
8 minute read
Libri
from FARCORO 3-2021
by FARCORO
I Canterini di Longiano
Il canto folkloristico in Romagna secondo Franco dell’Amore
DI FRANCESCA SCARIOLI
Francesca Scarioli
FRANCESCA SCARIOLI, cesenate, laureata in Conservazione dei Beni Culturali e dottoressa specialista in archeologia della Mesoamerica presso l’Università di Bologna. Dal 2018 collabora, in qualità di guida museale, con diverse realtà culturali del territorio cesenate, tra cui il Museo Musicalia di Villa Silvia Carducci. Nel 2020, per lo stesso museo, realizza il quaderno di studi Il ritorno di Alessandro Bonci a Villa Silvia Carducci ed è, inoltre, tra gli autori del volume che omaggia il tenore, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, a cura di Franco Dell’Amore: “Alessandro Bonci. Un mito oscurato dal sole”. Ponendo il focus sulla storia dei Canterini di Longiano, si analizza la storia non solo di un fenomeno musicale, ma anche storico e di costume, che ha contraddistinto la Romagna dal 1921, anno di costituzione del primo gruppo di Canterini, periodo segnato dalla politica culturale fascista e dal recupero strumentale della tradizione agreste, fino ad oggi. Indicando i Canterini si fa riferimento ad una forma di canto corale, spesso in vernacolo, eseguito a cappella e inframezzato da balli popolari, come il saltarello romagnolo, che si avvalevano dell’accompagnamento musicale messo in atto da fisarmonica, chitarra oppure violino. Il repertorio si basava sulle “Cante romagnole” le cui

origini, per consuetudine, erano fatte risalire al “canto alla boara”, tendenza spontanea al canto da parte di coloro che conducevano i buoi. Tale raccolta era, però, tutt’altro che “popolare”, come veniva definita, ma frutto di una ricerca colta e dell’ispirazione artistica di personaggi altamente istruiti, ben conosciuti e di spicco del panorama culturale romagnolo. Autori come Cesare Martuzzi per la parte musicale e Francesco
Balilla Pratella o Aldo Spallicci per il testo poetico, che, fra i più, riuscirono a cogliere l’importanza del dialetto quale strumento linguistico al fine di tramandare un patrimonio culturale ben più ampio. Si può, quindi, parlare di una tradizione etnograficamente “inventata”, che utilizzava il recupero di un passato completamente idealizzato, al fine di rinnovare il linguaggio musicale, ricorrendo al folclore e mantenendosi distante dall’accademismo borghese che contraddistingueva le società corali dell’epoca. La politica culturale fascista fece del canto dialettale romagnolo uno strumento finalizzato a forzare un legame identitario alla terra; ma i Canterini rappresentarono anche un’importante forma di aggregazione. Fu, infatti, l’Ordine Nazionale Dopolavoro, preposto a rispondere all’esigenza di attività ricreative da offrire ai lavoratori, a dare grande impulso e sostegno alle attività corali dei Canterini. In particolare, al O.N.D. si legò intensamente il gruppo dei Canterini di Longiano, il quale, in tale contesto, si esibì ad Amburgo in occasione del I Congresso Mondiale dei Dopolavoristi e partecipò ai festeggiamenti indetti per il viaggio in Italia di Adolf Hitler nel 1938. In quest’opera, pubblicata dalla Fondazione Tito Balestra, Franco Dell’Amore punta il focus proprio sui Canterini di Longiano, ricostruendone le vicende, grazie alla documentazione fornita da Giorgio Bettucci, il cui archivio storico è ora conservato presso il Museo della Civiltà Contadina di Longiano. La cronistoria della Camerata dei Canterini

longianesi ha inizio nel 1933, quando in Romagna sono già attive alcune delle più importanti compagini corali, quali i Canterini di Forlì nati da un’idea di Aldo Spallicci del 1910, i Canterini della Camerata di Lugo fondati da Francesco Balilla Pratella nel 1922 e i Canterini di Imola fondati nel 1928 da Turibio Baruzzi. Le prime esibizioni sono legate a teatri locali ma, nello stesso anno, il gruppo affronta un concorso nazionale tenutosi al Teatro Carlo Felice di Genova, aggiudicandosi il secondo premio e ottenendo importanti opportunità quali l’esibizione alla prima edizione della Settimana Cesenate. A due anni dalla propria costituzione il gruppo longianese ha già collezionato, inoltre, numerosi successi internazionali ed è acclamato come uno dei migliori complessi corali italiani, arrivando a presenziare anche ai giochi della XI Olimpiade, tenutasi a Berlino nel 1936. Negli anni Trenta partecipano e si fanno promotori di numerose “Feste dell’uva” disposte dal regime fascista, mentre in periodo di guerra tra 1941 e 1943 sono chiamati ad esibirsi negli ospedali militari della Riviera Adriatica come intrattenimento a favore dei feriti di guerra. Se l’inasprirsi della condizione bellica porta il gruppo ad una pausa forzata, ritroviamo i Canterini protagonisti dal 1947 di numerose rassegne, in particolare grazie alla collaborazione con l’ENAL (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori), organizzazione in cui si converte l’O.N.D. nel 1945. In un mondo, fino alle fine degli anni Cinquanta, in cui si concede sempre più spazio all’industrializzazione, i Canterini sono l’esempio della stereotipata e salubre attività agreste, mentre amano farsi ritrarre maldestramente impegnati in attività di campagna, con i loro costumi “tradizionali”. Si tratta dei costumi folcloristici “tipici romagnoli” che erano, tuttavia, pressoché totalmente inventati, in mancanza di un’iconografia storica precedente che ne


delineasse chiaramente i caratteri. E se l’aspetto e la costruzione di un’immagine pubblica riconoscibile sono importanti, lo è altrettanto la fruizione della musica, non solo dal vivo, ma anche attraverso i moderni mezzi di diffusione. Al 1926 risalgono, infatti, le prime incisioni su 78 giri, per arrivare alle più recenti su vinile sul finire degli anni Ottanta, poi riversati su compact disc. Rispetto alle corali “classiche” polifoniche, liriche o in riferimento al canto gregoriano, si può notare, quindi, come il fenomeno dei Canterini si ponga su un piano nettamente differente, sia per repertorio che per struttura. La connotazione che si vuole conferire è quella di un aspetto prettamente “popolare”, ma i versi endecasillabi dei testi tradiscono l’origine colta dei brani, pur legati per temi e simbologie alla campagna. Gli autori, in particolare, impiegarono la monodia e la forma responsoriale. La struttura delle “Cante Romagnole”, infatti, rimanda al canto liturgico preconciliare e, nello specifico, ai canti responsoriali, con l’introduzione della melodia ad opera del solista e la ripresa da parte della comunità corale, allontanandosi, in realtà, dai “canti alla boara” a cui la tradizione voleva far risalire l’origine delle Cante, che rimarrà unicamente un’ispirazione per la prassi esecutiva a cappella. L’utilizzo del dialetto favoriva un senso etnico di appartenenza e autenticità. Il significato della parola Canterini, inoltre, come si evince dal termine stesso, indicava chi amava cantare, ma senza essere necessariamente edotto nell’arte della musica. Gli interpreti, infatti, in virtù del loro carattere “popolare”, erano scelti nell’ambito della comunità, privi di qualsiasi nozione musicale. La storia dei Canterini di Longiano è solo un esempio di un ampio fenomeno che interessa la Romagna del primo Novecento – negli anni Trenta i gruppi corali di questo tipo raggiungevano la dozzina – volto a presentare il mondo contadino della “tradizione” sotto un’ottica idealizzata e romantica. Gli studi dedicati ai gruppi dei Canterini, proseguiranno con la storia dei Canterini di Lugo fondati da Pratella nel 1922, a cui Franco Dell’Amore sta già lavorando, di prossima uscita.


Relazione in musica
La musica come speculum mundi
DI SANDRO BERGAMO
La rivoluzione galileiana non ridisegnò solo la mappa del cosmo, ponendo il Sole al centro, ma, più estesamente e profondamente, prospettò un modo nuovo di confrontarsi con la realtà. Abbandonando la prospettiva scolastico-aristotelica di trovare l’essenza delle cose, spostò l’attenzione verso le relazioni: il cosmo è un sistema dove ogni elemento si definisce non in sé stesso, ma in base alle relazioni che instaura con gli altri. La nostra mente non può cogliere l’essenza delle cose, ma può comprendere e misurare le relazioni che intercorrono tra esse.
Molto prima della scienza, già nel medioevo la musica era nient’altro che un sistema di relazioni. I trattati, fin da quelli dell’alto medioevo, non considerano i suoni della scala nella loro altezza assoluta, ma solo come rapporto. Non essendo in grado di misurare le oscillazioni, i teorici dell’epoca definiscono i suoni come segmento della corda rapportato all’intero: otto noni sono un tono, tre quarti una quarta, due terzi una quinta… In Guido d’Arezzo troviamo non solo l’ennesima teorizzazione di questo sistema, ma la sua applicazione didattica per passare dalla memorizzazione alla lettura delle melodie. Ancora una volta, Ut Re Mi Fa Sol La non sono valori assoluti, ma relazioni che possono collocarsi a qualsiasi altezza, riproducendo gli intervalli di tono e semitono.
Un sistema relazionale elastico, capace di adattarsi agli sviluppi della musica. Giorgio Guiot parte da qui, per fare di queste relazioni un modello capace di andare molto al di là delle note per investire tutte le relazioni umane. Sembra, in certe pagine del suo libro Insieme: canto, relazione e musica in gruppo di sentire Roberto Goitre, suo ideale maestro. Guiot non ha mai conosciuto, o almeno non ha frequentato Roberto Goitre. Ma ne ha ereditato e proseguito molte attività: ha diretto i Piccoli Cantori di Torino, ha curato, su incarico della Suvini Zerboni, la nuova edizione del Cantar leggendo, ha diffuso il metodo del Do mobile coordinando tante iniziative nella sua città. E di Goitre trasmette, in questo libro, l’idea di coro come solo come luogo di apprendimento della musica e del canto, ma come palestra di relazioni che portano a maturare responsabilità verso sé e gli altri. Il coro è il luogo dove si impara a inserire la propria personalità in un collettivo, ottenendo, con la solidarietà nell’impegno comune, risultati che da soli non si raggiungerebbero.
Il mondo di relazioni dalla musica si trasferisce alla sfera dei rapporti umani: come l’alterazione introduce un suono estraneo alla scala, che al momento stride, ma porta in nuovi territori tonali da esplorare, rinnovando l’interesse per la musica, così l’elemento diverso scardina i rapporti del gruppo ma lo provoca a trovare nuovi equilibri e a crescere. (cap. 5, p. 62). Ecco che la musica diventa allora terapia per ritrovare armonie perdute nei rapporti sociali ma anche in quelli personali e interiori e per dialogare laddove, avrebbe detto Sant’Agostino, non arrivano le parole: percorsi di musicoterapia di cui Giorgio Guiot, anche in questo continuatore di Goitre, riferisce numerose personali esperienze.
Insieme è un libro che merita di essere letto, perché ci aiuta a riscoprire la ragioni del nostro far musica, a sostegno della nostra umanità sempre più vacillante.
Giorgio Guiot Insieme: Canto, relazione e musica in gruppo Erickson, 2021 148 pp, 16 €
