PERCORSO ANTOLOGICO
T 4 La novella della matrona di Efeso Satyricon 110, 6-113, 2 ITALIANO
Ci troviamo sulla nave dove Encolpio e Gitone hanno corso un grave pericolo, superato grazie all’intervento di Eumolpo. Nel clima disteso e confortevole di un convito, lo stesso Eumolpo intrattiene i presenti con una novella piccante, di tono leggero e scanzonato, nel gusto delle fabulae Milesiae. Diversamente dalle novelle del lupo mannaro e delle streghe, raccontate da liberti incolti in un linguaggio colorito e plebeo, questa novella, narrata dal poeta Eumolpo, è caratterizzata da un linguaggio piuttosto elevato, arricchito di citazioni parodistiche (da Virgilio) e da un malizioso contrappunto sulla castità della bella matrona. La donna infatti, iperbolicamente presentata come «una dama di... rispecchiata virtù», «donna più unica che rara», incomparabile «esempio di castità vera e di sincero amor coniugale» (cap. 111), continua a essere designata – ovviamente in chiave ironica – mediante l’epiteto di «castissima» (cap. 112) anche dopo aver ceduto alle premure del soldato; soltanto nella chiusa del racconto, a suggello della sua sorprendente trasformazione, viene detta «avvedutissima donna», cioè, con un elogio non privo di ambiguità, donna oltremodo saggia e prudente. La vittoria degli istinti e dei piaceri fisici (dal cibo al vino all’amore) è accolta festosamente dai marinai, con rossore da Trifena, con indignazione da Lica. Non meno vivida la caratterizzazione dei protagonisti della novella: si pensi alla figurina ovidiana della «fedelissima ancella», ma soprattutto a quella straordinariamente ricca e cangiante del soldato, che passa dalla curiosità iniziale alla sorpresa paurosa, e poi dalla pietà già mista di desiderio alle accorte blandizie con cui conquista la donna.
Frattanto Eumolpo, nostro difensore nel pericolo e autore dell’attuale concordia, non volle che la nostra allegria rimanesse a corto di storielle e cominciò a infilar facezie sulla leggerezza delle donne: e come piglino subito fuoco, e come sian pronte a dimenticarsi anche dei figli, e che non c’è donna tanto casta da non perder la testa per una nuova passione. Infine disse che, senza tirare in ballo le antiche tragedie o i nomi famosi da secoli, ci avrebbe raccontato, se gli facevamo la grazia di ascoltarlo, un fatterello capitato ai tempi suoi. Tutti volsero dunque gli occhi e gli orecchi verso di lui, ed egli cominciò: [111] «V’era in Efeso una dama di così rispecchiata virtù che perfino le donne dei paesi vicini accorrevano a vederla come una meraviglia. Avvenne ch’ella perse il marito, e, non contenta di seguirne il funerale coi capelli sparsi percotendosi davanti a tutti il petto nudo, come tutte fanno, volle seguire il defunto perfin nel sepolcro. Così che, quando il corpo fu posto nel sotterraneo, secondo l’uso greco, questa dama gli si mise accanto, dolente custode, piangendolo giorno e notte. Né il padre, né la madre, né i parenti riuscirono a strapparla di là, afflitta e decisa a lasciarsi morire di fame; gli stessi magistrati, fatto un ultimo tentativo, dovettero ritirarsi. E, compianta da tutti, questa donna più unica che rara aveva già lasciato trascorrere cinque giorni senza prender cibo. Una fedelissima ancella era rimasta accanto all’infelice, e, unendo le proprie lacrime a quelle di lei, badava a riaccender la lampada funeraria ogni volta che la vedeva venir meno. Tutta la città parlava di quel pietoso evento; la gente di ogni classe affermava unanime che nessun altro esempio di castità vera e di sincero amor coniugale aveva mai brillato così sulla terra. In quel tempo, il governatore della provincia condannò alcuni ladroni ad esser crocifissi proprio accanto al sepolcro in cui la matrona stava 221 © Casa Editrice G. Principato