende personali di alcuni bambini e delle loro famiglie. Il loro comune denominatore è la voglia di riscatto dall’anonimato e, talvolta, dalla marginalità. Il clima si alleggerisce con “Almost Angels” un film musicale del 1962 diretto da Steve Previn e prodotto dalla Disney. Uscì in Italia con il titolo di “Angeli o quasi”. I protagonisti assoluti sono i ragazzini del celebre coro di voci bianche “Piccoli Cantori di Vienna” che recitano nella parte di se stessi. L’esile trama costituisce lo spunto per mettere in scena alcuni dei cavalli di battaglia del blasonato coro austriaco: Mozart, Schubert, Brahms. Pur trattandosi di un film per famiglie di tono assai lieve viene sottolineata la severità della selezione dei piccoli coristi e il rigore della preparazione musicale. L’a m b i e n t a z i o n e evidenzia il prestigio di questa

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Boychoir

competizione corale. Ci riuscirà coinvolgendo nell’impresa coristi dalle provenienze più disparate: un gruppo di carcerati guardati a vista da un secondino e una solista interpretata nientedimeno che da Beyoncè. A questo punto diventa chiaro che, tra brani gospel, blues e incursioni nel rap l’improbabile coro marcerà dritto verso il successo. Trattandosi di

antica istituzione e la sua serietà ed esclusività. Diverso è l’impianto dei prossimi tre film, tutti americani e tutti ascrivibili al genere commedia. Il tema principale, più che il coro in sé, sembra essere la ricerca del successo. Le colonne sonore sono tutte orientate al vocal pop. In “The Fighting Temptations”, film statunitense del 2003 a regia di Jonathan Lynn. lo spunto narrativo è piuttosto artificioso: il protagonista diventa erede universale di una ricchissima zia ma scopre di non poter incassare nulla prima di aver esaudito le ultime volontà dell’anziana parente che consistono nel rinsaldare un piccolo coro gospel in disarmo fino ad ottenere il primo premio in una importante

una commedia, il lieto fine è d’obbligo e forse non c’è nemmeno da aspettarsi un intreccio credibile o un minimo di realismo nella realizzazione delle scene corali. Anche qui, più che sul coro, l’attenzione è rivolta ai solisti e alla competizione tra cori. Con tanto di audizioni pur se in chiave umoristica. “Voices” (titolo originale “Pitch Perfect”) è un film americano del 2012 con la regia di Jason Moore. Si tratta di una fortunata commedia (ha avuto ben tre sequel) che mette al centro della vicenda, ambientata in un college universitario, la rivalità tra due gruppi vocali a cappella, uno femminile e l’altro maschile. I numeri musicali (basati su brani pop vecchi e nuovi) sono spettacolari sia dal punto di vista vocale che coreografico. Ben confezionato e spumeggiante è sicuramente pensato per un pubblico giovanile, ma non brilla certo per profondità e verosimiglianza. Il canto corale viene dipinto come un mezzo per

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primeggiare: i solisti sono le vere star della situazione e la competizione, ancora una volta, la fa da padrona. “Joyful Noise”. Uscito in Italia con il titolo di “Armonie del cuore” è un film del 2012 scritto e diretto da Todd Graff. Tra rivalità personali e amori contrastati si racconta l’improbabile riscatto di un malandato coro gospel di provincia pieno zeppo di solisti carismatici. Le due star principali, Queen Latifah e Dolly Parton, si contendono la conduzione del coro in modo quasi macchiettistico, ma di musica si parla pochissimo. La sceneggiatura si alza raramente al di là dell’ovvietà e del già sentito: prevedibilmente, assistiamo a una gara tra cori, che vedrà i “nostri” trionfare. I numeri corali, però, sono decisamente ben fatti anche se infarciti di tutti i cliché narrativi più logori che si possano immaginare. Tra questi anche una sorta di contrasto tra “innovatori” e “tradizionalisti”. Quindi, di cliché in cliché , non mancherà nemmeno la scena del pubblico che sbadiglia assistendo all’esecuzione tradizionale mentre, lo stesso pubblico, poco dopo, tributerà un vero e proprio trionfo al gospel “moderno”, arrangiato con sonorità pop e ballato con tanto di coreografie. Mettendo a confronto questi primi titoli emerge già una netta distinzione tra l’immagine del coro presentata dalla cinematografia statunitense e quella

The Christmas Choir (2008)

dalle produzioni europee, meno spettacolarizzata e meno focalizzata sul vocal pop. Un altro aspetto è, invece, ricorrente ovunque; è quello della rivalità tra solisti, vera e propria “ciliegina sulla torta” a cui, evidentemente, nessuno sceneggiatore vuole rinunciare. La stessa cosa potrebbe essere detta a proposito della presenza, in tutti questi film, di scene che presentano un’audizione con tanto di commissione di esperti in cattedra. Sembra proprio che l’elemento della competitività non possa mai mancare nemmeno nel rappresentare il coro, organismo paritario per antonomasia. Nel prossimo numero daremo uno sguardo ad altri filoni cinematografici che abbiano, anche solo parzialmente, toccato l’argomento “coro”.

Ringraziamenti Ringrazio infinitamente Luca Baroncini, grande esperto di cinema, che mi ha dato utili consigli per la redazione di questo e del prossimo articolo. Ecco qualche riferimento per conoscere meglio il suo lavoro: Direttore Responsabile del mensile cartaceo libertario Cenerentola Redattore della rivista online di critica cinematografica Gli spietati https://www.spietati.it/ Gestore della pagina Facebook Cinema in sala dedicata alla sala cinematografica. https://www.facebook.com/cinemainsalaLB/ Interessanti spunti di riflessione possono essere tratti anche da: Fabio De Propris La voce cantata nei film. Un sondaggio nel Novecento e nel XXI secolo attraverso cinema e canzoni In Natura Società Letteratura, Atti del XXII Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Bologna, 13 15 settembre 2018), a cura di A. Campana e F. Giunta, Roma, Adi editore, 2020 - Isbn: 9788890790560

I CORI AL CINEMA | 31


Storia

L’antiromantico che amava Venezia Igor Stravinskij a cinquant’anni dalla morte

DI FRANCESCO IULIANO

Francesco Iuliano Francesco Iuliano, storico della musica. Dal 1984 è professore di Discipline storico-musicali nei Conservatori italiani (attualmente a Brescia). All’attività accademica affianca da oltre trent’anni quella di pubblicista e, con particolare passione, quella di divulgatore. Dal 2004 ad oggi ha sviluppato con costante successo il progetto “Musica Storia Musiche”: annuali cicli di lectures di argomento storicomusicale, destinate anche a un pubblico di non specialisti. Il progetto ha prodotto quasi seicento incontri, in varie sedi.

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In piena laguna, tra Venezia e Murano, si trova un’isola: l’incanto del raggiungerla dalla laguna è pari all’emozione del visitare il sito che, insieme con una chiesa, occupa gran parte dell’isola stessa, vale a dire il cimitero che (come la chiesa) dall’isola prende il nome: San Michele. La suggestione del luogo è profonda e indimenticabile: passeggiare, nel silenzio, tra campi e recinti, soprattutto in primavera inoltrata, è un’esperienza rigenerante, soprattutto per chi voglia trovare ristoro dalla pazza folla che si accalca per calli e campielli della città lagunare. I profumi della vegetazione si uniscono all’impagabile piacere di vagare tra i monumenti e le cappelle di illustri famiglie del patriziato veneziano, e di scoprire tombe di personaggi illustri come Ezra Pound, Emilio Vedova, Luigi Nono, Iosif Brodskij. Nel recinto greco-ortodosso del cimitero di San Michele, a ridosso d’un muro di cinta, si trovano, una accanto all’altra, le tombe di Sergej Pavlovic Djagilev e di Igor’ Fëdorovic Stravinskij. La disadorna, essenziale lastra di marmo della tomba del compositore fu disegnata da Giacomo Manzù, che per lo Oedipus Rex stravinskijano all’Opera di Roma aveva allestito scene e costumi, nel 1964. Stravinskij amava profondamente Venezia, che gli ricordava per certi aspetti San Pietroburgo: un amore nato nell’estate del 1912, quando, in un salone d’angolo al piano terreno del Grand Hotel (Palazzo Ferro Fini, sul Canal Grande) il compositore suonò a Sergej Djagilev per la prima volta alcune pagine del Sacre du printemps. Da qualche anno Stravinskij collaborava ai Ballets Russes, compagnia di danza fondata a Parigi proprio da Djagilev: una straordinaria impresa artistica che per decenni vide lavorare fianco a fianco figure come Stravinskij, Picasso, De Chirico, Ravel, Debussy, Matisse, Prokofiev, Poulenc, Milhaud, Respighi, Satie… (per la compagnia di Djagilev, fra il 1910 e il 1928,


Stravinskij compose capolavori come L’uccello di fuoco, Petruška, Il rito della primavera, Le chant du rossignol, Pulcinella, Renard, Les noces, Apollon musagète). Morto a New York il 6 aprile 1971, Stravinskij volle essere sepolto a Venezia, il che avvenne nove giorni dopo: se il funerale statunitense, a detta dei presenti, non fu molto partecipato, quello lagunare fu un evento intenso e commovente. Una folla composta da artisti, studenti, cittadini, gremiva il sagrato della grande Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, il pantheon veneziano: le imbarcazioni del corteo funebre percorsero i canali di Venezia, fino alla laguna, per raggiungere poi San Michele. Durante il funerale vennero eseguiti i Requiem Canticles, l’ultima importante composizione di Stravinskij, nonché l’ultima delle non poche composizioni in cui il compositore utilizzò il coro. Composti per contralto e baritono solisti, coro SATB e orchestra, i Canticles risalgono al 1965, ed esprimono l’approdo stilistico ultimo di Stravinskij, di ascetica severità. Stravinskij adotta i testi liturgici (in latino) ma non segue un vero e proprio schema liturgico. I Canticles sono concepiti secondo un disegno formale semplice e simmetrico: sei movimenti vocali, incastonati in tre pezzi strumentali (un Preludio per archi, un Interludio per fiati e timpani, un Postludio per flauto, corno, pianoforte, arpa, celesta, campane e vibrafono). Anche le sei parti vocali mutano organico di volta in volta: Exaudi orationem meam (coro e orchestra); Dies irae (coro e orchestra); Tuba mirum (basso e orchestra); Rex tremendae (coro e orchestra); Lacrimosa (contralto e orchestra) e Libera me (coro e orchestra. I Canticles sono, a tutti gli effetti, il Requiem di Stravinskij: un lavoro monumentale quanto all’organico, non certo quanto a dimensioni: l’adozione della tecnica dodecafonica seriale e l’adesione a principi di maggiore essenzialità espressiva, peculiare nello stile dell’ultimo Stravinskij, porta ad una composizione concisa e sintetica (non giunge al quarto d’ora di musica). Gli splendidi Canticles stravinskijani figurano tra le massime composizioni d’ogni tempo che si siano ispirate - per quanto liberamente dal punto di vista liturgico al rito pro defunctis. Nel XX secolo ricordiamo almeno il War Requiem di Benjamin Britten (1962), il Requiem di György Ligeti (contemporaneo ai Canticles di Stravinskij: 1963-65), e il Requiem di Krysztof Penderecki (1984). Dopo il commovente Lacrimosa, l’ultima pagina vocale (prima del Postludio strumentale), il Libera me, è particolarmente interessante: al quartetto di solisti (soprano, alto, tenore e basso) che intona il testo armonizzandolo a quattro parti, si sovrappone il coro che sussurra (parlando) il testo, scorrevole e con ritmo libero. Stravinskij morì a quasi novant’anni, essendo nato nel

1882 ad Oranienbaum: oggi è Lomonosov, non distante da San Pietroburgo (sulla baia della Neva, nel golfo di Finlandia). Alla longevità anagrafica corrispose una lunga stagione creativa: è ben vero che Stravinskij approdò piuttosto tardi allo studio serio della composizione musicale (vi si accostò nel 1903, quando iniziò i suoi studi con Nikolaj Rimskij-Korsakov), ma è anche vero che a ottant’anni compose il suo ultimo lavoro drammatico (la sacra rappresentazione The Flood), a quasi ottantacinque i Requiem Canticles, e terminò poco prima di morire una illuminante trascrizione di quattro preludi e fughe dal Clavier ben temperato di Bach, per tre clarinetti, due fagotti e archi. Questa lunga carriera artistica produsse una straordinaria varietà di approcci stilistici e di esperienze artistiche, comprese tra la scintillante e virtuosistica scrittura orchestrale (alla Korsakov) delle esuberanti prime composizioni del 1907-08 (Scherzo fantastique e, soprattutto, Feux d’artifice) agli ultimi lavori con coro: i citati Requiem canticles, la cantata A Sermon, a Narrative and a Prayer (1961) per contralto e tenore solisti, coro e orchestra, l’Introito Requiem aeternam in memoria di Thomas Stearns Eliot (1965). Le memorabili tappe di questo lungo cammino sono capolavori di gusto e stile estremamente differenziati: dal fiabesco dell’Uccello di fuoco, al fauve del Sacre du printemps, dal monocromo classicheggiante dell’Apollon musagète, al calco d’opera settecentesca (con tanto di recitativi con clavicembalo) di The Rake’s Progress, dalle raffinatissime Tre poesie della lirica giapponese alla Circus Polka scritta per un balletto di elefanti del Circo Barnum. Anche le risorse tecnico-compositive esplorate da Stravinskij presentano un panorama di sconcertante mutevolezza: dalla ruvida politonalità del Sacre, alla forma-sonata tonalmente orientata della Sinfonia in do, fino all’adozione della tecnica dodecafonica seriale degli ultimi lavori (compresi i Canticles). La lunga vita musicale di Stravinskij prende le mosse dal tardo romanticismo e termina all’epoca delle avanguardie radicali, e il compositore sembra indossare lungo la sua lunga vita musicali indumenti stilistici tanto mutevoli da L’ANTIROMANTICO CHE AMAVA VENEZIA | 33


rendere difficile renderne conto in modo sistematico. Altro tratto peculiare della biografia (anche artistica) di Stravinskij fu il cosmopolitismo: nato e vissuto in Russia negli ultimi anni dell’Impero zarista, ebbe i primi contatti con Parigi già nel 1909, e abbandonò definitivamente la terra natale con la Rivoluzione d’Ottobre 1917 (sarebbe tornato, ma solo per una tournée, solo all’epoca di Chrušcëv); prese poi tanto la cittadinanza francese tanto quella statunitense, e visse intensi periodi in Italia (non solo a Venezia). Molti dei riferimenti stilistici stravinskijani sono remoti (la musica medievale e rinascimentale, Bach, il Settecento); l’Ottocento romantico tedesco non fu certamente tra le sue fonti di ispirazione. Fu invece potentemente influenzato da due grandi russi dell’Ottocento: Glinka e - soprattutto - Čaikovskij, che Stravinskij amò profondamente per tutta la vita. Può parere strano, ma in realtà Stravinskij si sentiva più vicino a Čaikovskij che non agli altri musicisti russi di fine ottocento, quelli più radicali dell’ambiente di San Pietroburgo (Musorgskij in testa), nonostante avesse studiato con Rimskij-Korsakov. Il compositore eversivo di balletti di sconvolgente potenza espressiva amava il balletto delle regole e dei canoni, quello ottocentesco: non solo Čaikovskij, ma anche Adam e Delibes. L’iper-critico rapporto di Stravinskij con l’Ottocento romantico tedesco si materializza nei toni aspri delle sue posizioni anti-wagneriane (celebre il provocatorio giudizio secondo cui vi sarebbe «più sostanza e autentica invenzione nell’aria della Donna è mobile che non nella retorica e nelle vociferazioni della Tetralogia»). Ma l’anti-wagnerismo è solo una delle sfaccettature della complessa posizione anti-romantica di Stravinskij: curioso del presente (Jazz, Blues, Ragtime), audace sostenitore della modernità e del modernismo, Stravinskij si richiamò frequentemente al passato musicale, con uno sguardo che retrocede al medioevo (la Messa del 1948) al Cinquecento (Monumentum per Gesualdo da venosa, 1960), al Seicento (Apollo musagète), al Settecento (Bach, Pergolesi)… e qui si ferma, perché in questa retrospettiva, con l’unica vistosa eccezione di Čaikovskij, è come se l’Ottocento non esistesse: il secolo in cui il primato della musica pura è conteso dalla musica a programma, dal programma letterario o pittorico, dal teatro dei simboli, fu oggetto di un atteggiamento programmaticamente ostile da parte di Stravinskij. Si legge infatti nelle Cronache della mia vita: «Io considero la musica, per la sua stessa essenza, impotente a “esprimere” alcunché: un sentimento, un’attitudine, uno stato psicologico, un fenomeno naturale, o altro ancora. L’“espressione” non

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è mai stata la caratteristica immanente della musica». Stravinskij concepì la modernità musicale in rapporto dialettico con la tradizione: l’ambiente in cui nacque, la sua educazione, ma anche la sua propensione caratteriale, portavano Stravinskij ad essere diffidente verso ogni posizione programmaticamente rivoluzionaria, tanto nella politica quanto nell’arte. Egli considerava la musica europea come un lascito coerente e organico, di cui si considerava beneficiario ed erede. Quel filo non andava troncato in modo violento. Illuminante, in proposito, la lettura della Poetica della musica, un volume che raccoglie i contenuti di un ciclo di lectures che Stravinskij fu invitato a tenere ad Harvard nell’anno accademico 1939-1940. La novità è inevitabile premessa e corollario di ogni ricerca musicale, e se Stravinskij era insofferente alle abitudini ed al congelamento, per così dire, della creatività, era tuttavia altrettanto avverso alla novità-per-la-novità ed ai manifesti d’avanguardia programmaticamente rivoluzionari. L’esegesi stravinskijana, per dar conto del frastagliato percorso stilistico del compositore, è spesso orientata a dar conto di tutte le sue svolte stilistiche. Ma se dovessimo etichettare come “svolte” tutte le nuove ambientazioni stilistiche stravinskijane non solo segneremmo un percorso assai tortuoso, quasi vertiginoso, ma faremmo torto al compositore: Stravinskij sovente è definito eclettico (come se si trattasse di una peculiarità del suo stile, un atteggiamento estetico), ma forse è da ritenere, piuttosto, che il caleidoscopio inafferrabile delle sue variabili stilistiche sia solo il riflesso di una musicalità torrenziale e irrefrenabile, che ha bisogno, proprio per la indicibile vastità e varietà della sua reattività musicale, di trovare continuamente, e anche contemporaneamente, nuovi modi di esprimersi. L’esperienza parigina segnò Stravinskij come solo un ambiente stilisticamente cosmopolita può fare. La vita musicale parigina dei primi decenni del Novecento era ricca di stimoli diversissimi, contraddistinta da una inesauribile curiosità, e dal desiderio di andare oltre quanto fosse già noto e sperimentato: tutti i musicisti che vi agivano erano pronti ad accogliere le influenze più disparate, dal medioevo al music-hall, dal jazz agli esotismi più disparati (estremo oriente, Spagna, Russia). Predisposto a ciò, Stravinskij visse in un’epoca in cui la crisi del linguaggio musicale conduceva a diversi nuovi approdi, e in ambienti in cui di questa transizione si coglieva l’aspetto più fecondo e creativo. Di tutto ciò egli fu il massimo interprete.


L’amore di Stravinskij per la scrittura corale si può ben dire che abbia accompagnato tutte queste vicende stilistiche, dall’epoca del Sacre (1913) fino ai Requiem canticles. A parte tre composizioni a cappella (un Pater noster [1926], un Credo [1932] e un’Ave Maria [1949], tutti a quattro parti) e il già citato Requiem aeternam del 1965 (per coro maschile, arpa, pianoforte, 2 timpani, 2 tam-tam, viola e contrabbasso), tutti i lavori corali stravinskijani uniscono alle voci l’orchestra. La prima rilevante composizione corale di Stravinskij risale al 1911-1912, l’epoca in cui il compositore lavorava al Sacre: si tratta di una breve cantata per voci maschili e orchestra, Zvezdoliki (Viso stellato, ma più nota col titolo francese di Le roi des étoiles). È un lavoro impervio, sperimentale, visionario e denso di simboli, a partire dal testo. Il coro maschile si muove sempre a quattro, ma nei momenti in cui la scrittura orchestrale si fa più corposa canta all’unisono, sempre in una tessitura scura. L’armonia è ricca di aspre dissonanze, e l’esecuzione presenta non pochi problemi: si tratta di sole quarantotto battute, di grande complessità esecutiva, dalla intonazione del coro all’organico orchestrale, il che ha sempre scoraggiato l’impresa esecutiva (la prima esecuzione risale al 1939). Stravinskij dedicò il lavoro a Claude Debussy, il quale, letta la partitura, espresse la sua perplessità, pur mitigata dall’ironia: «È probabilmente l’“armonia delle sfere eterne” di Platone… Non prevedo esecuzioni di questa Cantata per pianeti, tranne che su Sirio o Aldebaran. Per quanto riguarda la nostra moderna terra, una esecuzione si perderebbe negli abissi». Le risorse del coro maschile furono esplorate da Stravinski, dopo Zvezdoliki, in altre occasioni: nella cantata Babel per voce maschile narrante, coro maschile, e orchestra (1944), su testo biblico, e nel già citato Introito Requiem aeternam (1965). E un coro maschile esegue le numerose splendide pagine corali dell’opera-oratorio Oedipus Rex. L’ensemble corale, che Stravinskij avrebbe voluto incappucciato e seduto in un’unica fila, ha qui il rilevante ruolo che ci si può attendere da una partitura che da un lato guarda al teatro di Sofocle e dall’altro all’oratorio occidentale: di

volta in volta dramatis persona e commento all’azione. Legate al sacro le altre principali apparizioni del coro nella musica di Stravinskij. La sua spiritualità e il suo senso del trascendente e del divino trovano voce nella Messa composta tra il 1944 e il 1948, scritta per coro SATB e doppio quintetto di fiati. Opera non scritta su commissione, la Messa presenta un frequente uso di omofonia, armonie modali, chiara scansione delle parole dell’Ordinarium. Sovente viene annessa alla cosiddetta tendenza neo-classica stravinskijana: ma la sua inconfondibile sonorità è la lente attraverso cui intravvediamo il riferimento a modelli decisamente più arcaici. Il coro, poi, è protagonista assoluto degli altri grandi lavori sacri di Stravinskij, dalla Sinfonia di salmi (1930) ai lavori ultimi: oltre ai già citati Requiem canticles, il Canticum Sacrum ad honorem Sancti Marci Nomine (1955); i Threni: id est Lamentationes Jeremiae Prophetae (1958), su testi dell’Antico Testamento; A Sermon, a Narrative and a Prayer (1961), su testi tratti dalle lettere di Paolo e dagli Atti degli Apostoli. Questa panoramica stravinskijana ha preso avvio dall’isola di San Michele, nella laguna veneziana. I titoli appena citati ci riportano, in chiusura di questa breve panoramica, nel cuore di Venezia, dove Canticum sacrum e Threni conobbero le loro prime esecuzioni, rispettivamente: i Threni nel 1958 nella Sala della Scuola Grande di San Rocco, e il Canticum due anni prima in San Marco (per quest’ultima occasione fu il Cardinale Roncalli - Patriarca di Venezia futuro papa Giovanni XXIII - ad autorizzare l’apertura della Basilica alla musica di Stravinskij, nell’ambito del XIX Festival di musica contemporanea). San Marco, che tra Cinquecento e Seicento risuonava delle grandi musiche dei Gabrieli e di Monteverdi (amatissimi dal compositore), fu per la musica di Stravinskij, come per quella degli antichi maestri, uno straordinario teatro di suoni. Ma la spiritualità del luogo fu certamente in sé un valore per Stravinskij, che ebbe vivissimo il senso della fede. Così si legge, nei Dialogues: «Si spera di onorare Dio con la propria piccola arte, se se ne possiede una». L’ANTIROMANTICO CHE AMAVA VENEZIA | 35


Analisi

Igor Stravinskij L’esperienza musicale religiosa: “Ave Maria”, per coro misto a 4 voci

DI FRANCESCO BARBUTO

Francesco Barbuto Compositore, scrittore, direttore di coro e consulente musicale, svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. Svolge attività nel movimento corale sia nazionale sia internazionale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani - Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È studioso e ricercatore della musica del ’900 e del Contemporaneo, sia corale sia orchestrale.

La questione religiosa, nell’opera di Stravinkij, è forse uno degli aspetti meno esplorati dalla critica musicale. Eppure, questo aspetto è di importanza capitale per comprendere le opere del nostro compositore e il suo pensiero musicale. Molti pensano che l’essersi occupato anche di musica sacra e religiosa, per Stravinskij sia stato un fatto prevalentemente “intimo” e che lo vivesse tenendolo distaccato dal parlarne con un qualsiasi critico. Oppure, forse il successo ottenuto con le sue opere più “laiche”, in primis L’uccello di fuoco, Petruska, La sagra della primavera, Histoire du soldat, etc., abbia contribuito e mettere più in penombra la sua produzione musicale religiosa. Nel 1910, Stravinskij attraversò una crisi spirituale, che lo portò ad allontanarsi dai riti ortodossi, per poi ritornarvi nel 1926, dopo un suo lungo travaglio, ma anche profonda meditazione su questa questione. Il primo risultato fu la sua composizione (forse la sua più conosciuta dal mondo corale) del Pater noster,

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la sua prima opera sacra per coro a cappella. Il ritorno all’Ortodossia, da parte del nostro compositore, fu causato probabilmente da una ammirazione verso una prospettiva universalistica ed ecumenica. Perfino per il figlio Theodore, volle che gli venisse impartita un’educazione religiosa cattolica in America. Entrando più direttamente nel repertorio di opere sacre e liturgiche di Stravinskij, possiamo dire come tutto questo possieda caratteristiche peculiari, stile e soprattutto un approccio “devozionale” alla composizione. È lo stesso che troviamo per esempio anche in Rachmaninoff, in particolare con i Vespri della Vigilia di Natale, Op. 37, oppure la Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Op. 31 e ancor prima in Cajkovskij, sempre con la sua Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Op. 42. Colpisce molto lo stesso approccio così fortemente devozionale tra queste opere musicali religiose dei tre compositori. La composizione di Stravinskij che prendiamo in esame, è: “Ave Maria”, per coro misto a 4 voci del 1934. Scritta e pensata inizialmente, come per il suo Pater noster e il Credo, in slavo ecclesiastico pensati per l’Ufficio Ecclesiastico Ortodosso, vennero poi tradotti nella versione in latino nel 1949. La scrittura compositiva si rifà in rispetto alla prima polifonia indigena russa, in particolare quella georgiana. Dopo la traduzione e l’adattamento in lingua latina, questi brani furono adottati da molteplici cori, che negli anni successivi vollero eseguirli anche in concerti. Come naturale destinazione liturgica ortodossa, tutti e tre i brani, sono composti “a cappella”. È lo stesso che fecero anche Rachmaninoff e Cajkovskij, ma anche altri compositori russi tra la fine del’800 e il ‘900 con le loro composizioni musicali sacre, quali sopra citate. Tornando alla nostra Ave Maria, lo stile del coro esprime, come dicevamo, direttamente le antiche tradizioni


russe, forse anche più degli altri due compositori qui ricordati. Il punto di confronto è appunto lo stile compositoio. Il compositore rumeno Roman Vlad, di Stravinskij disse che: “le opere religiose sono la chiave del vero sé di Stravinsky e della logica del suo intero sviluppo musicale”. In Stravinskij notiamo un approccio straordinariamente rispettoso della modalità recitativa e omoritmica, un richiamo più arcaico che richiama la cantillazione russa, come preghiera appena intonata e cantata, senza mai lasciarsi sedurre da lunghi melismi e abbellimenti, più usati dagli altri due compositori, probabilmente più influenzati dalla musica occidentale. Un’operazione simile la fece anche Kedrov col suo conosciutissimo: “Oche Nash” (Padre Nostro). Mettiamo a confronto le prime battute del Pater noster di Stravinskij e l’Oche Nash di Kedrov, per notare le loro forti similitudini di stile compositivo - omoritmia, note ribattute, spostamenti accordali di grado congiunto, accordi in stato fondamentale, etc. - pur tenendo conto dei diversi valori notazionali utilizzati:

Vediamo ora le battute iniziali dell’Ave Maria di Stravinskij:

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Il profilo melodico delle parti è delicatamente più melismatico, ma sempre omoritmico, forse anche perché questo brano è dedicato alla figura femminile di Maria, rispetto al brano più maschile, austero e fermo del Padre nostro. Troviamo, invece, più similitudine con il brano Bogoroditse Devo, raduisya (Vergine Maria, rallegrati) di Rachmaninoff, composto precedentemente a quello di Stravinskij. Vediamo le prime battute di entrambe le composizioni:

Il brano è composto da 35 battute e richiede poco meno di due minuti per essere eseguito. Rispetto alla partitura originaria slava, vi sono pochissime differenze e l’aggiunta dell’Amen finale. Si basa sul modo antico Frigio, Deuterus per i latini, basato sulla nota finalis di Mi, che qui troviamo a quasi tutti i finali di frase con l’accordo Mi-Sol-Si e anche per il continuo utilizzo del Fa bequadro (Fa naturale), suono proprio come nella sua scala antica originale. Veniva chiamato modus Mysticus, per il suo essere misterioso, dal lirismo profondo e religioso.

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Stravinskij, qui lo interpreta inserendo un gioco di semplici armonie, ma che producono efficacemente l’effetto lirico religioso e devozionale desiderato. Indugia tra l’accordo di Do maggiore, Mi minore e La minore, con note di passaggio dissonanti - guardiamo per esempio gli accordi al secondo tempo di bat. 2 Re, Si, Fa, La o ancora a batt. 6, 8 e 11 con le note Do, Si, Mi, La, etc. - che però non creano urti, anzi al contrario risultano all’ascolto piacevoli e “moderni”. Questo è il tratto distintivo del compositore, riconosciuto da tutto il mondo musicale: antico e moderno al tempo stesso. A differenza del Pater noster che abbiamo osservato prima, qui nell’Ave Maria, Stravinskij inserisce dei melismi sulle parole chiave: Ave - gratia - benedictus - Sancta - mater. Queste ornamentazioni, date a tutte le voci del coro e ben spalmate su note che raggiungono sempre due battute intere, caricano di espressività le parole scelte e creano un elemento di discontinuità e dialogo tra il procedere sillabico e questo più melismatico.

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Un’altra caratteristica interessante alla nostra analisi è la continua micro variazione intonativa e di valori notazionali che Stravinskij dà al profilo melodico di tutte le frasi.

In questo modo, da una parte mantiene fede al richiamo recitativo, se pur dolcemente melismatico in alcuni punti, tipico, come già dicevamo, della cantillazione russa; dall’altra parte offre sempre uno spunto nuovo e variato, per evitare il rischio di un canto monotono e ripetitivo. Continuando ancora su questo aspetto, il procedere del coro trasmette all’ascolto quello che possiamo definire un effetto/affetto, cioè: “cullante”. Osserviamolo prendendo la seconda parte del brano, con il testo: Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.

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Usando dei termini più poetici e affettivi, possiamo dire che questo effetto cullante, sembra trasmetterci il gesto di una madre: Maria, che ci abbraccia e ci protegge. Sappiamo, infatti, che molti russi sono così devoti nei confronti della figura della Madonna. L’effetto melismatico, usato da una parte, e l’affetto devozionale, usato dall’altra, sono messi insieme con sensibile semplicità ed estrema efficacia da parte di Stravinskij. A tal punto da comporre tutto l’intero brano in questo modo. Ci soffermiamo, infine, sull’accordo conclusivo del brano sulla parola Amen. L’accordo usato è il La maggiore, senza la quinta: La, Do#. Possiamo pensare che Stravinskij abbia voluto indugiare, come abbiamo precedentemente detto, per tutto il brano sul modo Frigio e sull’accordo di Mi minore (Mi, Sol, Si), per poi sorprenderci con un finale inaspettato su questo La maggiore. Ascoltando il brano, si sente come un effetto dedicato anche a una sorta di lunga cadenza neomodale V minore - I (Mi, Sol, Si - La, Do#).

CONSIGLI PER L’ESECUZIONE Il primo suggerimento utile per l’esecuzione di questo brano, è il porre un’attenzione al modo di cantare. Essendoci frasi musicali, così simili fra loro, con determinate armonie continuamente ripetute, ma allo stesso tempo colme di micro variazioni di valori notazionali e di stato degli accordi (fondamentale e rivolti), è bene evitare di rischiare di cantare in modo “monotono”. Ne risulterebbe particolarmente pesante e noioso all’ascolto. Questo brano dell’Ave Maria, come anche il Pater noster e il Credo, erano destinati per l’uso liturgico religioso e sicuramente cantati da cantori, monaci, etc., ecclesiastici o comunque da cori dedicati al servizio religioso delle chiese. Sappiamo tutti bene, con quanta sensibilità e passione si dedicano queste persone alla preghiera e al canto, trasmettendo quindi anche emozioni e stati d’animo così particolarmente sentiti, che vengono espressi e poi anche ascoltati e recepiti dagli ascoltatori. Un secondo suggerimento riguarda l’attenzione alla scorrevolezza dell’esecuzione canora. Come dicevamo nella nostra analisi, tutta la composizione è stata scritta da Stravinskij, dedicandosi a una modalità che produce un effetto/affetto “cullante”. I profili melodici di tutte le sezioni vocali sono in relazione tra un modo recitativo e un modo delicatamente

melismatico di intonare il testo della preghiera. Questo, se eseguito attentamente, produce anche un ulteriore effetto, che possiamo definire a “fisarmonica”, molto piacevole ed efficace all’ascolto. Per fare questo, occorre prestare molta attenzione al fraseggio, facendo in modo che si intonino, con le giuste respirazioni e i giusti accenti alle parole, tutte le frasi del testo in corrispondenza alle frasi musicali. Un ultimo suggerimento è in merito al modus operandi del Modo: il Deuterus. Il Mysticus, come esposto durante l’analisi, e allo stesso tempo tener conto della neo modalità e quindi al rapporto: antico/moderno. Come eseguire questo rapporto? I latini, attraverso l’attenzione all’Ethos, cioè il carattere del brano e il modo di comportarsi, dicevano che il Deuterus era il modo più misterioso da affrontare. Andava eseguito con: prudenza e cautela, lirismo profondo e vitalità, spirituale, dolce e patetico. Quanto alla neo modalità, il lasciarsi sedurre dalla disposizione delle armonie e dal loro modo di contribuire a trasmettere l’espressività del brano, come anche dalle loro cadenze, in particolare quella finale, con l’accordo così lieto e pieno di pace, può essere la via maestra da seguire.

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Storia

Camillo Cortellini Tra spazio e tempo

DI LUIGI DI TULLIO

Il musicologo tedesco Wolfgang Witzenmann nell’ormai lontano 1987 apriva così gli atti del convegno di Messina sulla policoralità: “Tra le grandi scoperte del Rinascimento forse la più importante è quella di una nuova concezione dello spazio. L’astronomia toglie la terra dal centro del sistema cosmico rimpiazzandolo con il sole; la politica spinge i conquistatori alla scoperta di nuovi continenti [...] anche nella musica si sveglia una nuova coscienza dello spazio sonoro”.1 L’eredità franco fiamminga porta organici estesi fino a sette voci, contrasti risultanti da gruppi di voci opposte al pieno, opposizione dei registri. La data di inizio della bicoralità polifonica è intorno al 1475, l’affermazione dei «cori spezzati» verso il 1520 a Treviso, Padova e Bergamo, e il passaggio alla policoralità vera e propria intorno al 1540 a Venezia, “nella generazione di Zarlino”, che si afferma definitivamente con Andrea Gabrieli attorno al 1575. Da Venezia e nord Italia la policoralità si sposta verso il sud e Roma, anche se rimane “però il fatto che lo stile concertato con strumenti solistici incontra serie difficoltà” ad affermarsi in chiesa. “Attorno al 1630, i musicisti dall’alta Italia passano dal genere policorale a musiche per soli, coro e orchestra. Alessandro Grandi a Bergamo…”; “la differenziazione vera e propria tra coro e orchestra la troviamo poi verso il 1660 a Bologna, nelle messe di Maurizio Cazzati”. Per Andrea e Giovanni Gabrieli “il concetto «coro» può significare gruppo vocale, strumentale o misto”: “evoluzione del modo antifonale e dell’alternatim tardo medievale, [...] il succedersi del canto plano con la polifonia o con esecuzioni strumentali, l’uso

dei cori battenti vide dapprima l’alternarsi in polifonia, da un coro all’altro, dei versetti delle salmodie”; spesso la composizione musicale a quattro voci alla dossologia conclusiva si sdoppiava, trasmutando la composizione ad otto voci e concludendo l’esecuzione con il cantare simultaneo delle due sezioni di un imponente climax. Questa prassi portò via via ad un maggiore distanziamento dei gruppi corali e alla costruzione di appositi spazi all’interno delle maggiori chiese2. “Il principio formale operante è quello di una relazione fra cori di uguale importanza…”, e la tecnica contrappuntistica passa da polifonia lineare ad una polifonia “per fasce sonore e colori”.

2. Riccardo Martìn, Appresso Angelo Gardano Il Gloria a 12 voci di Giovanni Gabrieli, Academia.edu 3. Questo scritto segue la recensione uscita su FarCoro n°2, 2021 del volume: Camillo Cortellini, Le Messe, edizione critica a cura di Cristian Gentilini e Pier Paolo Scattolin, Armellin Musica, Padova, 2020; per ulteriori approfondimenti sulla vita e opere di Camillo Cortellini vedi: Rossana Dalmonte, Camillo Cortellini Madrigalista Bolognese, Historiae Musicae Cultores, vol. 34, Firenze, L.S. Olschki, 1980; Rossana Dalmonte, Camillo Cortellini, voce in «Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti», Le Biografie, diretto da Alberto Basso, volume secondo, Le Biografie, UTET, Torino, 1985, pp. 333-334; Rossana Dalmonte e Pier Paolo Scattolin, Ai confini del barocco bolognese, in Camillo Cortellini, Le Messe, op. cit.; Tesi del biennio superiore specialistico di II livello, Conservatorio di Musica Giovan Battista Martini, Bologna: Patrizia Laura Ferioli, Missa Sancti Caroli di Camillo Cortellini, a.a. 2006-2007; Elia Orlando, La Trascrizione

1. Wolfgang Witzenmann, Otto tesi per la policoralità, in La Policoralità

de la Messa In Domino Confido del 1626 di Camillo Cortellini, 2012; Andrea

in Italia nei secoli XVI e XVII, Testi della Giornata internazionale di Studi,

Vitello, La Trascrizione de la Messa Primi Toni a 8 del 1609 di Camillo

Messina, 27 dicembre 1980, a cura di Giuseppe Donato, Edizione Torre

Cortellini, 2008; Nicola Russo, Camillo Cortellini, Missa Salvator Mundi

D’Orfeo, Roma, 1987, pag. 5.

(1617), 2007; Enrico Ruggeri, I Magnificat a sei voci di Camillo Cortellini, 2012

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Cortellini non è indenne da queste sollecitazioni culturali, spaziali e musicali3. San Petronio è la quarta chiesa più grande d’Italia e la più grande basilica gotica costruita a mattoni che, all’epoca, ambiva ad essere la più grande chiesa al mondo: inevitabile per Cortellini affrontare il rapporto tra spazio architettonico e percezione musicale4, con inevitabilmente scelte compositive specifiche. Quando Camillo entra nel 1577 (forse anche prima)5 nel Concerto Palatino della Signoria, la cappella musicale di San Petronio era già strutturata6. Nel 1593, quando entra come cantore nella Cappella petroniana, trova sulla cantoria in cornu Epistulae, sul lato destro del presbiterio, un organo capolavoro di Lorenzo di Giacomo da Prato, costruito tra il 1471 e il 1475, il più antico degli organi italiani. Tre anni dopo, nel 1596 viene costruito l’organo in cornu Evangelii, sul lato opposto, da Baldassarre Malamini7, su delibera della fabbriceria di San Petronio che lo fa «quod possint cum duobus organis fieri concertus et chori ac musica duplex et responsiva ac alternata»8. Del resto la Cappella Musicale ha in archivio opere che testimoniano una pratica corale e policorale di assoluto livello,

4. Per un confronto con altre grandi chiede e basiliche, vedi Laura Moretti, Musica Policorale e spazio architettonico, in Tesori della musica veneta del Cinquecento - La policoralità, Giovanni Matteo Asola e Giovanni Croce, catalogo della mostra a cura di Iain Fenlon e Antonio Lovato, Fondazione Ugo e Olga Levi, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, 2010. 5. Nel 1569 è citato “hanno concesso licentia a … Violino, musico di palazzo, di star absente per tutto il giorno di domenica proxima…”, in Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, in Historiae Musicae Cultores, vol. 44, Firenze, L.S.Olshki, 1987, p.162: sarà il nostro? Ma sicuramente sì, il 26 febbraio 1577 “in locum Gasparis Cortellini nuncupati il Viola musici et tubucinis palatini, attenta eius multorum annorum servitute, et etate jam senio confecta, elegerunt et surrogarunt ... Camillum eius filium non minus in ecercitio musice patre idoneum. (…)”, in Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op. cit., p. 170. 6. Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op. cit., p. 188: Cortellini, 31 maggio del 1587. 7. https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_di_San_Petronio 8. Paolo Da Col «Musica duplex et responsiva ac alternata». Produzione policorale e pratica del repertorio concertato nella Basilica di S. Petronio

Luigi Di Tullio Laureato in Discipline della Musica al D.A.M.S. di Bologna con uno studio su Bernardino Lupacchino dal Vasto, del quale ha curato, per conto del Coro Polifonico Histonium di cui è direttore artistico dal 1995, lo studio per la pubblicazione dell’Opera Omnia (Monumenti Musicali Abruzzesi, Opera Sacra di Bernardino Carnefresca detto il Lupacchino dal Vasto, Edizioni Suvini Zerboni, 2000, Milano) curandone nel 2011 l’incisione discografica, in collaborazione con undici cori italiani. Ha studiato con D. Gualtieri, G. Acciai, M. Boschini, Parkmann, H. Boch, M. Kolasca. Laureato, con lode e menzione, in Composizione Corale e Direzione di Coro al Conservatorio G.B. Martini di Bologna con P. P. Scattolin. Ha pubblicato diversi saggi, dal 2001 è direttore artistico della Rassegna Musicale “Bernardino Lupacchino dal Vasto”; nel 2011 è stato premiato a Vasto con l’Histonium d’Oro. È nel CDA della Scuola Civica Musicale di Vasto, nel Comitato di Redazione del MVSA, Musica d’Abruzzo, nella Commissione Artistica dell’Associazione Cori d’Abruzzo (A.R.C.A). Nel 2015 gli è stato conferito il premio regionale Padre Mario alla carriera, dedicato ai direttori di coro. Ha partecipato all’incisione dell’integrale delle Messe di Camillo Cortellini per Tactus, a cura del Coro Euridice di Bologna come direttore del Coro Polifonico Histonium con la “Missa Primi Toni” e come cantore con la “Missa Sexti Toni” con il Super Partes Vocal Ensemble diretto da Carmine Leonzi; con Super Partes ha inciso anche la “Missa De Beata Virgine” di Bernardino Lupacchino dal Vasto nel 2010. Dal 2017 collabora con il gruppo medioevale Stella Nova . Ha pubblicato con Domenico Di Virgilio “Nuovi canti della Terra d’Abruzzo”, Roma, SquiLibri Editore con due CD allegati, progetto che ha visto il coinvolgimento di molti compositori e cori italiani per una riscoperta immovativa del patrimonio etnomusicologico abbruzzese.

a Bologna tra Cinque e Seicento, https://www.fondazionelevi.it/wpcontent/uploads/2016/08/Abstract_maggio_2009.pdf 9. Oscar Mischiati, La cappella musicale di San Petronio, in Sesto Centenario di fondazione della Basilica di San Petronio 1390 – 1990, Nuova Alfa Editoriale, Bologna, http://www.bibliotecamusica.it/cmbm/ biblio/wm1990BO211.pdf

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compresi i Concerti di Andrea e Giovanni Gabrieli (1587)9. Bologna, entrata ufficialmente nel 1506 nello stato pontificio, offre una situazione culturale molto stimolante, fiera della propria storia laica e della sua università: lo Studium, libera associazione di studenti, è del 1088. Piuttosto “policentrica” con diversi punti di irraggiamento di cultura e musica (la Cappella di San Petronio, il Concerto Palatino, le chiese di San Pietro, San Francesco, Santa Maria dei Servi, San Domenico, l’oratorio dei Filippini e le accademie, dai Floridi ai Filomusi fino all’Accademia dei Filarmonici), dove cappelle stabili e istituzioni danno vita ad un ambiente molto vivo, colto, dinamico e dove frequenti sono gli scambi di musicisti e l’organizzazione di eventi10. Aperta all’esterno, Bologna vive forti contatti con i centri di tutta Italia, in equilibrio tra tradizione e innovazione, tra Giovanni Maria Artusi (1540-1613)11 e Adriano Banchieri (1568-1634), un quasi perfetto contemporaneo di Camillo12. La Cappella di San Petronio13 diventa una vera e propria fucina di esperienze e, come “luogo fisico”, diventa determinante per lo sviluppo della “poetica espressiva” di Cortellini14. Giovanni Spataro (maestro di cappella dal 1512 al 1540), Andrea Rota (1583-1596) Girolamo Giacobbi (16041629), Maurizio Cazzati (1657-1670), portano la cappella petroniana fra Cinque e Seicento a livelli “propulsivi” tali da proiettare le esperienze vissute all’esterno e ad influenzare la storia della musica, se si pensa a quello che significheranno poi Giacomo Antonio Perti, Giovanni

10. Piero Mioli, Mill’anni di musica sacra a Bologna, http://www.tomoquarto. it/notizie/argomenti/millanni-di-musica-sacra-bologna/ 11. L’Artusi, ovvero Delle imperfezioni della moderna musica, In Venetia,

Battista Vitali, Domenico Gabrielli, Giovanni Bononcini, Arcangelo Corelli, Giuseppe Torelli, Giuseppe Maria Jacchini, musicisti che hanno vissuto momenti in cappella dove suonavano e cantavano anche centocinquanta elementi fra solisti vocali, coristi e strumentisti15. La parabola di Camillo Cortellini si colloca proprio nel cuore di questo momento di intensa evoluzione da Rinascimento a Barocco. [...] Prolificano le famiglie di “musicisti (che) passano di corte in corte, di cappella in cappella (anche in città diverse), e spesso assommano contemporaneamente più incarichi, sia stabili che occasionali. (…Tutto) si accorda molto bene con i dati relativi a Camillo Cortellini.”16 Camillo entra per la prima volta come cantore nella Cappella di San Petronio nel 1582, direttore (all’epoca denominato Maestro di canto) Bartolomeo Spontoni, organista era Vincenzo Bertalotti, trombonista “Alfonso Ganassa”17 (sembra suo insegnante di canto, trombone e composizione, anche se molto acquisì direttamente dal padre Gaspare, che lo introdusse nel Concerto Palatino), cornettista Ascanio Cavallaro (alias Trombetti)18. È citato tra i 37 cantori, un numero considerevole, come Cortellini Camillo detto Violino: la cappella petroniana, dagli anni Venti del Cinquecento inizia progressivamente ad ampliare l’organico, fino a arrivare ad un organico con 50 titolari nel 1610, sotto la direzione di Girolamo Giacobbi, numero raggiunto solo un’altra volta nel 1655, direttore Alberto Bertelli.19 Probabilmente è maestro di cappella nella chiesa metropolitana di S. Pietro dal 1585 al 1589, e forse anche in S. Francesco20, e solo nel 1593 ritorna nella cappella petroniana come cantore, direttore Andrea Rota21, organista sempre Bertalotti. I cantori sono 35, tra cui anche Girolamo Giacobbi, futuro direttore,

Appresso Giacomo Vincenti, 1600. https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/ btv1b52502738h/f13.item 12. Giulia Peri, Camillo Cortellini, i Salmi a otto voci. Introduzione,

trascrizione e analisi, Conservatorio di Musica “Giovan Battista Martini”

16.

Bologna, Biennio sperimentale di II livello in Discipline Musicali Scuola

trascrizione e analisi, op. cit.

di Composizione corale e Direzione di coro, relatore Pier Paolo Scattolin,

17. O Ganassi, come lo ricorda Gaetano Gaspari, Atti e Memorie di storia

Sessione invernale Anno accademico 2012-2013.

patria per le provincie di Romagna. Bologna, 1875, serie II Vol. I, pag. 13 del

13. La cappella petroniana nasce ufficialmente nel 1436 e sarà attiva

Prof. Gaetano Gaspari. Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna; in

ininterrottamente fino al 1920. Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di

Patrizia Laura Ferioli, Missa Sancti Caroli di Camillo Cortellini, op. cit.

S. Petronio: maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op.

18. Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti,

cit., p. VII.

cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op. cit., p. 87.

14. “Risalente al 1436 la bolla del papa Eugenio IV nella quale si istituisce

19. Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti,

una schola cantorum regolata da un «maestro del canto» (…), la cui struttura

cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op. cit., p. 2.

originaria comprendeva solamente il maestro e un gruppo di cantori; dal

20. Elia Orlando, La Trascrizione de la Messa In Domino Confido del 1626 di

1449 (…) organista, mentre (…) altri strumentisti (…) 1560.” Giulia Peri, Camillo

Camillo Cortellini, op. cit.

Cortellini, i Salmi a otto voci. Introduzione, trascrizione e analisi, op. cit.

21. Su Andrea Rota (1553-1597) si veda Missa Resurrectio Christi, Tactus, TC551801

15. “Sotto le volte della Basilica videro la luce i primi esperimenti di

https://www.tactus.it/it/products-page/umanesimorinascimento/

‘concerto grosso’ e le prime pagine del repertorio per violoncello.”

tc551801-andrea-rota-missa-resurrectio-christi-cappella-musicale-di-

http://www.cappella-san-petronio.it/secoli-musica-in-s-petronio/

spetronio/

46 | STORIA

Giulia Peri, Camillo Cortellini, i Salmi a otto voci. Introduzione,


i tromboni sono diventati tre, ed arriva un violinista, Pellegrino Muzoli: un organico di assoluto rilievo, e si intuisce non solo in termini numerici22. Non deve stupire la numerosa presenza di strumenti nell’organico della Cappella: Bologna aveva il Concerto Palatino della Signoria che dalla sua fondazione (1250) prevedeva strumentisti al servizio della città23, come banditori strumenti a fiato - ma anche come musicisti per tutte le occasioni, con strumenti a corde e percussioni: questo ha spianato la strada ad una concezione strumentale che, ci sentiamo di dire, ha inevitabilmente influenzato la concezione del consort strumentale bolognese, aprendo a soluzioni innovative e inedite. Appena rientrato, nel 1595 scrive i Salmi a 6 voci24. Dopo i tre libri di madrigali del 1583, 1584 e 158625 Cortellini si rivolge quindi direttamente all’ambiente sacro in cui opera, pubblicando a Venezia da Angelo Vincenti questa raccolta, che si apre con il Magnificat, tutti con basso continuo. Non colpisce poi tanto, come prima pubblicazione, la scelta di un organico così ricco: l’operare in un ambiente come S. Petronio ha indubbiamente spinto la curiosità e la vena compositiva nella specifica direzione dell’amplificazione del suono, ricercando soluzioni di indubbia impronta “concertante”, dove il luogo fisico diventa propulsore di idee e di inventiva compositiva come organico, suono, ricerca timbrica. Interessantissime a proposito sono le osservazioni di Marc Vanscheeuwijck26, dal 1986 al 1992 violoncellista barocco nella “rinnovata” Cappella Musicale, che comprende come “le particolari caratteristiche sonore dell’edificio guidavano e stimolavano i compositori ad adattare il loro stile compositivo per ottenere il miglior risultato sonoro possibile”, come la presenza in San Petronio di due fenomeni acustici fondamentali, “il tempo di

riverbero insolitamente lungo (12 secondi di una struttura di 351.148 metri cubi)27 e la valorizzazione spontanea e perfino la generazione della Terza maggiore (pura) per effetto (durante il riverbero) dell’emissione di una nota (o la sua ottava) e la quinta”, e di come i costruttori di organi avessero capito dove posizionare i loro strumenti. “Le esigenze liturgiche successive al Concilio Vaticano II hanno purtroppo completamente ignorato cinquecento anni di esperienza sonora portando strumenti (non solo organi) vicino all’altare, di solito nel luogo acustico peggiore della chiesa [...], rendendo così indispensabile l’amplificazione. [...] possiamo dire che i compositori hanno sviluppato il loro stile, tecnica compositiva e idee musicali in funzione di un dato spazio e caratteristiche acustiche.” 28 “Nonostante il tempo di riverbero di dodici secondi nella chiesa, l’acustica all’interno della Cappella Maggiore dietro l’altare consente in realtà un’eccezionale chiarezza della musica. Chi si trovava nel coro, che contiene 145 stalli del coro, dove erano seduti il clero e le autorità civiche, si trovava in mezzo tra i due organi, e cantanti e strumentisti proiettavano il loro suono dall’alto sul seminterrato, piattaforma circolare dietro le balaustre a ferro di cavallo (quando si faceva Cappella). In questo modo gli Anziani e il clero ricevevano una combinazione di onde sonore, proiettate direttamente e riflesse contro la volta e contro le pareti lignee del coro: elementi altamente ornamentali, bassorilievi, nicchie, colonne e sculture che avevano la stessa funzione assorbente di un antico teatro romano.” Nella navata centrale, e anche nelle navate

27. “Il tempo di riverbero è il tempo necessario affinché l’energia di un’onda sonora, dopo che il segnale acustico abbia cessato di essere emesso, si riduca a un milionesimo (-60dB) della sua energia originale. I parametri che influenzano questa perdita di energia sono il volume dello spazio, la superficie totale di pareti e oggetti che possono riflettere le onde sonore, e

22. Le “sonate con trombe” dei maestri bolognesi sono da molti considerati

il coefficiente medio di assorbimento dei materiali presenti nella stanza. Per

il vero e proprio inizio del concerto grosso. Osvaldo Gambassi, La cappella

il caso particolare di San Petronio conosciamo solo il volume dell’edificio

musicale di S. Petronio: maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al

(351.148 metri cubi) e il tempo medio di riverbero, che è di circa dodici

1920, op. cit., p. 12.

secondi.”

23. Osvaldo Gambassi, Il Concerto Palatino della Signoria di Bologna, Cinque

28. “Non si trovano opinioni né osservazioni specifiche sull’acustica di

secoli di vita musicale a corte (1250-1797), Historiae Musicae Cultores,

San Petronio, eccetto per l’unica menzione indiretta della risonanza nella

Biblioteca, vol. 55, Firenze, L.S.Olshki, 1988, p. 3 e seguenti.

basilica negli Ordini del 1658, nella sezione che vieta ai cantori di lasciare la

24. Salmi a 6 voci, Vincenti, Venezia, 1595, ristampa 1609, 1618.

Cappella prima che il suono della musica fosse completamente decaduto.”

25. 1583, Primo Libro de’ Madrigali a 5 e 6 voci, Ferrara, Baldini, (incompleto);

Osvaldo Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio: maestri, organisti,

1586, Terzo Libro de’ Madrigali a 5 voci, Ferrara, Baldini.

cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, op. cit., p. 360-361.

26. Marc Vanscheeuwijck, Osservazioni empiriche sui fenomeni acustici

29. Marc Vanscheeuwijck, Osservazioni empiriche sui fenomeni acustici a

a San Petronio, in La cappella musicale di San Petronio a Bologna prima

San Petronio, in La cappella musicale di San Petronio a Bologna prima di

di Giovanni Paolo Colonna (1674-95), Institut Historique Belge de Rome,

Giovanni Paolo Colonna (1674-95), op. cit. Durante i concerti per la festa

Etude d’histoire de l’art, VII, 2003, Roma. Ringrazio Romano Vettori per la

di San Petronio nel 1986, con una presenza in chiesa tra le 6.000 e le 9.000

segnalazione.

persone, il riverbero si attestava comunque intorno ai 9,6 secondi.

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dietro le pareti del coro, questo effetto assorbente non è più udibile, e i drappeggi usati per le festività e ricorrenze non abbattono più di tanto il riverbero29. “Un altro fenomeno è che nel riverbero di una triade maggiore l’ultima nota a decadere è sempre la terza maggiore, che appare come il suono più forte dell’accordo, già dopo il terzo secondo inizia a dominare. Esperimenti con accordi di quinta aperta hanno fornito l’effetto sorprendente che una terza maggiore non generata si verificava comunque e poteva essere chiaramente ascoltata, sebbene mai in modo eccessivo. È quindi sufficiente suonare un’intonazione, la sua quinta superiore e la sua ottava su uno degli organi per ascoltare anche la terza maggiore.” “D’altra parte, in una triade minore finale, la Terza minore generata inizia ad entrare in dissonanza con la Terza maggiore indotta dall’acustica. Nella musica bolognese, infatti, non troviamo mai tre modalità di utilizzo dei cookie. Ulteriori informazioni 1 Cortellini Copertina.pdf una Terza minore in un accordo finale forte [...].”30

Edizione critica a cura di Cristian Gentilini e Pier Paolo Scattolin

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30. “Questa occorrenza Registrati Accedi della Terza maggiore senza averla effettivamente prodotta può essere spiegata solo dal fenomeno della risonanza, in cui si creano onde stazionarie come risultato della corrispondenza tra la lunghezza d’onda di una data altezza e le dimensioni dello spazio.” Interessante,

La suggestione del luogo ci ha portati sicuramente su spunti di riflessione insoliti e apparentemente lontani da un saggio su un autore, ma ciò può legittimare un tentativo diverso di analisi e di approccio alla musica: Camillo Cortellini, Le Messe, edizione critica a cura di Cristian Gentilini e Pier Paolo Scattolin, Armellin Musica, Padova, 2020 può essere un punto di partenza. Quest’opera ci offre indubbiamente tutti i mezzi necessari per un approccio globale all’opera di Cortellini, soprattutto a livello metodologico. Curato nei minimi dettagli da Gentilini e Scattolin ed inserito nelle collane En Clara Vox di Armellin Musica e Scintille Solidali, il volume ha un apparato critico e storico esemplare: raccoglie il lavoro storiografico di Rossana Dalmonte su Cortellini che si integra con il lavoro di tesi discusse nel Corso di “Composizione Corale e Direzione di Coro” del Conservatorio di Musica “Giovan Battista Martini” Accedi Registrati di Bologna dal 2005 in poi. Il volume si aggancia idealmente al lavoro discografico sulle Messe di ECV 191 Cortellini Cortellini edite da Tactus nel 2017, presentando una Copertina.pdf edizione su carta di opere già eseguite e incise in tempi Dettagli moderni da cori di tutta Italia, su progetto di un coro Dimensioni 1,31 MB capofila, il Coro Euridice di Bologna, che nel 2020 Visualizza tutti i dettagli festeggiava lo straordinario traguardo dei 140 anni di vita. Il superamento quindi del concetto di musica antica d’archivio in attesa di riscoperta, e proponendo un modello di musica viva inserita in un contesto linguistico nel quale la retorica riconquista il proprio posto nella costruzione estetica delle composizioni dei brani, illuminando così la musica e il testo e saldando Cortellini al suo tempo, emancipandolo quindi dalla figura di “semplice” autore tardo rinascimentale. Termini come exclamàtio, anàbasi e catàbasi, pleonàsmo, circulàtio, noèma, pallilogìa, suspiràtio ed altri illuminano la lettura e l’analisi di un linguaggio solo apparentemente lontano, offrendoci basi solide su cui poggiare la lettura della Messa concertata e della polivocalità, forme di lì a poco raggiungeranno, in San Petronio, vette di livello assoluto.”31 Alcuni passaggi tratti dal volume esemplificano questi concetti: “… doppio abbellimento a coppia che si trova nella Messa Sancti Caroli (1617), Gloria, Cantus I e Altus I, b.59-60. Nello stesso passaggio si nota anche l’anafora nella parte di A1, b.60 rinforzata col raddoppio della parte del Tenor I. Gli abbellimenti discendenti (diminuzione corrispondente al valore della minima - come nella parte di T1) e l’anafora nella battuta successiva danno molta ariosità all’espressione testuale e ne sottolineano l’importanza.

continua in Marc Vanscheeuwijck, Osservazioni empiriche sui fenomeni

acustici a San Petronio, in La cappella musicale di San Petronio a Bologna

31. Luigi Di Tullio, Alla riscoperta di Camillo Cortellini, https://www.farcoro.

prima di Giovanni Paolo Colonna (1674-95), op. cit.

it/2021/07/10/alla-riscoperta-di-camillo-cortellini/

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Fig. 1 - Cum Sancto Spiritu

La figura del noema (fig. 1) è molto usata per mettere in risalto alcune parole come quelle che si riferiscono alla Trinità: Iesu Christe nella Messa Sancti Caroli, Gloria, Coro I (CATB), b. 27-28; Iesum Christum nella stessa messa, Credo, Coro I (CATB), b. 6-8. Anabasi e catabasi sono artifici retorici che Cortellini usa per dare discontinuità improvvisa - e quindi per tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore - in una sequenza di declamazione del testo come in quest’esempio tratto dalla Messa Sancti Caroli, Credo, Coro II (CATB), b.22 sulla parola “descendit [de coelis]” e “Spiritu Sancto”, Cantus II, b. 29-31, tópos nel repertorio rinascimentale e barocco, ma con qualche spunto di originalità: un tema di tre note discendenti per terze dispiegato sulla parola “descendit” caratterizza la catabasi in Beatae Virginis Mariae, Credo, b. 2224. Un processo modulatorio al servizio di una ricercata caratterizzazione espressiva è nella Messa Sancti Caroli, Credo, b. 34-37 collocata tra la fine della frase “ex Maria virgine” e quella successiva “Et homo factus est” per sottolineare il cambiamento della natura divina che assume quella umana.”Le Messe sono disseminate dalla figura del circulus che si presenta in maniera pluriforme:

Fig. 2 - Salvum me fac, Kyrie, Tenor I, b. 10-13

Lo stile di Cortellini orientato verso la pratica strumentale come procedimento espressivo fondamentale, che crea sviluppi e potenziano la tecnica vocale, aiuta a delineare e definire una collocazione autonoma rispetto alle scuole veneziana e romana. La figura dell’accumulo chiamato congeries per la ricca articolazione delle strutture armoniche e delle dissonanze incide fortemente la maniera di adattare alcuni passaggi, “commuovere” l’animo dell’ascoltatore e divertirlo con continui cambi di atmosfera. Nelle intitolazioni si assiste alla trasformazione della denominazione delle singole Messe individuate nella prima raccolta, che vanno dai toni ecclesiastici a quelli di nomi propri nella seconda e terza raccolta. Sembra di cogliere un significativo passaggio alla nuova concezione tonale che ormai mette definitivamente da parte, per alcune forme liturgiche come la Messa, la classificazione derivante dai modi ecclesiastici. Cortellini sembra in genere prestare una grande attenzione e cura all’estetica del Figurenlehre. L’evidenza di questa propensione si evince in tutto il suo stile compositivo e in particolare dalle formule cadenzali: soprattutto nelle chiuse con la parola “Amen” del Gloria e del Credo si trovano esempi molto ampi e dettagliati, formalmente ispirate alle figure di congeries e pleonasmo, che si inseriscono nell’estetica del “delectare” e meravigliano l’ascoltatore o il partecipante alla liturgia.”

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Rimandando al volume per ulteriori aspetti particolari, riportiamo alcuni avvenimenti salienti della vita di Cortellini e della Cappella Musicale. 1583, Primo Libro de’ Madrigali a 5 e 6 voci, Ferrara, Baldini, (incompleto); 1586, Terzo Libro de’ Madrigali a 5 voci, Ferrara, Baldini; 1595, Salmi a 6 voi, Vincenti, Venezia, ristampa 1609, 1618; 1598, licenziamento in tronco di tutti i musici del Concerto Palatino; 1600, Cortellini trombonista in San Petronio; 1604, Girolamo Giacobbi, puer della scuola istituita in S. Petronio fin dalla fondazione, nell’organico a 17 anni, vice maestro a 28, titolare a 37, rimane fino alla morte, avvenuta il 28 dicembre 1628 32; 1606, “il 29 di giugno Camillo Cortellini detto il Violino, … presentò loro una sua opera a stampa di musica”, gradirono il dono…. 33: probabilmente si tratta de Salmi a 8 voci e organo per i Vespri di tutto l’anno, Venezia, Vincenti, 1606; 1607, 8 Magnificat a 6 voci, Venezia, Vincenti, 1607, ristampa 1621; 1609, Messe a 4, 5, 6 e 8 voci e organo sui toni ecclesiastici, Venezia,

32. Osvaldo Gambassi, La scuola dei pueri cantores in S. Petronio (1436-1880 ca), in Note d’Archivio per la storia musicale, nuova serie, Anno III, 1985, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 1985, p. 10.

Vincenti, ristampe 1617, 1619; 1610, presenti in Cappella 7 tromboni, 2 cornetti e 1 violino; 1611 decano dei Musici della Signoria e maestro di cappella nella chiesa della Compagnia di Santa Maria della Morte; 1615, Laetanie della Beata Vergine a 5, 6, 7 e 8 voci, Venezia, Vincenti, 1615; 1617, Messe concertate a 8 voci, Venezia, Vincenti; 1622 o 1626: ingresso nell’Accademia dei Filomusi il cui principe era Adriano Banchieri e annoverava tra i suoi componenti anche accademici stranieri come Claudio Monteverdi; 1626, Messe concertate a 8 voci, Venezia, Vincenti; 1627, Azioni rappresentate in musica per la Festa della Porchetta di Bologna, Piazza Maggiore, Bologna, 24 Agosto del 1627 (soltanto il libretto). Camillo Cortellini, nato il 24 gennaio del 1561, muore il 4 febbraio 163034, a sessantanove anni, lasciando un’eredità musicale ancora da scoprire nella sua interezza, ma che, grazie al lavoro di Dalmonte, Scattolin, Gentilini e di diversi altri studiosi, direttori e cori sta tornando alla luce. Approfittiamo di queste grandi occasioni che le ricerche musicologiche, musicali e corali ci offrono per permettere alla nostra curiosità di approfondire, riscoprire e magari contribuire, continuando così il faticoso lavoro di trascrizione su Cortellini35, ad illuminare ancor di più Bologna al confine del Barocco36.

33. Osvaldo Gambassi, Il Concerto Palatino della Signoria di Bologna, Cinque secoli di vita musicale a corte (1250-1797), op. cit., p. 205. 34. Osvaldo Gambassi, Il Concerto Palatino della Signoria di Bologna, Cinque secoli di vita musicale a corte (1250-1797), op. cit., p. 215. 35. Edizioni moderne: Terzo libro dei madrigali a 5 voci (1586) in Rossana Dalmonte, Camillo Cortellini Madrigalista Bolognese, Firenze, Olschki, 1980, pp. 59-194; Letanie della Beata Vergine a 5, 6, 7, 8 voci e organo (1615) a cura di Pier Paolo Scattolin in Quaderni della rivista Farcoro, II, Bologna, AERCO, 2005; Missa I Toni 8 vocum dalle Messe a 4, 5, 6 e 8 voci e organo sui toni

ecclesiastici (1609) a cura di Andrea Vitello, www.flauto-dolce.it, 2008.

36. Per il periodo musicale a Bologna dopo Cortellini, interessantissimi

Discografia: Camillo Cortellini, Letanie della Beata Vergine a cinque voci,

i lavori di Anne Schnoebelen sulla messa concertata bolognese: La

Coro Euridice, Bologna, Pier Paolo Scattolin, in Per non dimenticare, EURI

Messa concertata in San Petronio a Bologna ca. 1660-1730: Uno studio

99606.3, DDD, 2002; Camillo Cortellini, Terzo Libro de’ madrigali a cinque

documentario e analitico, tesi di laurea, Università dell’Illinois, 1966;

voci, Coro da Camera di Bologna, Pier Paolo Scattolin, Tactus 2009, TC56030;

Giovanni Paolo Colonna, Messa a nove voci concertata con stromenti,

Camillo Cortellini, Breve ma veridica storia della Madonna di San Luca,

Recent Researches in Music of the Baroque Era, 17. Madison: AR Editions,

testi, raccolta notizie e materiale iconografico: Carlo Degli Esposti; voce

1975; Cantate di Maurizio Cazzati c. 1620-1677. Selezionato e introdotto da

narrante: Maria Grazia Lorenzo; accompagnamento musicale: Litanie della

Anne Schnoebelen. La Cantata Italiana nel Seicento, 8. New York: Garland

Beata Vergine di Camillo Cortellini eseguite dal coro Euridice diretto dal

Publishing, 1985; Le messe bolognesi di Carlo Donato Cossoni, in Carlo

maestro Pier Paolo Scattolin; coordinamento: Anna Busacchi; produzione:

Donato Cossoni nella Milano spagnola, D. Daolmi, ed. Lucca, LIM 2007,

Associazione culturale girovagando, Roma, Cines; Bologna, Paolo Emilio

pp. 211-243; Bologna, 1580-1700, in Il primo barocco, C. Price, ed. Musica e

Persiani, 2011. DVD; Camillo Cortellini, Le Messe, Edizione integrale, Tactus

società, vol. 3. Londra: Macmillan, 1993; articoli (34) su compositori ed editori

2017, TC560380, Coro Polifonico Histonium “B. Lupacchino dal Vasto”, Super

musicali bolognesi in The New Grove Dictionary of Music and Musicians,

Partes Vocal Ensemble, Coro da Camera di Bologna, Coro da Camera Eclectica

Londra, Macmillan Press, 1980; revisioni nella 2a edizione (2001) e The New

di Bologna, Coro Città di Roma, Vocalia Consort, Studium Canticum, Coro

Grove Dictionary of Music Online; Pratiche esecutive a San Petronio nel

da Camera Euridice, Color Temporis, Cappella musicale arcivescovile della

Barocco, Acta Musicologica 41/1-2 (1969): 37-55; oltre ovviamente a tutto il

Basilica di San Petronio, Coro Polifonico Sant’Antonio Abate di Cordenons.

lavoro della Schnoebelen su Padre Giovan Battista Martini.

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Musica dell’anima

Eunoè - Paradiso Terrestre Riflessioni sulla scrittura e l’esecuzione di un nuovo oratorio a partire dai versi del Purgatorio dantesco

Nani sulle spalle dei giganti DI FRANCESCO DI GIORGIO

L’idea di Eunoè è nata per un concorso di casualità. La prima, che tutti hanno sotto gli occhi, è la celebrazione del settecentenario della morte di Dante Alighieri. Silvia Biasini, il direttore del Coro Ecce Novum, aveva avanzato l’idea di “fare qualcosa su Dante”. E io avevo da subito pensato che non ero a conoscenza di grandi opere che mettessero in musica le terzine della Commedia: c’è già troppa musica, troppo ritmo, troppa intensità, per poter aggiungere qualcosa cantandole. Forse musicarle è un rischio simile a quello che corre il regista che decide di trasporre sullo schermo Thomas Mann o Dostoevskij (anche se qualcuno ci è pure riuscito, e con entrambi) ... Ma il bello è che quel rischio, per l’occasione, lo dovevamo correre noi, non eseguendo una qualche opera su Dante, ma pensandone e scrivendone una nuova di zecca. Parlavo di casualità: le altre che hanno reso perlomeno possibile pensare a un lavoro tanto ambizioso erano tutte all’interno del Coro Ecce Novum. Innanzitutto, tra i tenori c’ero io, che ho passato qualche anno nelle scuole a leggere e spiegare le parole di Dante ai cosiddetti teenager - oltre a essere un appassionato da lunga data. Ma soprattutto era entrato da poco nel coro Stefano, un basso che viene da Trento e studiava composizione al conservatorio di Cesena (ora è al G. Verdi di Milano). Una persona che conoscesse le parole e una che conoscesse le note: Silvia non ha avuto dubbi. In più c’era il coro stesso, carico di entusiasmo e orgoglio dantesco - soprattutto i coristi ravennati! - alla sola idea di cantare quei famosi endecasillabi. Fin da subito l’idea è stata quella di “Dante ma non

52 | MUSICA DELL’ANIMA

solo”, forse anche per scansare almeno in parte i rischi di cui parlavo prima, derivanti da un confronto frontale. Volevamo riallacciare Dante con altri autori e altri tempi, più vicini a noi. La prima cosa che abbiamo definito è stato un momento particolare della Divina Commedia: l’arrivo di Dante nel Paradiso Terrestre, che si trova sulla cima del Purgatorio, quindi nei canti finali della seconda cantica. È un momento ricco di avvenimenti, dialoghi, ricordi. Virgilio svanisce e compare Beatrice (ricordo che è uno spirito, e Dante, che invece è vivo e vegeto, non la vede da dieci anni) che dovrà preparare il poeta a salire al Paradiso, compiendo una sorta di rito di passaggio. In questi canti c’è tanto altro: grifoni, alberi squarciati da aquile in caduta libera, vecchietti con la barba candida, un gigante e una puttana (parole di Dante, beninteso). È una grande processione allegorica che delinea la storia e il futuro della Chiesa. Mi sembrava decisamente troppo, quindi ho deciso di concentrarmi solo sulla storia personale di Dante e su tre personaggi: Dante, Virgilio, Beatrice. In questo modo, come se stessi lavorando a una riduzione teatrale, ho privilegiato i tanti versi in cui i personaggi dialogano; ho ridotto e tagliato le descrizioni che Dante fa dall’esterno. La “trama” e le parole, così, sono prese tutte dal sacco di Dante. Su questa struttura si sono poi innestate altre voci, antiche e moderne: le parole di Dante richiamavano altre parole. Talvolta il richiamo era ovvio, perché Dante stesso parla dei canti degli angeli e ne scrive le parole in latino, che derivano spesso dai Salmi, o dalla Liturgia. Le parole sono solo accennate però, perché i lettori medievali potevano più facilmente di noi ricordarsi delle parole seguenti e immaginarsi un canto sacro, come quelli che si sentivano nelle chiese. In questo caso ho semplicemente ricostruito il testo a partire dalla Vulgata (la Bibbia in latino), immaginando che quegli angeli erano già un coro.


Altre volte invece i richiami erano più personali e più stridenti: Dante rievocava parole di libri che andavo leggendo in quel periodo, perlopiù romanzi, ma anche alcuni versi di poeti più vicini a noi che resistevano nella mia memoria. Mi sono venute in mente le parole di Philip Roth che parla di un’ossessione erotica di cui non ci si può liberare; mi è venuto in mente Jake che guarda il viso di Brett, di notte, in un taxi, in un romanzo di Hemingway. Esempi contemporanei di amori che sono tanto grandi da atterrire, come Beatrice atterrisce Dante con domande sul suo passato, sui suoi peccati. Prima di poter salire al Paradiso Dante deve immergersi in due fiumi, il Letè e l’Eunoè, che cancellano il dolore dei peccati commessi e ravvivano la memoria del bene fatto. Questo valore sacro e magico dell’acqua mi ha invece richiamato altre acque, come quelle minacciose nei romanzi di Conrad; e anche la siccità sterile della Terra desolata di T.S. Eliot (If there were water...). Così spesso le parole del Novecento dicevano cose che si opponevano a quelle di Dante: non c’è acqua, allora la vita non può rinascere. Anche per questo abbiamo deciso di usare più lingue, in modo da creare un attrito tra diverse sonorità e diversi mondi: il latino, l’italiano del Trecento, l’italiano contemporaneo, l’inglese. Infine, le parole di Dante richiamavano altre parole di Dante: solo pensando alla parola “amor” si riaccendono i ricordi di passi dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso: l’amore tragico di Paolo e Francesca, l’antico amor per Beatrice, e l’amor che move il sole e l’altre stelle che chiude il poema... Tutto questo materiale è entrato in relazione con il testo dantesco di partenza in modi diversi. Ci sono interi passi di altre opere che sospendono gli avvenimenti del Paradiso Terrestre; reminiscenze che si nascondono tra le parole di Dante, come quelle bibliche di cui ho parlato, o quelle virgiliane. Infine, nei passi emotivamente più intensi, quelli che ci sembravano cruciali, tutte le parole, le lingue, gli scrittori, si sono per così dire mescolati formando delle nuove

poesie, fatte di schegge e frammenti di altre poesie. Sono anche i passaggi dove Stefano Dalfovo ha deciso di non musicare le parole ma creare una musica per accompagnare le parole, che devono risuonare semplicemente come se fossero lette - o urlate - da tre “voci”. Uso questo termine perché difficilmente coloro che l e g go n o po trebbero essere definiti attori: non interpretano un personaggio definito e non è importante vedere il loro corpo. Effettivamente durante le prime e s e c u z i o n i non tutti hanno capito chi fosse a parlare, sebbene nessuna delle voci fossa nascosta. Mi piace pensare che l’ascoltatore possa così trovarsi in una situazione simile a quella di Dante, pellegrino dei tre mondi, che si trova costretto a chiedere a Virgilio: maestro, che è quel ch’i’ odo? E tante volte quei suoni sono voci senza faccia: estranee, misteriose, non identificabili.

Musicare il Purgatorio, musicare Dante DI STEFANO DALFOVO

Quando ci si prepara a scalare una montagna, la prima cosa da fare è assicurarsi che la propria esperienza, conoscenza e bagaglio tecnico siano all’altezza dell’itinerario scelto; così avviene per la scrittura di un brano musicale. Tuttavia, la montagna da scalare che è stata la sfida di musicare Dante ha presentato in primo luogo il rischio di apparire un’operazione pretenziosa, prima che ambiziosa: per la durata del progetto (un’ora intera di musica), per la giovane età degli autori, e soprattutto per l’inevitabile confronto con l’importanza e grandezza del Sommo Poeta. Quando mi è stato proposto di realizzare un intero oratorio su testi prevalentemente danteschi, una delle mie prime preoccupazioni è stata quindi di escogitare | 53 EUNOÈ - PARADISO TERRESTRE


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una serie di espedienti atti sia a farmi piccolo di fronte al testo che andavo musicando, sia a rendere l’itinerario adatto alla mia esperienza e preparazione. La prima linea guida fondamentale che ho scelto è stata quella di lasciare alle parole di Dante la maggiore intelligibilità possibile, e accompagnarle con una musica massimamente semplice e sillabica, che non aggiungesse nulla di più del necessario per lo svolgimento complessivo dell’oratorio: una linea di gregoriano guida fin dal principio il trattamento dei versi danteschi, prima completamente sola, poi accompagnata omoritmicamente da uno, due, poi tre e più strumenti, ognuno “cantante” la propria melodia ma tutti con la medesima prosodia. La sovrapposizione verticale è subordinata all’orizzontalità delle linee, dando origine a più o meno pungenti dissonanze, vero motore della musica. In questo quadro generale, che cerca di sottolineare il testo dantesco, come pietre incastonate lungo il percorso si collocano i vari momenti musicali legati ai testi di altri autori, altre epoche, altre lingue. Qui si trova la massima libertà compositiva e il mio personale divertimento nell’evocare richiami da generi quali il postrock, la musica minimal, l’ambient, pur nel tentativo di mantenere sempre una coerenza e continuità generale. Alcuni brani sono come incessanti processioni delle anime in Purgatorio (In te Domine), altri si presentano come vere e proprie canzoni dalla vena malinconica (I saw her face) o brillante e onomatopeica (If there were water); non mancano momenti più strumentali e – nella mia idea – avvolgenti, in cui singole parole risuonano assieme agli strumenti come lontane evocazioni. Questo procedimento generale con il fil rouge

gregoriano e i brani “incastonati” mi ha consentito di creare un’alternanza tra ensemble, solisti e coro, in modo che – anche grazie alla strutturazione varia ed efficace del libretto – il rischio di perdere l’attenzione dell’ascoltatore in un’ora di musica fosse ridotto il possibile. Le voci narranti inoltre hanno dato inoltre un’ulteriore possibilità musicale e scenica, fondamentali corridoi tra una sezione e l’altra dell’oratorio ed evocativo commento alle parti strumentali più colorate – o più cupe. C’è poi l’aspetto linguistico, che per motivi di coerenza e di scrittura musicale ha determinato una distinzione nei vari gruppi: l’italiano dantesco, in particolare, è preso a carico quasi esclusivamente dai solisti, mentre l’italiano contemporaneo è affidato alle voci narranti. Il coro si occupa di mettere in musica i brani della letteratura inglese e diversi frammenti in latino; ognuno ha il suo ruolo, musicale e scenico. Dal punto di vista compositivo, i versi danteschi sono musicati in modo regolare, sillabico e omoritmico; i brani in inglese e in latino presentano maggiori complessità contrappuntistiche e una gestione della verticalità più tipica della musica corale contemporanea. Anche la scelta dell’organico strumentale è stata finalizzata alla massima varietà, non solo individualmente timbrica e coloristica ma anche nelle possibilità di formare degli “ensemble nell’ensemble”: su tutti, il trio d’archi e il trio d’ottoni. Oltre a questi due gruppi di strumenti e al clarinetto, completa l’organico una sola percussione: la marimba. Si tratta di uno strumento sempre più utilizzato e che ho fortemente voluto per la sua capacità di risuonare in modi diversi: questa sorta di enorme xilofono, che deve parte della

Coro Ecce Novum

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sua fama al grande compositore Steve Reich, può essere infatti suonato in modo non convenzionale facendo vibrare i suoi tasti con un archetto di contrabbasso, con risultati sorprendenti. La marimba è inoltre a suo modo annunciatrice dell’inizio di ognuno dei quattro quadri, con il gesto che apre l’oratorio. Complessivamente l’insieme degli esecutori si presenta quindi così: quattro solisti (soprano, contralto, tenore e basso), coro misto, otto strumentisti e tre voci narranti. Tuttavia, anticipato da un lungo svuotamento e da un lontano commiato del trio d’archi, il grande tutti finale è di fatto l’unico momento a cui partecipano gli esecutori al completo: voce di un Dante dimentico del peccato e finalmente purificato da Eunoè, puro e disposto a salire a le stelle.

La genesi di Eunoè DI SILVIA BIASINI

Era una calda serata estiva, al termine di una prova del Coro Ecce Novum, quando nacque l’idea di questo progetto estremamente ambizioso incentrato sulla figura di Dante. Al compositore Stefano Dalfovo affidai la parte musicale e a Francesco di Giorgio il lavoro di ricerca e stesura del testo. A lavori appena iniziati ci rendemmo conto che di lì a poco saremmo piombati in un secondo, ancor più silenzioso lockdown, e così anche i nostri stimoli verso l’obiettivo iniziarono a scemare. Stavamo perdendo, giorno dopo giorno, la sensazione di concretezza di quest’opera. Il lavoro di scrittura si fermò. Ma questa fase alquanto nebulosa per fortuna durò pochissimo. Appena il Ravenna Festival si interessò per mettere in scena la nostra idea nell’estate seguente, ecco che immediatamente tutte le sensazioni riaffiorarono. Nel giro di pochissimi mesi l’opera era pronta: un oratorio diviso in quattro quadri. Il Coro Ecce Novum è una formazione di circa 20 cantori provenienti da Cesena, Ravenna, Riccione e Faenza. In tempo di pandemia e di continui cambi di colore anche il comune diventa un confine insormontabile e gli spostamenti difficilissimi anche per quanto riguarda gli orari di rientro a casa. Dovevamo quindi attrezzarci per imparare questa partitura, totalmente nuova, online. Eravamo abituati al lavoro a distanza: durante la pandemia del 2020 avevamo organizzato tantissimi corsi utilizzando la piattaforma ZOOM, cercando di mantenere alto l’entusiasmo e di trovare un lato positivo a questa modalità, rinforzando le

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capacità individuali con lezioni di vocalità, teoria e percezione musicale. Ogni cantore, per lo studio di un brano nuovo, registrava la propria voce e la inviava al direttore per l’ascolto e la correzione. In questo modo si poteva aumentare la sicurezza del singolo all’interno del gruppo. Durante le poche prove concesse nell’estate 2020, si poté constatare la validità del metodo utilizzato: i brani nuovi erano perfettamente pronti, senza aver avuto modo di cantarli insieme. Per Eunoè ci organizzammo nello stesso modo: qualche lezione introduttiva di analisi del brano e poi si procedeva con lo studio individuale in attesa di poter ricominciare a fare le prove in presenza. La partitura piacque immediatamente ai cantori che fin da subito affrontarono lo studio con entusiasmo e dedizione. Generalmente, quando si impara un brano nuovo, per soddisfare tutte le curiosità del caso, si ricorre subito a YouTube per ascoltare le mille versioni proposte dalla rete. Ma ovviamente di questo lavoro inedito non c’era nulla, quindi per i cantori la curiosità di capire cos’era questo oratorio, come fossero i brani dei solisti, come suonasse questo ensemble di otto strumentisti e come venisse utilizzato, era tantissima. Oltre a questo interesse, c’era ovviamente il grande senso di responsabilità verso il compositore, un caro amico fino a quel momento corista nelle file dei bassi. Così, tra difficoltà e impegno, curiosità ed entusiasmo, è iniziato il cammino del coro Ecce Novum verso Eunoè. Il primo importante traguardo è stato raggiunto proprio con i concerti del 12 e 13 luglio presso la Basilica di San Francesco a Ravenna, che chiudevano la Rassegna Vespri danteschi del Ravenna Festival. Dal punto di vista direttoriale la partitura è molto interessante e le parti corali, estremamente cantabili, sono a 4 voci con talvolta dei divisi. Ogni quadro è introdotto da un incipit della marimba che ne scandisce la narrazione: il pubblico viene così guidato passo a passo in un affascinante intreccio sonoro fino al desiderato culmine finale, puro e disposto a salire a le stelle. Come ricordato sopra, l’oratorio ha un testo prevalentemente dantesco, ma con frequenti incursioni in altre lingue ed epoche; la scrittura di Stefano Dalfovo è funzionale al testo e assolve al delicato compito di far coesistere tante differenze fonetiche senza creare disequilibri, pur mantenendo una grande libertà compositiva.


WWW.COROGIOVANILEDELLEMILIAROMAGNA.IT

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Musica dell’anima

La Cappella Musicale della Cattedrale di Reggio Emilia Intervista al Direttore Primo Iotti

DI SILVIA PERUCCHETTI

Maestro, lei dirige la Cappella Musicale della Cattedrale di Reggio Emilia: qual è la storia di questa prestigiosa istituzione? A questa domanda rispondo con quanto pubblicato dal musicologo Sauro Rodolfi in Musica e musicisti nella cattedrale di Reggio nell’Emilia dal medioevo all’inizio del secolo XVII. “A causa della limitatezza e frammentarietà delle fonti storiche più antiche, è difficile, stabilire a che punto del medioevo entrarono in attività i mansionari della cattedrale di Reggio. Si può comunque attestare che nell’anno 1058 appare assodata la presenza di quattro presbiteri che salmodiavano soprattutto nei giorni feriali con il canto quotidiano del mattutino e della compieta. La compagine vocale dovette rivelarsi sempre più funzionale al canto e al culto tanto che nel 1188 il vescovo pro tempore la gratificò con l’assegnazione di alcuni benefici ecclesiastici. Dopo un vuoto documentale di due secoli, nel 1392 troviamo la Schola Cantorum in trattative col Capitolo dei canonici (dal quale essa dipendeva) per ottenere un miglior trattamento salariale. Nel 1532 una maggior prosperità delle casse capitolari determinò la fondazione di una vera e propria cappella musicale e la ridefinizione generale delle sue prestazioni. Ne scaturì tra l’altro un sostanziale aumento numerico dei sacerdoti cantori, da quattro a dieci unità; un ampliamento del repertorio (che spaziava dal genere monodico a quello polifonico) con quanto di meglio poteva offrire la musica sacra nel secolo XVI; un arricchimento dell’organico strumentale con una piccola dotazione di strumenti a fiato quali tromboni e cornetti (in aggiunta all’organo già presente in cattedrale prima della metà del XV secolo) ma anche violoni e viole. Man mano che prosegue lo

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scavo archivistico, il quadro dei maestri titolari diviene sempre più nitido e completo. Vi emergono, accanto a personaggi famosi o importanti (Marc’Antonio Ingegneri, Orazio Vecchi, Ludovico Grossi da Viadana), alcune glorie reggiane che la musicologia dovrà, prima o poi, valorizzare: Arcangelo Cattania, Girolamo Carli, Aurelio Signoretti e Domenico Valla, detto il Fattorino. Tra il XVIII e XIX secolo le contaminazioni provenienti dal teatro influenzarono in modo determinante la musica sacra: furono pian piano abbandonati i tradizionali repertori per dare spazio ad un linguaggio più vicino a quello operistico, i cui strumenti e organici erano cambiati ed ampliati. Per arginare o contrastare tale prassi furono redatti più documenti, sia ovviamente - dalle autorità religiose, sia anche da quelle civili. Tali documenti, tuttavia, vennero praticamente disattesi. Il vescovo Vincenzo Manicardi, insediatosi nel 1886, affidò a Guglielmo Mattioli (1857-1924), noto compositore, e a don Antonio Colli (1854-1927), Rettore del seminario e direttore della annessa Schola Cantorum, la restaurazione del canto sacro secondo gli orientamenti del movimento ceciliano (cosiddetto in onore di santa Cecilia, patrona della musica). I due collaboratori, ferventi ceciliani, si adoperarono per il recupero del canto gregoriano e della polifonia antica. Anche altri compositori, direttori e organisti che prestarono servizio nella cattedrale di Reggio Emilia si mossero in questa direzione e diedero un contributo significativo: Pietro Melloni (1871-1937), Aurelio Barbieri (1895-1978), Alfredo Mamoli (1901-1980), don Savino Bonicelli (1903-1983), don Guerrino Orlandini (1915-2006) e da ultimo don Luigi Guglielmi (1945-1996), il quale cercò di tradurre in un linguaggio corrente le indicazioni del Concilio Vaticano II.” Nel 2014 il vescovo S. E. Mons. Camisasca ha ridato vita a questa lunga tradizione musicale, pensando di istituire


un coro stabile per la cattedrale, ormai assente da diversi decenni. Grazie alla sua iniziativa è ripresa l’attività della Cappella Musicale.

D a c h i è c o m p o s t a attualmente la Cappella Musicale? Qual è la sua struttura? Attualmente la Cappella è formata da 12 cantori titolari a cui si aggiungono altre voci in base ad esigenze musicali e/o organizzative. Le prove si tengono ogni 15 giorni e i programmi delle celebrazioni vengono elaborati per tempo in modo da poterli studiare individualmente. Si tratta infatti di coristi semi professionisti i quali, oltre alla preparazione vocale e musicale, hanno una particolare vocazione al servizio liturgico. Inoltre, ciclicamente, vengono proposti degli incontri di aggiornamento di carattere liturgico musicale. Il progetto è condiviso in sinergia con il direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano e con il Cerimoniere Vescovile; oltre al sottoscritto, che ha la responsabilità della progettazione e direzione, vi è un lavoro di squadra per la preparazione degli spartiti, dell’aggiornamento del sito (https://cappellamusicaledellacattedrale.com) e per la revisione dei testi.

Come orienta la scelta del repertorio? Vi siete concentrati su di un compositore in particolare? La scelta del repertorio è prima di tutto calibrata sulle celebrazioni che il coro è chiamato ad animare; particolare attenzione è rivolta alla scelta dei testi che sono riportati dai libri liturgici. Naturalmente tutto nel rispetto delle norme dell’Istruzione Generale del Messale Romano. Il repertorio attinge dalla secolare tradizione della musica sacra sia attraverso il linguaggio del canto gregoriano sia attraverso la polifonia classica rinascimentale e moderna. Non mancano canti per il rito attinti dal repertorio nazionale, così come non mancano brani diocesani, che danno voce ai musicisti e compositori della nostra città. Nessun autore in particolare quindi; ma prima di tutto la scelta del repertorio in base al testo, al rapporto testo/ musica e alla pertinenza rituale.

Primo Iotti Primo Iotti si è diplomato in organo e composizione organistica, musica corale e direzione di coro presso il Conservatorio G. B. Martini di Bologna studiando con M. Filippi, C. Benati e P. Scattolin; ha inoltre conseguito, presso la CEI a Roma, il Perfezionamento Liturgico-Musicale. Dirige la Corale S. Francesco da Paola di Bagnolo in Piano (RE), il Coro Città di Cavriago e il coro da camera Sacri Concentus Cantores e fa parte fin dalla fondazione della Schola Gregoriana Benedetto XVI di Bologna. Ha all’attivo numerosi concerti sia come organista (tra cui sul prestigioso organo di A. Brucker a S. Florian), e come direttore: ha concertato e diretto la Via Crucis di Liszt, il Gloria di Vivaldi, la Kronungmesse di Mozart, la Messe des Pescheurs de Villerville di Faure, la Messa a Cappella di Monteverdi, la Missa Simplex di Gentilini, la Mass of the Children di Rutter, A Ceremony of Carols di Britten, l’Oratorio di Natale di Saint-Saens e il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi. Ha inciso per Tactus, Brilliant, Classicadalvivo. È docente di organo presso l’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Reggio Emilia e di pianoforte presso la scuola NonSoloNote di Bagnolo in Piano. Dal dicembre 2014 è direttore della Cappella Musicale della Cattedrale di Reggio Emilia.

Ha anche l’occasione di comporre per la Cappella Musicale? In ogni celebrazione compongo il canto interlezionale; in particolari riti che necessitano di una composizione dedicata, preparo quanto manca. Attualmente sto | 59 LA CAPPELLA MUSICALE DELLA CATTEDRALE DI REGGIO EMILIA | 47 RAFFAELE GIORDANI


completando la stesura di una messa il cui tema attinge dall’antifona gregoriana Assumpta est Maria in onore delle Vergine a cui è dedicata la chiesa cattedrale. Inoltre, è importate l’attività di ricerca e trascrizione soprattutto del Fondo Musicale del Seminario. Particolare attenzione è rivolta alla improvvisazione organistica, molto importante

quali Claudio Monteverdi, Giovanni Gabrieli e Wolfgang Amadeus Mozart e sono stati valorizzati i manoscritti nati per la Cattedrale, sia in canto gregoriano sia in polifonia. Tra questi don Aurelio Signoretti, di cui la Cappella Musicale ha eseguito, più volte la Missa Secunda dopo averla incisa. Poi Guglielmo Zuelli, Guglielmo Mattioli, Pietro Melloni,

nella attuale liturgia per sonorizzare momenti di ‘vuoto’ non prevedibili, preludiare, interludiare, alternare e postludiare alla monodia e alla polifonia.

Giuliano Giaroli, don Savino Bonicelli, don Guerrino Orlandini e don Luigi Guglielmi. Partecipando alla rassegna nazionale La lunga notte delle chiese ed in collaborazione con l’Ufficio Beni Ecclesiastici, abbiamo valorizzato alcune chiese del centro storico, chiese chiuse da tempo in cui la musica, l’arte e l’architettura hanno ridato vitalità e visibilità. Nel 2020, per ricordare i defunti che nel tempo della pandemia non hanno ricevuto le esequie, abbiamo registrato e diffuso sul canale YouTube Requiem e In paradisum di Maurice Duruflé; sempre nel 2020 abbiamo eseguito un programma dedicato alla Giornata del Creato realizzato nel Battistero di Reggio Emilia alternandoci con le riflessioni di un sacerdote astrofisico. Un altro progetto di cui siamo fieri sono le Meditatio ante Missam proposte prima delle celebrazioni di Quaresima, Pasqua e Pentecoste. Quindici minuti di musica attraverso i preludi, i corali e le arie di Johann Sebastian Bach. Progetto che ripeteremo senz’altro nel 2022.

Come si svolge la partecipazione della Cappella alla vita liturgica della Cattedrale? La presenza della Cappella nella vita liturgica della cattedrale è orientata in particolare alle solennità e ai ‘tempi forti’: Avvento, Natale, Quaresima, Settimana Santa, Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, Assunzione di Maria, oltre ai Santi Patroni (Prospero, Crisante e Daria). Nella fattispecie si tratta di celebrazioni eucaristiche e celebrazione dei vespri presiedute dal Vescovo o da un suo vicario. In alcune messe viene coinvolto un Quartetto di Ottoni, appositamente costituito, per solennizzare maggiormente le liturgie.

Desidera raccontarci un progetto o un evento in particolare che avete realizzato? In questi 7 anni di attività ogni celebrazione è stata un evento particolare ed unico. Solo in questo modo la liturgia è viva e non diviene ritualismo. Ma, oltre all’attività ordinaria, la Cappella ha proposto delle Elevazioni spirituali alcune delle quali in occasione dell’anniversario di ordinazione episcopale del Vescovo. In questi eventi sono stati eseguiti capolavori di grandi compositori,

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Il Personaggio

La scomparsa di Gianni Malatesta DI SILVIA VACCHI

Gianni Malatesta

Il 16 settembre si è spento Gianni Malatesta dopo una vita dedicata alla musica. Sono certa di non esagerare dicendo che, per la coralità di ispirazione popolare italiana, si tratta di un pezzo di storia che ci lascia. Nato nel 1926 a Badia Polesine in provincia di Padova, aveva respirato musica fin dalla prima infanzia grazie al padre, diplomato in violino, e alla madre,

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pianista dilettante. Le sue doti musicali si incanalano presto nell’attività corale grazie alla sua padronanza della tecnica vocale. Dal 1950 al 1957 è l’istruttore, modernamente diremmo “preparatore vocale”, del Coro CAI di Padova (allora diretto dal maestro Livio Bolzonella) in cui era entrato come corista. Dal 1958 in poi la sua vicenda è inestricabilmente legata a quella del Coro Tre Pini di Padova, da lui fondato nello stesso anno. Il gruppo padovano è stato per sessant’anni il luogo della sperimentazione e lo strumento privilegiato delle idee musicali del suo fondatore. La sua impronta ha segnato stabilmente anche la vicenda del Coro Monte Venda di Galzignano alla cui guida il maestro Malatesta è rimasto per trent’anni. La profonda conoscenza della voce maschile e la perfetta padronanza tecnica dello “strumento coro” sono stati il filo conduttore di tutta la sua lunga attività musicale. Il suo lavoro sembra tuttora dirci che tutto parte dalla voce. In questo senso non stupisce quanto egli ebbe varie volte occasione di affermare: il direttore di coro deve anche essere un buon cantante. I risultati di questa sua concezione della coralità si ritrovano nella qualità delle esecuzioni dal vivo caratterizzate dalla perfetta intonazione e da un suono curatissimo. Fu proprio in qualità di esperto di vocalità che il maestro Malatesta ebbe modo di collaborare con la nostra associazione (allora ancora chiamata A.E.R.C.I.P.) nei primi anni ‘70. I primi corsi di aggiornamento per maestri lo videro invitato più volte in qualità di docente. Come compositore ed elaboratore ha lasciato un repertorio vastissimo: circa 180 titoli che spaziano dai tradizionali veneti e trentini alla canzone italiana degli anni ‘50, dalla musica antica ai classici della canzone americana fino alle tante composizioni originali sacre e profane. Si tratta di brani che sono entrati nei programmi da concerto di moltissimi cori italiani sia a voci pari che


miste grazie anche alle trascrizioni p u b b l i c a t e dallo stesso maestro Malatesta nel volume del 2006 “Miscellanea corale”. Leggere, uno dopo l’altro, alcuni dei suoi titoli più noti come “Me compare Giacometo” “Aria sulla quarta corda” “Na volta gh’era” “Firenze sogna” “Blue moon” “Yesterday” “Summertime” e tanti altri ci può chiarire un’altra peculiarità del suo modo di far musica. Mi riferisco al suo essere “onnivoro” rispetto alla provenienza, all’epoca e anche allo stile del brano da elaborare. Dall’elenco dei suoi brani più eseguiti traspaiono le grandi fascinazioni musicali che sono alla base del suo stile compositivo: i canti tradizionali trentini veneti e friulani, Gershwin, Kern, Rodgers e la canzone americana e infine la musica classica che Malatesta ha sempre rielaborato per coro con libertà, senza alcun

t i m o r e reve re n z i a l e . Tra i tanti titoli da lui firmati mi piace ricordarne uno in particolare: la splendida elaborazione di “Bella ciao” che per anni il Coro Stelutis di Bologna, allora diretto da Giorgio Vacchi, ha eseguito come brano di chiusura dei propri concerti. Efficacissima e solenne al tempo stesso questa partitura si è diffusa tra i cori italiani anche nell’adattamento per coro misto.

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Notizie

Il Festival Corale Voci nei Chiostri DI SILVIA BIASINI

Cosa significa cantare nei chiostri? Che strutture sono e che origini hanno? Queste sono alcune delle domande che ci si può porre nel leggere il titolo del Festival Regionale Voci nei Chiostri. Il chiostro, dal latino claustrum, in origine indicava un luogo chiuso, recintato, di difficile accesso. In seguito prese il significato di un luogo abitato da religiosi, ma per arrivare all’idea di uno spazio libero che potesse collegare le varie parti del monastero e facilitarne il passaggio, dovremo aspettare una spontanea evoluzione del termine.

Nel 567 il Concilio di Tours prescrisse che i monasteri possedessero un locale che potesse ospitare quei monaci che volessero dedicarsi alla lettura; questo locale sarà poi il chiostro. Isidoro di Siviglia nomina, tra le altre parti che deve avere un monastero, un portico per il quale i religiosi possano recarsi al giardino. Anche il famoso monastero di San Gallo presenta un chiostro attiguo alla chiesa. Il chiostro quindi trovò la sua origine in una necessità pratica, specialmente in Occidente dove la vita in comune prevale sull’isolamento individuale. Le varie parti dell’edificio monastico non possono esser troppo lontane tra loro, per consentire facilmente lo spostamento dei monaci da un luogo all’altro. Il chiostro è

Coro Giovanile Italiano a Salsomaggiore

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Coro Giovanile Italiano a Salsomaggiore

quindi un cortile attorno a cui si dispongono tutti gli altri elementi costituenti l’abbazia. Tutti gli edifici monastici si articolano intorno al chiostro che rappresenta la centralità dell’edificio sia in senso architettonico, sia per il grande valore che ha questo spazio nella vita monastica. Un cortile, quindi provveduto di portici per riparare i monaci dalle intemperie e di un pozzo o di una fontana per le necessarie abluzioni. Nella storia dell’arte il chiostro ha dato luogo a capolavori architettonici. Il chiostro è caratterizzato da uno spazio a cielo aperto, generalmente quadrato o rettangolare. Si possono trovare chiostri di tipologie molto diverse, con variate disposizioni di aperture e di sostegni, con serie di colonnine, continue

Chiostro dell’Abbazia di S. Colombano - Bobbio (PC)

o interrotte da pilastri, a un sol ordine o a due ordini con la pianta quadrilatera variata dall’edicola per la fontana. Per quanto concerne i dipinti, furono nudi o scarsamente adorni, oppure riccamente policromi e anche ornati di pitture e sculture. Il Festival inizialmente nato nella provincia di Rimini da un’idea del direttore artistico Andrea Angelini, è stato esteso a tutta la regione nel 2016. L’obiettivo è sempre stato quello di mettere in relazione compagini corali di varia natura, estrazione e provenienza geografica che portassero, tramite la loro identità sonora, una rappresentanza di tutto il territorio regionale. L’iniziativa riscosse da subito un buon successo tanto che nella prima edizione estesa parteciparono 45 cori provenienti dalle province di Parma, Piacenza, Ravenna, Rimini, Bologna, Modena, Reggio Emilia per un totale di 27 concerti. Negli anni seguenti si è registrata una media di circa 40 concerti all’anno con l’intervento sempre più numeroso dei cori: l’edizione 2019 ha visto la partecipazione di 74 formazioni corali. Il lockdown del 2020, come è noto, ha impedito la prosecuzione delle normali attività tra cui, ovviamente anche quelle che riguardano i cori come i concerti, le prove, i ritrovi, le masterclass. Nemmeno la pandemia, | 65 VOCI NEI CHIOSTRI


però, ha frenato l’entusiasmo propulsivo di AERCO che nell’estato 2020 ha convertito il Festival in una edizione speciale virtuale raccogliendo le adesioni di 51 cori per un totale di 10 concerti online ognuno con la presentazione e guida all’ascolto di un direttore di coro incaricato. Nel 2021 finalmente si è potuti tornare al Festival in presenza. Il particolare fine di questa edizione era far dialogare e far conoscere tra loro compagini corali di differenti province. Per la sua realizzazione è stato emanato un bando al quale hanno partecipato 44 cori. I direttori artistici Silvia Biasini e Fabio Pecci hanno predisposto il programma costituito da 26 concerti in 7 province. La caratteristica di questi eventi era la sinergia non solo tra gli ensemble corali, ma anche tra i repertori che essi hanno proposto. A tal proposito, era richiesto a tutti i partecipanti di inserire nel programma del concerto, un brano composto da un autore emiliano-romagnolo. Voci nei chiostri ha così potuto godere della rappresentanza di diversi stili e forme musicali dal Medioevo alla contemporaneità, dal canto a cappella al canto accompagnato. Numerosi sono gli eventi speciali correlati al Festival che hanno visto la partecipazione di

gruppi corali provenienti dal territorio italiano e non solo. Da segnalare anche la partecipazione del Coro Giovanile dell’Emilia Romagna. Evento particolarmente seguito è stata la tre-giorni del Coro Giovanile Italiano a Salsomaggiore Terme, Ferrara e Parma. Nato per iniziativa di FENIARCO, il CGI è una formazione corale di 40 giovani cantori tra i 18 e i 28 anni che provengono da diverse città d’Italia. Attualmente è diretto dai maestri Petra Grassi e Davide Benetti. Il programma, diviso in due parti, ha visto Davide Benetti condurre il coro attraverso polifonie, contrappunti e armonie di impostazione più rigorosa per poi abbandonarsi alla guida sicura e affidabile di Petra Grassi che ha proposto un repertorio contemporaneo ricco di connotazioni poetico-drammatiche e sperimentazioni sonore. Voci nei Chiostri 2021 si è concluso con il concerto del Coro Figuralchor di Colonia (Germania). Così come il chiostro ebbe una funzione di collegamento tra le varie parti del monastero permettendo uno spostamento riparato, rapido e sicuro, allo stesso modo il Festival Voci nei Chiostri è un’insostituibile fonte di contatto, scambio e reciproca conoscenza tra tutti i cori della Regione Emilia Romagna. Coro Giovanile Italiano a Ferrara

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DI STEFANIA RONCOFFI-

Giugno, Luglio, Agosto, Settembre.

Direzione Artistica: Silvia Biasini e Fabio Pecci Organizzazione: Francesco Leonardi e Delegazioni Provinciali www.vocineichiostri.it

AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it


Notizie

CantaBO: Un festival fuori dalle righe Un Festival per la città di Bologna La musica corale dell’autunno bolognese ha un nome: CantaBO, il Festival Corale Internazionale, quest’anno, naturalmente, inserito all’interno dei festeggiamenti per i 50 anni di AERCO. CantaBO, per il secondo

anno sotto la direzione artistica di Elide Melchioni, è Festival creativo, aperto alle diverse anime dell’espressione vocale e per questo prende il nome “Fuori e Dentro le righe”. Il festival ha avuto un grande consenso di pubblico in tutte le serate, constatando con piacere che la proposta di diversi generi e stili

WWW.CANTABO.IT


vocali trova un solido consenso, tale da fidelizzare buona parte del pubblico! Ha aperto il Festival il celeberrimo ensemble inglese The King’s Singers con una masterclass e il concerto From Darkness, con il quale, attraverso il loro canto, ci hanno condotti per mano a emergere da tempi bui di lontana e presente memoria. Questa immagine di carattere virgiliano ha anticipato il Progetto Dante proposto dal Coro Ecce Novum di Cesena, scrittura in cui contemporaneo e antico si sono fusi in una nuova composizione, omaggio al sommo poeta. Nel mezzo del cammin del Festival e per “uscire dalle righe”, abbiamo poi ascoltato la freschezza e la creatività de Il Quinto Elemento, quintetto femminile toscano a cappella e del Minuscolo Spazio Vocale, dodicimino a voci miste di Roma, i quali ci hanno proposto un repertorio c h e

s p a z i a capolavori del rinascimento e barocco alla musica contemporanea, dal canto delle varie tradizioni popolari a composizioni originali, al jazz, e vocal-pop… La serata conclusiva del festival, intenzionalmente legata a Santa Cecilia patrona della Musica è dedicata ai cori della regione: I Cantori del Volto (FE), Coro Ferdinando Paer, Colorno (PR) e Mikrokosmos – Coro Multietnico di Bologna, che attraverso vocalità rinascimentali, canti dal mondo e sguardo sulla musica contemporanea hanno ben rappresentato l’essere “Fuori e dentro le righe” che è lo spirito del Festival: da Claudio Monteverdi a Freddie Mercury passando per il Quartetto Cetra e il canto dei marinai svedesi con lo stesso sublime piacere! da

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Libri

I Canterini di Longiano Il canto folkloristico in Romagna secondo Franco dell’Amore

DI FRANCESCA SCARIOLI

Francesca Scarioli FRANCESCA SCARIOLI, cesenate, laureata in Conservazione dei Beni Culturali e dottoressa specialista in archeologia della Mesoamerica presso l’Università di Bologna. Dal 2018 collabora, in qualità di guida museale, con diverse realtà culturali del territorio cesenate, tra cui il Museo Musicalia di Villa Silvia Carducci. Nel 2020, per lo stesso museo, realizza il quaderno di studi Il ritorno di Alessandro Bonci a Villa Silvia Carducci ed è, inoltre, tra gli autori del volume che omaggia il tenore, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, a cura di Franco Dell’Amore: “Alessandro Bonci. Un mito oscurato dal sole”.

Ponendo il focus sulla storia dei Canterini di Longiano, si analizza la storia non solo di un fenomeno musicale, ma anche storico e di costume, che ha contraddistinto la Romagna dal 1921, anno di costituzione del primo gruppo di Canterini, periodo segnato dalla politica culturale fascista e dal recupero strumentale della tradizione agreste, fino ad oggi. Indicando i Canterini si fa riferimento ad una forma di canto corale, spesso in vernacolo, eseguito a cappella e inframezzato da balli popolari, come il saltarello romagnolo, che si avvalevano dell’accompagnamento musicale messo in atto da fisarmonica, chitarra oppure violino. Il repertorio si basava sulle “Cante romagnole” le cui

origini, per consuetudine, erano fatte risalire al “canto alla boara”, tendenza spontanea al canto da parte di coloro che conducevano i buoi. Tale raccolta era, però, tutt’altro che “popolare”, come veniva definita, ma frutto di una ricerca colta e dell’ispirazione artistica di personaggi altamente istruiti, ben conosciuti e di spicco del panorama culturale romagnolo. Autori come Cesare Martuzzi per la parte musicale e F r a n c e s c o

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Balilla Pratella o Aldo Spallicci per il testo poetico, che, fra i più, riuscirono a cogliere l’importanza del dialetto quale strumento linguistico al fine di tramandare un patrimonio culturale ben più ampio. Si può, quindi, parlare di una tradizione etnograficamente “inventata”, che utilizzava il recupero di un passato completamente idealizzato, al fine di rinnovare il linguaggio musicale, ricorrendo al folclore e mantenendosi distante dall’accademismo borghese che contraddistingueva le società corali dell’epoca. La politica culturale fascista fece del canto dialettale romagnolo uno strumento finalizzato a forzare un legame identitario alla terra; ma i Canterini rappresentarono anche un’importante forma di aggregazione. Fu, infatti, l’Ordine Nazionale Dopolavoro, preposto a

rispondere all’esigenza di attività ricreative da offrire ai lavoratori, a dare grande impulso e sostegno alle attività corali dei Canterini. In particolare, al O.N.D. si legò intensamente il gruppo dei Canterini di Longiano, il quale, in tale contesto, si esibì ad Amburgo in occasione del I Congresso Mondiale dei Dopolavoristi e partecipò ai festeggiamenti indetti per il viaggio in Italia di Adolf Hitler nel 1938. In quest’opera, pubblicata dalla Fondazione Tito Balestra, Franco Dell’Amore punta il focus proprio sui Canterini di Longiano, ricostruendone le vicende, grazie alla documentazione fornita da Giorgio Bettucci, il cui archivio storico è ora conservato presso il Museo della Civiltà Contadina di Longiano. La cronistoria della Camerata dei Canterini I CANTERINI DI LONGIANO | 71


longianesi ha inizio nel 1933, quando in Romagna sono già attive alcune delle più importanti compagini corali, quali i Canterini di Forlì nati da un’idea di Aldo Spallicci del 1910, i Canterini della Camerata di Lugo fondati da Francesco Balilla Pratella nel 1922 e i Canterini di Imola fondati nel 1928 da Turibio Baruzzi. Le prime esibizioni sono legate a teatri locali ma, nello stesso anno, il gruppo affronta un concorso nazionale tenutosi al Teatro Carlo Felice di Genova, aggiudicandosi il secondo premio e ottenendo importanti opportunità quali l’esibizione alla prima edizione della Settimana Cesenate. A due anni dalla propria costituzione il gruppo longianese ha già collezionato, inoltre, numerosi successi internazionali ed è acclamato come uno dei migliori complessi corali italiani, arrivando a presenziare anche ai giochi della XI Olimpiade, tenutasi a Berlino nel 1936. Negli anni Trenta partecipano e si fanno promotori di numerose “Feste dell’uva” disposte dal regime fascista, mentre in periodo di guerra tra 1941 e 1943 sono chiamati ad esibirsi negli ospedali militari della Riviera Adriatica come intrattenimento a favore dei feriti di guerra. Se l’inasprirsi della condizione bellica porta il gruppo ad una pausa forzata, ritroviamo i Canterini protagonisti dal 1947 di numerose rassegne, in particolare grazie alla collaborazione con l’ENAL (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori), organizzazione in cui si converte l’O.N.D. nel 1945. In un mondo, fino alle fine degli anni Cinquanta, in cui si concede sempre

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più spazio all’industrializzazione, i Canterini sono l’esempio della stereotipata e salubre attività agreste, mentre amano farsi ritrarre maldestramente impegnati in attività di campagna, con i loro costumi “tradizionali”. Si tratta dei costumi folcloristici “tipici romagnoli” che erano, tuttavia, pressoché totalmente inventati, in mancanza di un’iconografia storica precedente che ne


delineasse chiaramente i caratteri. E se l’aspetto e la costruzione di un’immagine pubblica riconoscibile sono importanti, lo è altrettanto la fruizione della musica, non solo dal vivo, ma anche attraverso i moderni mezzi di diffusione. Al 1926 risalgono, infatti, le prime incisioni su 78 giri, per arrivare alle più recenti su vinile sul finire degli anni Ottanta, poi riversati su compact disc. Rispetto alle corali “classiche” polifoniche, liriche o in riferimento al canto gregoriano, si può notare, quindi, come il fenomeno dei Canterini si ponga su un piano nettamente differente, sia per repertorio che per struttura. La connotazione che si vuole conferire è quella di un aspetto prettamente “popolare”, ma i versi endecasillabi dei testi tradiscono l’origine colta dei brani, pur legati per temi e simbologie alla campagna. Gli autori, in particolare, impiegarono la monodia e la forma responsoriale. La struttura delle “Cante Romagnole”, infatti, rimanda al canto liturgico preconciliare e, nello specifico, ai canti responsoriali, con l’introduzione della melodia ad opera del solista e la ripresa da parte della comunità corale, allontanandosi, in realtà, dai “canti alla boara” a cui la tradizione voleva far risalire l’origine delle Cante, che rimarrà unicamente un’ispirazione per la prassi esecutiva a cappella. L’utilizzo del dialetto favoriva un senso etnico di appartenenza e autenticità. Il significato della parola Canterini, inoltre, come

si evince dal termine stesso, indicava chi amava cantare, ma senza essere necessariamente edotto nell’arte della musica. Gli interpreti, infatti, in virtù del loro carattere “popolare”, erano scelti nell’ambito della comunità, privi di qualsiasi nozione musicale. La storia dei Canterini di Longiano è solo un esempio di un ampio fenomeno che interessa la Romagna del primo Novecento – negli anni Trenta i gruppi corali di questo tipo raggiungevano la dozzina – volto a presentare il mondo contadino della “tradizione” sotto un’ottica idealizzata e romantica. Gli studi dedicati ai gruppi dei Canterini, proseguiranno con la storia dei Canterini di Lugo fondati da Pratella nel 1922, a cui Franco Dell’Amore sta già lavorando, di prossima uscita.

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Libri

Relazione in musica La musica come speculum mundi

DI SANDRO BERGAMO

La rivoluzione galileiana non ridisegnò solo la mappa del cosmo, ponendo il Sole al centro, ma, più estesamente e profondamente, prospettò un modo nuovo di confrontarsi con la realtà. Abbandonando la prospettiva scolastico-aristotelica di trovare l’essenza delle cose, spostò l’attenzione verso le relazioni: il cosmo è un sistema dove ogni elemento si definisce non in sé stesso, ma in base alle relazioni che instaura con gli altri. La nostra mente non può cogliere l’essenza delle cose, ma può comprendere e misurare le relazioni che intercorrono tra esse.

e proseguito molte attività: ha diretto i Piccoli Cantori di Torino, ha curato, su incarico della Suvini Zerboni, la nuova edizione del Cantar leggendo, ha diffuso il metodo del Do mobile coordinando tante iniziative nella sua città. E di Goitre trasmette, in questo libro, l’idea di coro come solo come luogo di apprendimento della musica e del canto, ma come palestra di relazioni che portano a maturare responsabilità verso sé e gli altri. Il coro è il luogo dove si impara a inserire la propria personalità in un collettivo, ottenendo, con la solidarietà nell’impegno comune, risultati che da soli non si raggiungerebbero.

Molto prima della scienza, già nel medioevo la musica era nient’altro che un sistema di relazioni. I trattati, fin da quelli dell’alto medioevo, non considerano i suoni della scala nella loro altezza assoluta, ma solo come rapporto. Non essendo in grado di misurare le oscillazioni, i teorici dell’epoca definiscono i suoni come segmento della corda rapportato all’intero: otto noni sono un tono, tre quarti una quarta, due terzi una quinta… In Guido d’Arezzo troviamo non solo l’ennesima teorizzazione di questo sistema, ma la sua applicazione didattica per passare dalla memorizzazione alla lettura delle melodie. Ancora una volta, Ut Re Mi Fa Sol La non sono valori assoluti, ma relazioni che possono collocarsi a qualsiasi altezza, riproducendo gli intervalli di tono e semitono.

Il mondo di relazioni dalla musica si trasferisce alla sfera dei rapporti umani: come l’alterazione introduce un suono estraneo alla scala, che al momento stride, ma porta in nuovi territori tonali da esplorare, rinnovando l’interesse per la musica, così l’elemento diverso scardina i rapporti del gruppo ma lo provoca a trovare nuovi equilibri e a crescere. (cap. 5, p. 62). Ecco che la musica diventa allora terapia per ritrovare armonie perdute nei rapporti sociali ma anche in quelli personali e interiori e per dialogare laddove, avrebbe detto Sant’Agostino, non arrivano le parole: percorsi di musicoterapia di cui Giorgio Guiot, anche in questo continuatore di Goitre, riferisce numerose personali esperienze.

Un sistema relazionale elastico, capace di adattarsi agli sviluppi della musica. Giorgio Guiot parte da qui, per fare di queste relazioni un modello capace di andare molto al di là delle note per investire tutte le relazioni umane. Sembra, in certe pagine del suo libro Insieme: canto, relazione e musica in gruppo di sentire Roberto Goitre, suo ideale maestro. Guiot non ha mai conosciuto, o almeno non ha frequentato Roberto Goitre. Ma ne ha ereditato

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Insieme è un libro che merita di essere letto, perché ci aiuta a riscoprire la ragioni del nostro far musica, a sostegno della nostra umanità sempre più vacillante.

Giorgio Guiot Insieme: Canto, relazione e musica in gruppo Erickson, 2021 148 pp, 16 €


as of December 2021

EVENTS 2022 Choir Competitions and Festivals

04 04 04 05 07 08 09 09 10 10 10 11

VOX LUCENSIS – CONCORSO CORALE INTERNAZIONALE April 9-13, 2022 | Lucca, Italy VOICES & WINE ALBA April 20-24, 2022 | Alba, Italy (Piedmont) 15TH INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION & FESTIVAL BAD ISCHL April 27-1, 2022 | Bad Ischl, Austria SING FOR GOLD – THE WORLD CHORAL CUP May 14-22, 2022 | Calella/Barcelona, Spain

12TH WORLD CHOIR GAMES July 4-14, 2022 | Gangneung/Gangwon, Republic of Korea 2ND RIGA SINGS - INT. CHOIR COMPETITION & IMANTS KOKARS CHORAL AWARD August 17-21, 2022 | Riga, Latvia 4TH KALAMATA INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION AND FESTIVAL September 22-26, 2022 | Kalamata, Greece 10TH ISOLA DEL SOLE September 25-29, 2022 | Grado, Italy SING’N’JOY BOHOL October 5-9, 2022 | Tagbilaran City, Bohol, Philippines INTERNATIONALES CHORFEST MAGDEBURG October 5-9, 2022 | Magdeburg, Germany DEUTSCHE CHORMEISTERSCHAFT 2022 October 21-23, 2022 | Koblenz, Germany LISBON SINGS November 10-14, 2022 | Lisbon, Portugal

ON STAGE Festivals TEL AVIV, ISRAEL | March 9-13, 2022 VERONA, ITALY | March 24-27, 2022 FLORENCE, ITALY | May 19-22, 2022 TIRANA, ALBANIA | June 8-12, 2022 LISBON, PORTUGAL | September 9-12, 2022 PRAGUE, CZECH REPUBLIC | November 10-13, 2022

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