Andrej Tarkovskij

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spirito e materia fra cristianesimo e socialismo reale

Giorgio Penzo

ANDREJ TARKOVSKIJ È sorprendente che l’opera di un autore come Andrej Tarkovskij conviva con il realismo socialista ufficiale dell’URSS negli anni in cui si svolge la sua attività. Tanto più sorprendente in quanto tutta l’opera di Tarkovskij è un “canto generale” non di un individualismo all’occidentale, ma di un lirismo che si rinsalda nella tradizione russa e che si confonde sovente con una religiosità, che è quella criun’opera unica, la quale, anche se si ciba delle radici profonde del pensiero russo, e si va da Puskin a Dostoevskij e si arriva al semi-contemporaneo Arsenij Tarkovskij, il padre del regista, vuole raggiungere valori universali, che si affinano in una spiritualità sempre più convinta, abbandonando progressivamente quel materialismo (storico) che era alla base dell’ideologia sovietica. L’opera di Tarkovskij per un certo periodo riesce a convivere con tale ideologia, ma a un certo punto se ne ditenato in una materia troppo frenante. Giorgio Penzo è nato a Trieste e si è laureato in filosofia con una tesi in Storia del cinema (relatore Lino Micciché, co-relatore Claudio Magris). Poliglotta e viaggiatore in tutto il mondo, ha pubblicato

Orson Welles fra quarto potere e il processo (2015) e, assieme al figlio Marco Stanley Kubrick (2017). Per Falsopiano ha scritto A proposito di Ingmar Bergman 1955-1982 (2018) e Akira Kurosawa. L'ul-

timo imperatore (2019).

ANDREJ TARKOVSKIJ spirito e materia fra cristianesimo e socialismo reale

spirito e materia fra cristianesimo e socialismo reale

stacca bruscamente, perché le prospettive sono diventate così ampie da impedirgli di essere inca-

ANDREJ TARKOVSKIJ

stiano-ortodossa, ma capace di andare oltre. Perché l’opera di Tarkovskij va oltre ogni definizione: è

Giorgio Penzo

www.falsopiano.com/andrejtarkovskij.htm

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Indice

Introduzione di Marco Penzo

p. 9

Radici: Andrej e Arsenij Tarkovskij, il padre

p. 17

Prologo

p. 22

Gli assassini

p. 28

Non ci sarà licenza oggi

p. 32

Il rullo compressore e il violino

p. 35

L’infanzia di Ivan

p. 40

Andrej Rublëv

p. 45

Solaris

p. 55

Lo specchio

p. 65

Stalker

p. 70

Nostalghia

p. 80

Sacrificio

p. 86

Tempo di viaggio

p. 96

Epilogo p. 105 Andrej Tarkovskij - Il cinema come preghiera (2019) di Andrej Andreevič Tarkovskij

p. 120

I due elementi costitutivi della filmografia di Tarkovskij, φύσις e λόγος di Giorgio Penzo

p. 132

Acqua come legame fra Occidente e Oriente di Marco Penzo

p. 136

Il rumore dell’acqua di Simone Grazzi

p. 143

Filmografia

p. 153

Bibliografia essenziale

p. 158


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Tempo di viaggio (1983)


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Andrej Tarkovskij

Introduzione di Marco Penzo Andrej Tarkovskij è senza dubbio un grande regista, capace di darti qualcosa, di scavare profondamente, alla ricerca della “forma dell’anima”. Questo senso di somma profondità è stato ereditato da due genitori molto importanti nella vita di Andrej: il padre, Arsenij Tarkovskij, poeta, è uno dei più importanti dell’URSS (seppur il suo valore, individuato al tempo, sarà riconosciuto più tardi, anche grazie al figlio Andrej), mentre la madre Marija lavora in una tipografia. Andrej nasce nel 1932 a Zavraž’e, una località a circa 400 chilometri da Mosca, che però rappresenta quella Russia che tanto ha amato e che sempre ha cercato disperatamente di rappresentare nei suoi film. È la campagna il luogo dove trascorre la sua infanzia, ma anche dove avviene la separazione fra il padre e la madre nel 1935. Sarà la madre a crescere Andrej, nella più profonda spiritualità cristiana, che segnerà per sempre Andrej, il futuro regista. Certamente Andrej non dimenticherà mai la figura del padre, con cui si ricongiungerà nel 1945. Il padre è il grande poeta: come per ogni buon russo, il poeta rappresenta l’artista per eccellenza, quindi la poesia è la forma artistica più vicina alla perfezione. In questo senso, il futuro regista cercherà sempre di “imporsi” una metodologia poetica, quasi a emulare “orgogliosamente” il padre, metodologia che mette in risalto una pro-

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fonda “poesia contenutistica”: Tarkovskij effettua come un “sacrificio” per realizzare la sua arte, che deve far emergere la speranza e la spiritualità nella loro più pura autenticità. Tutto questo nutre Andrej sin dalla sua iscrizione al VGIK, la Scuola Superiore di Cinematografia di Mosca, scuola alla quale si iscrive nel 1956, dopo aver passato un periodo all’Istituto di Studi Orientali di Mosca, in realtà poco stimolante per Andrej, e, su spinta della madre, un periodo in Siberia, dove “scopre” un forte legame con la natura, che condizionerà notevolmente il suo cinema. Al VGIK Tarkovskij realizza i suoi primi esperimenti cinematografici, a partire da Gli assassini del 1956. Il suo spiritualismo e il suo lirismo lo costringono però ad aspri contrasti col regime sovietico: forse non tanto con L’infanzia di Ivan, ma con Andrej Rublëv del 1966 inizia uno scontro duro con la critica del suo Paese, legata al socialismo reale. Non va meglio con i film successivi: Solaris, Lo specchio e Stalker sono gli ultimi film girati in Russia da Tarkovskij, che nel 1982 si trasferisce in Italia, “obbligato” all’esilio, senza più poter tornare in Russia. In Italia gira Nostalghia e in Svezia, grazie al supporto del tanto stimato regista Ingmar Bergman, Sacrificio. Nel Dicembre del 1986 muore a Parigi: non sembra un caso che un uomo così legato al concetto di Bellezza sia morto nella città simbolo della cultura occidentale... In Tarkovskij, bisogna dire, la Bellezza non è però necessariamente apparente: vengono in mente i luoghi mostrati in Nostalghia, terre e posti noti per il loro splendore come Bagno Vignoni o San Galgano, che denotano una grande bellezza estetica. Ma non è questo che cerca Tarkovskij: è la presenza di As-

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soluto che il regista cerca sempre, anche nei luoghi della Val d’Orcia e dell’Italia Centrale in generale (come non citare la chiesa di San Vittorino nel rietino...). E questo Assoluto è espresso come fossimo dentro a una poesia: il cinema non è pura narrazione, quanto piuttosto realizzazione del tempo, la delicata, candida visione della poesia del tempo... In questo senso, mentre i primi lungometraggi sono molto più “ordinati” e cronologicamente “coerenti”, con Lo specchio questa metodologia viene meno. È con Stalker però che il tempo assume tutta la sua importanza: il tempo è rarefatto, diventa astratto, etereo. L’acqua è l’elemento che sembra scandire questo tempo nel suo continuo cambiamento, che il regista deve fissare, “scolpire” attentamente. Acqua come principio, di memoria taletiana (siamo agli albori della Filosofia Occidentale...), ma che ci collega anche a una visione del tempo piuttosto “orientale”, elementi che fanno di Andrej Tarkovskij un regista fra Occidente ed Oriente, così come la Russia si trova esattamente al centro di questa geografia. In questo senso Tarkovskij cerca il suo mondo, la sua Russia, anche dopo la fuga per motivi ideologici, in Italia, dove realizza Nostalghia, facendone una sorta di tributo al paese che lo ha accolto. Altra tematica importante del cinema di Tarkovskij è il Medioevo, visto come vera età dell’Assoluto, come alternativa all’antropocentrismo rinascimentale. In Stalker viene chiaramente definito il Medioevo come il tempo dello Spirito, il periodo in cui sia a livello artistico che a livello culturale si

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Il rullo compressore e il violino (1960)

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sono espresse maggiormente le necessità di un’importante spiritualità, che sempre ha caratterizzato la vita di Tarkovskij. Andrej Rublëv è in questo senso il manifesto della ricerca della bellezza iconica dell’artista russo, che mantiene però ancora una scansione del tempo “tipica”, ordinata. Sarà Stalker a rompere tutti gli schemi in questo senso: Stalker è la sintesi ideale di scansione temporale, come vuole veramente Tarkovskij, e poesia contenutistica. In Stalker c’è forse un passaggio in più: la poesia non è più solo poesia, ma diventa poesia teologica, poesia filosofica, il che avrebbe fatto piacere a Leopardi o a Dante, e quest’ultimo rappresenta, non a caso, un riferimento importante per il regista russo. Approfondire l’opera di Tarkovskij ci riporta alla mente il cinema di Ingmar Bergman, il regista svedese tanto ammirato: un cinema dialettico e dialogico il suo, simile e diverso da quello di Tarkovskij. Potremmo dire, facendo riferimento all’acqua, che, mentre Ingmar Bergman naviga in un mare mosso, pieno di scogli e ostacoli, verso il faro, Tarkovskij osserva il laghetto di fronte a sé, bagna i piedi nel placido specchio d’acqua e accoglie la pioggia che, a un tratto, inizia a scendere… Così sono riferimenti essenziali per il regista russo alcuni registi, soprattutto europei: Robert Bresson e Jean Vigo, maestri per lui del cinema francese, Michelangelo Antonioni e Federico Fellini del cinema italiano, ma, soprattutto, Dovženko del cinema sovietico. È giusto richiamare alla mente i continui elementi naturalistici, che sono un omaggio al regista sovietico, soprattutto i ca-

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valli, molto amati da Tarkovskij (basta vedere L’infanzia di Ivan, Andrej Rublëv o Solaris...), che ricordano allo spettatore attento i cavalli parlanti di Arsenale (1928): da parte di Dovženko un unicum rispetto alla visione tipica del realismo socialista, che, con Ždanov, a partire ufficialmente dal 1934, avrebbe bloccato qualsiasi libertà artistica fuori dai precetti del realismo socialista stesso; in quella Russia “fu proibita” la libertà che Dovženko e Tarkovskij hanno inseguito con forza e con devozione. La Russia è per Andrej Tarkovskij il mondo del conflitto, del “passaggio dal Medioevo alla modernità”: Stalin e Brežnev sono le immagini della proibizione della fede cristiano-ortodossa, in favore dell’ateismo di stato, e, in ambito artistico, del realismo socialista. Il socialismo reale ha costretto Tarkovskij a fuggire dalla sua terra, dalla sua campagna russa, per obbligarlo a rifugiarsi in Italia, in Occidente. Eppure quella Russia è ricercata disperatamente dal regista, soprattutto in Nostalghia e Sacrificio, film dove emerge una sorta di pessimismo nei confronti della materia, in favore di uno spiritualismo tendente all’Assoluto. Andrej Tarkovskij risulta non solo un profondo avventuriero del più intimo aspetto umano, ma, passando il tempo, si rifugia sempre più nel mondo dello Spirito piuttosto che della Materia: questo rappresentano Nostalghia e Sacrificio. Eppure, proprio in questi film, ecco il miracolo, sempre presente nei film di Tarkovskij, ma qui dolorosamente evidenziato come “prova di riscatto” dell’uomo: in Nostalghia la vasca di Bagno Vignoni, svuotata, vede il protagonista portare una can-

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dela che si spegne continuamente, finché l’uomo riesce ad attraversare la vasca senza spegnere il lume della vita, fino alla fine; in Sacrificio l’albero secco, “piantato” dal padre, nutrito dal piccolo figlio, torna a vivere. Il miracolo in Tarkovskij è sicuramente divino, ma lo è anche in una misura umana: senza l’uomo non ci può essere il miracolo.

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Il rullo compressore e il violino (1960)

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Radici: Andrej e Arsenij Tarkovskij, il padre Come sostiene il figlio Andrej, egli vede nel padre, Arsenij Tarkovskij, uno dei più grandi poeti sovietici del ’900. In altra epoca storica, noi, in Occidente, abbiamo apprezzato moltissimo Vladimir Majakovskij, Anna Achmatova e anche Boris Pasternak (prima del successo mondiale Il dottor Živago). Io personalmente ricordo con affetto Evgenij Evtušenko, che mi ha accompagnato in serate di lettura durante il periodo degli studi. Ma, in realtà, di Arsenij Tarkovskij si è parlato poco, ed è merito del figlio introdurre nei suoi film (Lo specchio, Stalker, Nostalghia) poesie del padre, che ci fanno capire come egli sia stato determinante nella formazione culturale del figlio ed anche nella sua capacità di espressione filmica, che tanto lo contraddistingue dagli altri autori russo-sovietici del periodo. È difficile innervare un discorso poetico in una realizzazione filmica, però apparentemente con Andrej Tarkovskij il miracolo avviene, e quasi da subito. Forse meno appariscente ne L’infanzia di Ivan, questo suo lirismo “ereditato” appare sempre più evidente da Andrej Rublëv in avanti, sino a divenire parte integrante, alcune volte dominante, del suo cinema, nei film successivi. E di questo lirismo il regista non può fare a meno, poiché parte essenziale delle sue radici e della sua struttura culturale. Sappiamo dai dati biografici che il padre di Andrej abbandonò la famiglia nel 1935 e tale famiglia si ricompose dieci anni dopo.

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Quindi, nella prima fase della vita e fino a tredici anni, Andrej visse con la madre, e la figura paterna rimase un sogno mancato, che si ripercosse visibilmente nella sua vita, ma soprattutto nei suoi film. In uno di essi, Lo specchio, diventa parte essenziale della narrazione, che è composta da flash-back e flash-forward, come uno specchio rotto, di cui Andrej deve ricomporre i pezzi in modo che riassuma la sua funzione. Ne L’infanzia di Ivan, il padre non c’è proprio, forse, si dice, è morto combattendo, mentre per certo sappiamo che la madre è stata uccisa. Fatto sta che Ivan è un orfano, il cui padre/madre è diventata l’Armata Rossa, con i suoi soldati e i suoi ufficiali. In Andrej Rublëv, se la madre è sicuramente la fede ortodossa, che ne spinge e ne connota i viaggi nella Russia straziata di allora, il padre potrebbe essere, lontano, ma proteggente, il Cristo Pantocrator delle sue icone. In Solaris, ed è un particolare che mi ha molto colpito, Kris Kelvin è il protagonista che ritorna sulla Terra dopo la sua avventura sovrumana, dopo l’incontro con il pianeta che sa riprodurre dalla memoria ologrammi che divengono realtà. L’immagine finale del film è poetica, lirica e bellissima: Kris si avvia verso la casa paterna, sale le scale, si inginocchia dinanzi al padre e ne riceve la benedizione, che non è solo un atto cerimoniale, ma un ricongiungimento con la vita reale, quella della Natura. Qui il rapporto padre/figlio è evidentissimo. Ma Andrej Tarkovskij non si ferma qui: ne Lo specchio la ricerca del padre non è soltanto una recherche du temps perdu, ma un continuo andare avanti e indietro nelle vite di tanti per-

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Il rullo compressore e il violino (1960)

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sonaggi, alcuni vicinissimi al regista, altri più lontani, ma non meno importanti e vitali. In questo film la figura del padre è molto importante, come lo è nella vita reale di Andrej Tarkovskij, che guarda al padre Arsenij con grande rispetto e lo considera un grande poeta: sappiamo che nella letteratura russa la poesia è, forse, il massimo dell’espressione creativa, perché il Poeta è il Demiurgo. La tessitura di questo film è complicata, ma non per questo bisogna rinunciare a comprenderla, e per comprenderla è necessario identificarsi con il regista, porsi come lui di fronte agli elementi sacri della sua esistenza: la famiglia, la Natura, l’ascesi dal mondo materiale a quello spirituale. In questo film, gli elementi ci sono tutti, ancora sotto la forma di un coacervo non ben distinto, ma pronto a dispiegarsi nei successivi, rigorosi capolavori. Nel film, che io reputo in assoluto il suo migliore, e forse uno dei più eccellenti di tutta la storia del cinema, ovvero Stalker, la figura paterna è, da un lato, colui che convive con la figlia mutante, con questo personaggio semi-divino, che muove le cose, ma il padre di Stalker medesimo potrebbe essere, paradossalmente, la Zona, o, meglio, la Stanza dei desideri, che ne è il cuore e al tempo stesso il bersaglio irraggiungibile, come Solaris per la “razza umana” che ne vuole svelare i segreti. Nel successivo Nostalghia il rapporto padre/figlio è più sfumato, ma anche qui Andrej Gorčakov, lo scrittore, segue le tracce di un musicista russo, che aveva effettuato a sua volta un Grand Tour in Italia e aveva visitato molti luoghi che lo scrittore ripercorrerà due secoli dopo. In questo senso, ricer-

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cando un legame artistico, il poeta d’oggi Gorčakov affronta la vita come il musicista duecento anni prima e vi ritrova esperienze e la Morte. Nel Sacrificio, l’ultimo film di Andrej Tarkovskij, il filo padre/figlio è evidentissimo nel rapporto fra Alexander e il figlio, il quale, seguendo i consigli paterni, irrora un albero morto, sino a che questo produrrà le gemme: un miracolo. Ma ci può essere un’interpretazione più sottile, anche se forse un po’ elusiva: quando la radio dà l’annuncio della prossima guerra nucleare, Alexander prega fervidamente Dio di poter salvare i suoi cari, il suo popolo, l’intera umanità. Anche qui il miracolo avviene: l’unione mistica fra Alexander e Maria (nome emblematico) permette di salvare l’umanità, perché Dio ha accolto la preghiera, più esattamente il sacrificio, come in un’antica vicenda biblica. Andrej Tarkovskij accoglie quindi il padre nel pantheon dei suoi autori prediletti e le liriche del padre dettano, impongono le sue realizzazioni registiche, come se non se ne potesse fare a meno.

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ANDREJ TARKOVSKIJ spirito e materia fra cristianesimo e socialismo reale

© Edizioni Falsopiano - 2021 via Bobbio, 14 15121 - ALESSANDRIA www.falsopiano.com Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri Pe le immagini di questo libro: Archivio Falsopiano Prima edizione - Luglio 2021


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