IL CONTRATTO di Eduardo De Filippo regia Pino Carbone con Claudio Di Palma rassegna stampa completa

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RASSEGNA STAMPA

Il Contratto di Eduardo De Filippo

Quarta Parete, 19 febbraio 2014 Napoli Monitor, 18 febbraio 2014 Pickwick, 16 febbraio 2014 Il Mattino, 16 febbraio 2014 Campania su web, 15 febbraio 2014 Repubblica Napoli, 14 febbraio 2014 Il Mattino, il 18 settembre 2013 Il Brigante, 17 settembre 2013 BMagazine, MartedĂŹ, 17 settembre 2013 Scena illustrata, martedĂŹ 1 ottobre 2013 Il Foglio, 28 settembre 2013 Palcoscenico Campania, 15 settembre 2013 Il Vaglio, 14 settembre 2013 Napoli Urban Blog, 18 settembre 2013 Gazzetta Benevento, 14 settembre 2013 http://www.enteteatrocronaca.it/produzioni/il-contratto/

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Il grande impostore di Gabriella Galbiati Quarta Parete, 19 febbraio 2014 http://www.quartaparetepress.it/index.php/2014/02/19/il-grande-impostore/ “Il contratto”, una delle opere meno rappresentate ma ancora molto attuale di Eduardo, è in scena a Galleria Toledo fino a questa domenica. Fino a domenica 23 febbraio sarà in scena a Galleria Toledo Il contratto di Eduardo De Filippo, per la regia di Pino Carbone, prodotto da Ente Teatro Cronaca in collaborazione con Ex Asilo Filangieri, Tourbillon Teatro e o.n.g. Teatri e con la XXXIV edizione del Festival Benevento Città Spettacolo, nell’ambito del quale è stato rappresentato per la prima volta lo scorso settembre. Il contratto è una commedia, facente parte della Cantata dei giorni dispari, che Eduardo compose e mise in scena nel 1967 ed è tra quelle meno rappresentate a teatro, a causa del successo e della richiesta che il grande drammaturgo, attore e regista napoletano aveva di altri suoi spettacoli. Nonostante ancora adesso non abbia particolare visibilità, risulta essere un’opera assai attuale per i temi trattati e soprattutto perché, anche in questo caso, il suo autore si conferma essere un grande conoscitore dei comportamenti umani a livello universale. Indubbiamente il mondo di Eduardo è sempre Napoli, per cui il linguaggio usato e l’ambientazione di fondo rimane la sua città natale, come se non avesse mai veramente lasciato Partenope per trasferirsi nella capitale, ma in maniera molto foucaltiana viene illustrato un microcosmo con tutti i suoi riferimenti particolari per poter parlare di un universo molto più ampio. L’opera è divisa in tre atti, L’individuo, La famiglia e La società, e lo scopo è quello di puntare in maniera analitica lo sguardo sull’uomo e sui suoi rapporti prima personali, poi man mano legati ad una struttura relazionale sempre più complessa. Il protagonista della vicenda, ovvero Geronta Sebenzio, appare sempre a suo agio in ogni situazione e in grado di relazionarsi con l’altro a cui cerca di imporre, in maniera singolare e talvolta subdola, la sua volontà. Nella messinscena di Carbone la divisione degli atti viene sottolineata attraverso la modifica di un particolare oggetto che rimane sempre sul palco e con lo svolgersi della trama si trasforma: si tratta di una pedana bianca, posta al centro, molto simile a quella utilizzata dai domatori di leoni, intorno alla quale sono posizionati degli sgabelli su cui si siedono gli attori, novelli animali da ammaestrare come appunto in un circo. L’intento è quello di evidenziare come il protagonista della storia abbia una particolare influenza sugli altri personaggi che riesce in qualche modo a suggestionare attraverso “la sua frusta”, costituita per lo più da parole gentili e apparentemente amorevoli. E in effetti, come scopriremo ben presto, egli esercita un grande potere sulle persone. Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 2


Nel secondo atto la pedana bianca acquista un cerchio attorno e nel terzo un altro cerchio ancora, diventando infine una giostra che gira intorno al suo fulcro centrale. Tale cambiamento avviene ogni volta manualmente grazie alla maestria di due tecnici di scena che si mettono all’opera tra un atto e l’altro, mentre il pubblico osserva a scena aperta, e la graduale trasformazione bene serve a rendere l’idea di come i personaggi ruotano tutti attorno ad un protagonista, eroe di una storia crudele e mascherata di Amore Vero. Nonostante le apparenze, infatti, Geronta Sebenzio è in realtà un imbroglione, di quelli della peggior specie, di quelli che non vorrebbero attirare l’attenzione dei media, ma che deve far buon viso a cattivo gioco con i giornalisti che gli vogliono porre domande. Si dice in giro che egli, dopo aver stipulato un contratto morale composto da varie condizioni e clausole, faccia “resuscitare” le persone, o per meglio dire faccia ritornare in vita, grazie all’aiuto dell’Amore dei familiari e degli amici, coloro che hanno esalato l’ultimo respiro. Perché ciò accada è indispensabile che il defunto si sia comportato bene, sia stato generoso, cattolico praticante e che abbia accolto in casa chi aveva bisogno di aiuto. In questo modo, l’ambiente famigliare e di coloro che gli sono vicini risulterà pervaso d’Amore Vero, Puro e Disinteressato, necessario per il formarsi di una catena invisibile e forte che possa consentire a Geronta di richiamare alla vita il morto, che guarda caso è sempre una persona benestante. Che ha fatto preventivamente testamento. Ma cosa ci guadagna il nostro eroe? Assolutamente niente perché Geronta non chiede e non accetta alcuna offerta economica. Egli agisce in tal senso solo per spirito di fratellanza, o così vorrebbe far credere. Lo spettatore, solo col proseguire della storia comprende il reale sistema di truffa pensato e articolato in ogni dettaglio da Geronta con risultati positivi. Egli, infatti, inizialmente si presenta come un Santo, come colui che dalla vita ha subito molteplici torti ma ha sempre saputo perdonare chi gli fatto del male. E attraverso le parole del suo fedele compagno Isidoro Esposito, accentuata è la sua immagine vestita da bontà infinita, nonostante le cattiverie inflittegli dai suoi stessi familiari per motivi legati ad eredità da ricevere e dividere. (Azzardando un parallelo con il presente, potremmo dire che il suo atteggiamento da “onesto e puro” ricorda un po’ quello di un noto personaggio politico italiano, di cui si preferisce non riportare il nome, che pubblicamente si presentava come un martire perseguitato ma nonostante ciò non poteva fare a meno – diceva – di aiutare ed immolarsi per il suo popolo.) Se però il suo comportamento è certamente da condannare, vero è, comunque, che esso è reso possibile dall’avidità e dal desiderio di essere immortali di ciascuno. In tal senso d’impatto risulta essere la scelta di adottare un manichino per rappresentare sia il corpo del defunto benestante, sia i suoi oggetti di valore che i familiari si contendono come se si trattasse di una preda catturata su cui accanirsi a morsi.

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La scenografia, curata da Luciano Di Rosa, è scarna, volta all’essenziale e priva di fronzoli, e presenta uno sfondo nero, neutrale che bene mette in luce il carattere universale della vicenda. Ciò consente di meglio concentrarsi sul testo di Eduardo e sulla qualità attoriale. In scena solo sette attori (a differenza della versione originale che ne prevede di più). Claudio Di Palma e Carmine Paternoster, nei ruoli rispettivamente di Geronta Sebenzio e Isidoro Esposito, sono gli unici a interpretare sempre lo stesso personaggio, Anna Carla Broegg, Andrea de Goyzueta, Giovanni Del Monte, Francesca De Nicolais e Fabio Rossi, invece, ricoprono più parti nel corso dello spettacolo, limitandosi non solo a modificare gli abiti ma anche il registro linguistico e gli atteggiamenti in maniera assolutamente riuscita. Anche la scelta dei costumi, creati appositamente da Selvaggia Filippini, è frutto di decisioni registiche efficaci e utili a simboleggiare ogni volta uno stato d’animo diverso, non necessariamente legato al cambio di personaggio.

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Il Contratto alla Galleria Toledo di Luigia Cristofaro Napoli Monitor, 18 febbraio 2014 http://napolimonitor.it/rubriche/il-contratto-alla-galleria-toledo Dei corpi in cerchio che velocemente si scambiano abiti scuri, identici, poi si rispogliano, li passano al vicino, si rispogliano ancora e si rivestono freneticamente. La loro nudità è impercettibile. È la prima scena del Il Contratto, la piéce teatrale diretta da Pino Carbone, che sarà proposta alla Galleria Toledo fino al 23 febbraio. Tra gli attori Claudio Di Palma, Francesca De Nicolais e Carmine Paternoster. La prima c’è stata a settembre al Festival Benevento Città Spettacolo. Il Contratto è una commedia in tre atti scritta e interpretata da Eduardo de Filippo nel 1967, portata in televisione e più volte rivisitata. L’opera si colloca in un momento molto particolare della vita dell’autore: qualche anno prima gli era morta la figlia, di appena dieci anni, avvenimento che lasciò Eduardo chiaramente molto scosso e che frenò per un certo periodo di tempo il suo lavoro teatrale, che era stato sempre irrefrenabile. Il protagonista è un impostore, Geronta Sebezio che, promettendo la resurrezione grazie alla sua intercessione, e predicando fratellanza e amore, utilizza a proprio vantaggio le difficili relazioni tra gli uomini, la paura della morte e l’avidità. Geronta, con parole convincenti e fintamente altruiste, inganna le famiglie dei defunti riuscendo a guadagnare ingenti somme di denaro. La fragilità dell’uomo è il tema dell’opera. Nei dialoghi c’è il dramma dell’esistenza umana, un dramma che si consuma soprattutto tra le mura domestiche. La famiglia come luogo dei principali conflitti, dolori e delusioni dell’uomo è presente in molte opere di Eduardo che, con la sua particolare lente di ingrandimento, cioè il suo teatro, analizza i rapporti che l’individuo intesse con le persone a lui più vicine, e allora compaiono figli, madri, cugini tutti interessati al denaro. La messa in scena del testo è organizzata come una trilogia di atti quasi completamente autonomi e separati: nel primo è evidente l’indagine sull’individuo, nel secondo gli affetti, nel terzo la società. Il ritorno alla vita promesso da Geronta può andare a buon fine solo se i familiari riuniti con lui intorno al corpo del defunto, che sul palco è un manichino nudo che successivamente viene smembrato, nutrono vero amore per il morto, un amore tale la cui energia possa svegliare il trapassato. Una battaglia persa in partenza. La voglia di vivere, di chi con un contratto cerca di imbrogliare la morte, sorvola su qualsiasi incomprensione avuta nella “vita precedente”, al solo scopo di poter prolungare la propria esistenza. Tutto è ammesso per riprendersi la vita.

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Una catena di relazioni fittizie, una ruota, quella presente nell’ultima scena, in cui gli attori seduti su una pedana vengono spinti e fatti girare da Isidoro, il primo miracolato di Geronta, che macina, fa muovere e confondere le vite delle persone. “Umano, troppo umano�.

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Un cadavere teatrale di Alessandro Toppi Pickwick, 16 febbraio 2014 http://www.ilpickwick.it/index.php/teatro/item/1066-un-cadavere-teatrale Siete uomini o animali?” (Eduardo De Filippo, Il contratto) Il grande merito di Pino Carbone, nel mettere in scena Il contratto di Eduardo De Filippo, è quello di comprendere che il teatro eduardiano è intimamente sociale, naturalmente civile, pur restando ostentatamente teatrale. “Io vi parlo di quello che siamo diventati, di quello che siete diventati ma – per parlarvene – non posso che usare il teatro, con le sue mascherate, con la sua finzione, con le sue frasi posticce e le sue pose taroccate” direbbe Eduardo, conscio che c’è una correlazione osmotica e inevitabile tra la vita del teatro ed il teatro della vita per cui, nella vita del teatro, si recita bene ciò che, nel teatro della vita, si interpreta male. “Eduardo vi parla di ciò che siete diventati, di ciò che siamo diventati ma – per parlarvene – non può che usare il teatro” immaginiamo ci dica Pino Carbone, che rilegge e riforma Il contratto partendo dalla considerazione che il teatro è teatro e va mostrato in quanto teatro ma che, questo teatro, è anche allusione, rimando, caricatura digrossata ma in qualche modo realistica di ciò che ci capita tutti i giorni, dal primo mattino e fino a tarda sera, quando siamo tra amici-parenti, che sono nemici-parenti. Non è forse un teatro ovvero un imbroglio, una finzione, una recita evidente e continua quella che architetta e mette su Geronta Sebezio? Non è lui il vero regista della pantomima che, puntualmente, s’interpreta in ogni casa in cui c’è un morto da piangere e un’eredità da spartire? Non è forse lui – ad un tempo drammaturgo nell’opera e metteur en scène che dirige stando sul palco – a suggerire parole, frasi, intere battute? E non è sempre lui a sollecitare un movimento, a far assumere una posizione, a chiamare, richiamare e collocare protagonisti e comparse sollecitandone l’entrata, l’uscita e l’emersione di uno stato d’animo, di una confessione, di un pensiero nascosto che sono funzionali alla buona riuscita dell’esperimento? E questo stesso esperimento che si vede qui – in questa stanza in cui c’è un cadavere vero ma ci sono familiari che piangono lacrime finte – non è stato già replicato in chissà quante stanze, al cospetto di chissà quanti morti veri, con attorno familiari che piangevano lacrime finte? Geronta Sebezio è colui che pensa, ripensa, organizza, prova e collauda, perfeziona poi mette in pratica una rappresentazione teatrale in cui tutti sono attori, sapendo d’essere attori, pur non volendolo dichiarare neanche a se stessi. Geronta Sebezio costringe la vedova a desiderare il ritorno del defunto anche se non lo desidera veramente; costringe i figli a proclamare un amore e uno strazio che non provano; Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 7


costringe il parente odiato, scacciato e poi riammesso in famiglia – e che benefica di una parte del testamento – a volere che la morte sia morte, che le volontà si rispettino e che si faccia anche in fretta perché egli deve partire, ovvero uscire di scena, dichiarando così finita anche questa ennesima replica. È un teatro quello che De Filippo fa realizzare a Geronta Sebezio; è talmente un teatro da potersi pensare ai tre atti de Il contratto come ad un susseguirsi di: teorizzazione dello spettacolo (primo atto), sua realizzazione pratica (secondo atto), spiegazione dello stesso (terzo atto). È un teatro, come dimostra Geronta Sebezio permettendosi di elencare le caratteristiche necessarie perché la commedia sia realizzabile (l’esistenza di una famiglia, di un parente rinnegato e dei Buoni del Tesoro); è un teatro, come dimostra la famiglia di Gaetano Trocina, che “si è già appriparata la coscienza per il grande funerale di domani” e che, in previsione del ritorno di chi risuscita, deve riassestare di nuovo la scenografia precedente; è teatro come dichiara Giacomino Tracina, sbottando ormai senza freni: “Del resto qui ci sta la vedova e deve decidere lei se si deve fare questo teatro o no”. È teatro ma, sia chiaro, è soltanto la versione da palco (con tutto ciò che comporta) di quell’altro teatro, di quello che si svolge ogni giorno ed in ogni occasione in cui si deve fare una spartizione di interessi, in cui si deve far valere il proprio conto, in cui ci si deve impossessare di qualcosa che ci spetta di diritto o che, se non ci spetta, deve spettarci comunque. Intimamente sociale, naturalmente civile, pur restando ostentatamente teatrale è Il contratto di Eduardo De Filippo e Pino Carbone lo ha compreso, inscenando di conseguenza: a partire da un piccolo tondo di legno, posto al centro del palco. C’è questo tondo di legno al centro del palco e, attorno, solo qualche sedia con sopra i costumi di scena. Questo tondo – emblema del lavoro registico di Pino Carbone – tende ad ingrandirsi, nel passaggio al secondo ed al terzo atto, fino ad assumere le fattezze di una larga distesa, piatta e mobile. A nostro parere il tondo assolve a tre funzioni fondamentali, una per ogni atto dell’opera, più una quarta in aggiunta: – Primo atto. Il tondo è una piccola pedana che sopraeleva, evidenzia, sottolinea, pone in alto e rende visibile. Rimando alla fama assunta dal personaggio (colui che risuscita i morti, oggetto di chiacchiere del paese e celebrità intervistata dalla stampa), la pedana assolve anche la funzione di sottolineare il punto da cui tutto parte, da cui tutto s’irradia: è lì che siede Geronta Sebezio, infatti, e sappiamo che Geronta Sebezio è il fulcro, l’asse, la sorgente di tutto ciò che capita e cui assistiamo. Dunque la pedana è la realizzazione materica e scenografica del ruolo che De Filippo assegna al protagonista dell’opera. – Secondo atto: circonferenza allargata. La pedana ha un’ampiezza media e – imbiancata da una luce piena (differente da quella, più livida e scialba, che tocca il Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 8


resto dello spazio) – funziona da palcoscenico sul palcoscenico. È su questo cerchio più ampio che moglie, figli e cugino devono interpretare il dolore per il morto, l’astio reciproco, il comune desiderio di furto e profitto. La pedana, nel secondo atto, si fa ribalta consentendo il teatro del teatro; ma è anche la messa in evidenza (implicita) di quanta teatralità ipocrita vi sia nel giorno funereo, in cui si commisera mentre si fa calcolo di guadagni e di spese. – Terzo atto: circonferenza allargata ulteriormente. La pedana che è diventata un palco si tramuta in una giostra che, a comando, gira. La giostra è la messa in evidenza della reiterazione della recita ovvero è la denotazione concreta dello pantomima che si ripete, risuccede, accade di nuovo. Ci piace pensare che la giostra sia anche la resa per simbolo de Il contratto che, fin quando è di scena, gira per poi rigirare ancora la sera seguente: fino all’ultima data, fino all’ultima replica. In tal senso la giostra è il teatro in quanto teatro, che si monta, si smonta e si rimonta ogni volta, ogni notte, in ogni occasione possibile. Ma la giostra è anche la metafora lignea del contesto sociale, in cui – volta e rivolta – ci s’illude, ci si inganna, ci si froda reciprocamente: io imbroglio te che imbrogli lui che imbroglia me in un continuo imbroglio imbrogliato in cui tutti finiamo per essere corrotti e corruttori, truffatori e truffati. “Pure tu te sí mbrugliato/ mmiez’ ‘o mbruoglio/ ‘e sti mbrugliune”: ecco che viene in mente l’inizio di una poesia eduardiana, ‘A mbrugliata. A queste tre funzioni ne aggiungiamo una quarta che riguarda specificatamente la scelta dell’allargamento progressivo. Ci sembra che Pino Carbone voglia così sottolineare, scenograficamente, quella che è la traccia primaria e nascosta da De Filippo ne Il contratto, una traccia che ha come fonte Geronta Sebezio e come foce il mondo reale. “Questo personaggio” – citiamo lo stesso Eduardo – “è stato torturato, è stato maltrattato dalla famiglia, dalle leggi, è stato maltrattato dalla vita, è stato sottoposto ad angherie, è stato sottoposto a corna, lo ha lasciato la moglie, insomma: ha subito tutte le traversie che l’uomo affronta in questa vita”. Geronta Sebezio è una vittima che rende vittima gli altri, partendo da coloro che gli sono più prossimi, per poi rivolgersi a tutti, con la tirata finale: “La catena d’amore che unisce tutti voi e vi tiene cristianamente legati nel rispetto dei comuni interessi. Amore puro, vero, sincero, disinteressato”. Dall’uno ai pochi, dai pochi ai molti, dai molti a tutti: Il contratto amplia progressivamente il suo sguardo, quasi come si amplia un punto luce diventando un grosso chiarore che illumina tutto, che tutto rende evidente. Da Geronta Sebezio allo spettatore che siede nell’ultima fila, dallo spettatore dell’ultima fila al passante – ignaro – che traversa la via che costeggia il teatro e, seguendo lui, alla sua famiglia e a quelle dei vicini, del palazzo accanto, dell’intero quartiere, di un pezzo di città, della città intera. Ma Pino Carbone non si limita alla realizzazione di questa pedana-palco-giostra. La sua regia valorizza la natura (s)mascherale e ostentativa del teatro contenuto ne Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 9


Il contratto. Per questo induce gli attori a vestirsi e cambiarsi su scena; per questo fin dall’inizio illumina il manichino (elemento che fungerà da corpo cadaverico), ponendolo a sinistra e sul retro, ma con un faro che lo renda sempre presente allo sguardo; per questo induce ogni attore a interpretare più ruoli; per questo propone la pantomima del secondo atto, realizzata fondendo i toni della farsa con i gesti spigolosi dei burattini: mano-polso-avambraccio fissi, gomito ad angolo; le spalle che battono ritmicamente; la schiena piegata e bloccata in maniera rigida; le gambe rese due tronchi, il volto contraddistinto da immobilità micromuscolare mentre il tono è volutamente innalzato, esagitato e fintato. Per questo – ancora – rende fisicamente statico il primo atto (momento nel quale si riflette, si pondera, si pensa all’allestimento dell’imbroglio); rende ristretto, aggrumato e scattante il secondo (denotazione dello spazio come un piccolo teatrino dei pupi, in cui ci si affolla a recitare la recita che va recitata); rende ampio e vorticoso il terzo atto, perché ciò che abbiamo visto nel secondo si disperda verso ogni dove, come si disperde il polline portato dal vento, come si disperde il seme gettato alla terra. Per questo – ancora – costruisce nei primi due atti una messinscena bicolore (bianco/nero) ed associa il bianco al lutto, come avveniva un tempo nei contesti contadini (Il contratto è ambientato nelle terre tra Massa Lubrense e Positano), esagerandolo tuttavia teatralmente: gonne bianche, camicie bianche, bianche le scarpe, bianchi i pantaloni, gli abiti, i calzini e bianco è anche il belletto spalmato su guance, naso, mento, fronte, palpebre, collo e tempie così come bianche sono le parrucche di cotone. Per questo rende – più ancora di quanto faccia Eduardo – Geronta Sebezio un regista e Isidoro il suo assistente, il suo servo di scena, il suo secondo sul palco. A Isidoro tocca dire le battute che vanno dette; a Isidoro tocca introdurre, far uscire o fermare i personaggi; a Isidoro anche il compito di spingere la ruota, di farla volteggiare, di permettere concretamente la replica della stessa finzione, dello stesso spettacolo (ci scappa d’osservare Isidoro mentre la trama volge alla fine: egli se ne sta seduto, di lato, il gomito appoggiato alla coscia, il mento sul pugno chiuso; lo guardo nel vuoto, il respiro placido, calmo, tranquillo: la sua è la posa di chi sa già come andrà, di chi sa già come finisce, di chi ha già visto e rivisto questa beffa, tanto da potersi permettere di non guardarla di nuovo). Per questo Geronta Sebezio può consentirsi di far ripetere – al notaio – sei volte la battuta d’ingresso e due volte quella d’uscita: insoddisfatto del tono manierato, eccessivo, palesemente recitato (come se l’attrice che interpreta il notaio fosse rimasta al secondo atto, quando interpretava la vedova), Geronta Sebezio desidera adesso una recitazione (finto)naturalistica, sia nella voce che nei gesti. Per questo chi va via rimane sul palco; per questo si recita proponendosi talora in ribalta; per questo al termine del primo atto la chiusura del sipario è leggermente ritardata: gli spettatori possono così vedere due veri attrezzisti che entrano e cominciano il cambio di scena. Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 10


Pino Carbone comprende che c’è il teatro nel teatro di Eduardo, dunque; comprende che Eduardo fa del teatro un teatro; comprende che a Eduardo non basta (mai o quasi mai) un solo palcoscenico, un solo livello di finzione, una sola recita. A Eduardo occorre aggiungere a un ruolo altri ruoli, a una trama altre trame, a una maschera altre maschere. E – quando questo non basta ancora – ecco il miscuglio tra il vero e il fasullo, tra il probabile e l’improbabile, tra il possibile e l’impossibile; ecco la compresenza allusa, ipotizzata, fantasticata tra i vivi e i morti, tra i corpi e gli spettri; ecco il commercio tra mondano ed oltremondano, ecco il tema delle anime che restano, dei morti che risuscitano. Ma Pino Carbone comprende anche che, tutto questo teatro moltiplicato alla seconda o alla terza, serve a Eduardo per ritrarre con toni ora cupi ora grotteschi chi siede in platea. Serve a Eduardo per fare immagine, indicazione e descrizione caricaturale ma, tuttavia, veritiera. Specchio deformato è il teatro, rimanda una sagoma storta, digrossata, spaventevole e perciò perturbante: lezione ripresa dallo Shakespeare dell’Amleto, ricorda qual è l’utilità fondante e inevitabile del Teatro: quella di permettere, a chi osserva, di essere osservato. Lo spettatore guarda l’attore mentre l’attore interpreta lo spettatore. Eduardo ne è pienamente consapevole, tanto da fare de Il contratto una spietata analisi dell’arrivismo, della bramosia di ricchezza, dell’ingordigia di “roba”. Egoismo, senso dell’accumulo, bisogno di divorare fin quando è possibile diventano – in Eduardo e nel suo testo – un banchetto (“Servitevi di questo ben di Dio, pigliatevi la frutta, le galline, le uova fresche, formaggi, salami… portatevi qualche oca, qualche gallina. Non vi vergognate, non abbiate paura: avvicinatevi ai tavoli”) ed è questo banchetto che Pino Carbone realizza nell’ultima scena. Napoleone, che tanto ha desiderato “il contratto”, finalmente si è sposato: ha una moglie, ha dei parenti, ha un cognato che detesta e che accoglie. Tutto è pronto, adesso: toccherà a lui il ruolo di cadavere nella prossima recita. Perciò non solo la sposa ma tutti gli invitati al pranzo nuziale vestono di bianco (anticipazione del lutto); perciò gli invitati si avvicinano al manichino posto in ribalta (metafora della frutta, delle galline, dei formaggi, dei salami eduardiani) guardandolo con avidità, con desiderio di cominciare a beccare, di arraffare il proprio sottraendolo agli altri; perciò Napoleone firma il proprio accordo poggiando il foglio sul manichino medesimo, imponendosi la futura condanna. Il matrimonio è già un funerale, la novella sposa è una vedova, i parenti sono uccelli fetenti, sono avvoltoi, sono iene. Sono uomini, destinati a cibarsi di altri uomini.

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Claudio Di Palma recita Eduardo Intervista di Angela Matassa Il Mattino, 16 febbraio 2014 http://www.notizieteatrali.it/wp/?p=8785 Debutta il 14 febbraio (in scena fino al 23) alla Galleria Toledo di Napoli Il contratto di Eduardo De Filippo, con Claudio Di Palma, Anna Carla Broegg, Andrea de Goyzueta, Giovanni Del Monte, Francesca De Nicolais, Carmine Paternoster, Fabio Rossi, diretti da Pino Carbone. Claudio, come mai proprio questo testo, tanto poco visitato? “Mi ha appassionato il progetto del regista che ne ha fatto una messinscena originale in cui accentua la linea nera del testo, il piglio drammatico, pone l’accento sul tema di legalità e illegalità, della precarietà di cui Napoli è emblema. Temi esistenti nell’originale, ma non in stile surreale”. Il testo è qui rappresentato come una trilogia. Interpreti tre personaggi diversi? “No, perché la trama è e resta unica. Mentre le situazioni cambiano, Geronta Sebezio, il protagonista, rimane sempre uguale a se stesso. L’impostazione registica pone in evidenza nel primo atto l’individuo, nel secondo la famiglia, nel terzo la società, con stili differenti. Il protagonista, con l’aiutante Isidoro, procede immutati, anche quando la famiglia è disegnata con linee surreali. Non si stupisce di nulla, esteticamente è uguale in tutti e tre gli atti, è quotidianamente verosimile. Rappresenta la linea comune della storia”. E’ una cifra che in Eduardo non esiste. Il testo è stato modificato? “A parte il necessario sfoltimento, è intatto, non ci sono forzature, è l’autorità dei grandi che lo consente. Spingere su questo aspetto, appena accennato in “De Pretore Vincenzo” o in “Il sindaco del Rione Sanità”, è come avere una visone successiva a Eduardo”. E’ la prima volta che affronti l’opera del Maestro? “Sì. Anche se, in effetti, ho fatto questo mestiere proprio per la passione che provavo per lui. Mi emozionai tanto quella sera al San Ferdinando vedendolo recitare. E poi, sentire il rumore delle pantofole di Pupella Maggio sul palcoscenico, mi ricordava mia nonna, mi riportava alla mia vita familiare, che veniva raccontata in un mondo ‘altro’, nella magia del palcoscenico. E’ un autore di statura mondiale, con cui il tempo deve fare i conti”. Tra qualche giorno (il 25 febbraio) porterai in scena “Letteratura e salti mortali” di Raffaele La Capria, che dirigi e interpreti, nell’ambito del progetto a lui dedicato dallo Stabile partenopeo. Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 12


“Sì, dopo essermi occupato della messinscena di Ferito a morte, torno all’autore con questa composizione suggestiva, originale, che è una raccolta di articoli degli Anni Ottanta e Novanta con un’alta dissertazione sull’analogia tra letteratura e sport. Poiché La Capria è un saggista più che un romanziere, m’incuriosiva l’idea di coniugare scrittura, saggistica e teatro per fare una trasposizione di questi linguaggi”. E ancora il 20 febbraio tornerai all’Acacia, con il tuo allestimento di “L’avaro” di Molière con Lello Arena. Come l’hai reso? “Fedelmente al testo, ma con un allestimento originale che punta sul tempo. Un tempo indefinito, una sorta di percorso dal Seicento ad oggi. Lo spazio scenico, di Luigi Ferrigno, è formato da un perimetro di teche con altrettante sedie di tutte le epoche, indicano il potere, ma anche la vecchiaia e quindi l’avidità, cui il protagonista si condanna. Una è quella utilizzabile, sulla quale l’Avaro si siederà ed è una sedia a rotelle. La ricchezza accumulata gli è utile senz’altro, ma diventa poi una tortura e una dannazione. La menomazione non è soltanto fisica, dunque, ma soprattutto interiore, lo porta alla solitudine e quindi alla morte dei rapporti”. Hai lasciato Napoli, ma è comunque presente nella vita e nel lavoro. “Non potrebbe essere assente. Sono transitato solo nel corpo dalla mia città, non posso fare a meno di sentirla. Come La Capria non dimentica Palazzo Donn’Anna, io non dimentico Via Palizzi, la strada della mia vita, dove ho amato e sofferto. Questi due grandi autori mi legano a lei. Condivido la visione che hanno avuto della città, diverse eppure entrambe pertinenti. Loro esplorano paesaggi differenti, ma che comunque le fanno capo, perché li contiene tutti. E non ha a che fare con Napoli anche Molière? E’ qui che ha imparato a fare teatro, dai nostri artisti. Sappiamo che Napoli è l’unica città al mondo che abbia creato e prodotto tanto senza alcuna interruzione, però la sua grandezza non è museificata, questo è un bene, ma purtroppo per lo stesso motivo, troppo spesso viene dimenticata o ignorata”.

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Il Contratto" di Eduardo, amore ed altre falsità di Luigi Morsa Campania su web, 15 febbraio 2014 http://www.campaniasuweb.it/story/24587-contratto-eduardo-amore-ed-altrefalsit Nel trentennale della morte del drammaturgo, alla Galleria Toledo di Napoli va in scena lo spettacolo con la visionaria regia di Pino Carbone Dopo il debutto lo scorso settembre a Benevento Città Spettacolo, giunge a Napoli "Il contratto" di Eduardo De Filippo. Nel trentennale della morte del drammaturgo partenopeo, la piéce diretta da Pino Carbone, sarà alla Galleria Toledo fino al 23 febbraio. Tra i protagonisti, Claudio Di Palma, Francesca De Nicolais e Carmine Paternoster, attore del film "Gomorra". SI PUO' TORNARE DALLA MORTE? - «L'amor che move il sole e l'altre stelle» scrisse Dante nell'ultimo canto della Comedia, l'amore che smuove il mondo e che può vincere anche la morte. Sembra essere questo il fulcro della commedia di De Filippo, impermeata sulla figura di Geronta Sebezio, un uomo che grazie alla catena d'amore che si crea riesce a riportare in vita i morti da poco deceduti, senza voler nulla per se in cambio. "Un santo!" come esclama spesso Isidoro, il giovane orfano che ospita in casa sua, il primo ad essere resuscitato. LA GRANDE GIOSTRA DI GERONTA - Protagonista assoluto, Geronta, interpretato magistralmente da Claudio Di Palma: muove i tasselli, quei pochi che gli bastano perché la grande macchina dei rapporti interpersonali crei la situazione incresciosa che farà attuare la truffa. È una macchina che va da sola, da sempre, e che il protagonista conosce a fondo, per cui gli bastano piccoli interventi qui e lì, perché questa catena d'amore, che amore non è, si vada a stringere intorno al collo dei più avidi. Gli altri personaggi altro non sono che creta nelle sue mani, manichini inermi, come mostrato nella primissima scena in cui sono in biancheria intima, in attesa di vestirsi per recitare la parte a loro riservata. Si instaura così un gioco di maschere, in cui il raggirato, costretto dal contratto a mostrarsi uomo d'amore, pio e generoso, nel mentire a tutti circa la propria vera natura, inizia a realizzare, volendo o nolendo, opere di bene e tiene salda l'istituzione familiare. CARBONE INTERPRETA I TRE ATTI COME UNA TRILOGIA - L'avanzare degli eventi che porteranno alla truffa vien seguito pari passo dall'intrigante scenografia che, partendo da un pedana tondeggiante, andrà ingrandendosi man mano fino a diventare una vera e propria giostra. Gruppo d'attori eccezionali e veramente ben diretti, tra i quali emergono Claudio Di Palma e Francesca De Nicolais, la vera protagonista del secondo atto. Il lavoro di ricerca necessario alla messa in scena dell'opera c'è e si vede, forse anche troppo in alcuni frangenti in cui, nel passare da un'atto all'altro nella dichiarata trilogia, nel passare da uno stile, da un registro Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 14


all'altro, si perde il senso d'unitĂ dell'opera, tenuta insieme sempre e soprattutto dal testo e dalla trama, fili conduttori. Un omaggio al grande Eduardo da non perdere.

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Inganni e resurrezione nel teatro di Eduardo Intervista di Ilaria Urbani a Pino Carbone Repubblica Napoli, 14 febbraio 2014 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/02/14/ilcontrat to.html Non ha fatto in tempo a vedere Eduardo recitare dal vivo. Ma ha recuperato ogni sua opera in videocassetta e oggi Pino Carbone, attore e regista napoletano, porta in scena nell’anno del trentennale della morte di De Filippo, la sua versione di “Il contratto”, opera del 1967. Il lavoro sarà in scena da stasera (ore 21) al 23 febbraio alla Galleria Toledo ai Quartieri Spagnoli (via Concezione a Montecalvario 34; domenica ore 18 – ingresso 15 e 20 euro). In scena Claudio Di Palma, Anna Carla Broegg, Andrea de Goyzueta Giovanni Del Monte, Francesca De Nicolais, Carmine Paternoster e Fabio Rossi. Di Palma interpreta il protagonista Geronta Sebezio, nobile aristocratico decaduto che promette di resuscitare i morti con un singolare stratagemma, un contratto di resurrezione che si rivelerà per gli eredi del defunto una truffa, un inganno in piena regola. Paternoster è l’amico Isidoro. «Ho deciso di mettere in scena “Il contratto” perché a mio avviso è l’opera nella quale Eduardo riserva ad ogni singolo personaggio, anche quelli di contorno, un incredibile lavoro di drammaturgia – spiega Carbone - e poi credo che sia l’opera nella quale è più evidente la battaglia personale, la vendetta, di un individuo contro un’intera società legata al possesso materiale dei beni, alla loro accumulazione, un discorso che mai come in questa epoca è attuale: la resurrezione che mette in atto Sebezio assomiglia molto all’idea che abbiamo di stare al mondo oggi ». La messa in scena è concepita come una trilogia, ogni atto si au- toconclude ed è caratterizzato da un colore: nel primo prevalgono le tinte cupe, il nero, nel secondo sulla famiglia Trocina c’è un bianco ossessivo che si riflette negli oggetti, nei costumi e nella scena, il terzo c’è un’esplosione di colori. Con “Il contratto” Eduardo rappresenta ancora una volta la sua idea di famiglia e di società come luogo di ipocrisie e liti. «È necessario che Eduardo sia riscoperto in tutte le sue opere – spiega Carbone – io stesso ho deciso di fare teatro grazie alle sua arte, e come tanti altri credo che le sue opere vadano studiate a scuola, non solo l’Eduardo attore e regista, ma soprattutto l’Eduardo autore. Sono felice che Luca De Filippo mi abbia dato la possibilità di lavorare su questo testo, e il trentennale forse servirà proprio a questo: a liberare sempre più opere dai diritti in modo da rendere Eduardo sempre più contemporaneo». “Il contratto” nella prossima stagione teatrale andrà in giro in altri teatri italiani e probabilmente anche all’estero. «Ho saputo che in Argentina in questi mesi una compagnia sta mettendo in scena proprio “Il contratto”. Eduardo ovviamente non conosce confini».

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La resurrezione contrattuale di Eduardo di Enrico Fiore Il Mattino, il 18 settembre 2013 http://blog.libero.it/Controscena/view.phpid=Controscena&mm=0&gg=130918

Con «Il contratto», datato 1967, Eduardo ritenne di aver scritto «finalmente "la" commedia». E infatti, parliamo di un testo che appare come un autentico catalogo di tutti i temi da lui sviluppati nell'arco della sua carriera d'autore (dall'egoismo all'ipocrisia, dai rancori famigliari all'avidità), di tutte le forme di cui quei temi s'erano vestiti (dal naturalismo al simbolismo) e, infine, di tutte le pulsioni e di tutti gli umori che su Eduardo avevano influito mentre li trattava (dal moralismo al sarcasmo, dall'amarezza al cinismo). Basta considerare, al riguardo, il personaggio protagonista, quel Geronta Sebezio (il nome rimanda alla vecchiaia e il cognome al fiume Sebeto) che prima promette la resurrezione a quanti, per l'appunto, firmano un contratto con cui s'impegnano ad amare il prossimo e poi, una volta che sono morti, fa in modo da impadronirsi di una parte della loro eredità, meglio se in buoni del tesoro non tassabili. Ebbene, l'eccellente idea di Pino Carbone - regista dell'allestimento de «Il contratto» che l'Ente Teatro Cronaca ha presentato in «prima» nazionale a Benevento Città Spettacolo - è quella di riferirsi, giusto, al «prima» della commedia, a quanto si agitava nel cervello e nell'inconscio di Eduardo mentre andava scrivendola. Vedi, tanto per fare un esempio, il parossismo con cui gli attori, da seminudi ch'erano all'inizio, si danno a indossare i costumi dei rispettivi personaggi: è, manco a dirlo, la sottolineatura della «premeditazione» didascalica che presiede al testo. Allo stesso modo, non si potrebbe immaginare una più evidente e funzionale allusione al simbolismo citato dei costumi bianchi indossati dai parenti di Gaetano Trocina, poiché nelle tradizioni popolari campane il bianco è per l'appunto il colore che simboleggia la morte. E il resto, s'intende, viene garantito dalla bravura degl'interpreti in campo. Claudio Di Palma, con ammirevole perspicacia, fa di Geronta Sebezio una sorta di conferenziere debitamente freddo e calcolatore. E al suo «santo» fa da contraltare la viperina Silvia Trocina di Francesca De Nicolais.

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Il Contratto di Eduardo De Filippo rivive d’aria nuova a Benevento di Antonio Mocciola Il Brigante, 17 settembre 2013 http://www.ilbrigante.it/spettacoli/il-contratto-di-eduardo-de-filipporivive-darianuova-a-beneventoantonio-mocciola/

Il gioiellino beneventano del Teatro De Simone riporta in scena, per la rassegna diretta da Giulio Baffi, “Il contratto”, testo del 1967 di Eduardo De Filippo, di cui il prossimo anno ricorre il trentennale della scomparsa. Nella versione televisiva, Eduardo ritagliò per sè il ruolo di Geronta Sebezio, un cialtrone che promette resurrezioni predicando amore, sfruttando a proprio vantaggio le relazioni degli uomini, e le loro paure. Qui è l’ottimo Claudio Di Palma a sostenere il complesso ruolo-cardine, al servizio della visione originale ma allo stesso tempo rigorosissima, del regista Pino Carbone, che si conferma tra le voci più interessanti del panorama teatrale odierno. Ben servito dalle belle musiche di Fabrizio Elvetico e dagli smaglianti costumi di Selvaggia Filippini, lo spettacolo diventa pura trilogia (individuo-famiglia-società) ed ha una partenza un po’ lenta (in cui da’ bella prova Carmine Paternoster nel ruolo del “resuscitato” Isidoro), esplode nel secondo atto, in cui gli acuti più brillanti sono affidati alla sempre impeccabile Francesca De Nicolais, e trova degna conclusione nel bellissimo finale, con una ruota che gira tra i destini degli uomini, e delle loro povere cose. Tutto il cast (Andrea de Goyzueta, Giovanni Del Monte, Irene Grasso, Fabio Rossi) danza con perfetti sincronismi, cambiando vestiti e facce in un vortice di falsità. Carbone, cui il fratello Luca regala i bei soggetti grafico-pittorici del finale, tratta senza complessi materiali ritenuti sacri, e questo deve fare un artista che abbia idee e coraggio. Leggere è complicato, rileggere ancora di più. Ma qui, con gusto e misura, si ricrea. Ed è questo il “quid” in più, innegabilmente.

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Pino Carbone pareggia i conti con Eduardo di Luigi Furno BMagazine, Martedì, 17 settembre 2013 http://www.bmagazine.it/cultura/item/4959-pino-carbone-pareggia-i-conti-coneduardo? fb_action_ids=10202411333909765&fb_action_types=og.recommends&fb_sourc e=other_multiline&action_object_map={%2210202411333909765%22%3A14445 46542436400}&action_type_map={%2210202411333909765%22%3A %22og.recommends%22}&action_ref_map=[]

Finalmente qualcosa di essenziale a Città Spettacolo Quello che traspare, forse tra le pieghe dense del testo eduardiano, nella regia di Pino Carbone de “Il Contratto”, andato in scena a Benevento Città Spettacolo, è una massa deforme di materiale organico derivante da una rigenerazione e una rimessa al mondo del corpo maltrattato di De Filippo. Cosa resta del teatro all’ Eduardo quando, con precisione chirurgica (un bisturi affilato lo trancia dalla punta dei capelli all’estremo dell’alluce), e viene fatta fuori la macchietta, e viene disarcionato l’equivoco? Resta il cipiglio, il cinismo dispregiatore, il riso sardonico stampato come una maschera della commedia dell’arte. Restano quelle parole di disprezzo, probabilmente distrattamente appuntate, ma con veemenza urlate alla apparizione in scena dello stesso Eduardo nella versione originale del 1967: “Schifoso, fetente, cretino, traditore, fesso… scegli! Ma non puoi scegliere perché, siccome sei traditore e fesso, ti imbrogli e non sai scegliere, perché come traditore ti dispiace di essere fesso e come fesso non capisci che sei pure traditore. Sei andato dal barbiere a farti ripulire nell’attesa di vedere, sul giornale, la tua bella faccia di coglione”. C’è da chiedersi con chi ce l’avesse, io mi sono sentito accusato. Cosa resta? Resta Eduardo e si eclissa Mario Merola. Alla fine del 1966, il direttore della Biennale Teatro Vladimiro Dorigo, sollecita ad Eduardo una commedia per la XXVI edizione che avrebbe avuto luogo l’anno successivo. È la seconda volta che Eduardo viene invitato a partecipare alla Biennale. La prima era accaduta nel 1950 e, in quella occasione, aveva presentato “La paura numero uno”. L’invito sorprende Eduardo nel pieno di una intensa attività. È appena uscito nelle sale “Spara forte più forte… non capisco”, un film tratto dalle “Voci di dentro” che si concluderà con una delusione che lo allontanerà dal cinema in modo, pressoché, definitivo. Per la Biennale del ‘67, De Filippo sceglie di destinare la commedia “Il contratto”. La pièce si incentra intorno ai Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 19


traffici con la morte che il protagonista, Geronta Sebezio, intraprende; promettendo, in modo apparentemente disinteressato, di resuscitare i morte se da vivi si impegnano, per “contratto”, ad amare e beneficare i parenti. La commedia, ambientata nella campagna tra Massa Lubrense e Positano, torna all’ambiente contadino di “Chi è più felice e me” e al motivo della roba de “’U padron sonc io” di Gino Rocca, testi che appartenevano entrambi alla tradizione del teatro umoristico. Pare che Eduardo abbia preso spunto, per la trama, da un fatto veramente accaduto. Un ritaglio di giornale, conservato da Elisabetta De Filippo, conferma questa interpretazione. Ma lo spunto si trasforma in una parabola paradossale e feroce, che restituisce in negativo il mito cristiano della resurrezione. Il ritorno in vita dopo la morte era un teme che nel teatro del novecento avevano affrontato diverse pièce, tra cui “Il lazzaro” di Pirandello. Un omaggio alla tradizione napoletana è il nome di Geronta Sebezio derivato da un periodico pubblicato a Napoli nell’800, al quale si era rifatto anche Pasquale Altavilla nella sua commedia “Li fanateci di Geronta Sebezia”. Che cosa è accaduto sulla scena de “Il contratto” di Pino Carbone? C’è una frase di Francis Scott Fitzgerald che, chiaramente dal mio personale punto di vista, sintetizza al meglio il filtraggio semantico che Carbone fa subire al lavoro eduardiano. “Ogni vita è, si capisce, un processo di demolizione”. Ma come deve essere inteso questo “si capisce”? Carbone, attraverso il suo Geronta Sebezio, magistralmente interpretato da Claudio Di Palma, fa trasparire un aspetto della vita sempre più coinvolta senza sosta in una segmentarietà rigida e inaridita. Geronta tesse una trama magistrale, magnificamente visualizzata nell’immagine del giostraio che governa la rotazione della giostra-macchina scenica, attraverso cui, e attraverso il suo potere di resuscitare i morti, emerge, segmento per segmento, la refrattarietà della vita per la vita stessa. Si evidenziano così, nel testo quasi intatto di Eduardo, la crisi economica, la perdita della ricchezza, la fatica e l’invecchiamento, il fallimento dell’affetto familiare e l’avidità che non conosce rispetto per i morti. La furbizia di Geronta, che si macchia degli stessi peccati di cui accusa, sta in un diverso tipo di sgretolamento, secondo una segmetarietà del tutto diversa. Per lui, non ci sono più grandi tagli (la vita e la morte e la reversibilità dell’una nell’altra che è il tema portante della pièce) ma micro-incrinature, come su un piatto, molto più sottili e flessibili, che si producono più facilmente quando le cose vanno meglio dalla parte della morte che da quella della vita. Geronta diventa impercettibile, riesce a disfare l’amore per essere capace di amare. Riesce a dissolvere il proprio Io per essere finalmente solo, e incontrare il proprio doppio all’altra estremità della vita. Passeggero clandestino di un viaggio immobile. Divenire come tutti, ma è un divenire soltanto per chi sa, come Geronta, di non essere nessuno, di non essere più nessuno. I movimenti scenici sono orchestrati in una modalità che non crede più alla finzione scenica ma che, tale finzione, la dilata slabbrandola. Carbone sceglie una Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 20


combinazione di gesti, che include il corpo non più in quanto segmento privilegiato, come certa avanguardia che pensa di aver definitivamente tagliato i ponti con l’orale, ma opera in modi paratattici, senza interne gerarchie e punta alla discontinuità per quanto concerne tempi, luoghi ed azioni. L’ambientazione contadina dell’originale eduardiano è volutamente accantonata così come il verismo dei costumi, curati da Salvaggia Filippini. Questi gli elementi di maggiore pregio del lavoro di Carbone che ha centrato l’obiettivo di dipingere grigio su grigio ciò che De Filippo attenuava con tinte più chiare e meno opprimenti. Uno spettacolo non di facile visione ma, indubbiamente, vitale per il Teatro.

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Il rinnovo del “Contratto” Omaggio a Eduardo De Filippo di Gianandrea de Antonellis Scena illustrata, martedì 1 ottobre 2013 http://www.scenaillustrata.com/public/spip.php?article1492 Con lodevole anticipo, non tanto sulla data esatta del trentennale della scomparsa di Eduardo De Filippo, a cui manca ancora un anno (il drammaturgo morì il 31 ottobre 1984), ma soprattutto su quello che si prefigura come un “anno eduardiano”, il Festival Teatrale “Città Spettacolo” di Benevento, giunto alla 34ª edizione ha voluto rendere omaggio ad uno dei massimi esponenti del teatro “napolitano” contemporaneo. (Tra parentesi: ho scritto napolitano e non napoletano, con la “i”, dando al termine un’accezione che va ben oltre i limiti geografici e vuole essere elogiativa e non certo limitativa, inserendo Eduardo nell’alveo della grande tradizione letteraria “napolitana” che va da Sannazzaro a Cappuccio). Chiedo scusa per la digressione). L’omaggio del festival beneventano è consistito nell’allestimento di due opere che sono (quasi) da un lato l’esordio e dall’altro la chiusura: pur, infatti, non essendo proprio la prima e l’ultima opera del drammaturgo, si pongono agli estremi della sua più che cinquantennale produzione. Nella fattispecie si è trattato di Sik-Sik l’artefice magico (del 1929) e de Il contratto, di quasi quarant’anni posteriore (1967).

In particolare Il contratto ha visto una pregevole rilettura del testo originale curata da Pino Carbone (regista, lo scorso anno, di una non indimenticabile messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare): pochissimi i tagli, ma completamente diversa l’atmosfera, cupa e a tratti allucinata, in cui sono stati immersi i giovani attori, guidati da un eccezionale Claudio Di Palma nel ruolo che fu dello stesso Eduardo. Ottima la messa in scena, meravigliosa l’atmosfera, encomiabile la distanza dall’originale – il che dimostra come il teatro eduardiano sia moderno e come regga il passare del tempo: chi avesse visto lo spettacolo senza saperne alcunché avrebbe avuto difficoltà ad identificarlo con un’opera dell’artista napoletano –, mentre volendo cercare il pelo nell’uovo risultano discutibili solo alcuni particolari secondari. Veniamo all’atmosfera, che Pino Carbone ha saputo ben ri-creare: qualche anno fa Alfonso Santagata aveva proposto Le voci di dentro con particolari giochi di luce ed una pantomima iniziale che aveva spinto qualche critico a scomodare il nome di Pinter (o, meglio, l’aggettivo pinteriano); purtroppo, nel prosieguo del lavoro, tale atmosfera si era un po’ stemperata ed alla fine lo spettacolo era risultato una Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 22


valida messa in scena, ma non particolarmente distante dal solco della tradizione. In questo caso, invece. Le aspettative create dal (troppo?) lungo incipit continuano, coerentemente, fino al termine dell’opera (che mantiene gli intervalli tra i tre atti per esigenze di cambio di scena: una pedana girevole che viene modificata a seconda delle diverse esigenze dei tra diversi momenti). La vicenda ruota attorno ad uno strano “contratto di resurrezione”, con cui il nobile decaduto Geronta Sebezio si impegna disinteressatamente a cercare di riportare in vita l’altro contraente, a patto che egli crei intorno a sé una “catena d’amore”. Infatti egli sostiene di non operare alcun miracolo, bensì solo di suscitare una scintilla che deve essere sostenuta dall’affetto dei parenti del de cuius: solo chi conduce una vita in cui dominino l’amore per il prossimo e la generosità può infatti sperare di essere richiamato in vita dopo una morte improvvisa. Si tratta di un reale prodigio (come quello avvenuto all’amico Isidoro, il primo fruitore dei “miracoli” di Geronta, ed a vari altri – secondo le testimonianze scritte di vari “risuscitati”) oppure di una colossale truffa? Il protagonista – che nega la presenza di un vero e proprio miracolo, ma ritiene l’evento possibile e più volte accaduto soltanto grazie alla famosa “catena d’amore” – è un ingenuo, un santone o uno speculatore?

Il dubbio, secondo le intenzioni di Eduardo, dovrebbe attraversare tutto il dramma (spingendo il pubblico a mettersi dalla parte di Geronta Sebezio). Stranamente, in questa messa in scena, un “criminale” programma di sala evidenzia l’ipocrisia del protagonista, dando immediatamente un senso negativo alla scena iniziale (Isidoro non era realmente morto, ma solo caduto in catalessi), per cui il disvelamento esplicito nel terzo atto non diventa un vero e proprio colpo di scena – e peraltro viene leggermente anticipato rispetto all’originale eduardiano: il protagonista non si limita a dare meno di quanto dovuto al momento opportuno, ma poco prima nasconde nelle proprie tasche parte della somma in questione, rendendo evidente il suo intento truffaldino. Diverso dalla messa in scena eduardiana anche il finale, reso con una potente invenzione visiva: un “girotondo” in cui tutti i personaggi sono come “rimestati” in una sorta di grande calderone dal burattinaio Geronta Sebezio/Claudio Di Palma. Comunque, se è vero che chi non conosce la vicenda di questa “commedia nera” non deve perdere l’interesse a seguirne la trama, è anche vero che chi la ha già vista o letta godrà comunque di una messa in scena decisamente innovativa in cui, a fianco del citato Claudio Di Palma, recitano Andrea de Goyzueta e Francesca De Nicolais (chiamati anche alla co-regia), Giovanni Del Monte, Irene Grasso, Carmine Paternoster e Fabio Rossi.

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Un’insolita commedia “nera” di Eduardo e un “Otello” formato bonsai di Pietro Favari Il Foglio, 28 settembre 2013

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Benevento Città Spettacolo, ed.2013 - Pino Carbone rilegge “Il Contratto” di Eduardo, con pirandelliana ed efficace essenzialità di Maria Ricca Palcoscenico Campania, 15 settembre 2013 http://palcoscenicocampania.blogspot.it/2013/09/bn-citta-spettacolo-ed2013pino-carbone.html

Scenografia essenziale, luci spettrali, abiti “non-abiti” sobri. Mondato di qualsiasi riferimento alla tradizione partenopea, ad eccezione dell’accento e della cadenza tipica degli attori, è andato in scena al De Simone, in Città Spettacolo 2013, “Il contratto” di Eduardo De Filippo, nella lettura del regista Pino Carbone, secondo omaggio, propiziato dal direttore artistico Baffi, al grande autore, nel trentennale dalla sua morte, dopo il “Sik Sik” di Pierpaolo Sepe, con Benedetto Casillo. Una scelta strategica, evidentemente, che ha offerto maggior risalto alla svolta “pirandelliana” che fu del drammaturgo partenopeo, indagando sapientemente le dinamiche imperscrutabili dei rapporti umani. Tre gli atti, per altrettante fasi dell’analisi, la prima, dedicata all’individuo, la seconda agli affetti, la terza alla società, come si legge nelle note di regia.

Non servono fronzoli, basta, nel primo atto ed in quelli successivi, la recitazione intensa, fatta di chiaroscuri ed ammiccanti sottolineature del sempre versatile Claudio Di Palma a restituire intatta la figura sinistra di Geronta Sebezio, l’impostore che predica amore ed approfitta della buona fede altrui, promettendo resurrezione facile, nel nome dell’affetto familiare, a chi è circondato di parenti anche avidi, che sa frodare a puntino, senza giocarsi la reputazione, ma aumentando a dismisura, con funambolesca astuzia, il proprio patrimonio. Nel secondo atto è l’attrice Francesca De Nicolais (curatrice del testo con Carbone e Andrea de Goyzueta), soprattutto, a tenere la scena, energica interprete di una moglie abbandonata, ma combattiva, poi vedova astuta, nell’esplorazione delle dinamiche familiari e degli “affetti”, che fanno a pugni con gli interessi spicci, ai quali non si rinuncerebbe manco morti, appunto. Una recitazione, la sua, volitiva ed energica, a sottolineare la fatica di un’esistenza di privazioni e dunque poco incline alla commozione e alla solidarietà. De Goyzueta dà il volto, efficacemente, all’apparentemente ingenuo parente e sodale dell’impostore, beneficato dalla sorte, succube e complice delle sue mire. Non c’è spazio per i sentimenti , ma solo per il conseguimento dell’interesse più bieco. Di quello è spettatore consapevole Geronta, di quello approfitta abilmente.

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L’ultima parte dello spettacolo, “sociale”, è affidata visivamente ad una giostra di sedie e di figure colorate, la giostra della vita, che inganna chi si lascia sopraffare dalla paura e pertanto pretende il “contratto”, per assicurarsi l’immortalità. Solo alla fine, il pubblico, ormai sinistramente ammaliato dalla figura dell’impostore, comprende l’arcano. E’ troppo tardi, ormai, non solo per lo sciocco Napoleone, l’ultimo in ordine di tempo, che si affida alle cure di Geronta, ma per tutti i pavidi, destinati a cadere in trappola. Applausi, infine, e diverse chiamate in scena per gli interpreti della rilettura moderna di un testo davvero coinvolgente.

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Il Contratto o della somatizzazione delle sofferenze in scena a Città Spettacolo la commedia di Eduardo di Antonella Russo Il Vaglio, 14 settembre 2013 http://www.ilvaglio.it/spettacolo/teatro/il-contratto-o-della-somatizzazionedelle-sofferenze-in-scena-a-citta-spettacolo-la-commedia-di-eduardo/

Jean-Jacques Rousseau nel suo Contratto Sociale scriveva: “Ciò che l’uomo perde col contratto sociale è la sua libertà naturale; il diritto illimitato su tutto ciò di cui tenta e riesce a impadronirsi; ciò che guadagna è la libertà civile e la proprietà di tutto ciò che possiede”. A distanza di poco più due secoli Eduardo De Filippo scrive “Il Contratto”, commedia in cui dimostra che ogni proprietà guadagnata, ogni bene posseduto valgono niente di fronte alla morte, perché l’unica vera nostra ricchezza è la vita. La prima nazionale di una nuova versione dell’opera è stata rappresentata ieri sera, al teatro De Simone di Benevento. E’ stata prodotta dall’Ente Teatro Cronaca in collaborazione con Festival Benevento Città Spettacolo, Ex Asilo Filangeri, Teatro Tourbillon e Ong Teatro. Regia di Pino Carbone. Il Contratto è una commedia in tre atti, una trilogia in un corpo solo, in cui l’amore incondizionato diventa l’inganno sociale più nobile, perché anche i sentimenti possono nascere a tavolino, con un compromesso, con un patto, o come in una partita di Risiko. Nel 1967 De Filippo inventa il personaggio di Geronta Sebezio un aristocratico, spogliato dalla famiglia di ogni bene perché donava generosamente a tutti e che diventa artefice di un contratto che va oltre natura, quasi trascendentale. Freud lo potrebbe definire “catartico”. L’uomo per natura è buono, segue l’ordine e la giustizia, ma tendenzialmente è malvagio. Libero di scegliere, lotta per la sua indipendenza, ma rimane sempre infelicemente incatenato ai beni materiali di cui diventa succube. Ed è questo che porterà l’abile protagonista a gettare le basi del suo contratto: Geronta assicura la resurrezione, se l’aspirante alla nuova vita s’impegna non solo ad amare in vita tutti i suoi parenti, dai più vicini ai più lontani, ma anche a lasciare un testamento in cui tutte le sue proprietà dovranno esser divise equamente tra la sua famiglia e i suoi parenti. Solo in questo modo, alla sua morte, si potrà formare la catena d’amore che permetterà il suo richiamo in vita. Tale contratto consta di ben quattro articoli, che obbligano il contraente a elargire amore e danaro senza avidità, recuperando i rapporti non solo con i cari più vicini, ma anche con le persone più odiate, a riallacciare l’intima unione con la fede e, soprattutto, come previsto nell’articolo 4, a non versare una lira all’esecutore. Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 27


La fama del protagonista nasce quando un orfano allevato dalla sua famiglia, Isidoro, muore improvvisamente. Mentre il medico sta stilando il certificato di morte, giunge Geronta e urla al capezzale del letto :“ Che stai facendo? Qui sta il fratello tuo, Geronta Sebezio! Tu non sei morto! Alzati!”. A queste parole Isidoro si risveglia, come Lazzaro, e tra i due nasce un sodalizio a delinquere. La morte apparente del povero orfanello fornisce al fratellastro la base per organizzare la sua grande truffa: costringere le persone ad amare disinteressatamente per ottenere la resurrezione. Così Geronta decide di mettersi al servizio di coloro che, amando senza limiti i loro parenti defunti, si affidano a lui e al suo contratto per traghettare l’anima del povero defunto di nuovo sulla terra. Una frode che durerà per anni nonostante gli “accertamenti” continui dei carabinieri. Il sipario si è aperto al De Simone di Benevento, in ritardo secondo la programmazione, davanti a una sala piena e varia per la presenza anche delle più alte cariche. Un pubblico che, se in un primo momento si è dimostrato numeroso, febbricitante e curioso di assistere allo spettacolo, è dimagrito all’inizio del terzo atto appesantito forse da una performance traboccante di un cinismo che non lasciava ombra di dubbio. Con in mano un testo, che offre da solo spunti riflessivi a trecentosessanta gradi, Carbone ha sviluppato una rappresentazione che ha dato corpo non solo alle parole fedelmente riportate ma anche alla matassa, alla “mbrugliata”, al mistero, mettendo a nudo la falsità e l’avidità del genere umano (gli attori sono vestiti solo con l’intimo quando inizia lo spettacolo). Il regista ha scelto quindi di approfondire i tre atti in cui la commedia si divide seguendo canoni poco convenzionali ma di forte impatto. Così, l’individuo (nello specifico Geronta), tema centrale del primo atto, è messo sotto inchiesta con toni indagatori come si fa in un commissariato quando si è alla ricerca della verità. Gli affetti (i familiari del defunto Gaetano Trocina), che compaiono nel secondo atto, sono una matassa candita di corpi bianchi mossi da un’energia a tratti umana e a volte meccanica come se i componenti della famiglia fossero burattini in mano al dio denaro. Il corpo del caro estinto passa dall’essere il luogo per il commensale della famiglia all’essere smembrato in ogni suo segmento dall’ufficiale sanitario, come a voler sminuire ogni entità e ogni dignità al valore di una persona. Nel terzo atto la società diventa invece una piattaforma ruotante girata dal fedele Isidoro. La piattaforma è divisa in cerchi concentrici, quasi a richiamare il sociogramma di Moreno. I protagonisti sono seduti nel cerchio più esterno e al centro, banale anche dirlo, il guru: Geronta. A turno, ogni categoria sociale, che va dallo strozzino all’avvocato, dal sempliciotto alla moglie premurosa, ha da regolare i conti con lui. La commedia si chiude con l’ennesimo contratto stipulato con Napoleone Botta, uomo odiato da tutti per la sua avarizia, costretto a sposarsi per assicurarsi la Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 28


parentela utile alla creazione dell’amore incondizionato tanto necessario per evitare che il trapasso sia definitivo. Grande è la soddisfazione del protagonista quando finalmente riesce a dispensare i beni materiali accumulati dal contraente : “… Per la sua spilorceria, per la sua pidocchieria … tutti odiavano Napoleone Botta. … Ma, non era che un circolo vizioso, più si sentiva odiato e più lui ammassava per combattere. Ora Napoleone Botta non combatte più, … Ora servitevi di tutto il ben di Dio con cui Napoleone Botta ha voluto riempire la mia casa. …” . Solo se si dona disinteressatamente si potrà costruire la catena d’amore che non si spezzerà con la morte, ma questo se accade è perché gli anelli rimangono uniti da un interesse comune: obbedire a se stesso e rimanere libero come prima. Il Contratto a cura di Pino Carbone, Andrea De Goyzueta e Francesca De Nicolais. Con Andrea De Goyzueta, Francesca De Nicolais, Giovanni Del Monte, Claudio Di Palma, Irene Grasso, Carmine Paternoster, Fabio Rossi; scene Luciano Di Rosa, suoni e musiche Fabrizio Elvetico, costumi e maschere Selvaggia Filippini, soggetti grafico-pittorici Luca Carbone, assistente alla regia Riccardo Pisani e segretaria di produzione Carla Borrelli.

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Benevento Città Spettacolo 2013: il secondo weekend di Daniela Giordano Napoli Urban Blog, 18 settembre 2013 http://www.napoliurbanblog.it/benevento-citta-spettacolo-2013-il-secondoweekend/18485

Ancora prime nazionali nel secondo weekend di Benevento Città Spettacolo, edizione 2013, che ha registrato un leggero calo di pubblico rispetto al primo, ma ugualmente presente. Un susseguirsi di spettacoli di notevole levatura, a cominciare dall’appuntamento atteso per Letture Stregate, che ha aperto ufficialmente la tre giorni all’Hortus Conclusus. Tutto esaurito, infatti, per vedere Peppe Servillo leggere, in presenza dell’autore, passi del libro di Walter Siti: “Resistere non serve a niente”, vincitore del Premio Strega di quest’anno. A fare da sfondo, la mostra di scatti fotografici “Personaggi e presenze” dell’artista sannita Valentina Saccomanno, che testimoniava – appunto – il momento di attesa precedente al conseguimento del prestigioso titolo letterario. In serata, hanno debuttato: “Mortaccia – La vita è meravigliosa”, all’Arco del Sacramento con Veronica Pivetti, per la regia di Giovanna Gra, e “Il Contratto”, al Teatro De Simone, la commedia in tre atti scritta da Eduardo De Filippo nel 1967 e inserita nell’opera Cantata dei giorni dispari. Una divertente commedia musicale, quella che ha avuto per protagonista Veronica Pivetti che, tra canti e balli, ha interpretato una signora morte tutta particolare, trasognata e spiritosa, incentrata sull’ironia della vita dopo la morte come prolungamento delle stesse abitudini, difetti e ipocrisie. Tema centrale ancora la morte per Il Contratto diretto da Pino Carbone, con un eccellente – quanto prevedibile – Claudio Di Palma, assieme ad Andrea de Goyzueta e Carmine Paternoster, così come il resto del cast. Morte affrontata rispetto alla paura che gli uomini hanno per quanto è inevitabile nella propria esistenza, eppure inaccettabile, e per questo si tenta di condizionarla e rinviarla il più a lungo possibile. È quanto cercano di fare le persone per stipulare il Contratto con Geronta Sebezio (Di Palma), napoletano di nobili origini, che in passato ha fatto il miracolo di resuscitare davvero! l’amico fraterno Isidoro (Paternoster), grazie alla forza del suo amore e di tutti i presenti che non accettavano una morte così improvvisa e così giovane e, infatti, altro non era che apparente. Una sorta di assicurazione sulla vita, una seconda occasione che tutti cercano di ottenere, attraverso vari stratagemmi e matrimoni combinati, per assicurarsi quell’amore necessario al risveglio, per potersi alzare e camminare come Lazzaro, impegnando parte del proprio patrimonio e dei Buoni del Tesoro come compenso al nobile truffatore per la nuova vita. La Danza è stata co-protagonista del secondo ciclo di eventi, con tre incontri curati da CDTM – Circuito Campano della Danza: “Eskaton”, della compagnia Luisa Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 30


Cortesi, “Precariato” di Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea, e il successo europeo “Folk’s – Will you still love me tomorrow” del Teatro Stabile delle Marche. Spettacoli che hanno ottenuto alti indici di gradimento da parte di un pubblico non certo di massa, ma di appassionati del settore. L’evento che non ha tradito le attese – anzi, superandole – è stato lo spettacolo del sabato sera nella suggestiva cornice del Teatro Romano: “Nella, canzoni e ricordi di prostitute libere e oneste”, tratto dal fortunato format Dignità autonome di prostituzione dagli stessi autori Betta Cianchini e Luciano Melchionna. Dopo il successo riscosso nell’edizione 2010 di Benevento Città Spettacolo, in cui le stanze di Palazzo Paolo V erano state trasformate nel Bordello più famoso d’Italia, in questa data unica Melchionna ha voluto riproporre la storia più bella, quella di Nella, la prostituta più amata, raccontata dai suoi nipoti attraverso tante canzoni. Da Mina e De André, passando per Celentano, Caterina Caselli, fino ad arrivare al Todo Cambia di Mercedes Sosa e il Cucurrucucú paloma, nella splendida versione acustica di Caetano Veloso, un repertorio dignitoso quanto le “prostitute libere e oneste”, quello portato in scena dai musicisti e dalle voci da brivido delle cantanti/prostitute, in uno scenario caldo dominato dal colore rosso e dalla luce delle candele. Un percorso generazionale la selezione proposta, in cui il pubblico era parte integrante della scena, disposto in tondo al palco e partecipando alle incursioni degli attori, per poi esplodere in una “pizzica” finale ballata da tutti, come in una grande festa, in quella che lo stesso regista ha definito “La Balera di Dignità autonome di prostituzione”. Oltre due ore che non sono pesate per niente e, anzi, il pubblico quasi non voleva più lasciare il teatro, per quell’adrenalina ormai sprigionata come pochi Spettacoli con la S maiuscola riescono a produrre. Altro appuntamento atteso, domenica, è stato il ciclo Raccontami Benevento, il progetto di performance di attori nei luoghi suggestivi della città, ideato da Giulio Baffi e Giovanni Petrone. Questa settimana Peppino Mazzotta ha interpretato il Fotografo Pensa nella Cripta del Duomo di Benevento, in un monologo di circa venti minuti scritto da Rosario Sparno. I Fratelli Pensa avevano uno studio fotografico da tre generazioni nei pressi del Duomo, che andò distrutto durante i bombardamenti del 1943. Con esso anche la macchina fotografica, la “Principessa” (una Leica 3C a tendina rossa, serie limitata) e tutte quelle fotografie che lo stesso Pensa definiva: “La segnaletica della memoria, traccia di un ricordo alla portata di tutti”. Perché questa era la funzione principale del fotografo – spiegava: “Catturare i ricordi e diffondere la memoria, senza la quale l’uomo sarebbe niente”. Quei bombardamenti nell’agosto del ’43 furono, dunque, non solo flagello delle vite di migliaia di civili, ma anche la cancellazione di una memoria irrecuperabile, anche la più futile, ed è per l’importanza della memoria storica che l’incontro è stato completato da una visita guidata agli scavi sottostanti. L’ultima giornata di spettacoli è terminata con un’altra prima nazionale: “Sogno d’amore ubriaco – studio su Otello, una storia d’amore”, al Palazzo Paolo V, per una produzione DAF – Teatro dell’Esatta Fantasia, che ha vinto il Premio Scintille Ente Teatro Cronaca - www.enteteatrocronaca.it 31


al Festival Asti Teatro/35. Un’eccellente performance infatti degli attori, nella versione moderna dell’Otello di Shakespeare in cui, superando il particolare che fosse “moro” o meno, il centro del dramma è la partenza di un giovane Otello con la moglie Desdemona, addolorata dall’abbandono del padre, per un futuro migliore a Cipro. Lo scontro è con un adulto Iago e la moglie Emilia, vittima delle sue violenze ma che non riesce a sottrarsi alla complicità di mettere in piedi il tranello del fazzoletto che condurrà al famoso epilogo della cieca gelosia per il presunto tradimento. Uno scontro generazionale tra figli e cattivi genitori che richiama molto temi di grande attualità. La conclusione, in serata al Teatro De Simone, con la messa in scena di: “MatriMoro”, il risultato di cinque giorni di laboratorio teatrale dei partecipanti attori e non, condotto da Adriana Follieri per una produzione Manovalanza, in cui il risalto è stato dato ancora all’incontro generazionale su quelli che sono i momenti topici di ogni singola esistenza e quindi comuni a tutti: il matrimonio, il funerale, le emozioni della gioia e del dolore. La prossima settimana si terrà l’ultimo ciclo di eventi, incentrato sui giovani, con Universo Teatro, il Festival Internazionale di Teatro Universitario curato da Ugo Gregoretti e la mostra Festival Festival, il fotoracconto di tutta la rassegna attraverso l’occhio degli studenti del Liceo Artistico Statale, coordinati dalla prof.ssa Francesca Cardona Albini.

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Consensi alla messa in scena de "Il contratto" per una lunga commedia che tra l'altro non nemmeno tra le più note del grande drammaturgo partenopeo di Diego De Lucia Gazzetta Benevento, 14 settembre 2013 http://www.gazzettabenevento.it/Sito2009/dettagliocomunicato.php?Id=61695

Ancora una volta Eduardo fa il botto. Il grande autore ed attore partenopeo ha mosso, nuovamente, il grande pubblico e, nel nome di De Filippo, il secondo week-end della XXXIV edizione di Benevento Città Spettacolo la platea ha riempito il Teatro De Simone. Stavolta, i consensi sono andati alla messa in scena de "Il contratto" del geniale erede ed innovatore della tradizione partenopea, a cura di Pino Carbone, Andrea de Goyzueta e Francesca De Nicolais con l'interpretazione di Andrea de Goyzueta, Francesca De Nicolais, Giovanni Del Monte, Claudio Di Palma, Irene Grasso, Carmine Paternoster, Fabio Rossi. Le scene sono state curate da Luciano Di Rosa, mentre i costumi e le maschere da Selvaggia Filippini. Tanti gli spettatori, come detto, per una lunga commedia di oltre due con tre intervalli di dieci minuti per un lavoro del 1967 che non è tra i più noti ed amati di Eduardo. La commedia, ottimamente recitata, partita in sordina nel primo atto, ha registrato un vero e proprio crescendo nei due finali. "Il Contratto" è la storia di una straordinaria truffa, sfruttando credulità e miti ancestrali. Il protagonista è Geronta Sebezio, probabilmente un nobile decaduto, molto più probabilmente un impostore, che, promettendo addirittura la resurrezione dalla morte e predicando amore, sfrutta, a proprio vantaggio, i conflitti che si annidano nelle famiglie e tra i congiunti e, di fatto, approfitta dell'avidità e dell'amore per il denaro che è il grande motore del mondo per (ri)conquistare per se stesso una posizione di preminenza nella società. Al centro della rappresentazione, dunque, sono le peggiori inclinazioni ed i peggiori interessi dell'uomo, pronto a tutto ed a passare su tutto pur di arricchirsi: i rapporti, gli incastri sociali, le relazioni interessate sono, dunque, il motore dell'azione scenica e del racconto, mentre la società, nel suo marciume che

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la corrode dall'interno, è allo stesso tempo lo sfondo ed il cuore, la materia stessa, il reale obiettivo dell'autore. Sebbene ovviamente "Il Contratto" sia un'opera a se stante, il lavoro è inserito nella trilogia denominata da Eduardo "Canta dei giorni dispari"; la stessa opera, al suo interno, è strutturata come se fosse composta da tre distinti atti, ciascuno dei quali sviluppato attorno allo sforzo di indagare su un particolare aspetto delle relazioni umane, da parte di una persona, con la propria voce, con il proprio volto, con il proprio corpo e con il proprio io, sempre minacciato dalla presenza degli altri. Proprio "gli altri" sono il centro dell'opera e del lavoro di ricerca necessario alla messa in scena. I bisogni degli altri, i tempi degli altri, le parole usate dagli altri e le emozioni che sono sempre degli altri. Momenti separati di studio che verranno fusi nell'intera opera. Ogni personaggio sarà solo, anche se condividerà lo spazio proprio con gli altri. Scroscianti applausi alla fine della rappresentazione.

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