S&H Magazine n. 291 • Giugno 2021

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L’originale ceretta brasiliana per pelli delicate



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Anche in Sardegna esplode la “padel mania” di RAFFAELLA PIRAS

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tadi, palestre, piscine, il cuore dello sport è stato profondamente colpito in questo lungo e dif­ ficile periodo. Eppure esiste una disciplina sportiva che, complice l’attuale situazione pandemica, non solo ha re­ sistito ma ha conosciuto un notevole sviluppo: il padel. Una disciplina accessibile a tutti, per la quale non serve una particolare tecnica, uno sport di derivazione tenni­ stica apprezzatissimo pro­ prio perché dal tennis ha ereditato gli aspetti più di­ vertenti, oltre le regole di

gioco. Il padel prevede un campo di forma rettango­ lare, lungo 20 m e largo 10 m, chiuso da quattro pareti e diviso a metà da una rete. La partita, che è suddivisa in tre set, si disputa, di solito, tra due coppie di giocatori. Si gioca con una racchetta che ha un piatto rigido e che consente di effettuare scambi con una pallina che esternamente sembra iden­ tica a quella del gioco del tennis, ma che in realtà è depressurizzata, cioè pos­ siede una pressione interna inferiore che permette un maggior controllo dei colpi e il rimbalzo sulle pareti. Ciò

Tuttavia, l’area dove doveva nascere il campo presentava un muro che rendeva im­ possibile realizzarlo delle di­ mensioni adatte per il tennis. Don Enrique ebbe al­ lora l’idea di far costruire un campo di dimensioni più piccole, circondato lateral­ mente da muri e reti metal­ liche su cui far rimbalzare la pallina che i giocatori avreb­ bero dovuto colpire con delle racchette in legno bu­ cherellato, in modo che fosse sempre in movimento e rigiocabile. Nacque così il padel che, dopo pochi anni, si diffuse anche in Spagna e in Argentina, diventando, nei paesi latini, il secondo sport nazionale. In Italia la svolta arrivò nel 1991. L’italo­argentino Edo­ ardo Coaduro, che vive vi­ cino alle colline di Vicenza, a Costabissara, e che proprio qui, nel circolo di tennis, volle costruire il primo campo italiano di Padel, chiese all’ex tennista argen­ tino Martin Alejandro Cal­ velo, convertitosi al padel, di mettere a disposizione la sua esperienza. Da quel mo­ mento il padel, anno dopo anno, ha abbandonato l’eti­ chetta di sport di nicchia, di­ ventando sempre più popolare. ...CONTINUA SUL WEB

fa sì che non ci sia bisogno di raccogliere la pallina e che si presentino situazioni imprevedibili, proprio que­ sto è il bello del padel. Nonostante in Italia si parli del padel solo da qualche anno, questo sport ha una lunga storia cominciata dall’altra parte del mondo. Era il 1969 quando, ad Aca­ pulco, una cittadina bal­ neare del Messico, il ma­ gnate Enrique INQUADRA IL CODICE Corcuera, decise QR CON IL TUO di far costruire un SMARTPHONE PER campo da tennis CONTINUARE A nel giardino della LEGGERE L'ARTICOLO sua villa al mare.


S&H MAGAZINE Anno XXVI - N. 291 / GIU 2021 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE

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Hanno collaborato a questo numero: SIMONA COLOMBU, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ALESSANDRO FRACASSI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, DANIELA PIRAS, RAFFAELLA PIRAS Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

06 03 Sport Anche in Sardegna esplode la “padel mania”

05 Le torri sorelle di Cagliari San Pancrazio e la Torre dell’Elefante

06 Marco Azara: una vita in musica Partito da Olbia con la sua chitarra elettrica, è arrivato a calcare i palcoscenici più importanti

07 Allarme spiagge sarde L’invasione silenziosa del Fico degli Ottentotti

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esse&acca editoria.pubblicità.grafica grafica

08 Le pietre che raccontano Luxia Arrabiosa e le altre leggende sarde

09 Arte: Roberto Chessa

Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Intuizioni geometriche

10 Cordemar

Stampa Tipografia Gallizzi S.r.l. - Sassari

Franca Masu racconta l’amore nel suo ultimo album

12 Cagliari

Social & Web

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I 5 luoghi più instagrammabili

14 SMART STORIES

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$ www.shmag.it telegram.me/sehmagazine issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2021. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

in Copertina CAGLIARI, TRAMONTO SUL BASTIONE DI SANTA CROCE

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Le torri sorelle di Cagliari San Pancrazio e la Torre dell’Elefante di ALBA MARINI

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e torri di San Pancrazio e del­ l’Elefante sono sorelle pratica­ mente identiche. Simboli indi­ scussi della Cagliari antica, svettano trionfanti nella città storica per ricor­ darci il nostro passato. La loro costru­ zione ­ richiesta dai Pisani e affidata all’architetto cagliaritano Giovanni Capula ­ risale al 1305 e al 1307 (la Torre dell’Elefante è più giovane di due anni). Le due “sorelle” sono simili anche in altezza: la Torre di San Pan­ crazio è alta 36 metri, mentre quella dell’Elefante 31. Perfino il materiale di costruzione utilizzato è lo stesso: la pietra forte, un calcare bianco prove­ niente dai colli di Bonaria. Le torri sorelle dovevano essere tre, ma la terza (la Torre del Leone, ora rinominata Torre dell’Aquila) fu di­ strutta parzialmente nel corso del ‘700, motivo per il quale le sue rovine furono poi riadattate e incorporate al palazzo Boyl. La costruzione di tutte queste torri servì ai Pisani, che all’epoca controllavano parte del­ l’isola, come difesa militare. La Sar­ degna era, d’altronde, un importante snodo strategico nel Mediterraneo ed era oggetto dei desideri di con­ quista di molti altri popoli. I Pisani – che avevano imposto la loro domi­ nazione a Cagliari con la distruzione di Santa Igia (capitale del vecchio Giudicato) – non sbagliavano a volersi difendere. L’attacco decisivo da parte degli aragonesi, infatti, non tardò ad

arrivare e Cagliari cadde sotto il loro dominio. Con l’avvento di un nuovo potere, insieme all’assetto politico, anche la funzione delle torri di San Pancrazio e dell’Elefante cambiò. Ed è così che le “sorelle”, ritenute obsolete come centri di controllo, furono trasformate in carceri. Ma non è finita qui, perché, nel periodo spagnolo, le torri si ri­ trovarono ad accogliere le teste dei condannati a morte (spesso traditori) come monito per la popolazione. A questo riguardo, è famoso l’episodio dell’omicidio del vicerè di Sardegna, il Marchese di Camarassa don Ma­ nuel Gomez de los Cobos. I presunti colpevoli del delitto (tra cui figuravano personalità di spicco, come il Mar­ chese di Cea) non solo furono giusti­ ziati a seguito di un processo som­ mario, ma andarono incontro a un destino ancor più terribile. Le loro teste, infatti, furono esposte in gab­ biette di ferro sulla Torre dell’Elefante per ben 17 anni. Ma da dove derivano i nomi delle torri sorelle di Cagliari? La Torre di San Pancrazio ha preso il nome da una chiesa omonima che si trovava nelle sue vicinanze, mentre la Torre dell’Elefante si chiama così per via della statua dell’elefantino presente al di sopra dell’arco di ingresso. La terza torre sorella, quella dell’Aquila, invece, trae il suo nome da una scul­ tura di rapace situata nella parte bassa della torre che permetteva l’in­ gresso in Castello.

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di RAFFAELLA PIRAS

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rasformare la passione per la musica, coltivata fin dall’infanzia, in una professione di successo, è l’impresa in cui è riuscito Marco Azara, 33 anni, chi­ tarrista e compositore di Olbia. Marco, grazie ai suoi geni­ tori, trascorre l’infanzia ascoltando musica punk, quindi Sex Pistols, The Clash, Police e, durante le scuole medie, decide di im­ parare a suonare uno stru­ mento: «Inizialmente volevo suonare il basso, mia madre invece mi convinse ad op­ tare per la chitarra elettrica perché è uno strumento più di compagnia, fu il mio re­ galo di promozione. Iniziai da autodidatta». Da quel momento Marco si dedica principalmente alla musica, entrando in una band a soli 13 anni, gli E­Pla­ cid: «Passavo tutto il mio tempo in sala prove. A 13 anni e mezzo ho fatto i primi concerti con la mia band, ci esibimmo nei locali di Olbia e in altre città della Sardegna, compresa Cagliari. Crescendo la band si sciolse a causa dei vari impegni dei componenti, ma ancora oggi sono tra i miei migliori amici». Per il chitarrista la musica continua, comunque, ad es­

Con la sua chitarra elettrica è partito da Olbia ed è arrivato a calcare i palcoscenici più importanti

sere una priorità, lavora ma, contemporaneamente, prende parte ad alcune cover band e inizia a girare l’Italia con un trio, i Dreams Brothers, riscuotendo un certo successo. Attraversa poi un periodo di incer­ INQUADRA IL CODICE tezza, inizia ad in­ QR CON IL TUO terrogarsi sul SMARTPHONE PER proprio futuro, CONTINUARE A così a 21 anni de­ LEGGERE L'ARTICOLO cide di partire in

Spagna per fare un’espe­ rienza lavorativa diversa, non immaginando che quel viaggio sarebbe invece stato determinante per la sua car­ riera musicale: «Lavoravo in un ristorante italiano e il ti­ tolare, Mauro, che ancora oggi è un mio caro amico, chitarrista e appassionato di musica blues, mi fece incon­ trare degli artisti grazie ai quali ho accresciuto la cono­ scenza del blues e del fla­

menco, in particolare della tecnica chitarristica del fin­ gerpicking. Da quel mo­ mento in poi ho avuto una nuova vita musicale e quando sono tornato in Ita­ lia ho iniziato ad approfon­ dire gli studi del mio strumento, acquistando più fiducia nelle mie capacità». Ad Olbia negli anni ‘90 i ra­ gazzi che si interessavano di musica non erano tanti, Marco Azara stringe amicizia con Maurizio Pisciottu, oggi conosciuto come Salmo, il famoso rapper e produttore discografico, amicizia che prosegue ancora oggi: «Con Salmo ci sentivamo sempre, seguivo la sua carriera anche dalla Spagna. Nel 2014, dopo una cena in­ sieme, andammo in un lo­ cale dove fui invitato sul palco a suonare un pezzo. Subito dopo Salmo mi an­ nunciò che avrebbe dovuto aprire i concerti di Jovanotti negli stadi e mi chiese se mi andasse di partecipare suo­ nando la chitarra, accettai subito. Da quel momento in poi è iniziata la nostra colla­ borazione». Nel 2015 il chitarrista va in tour per promuovere il fa­ moso disco di Salmo, “Hel­ lvisback”: «Facemmo una cinquantina di date in tutta Italia tra maggio e ottobre, poi in Ungheria parteci­ pammo al Sziget Festival, un evento musicale europeo in­ credibile, con artisti del cali­ bro dei Muse e Rihanna. Non mi rendevo quasi conto di come questo disco stesse cambiando la mia vita». ...CONTINUA SUL WEB


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ALLARME SPIAGGE SARDE: L’INVASIONE SILENZIOSA DEL

FICO DEGLI OTTENTOTTI di FRANCA FALCHI

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il protagonista in gran parte delle immagini che sponsorizzano le lo­ calità costiere più suggestive della Sardegna. Con i suoi fiori vistosi, che variano dal rosa intenso (Carpobrotus acinaciformis) al giallo pallido (Carpo­ brotus edulis), il fico degli Ottentotti è senza dubbio una pianta molto decorativa ma pochi sanno che in realtà sia una presenza devastante, tanto da essere definita aliena. Originaria del Sud Africa, introdotta sia come pianta ornamentale che per il con­ solidamento delle dune, è una specie succulenta appartenente alla famiglia delle Aizoaceae diventata comunissima nei nostri litorali grazie alle sue caratte­ ristiche di propagazione e resistenza. Ha fusti molto lunghi e striscianti con i quali forma dei consistenti tappeti, estesi sino a 20 mq, foglie carnose a sezione trian­ golare che si elevano verso l’alto, dal profilo regolare nella specie edulis e a lama di coltello nella specie acinaciformis. I fiori, molto appariscenti (sino a 12 cm), emanano un profumo dolce così come quello del frutto arrivato a matu­ razione. Esso attira un gran numero di animali, dagli uccelli alle formiche, che se ne cibano contribuendo alla disper­ sione dei semi. Il frutto del Carpobrotus edulis è grosso e iridescente e a maturazione ingiallisce. Edibile anche per l’uomo, deve il suo nome proprio alla pratica di cibarsene degli Ottentotti. Ha numerosi principi curativi: come lenitivo per punture di

insetti e meduse e per ferite e brucia­ ture. Il succo estratto dalle foglie è un antibatterico per la gola, per lo stomaco e l’intestino. Entrambe le specie, facilmente confon­ dibili a prima vista, hanno forte adatta­ bilità al suolo e alle condizioni climatiche: si propagano anche in situazioni estreme con suolo povero, forte vento, salinità e aridità diffondendosi rapidamente su vaste aree (circa 40 cm all’anno). Questa aggressività però esercita una grande competizione verso le specie tipiche delle zone dunali che soccombono, pri­ vate dello spazio vitale, diminuendo a discapito della biodiversità. In presenza del fico degli Ottentotti, le comuni specie psammofile si diradano: la salsola, il ravastrello, la violacciocca non riescono più a germinare in quel terreno dal pH modificato, reso tossico dai residui secchi dei suoi fusti. Tra queste anche il bellissimo giglio marino che non trova più il suo habitat naturale. La sua invasione sta assumendo le di­ mensioni di un disastro ecologico, so­ prattutto per Sicilia e Sardegna dove è maggiormente diffuso, tanto da essere inserito nella lista delle specie aliene, invasive e pericolose a livello nazionale. Tutta la nostra fascia costiera ne annovera la presenza e in alcune di esse si sta già mettendo in atto una politica di eradi­ cazione per preservare la vegetazione autoctona, a dimostrazione di come quella che appare come una bella pianta debba invece essere controllata e non dispersa in natura.


Foto Nicola Castangia

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di FRANCA FALCHI

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e rocce che caratterizzano il pae­ saggio sardo hanno da sempre destato la fantasia del popolo, che ha spesso riconosciuto in esse varie for­ me riconducibili a leggende della tra­ dizione orale. Frequenti sono le storie di pietrificazioni, come punizioni divine, sia per offese alla divinità o ai santi ma soprattutto per il rifiuto di soccorso o carità verso poveri o afflitti. Sono numerose, infatti, le leggende che narrano di castighi agli avari e agli invidiosi proprio per aver negato assi­ stenza al prossimo. Si suppone che la proverbiale fratellanza dei pastori sardi, come “Sa Paradura” nella quale uno o più capi del gregge vengono dati in dono a chi è colpito da una calamità, sia dovuta proprio all’insegnamento legato a queste leggende. È Cristo stesso a giudicare l’opera degli INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

uomini assumendo le sembianze del pellegrino, premiando o punendo a se­ conda del comportamento. La punizione è sempre feroce: le ricchezze o i posse­ dimenti vengono resi inutilizzabili: il ter­ reno diventa sterile o tutto viene tra­ sformato in pietra. Le pietrificazioni divine sono molteplici nell’intero territorio, a Sedilo è presente il monolite di una donna che aveva osato ridere durante l’Ardia; in Ogliastra “Sa Nai Ammarmurada” (la nave im­ pietrita) oggi nota come “Sa Perda de S’Aquila”, uno scoglio che rappresenta una nave corsara che ha profanato, ri­ ducendola in pezzi, la statua della Ma­ donna frutto del saccheggio. Diversi poi sono gli amanti pietrificati per rapporti illeciti, come a Monte Ruju, presso Castelsardo, dove due massi ri­ cordano coloro che si ribellarono al co­ mandamento verso l’ordine religioso. Particolari sono le rocce che si incontrano lungo la ferrovia tra Monti e Tempio, che da lontano ricordano un villaggio in rovina ma che da vicino sembrano un gregge col pastore, dei cani ringhiosi, giganti supini, elefanti e leoni o castelli misteriosi. Un esempio emblematico dell’avaro, di cui restano numerose tracce in Sardegna,

è Lucia Rabbiosa, nota anche come Luxia Arrabiosa, Giorgia rabbiosa o Orgia rajosa a seconda della località. Si narra che appartenesse alla razza dei Gentili, costruttori di nuraghi, e avesse proporzioni gigantesche con mammelle colossali che si ripiegava dietro le spalle. Il marito, anch’esso gigantesco, Antoni Craccassoi, aveva occhi tanto smisurati da doverli aprire con due tenaglie. Godevano di immense ricchezze, pos­ sedimenti terrieri e bestiame che go­ vernavano dall’alto della loro abitazione, un enorme nuraghe, nel quale nascon­ devano mille giare d’olio e altre mille zeppe di grano, ma Lucia era tanto bella e ricca quanto cattiva. La notte ella filava e il giorno dormiva. A vegliare sulle ricchezze, durante il suo riposo, pensava un fuso fatato che girava vorticosamente intorno ai terreni, sibi­ lando all’avvicinarsi di qualsiasi estraneo. Erano tempi abbastanza difficili e così tante ricchezze costituivano una grande fonte di invidia. La leggenda racconta che i due peccas­ sero di avarizia, che scacciassero chiunque chiedeva loro aiuto e negavano anche un minimo di grano per poter panificare. ...CONTINUA SUL WEB


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Le intuizioni geometriche di Roberto Chessa di DANIELA PIRAS

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ittore e professionista di break­ dance: le due anime di Roberto Chessa sono interconnesse. La passione per la pittura, inizialmente tra­ smessa dal padre, è maturata attraverso la scelta di frequentare l’Istituto d’Arte prima, e l’Accademia di Belle Arti poi. È invece l’interesse per i graffiti ad orien­ tarlo alla cultura Hip Hop. Contempora­ neamente alla realizzazione dei suoi primi graffiti, resta affascinato dalle acro­ bazie di breakdance che vede fare da alcuni ragazzi su pezzi di cartone e lino­ leum. Da autodidatta apprende i movi­ menti base e nel 1993 forma, a Sassari, il gruppo dei “Sirbones”, ottenendo no­ tevoli risultati nel panorama italiano ed estero. Dopo aver frequentato la scuola di Giovanni Manunta a Cagliari (cono­ sciuto come “Pastorello”), la sua pittura cambia in maniera radicale: è l’inizio dello stile geometrico. Si tratta di un modo di dipingere molto particolare, che lascia spazio alla libera interpreta­ zione di chi osserva i suoi quadri. Le forme geometriche prendono forma sulle tele senza un’idea precisa, l’opera finale è il risultato di ciò che Roberto definisce “intuizioni geometriche”, ori­ ginate dal trasporto, durante la creazione, offerto dal colore e dalle forme. Le sagome sono realizzate a mano libera – senza l’uso di righe o mezzi – in quella che l’artista considera una costante sfida

con se stesso. Osservando le opere finali, si può senza dubbio affermare che la sfida sia vinta, poiché sembra quasi im­ possibile che i coni e le figure presenti nei quadri siano stati creati senza l’ausilio di strumenti di misurazione o moderni software. All’equilibrio e all’armonia delle opere l’artista arriva tramite un procedimento simile a quello che si usa in scultura, dove si aggiunge e si toglie, fino a quando si rende conto che l’opera funziona, e si ferma. L’ispirazione maggiore di Roberto Chessa è costituita dalla Urban Culture: il vivere a Londra per diverso tempo ha sicura­ mente favorito una conoscenza della street art e della urban dance inglese, alla quale hanno contribuito le esperienze nelle principali cittadine sarde (nato a Nuoro, Roberto ha vissuto successiva­ mente a Sassari, frequentando Cagliari per motivi di studio). Le influenze di tali correnti emergono nella sua duplice espressività, l’artista segue infatti la via dell’improvvisazione, del ritmo (il leggendario beat del filone generazionale caratterizzato dal vivere on the road), dell’equilibrio e del con­ trollo. Gli elementi architettonici presenti nelle sue opere sono curati nei dettagli dal punto di vista del colore, delle linee e della profondità. Un requisito fonda­ mentale per apprezzare le sue opere è senza dubbio la fantasia: la capacità di identificarsi in quello che si osserva e di giocare con le sensazioni di una pittura tridimensionale. In attesa di poter riprendere ad esporre i suoi progetti, Roberto Chessa continua a creare, portando avanti la sua personale ricerca estetica. Sopra: Rebirth, 2021, acrilico su tela 200x170 cm


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Franca u s a M racconta l’amore

nel suo ultimo album Cordemar di HELEL FIORI foto MAX LA NOCE

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i sono musiche che evocano emozioni profonde, e parole, e suoni, che con altrettanta faci­ lità le ricreano intorno a noi. Quando queste componenti si intrecciano in un’opera, potete stare certi che il risul­ tato arriva dritto a segno. L’avvolgente voce di Franca Masu torna col suo CORDEMAR per raccon­ tarci il profondo segreto dell’Amore – e degli amori – con consapevolezza, in­ vitandoci a sederle accanto sugli scogli della sua Alghero in una notte di luna e mare calmo, per cullarci fino alle coste (geografiche, etniche, sentimentali) ca­ talane.

Questo settimo disco arriva dopo una lunga gesta­ zione che le ha per­ messo di attingere a quelle esperienze archetipiche comuni a tutti: l’album si compone di cinque inediti (di cui firma testi e melodie) e cinque tributi d’au­ tore scelti con cura e riarrangiati con sapienza, cosicché “Cordemar diventa uno scrigno. Racchiude parole che sono la pista cifrata di una nuova mappa sentimentale. Ogni nota è un indizio, ogni respiro un passaggio. Ogni canzone un approdo in qualche posto

del mondo. Nel suono della voce, la soluzione, la rivela­ zione di un diario sonoro dei senti‐ menti dove l’Amore è il paradigma prin­ cipale declinato in tutte le sue forme” spiega la Masu. Una musica pen­ sata per una fruizione consapevole, quindi, che si discosta dallo strizzare l’occhio a questo o a quel trend. Franca sa chi è e non lesina su sé stessa, affi­ dandoci un album registrato in studio in presa diretta (proprio come fosse un live) dove i brani si inseguono in un moto ondoso inarrestabile che a mo­


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menti si fa dolce e placido, a momenti foriero di nostalgie ineluttabili, e a mo­ menti ci risveglia dal torpore dei ri­ cordi scaraventandoci nell’acqua fresca con schizzi e spuma, come con il brano Desde Mallorca a l’Alguer: “Ho voluto recuperare un’antica ballata che can­ tava la nostra amata Maria Carta (Boghe ‘e riu) che riadattata in cata­ lano dal poeta Albert Garcia Hernan­ dez è diventata Desde Mallorca a l’Alguer. È un inno all’amore per la pro­ pria terra ma soprattutto alla fratel­ lanza fra tutti i paesi catalani, tra cui è contemplata anche Alghero.” Tra i brani d’autore, Franca ha deciso di includere Ti ruberò del grande Lauzi (dove canta in italiano accompagnata dall’armonica cromatica di Max de Aloe); Você não sabe del cantautore brasiliano Roberto Carlos passando per la versione italiana di Ornella Va­ noni (Se fosse vero), che nell’album di­ venta canzone struggente e stupenda dall’arrangiamento davvero speciale, per dirlo con le parole della stessa Franca, che non nasconde di essere particolarmente legata a questo brano. Poi Vuelvo al Sur, uno dei capolavori di Astor Piazzolla, inciso col solo accom­ pagnamento di Fausto Beccalossi al­ l’accordeon (fisarmonica): “Un’esperienza magica, per un’esecu­ zione magistrale. Ho lasciato che Fau­ sto si prendesse i suoi spazi e volasse anche con la voce fin dove aveva fiato.” Duetto che arricchito dal piani­ sta Oscar Del Barba si impegnerà nel futuro concerto “Astor Y Amelita”, de­ dicato appunto a Piazzolla e Amelita Baltar, dal repertorio molto impegna­ tivo, suggestivo e raffinato. Ultimo tributo è infine Mediterraneo di J. Manuel Serrat (vero e proprio poeta

della musica catalana che in Italia fu fatto conoscere da grandi artisti come Mina e Paoli) di cui racconta: “È un tema che avevo scoperto nei primi anni ’70 per la voce di Gino Paoli. Negli anni ho conosciuto la sua straordinaria produ­ zione musicale; aspettavo il momento adatto per incidere questa canzone an­ cora così attuale. Cordemar era il conte­ sto giusto nel momento giusto.” L’album porta con sé tutto il bagaglio emotivo e professionale di Franca Masu, ma senza l’incredibile inter play dei musicisti non ci sarebbe quel senso di perfetta armonia compositiva e di fresca modernità che caratterizza il cambio di sonorità rispetto agli altri la­ vori. Oltre al grande fisarmonicista Fausto Beccalossi, troviamo il contrab­ bassista Salvatore Maltana (che ri‐ tengo mio direttore musicale da più di vent’anni, puntualizza la Masu) e il bat­ terista Massimo Russino. Il recente in­ contro con la pianista siciliana Sade Mangiaracina e il chitarrista genovese Luca Falomi “ha segnato il passo di un’apertura verso sonorità moderne, fresche e ricche di soluzioni armoniche che mi hanno stimolato anche a can­ tare in maniera differente. – continua la Masu – I bellissimi arrangiamenti realizzati da Luca Falomi con Salvatore Maltana, l’apporto creativo della stessa Sade Mangiaracina, sono il punto di forza di questo album, dove ognuno ha donato la sua arte al servi­ zio della mia voce”. Tra i personaggi che gravitano attorno al disco ritroviamo il rinomato Paolo Fresu, che ne firma l’introduzione: “Franca Masu è una sirena che offre un canto di ringraziamento alla sua terra e al suo mare. […] Cordemar è una invocazione e un voto. Uno splen­ dido e rarefatto ritratto al femminile che solo una sirena può dipingere.” La Franca/Sirena è dunque colei che dol­ cemente ci dona un’occasione, ci spiega l’autrice: “Mi piace la metafora usata da Fresu perché invito l’ascolta­ tore a immergersi, a inabissarsi in una dimensione interiore. Il viaggio che io faccio è dentro me stessa, nell’Io più profondo e autentico, attraverso anche esperienze che sono altro da me, sono quelle che mi offrono le parole degli altri grandi autori che ho scelto.” Per iniziare questo viaggio insieme non resta altro che lasciarsi andare al­ l’ascolto dell’album, allora, disponibile su tutte le piattaforme e acquistabile direttamente dalla pagina Facebook @francamasuoficial. Buon vento!


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@markolino7

di ALBA MARINI

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social network hanno cambiato il nostro modo di vedere il mondo. Se in passato, per scattare una foto, dovevamo pensare solo alle luci e alle migliori inquadrature per immortalare qualcosa di speciale, oggi dobbiamo valutare anche il possibile impatto sui social e in particolare su Instagram. La nostra amata Cagliari ha tanto da offrire su questo fronte: moltissimi paesaggi, tramonti, mare e i monumenti si adattano ad essere immortalati e condivisi sul feed e sulle IG Stories. Se ci pensiamo bene, quest’ansia da

@federicomelis_

condivisione non è per forza un male, specialmente per il turismo. Ecco perché abbiamo stilato una lista dei 5 luoghi più instagrammabili di Cagliari, raccogliendo i più popolari e quelli che, grazie a una caratteristica particolare, si sono imposti come i più amati da fotografi del web. Partiamo con il numero uno: nessuna novità ha appassionato tanto i cagliaritani come la ruota panoramica. Inaugurata ad agosto 2020, alta 45 metri, ha permesso a tanti curiosi di ammirare la città di Cagliari da una prospettiva privilegiata a un prezzo di 10 euro. Ma ciò che rende la

ruota particolarmente instagrammabile non è tanto la possibilità di farci un giro, ma la “nota di colore” che ha dato al paesaggio. La ruota panoramica di Cagliari, infatti, è posizionata accanto alla Stazione Marittima, a pochi metri dal porto. Le sue luci colorate nelle sere d’estate e la vicinanza del mare hanno reso questo nuovo punto di interesse del cagliaritano perfetto per le foto di Instagram. Pur essendo stato parecchio criticato perché giudicato da molti inadatto al paesaggio circostante, il City Eye è diventato in poco tempo uno dei simboli di via Roma e ha regalato a quest’area di

@rbellavita

Cagliari ­ già molto amata dai turisti ­ un’allure da città californiana. Per avere una prospettiva particolare, si può decidere di fotografare la ruota da una delle viuzze della Marina, inquadrando solo una porzione che spicca tra i palazzi antichi. Numero due per un vero gioiello destinato agli amanti del trekking: un percorso a piedi (e fotografico!) che va dal Faro di Calamosca al Fortino di Sant’Ignazio. Gli instagrammer e gli appassionati troveranno pane per i loro denti lungo tutta la piacevole camminata, questo è assicurato. In particolare, il

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@sil.sar_ Fortino di Sant’Ignazio (il cui vero nome è in realtà Forte Sant’Elia) sorge su un punto panoramico privilegiato, dal quale è possibile ammirare tutta la città di Cagliari dall’alto e scattare foto stupende. Per rendere ancora più particolari gli scatti, molti fotografi professionali (ma anche semplici appassionati) inquadrano il mare e il Faro di Calamosca, sfruttando le “cornici” offerte dalle rovine. Il risultato è assicurato. Niente di cui vi abbiamo parlato o parleremo in questo articolo è originale come via Stretta. Questo terzo luogo tra i più instagrammabili di Cagliari si trova nel quartiere storico di Castello, dove non mancano certo più famosi luoghi da cartolina, come la bella Piazza Palazzo (che ospita la Cattedrale di Santa Maria) e il bellissimo

@mattze

Bastione Saint Remy. Però, chi conosce bene Cagliari sa che i punti più belli si incontrano passeggiando tra le vie, le piazze e le scalette. Ed è così che ci si trova a camminare in via Stretta, la strada più stretta della città (per ovvie ragioni non accessibile alle auto), che è anche una delle aree più verdi. In questo punto della città, infatti, i residenti si prendono cura di moltissime piante da vaso, che crescono rigogliose, pronte a rendere indimenticabile qualsiasi scatto per i social. Via Stretta è sicuramente una perla da non farsi scappare per qualunque fotografo e influencer: una rara e perfetta miscela tra il bello dell’umanità e la meraviglia della natura. Il belvedere di Viale Buoncammino è il quarto luogo più instagrammabile di cui vogliamo parlarvi. Fa parte dei posti da sogno dal

quale i cagliaritani ammirano la città dall’alto a 360 gradi, scattando fantastiche foto panoramiche. Il luogo si anima soprattutto la sera, durante la quale è possibile ammirare lo spettacolo del tramonto su Santa Gilla e poi il buio della notte che cala sugli edifici che si illuminano. Per finire, non potevamo non citare il classico dei classici, il luogo che non delude mai, né su Instagram né nella vita vera: il Poetto di Cagliari. Oltre a rappresentare un simbolo della città di cui gli abitanti vanno molto fieri, il Poetto è sicuramente il soggetto fotografico preferito dagli utenti di Instagram. Grazie alle temperature miti della regione, la spiaggia è popolata tutti i mesi dell’anno, tanto che rappresenta il centro della movida in estate e il luogo in

cui trovare conforto e serenità in inverno. Tra i punti di interesse più fotografati spicca sicuramente la Sella del Diavolo, facilmente inquadrabile sia dalla spiaggia sia dal lungomare. Cagliari è una città unica e questi sono solo 5 degli innumerevoli luoghi che si prestano perfettamente a essere immortalati nelle foto di Instagram. Esplorare la città, camminando tra le sue vie strette e perdendosi alla ricerca dello scatto perfetto, è sicuramente uno dei modi migliori per conoscerla e apprezzarla fino in fondo. Un unico consiglio: non dimenticate di guardarla e sentirla anche attraverso i vostri occhi e le vostre orecchie, senza limitarvi all’obiettivo di un cellulare e di una macchina fotografica. Solo così si potrete scoprire cose meravigliose. www.studiomassaiu.it

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Sassari | Via Alghero 22 Nuoro | Via Corsica, 15 079 273825 | 339 7209756 Informazione sanitaria a carattere informativo non promozionale e non suggestivo secondo il comma 282 della legge 248 del 04/08/2006 - Direttore Sanitario Andrea Massaiu Odontoiatra, Iscr. Albo Odontoiatri di Sassari n° 623


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