ESTAREA Magazine

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e AREA Sommario GOLF

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di Fig

Arte Sfumarure di donne

fitnes terrae verso casa

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Viaggi Romantica, superba, liberale: Parigi

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vladi polo

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dall’èlite al grande pubblico. il polo: meta raggiungibile

golf world challenge: tiger woods torna al successo

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Intervista Lello Arena e l’arte della comicità PAGINA

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alimentazione

attualità

a natale si festeggia con la dieta appropriata

Big Bang: l’esplosione del nuovo PD?

gusto PAGINA

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fabio campoli, arte e passione ai fornelli

green economy latte…batteri e smog.

musica

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under forty

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maison

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quando la jamaica ama, ama forte.

alessio di clemente.

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nico fortarezza: musica, ode alla vita

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Moleskine Alto Adige/Südtirol: magici Mercatini Originali

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architettura

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desing

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light design

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res, l’energia nasce sull’asfalto

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lunga vita allamateriaparlante

teatro Teatro Quirino La Lampadina Galleggiante

silvio wolf: la luce come elemento primario

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FOCUS

di Marta Rossi

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Ai posteri l’ardua sentenza. Roma, Genova e Messina. L’Italia tutta ha visto le capacità umane piegarsi di fronte alla potenza della natura, che, attraverso diverse intensità, ha provocato comunque disastro e disperazione. In questo mondo in cui il cittadino diventa reporter, grazie alla rete internet si è potuto assistere al disastro in tempo reale, pur rimanendo incapaci di difendersi e arginare la forza dell’acqua. Vittime e danni si sarebbero potuti evitare? Un Paese sviluppato come l’Italia, può andare completamente in tilt appena la situazione di ordinaria quotidianità viene a mancare? Se le scuole fossero rimaste chiuse, le vittime di Genova sarebbero tali? Di fronte alla natura, che l’uomo ha fin’ora ingenuamente creduto di tenere a freno, troppe questioni sono ancora irrisolte. Nel 2011 il nostro Paese, sempre pronto a offrire solidarietà e aiuto per sistemare i danni è ancora incapace di prevenirli. Noi cittadini comuni, spettatori inermi di una nazione che cambia governo, come una giovane donna i vestiti, siamo realmente capaci di proiettarci verso un futuro diverso ma migliore? L’Italia delle catastrofi naturali è la stessa che, a Torino, il 18 novembre, ha ospitato il meglio dei giovani inventori italiani. 150 cervelloni, provenienti da tutte le università del nostro Bel Paese, si sono contesi due milioni e mezzo di euro, messi in palio da vari sponsor, gareggiando con le invenzioni più disparate. A Torino se ne sono viste di tutti i colori: dalle garze che con una sola applicazione curano gli ustio-

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nati, all’osso come farmaco, cioè un nuovo tipo di «cemento» per le ossa che può essere iniettato per arginare i danni dell’osteoporosi. Incredibile anche il nuovo sistema per fare la spesa: si chiama Allergenius si scarica sul cellulare, e l’occhio della macchina fotografica del telefono si passa sul codice a barre degli alimenti. L’applicazione «legge la composizione» e vi dice se quel cibo è fatto per voi, e se non lo è vi dà delle alternative, compaiono semafori verdi e rossi secondo i risultati. Molte le innovazioni anche in campo energetico: pannelli fotovoltaici che inseguono il sole, sistemi per il risparmio dell’acqua. Nel sociale un network che permette di donare alle ONLUS benefiche e seguire il progetto che interessa, per vedere che fine fanno le donazioni. Questi pochi esempi testimoniano che le capacità ci sono, ma le reali possibilità di attuare un cambiamento? Incubo tutto italiano è la cosiddetta “fuga di cervelli” all’estero, paura non del tutto infondata, visto che proprio esperti di questo tipo sono i benvenuti nel cuore degli Emirati Arabi Uniti, dove in un territorio di cultura per certi aspetti definita retrograda, sta sorgendo Masdar City, prima città ad inquinamento zero. Quello che potrebbe sembrare un sogno sarà realtà nel 2016, quando, caratterizzata da trasporto sostenibile, riciclo, biodiversità, cambiamenti climatici, energie rinnovabili, essa conterà 1500 imprese e probabilmente sarà il centro mondiale per le soluzioni energetiche future. L’Italia bloccata dal fango è madre di giovani talenti, mentre ad Abu Dhabi nasce Masdar, la città del futuro. Siamo forse ad uno spettacolo di Beckett? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Est Area magazine pubblicazone mensile freepress Anno 3 n°33, dicembre 2011 Direttore Resposabile: Roberta Tito Direttore Editoriale: Antonio Feliziani Progetto e Direzione Esecutiva: Alessandro Coccia Coordinamento Editoriale: Stefania Ricci Consulente: Giovanna Amato Amministrazione: Cristina Meloni Editor: 3Aadvertinsing Registrato presso il Tribunale di Tivoli n. 20/2008 Grafica e impaginazione: Grafica Ripoli snc Pubblicità: Stephanie Mayer. Referente per Abbruzzo e Emilia-Romagna: 3356156737 Referente per l’Umbria: Gianni Civica 335 53 83 084 Referente per Rieti e provincia: Se.Ge.Co.V srl 0746 27 10 10 Direzione, Redazione e Segreteria: Via Montenero, 36 -00012 Guidonia (RM), 3881185198 3356156737 - 3929290702 - Fax 0774523591 estarea@gmail.com www.estarea.it Stampa: Grafica Ripoli snc Photo copertina © Stefano Mileto

Hanno collaborato: Alto Adige Marketing, Articiclo, Eugenia Benelli, Tito Barbini, Flaminia Colonna Bareti, F.I.G., Laura Lattuada, Donatella Lavizzari, Ente Turismo Olanda, Eva Peach, Teresa Pontilio, Ufficio Comunicazione Vladi Polo, Marta Rossi, Scarti di produzione, Dr. Raffaele Vincenti, Katerina Shlyakhina. Crediti Fotografici: Alessandra Quadri, Alto Adige Marketing, Manuela Chomicka/Sos Music, Ente Turismo Olanda, Stefano Mileto, Ilaria Prili, Maike Pullo, Matteo Armellini, Katerina Phair, Photo Time st Tropez, Fabrizio Ricci, Alessandro Vannucci, filckr.com, gooogle.com

Tutto il materiale cartaceo e fotografico inviato alla redazione non verrà restituito. Tutte le collaborazioni ad articoli o servizi sono considerate a titolo gratuito. La riproduzione di testi e immagini anche parziale deve essere autorizzata dall’editore.

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FINIS TERRAE

di Tito Barbini

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Ho imparato da tempo che ogni libro è come un viaggio per chi lo scrive. Una cartina con cui orientarsi nella geografia della propria anima. Ho anche imparato che la scrittura è un arnese per scavare tra le cose che ci teniamo dentro, nascoste dietro la scorza dell’introversione e della timidezza. Ogni libro che ho scritto segna un passo avanti come a scandire l’incedere di un moto interiore.

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E cosi, dopo l’uscita del “Cacciatore di Ombre”, mi sono messo al lavoro per una nuova avventura. Un nuovo viaggio, questa volta verso casa. Eravamo noi, i bambini usciti dalla guerra, in una piccola città etrusca. Le mura la cingevano tutta, un ammasso di pietre arenarie disposte in forme severe e imponenti prima dagli etruschi e poi dai romani, e si faceva presto, almeno da casa mia, a raggiungere la campagna con le sue terrazze di viti e olivi e i greppi con il finocchio selvatico. La sera, quando mi coricavo, sentivo abbaiare i cani e la mattina d’estate le cicale frinivano incessantemente dai castagni del grande spiazzo

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che chiamavano mercato. Le strade fuori dalle mura ancora si perdevano in sentieri sterrati contornati da alberi che, nelle loro stagioni, si caricavano di frutti. Era un buon posto per viverci, dove tutti si conoscevano e dove tutti si salutavano. Da bambino non pensavo che il mondo fuori da quelle mura fosse accogliente, anzi pensavo che con la crescita si spalancassero gli abissi e che la specie umana avrebbe deciso di trascendere se stessa e mutarsi in qualcos’altro. È stata la fantasia del viaggio a ricondurmi sulla buona strada. Ancora oggi mi rasserena pensare che le cose avrebbero preso un’altra piega se fossi rimasto prigioniero di quelle mura. Alla fine me ne sono andato e, oggi, guardandomi indietro posso dire a me stesso che forse poteva andare peggio. Insomma, alla fine, sono contento di essere diventato cosi. E allora ho deciso di mettermi sulle mie tracce. L’idea mi piace. Raggiungere i luoghi della mia infanzia, dove sono vissuto ma anche dove sono andato. Insomma, aggirarsi dentro di me. I narratori di viaggi sono come i marinai di una volta, girano il mondo ma poi, quando viene il momento, tornano a casa. Quelle parti del mondo che hanno segnato i miei anni. Certo, quei luoghi sono cambiati e non sono più gli stessi. Oggi sono abitati da un’umanità smemorata, incerta e confusa. Non ritrovo più la comunità di un tempo. Tutto è cambiato e non in meglio. Rischio di andare incontro a grandi delusioni, a incontri con conoscenti che non ricordano, poco o nulla interessati alla mia ricerca. Però, se quegli anni riuscissi a ritrovarli. Ripercorrerli, tenendomi per mano, non lasciarmi fuggire quando vorrei abbandonare l’impresa ma far salire la commozione assieme alla tenacia e alla passione. Perché lo faccio? Sono tante le ragioni inconfessabili ma quello che cerco sta in quei luoghi. La mia identità storicizzata in un viaggio che volge alla fine e che torna a riaffacciasi al suo inizio, per quello che può contare nella memoria degli altri. Serve a me e spero serva ai miei figli e ai miei nipoti. Restituire gli odori, le facce, i sapori. Non solo. Tenere insieme una serie di anelli che rischiano di spezzarsi. E poi sento il bisogno di cercare il punto esatto in cui ciò che si è vissuto incontra ciò che si è scritto. Non leggo mai gli oroscopi ma oggi mi è caduto l’occhio su quello dell’’Internazionale e ho letto una specie di ammonimento: “…non tornare mai nel posto a cui appartenevi in passato. Va verso quello a cui apparterrai in futuro…” Una frase senza senso? Quando mi fermo dopo un viaggio e dico: “Non c’è altro da vedere” so perfettamente che non è vero. Bisogna ricominciare il viaggio, sempre. Le cose che hai visto la mattina non sono più le stesse della sera e gli angoli che hai scoperto sono diversi se vengono scorti dalla parte opposta.

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VIAGGI

di Stefania Ricci

Romantica, superba, liberale:

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Ho passeggiato lungo le vie del Quartiere Latino, gli Champs Elysèes, Place Vendome, Montmartre, visitato la Torre Eiffel, il Centre Pompidou, Notre Dame, il Museo d’Orsay e il Louvre. Dalla cima della torre Montparnasse ho visto il sole tramontare e consegnare alla città il proprio cuore, alla fine

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Parigi è diventata una città a me familiare con una sensazione di euforica nostalgia, come accadde a Hemingway e a Picasso, come accade ogni giorno a tante persone che animano questa città immortale. La sua atmosfera cosmopolita, mondana e liberale, mi ha avvolta e guidata alla scoperta dei negozietti del Marais e delle librerie di Saint Germain, dei cinema di quartiere e dei teatri, dei bistrot e jazz club. Camminare per le strade di Parigi è come fare un giro intorno al mondo. Oggi, come non mai, la capita-

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le francese è un crogiolo di razze. Qui, per viaggiare da una parte all’altra del mondo, non è necessario fare voli intercontinentali, cambiare fusi orari, avere il passaporto: basta acquistare un biglietto del metrò, e il gioco è fatto. Sono tantissime le etnie rappresentate, ognuna con la propria comunità di riferimento, le sue vie, i suoi quartieri, i suoi negozi e ristoranti. Dai paesi del Maghreb alle Antille, dall’Africa all’Indocina; la storia coloniale francese ha da sempre alimentato il fenomeno dell’immigra-

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zione favorendo con il tempo la creazione di un caleidoscopio di culture diverse. Amate l’Africa nera? Scendete a St. Paul e dirigetevi in Rue Elzévir. Oppure andate fino alla stazione del metrò di Château Rouge, dalle parti di Montmartre: le strade lì intorno sono piene di negozi che ricordano gli empori di Dakar. Se invece preferite il lontano oriente, andate nel XIII arrondissement: qui è pieno di ristoranti cinesi, vietnamiti, cambogiani, thailandesi. Il quartiere che amo più di tutti è quello di Montmar-

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tre, il punto più alto della città. Durante la Belle Epoque è stato il centro della vita bohémienne e trovo che ne abbia mantenuto il fascino decadente ed il dinamismo che va oltre gli schemi dettati da una capitale nota in tutto il mondo per le sue oggettive bellezze architettoniche. Mi piace vagabondare nei mercatini, come quello domenicale dedicato al vintage. Le bancarelle offrono ogni tipo di merce sistemata nella maniera più semplice: gioielli, quadri, poltrone in velluto stile Lu-

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igi XV, abiti retro e pizzi riempiono gli occhi di colori e la mente di fantasie, mentre guardo gli oggetti che hanno vissuto chissà quali storie. In un luogo così, poi, non c’è niente di meglio che sedersi all’esterno di un bistrot, all’ombra delle belle tende a righe verdi, con una musica allegra in sottofondo, a gustare una selezione di formaggi francesi: il Camemebert macerato nel Calvados o il Roquefort, erborinato fatto con latte di pecora, accompagnati, perché no, da una frizzante coppa di champagne.

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Romantica, esuberante, superba e arrogante... Parigi non smette di stupirmi, di sorprendermi, neanche quando seduta a un tavolino del Café Les Deux Magots, la testa reclinata, la mano appoggiata sulla guancia ho immaginato di vedere Sartre seduto di fianco a me, e vagare tra le vie strette di St-Germaindes-Prés. È vero: Parigi è sempre Parigi, ma è altrettanto vero che Parigi non è mai la stessa. I due aspetti fondamentali, essenziali del suo fascino sono: da un lato il mutamento rapido e sorprendente, per cui ogni volta che si torna a Parigi la si trova cambiata; dall’altro la permanenza, la capitale francese è sempre così riconoscibile e altrettanto sorprendente, si ritrova il volto inconfondibile della medesima città. Passeggiare per gli Champs-Elysées illuminati, camminare tra gli antichi palazzi dal tipico tetto a mansarda, gustare una romantica cena tra gli artisti di Montmartre e restare senza fiato ammirando la vista spettacolare che si gode dalla grandiosa Tour Eiffel: ecco la magia di Parigi, la Parigi di Luigi XIV, quella Napoleonica, la Parigi voluta e costruita da re e grandi Capi di Stato che non smette mai di sedurre il visitatore, me compresa.

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ATTUALITÀ di Gaia Gaia Bottino Bottino

BIG BANG:

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“Mi impegnerò per il bene comune”. Così ha esordito Giorgio Gori, pochi giorni dopo aver partecipato al Big Bang di Matteo Renzi alla Leopolda. Il Sindaco di Firenze in quell’occasione aveva presentato le sue 100 proposte per rilanciare l’Italia anche se in molti avevano indicato Gori come il “ghost writer” delle idee di Renzi. L’impegno al servizio della collettività ha portato Gori a dimettersi dalla carica di Presidente del Gruppo Magnolia, la casa di produzione televisiva fondata da lui stesso nel 2001 e specializzata nella produzione di format d’intrattenimento come il Grande Fratello o l’Isola dei Famosi. Seppur Gori venga ricordato dal grande pubblico come un uomo del mondo dello spettacolo, la sua passione politica ha radici ben più profonde che risalgono agli anni giovanili. In quest’ultimo anno, a detta di chi lo conosce bene, in lui qualcosa cambia, si risveglia la passione politica di quando era ragazzo. In realtà, il suo entusiasmo politico l’aveva messo al servi-

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zio di Berlusconi nel ‘94, lanciando Forza Italia nel firmamento della tele politica (chi non ricorda gli spottini di propaganda elettorale lanciati tra un programma e l’altro da Mike Bongiorno, Iva Zanicchi & co.?). Durante il suo discorso alla Leopolda, Gori ha dichiarato di voler “liberare la RAI dai partiti” ma su Mediaset neanche una parola. Sarà un caso che uno dei temi trascurati alla Leopolda è stato proprio il conflitto d’interessi? Tornando al programma di Renzi, molte sono state le analogie con quello del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo: abolizione delle Province, accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti, eliminazione dei vitalizi per i parlamentari ed allineamento dei loro stipendi alla media dei salari nazionali, eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle testate giornalistiche e della classe politica corrotta. Il Sindaco di Firenze sembra abbia trovato degli spunti anche dal programma che Veltroni presentò alle elezioni del 2008: abolizione del bicameralismo perfetto, con compito legislativo delegato a un’unica Camera, lotta al sommerso, incentivi fiscali e intervento sul rapporto debito/Pil entro tre anni; altro punto in comune, la necessità di investire sul Mezzogiorno, trala-

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sciando il finanziamento alla spesa corrente. Entrambi inoltre sostengono che il precariato va combattuto e i salari minimi vanno sostenuti mettendo mano agli ammortizzatori sociali. Renzi, a differenza del suo collega di partito che metteva in cima alla lista il tema della sicurezza, punta soprattutto alla lotta agli sprechi, in linea con la crisi economica e con il sentimento “anti-casta” scoppiato negli ultimi anni. È da notare che il fenomeno Renzi rappresenta, al di là della condivisione o meno del suo pensiero rottamatore, il segnale di una presa di coscienza delle giovani classi dirigenti, desiderose di assumere un ruolo di primo piano all’interno del panorama politico italiano. I giovani dirigenti di partito rivendicano il diritto di governare ed eventualmente anche di sbagliare, come è stato concesso ai loro predecessori, ormai al potere da più di vent’anni. Come scriveva Oscar Wilde, l’esperienza, in questo caso portata a giustificazione della permanenza incessante di una determinata classe politica, spesso rappresenta semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori.

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GREEN ECONOMY

di Teresa Pontillo Dall’epoca delle palafitte ai primi anni del ventesimo secolo l’industria tessile si è basata esclusivamente sulla lavorazione delle fibre naturali: fibre vegetali ricavate da erbe palustri, da steli filamentosi e da foglie coriacee. L’esigenza di soddisfare richieste sempre più consistenti senza dover sottostare all’influenza delle condizioni ambientali e stagionali hanno

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Latte… batteri e SMOG.

spinto l’uomo ad emulare la natura, e così, dopo l’invenzione della “seta artificiale” ad opera del conte francese Hilaire Bernigaud de Chardonnet, è iniziata l’era delle fibre sintetiche e artificiali con tutte le sue conseguenze economiche e ambientali. Fin quando, con l’eccessivo aggravarsi dell’inquinamento, si è avviato lo studio per la ricerca di nuovi materiali ecosostenibili: molte sono state le idee, ma forse una delle più originali ed utili è quella della designer tedesca e studiosa di microbiologia Anke Domaske, grazie alla quale l’uomo vestirà di latte… La nostra amica, infatti, ha realizzato una linea di abbigliamento, la OMilch, con una nuova fibra tessile: “la caseina”, la prima “bio-fibra” prodotta dall’uomo senza l’aggiunta di prodotti chimici. La caseina viene estratta dal latte in polvere ed è poi riscaldata insieme ad altri elementi naturali in un macchinario simile ad un tritacarne; la fibra così ottenuta si presenta con una forma filamentosa pronta per essere lavorata da un filatoio meccanico; solo 6 litri di latte per confezionare un vestito. Questa fibra, oltre ad essere 100% naturale e totalmente biodegradabile, presenta un duplice vantaggio: economico, potendosi ricavare anche dal latte scaduto e fornendo quindi una soluzione allo smaltimento del latte avariato; fisiologico, poiché risulta essere una ‘panacea’ per le persone allergiche alle comuni fibre sintetiche. Mentre in Germania si disegna e si realizza la “moda lattea” del 2012, in Italia dall’Istituto di Microbiologia della Facoltà dell’Università Cattolica di Piacenza, un gruppo di esperti guidati dai Proff. Fabrizio Cappa e Pier Sandro Cocconcelli, dopo 3 anni di studio sui campioni dei ghiacciai del Parco Nazionale dello Stelvio hanno svelato il “mistero” dell’aria purissima dei ghiacciai. Gli studiosi hanno scoperto che l’ac l’acqua ottenuta dallo scioglimento dei pezzi di ghiaccio hiac prelevati a 3.150 metri di quota contiene una ricca comunità batterica caratterizzata da un’elevata biodiun’e versità, e tra questi microrganismi ismi ce n’è uno, appartenente alla famiglia deii Pseudomonas, Ps capace di nutrirsi dei materialii inq inquinanti rilasciati dallo smog che si deposita ita sui s ghiacciai, quali idrocarburi (generati dalla lla combustione dei derivati del petrolio) e policlorobifenili (conloro tenuti in vernici, lubrificanti e pesticidi). estic Sarà questo piccolo esserino che he rripulirà la nostra aria? Intanto le ricerche sulle lle vvarie possibilità del suo utilizzo continuano… …

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INTERVISTA

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di Marta Rossi

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LELLO ARENA e l’arte della comicità. “Annunciaziò! Annunciaziò!” gridava Lello Arena a Massimo Troisi e ad Enzo Decaro, in uno degli sketch più celebri degli anni ’70, quando si divertivano a far ridere il pubblico di “Luna Park” su Rai Uno. In questo periodo il comico napoletano è su Canale 5, nella serie “Baciati dall’Amore”, ma è anche a teatro con “Don Chisciotte” di Ruggero Cappuccio fino al mese di Febbraio, quando, insieme a Geppy Gleijeses e Marianella Bargilli, riproporrà il grande successo dello spettacolo teatrale “Lo Scarfalietto” di Eduardo Scarpetta. Tanti gli impegni lavorativi di Lello, accompagnati dallo studio costante e dall’aggiornamento necessario all’arte della comicità: “ogni comico deve continuamente confrontarsi con la società, filtrarne ogni quotidiana sopportazione per trasformarla in risata…”

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Cosa rende tale la comicità napoletana? Non esiste una comicità napoletana, milanese o fiorentina… quella che fa ridere è la comicità l’altra non lo è, indipendentemente da dove viene. Qual è il segreto per far ridere? Non voler essere il primo della fila, ma accettare di essere l’ultimo e non offendersi se gli altri ridono di te. La comicità ha una funzione importante perché fa compagnia a moltissima gente, ogni tanto qualcuno deve prendersi la briga di farla! Può essere molto difficile e faticoso, ma anche un dono da mettere a disposizione degli altri. Essendo uno degli insegnanti dell’Accademia internazionale d’arte drammatica del Teatro Quirino, come comunica questa capacità ai suoi allievi? Qualcuno è già portato e quindi sa come fare, gli altri possono imparare perché ci sono delle tecniche particolari, delle regole per far ridere. È come andare in bicicletta: all’inizio sembra impossibile, ma se c’è qualcuno che ti insegna le regole da osservare per far sì che la bicicletta possa andare dritta e veloce, ti sembrerà di esserci sempre andato… questa è la cosa migliore.

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Tra la comicità di oggi e quella del passato nota delle differenze? Come si pone nei confronti dei cambiamenti? Bisogna essere sempre vispi e vivaci, capaci di accoglierli e di fare anche degli esperimenti: Quest’estate mi sono confrontato con il limite di non voler fare dei monologhi. Pur non amando questo tipo di espressione della comicità, ho provato a fare il comico solista. Credo sia utile capire le proprie difficoltà, imparare delle nuove tecniche, continuare a studiare, documentarsi molto rispetto a quello che la gente comune è costretta a sopportare durante le proprie giornate. Nessun comico può far ridere se sta chiuso in casa, senza sapere cosa succede altrove. Bisogna andare fuori, vedere ed essere capaci di raccontare. Aggiornarsi continuamente. E rispetto al passato? Tutto quello che rispetto al comico c’è stato in passato va studiato: bisogna scegliere alcuni comici per provare a capire con che tecnica riuscivano a far sorridere. Per gli esempi classici dall’estero basta pensare a Chaplin, a Stan Laurel…per gli italiani c’era

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Eduardo, Peppino, Totò, ma anche Macario, Govi… Cosa ricorda in particolare di Massimo Troisi? Tanti anni della mia vita, difficili da raccontare, ma meravigliosi. Sono felice di averlo incontrato, perché abbiamo potuto scoprire molte cose di questo lavoro facendoci buona compagnia ed evitando che qualcuno potesse approfittare di noi, perché insieme si è comunque più forti. Come nasceva quest’intesa tra voi? Il fatto di essere molto amici e di stimarci reciprocamente faceva nascere quest’intesa che colpiva il pubblico durante gli spettacoli, perché i primi a divertirci eravamo noi. Certe cose succedono misteriosamente nella vita, come gli incontri straordinari che si possono fare. Tutto ciò che si sceglie di fare insieme diventa meravigliosamente più semplice, più divertente, più interessante. Bisogna essere curiosi ed aperti perché prima o poi da qualche parte c’è qualche amico che può fare con te un pezzo di strada e dividere così una grande avventura.

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Quali sono i progetti presenti e futuri? Sarò in teatro con “Don Chisciotte” di Ruggero Cappuccio, per la regia di Nadia Baldi fino a Febbraio, quando con Geppy Gleijeses e Marianella Bargilli sarò di nuovo in scena con “Lo Scarfalietto” di Eduardo Scarpetta. A primavera saremo al Quirino con lo spettacolo su Viviani “A Santa Lucia”. Inoltre sto lavorando ad alcuni progetti televisivi e teatrali che saranno presentati al pubblico solo nel 2013, secondo i tempi della televisione e dello spettacolo.

Qual è la cosa che la fa ridere di più? La comicità involontaria, quello che succede in qualche situazione dove nessuno sta cercando di far ridere, ma accadono poi cose molto divertenti. L’altro giorno ho visto una signora a cui si è incastrato un tacco in un tombino mentre passeggiava…c’era una fila di macchine che suonava all’impazzata e nessuno capiva perché la strada fosse bloccata! Era divertente perché tutti si davano un gran da fare per complicare la situazione!

Com’è Lello Arena nel quotidiano? Nel privato non mi posso permettere di mantenere sempre il livello di comicità che devo produrre in scena, o in televisione. Sono un po’ più tranquillo, affettuoso con gli amici, i parenti, i figli. Sono piuttosto furibondo quando vedo qualcuno che fa dei torti o che approfitta degli altri. Studio e lavoro molto, quando posso mi ritaglio un po’ di spazio per fare le cose più banali come la spesa, andare al cinema, fare una passeggiata o leggere un libro. Cerco di mantenere il contatto con la gente comune e passare delle giornate normali.

A quale domanda, che non le mai stata posta, piacerebbe rispondere? Se sono felice…

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Qual è la risposta? Non te lo dico perché non me l’hai posta! (ride)

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di Katerina Shlyakhina

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LA JAMAICA

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Una mezza crisi personale con la fotografia lo ha portato in Jamaica. La stessa fotografia che per lui è sinonimo di passione come il viaggiare che l’hanno portato un po’ dappertutto. A trent’anni Samuel Grin, alias Matteo Armellini, ha deciso di stabilirsi in quest’isola oltreoceano per scoprirla e scoprirsi. Finché non cambia il vento. Finché la fotografia non lo porterà da qualche altra parte nel mondo, sempre con lo stesso spirito vagabondo e curioso. Sempre alla ricerca della vera essenza di ogni luogo. Ed eccolo, Matteo che fa il mozzo su un peschereccio in Australia o in Wyoming spostando le mandrie solo per attingere, non solo con la macchinetta fotografica, all’anima del posto, dei suoi abitanti e delle sue tradizioni. Lui stesso dice: “Non mi va di sognare leggendo le avventure di qualcun altro sui libri. Mi piace vivere le cose. Anche nella fatica. Perché, anche quando facevo il mozzo per lunghi giorni in mare aperto, lo facevo seriamente pur essendo stipendiato come tutti gli altri. Il fatto che facessi delle foto e che abbia realizzato un buon reportage è una cosa in più. L’ importante è

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l’esperienza che ho vissuto e il bagaglio di ricordi ed emozioni che ho acquisito”. Questo romano dagli occhi azzurri, una voce profonda e un modo di parlare lento e rilassato, che quasi ricorda proprio la musica reggae, in Jamaica ha trovato il suo mondo, un’idea, uno scopo. Ma prima l’ha dovuta conoscere dal suo interno, dal ghetto. “ Ho cominciato a fare un reportage seguendo un ragazzo rasta sulla sedia a rotelle. In questo modo sono venuto a contatto con tutte le dinamiche che ci sono all’interno del ghetto e me ne sono innamorato, anche per la contrapposizione con le opinioni dell’esterno su quello che succede lì. Nel frattempo, mentre facevo il reportage su George, ho scattato foto della scena musicale giamaicana. E lì ho conosciuto un’altra faccia della Jamaica. Quella dei produttori musicali, delle macchine costose, dei soldi e della bella vita. Sicuramente una percentuale molto piccola rispetto al resto, ma comunque altrettanto interessante. Non per niente si dice che quando la Jamaica ama, ama forte. Quando odia, fa un casino.” Un paese, quindi, dalle differenze marcate, come gli eccessi. Dai mille volti e da mille storie che Matteo ha voluto imprimere e raccontare attraverso i suoi occhi, ma anche attraverso quelli dei giamaicani. Infatti, dopo aver esplorato le viscere di questa isola, ha deciso di smettere di raccontare e far raccontare quel luogo ai veri protagonisti. Secondo lui è proprio attraverso gli occhi di un ragazzo del ghetto che si può capire veramente questo luogo, che cosa è la Jamaica. Per questo motivo nasce la Jamaican School of Photography. Un percorso fotografico, interamente ideato da Matteo, che scegliendo dieci allievi del posto lì seguirà per un mese intero, insegnando loro come si usa una macchinetta fotografica, come fare le inquadrature e come imprimere un pensiero, un sentimento, un’impressione in uno scatto. Il mese successivo è la volta di un nuovo ghetto, nuove persone. Cercando di individuare i talentuosi, i volenterosi dei gruppi passati, sperando di aver acceso in loro la scintilla di quella stessa passione che brilla in Matteo. “ Comincerò proprio dal ghetto di George, dove già ci sono dei ragazzi giamaicani appassionati di fotografia, ma ai quali manca l’esperienza per rendere concreto questo loro interesse. Sottolineo che loro fanno parte di uno fra i più brutti ghetti esistenti, eppure vogliono imparare, ed io voglio dar loro questa possibilità, perché sono sicuro che riusciranno a raccontare la verità del bello e del brutto della Jamaica, come nessun altro potrà mai fare.”. Questo è Matteo, questi sono i giovani di adesso che hanno una passione e la vogliono trasmettere, che non hanno paura di cambiare, di sperimentare e di osare, cercando la propria strada al di là delle intemperie e al di là delle problematiche. Anche se abbandonano l’Italia, non la dimenticano, ma l’arricchiscono con l’esperienza. Matteo lo farà, portando in Italia i lavori migliori dei ragazzi giamaicani, mostrando la verità, la bravura e, soprattutto, la Jamaica. Prima che il suo istinto da viaggiatore raggiunga la prossima meta, portandolo chissà dove.

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MAISON

di Laura Lattuada

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DI CLEMENTE Photo Katherine Phair èAREA

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Si dice che, quando si incontra una donna molto bella, si è portati inconsciamente ad essere un po’ prevenuti nei confronti delle sue reali capacità: qualsiasi lavoro esse svolga, la manager la commessa, la ballerina o si da alla politica, la donna bella è spesso vista come una che occupa un dato posto “perché certo che la bellezza le è servita molto”….! Per un uomo bello questo modo di giudicare scatta meno facilmente: è difficile pensare che un industriale o un politico bello, abbia quella posizione “perché ha usato la sua bellezza”… Nel mondo dello spettacolo sulla bellezza maschile scatta un altro pregiudizio: un attore molto bello spesso viene considerato non particolarmente bravo. Dico di più: in Italia un attore con questi attributi si dice “bello e cane”. Potrei citarvi una serie di nomi di attori delle nostre fiction, che vengono guardati con grande sufficienza dai cosiddetti “addetti ai lavori”. È per questo motivo che sono convinta che questo pregiudizio al maschile, sia ancora più difficile da scalzare che non quello sulle colleghe donne! Sì, perché l’uomo molto bello,secondo me, inquieta, quasi imbarazza:te lo ritrovi davanti e non sai bene che atteggiamento tenere. “Lo guardo come se fosse un pezzo dell’arredamento della casa.” Oppure “Faccio l’intellettuale un po’ snob e non lo degno di uno sguardo”o ancora mi comporto distrattamente, come se la sua presenza o meno fosse irrilevante…. Nonostante conoscessi già Alessio, quando siamo saliti nel suo appartamento e si è tolto il giubbotto dopo un’ora di palestra sotto casa, sono stata indecisa quale di questi atteggiamenti avrei potuto scegliere, per avere un modo di fare disinvolto e noncurante!!!! Camicia sbottonata un po’ più della media, un filo di barba e uno sguardo che è un incrocio tra quello di un gattone e quello di un serpente a sonagli. Insomma, per un attimo ci stavo cascando anch’io: in quel modo di pensare lì. E sarebbe stato davvero un errore clamoroso. Dopo

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aver recitato nel “Caligola”di Camus per la regia di Pino Micol e presto in tv nella fiction “A fari spenti” con Francesca Inaudi, in una pausa tra una data e l’altra del suo monologo “Suerte” tratto dal romanzo di Giulio Laurenti sulla vita di Ilan Fernandez, Alessio mi ha raccontato la sua casa e la sua vita. Una casa che si è comprato con i guadagni di tanto teatro fatto negli anni: “Quando con il teatro si guadagnava ancora bene…!” mi dice ridendo. Una casa che, dal 1998, anno dell’acquisto, ad oggi è molto cambiata: inizialmente ci viveva con un regista amico, amico di pelle, tiene a precisare, e ora invece con la sua famiglia. Ylenia, due maschietti bellissimi, Johan e Elias, e una sorellina in arrivo a febbraio. La casa è stata ristrutturata pensando proprio a loro, ai bambini, quindi un grande open space in modo tale da poterli avere sempre sottocchio. E intorno quella confusione bella, di vita vera, di persone che vivono amandosi e giocando. Alessio mi indica un ritratto con il giglio fiorentino e comincia a spiegarmi quanto sia importante, determinante per lui, il suo essere fiorentino. E si capisce che è davvero sincero quando racconta che i fiorentini sono tutti un po’ spiazzanti, perché sono indipendenti e anche parecchio orgogliosi. “Capisci, Laura, non siamo noi che ci dobbiamo adattare, ma sono gli altri che ci devono accettare per quello che siamo!” Mi spiega quanto per lui sia importante essere libero, andare al di là delle cose e non vivacchiare accontentandosi. E intanto io continuo a guardarmi intorno: le foto dei suoi bambini e di lui con Ylenia sono ovunque! Non vedo foto che lo ritraggono mentre recita, ma solo immagini spensierate di loro quattro. Inevitabile

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continuare a parlare della famiglia! “Ho lottato tutta la vita per una vita serena” mi dice Alessio “Sai, credo che per arrivare molto in alto,chiunque debba passare sopra molte cose: io non so, ma se davvero fosse così, mi sta benissimo continuare a fare il mio lavoro esattamente come lo sto facendo adesso. Continuare ad investire sulla mia vita privata, come ho fatto da sempre.” Ci avreste mai creduto?!? Una semplicità e una concretezza da normale maritino e paparino qualsiasi! Per non fargli vedere il mio stupore, ritorno a parlare della casa. Vorrei capire cosa gli piace: i colori, gli stili…. Mi racconta di essere figlio di un antiquario e di essere cresciuto con il profumo del legno, che ancora adesso gli da la sensazione di essere davvero a casa. E del padre antiquario gli rimane il gusto per un arredamento classico, per cui nella zona pranzo spicca un bel tavolo ‘800 con a lato un lungo mobile dello steso periodo. Ma niente è troppo “serioso” in questa casa, ed allora accanto a questi pezzi indubbiamente belli e di pregio, ci sono una poltroncina di pezza per il bambino più grande e una specie di ciambella per quello più piccolo. La stanza è occupata da mobili, giocattoli di plastica e libri delle favole. Spontaneamente gli chiedo quale è l’oggetto a cui è più legato, quello che lo segue da sempre. Si alza e comincia a cercare nella libreria….. non trova … “Ma come… stava qui…è sempre stata qui…” Alla fine si rigira soddisfatto con un piccolo gufetto in alabastro. “Me lo regalarono quando avevo sei anni!” E io non posso fare a meno di pensare a tutti quei luoghi comuni sugli uomini tanto belli quanto vanesi e senza una vera anima...riflettiamoci! E tanti auguri alla piccola di Alessio che arriverà a febbraio!

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ARCHITETTURA

di Flaminia Colonna Bareti

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l’energia nasce sull’asfalto Usare il calore prodotto dal surriscaldamento del manto stradale per produrre energia è l’idea dell’olandese Ooms Avenhorn Holding BV. Lo sa bene chi vive in città quanto calore sprigiona una strada asfaltata al termine di una giornata estiva di pieno sole. Tutta energia termica sprecata che potrebbe essere utilizzata altrimenti, ad esempio per il riscaldamento domestico o per innalzare di qualche grado la temperatura dello stesso manto stradale ed evitare che ghiacci in inverno. Il Road Energy Systems sfrutta il potere captante dell’asfalto per produrre acqua calda e fredda: sotto il manto stradale di autostrade, parcheggi e aree di sosta sono collocati una serie di tubi a serpentina collegati a due aree sotterranee di immagazzinamento.

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Photo Fabrizio Ricci èAREA

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ARCHITETTURA

di Flaminia Colonna Bareti

L’acqua calda e quella fredda scorrono in circuiti separati che portano a due distinti sistemi di accumulo all’interno di uno strato sabbioso. Il calore assorbito in estate viene conservato per l’inverno e, viceversa, il freddo invernale è impiegato per il raffrescamento estivo. In inverno l’acqua viene pompata dalla sorgente calda, fatta scorrere nei collettori all’interno dell’asfalto e poi convogliata alla sorgente fredda. In estate accade il contrario: l’acqua viene estratta dal bacino freddo e utilizzata per raffreddare. Divenuto caldo il fluido che attraversa lo strato asfaltato viene scaldato ulteriormente dalla radiazione solare ed è infine convogliato alla sorgente calda. Tale tecnica permette di accumulare energia nel terreno con conseguenti considerevoli vantaggi: un

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risparmio sull’utilizzo di risorse fossili e di conseguenza una riduzione di inquinamento ed emissioni di gas serra mitigando l’impatto sull’ambiente; si evita lo spargimento di sale per prevenire la formazione di ghiaccio sulle strade; si allunga la vita del manto stradale normalmente deteriorato rapidamente dalle ampie escursioni termiche; migliorano le condizioni di sicurezza e si riducono gli interventi di manutenzione. Il Road Energy Systems può essere usato anche sulle piste degli aeroporti e nelle grandi stazioni ferroviarie. Nei Paesi Bassi, in Scozia, Inghilterra e Belgio il sistema è stato applicato con successo a strutture e abitazioni di varia metratura (dagli oltre 2.250 fino ai 600 metri quadri), con una spesa che in media può essere ammortizzata in soli sette anni.

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di Eugenia Benelli

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“Ho sempre pensato che dare nuova vita ad oggetti e materiali usciti dal ciclo vitale, fosse appassionante e poetico, oltre che eticamente giusto”. Per me la gioia più grande è sentirmi dire: “I tuoi oggetti mi parlano e mi emozionano”. Così Sabrina Ventrella, artista poliedrica che trasforma e dona nuovi significati personali ed emozionali alla materia.

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Come hai iniziato questo tipo di sperimentazioni? Il mio lavoro affonda le radici in un lungo periodo di formazione accademica che mi ha consentito di spaziare da pittura ad olio a mosaico, da scultura a restauro con solide conoscenze tecniche e mi ha permesso di sviluppare una forte sensibilità estetica e una capacità d’osservazione “creativa” della realtà. Questo bagaglio d’esperienze, unito alla scoperta del fascino per i materiali di scarto, è confluito negli ultimi anni nelle eco-creazioni, opere realizzate esclusivamente con materiali di

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scarto e oggetti in disuso. Il valore etico ed ecologico di questa scelta, non sta solo nell’impiego di vecchi oggetti o materiali altrimenti gettati via, ma nel conferir loro un nuovo valore estetico dato dalla composizione armonica e consapevole di colori, materiali e geometrie. Costruisco oggetti stratificati e complessi, che raccontano storie che spingono oltre l’apparenza, amo valorizzare gli aspetti poetici nella superficie abrasa di un vecchio legno o di un ferro arrugginito, proponendo equilibri tra originale e tradizionale, miscele di fantasia e memoria.

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Dove trai l’ispirazione? Il processo creativo che conduco è fortemente legato all’ambiente che mi circonda, spesso trae origine direttamente dalle forme naturali della realtà e degli oggetti che osservo. In altri casi invece l’ispirazione nasce spontaneamente attraverso libere associazioni mentali. L’impulso creativo viene spesso generato a partire dalla forma particolare di un vecchio oggetto o dalla conformazione di un materiale che, se opportunamente osservati, rivelano possibilità espressive inattese. Di qui inizia un processo di assemblaggio e manipolazione fino alla realizzazione dell’oggetto finale, in cui di frequente sperimento ibridazioni con le tecniche tradizionali del mosaico, della pittura e della scultura. Come realizzi materialmente le tue opere? Le eco-creazioni sono composte da materiali e oggetti disparati. La forma in alcuni casi nasce direttamente dall’assemblaggio di vecchi oggetti, che perdono la loro funzione originale, acquistando una nuova veste estetica e funzionale. Altre

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volte fisso l’idea iniziale sulla carta con bozzetti veloci, di seguito procedo delineando una forma sulla quale vengono assemblati i diversi materiali. È curioso da spiegare ma in qualche modo gli oggetti “mi parlano” mentre li osservo e mi suggeriscono per forma e dimensione la loro nuova collocazione in termini volumetrici, materici e di significato. Le caratteristiche composite delle eco-creazioni, necessitano di specifiche e diversificate competenze artigianali e l’impiego di strumenti diversi, non a caso nel mio laboratorio si possono trovare attrezzi mutuati da tecniche e tecnologie varie. Dove reperisci i materiali? È nella mia filosofia utilizzare qualsiasi tipo di materiale se lo ritengo interessante e stimolante, per questo attingo da fonti molteplici. Col tempo comunque, per ottimizzare i tempi e agevolare il reperimento di materie prime, ho costruito una “rete” efficiente che spazia dalle isole ecologiche, alla strada, dalle cooperative sociali che operano nel campo del riuso, agli scarti di esercizi commerciali, fino al coinvol-

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gimento di conoscenti e amici, opportunamente sensibilizzati alla pratica della raccolta e della selezione di “rifiuti”. Hai pensato di diffondere questo tipo di operazioni creative? Naturalmente. Da anni conduco laboratori di riuso creativo: esperienze ludiche e didattiche che hanno coinvolto nel tempo decine di persone di tutte le età. Queste iniziative stanno avendo grande successo perché coniugano creatività, tecnica, libertà di espressione e aspetti emozionali in cui l’estetica viene vissuta come un “valore”. A fine esperienza i partecipanti portano a casa un oggetto “concreto” di qualità, costruito a partire da linee guida che fornisco loro in tempi molto concentrati. Socializzazione, comunicazione, ri-focalizzazione e trasformazione libera sono concetti importantissimi su cui lavoriamo e sono occasione di grande ispirazione e apprendimento anche per me che li conduco. Da alcuni anni insieme allo storico dell’arte Carlo Piga, membro dell’associazione culturale Rianimarte di cui sono presidente, abbiamo

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sviluppato alcuni progetti di formazione del personale aziendale dove viene impiegata l’arte nelle sue varie espressioni. Raccontaci di più. Si tratta di un modello formativo alternativo e sostenibile, finalizzato allo sviluppo della creatività e al rafforzamento delle capacità di relazione col team di lavoro. Questo strumento sta avendo un certo successo soprattutto in occasione di convention aziendali perché l’arte favorisce una naturale messa in campo della propria personalità e delle capacità soggettive dell’individuo, elementi fondamentali che vanno valorizzati a pieno nelle realtà lavorative perchè strategici in termini di produttività, qualità e valore aggiunto. Facilitando attività ludiche e creative veicoliamo una progettualità “laterale” e trasversale, forniamo nuovi punti di vista spostando l’attenzione dei nostri interlocutori attraverso l’uso della metafora, strumento congeniale, anche se apparentemente “diverso”, agli obiettivi di business che i gruppi HR aziendali si prefiggono.

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Tra le esperienze più significative di eco-riuso che ti riguardano quali vorresti citare? Sicuramente i laboratori di “riuso creativo” per disabili che ho ideato e svolto nel 2003 presso la comunità di Capodarco a Roma e diversi progetti sviluppati nelle scuole del Comune di Roma. La mostra Ecofuturart, che si è svolta a

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Roma nel 2011 e il riconoscimento che ho ottenuto nel 2011 dalla giuria di qualità del concorso di arte figurativa sul tema “Il tacchino” che si è svolto a Canzano (TE), dove ho ottenuto il primo premio con un progetto in bilico tra tradizione e innovazione. Dal 2008 collaboro attivamente col programma

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televisivo “Paint your life” in onda su Real Time, dedicato al riuso e alla decorazione, chi fosse interessato a cimentarsi in brevi ma soddisfacenti eco-esperimenti può intercettare alcune mie proposte direttamente in tv. Per informazioni e approfondimenti: www.rianimarte.it

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di Donatella Lavizzari

SILVIO WOLF: LA LUCE COME

ELEMENTO PRIMARIO

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Si è appena conclusa al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano la mostra personale di Silvio Wolf dal titolo “Sulla Soglia” a cura di Giorgio Verzotti. Artista di fama internazionale, Wolf ha sviluppato un progetto appositamente concepito per gli spazi del PAC. L’illuminazione delle opere è stata realizzata in concerto dall’artista insieme al light designer Marco Pollice in un costante e stimolante dialogo creativo che ha accentuato la potente connotazione estetica ed emotiva delle opere.

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Scrive Giorgio Verzotti: “Silvio Wolf lavora alla fotografia come “oggetto” di luce che si trasfigura in immagine e che si amplifica in ambienti, immersa in una totalità di stimoli sensoriali. Questa mostra ne la prova: in essa è leggibile l’intero percorso dell’artista nel suo lungo e coerente lavoro sulla fotografia, che l’ha portato verso una radicale forma di astrazione, a partire da una prospettiva che possiamo definire concettuale”. Questa è la sua prima mostra personale al PAC di Milano che presenta trent’anni di attività artistica, ce ne vuole parlare? La mostra è stata concepita come un unico viaggio attraverso 7 sezioni espositive, lungo un percorso nel quale il visitatore è posto al centro

di un’esperienza visiva e sensoriale. Di questo viaggio la luce è l’elemento primario, mezzo e soggetto dell’opera, ponendo il pubblico in una condizione che amo definire “di ascolto”. Il progetto espositivo si compone di installazioni ambientali, opere fotografiche, video proiezioni e opere interattive. La sala 1 è dedicata a Light Wave, l’opera realizzata per la 53° Biennale di Venezia: una grande architettura di luce posta sulla soglia del percorso espositivo, che sigla la dimensione sensoriale della mostra e introduce alle successive stazioni del viaggio. La sala 2 presenta il ciclo di opere fotografiche Soglie: immagini simboliche di architetture dal

1980 al 2009, che indagano il rapporto percettivo e metaforico tra interno ed esterno, presenza ed assenza, presente ed altrove. La sala 3 presenta il ciclo Orizzonti, astrazioni del linguaggio fotografico realizzato dal 2002 ad oggi, nelle quali la luce letteralmente scrive il proprio codice linguistico direttamente sui supporti fotosensibili. La sala 4 è dedicata alle Icone di luce, che

esplorano la tematica dell’apparizione e scomparsa dell’oggetto-immagine. Sono fotografie di quadri ad olio nelle quali la stessa luce che genera l’immagine fotografica distrugge quella pittorica. La sala 5 presenta le proiezioni di Scala Zero e il Tesoro, video del 2004 e 2006, che rappresentano due magici viaggi “in soggettiva” attraverso il Teatro alla Scala di Milano ed il caveau di una

banca Svizzera. Nel primo lavoro appare la vita segreta del teatro, la realtà celata allo sguardo dall’impianto architettonico: la messa in scena della quale il pubblico è l’inconsapevole attore. Attraverso questa esperienza il Teatro rivela che il Luogo è l’evento. Nel secondo il viaggio si compie in uno spazio luminoso e riflettente d’acciai, nel quale l’invisibile osservatore perviene, attraverso varchi di

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luce bianca, in un’alterità rappresentata da elementi simbolici d’architettura e di luce. Per la Sala della è nata l’installazione sitespecific “Sulla Soglia”, un’ immateriale scultura di luce che permea l’intera sala, la grande vetrata, lo spazio architettonico e i marmi bianchi riflettenti del pavimento. La retro-illuminazione della parete vetrata pone in collegamento l’interno con l’esterno creando un campo di spazio e di energia del quale il pubblico è fruitore e protagonista. Infine la Galleria al primo piano è interamente dedicata alla seconda installazione site-specific, Le parole Invisibili, realizzata mediante

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l’uso di luce, suono e superfici specchianti nere riflettenti. Quest’opera/luogo intende porre il visitatore al centro di un sentiero visivo e sonoro del quale essere il consapevole protagonista, ponendolo in una condizione di ascolto e di riflessione di tipo meditativo. Sul piano tecnico, chi ha collaborato con lei a progettare un’illuminazione ad hoc, per materializzare l’idea di spazi sensoriali e delineare il tema della “Soglia”? Ho incontrato magnifici compagni di strada lungo il mio percorso di ricerca, che è assieme progettuale ed esistenziale: le mie opere sono

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l’espressione di una visione la cui poetica è interpretata e condivisa da coloro che mi affiancano in questo percorso. Per la Mostra del PAC mi sono avvalso della preziosa collaborazione di Marco Pollice, il light designer assieme al quale ho affrontato problemi non solo tecnico-realizzativi ma di valore progettuale e simbolico. Nella realizzazione dell’installazione “Sulla Soglia” ho immaginato la presenza di una luce sorgiva molto intensa e assolutamente visibile, irradiante, non invasiva ma pervasiva, che fosse una parte costitutiva dell’opera trasformando lo spazio architettonico in un luogo inclusivo, del quale poter essere “parte, soggetto e opera”.

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/D FODVVH $

è il più importante riconoscimento perchè una casa possa definirsi “&DVD 6RVWHQLELOH” per FODVVH $ si intende la certificazione, come da parametri di legge , attesta che la “macchina casa” sia efficiente da un punto di vista dell’involucro edilizio come pure da quello degli impianti: massimo comfort, funzionalità degli spazi e finiture di pregio, ma soprattutto produzione di energie rinnovabili, bassi consumi, bassa emissione di CO2 e utilizzo di materiali bio.

i voti di una casa 0$58$/ risparmio energetico e risparmio in bolletta rispetto per l’ambiente funzionalità della casa finiture e materiali costruttivi sicurezza

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collettivo è conseguente IlIl benessere nostro concetto di &$6$ a quello del pianeta, sia negli spazi chiusi, nei quali trascorriamo gran parte della nostra vita, che in quelli aperti, dai quali riusciamo a trarre le energie vitali per un vivere di qualità. Nel progettare e costruire le case, noi di 0$58$/ utilizziamo solo materiali ecologici, nel risparmio delle risorse esistenti e a garanzia di un basso impatto ambientale.

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Risparmio energetico e in bolletta: la casa, integrando scelte architettoniche ed impiantistiche consuma poco. Per la presenza dell’impianto fotovoltaico si possono richiedere gli incentivi previsti dal meccanismo d’incentivazione, noto come “Conto Energia”, ai sensi del Decreto Intermin. del 19/02/07 al Gestore 2 dei Servizi Energetici Spa (GSE)

Rispetto per l’ambiente: bassissima emissione di CO2 dovuta ai bassi consumi; 3 utilizzo di materiali bio; recupero acque piovane;

Funzionalità della casa: ogni ambiente è stato studiato curando nel dettaglio la distribuzione, i percorsi e le funzioni della casa

Finiture e materiali costruttivi: pavimenti e rivestimenti di qualità sia all’interno che all’esterno; tetto in legno; sanitari e rubinetterie dal design innovativo; materiali costruttivi di qualità;

Sicurezza: l’intera casa è provvista di grate o persiane; portoncino blindato; impianto Video-citofono; predisposizione allarme perimetrale e volumetrico

in collaborazione con:


ARTE di Marta Marta Rossi Rossi

SFUMATURE di donne Si spengono le luci e sul grande schermo, di fronte al pubblico, scorrono le prime immagini accompagnate dalla musica: foto che sembrano raccontare una storia. Il tema della serata è quello del “reportage sociale”, questo è solo uno dei cinque appuntamenti organizzati al Teatro Due di Roma, nell’ambito della rassegna di mostre fotografiche “Shades of Women”. A guidare il pubblico nella scoperta di questa nuova forma artistica è Ilaria Prili, fotografa professionista che ne ha curato la realizzazione. La fusione di musica, danza, letteratura e fotografia, avviene attraverso uno sguardo tutto al femminile, sensibile alle tematiche che coinvolgono la società attuale.

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Come si rapporta la fotografia con la danza, la musica e la letteratura? Come si inserisce nel contesto del teatro? Sono diversi anni che fotografia e musica viaggiano di pari passo, la seconda aiuta ad entrare meglio nel contesto, a mantenere alta l’attenzione sulle foto. Grazie alla possibilità offertami dal Teatro Due, ho pensato di poter far rivivere le immagini di vita reale, attraverso le proiezioni delle stesse sulla danzatrice, così si è venuto a creare l’intreccio tra fotografia e danza. Lo stesso vale per le letture dal vivo. Mi sembrava un’occasione nuova di espressione della fotografia.

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Photo Alessandra Quadri èAREA

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“Shades of Women” è una rassegna di mostre fotografiche multimediali, cosa offre questo tipo di mostra rispetto all’esposizione? È una cosa diversa, è un passo verso la novità, è un’avventura interessante perché c’è un’ulteriore ricerca dietro, quindi ha un suo fascino del tutto particolare. Perché le donne come protagoniste? Il Teatro Due aveva già da due anni in corso una rassegna che riguardava il mondo femminile, così Marco Lucchesi mi ha proposto di collaborare attraverso il mondo fotografico. Ci sono tante fotografe molto brave che stentano, tendono ad avere minor rilievo rispetto agli uomini. Benché io non ami fare distinzioni di sesso, ho pensato che sarebbe stata una bella idea lavorare tutte insieme. Con che occhi guardi alla realtà? Come la vedi attraverso l’obiettivo? Io ho un rapporto particolarissimo con la macchina fotografica. Molti fotografi dicono che vedendo la realtà attraverso la macchina, hanno uno sguardo più ravvicinato, immediato e vero su di essa. Io credo al contrario che tolga la possibilità di una visione a tutto tondo, infatti, tendo a non fare molte fotografie. Nel momento in cui sento la necessità impellente è perché ritengo che sia un istante veramente unico e cerco di catturarne l’esperienza. Credo che la macchina fotografica sia un oggetto ambivalente, che può far perdere il senso del tutto.

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Sulla presentazione alle tue foto si legge: “Chi guarda le sue immagini è invitato ad un colloquio con il Bello, vivendo così la dimensione poetica del Sogno” in che modo? Perché si dice che le mie immagini abbiano una relazione molto forte con la grazia, con l’eleganza, con una certa poesia. Credo che sia uno stato d’animo che

esce fuori quando scatto, è un momento in cui io non ragiono molto, è una cosa istintiva. Cosa vorresti cogliere nell’occhio dell’osservatore alla vista di una tua foto? Coinvolgimento. Cosa ci puoi dire delle artiste scelte per far parte di questo progetto? Perché proprio loro?

Perché sono tutte molto diverse l’una dall’altra e ognuna di loro ha stili, doti, qualità e missioni differenti. Sono proprio alcune fotografe a raccontarci delle loro missioni: Alessandra Quadri ha realizzato un reportage sui matrimoni infantili che vengono celebrati in India e che sono del tutto illegali:

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“Per il lavoro Marta «Spose Bambine» ARTE Rossi ho ricercato inti-

mità nella fotografia, mi sono concentrata sul ritratto, alla ricerca di una bella luce. Mi piace far scomparire la mia presenza per esaltare i soggetti delle foto. Quando sono andata in India ero preparata sull’argomento, ma trovarsi lì è diverso: in quei luoghi non c’era acqua né elettricità, sembrava di essere fuori dal mondo. Le ragazze protagoniste del servizio, giovanissime, mi hanno comunicato profonda tenerezza, avevano una curiosità incredibile: guardare me dietro la macchina fotografica era come vedere una marziana! Un ricordo particolare è quello del ruolo degli animali all’interno della famiglia, che hanno il posto d’onore insieme al nonno. Nonostante i cinquanta gradi del deserto mi piacerebbe tornare lì e rimanere più tempo, stare con loro notte e giorno per stabilire un contatto più profondo”. La fotografa Maike Pullo, attraverso il suo lavoro “Persepolis Reloaded” esprime con molta determinazione la sua opinione sul tema della terra d’origine: “Ho seguito per un periodo delle ragazze iraniane che vivono qui a Roma. Ho scelto questo tema perché c’erano appena state le elezioni, si parlava della rivoluzione verde in Iran e io mi chiedevo: chi sono queste ragazze lì per strada? Chi è questa Neda che è diventata quasi il simbolo di questo movimento e della forza delle donne? Convincerle a farsi fotografare non è stato facile, perché sono persone che vivono nella preoccupazione di essere controllate. È un lavoro molto silenzioso, intimo, personale, sulla lontananza e sul fatto di sentirsi stranieri: raggiungere la libertà in un Paese estero ed essere testimoni passivi di una situazione di violenza a casa, vivere nell’ansia di essere scoperti, senza potersi esprimere neanche a così tanti chilometri di distanza. Una libertà non vissuta con serenità, che, una volta conquistata, lascia spazio a quella solitudine e senso di mancanza verso la propria cultura, facente parte dell’identità di ognuno”. Gli ultimi sguardi al femminile si focalizzeranno sui contorti ambiti dell’eros, della corporeità, della psicologia: il 28 novembre e il 12 dicembre bellezza, SadoMasochismo e depressione solo alcune delle tematiche affrontate da questo connubio tra arte e fotografia. Per ulteriori informazioni sugli appuntamenti consultare i siti: www.shadesofwomen.it www.teatrodueroma.it

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POLO

di Stella Lozovik

Dall’èlite al grande pubblico.

IL POLO:

meta raggiungibile

Coraggio, intelligenza e umiltà. Questi gli ingredienti fondamentali per un buon giocatore di polo. Ma la storia non finisce qui. Lo “Sport dei re” comunica con il pubblico, regala intense emozioni. Tutto ha inizio 2500 anni fa, in Asia centrale. Gengis Khan era alla conquista dell’Iran e dell’Afghanistan e il polo diventava man mano quasi una disciplina, una prova per misurare il valore del guerriero e la sua personalità. È solo nel 14° secolo che il polo arriva in India e lì non si gioca più soltanto

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sul cavallo, ma si inizia a giocare anche sul dorso dell’elefante. L’evoluzione continua. Nel 18° secolo in Inghilterra il polo assume una certa importanza. Le regole cambiano, nascono i polo club, strutture nuove e portanti per la vita britannica. La diffusione avviene anche in Europa e un po’ in tutto il mondo. Nel 1983 nasce la FIP, Federazione Internazionale di Polo, fondata a Beverly Hills, in California. Dagli anni ’80 in poi, infatti, prende il via a una delle più importanti manifestazioni organizzate dalla FIP: la Coppa del Mondo, con migliaia di telespettatori che assistono appassionati a queste sfide emozionanti. Considerato per molto tempo come sport d’èlite, negli ultimi anni ha fatto passi da gigante: è riu-

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scito ad andare incontro a una realtà più a misura d’uomo ed ha avvicinato un pubblico di gente “comune” , si è insomma democratizzato, riuscendo a far di questo uno dei suoi punti di forza. Tante sono state le manifestazioni di cui il polo si è reso protagonista, allargando anche la rete internazionale. La sponsorizzazione ha, quindi, assunto un ruolo più che centrale, piazzandosi al centro della strategia di marketing per la divulgazione della disciplina. È proprio lo sport a permettere un notevole aumento della notorietà del brand e a migliorarne l’immagine. Moda, gioielli, banche, alberghi di lusso, vini, liquori, compagnie aeree, gallerie d’arte, ristoranti; sono stati i settori che si sono resi protagonisti

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di molti eventi, manifestazioni e tornei di polo. Ed è proprio l’accostamento del polo con il brand dell’azienda a creare valore sociale, a dotare entrambi di grande credibilità. Unico polo club in Francia è il Polo Club Saint – Tropez, che offre un’esperienza unica ed esaltante: inserito in un magnifico villaggio francese, Gassin, Tra Saint – Tropez e le spiagge di Pampelonne è nato 13 anni fa, da un’idea di Corinne Schuler, presidente del Club e accanita giocatrice di polo, sponsorizzato dai fratelli Gracida, nel tempo è cresciuto e si è evoluto, andando sempre più incontro alle esigenze sportive internazionali e fungendo da luogo di attrazione per le squadre internazionali. La stagione inizia da Aprile fino a Settembre, durante questo periodo si organizzano circa 14 tornei di rilievo internazionale. Eventi prestigiosi sono previsti per ogni torneo, al fine di attirare appassionati, giocatori e vip. Cene di gala, seminari, matrimoni, manifestazioni d’arte ed eventi privati. In una parola, luogo d’incontro privilegiato dove le squadre del mondo possono giocare senza, però, che tutto si limiti al gioco.

Il Polo Club Saint-Tropez è anche uno dei rari club di polo in Francia ad avere una propria scuola sia per i principianti che per giocatori affermati. La scuola supervisionata da Juan Martin Garcia Laborde e resta aperta da Aprile a Settembre. Mette a disposizione dell’allievo tutte le attrezzature: dai cavalli agli stivali, dalle selle alle mazze ed altro, personale compreso. Gli allievi possono avere qualsiasi età: si accettano bambini di minimo sei anni, in poi. In base al livello raggiunto e alla fine delle lezioni si organizza una partita per gratificare l’allievo e trasmettergli quella carica che lo motivi e lo stimoli a fare meglio. E non finisce qui. La Clubhouse offre dell’altro. In stile barca a vela di legno, se all’esterno si presenta come una tipica casa provenzale, è all’interno che arriva la sorpresa: ci si tuffa improvvisamente in una realtà che sembra sfumare tra il fascino di uno yatch e l’eleganza di un club inglese. Immerso in un’oasi quasi magica è il ristorante, “La table du Polo”, che si è guadagnata nel tempo due forchette nella Guida Michelin. Qui si ha la possibilità di riceve-

re il meglio per il palato, soprattutto per quel che riguarda la tradizionale e raffinata cucina italiana mentre la serata è allietata da una fantastica atmosfera, regalata da un romantico piano bar e da una terrazza che offre un incantevole panorama immerso nel verde. Accanto al ristorante c’è il negozio: per la vendita di importanti brand di polo; giacche, cappelli, borse e tutto ciò che può servire per giocare. In Italia, data simbolo per la divulgazione del polo è senza dubbio quella del 2007, anno in cui nasce VLADI POLO Associazione. Un’esperienza recente che in questi anni si è già spesa in tutti i modi per promuovere e divulgare il Polo in Italia. L’associazione è stata fondata da Vladlena Belolipskaia Guerrand Hermès, prima giocatrice di polo nella storia della Russia, attuale Presidente dell’Associazione ha lavorato alacremente per rendere più accessibile questo sport, che da sempre è considerato elitario. La mission dell’Associazione è, infatti, riuscire ad arrivare al grande pubblico, in perfetta consonanza con il Polo Club Saint – Tropez.

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GOLF

di Fig

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CHALLENGE: TIGER WOODS TORNA AL SUCCESSO Tiger Woods è tornato al successo dopo due anni imponendosi nel Chevron World Challenge, torneo non ufficiale del PGA Tour riservato a soli 18 selezionati giocatori disputato sul percorso dello Sherwood CC (par 72), a Thousand Oaks in California. Con un giro finale in 69 (-3) colpi e il punteggio di 278 (69 67 73 69), dieci sotto par, ha superato Zach Johnson (279 - 73 67 68 71, -9), che lo sopravanzava di un colpo dopo 54 buche. Al terzo posto con 283 (-5) l’inglese Paul Casey, autore di una brillante rimonta iniziata dall’ultimo posto occupato dopo il turno iniziale, al quarto con 284 (-4) Hunter Mahan e Matt Kuchar, al sesto con 287 (-1) Jim Furyk, Rickie Fowler, Bubba Watson e lo scozzese Martin Laird. Scivolone finale di Nick Watney finito in coda al gruppo con 299 (+11), dopo un 77. Woods ha iniziato il torneo al secondo posto con tre colpi di ritardo dal coreano K.J. Choi, poi nel secondo turno si è portato in vetta con tre colpi di margine su Matt Kuchar e sullo stesso Choi, ma nel terzo ha trovato una giornata decisamente storta

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ed è stato superato di un colpo da Zach Johnson. Il giro conclusivo è stato una sorta di match play. L’ex numero uno mondiale ha annullato subito lo svantaggio e i due sono transitati alla pari sulla buca 9, poi Woods è andato avanti con due birdie (10 e 11), ma un suo bogey alla 12 e un birdie di Johnson alla 13 hanno ristabilito la parità. Alla 16, par 5, Johnson ha segnato un birdie, cosa che non è riuscita a Woods, a causa di un errore sul secondo colpo. A quel punto è riapparso all’improvviso il Woods vecchia maniera, quello che realizzava esattamente tutto ciò che gli occorreva: servivano due birdie e sono arrivati. Alla 17 (par 3) ha messo la palla a quasi tre metri dall’asta e ha centrato la buca, mentre alla 18 ha piazzato la pallina con il secondo colpo a due metri dalla bandiera, dopo che Johnson l’aveva posta a poco più di quattro. Quest’ultimo ha mancato il difficile putt e Woods non l’ha perdonato conquistando il titolo per la quinta volta e un premio di 1.250.000 dollari sui cinque milioni in palio. E il pubblico, che era dichiaratamente tutto per lui, gli ha tributato un’autentica ovazione. Alla domanda se fosse rimasto sorpreso dai due birdie finali di Woods, alla luce delle traversie de-

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gli ultimi due anni, Johnson ha risposto:”No, per niente”, ma dall’espressione della sua faccia si è capito che la risposta che avrebbe voluto dare era un’altra. “Penso di poter essere candidato al Comeback Player of the Year” ha detto scherzando Woods in sala stampa, poi ha spiegato il suo ritorno alla vittoria. “Ho dovuto attendere di ritrovare la buona salute e solo allora ha potuto riprendere ad allenarmi a pieno ritmo, potendo fare tutti i movimenti necessari senza problemi. Poi ho provato e riprovato pazientemente ogni colpo per ricostruire il mio gioco ed essere ripetitivo”. Sotto la guida di Sean Foley, il suo coach, Woods ha cambiato molte cose nello swing: “Ora so cosa debbo fare e come eseguirlo bene. Inoltre nel momento di massima pressione ho effettuato i tre migliori colpi di tutto il torneo”. Quanto a Foley, che stava seguendo la gara in televisione nella sua casa di Orlando, prima che Woods salisse sull’ultimo tee ha inviato un messaggio: “E’ sul punto di farlo”, intendo dire che il lungo digiuno di vittorie stava per finire. L’ultimo successo di Woods risaliva al 15 novembre 2009 quando si era imposto nel JBWere Masters, torneo realizzato in combinata tra l’European Tour e l’Australasia Tour.

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BENESSERE

di Farmacia Rossetti

A Natale

si festeggia con la dieta appropriata

getti che abusano di carboidrati. Per altri è fondamentale una dieta metabolica che personalizzi quella richiesta fisiologica dell’organismo di utilizzare quegli ueg alimenti che sono in difetto nella quotidianità inn modo mo da riequilibrare le carenze di nutrienti a carattere tter prevalente anabolico o più spesso a carattere cat catabolico. È importante anchee il ccosidetto Test Metabolico SRT che verifica la natura tura del blocco del metabolismo e permette una rapida apid e pratica stimolazione del metabolismo. È fondamentale valutare uta bene i vari assetti ormonali e metabolici della persona e cioè della funzionalità pers tiroidea, surrene, ovaio, vaio testicoli, pancreas endocrino ed esocrino. Inoltre la capacità di eeliminazione tossine da parte degli emuntori: fegato, ato, reni, intestino principalmente che sono molto spesso coinvolti (intossicazione, spe ritenzione idrica , stitichezza) titic Per campi di disturbo bo aalimentare intendiamo anche le “alterate tolleranze ag agli alimenti”cioè per tutti quegli alimenti che usati più ffrequentemente possono provocare disturbi alle var varie funzioni dell’organismo. Le più frequenti sono: ono 1) farine e cereali raffinati (pane e pasta ma non raf solo) soprattutto tto ddel grano/frumento 2) i lieviti 3) il latte e i derivati ati (pomodori, patate, peperoni, 4) le solanacee (po altre verdure (carote/lattuga/ melanzane) e alt finocchio..) 5) gli oli cotti e il burro 5) alcuni tipi di carne e pesce 6) alcuni tipi di frutta 5) i nervini cioè sostanze attive sul sistema nervoso (caffè/tè/cioccolata/vino) 6) zuccheri raffinati 7) conservanti e additivi alimentari

Si avvicina il natale e i suoi rischi sempre concreti: mangiare troppo e di tutto senza regola. Classicamente le persone rimandano il pensiero del sovrappeso e della dieta alla tarda primavera ma questa è una rubrica di prevenzione e alimentazione ed è questo il periodo giusto per non affaticare il metabolismo. I grassi e i dolci e le quantità esagerate ovviamente sono i responsabili di quello che da un po’ di anni ironicamente chiamo “Effetto Panettone” Per molti il miglioramento della vita e dello stato di benessere “ concreto” sono fisiologicamente: la dieta e la depurazione e spesso vanno di pari passo: migliorare una la resa dell’altra. Il sovrappeso oltre ad essere un problema per molti di sicurezza e percezione del proprio corpo (e spesso di non accettazione) è, dobbiamo ricordarlo, una causa/concausa di possibili malattie serie e purtrop-

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po diffuse: diabete, aterosclerosi, ipertensione, problemi cardiaci, tumori…. Ma come dimagrire nel periodo in cui “fioriscono” le diete consigliate dall’amica e dal fai da te?. È necessario ribadire di consigliarsi con esperti del settore che sappiano ben inquadrare le problematiche del singolo e quindi guidare soprattutto verso uno stato di salute ideale e consapevole. La dieta è bene che sia individualizzata su queste necessità eliminando quei “CAMPI DI DISTURBO ALIMENTARE” che sempre più spesso bloccano la riuscita di una dieta fai da te. Tra queste diete ricordiamo per chi ha problemi di metabolismo lento per esempio con tendenza a iperglicemia e ipercolesterolemia la dieta a zona di Barry Sears magari utilizzando molte proteine di origine vegetale (soia, tofu; legumi in genere) in alternativa alle proteine animali (carne animale). Oppure la dieta tisanoreica, una dieta proteica molto rapida, efficace e sicura. Questa dieta è possibile solo per poche settimane (max 6) comunque seguite dal medico per quei sog-

in tutti i casi e in tutte le diete un primo passo è una buona depurazione cioè eliminazione di tossine o drenaggio degli emuntori (fegato/reni/intestino) ma anche del sistema linfatico con estratti di piante o con prodotti omeopatici complessi idonei. Nel frattempo effettuare una rieducazione del sistema immunitario soprattutto con farmaci omeopatici mirati.

Tanti auguri di un sano e naturale Natale. Per approfondimenti o chiarimenti Farmacia Rossetti Laura Via Maremmana Inferiore, 300 Villanova di Guidonia 0774325418

Photo Alto Adige Marketing©StefanoScatà èAREA

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GUSTO

di Giusy Ferraina

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CAMPOLI, ARTE E PASSIONE AI FORNELLI

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Il grande pubblico lo conosce come lo chef di Rai Uno. Da dieci anni è, infatti, consulente e chef di trasmissioni televisive. Reduce dal grande successo radiofonico con le sue “Breakfast news” su Radio Rai Uno, da ottobre è protagonista di una rubrica sulla cucina consapevole all’interno di Uno Mattina e di una rubrica sulla cucina italiana per “Italia chiama Italia” su Rai Internazionale, il canale degli italiani all’estero. Fabio Campoli è anche testimonial, docente e consulente per aziende, organizzatore di eventi, tra i maggiori esperti internazionali di food design. Tre libri all’attivo e due in cantiere. Presidente del Circolo dei Buongustai. Questa, in sintesi, la poliedrica attività di Campoli: uno chef fuori dagli schemi, che ha deciso di fare il suo lavoro lontano dalle cucine dei ristoranti, portando con sé l’esperienza maturata, i suoi continui studi e la curiosità che lo contraddistingue. Pioniere di un nuovo modo di interpretare la figura dello chef lungo un percorso gastronomico alternativo. Da due anni, con gli eventi del Circolo dei Buongustai e le sue ricette, è ospite fisso di èArea; prima di inaugurare la stagione per un nuovo percorso gastronomico insieme con i nostri lettori, lo incontriamo per conoscerlo più da vicino.

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Fabio Campoli, ti definisci uno chef alternativo o controcorrente? Direi più controcorrente. Il fatto di non avere un ristorante la dice lunga sulle mie scelte di lavoro e anche di vita. Cosa ti ha portato ad allontanarti dalle cucine dei ristoranti e creare il Circolo dei Buongustai? Le esperienze in Rai prima, lo studio e le consulenze mi hanno portato a scegliere, ben dieci anni fa, un modo diverso di essere chef, sdoganando la classica figura del cuoco. Il Circolo dei Buongustai è stata una conseguenza a un nuovo stile di vita, è il frutto di un mio desiderio, che in fondo esprime il mio modo di vedere la cucina e la vita…. Lo slogan dell’associazione è “intorno alle buone cose”. Cosa sono per te le buone cose ….? Sono una metafora, che tutti dovremmo tenere come riferimento. Una metafora che vuole rappresentare da un lato i prodotti fatti con coscienza, ma anche le persone che condividono la passione, la correttezza e l’amore per il proprio lavoro e le cose belle della vita. Quali sono gli ingredienti per un evento d’eccellenza, come quelli del Circolo dei Buongustai? La passione innanzitutto. Poi l’unicità dell’evento, perché ogni evento deve essere pensato come unico nel suo genere e curato nei minimi dettagli. Dall’accoglienza dei commensali, alla selezione dei prodotti e la loro lavorazione, all’ideazione di un menù. Studiamo un evento a 360 °, non diamo mai

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niente per scontato, ma proviamo a fare sempre qualcosa in più.

cultura della cucina e la qualità di vita, che viene anche dal cibo.

Secondo Fabio Campoli la cucina è un modo di fare arte? Sicuramente, e posso dire che la cucina a modo suo può diventare una vera e propria espressione artistica. Fare cucina è soprattutto artigianato, ma se ci aggiungiamo il talento, la fantasia, studio e cultura, oltre a una gran dose di passione, può diventare sicuramente arte.

Qual è secondo te l’aspetto che contraddistingue Fabio Campoli e la sua cucina? E quello del Circolo dei Buongustai? La semplicità. Infatti definisco i miei piatti semplicemente differenti… Questo non significa realizzare ricette facili, ma saperne cogliere l’essenza. Sono molto attento alla qualità degli alimenti con un occhio sempre attento alla salute e amo gli abbinamenti originali, sperimentali,quelli che danno un tocco più di eleganza al gusto. Per quanto riguarda il Circolo dei Buongustai posso dire che in quello che facciamo abbiamo sempre tanto entusiasmo per affrontare le sfide nuove del mercato con cura e professionalità.

Chef, food designer e scrittore, hai declinato la cucina sotto diverse forme d’arte. Qual è la qualità che le accomuna? La passione per il lavoro che faccio e la voglia di dare un messaggio, per far crescere e migliorare la

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Qual è la tua filosofia in cucina? E’ la stessa anche nella vita? Tengo a definire la mia cucina, la cucina del rispetto. Rispetto per gli alimenti, per la qualità, per il lavoro, per i miei collaboratori. Mi piace lavorare in armonia e allo stesso modo mi piace vivere così…

Photo Pino Polesi

Qual è l’artista che ti ha maggiormente ispirato nella creazione dei tuoi piatti Escher, per le sue armonie geometriche, le molteplici percezioni delle cose e dei piani, i suoi giochi grafici, così reali e fantastici insieme. Di fronte al fenomeno, sempre più diffuso, della cucina spettacolo come alimenti l’amore per la cucina, quella vera? È vero oggi ci sono chef alla radio, in tv, in fiere e manifestazioni di ogni genere… la cucina e l’enogastronomia sono diventate protagoniste della comunicazione. Personalmente per me la cucina spettacolo significa comunicare alle persone un modo di cucinare correttamente, fare allo stesso tempo formazione e informazione attraverso i media. La cucina, quella tradizionale, me la vivo quotidianamente in ogni momento del mio lavoro, dai banchetti alle cene per gli amici, a ogni momento da passare insieme alla persone.

www.ilcircolodeibuongustai.net – www.fabiocampoli.com

L’elemento essenziale che non deve mai mancare in cucina per Fabio Campoli Il rispetto per le persone per cui lavoro…. Viste le tue esperienze mediatiche, è meglio la radio o la tv? Due modi diversi di essere visibile. Sto in tv da tanti anni ormai e mi trovo a mio agio, la radio è stata una scoperta recente, Radio Rai Uno, Radio Capital e Radio KissKiss mi hanno fatto da palestra. E devo dire che è una bella esperienza, divertente. E poi parlare di colazioni è stata una bella sfida, un argomento interessante che mi ha fatto scoprire tante cose nuove e mi ha reso un po’ pioniere di questo nuovo fenomeno mediatico. Qualche anticipazione su prossimi eventi? È in uscita il mio nuovo libro, “Il mattino ha l’oro in bocca”, nato dalla mie Breakfast news in radio. Un libro giovane, spiritoso, che raccoglie 100 buone colazioni accompagnate da altrettanti aforismi per iniziare al meglio la giornata. Penso sia una cosa nuova, originale, adatta a tutti e con tante idee da sperimentare.

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In allegato a EstArea Magazine un regalo speciale per i lettori: “Menu delle Feste di Fabio Campoli” Un inserto dedicato alla cucina natalizia, 16 ricette per i giorni di festa da preparare e condividere in famiglia e con gli amici, firmate dallo chef Fabio Campoli. Da non perdere e conservare gelosamente!

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www.arcadicapena.it

www.emmepiu-supermercati.it

Via tiberina, 73a - 00060 CAPENA (Rm) - DOMENICA APERTO - ORARIO CONTINUATO


La Tenuta di Rocca Bruna

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Tradizione e innovazione nella semplicità degli ingredienti selezionati con passione e cucinati con tecnica rigorosa e fantasia, questi gli elementi che sintetizzano i piatti

proposti dal ristorante La Tenuta di Rocca Bruna. Cura nella scelta delle materie prime, attenzione all’aspetto cromatico, precisione nell’esecuzione sono ingredienti insostituibili di ogni pietanza proposta dallo chef Fernando Maruccia. Una cucina ricercata, legata al territorio, capace di spaziare oltre la tradizione con idee fresche ed accattivanti.

La Tenuta di Rocca Bruna Strada Rocca Bruna n. 30 00010 Villa Adriana - Tivoli (Roma) Telefono (0039) 0774535985 Telefax (0039) 0774535984 E-mail: info@latenutadiroccabruna.it

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Cheese Cake di Mango dosi per 8 persone Esecuzione Per L’impasto Di Base: 1 Tazza Biscotti Goodmary Tritati 1/4 Tazza Noci Di Macadamia Tritate Grossolanamente 100 gr Burro 3 Cucchiai Zucchero Semolato Per Il Ripieno: 600 gr Formaggio Philadelphia 3/4 Tazza Zucchero 4 Uova Grandi 3 Cucchiai Maizena 2 Tazze Polpa Di Mango Per Il Coulis Di Fragole: alcune Foglie Menta Fresc Fresca, Frutti Di Bo Bosco Per Decorare: alcune Strisce Mango

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Preparare la base, unendo tutti gli ingredienti e mettere in una tortiera leggermente imburrata. Premere, per far aderire la base alle pareti della tortiera. Mettere in frigo. Montare a parte il formaggio, rendendolo cremoso. Aggiungere zucchero e uova, sbattute a omelette, con l’aggiunta della maizena passata nel colino. Bisogna ottenere una crema molto fluida. Passarla al setaccio e aggiungervi delicatamente la polpa di mango, mescolando con un cucchiaio di legno. Togliere la tortiera dal frigo e aggiungere la crema. Cuocere in forno a 180 gradi per 15 minuti. Terminata questa fase di cottura, abbassare la temperatura fino a 100 gradi, lasciando in forno ancora per un’ora. Spegnere e lasciare raffreddare per 10 minuti, a forno leggermente mente aperto. Ritirare e lasciare ciare raffreddare completamente. amente. Successivamente, tenere in frigorifero almeno per un giorno. Personalmente, servo il dolce con una salsina di mango o fragole oppure con fette di mango e 2 o 3 frutti rutti di bosco, decorando conn le foglioline di menta.

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MUSICA

di Donatella Lavizzari

NICO FORTAREZZA: MUSICA, ODE ALLA VITA

Nico Fortarezza, cantautore, arrangiatore, compositore e musicista milanese di talento, dotato di grande versatilità, ha una carriera alle spalle che lo ha visto spaziare in diverse situazioni e generi musicali e collaborare con artisti del calibro di Enrico Ruggeri, Maurizio Vandelli,…

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Photo Manuela Chomicka/SOS MUSIC èAREA

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Ciao Nico, ci vuoi raccontare come ti sei innamorato della musica? Ho sempre avuto la musica nel cuore. Ho iniziato la mia carriera studiando canto lirico con la Prof. Paola Castelli. Nel frattempo cantavo in alcune band proponendo sia nostri pezzi in inglese che cover dei Queen, Police, U2,…. La mia matrice era Rock-Pop ma col tempo mi sono avvicinato all’Hard Rock e al Funky Metal. La prima proposta a livello professionale è stata quella dei Cordatesa nel 1994, una delle band underground più talentuose degli anni Novanta, con la quale ho inciso il primo disco. Dopo un paio di anni la band si è sciolta e ho lavorato come chitarrista in una band funky-rock, come vocalist in una band heavy metal e con Jakaré insieme al chitarrista Damiano Marino, un progetto rockblues. In seguito sono stato contattato da Maurizio Vandelli e poi da Enrico Ruggeri con cui sono stato in tour per diverso tempo. Quanto è importante stimolare l’interesse dei giovani alla musica al fine di una loro affermazione culturale e spirituale? La musica fa vibrare le corde dell’anima e quindi ritengo sia importante per la crescita individuale di ogni uomo, qualunque sia la sua età. Un po’ di tempo fa ho conosciuto durante un viaggio un ragazzino, “un piccolo genio” matematico ed ho discusso con lui su cosa fosse più importante, se la matematica o la musica. La matematica apre a molti orizzonti ma la vita senza musica non avrebbe senso per me. La musica ci accompagna, è la colonna sonora della vita. C’è una canzone verso la quale nutri un affetto particolare? Ho scritto “Fiabe di Maggio” dedicandola alla ragazza di cui mi ero innamorato ed è piaciuta talmente al produttore di Enrico Ruggeri che la volle proporre a Sanremo. Purtroppo non è andata bene come speravamo ma rimane, comunque, una delle song a cui sono più legato. Recentemente sono stato chiamato come presidente a Desenzano per “Sulle corde dell’Anima” il concorso di voci nuove e canzoni inedite legate alla musica cristiana dove come ospite c’era Niccolò Agliardi. Mi ha colpito moltissimo la sua “Non vale tutto”, un brano tratto dall’omonimo album: non vale tutto… bisogna sempre ricordarsi quello che eravamo l’uno per l’altra, rispettiamoci fino in fondo, anche se poi le nostre strade si divideranno.

non si misurano con la durata del tempo, ma nell’intensità con cui avvengono. Per questo ci sono dei momenti indimenticabili, delle cose inspiegabili e delle persone incomparabili. Facendo riferimento a queste tre precisazioni, vuoi condividere con noi alcuni ricordi? Dopo la perdita di Titti, la mia fidanzata, ho attraversato un periodo molto difficile, di crisi profonda che mi ha portato ad allontanarmi dalla musica. Per tre lunghi anni non ho preso in mano la chitarra e non ho scritto una sola nota. Spesso avvengono incontri speciali nella vita e quello con il cantautore Roberto Bignoli, leader della Christian Music, è stato, senza dubbio, fondamentale per la mia “rinascita”. Su sua richiesta, ho scritto “Non temere” un brano in memoria di Giovanni Paolo II, un Papa che amava molto la musica e che vedeva nell’arte uno strumento per avvicinarsi a Dio, l’Uomo che ha cambiato gli uomini ripensando alla missione complessa e universale della Chiesa cattolica. E’ come se Papa Wojtyla abbia, ancora una volta, compiuto un miracolo…. Sono stato “chiamato” ad intraprendere un nuovo cammino e di questo non posso che essere grato.

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Nel mese di luglio a Zogno (BG) hai partecipato al concerto in memoria di Giovanni Paolo II, un evento cui hanno partecipato molti artisti della musica leggera italiana, tra cui Ivana Spagna, Francesco Renga, Gatto Panceri, e ad ottobre sei stato l’unico rappresentante italiano a cantare in Piazza del Castello Regale a Varsavia per il Gran Galà ” XI Giornata dedicata a Giovanni Paolo II”, ci vuoi descrivere l’emozione che hai provato in questa occasione? Festeggiare in Polonia la figura del Santo Padre mi ha offerto un’ulteriore opportunità di esprimere la grande gioia per la sua beatificazione e l’immensa gratitudine che nutro nei suoi confronti. Ho avuto l’onore di cantare “Angelo di Dio” e “Profumo di Roma” accompagnato da un coro di bambini e adulti davanti a migliaia di persone: momenti ed emozioni irripetibili! Grazie Nico, c’è qualcos’altro che vorresti aggiungere? Sì, vorrei dire GRAZIE a Roberto Bignoli, allo staff della SOS MUSIC di Torun’, alla TVP1 e alla Informusic Imc di Milano.

Mi piace molto il pensiero di Fernando Pessoa che afferma che i valori delle cose

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Tutto questo è nato in me come un sussurro che è diventato, con grande intensità, un grido: un viaggio che parte dall’anima e dalle emozioni più profonde. Papa Wojtyla ripeteva spesso una frase: “Non abbiate paura”… e poco alla volta la mia paura, la mia rabbia, il mio dolore sono scomparsi.Come ha scritto Giovanni Raboni, in un articolo del Corriere della Sera, le parole di questo grande Papa, sono per me i rimandi a quel senso di necessità, di naturalezza carismatica e di grandiosa, quasi terrificante energia che ha caratterizzato e continua a caratterizzare ogni atto, ogni gesto, ogni parola del suo pontificato.

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Photo courtesy Alto Adige Marketing©LaurinMoser èAREA

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Fa sognare grandi e piccini: l’atmosfera dei cinque Mercatini Originali dell’Alto Adige e degli altri mercatini sparsi in tutta la provincia. L’atmosfera è magica. Luci bianche, suoni tenui, profumi naturali, prodotti genuini e l’architettura tipicamente mitteleuropea delle città e dei paesi – questi gli elementi che rendono i Mercatini di Natale così speciali, anzi “originali” ed unici. Nulla di folcloristico, di gridato, di artificiale. Qui l’Avvento è vero, vissuto e vivo. A Bolzano verranno allestiti sei stand “speciali” per i più piccoli tra i visitatori del Mercatino Originale, pensati proprio per loro per forma e misura. Gli stand si troveranno in Via della Mostra e su Piazza della Mostra. Al loro interno i bambini saranno grandi protagonisti perché potranno creare piccole decorazioni, fare biscotti, essiccare mele o semplicemente ascoltare le favole natalizie. Ognuno degli stand speciali rappresenterà un capitolo di una nuova guida di Bolzano per bambini. Il personaggio della guida perde la memoria e grazie alle storie e alle favole della città ritrova la sua personalità. A Vipiteno la quotidiana apertura di una finestra del tradizionale “Adventskalender”, il calendario d’Avvento diffuso in tutto il centro storico, è sempre una grande emozione per i bambini. Altrettanto emozionanti sono i giri in carrozza con pony. Solo per bam-

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bini accompagnati e ben custoditi è il tradizionale Corteo di San Nicolò e dei “Krampus”, i diavoli, il 5 dicembre. Al Mercatino Originale di Merano cioccolato, sport e animali in primo piano. Dal 6 al 13 dicembre in Piazza della Rena bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni potranno creare la propria tavoletta di Ritter Sport. In Piazza Terme invece sarà di nuovo allestito il campo di pattinaggio e non mancherà la piccola stalla con pecore. Chi visita il Mercatino di Natale di Bressanone il 4 dicembre, potrà assistere ad un corso di cucina speciale. Sul podio principale saranno preparati “Strauben” e “Krapfen”, i tipici dolci fritti dell’Alto Adige. Ricette da rifare poi a casa per i bambini, che ne andranno ghiotti! A Brunico saranno in programma racconti e teatrini per bambini, nonché un corso per fare i biscotti. I cinque Mercatini Originali propongono un’idea regalo molto particolare e doppiamente dolce: una confezione natalizia di miele dell’Alto Adige con il marchio di qualità che aiuta i bambini del mondo. Il miele è la base per tanti dolci natalizi, ma fa bene anche a colazione oppure alla sera con una tazza di latte caldo. Fa altrettanto bene comprare la confezione speciale perché parte del ricavato sarà devoluto a SOS Villaggi dei Bambini Onlus (www.sositalia.it). I vasetti di miele da 250 g saranno in vendita nei cinque Mercatini. Info: www.suedtirol.info/mercatini

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Natale nelle città

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Da venerdì 2 dicembre a sabato 1 gennaio incluso, lo storico centro della città di Maastricht celebrerà le feste natalizie e l’intera città si trasformerà in una spettacolare terra delle meraviglie invernale. Le bellissime strade illuminate collegheranno le varie piazze, ci saranno piste di ghiaccio e il Natale sarà esaltato, avvolgendo così la città in un clima natalizio. Si potrà fare shopping, approfittare di un ricco programma culturale e gustare delizie gastronomiche. Sarà sicuramente un inverno incantevole a Maastricht.

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La via principale di ‘s-Hertogenbosch verrà trasformata in un vero e proprio paradiso invernale. Dal 17 al 30 dicembre potrete scaldarvi di fianco al camino, bere del delizioso vin brulé o dell’ottima cioccolata calda guardando spettacoli di cantastorie, musicisti e cantanti mentre i bambini si divertono a pattinare sul ghiaccio.L’evento sarà composto da 3 elementi tipici dell’inverno: un ‘calendario dell’avvento’ tipico della regione, scaldarsi intorno al fuoco e una piccola fiera dal carattere un po’ nostalgico.Il calendario dell’avvento è una parete di 20 metri per 10 che viene installato nella via principale di Den Bosch, ai piedi della cattedrale di Sint Jan la cui facciata fa da sfondo al calendario dell’avvento. Nella parete vengono inserite una serie di ‘serrande’ apribili dietro le quali si trovano due palchi, due schermi per videoproiezioni e un piccolo punto di ristoro. Le serrande vengono aperte in occasione di attività e poi richiuse, dando alla parete un aspetto diverso ogni volta.Davanti al calendario dell’avvento verrà posizionato un grande fuoco intorno al quale ci si potrà sedere per scaldarsi. Keukenhof, a Lisse, è uno dei più grandi mercati natalizi di tutta l’Olanda. Dall’8 all’11 dicembre si terrà la quarta edizione di questo grande evento nel bellissimo contesto del castello Keukenhof. Nella bellissima atmosfera natalizia di ‘Natale a Keukenhof’ sarà anche possibile visitare il castello e ascoltare i cori natalizi intonare bellissime canzoni.Davanti al castello si terrà un mercatino natalizio con più di 100 espositori che presenteranno i propri prodotti in originali ed eleganti bancarelle ‘a pagoda’. Nel padiglione invernale inoltre sarà possibile gustare tantissimi cibi deliziosi, caldi e freddi. Tutta la zona verrà trasformata in una vera e propria ‘Winter wonderland’ grazie a migliaia di luci e decorazioni.

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TEATRO

Teatro Quirino

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dal 10 al 29 Gennaio 2012 La Lampadina Galleggiante di Woody Allen con Giuliana De Sio È una favola postmoderna, semplicissima e illuminante al tempo stesso, delicata e divertente, pervasa di un umorismo sottile e intelligente, degno del miglior Woody Allen. La storia è ambientata in una degradata periferia di New York nel 1945 e racconta le vicende di una stravagante famiglia in piena crisi esistenziale. Il padre sogna di vincere alla lotteria e scappare con la sua amichetta, una cameriera di un locale di quart’ordine, ma è assalito dagli strozzini; la madre da ragazzina voleva fare la ballerina ed ora progetta di vendere fiammiferi personalizzati per corrispondenza, anche se le sue frustrate ambizioni di successo si riversano sul figlio ‘artista’. Dei due figli ,

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uno appicca gli incendi, l’altro vorrebbe fare il prestigiatore ma è letteralmente terrorizzato dal pubblico e continua a balbettare. Infine c’è un manager il cui migliore cliente è un cane che canta. Dall’incontro tra madre con ambizioni artistiche e manager fallito si sviluppa il nodo drammatico del testo. Dalla penosa esibizione del figlio ‘mago’ davanti al finto impresario si passa al desolante rivelarsi di solitudini che sono destinate a non incontrarsi mai, ed ogni illusione si infrange nel progressivo delinearsi di tante identità fallite e destinate a rimanere tali. In un’atmosfera hopperiana la critica dell’autore al ‘sogno americano’ si fa progressivamente più feroce anche se condotta in chiave quasi metafisica, come se i suoi personaggi fossero sospesi in un’aria malsana, quella stessa aria, o per meglio dire, quegli stessi effluvi di insalubri

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caseggiati e di incombenti fabbriche di prodotti, simbolo del benessere americano. L’opera di Allen è intrisa di sfumature oniriche ed è chiaramente inverosimile, eppure presentata con una naturalezza quasi disarmante che la rende plausibile. È un’opera che conquista ed emoziona, catturando il pubblico con la magia e la poeticità dei suoi dialoghi e dei suoi personaggi, che difficilmente si dimenticano. Il simbolismo celato dietro le vicende narrate ed il suo significato sono palesi e comprensibili, e forse proprio per questa sua immediatezza il testo riesce a colpire. Per chi conosce Allen e la sua comicità, la sorpresa è notevole: qui è tutto diverso, più intimista e solitario, l’ironia è leggera, amara, sconsolata; i personaggi inseguono qualcosa che non trovano mai, ed i loro sogni svaniscono in uno straziante senso di impotenza.

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