Università IUAV di Venezia Dipartimento di Culture del Progetto Corso di Laurea Triennale in Architettura Costruzione Conservazione Laboratorio di Progetto Insegnamento di Sistemi Costruttivi Dalla Materia alla Forma: il calcestruzzo armato in Tadao Ando ElenaDocente:Giacomello EleonoraStudentesse:SartorettoFedericaToffoli Anno Accademico 2019 2020

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Il testo che segue vuole proporsi come mezzo per portare alla luce il legame profondo che unisce Materia e Forma. Si analizza la profonda sensibilità ed attenzione dell’architetto Tadao Ando per gli aspetti più veri dell’architettura, cioè quelli che legano l’uomo alla propria identità, alla propria natura, quelli che tale architetto trae dalle radici della cultura orientale, che personalizza poi con tratti tipici della storia occidentale, e che infine restituisce al mondo sottoforma di intersezioni di volumi, di forme, di materiali, di luci ed ombre. Ciò si esplicherà attraverso lo studio di tre tematiche portanti: un materiale, un architetto, un progetto. Il calcestruzzo armato, Tadao Ando, Punta della Dogana.
Introduzione

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Il calcestruzzo: caratteristiche chimico fisiche e realizzazione del composto 1.2.1 Materiali che lo compongono 1.2.2 Prerequisiti naturali dei componenti 1.2.3 Resistenza: fattori che ne dipendono le prestazioni e studi preliminari 1.2.4 Consistenza: test di prova 1.2.5 Posa in opera del calcestruzzo: gettata in loco e prefabbricazione 1.3
1 Indice 1. Il calcestruzzo armato 1.1
Il calcestruzzo armato: caratteristiche meccaniche e tecnologiche 1.3.1 Calcestruzzo e acciaio: coesione e collaborazione tra i due materiali 1.3.2 La struttura dell’armatura 1.3.3 Le barre in acciaio 1.3.4 Evoluzione tecnologica: il calcestruzzo armato precompresso 1.4 Analisi delle patologie e dei fattori che ne causano la comparsa 1.4.1 Acqua in eccesso 1.4.2 Carbonatazione 1.4.3 Sale antigelo 1.4.4 Reazione tra alcali ed aggregati 1.5 Limiti dell’indagine
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Dal calcestruzzo al calcestruzzo armato: origini del materiale ed evoluzione tecnologica1.1.1Prime sperimentazioni riguardanti le modalità di realizzazione 1.2
2 2. Tadao Ando 2.1 Materiali e forme, luci ed ombre 2.2 L’architettura giapponese 2.2.1 Le case rurali 2.2.2 Le case da tè 2.2.3 Gli edifici del Secondo Dopoguerra 2.3 L’architettura di Tadao Ando 2.3.1 Pensiero e filosofia di progetto legati alla cultura orientale 2.3.2 Luogo ed architettura 2.3.3 Geometria e materiali 2.3.4 Il calcestruzzo armato 2.3.5 Natura e forma 2.3.6 La progettazione dei dettagli costruttivi 3. Punta della Dogana 3.1 Collocazione e cenni di storia 3.1.1 L’edificio originale: dalla fondazione ai giorni nostri 3.1.2 Il concorso del 2001 3.2 La3.2.1trasformazioneLastruttura in calcestruzzo armato 3.2.2 Le difficoltà del costruire a Venezia 3.2.3 Le ultime fasi di completamento del cantiere 3.3 Antico e Nuovo: la nuova identità dell’edificio 3231302726252221201918171615
1.1 Dal calcestruzzo al calcestruzzo armato: origini del materiale ed evoluzione tecnologica Nonostante lo si consideri un materiale da costruzione nato e utilizzato solamente a partire dal XIX secolo, il calcestruzzo affonda le sue origini in un’epoca assai precedente. Già nell’antica Roma, all’inizio del III secolo, veniva infatti impiegata la tecnica dell’opus caementicium (opus = opera, caementum = pietra tagliata), che consisteva in un sistema costruttivo formato da calce, pozzolana, sabbia e pietrisco gettato in casseforme o all’interno di setti murari. Alcune tra le opere meglio conservate dell’antichità sono state realizzate proprio con questa tecnica. L’esempio più celebre è quello del Pantheon, l’edificio meglio conservato della storia romana che sia giunto fino a noi. Seppur molto efficace, l’uso dell’opus caementicium cadde in disuso nell’epoca medievale, durante il quale si preferì la pietra come materiale da costruzione.
1 1. Il calcestruzzo armato
Una notevole riscoperta e, successivamente, diffusione del calcestruzzo si ebbe solo dopo l’avvento della Rivoluzione Industriale in Inghilterra, nel XIX secolo, periodo in cui acciaio e cemento conobbero un eccezionale incremento di produzione. L’acciaio si utilizzava per rinforzare e completare le capacità tecniche del calcestruzzo, che di natura aveva (e tuttora ha) un’ottima resistenza alla compressione ma scadente resistenza alla trazione. Grazie di un’armatura di acciaio all’interno del calcestruzzo si poteva dunque contare su di un materiale molto resistente: il calcestruzzo armato. 1.1.1 Il calcestruzzo armato: prime sperimentazioni riguardanti la modalità di realizzazione Nel 1847 l’industriale François Coignet realizza una copertura per terrazza gettando una miscela cementizia in casseforme in cui erano collocati dei ferri, mentre nel 1848 l’ingegnere Joseph Lambot realizza un’imbarcazione in miscela cementizia con all’interno un’armatura interna in ferro. Nel 1849 il giardiniere francese Joseph Monier costruisce una serie di casse usando lo stesso sistema di Laimbot. Da queste prove iniziali Monier passa alla realizzazione di opere più importanti: tubazioni, grandi contenitori, fino a serbatoi idrici, travi e solette. Il grande successo del calcestruzzo armato si deve però a François Hennebique, imprenditore francese che negli anni Novanta del XIX secolo sviluppa un’impresa dedicata interamente alla costruzione di grandi strutture in calcestruzzo armato. Egli deposita il brevetto d’invenzione del calcestruzzo armato nel 1892, ma sarà in seguito destituito a fronte del riconoscimento del brevetto precedentamente depositato da Joseph Monier nel 1878.
all’inserimento
Il calcestruzzo: caratteristiche chimico fisiche e realizzazione del composto 1.2.1 Materiali che lo compongono Il calcestruzzo consiste in un conglomerato artificiale formato da cemento (in qualità di legante), inerti e acqua, consolidati tramite il processo di idratazione del legante. 1.2.2 Prerequisiti naturali dei componenti L’acqua deve essere limpida e dolce, non aggressiva, con valori di Cloruro di Sodio e Magnesio entro il 3% e Solfati entro il 6%.
del calcestruzzo ben preparato dipende da molti fattori, tra cui: 1. quantità e dosaggio del cemento 2. caratteristiche degli inerti 3. quantità di acqua nell’impasto 4. costipazione del getto Per ottenere il massimo di compattezza, la miscela di calcestruzzo deve presentare la massima densità e pertanto la minima percentuale di vuoti. Infatti, se gli inerti sono molto grossi si generano ampi vuoti che la pasta di cemento non è in grado di colmare con i normali dosaggi. Se gli inerti sono troppo fini e di diametro tra di essi simile si ottiene un largo sviluppo di superficie di inerti che la pasta di cemento non è in grado di coprire e avvolgere completamente, sempre con i normali dosaggi. Dunque, l’uso di inerti assortiti permette di ottenere il rapporto ottimale tra qualità di inerti e quantità di pasta cementizia (Figura 1.1)
Gli inerti devono provenire da rocce non gelive, non friabili e gessose, devono essere privi di sostanze organiche, limose o gessose, poiché ne comprometterebbero l’indurimento, la conservazione e le caratteristiche meccaniche 1.2.3 Resistenza: fattori che ne dipendono le prestazioni e studi preliminari La resistenza del calcestruzzo è ottenuta da prove a compressione di 28 giorni su cubi di 150 cm di lato o ottenuta con prove eseguite su cilindri di 150 mm di diametro e 300 cm di altezza.Laresistenza
2 1.2
Figura 1.2: Curva di Füller
Figura 1.1: Setacciatura degli inerti Risulta pertanto di fondamentale importanza la granulometria degli inerti, ovvero la percentuale degli elementi di varie dimensioni presente nella miscela, definita dalla curva granulometrica o “Curva di Füller" (Figura 1.2) La curva di Füller viene determinata setacciando gli inerti con vagli normalizzati a diametro decrescente.
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granulometrico
L’acqua è invece utilizzata per la reazione di idratazione del cemento (30L per 100 kg di cemento) e per consentire la necessaria lavorabilità del conglomerato. Il rapporto acqua cemento è ottimale quando: A/C = poiché0,45,inun m³ di calcestruzzo, le proporzioni di acqua e cemento sono: A = 135 L C = 300 kg.
L’area compresa all’interno delle due curve, come da figura 1.2, rappresenta il fuso entro il quale deve essere compresa la curva granulometrica degli inerti che si intendono impiegare nel calcestruzzo. Nella pratica, per 1 m³ di calcestruzzo si utilizzano: sabbia 0,4 m³ D 0,2 / 3 mm ghiaia 0,8 m³ D 10 / 30 mm Il peso per m³ varia tra i 2300 e i 2400 kg. La scelta del diametro massimo D va fatta in base alle caratteristiche del lavoro: infatti gli inerti devono passare attraverso tutti i punti delle armature, e tra queste e le casseforme.
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Nel caso in cui per la creazione del calcestruzzo venisse utilizzata troppa poca acqua, verrebbe compromessa la lavorabilità dell’impasto. Al contrario, utilizzando acqua in eccesso verrebbe ridotta la resistenza ed aumentato il ritiro, implicando un’alta probabilità di fessurazione (Figura 1.3). Il rapporto A/C è a sua volta condizionato dalla dimensione degli inerti.
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Figura 1.3: Relazione fra resistenza e quantità d’acqua 1.2.4 Consistenza: test di prova Per determinare la consistenza del calcestruzzo, prima di essere gettato in opera, è necessario l’uso del cono di Abrams (norma Uni 7163/72) (Figura 1.4). Si tratta di un cono realizzato con un materiale che non rischia di essere aggredito dalla pasta cementizia (solitamente acciaio), con uno spessore di almeno 1,5 mm e un’altezza di circa 30 cm.
Figura 1.4: Cono di Abrams Il cono è costituito da diversi strati di dimensioni diverse, da una base inferiore di circa 20 cm e da una base superiore di circa 10 cm. Dopo aver gettato il calcestruzzo all’interno del cono, si assesta ciascuno strato con almeno 25 colpi di un tondino d’acciaio di d = 0,016 m Una volta assestato l’impasto fresco, si solleva il cono tramite le maniglie. Il calcestruzzo, liberato dalla struttura, assumerà diverse forme che dipenderanno dalla sua consistenza. Con l’asta graduata sarà possibile determinare l’abbassamento in cm (detto SLUMP), da cui si ottiene la classificazione del calcestruzzo (Tabella 1.1).


Figura 1.5: Casseforme in legno
6 Tabella 1.1: Valori di SLUMP 1.2.5 Posa in opera del calcestruzzo: gettata in loco e prefabbricazione Una volta assodato che il calcestruzzo abbia assunto la consistenza desiderata, si passa alla posa in opera. La posa in opera consiste nel posizionamento del calcestruzzo fresco all’interno delle casseforme, ossia robuste strutture di contenimento in legno (Figura 1.5) o lamiera metallica. Il getto di posatura dell’impasto deve essere effettuato cercando di evitare la separazione degli inerti. Per questo motivo si rende necessaria la caduta dell’impasto in verticale, avvicinando il calcestruzzo al luogo del getto tramite un tubo flessibile (Figura 1.6).


Figura 1.6: Tubo flessibile per getto verticale I giunti tra i vari pannelli della struttura di contenimento devono essere allineati per evitare smussi nel getto, e devono combaciare perfettamente. La rimozione dei pannelli dal calcestruzzo indurito viene agevolata dai disarmanti, ossia miscele oleose non imbrattanti stese preventivamente sulla superficie della cassaforma.
Una modalità di posa del calcestruzzo prevede invece la prefabbricazione di pannelli in calcestruzzo armato che poi vengono assemblati nel luogo del cantiere (Figura 1.8).
Figura 1.7: Pannelli prefabbricati di calcestruzzo armato
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8 1.3 Il calcestruzzo armato: caratteristiche meccaniche e tecnologiche 1.3.1 Calcestruzzo e acciaio: coesione e collaborazione tra i due materiali Il calcestruzzo, come già detto in precedenza, è un materiale in grado di sopportare ottimamente gli sforzi a compressione ma non quelli a trazione. Per questo motivo, nel calcestruzzo armato si inseriscono barre di acciaio, poiché l’acciaio lavora ottimamente con gli sforzi a trazione. In questo modo viene a crearsi una tipologia di calcestruzzo molto più resistente: i due materiali usati hanno analogo coefficiente di dilatazione termica, possiedono notevole reciproca aderenza e reciproca assenza di reazioni chimiche. Sfruttando le caratteristiche dei due materiali, dunque, è possibile posizionare l’armatura metallica, dimensionata a taglio, nelle zone delle sezioni soggette a trazione, mentre il calcestruzzo si occuperà della resistenza alla compressione. Nel calcestruzzo armato, a causa del differente modulo di elasticità dei due materiali (acciaio: 21000000 kg/cm², calcestruzzo: 225000 kg/cm²), lo spessore della zona compressa è inferiore rispetto a quella soggetta a trazione; questa differenza suggerisce di utilizzare la sezione a T, la quale consente di ridurre il peso e la quantità di calcestruzzo impiegato. 1.3.2 La struttura dell’armatura L’armatura del calcestruzzo armato (Figura 1.8) si può distinguere in: principale: assorbe gli sforzi a trazione secondaria: assorbe gli sforzi di taglio complementare: serve per il corretto posizionamento delle precedenti L’acciaio impiegato è di sezione circolare con diametri variabili tra 5 mm e 30 mm. Le barre sono dritte, aventi L = 12 m e piegate per metà per facilità di trasporto, da raddrizzare e sagomare in cantiere. Le staffe di collegamento vengono eseguite con barre di diametro 6 10 mm.
La gabbia deve essere posizionata ad una certa distanza dalla cassaforma di contenimento del getto mediante i distanziatori, realizzati in plastica, legno e calcestruzzo: questa procedura consente di evitare la corrosione dell’acciaio, ricoperto da un adeguato spessore di calcestruzzo (chiamato copriferro), non inferiore agli 8 mm nel caso di solette, setti e pareti, e a 20 mm per travi e pilastri. 1.3.3 Le barre in acciaio Nel secolo scorso, le opere in calcestruzzo armato avevano le armature formate da tondini in acciaio lisci. Successivamente, sono state inserite nel mercato delle barre ad aderenza migliorata, ottenute per laminazione e per torsione (Figura 1.9). Ad oggi, le norme tecniche per le opere in calcestruzzo armato richiedono sia barre in acciaio tonde e lisce, sia barre in acciaio ad aderenza migliorata Figura 1.9: Tipologie di barre in acciaio utilizzate per le armature
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Figura 1.8: Schema dell’armatura di una trave L’armatura, che è composta da ferri longitudinali e dalle staffe di collegamento, si definisce “gabbia”


Evoluzione tecnologica: il calcestruzzo armato precompresso Ulteriori miglioramenti delle prestazioni del calcestruzzo armato sono stati possibili grazie all’introduzione della precompressione tra i passaggi fondamentali della realizzazione del calcestruzzo armato.
In una trave, solo un discreto spessore di calcestruzzo lavora a compressione, ed oltretutto la resistenza a trazione dell’armatura in acciaio annegata nel getto viene sfruttata solo parzialmente, per evitare la fessurazione.
Tramite la precompressione, invece, la trazione derivata dai carichi esterni e dal proprio peso è bilanciata da una compressione preventiva: i cavi e le barre in acciaio vengono fatti allungare applicando una forza di trazione alle due estremità, che determina successivamente una compressione ottenuta per aderenza (nel caso della pre tensione) o con contrasti meccanici (nel caso della post tensione). Applicando ad una trave soggetta a carichi una forza T di compressione in corrispondenza dell’asse neutro, l’effetto combinato di P e T determina il sommarsi delle forze di compressione del lembo superiore, ed una diminuzione degli sforzi di compressione e trazione in quello Applicandoinferiore.laforza T di compressione nel lembo inferiore, si ottiene una sezione quasi totalmente compressa, con valore massimo alla base e quasi nullo sul lembo superiore. Nel lembo inferiore compressione e trazione si compensano, per cui la sollecitazione risulta tendente a zero. Nel lembo superiore invece la compressione è quella indotta dal carico P, ma ridotta della metà rispetto alla trave non soggetta a precompressione: ciò permette di mettere in pari la forza T. Esistono due tipi di precompressione (Figura 1.10): pre tensione: si pongono in forte trazione i trefoli in acciaio prima di gettare il calcestruzzo; una volta avvenuta la presa, i cavi posti in trazione sono liberati e, cercando di tornare allo stato di quiete, imprimono per aderenza uno stato di compressione nel calcestruzzo;posttensione:
si predispongono nella cassaforma i trefoli in acciaio dentro a delle guaine; una volta avvenuto il getto e la presa, si pongono in tensione i trefoli tramite gli ancoraggi posti sulle teste delle travi. Successivamente si iniettano miscele cementizie fluide dentro la guaina.
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La maggior problematica, come già accennato, è direttamente legata alla presenza di acqua libera nel calcestruzzo, poiché origina problemi di umidità in eccesso, che determinano una successiva corrosione delle barre in acciaio dell’armatura annegate nel cemento, danni legati alle situazioni di gelo e una serie di reazioni chimiche degradanti per il cemento.
Queste problematiche necessitano di interventi di ripristino pressoché immediati.
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Analisi delle patologie e dei fattori che ne causano la comparsa Un tempo si pensava che il calcestruzzo armato fosse un materiale eterno: oggi sappiamo che non è così Per questo sono necessari vari interventi, come ad esempio l’introduzione del copriferro, di cui parlato in precedenza.
Nonostante le buone performance in termini di resistenza e durabilità, il calcestruzzo armato presenta una certa predisposizione ad incontrare patologie nel corso della sua vita, soprattutto se applicato a vista e in ambienti esterni.
Figura 1.10: Precompressione e postcompressione 1.4
Il comportamento del calcestruzzo armato esposto alla pioggia, al sale o all’acqua in generale determina spesso segni di degrado precoce sotto forma di fessurazioni, distacco dello strato superficiale e corrosione della gabbia in acciaio.

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Carbonatazione A causa di questa reazione chimica naturale (la calce reagisce con il biossido di carbonio nell’aria formando carbonato di calcio) l’ambiente alcalino dei pori, che protegge le barre dalla corrosione, si dissolve, esponendo l’acciaio alla corrosione. Questo processo avviene maggiormente nel calcestruzzo esposto alle intemperie. Il processo di corrosione dell’acciaio implica un’espansione delle barre, (come mostrato in figura 1.11) che porta al distacco della copertura in calcestruzzo. 1.4.3 Sale antigelo Il sale antigelo gettato a terra per evitare la formazione di ghiaccio sulle strade, libera un eccesso di ioni di cloruro che sono dannosi per il calcestruzzo armato. Gli ioni del sale, infatti, hanno bisogno di sciogliersi nell’acqua, e per questo si sciolgono anche all’interno dell’acqua presente nel calcestruzzo, penetrando all’interno dei pori, qualora le strutture si trovino in prossimità di una strada in cui viene gettato il sale.
Figura 1.11: Esempio di degrado di un’opera in calcestruzzo armato. In questo caso: carbonatazione. Queste problematiche si presentano principalmente nel cemento armato a vista, e sono dovute ad una serie di fattori: 1.4.1 Acqua in eccesso Se al calcestruzzo viene aggiunta più acqua di quanta necessitata nel rapporto A/C per il suo indurimento, durante il processo di asciugamento si viene a formare una grande rete di pori interconnessi. Acqua e sale, che verranno in contatto nel tempo con la superficie del calcestruzzo, penetrano agevolmente grazie all’ingente numero di pori e per l’effetto di capillarità da questi creati. Da qui vengono alimentati i processi di deterioramento. 1.4.2

1.5 Limiti dell’indagine Il calcestruzzo armato, dunque, appare essere un materiale dalle ottime capacità meccaniche, in grado di soddisfare vaste necessità tecniche tramite varie tipologie di composizione e differenti modalità di realizzazione. E’ necessario però un costante rispetto delle sue condizioni d’esistenza e di lavoro ed una assidua attenzione nei confronti del suo stato di salute per poter prevenire ed, eventualmente, curare le sue note patologie.
1.4.4 Reazione tra alcali ed aggregati Nonostante questa reazione avvenga solo con particolari miscele di calcestruzzo, molto reattive agli alcali, risulta particolarmente dannosa. Questa reazione si manifesta tra gli aggregati minerali reattivi (sabbia e ghiaia) e le sostanze alcaline contenute all’interno dell’acqua del calcestruzzo, e reagisce “gonfiando” il calcestruzzo. Aumenta in questo modo il volume del calcestruzzo, con conseguente fessurazione, riduzione di forza e possibile disintegrazione.
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Pilastri, travi, longheroni e traverse vengono usati per lo scheletro portante, rivestito poi da una pelle, elemento di confine dell’involucro edilizio, realizzata con altri manufatti modulari in forma di pareti scorrevoli, finestre e verande che consentono una piena integrazione della casa con l’ambiente naturale esterno e con i fattori climatici.
La cultura giapponese in tutte le sue espressioni offre sempre uno spazio libero per l’interpretazione soggettiva, non proietta mai una luce diretta ma lascia che nell’ombra possano essere percepite infinite sensazioni. Anche i più semplici materiali, quali il calcestruzzo, la pietra o il legno, in particolari condizioni di luce possono diventare elementi rappresentativi del bello e della dimensione spirituale dell'uomo, e Tadao Ando fa tesoro di questo insegnamento nelle sue opere, donandoci sensazioni sublimi nella percezione dello spazio dell’architettura.
L’interasse dei pilastri veniva stabilito in base alle dimensioni del tatami Prima il tatami, poi i pilastri. Prima il legno, poi la pietra. Ciò dimostra quanto il legno sia sempre stato un materiale profondamente legato alla storia e alla cultura giapponesi.
2.1 Materiali e forme, luci ed ombre Tadao Ando nasce ad Osaka nel 1941. Numerose monografie che ne presentano progetti e realizzazioni evidenziano i legami della sua cultura di autodidatta con la tradizione giapponese e le influenze occidentali, ma in pochi casi è stata messa in evidenza la sua personale maniera di usare i materiali dell’architettura come protagonisti del gioco di luci ed ombre nell’articolazione dei volumi, e di concepire il loro assemblaggio tramite una serie di dettagli costruttivi di grande suggestione.
2.2 L’architettura giapponese Per comprendere a fondo l’architettura di Tadao Ando è necessario ripercorrere a grandi linee lo sviluppo storico dell’architettura giapponese. Le vere radici dell’architettura giapponese affondano nel rapporto che lega il Giappone alla Natura. 2.2.1 Le case rurali Nelle case rurali giapponesi, il pilastro centrale è l’elemento cardine della struttura e della composizione, al quale viene aggiunto un ulteriore elemento modulare: il tatami, stuoia rettangolare che costituisce il modulo generatore della casa giapponese (Figura 2.1).
15 2. Tadao Ando
Figura 2.1: Stanza con tatami 2.2.2 Le case da tè Lo stile delle case da tè, che si sviluppa nel XV secolo, ha poi notevolmente influenzato l’organizzazione dello spazio architettonico dell’abitazione anche in relazione alle esigenze strutturali, liberando la pianta dai pilastri, che venivano spinti al perimetro, comportando però qualche complicazione nella costruzione del tetto (Figura 2.2). Ebbe anche influenza sull’organizzazione dello spazio esterno a giardino, nel quale fecero prima comparsa le “pietre da guado”. Il fatto che il giardino potesse essere contemplato dall’interno della casa o che, viceversa, la casa potesse essere raggiunta attraversando il giardino in un mutare continuo di percorsi e prospettive, era alla base di una filosofia che esprime l’amore dei giapponesi per la natura, luogo di estensione dello spazio interno economicamente ridotto. Tutto ciò fondava la propria costruzione su volumi puri, sulla soppressione del decoro, sul montaggio di elementi semplici e sull’eliminazione dell’insignificante.
La pietra naturale veniva usata in forma di grandi elementi, arrotondati dallo scorrere dell’acqua dei torrenti, e ciò costituiva legame con il paesaggio e pertanto non doveva essere in nessun modo modellata dall’uomo ma messa in opera nella sua forma inalterata, perché secondo i giapponesi nessuno può superare la natura nel dare forma agli oggetti. Legno e pietra sono dotati di una loro personalità che può solo valorizzare l’opera dell’uomo.
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Figura 2.2: Casa da tè 2.2.3 Gli edifici del Secondo Dopoguerra È interessante notare come, dall’architettura giapponese, l’Occidente abbia tratto degli insegnamenti che, rielaborati e filtrati con un diverso spirito, sono poi ritornati in Giappone dando luogo all’architettura del secondo dopoguerra.
Ecco, infatti, che la prefabbricazione conobbe un notevole incremento: si doveva infatti ricostruire tanto in tempi brevi. Ma la prefabbricazione non riuscì che in minima parte a soddisfare il fabbisogno edilizio.
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Dopo il 1950, in Giappone l’attività edilizia conobbe un forte impulso: vennero realizzati molti centri polifunzionali. Per la realizzazione di queste grandi opere venne adoperato su larga scala il calcestruzzo armato con superfici a vista, materiale affatto estraneo alla tradizione costruttiva giapponese ma plasmabile in forme che potevano essere disegnate in modo da riportare alla memoria gli elementi formali tipici della storia dell’architettura classica.Negli anni Settanta del XX secolo, apparvero nuove architetture che legavano tradizione e modernità. Il calcestruzzo in vista dominava la scena imponendosi non solo negli elementi strutturali ma anche nei dettagli di completamento dell’edificio, come le coperture dai bordi ricurvi (Figura 2.3), le balaustre delle scale, le balconate.
Figura 2.3: Concert Hall, Tokyo (Giappone), Kunio Maekawa, 1961


L’architettura di Tadao Ando mira a creare suggestioni, far vivere emozioni attraverso spazi inventati dall’uomo che abbiano la forza di sorprendere più di quanto possa fare la sola natura, esaltandone gli elementi (luce, acqua, vento…) tramite una ricercata interazione con gli elementi artificiali della costruzione.
Richiamandosi alla classica razionalità dell’architettura occidentale, prende dunque le distanze sia dai maestri Sachio Otani (1924 2013) e Junzo Sakakura (1901 1969) sia dai suoi contemporanei che maggiormente si sono espressi in architetture tecnologicamente all’avanguardia. Infatti, egli propone un minimalismo che non significa rinuncia ed impoverimento del linguaggio ma, al contrario, ricchezza di contenuti ideologici. Rispetto ai maestri del Movimento Moderno, Ando ricerca una maggiore complessità degli spazi, non rinunciando al potenziale simbolico ed emotivo di “percorso di avvicinamento al centro” tipico della cultura giapponese legata alla casa da té. Per meglio comprendere lo spirito orientale che pervade i progetti di Ando, si riporta il commento dello scrittore e critico d’arte giapponese Masao Furuyama (1947 ), il quale sottolinea la contestazione di Ando nei confronti della società moderna e dei suoi valori, primo fra tutti il comfort: “Ando nega il comfort, e così facendo tenta continuamente di ristabilire la relazione fisico dinamica dell’individuo con il mondo e di intensificare i nostri poteri di percezione. D’altronde il comfort è responsabile dell’indebolimento dell’uomo, nel fisico e nella capacità di percezione.”
Come in molte architetture tradizionali (santuari scintoisti, templi buddhisti, case da tè…), il percorso non è mai diretto ma si snoda attraverso una serie di prospettive arricchite da specchi d’acqua e spazi verdi che creano lo stato d’animo adatto alla visione finale dell’architettura.
18 2.3 L’architettura di Tadao Ando 2.3.1 Pensiero e filosofia di progetto legati alla cultura orientale
Per Ando l’architettura è insieme rappresentazione ed astrazione, ed esplica quella mediazione attraverso la quale l’uomo incontra la natura intesa come ambiente caratterizzato dalle sue componenti mutevoli della luce e del vento, così come il concetto di ambiente viene espresso dalla parola giapponese fukei (indicante il paesaggio) composta dai vocaboli fu (vento) e kei (luce del sole).
Le architetture di Tadao Ando sono fondate su di una geometria elementare, composta prevalentemente da quadrati e cerchi impostati su reticoli modulari che non inducono monotonia della rappresentazione, ma sono interrotti da tagli ed interstizi che ben si possono definire quali pause di riflessione, nelle quali l’uomo ritrova sé stesso nella penombra e nel silenzio dello spazio architettonico.
Ando si è spesso cimentato in luoghi particolarmente significativi o per la loro bellezza naturale o per la difficoltà intrinseca all’inserimento di un’architettura. Sebbene i primi progetti di abitazioni (Figura 2.4), per la limitata estensione delle superfici disponibili, non gli ponessero il tema dell’architettura dello spazio esterno, il luogo modificato dall’intervento dell’architetto non risulterà mai anonimo seppure scarno nella sua apparente semplicità. È il silenzio dei suoi progetti a renderli così riconoscibili nel rumoroso tumulto causato dal disordine delle piccole costruzioni tradizionali e degli altrettanto irrazionali e tecnologici virtuosismi più attuali. Il metodo di lavoro Ando parte sempre da un’attenta osservazione del luogo del progetto, che viene immediatamente riprodotto in scala con un modello a curve di livello, che serve come materiale di studio per il rapporto con l’architettura.
2.3.2 Luogo ed architettura Tadao Ando afferma: “Un luogo possiede sempre un campo di forze che riguardano l’uomo e che hanno una lingua pur non essendo questa ancora un linguaggio. La logica della natura si manifesta soggettivamente e si rende gradualmente chiara solo a coloro che si applicano seriamente per intenderla. L’architettura è sostanzialmente l’espressione del modo con cui si danno risposte alle domande poste dal luogo, la logica dell’architettura deve adattarsi a quella della natura. Scopo dell’architettura è creare ambienti nei quali natura e progetto coesistono seppur in aperto contrasto. L’architettura non è semplice manipolazione di forme, ma è costruzione di spazi, e soprattutto di luoghi che fondano spazi. Per questo io mi trovo sempre a lottare con l’ambiente e solo in seguito riesco a vedere l’architettura come un luogo diverso.”
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Ando, nell’affermazione che qui di seguito viene riportata, esplica quali siano i princìpi sui quali egli fonda e crea le proprie opere: “Io penso che un edificio, per essere considerato un’architettura, debba includere tre componenti. Come prima cosa il Luogo. Il luogo è il prerequisito che sostiene la forza dell’architettura. Io ritengo che la vocazione all’architettura è di percepire e soddisfare la logica ineffabile del luogo, la forza peculiare prodotta dal luogo è rispondere a se stesso. Il secondo momento è la Geometria. La geometria supporta il cuore e la struttura dell’architettura. Pertanto, mi spiego le forme come volumi ideali che in molti casi coinvolgono strutture tridimensionali. Il terzo momento è la Natura, ma io non intendo la natura nel suo carattere incontaminato, bensì in quello che si potrebbe definire la natura creata dall’uomo. Io penso che la natura abbia ispirato qualche tipo di ordine che è stato isolato dal caos ed è stato reso astratto nei termini di luce, acqua e vento. Quando questo tipo di natura è introdotto nell’architettura composta di materiali grezzi e di geometria noi troviamo che è l’architettura ad essere vera. Solo con materiali, geometria e natura l’architettura può acquisire forza e gloria. Può commuoverci ed ispirarci come nel Pantheon, il cui splendore è dato soltanto da quell’umana ragione chiamata architettura.”
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Secondo Tadao Ando, “l’architettura è l’arte di articolare lo spazio per mezzo della geometria” . Geometria che per lui è composizione di volumi elementari, prismatici o cilindrici che spesso si compenetrano secondo angolazioni precise determinando quelle pause spaziali che diventano elementi caratterizzanti l’architettura.
Figura 2.4: Casa Azuma, Osaka (Giappone), 1976 2.3.3 Geometria e materiali La geometria è lo strumento razionale alla base del progetto e, insieme ai materiali ed alla natura, ovvero alle componenti percettive di carattere emotivo, configura la grande pienezza delle sue architetture.
“L’ordine deriva dalla geometria, le cui premesse sono forme semplici, quali le parti ottenute dividendo un quadrato, un rettangolo o un cerchio. (Figura 2.5) (…) Di fronte alla casa dove sono cresciuto si trovava la bottega di un falegname ove, da bambino, trascorrevo parecchio tempo tentando di trarre dal legno le prime forme… Ne ho derivato una conoscenza fisica della personalità del legno, della sua fragranza, delle sue fibre e la comprensione dell’assoluto equilibrio che si instaura tra la forma e il materiale… in seguito tutti i miei interessi si sono concentrati sull’architettura che implica lo studio delle relazioni intime tra materiale e forma, tra volume e vita.” (T. Ando) Le forme geometriche delle architetture di Ando si inverano attraverso l’uso di materiali che sono quasi sempre naturali. La pietra, il legno, la canna, il calcestruzzo armato (considerato ormai un materiale naturale) vengono adoperati in vista, ovvero senza alcun rivestimento che ne possa alterare il valore espressivo.

Il calcestruzzo armato Il calcestruzzo in vista che viene adoperato nei suoi fabbricati viene studiato a lungo nella sua composizione, in precedenza al getto, sia per quanto riguarda la granulometria degli inerti che la sua consistenza allo stato fresco, raggiungendo, con uno slump estremamente ridotto, una compattezza che consente di ottenere superfici durevoli, specialmente se trattate con vernici idrorepellenti.
Per ottenere un calcestruzzo di questa qualità è necessaria una disciplina che si avvale di accorgimenti raffinati: la miscela di calcestruzzo strutturale deve avere uno slump di 6,3 inches invece dello standard che è di 8. Un numero più basso significa che la miscela è più consistente, è più difficile da lavorare ma mantiene meglio la forma data dalla cassaforma; consente inoltre la stesura di superfici nette anche con forti pendenze.
La buona riuscita dei suoi edifici è garantita anche dalla disposizione dei ferri d’armatura ad una distanza l’uno dall’altro non inferiore ai 4 cm circa; dall’accurata vibrazione cui viene sottoposto il getto; infine, dall’impiego di casseforme che garantiscono una perfetta tenuta dell’acqua al fine di assicurare la compattezza delle superfici del cemento e di evitare fessurazioni. Simili risultati vengono ottenuti grazie alla straordinaria qualità della carpenteria in legno. L’uso di materiali naturali che invecchiano lentamente col tempo fa in modo che l’uomo si senta parte della costruzione. Anche l’acqua è considerata un materiale da costruzione, sia allo stato di immobilità che in forma ruscellante o di cascata in parete verticale. 2.3.5 Natura e forma “Non credo che l’architettura debba comunicare in maniera eccessiva; è preferibile che si mantenga silenziosa, consentendo alla natura, attraverso manifestazioni quali il vento o la luce del sole, di parlare in sua vece. Queste presenze animano lo spazio, ci rendono partecipi del mutare delle stagioni, raffinano la nostra sensibilità” (T. Ando) Il rapporto tra l’architettura di Ando e la natura si pone molto più avanti del semplice inserimento in un contesto ambientale. Egli dedica molta attenzione agli elementi naturali, e
Figura 2.5: Fabrica, Treviso (Italia), 1994 2.3.4
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22 adopera la luce solare, il vento e la pioggia come fattori intrinseci dell’architettura, che coinvolgono l’uomo nell’opera costruita.
“
La progettazione dei dettagli costruttivi Tadao Ando ha sempre rivolto grande attenzione ai materiali e alle tecnologie costruttive.
Il gusto e la capacità esplicati nel lavorare il legno gli sono certamente derivati dallo studio dell’architettura tradizionale della sua terra e dalla pratica sperimentazione nelle sue prime case. Anche l’uso della pietra si può dire derivi dall’osservazione dell’architettura tradizionale giapponese, mentre certamente quello del calcestruzzo cementizio armato trova radici nell’opera di Le Corbusier e Luis Khan, dal quale questo materiale era considerato un prodotto della mente, il cui ordine naturale andava conosciuto a fondo per poter essere adoperato. Il calcestruzzo armato è usato da Ando sia per realizzare murature che per articolare quei caratteristici reticoli cubici con travi e pilastri non certamente esili.
Le superfici, sempre rigorosamente a vista, sono caratterizzate dalla tessitura delle casseforme e dalla presenza dei fori dei tiranti che scandiscono la superficie in ordinata successione (Figura 2.6). Nonostante la compattezza del calcestruzzo, ottenuta con lunghi studi e sperimentazioni della sua tecnologia, spesso si è dovuto, per aumentarne la durabilità, verniciarlo con prodotti idrorepellenti, che in determinate condizioni di luce hanno anche prodotto un effetto estetico più vicino a quello dei materiali naturali. Nel trattare la superficie del calcestruzzo, Tadao Ando ha curato anche molto i particolari costruttivi facendo in modo di evitare annerimenti da muffa e macchie di colatura dell’acqua, accentuate dal clima umido, che si può ritrovare in Giappone così come a Venezia, città che ha ospitato i suoi restauri in Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
Anche quando ha dovuto adoperare tecnologie più moderne, che imponevano l’uso dell’acciaio, vetro e dell’alluminio, materiali fondamentali del XX secolo, ha cercato di fondere pensiero e forma.
La luce ed il vento, ad esempio, assumono un preciso significato allorché all’interno di un’abitazione si presentano come ritagli della realtà esterna, come frammenti che evocano la pienezza dell’architettura. Le mie forme si modificano e acquistano un significato sia utilizzando elementi naturali quali la luce e l’aria, che rendono percepibile il trascorrere del tempo e delle stagioni, sia attraverso gli accadimenti della vita”. Solo a contatto con un’architettura che contempla la natura come parte di sé stessa l’uomo riuscirà a percepire lo spazio come parte di sé. 2.3.6
23 Figura 2.6: Esempio di parete in calcestruzzo armato con superfici a vista e fori da cassaforma, Conference Pavilion, Vitra Campus, Weil am Rhein (Germania), 1993

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Le sue funzioni nel tempo furono molteplici: luogo di vedetta, di ispezioni, e di controlli e magazzino Figura 3.1: Punta della Dogana, Venezia 3.1.1 L’edificio originale: dalla fondazione ai giorni nostri Punta Dogana è una struttura quattrocentesca a forma pressoché triangolare, mentre l’interno è formato da otto spazi longitudinali suddivisi da muri a mattoni a vista e sorretti da possenti capriate lignee.
25 3. Punta della Dogana 3.1 Collocazione e cenni di storia Sulla punta di Dorsoduro, all’incrocio tra il Canal Grande ed il Canale della Giudecca, sorge la struttura triangolare che ospita Punta della Dogana (Figura 3.1).
L’edificio si compone di tre parti fondamentali: la punta vera e propria, costituita da una torre quadrangolare con due ordini e con copertura a padiglione, sormontata da una sfera sostenuta da statue. La torre ricorda un’antica struttura difensiva all’imbocco del Canal Grande la parte dei vecchi uffici doganali, piccoli vani senza soluzione di continuità la parte dei magazzini, costituita da una serie di vani longitudinali di dimensione crescente, che si sviluppano fino al campo della Salute

26 Si tratta di un edificio che copre un’area di 4500 m², costruito per essere un ufficio doganale marittimo, ricostruito più volte nel corso della storia a seguito di motivi economici.
La funzione originaria della struttura e la sua integrità vennero meno: i terminali marittimi, i magazzini ed i depositi vennero spostati altrove, determinando un abbandono dell’edificio e la sua svendita ad altri utilizzatori. Da questo momento cominciò il degrado interno dell’edificio, finendo con l’essere utilizzato come deposito occasionale di scarso valore.
A metà del 1900 vennero venduti 1250 m² dell’edificio doganale all’adiacente Seminario Patriarcale di Venezia, che dunque detiene parte della prima grande tesa.
L’edificio fu costruito nel 1486 dall’olandese Erhard Reuwich. La gran parte della sua forma attuale si deve ad un restauro del 1682 di Baldassarre Longhena, mentre la parte in stile barocco (lo scenografico accesso dalla parte della laguna, realizzato in pietra) si deve a Giuseppe Benoni e risale al 1670. Nell’Ottocento, l’edificio presentava il famoso accesso con colonne e pilastri in marmo e le facciate retrostanti con sei archi per parte. I magazzini medievali adiacenti alla Basilica di Santa Maria della Salute erano tuttavia trascurati, in stato di degrado, in nulla cambiati dall’era dalla loro costruzione. Vennero perciò svolti nel 1823 da Alvise Pigazzi dei lavori di manutenzione, che si occuparono di risanare i magazzini. Furono così realizzate le divisioni interne longitudinali che vediamo oggi. Nel periodo immediatamente successivo vennero costruite le colonne ottagonali in cotto in doppia fila per il sostegno di un nuovo solaio. Gli ultimi cambiamenti avvennero nel 1872, e vollero trasformare il più possibile l’edificio in un’architettura di tipo industriale. Vennero demolite le tramezzature, le scale, gli infissi ed altri elementi dalla superficie esterna, portando il fabbricato ad una forma che fosse il più lineare possibile. Fu realizzata in questo periodo la grande sala quadrata al centro del complesso, con i due enormi pilastri a sezione quadrata a sostegno di un possente tirante ligneo. Intorno alla struttura vennero articolati due ballatoi, sostenuti da 32 mensole in ferro battuto, per raggiungere i quali fu costruita una sala in pietra d’Istria.
A partire dagli anni ‘90 l’edificio doganale tornò ad essere un argomento discusso. Cominciarono ad interessarsi ad esso, per un restauro e per la sua trasformazione in sede culturale, il Comune di Venezia, la Regione Veneto ed il Ministero dei Beni Culturali. 3.1.2 Il concorso del 2001 Edificio molto amato dai veneziani, soprattutto grazie alla posizione strategica e molto elegante, Punta della Dogana divenne finalmente oggetto di un concorso per la sua ristrutturazione, finanziato dalle fondazioni Guggenheim e Pinault.
Era necessario riportare l’edificio al suo assetto originale (prima della vendita di una sua parte al seminario), ricostruire le parti danneggiate e non a norma e dotarlo di impiantistica,
27 per trasformarlo in un grande spazio espositivo in grado di ospitare mostre temporanee d’arte contemporanea.Ilconcorsohavisto
I lavori di restauro iniziarono nel 2004 con la pulizia degli elementi interni e la “svuotatura” dell’edificio, affiancati dall’intervento per la costruzione di un teatrino a Palazzo Grassi, sempre con un’iniziativa finanziata dalla Fondazione Pinault.
La struttura venne scoperta e consolidata per motivi strutturali e fu necessario garantire la salvaguardia dell’edificio dall’acqua alta, problema di enorme rilevanza per la città di Venezia.
Figura 3.1: Una delle sale espositive di Punta della Dogana
tra i suoi partecipanti lo studio di Zaha Hadid, proposto dalla Fondazione Guggenheim, ma fu vinto da Tadao Ando, proposto dalla Fondazione Pinault. Ando seppe proporre un progetto chiaro, efficace, istruttivo, in grado di garantire la salvaguardia e la valorizzazione della struttura esistente pur non rinunciando ad inserire materiali moderni, come il calcestruzzo ed il vetro. 3.2 La trasformazione Con grande rispetto per la sua forma iniziale, il restauro di Punta della Dogana intendeva dialogare con la città di Venezia, pur rispondendo alla forte domanda di contemporaneità.
Il problema maggiore risiedeva nel rispetto delle leggi italiane a tutela del patrimonio storico: era di fondamentale importanza che l’edificio rimanesse inalterato nel suo aspetto interno ed esterno, pur aggiungendo elementi moderni che garantissero la potenzialità dell’elemento antico. Nella parte centrale del complesso si trova un ampio spazio illuminato da luce zenitale. Proprio in questo spazio Tadao Ando ha collocato un volume con pareti in calcestruzzo a vista, affiancato da una scala che porta dal piano terra al primo piano. (Figura 3.1)

I serramenti sono ispirati a quelli che si possono trovare nel Negozio Olivetti di Carlo Scarpa, situato nella vicina Piazza San Marco. Ciò venne pensato da Ando con lo scopo di rendere omaggio all’architetto veneziano da lui ritenuto come un grandissimo maestro, e per mettersi umilmente in comunicazione con la sua opera in quanto parte integrante del Luogo in cui stava lavorando.
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Nello schema di progetto, Ando si preoccupa come prima cosa della circolazione dei visitatori: l’accesso al complesso è previsto solo dal lato ovest, ossia quello che si rivolge al Campo della Salute. Oltrepassata la reception ed il guardaroba (attraverso cui è possibile accedere anche ai bagni) il visitatore procede addentrandosi nella struttura, procedendo sul lato che costeggia il Canal Grande, ammirando le sale in tutta la loro grandezza, percependo soprattutto le grandi volumetrie originarie e le enormi capriate lignee, che presentano in alcuni punti dei lucernai volti a far entrare la luce zenitale.
Figura 3.2: Antico lastricato e masegni all’interno della corte quadrata L’assetto “a pettine” della pianta viene tagliato orizzontalmente da un nuovo solaio a vista, allo scopo di moltiplicare gli spazi utili. I diversi ambienti si sviluppano lungo un corridoio centrale che li collega longitudinalmente, e che crea varchi di passaggio ad entrambi i piani.
Arrivando alla terza sala, ci si addentra nel già nominato spazio centrale con i massicci pilastri ottagonali. La sala viene circondata sui quattro lati da una recinzione composta da quattro pareti in calcestruzzo spesse 30 cm, con varchi larghi due metri, grazie ai quali il visitatore può entrare nel “recinto” o “corte” (che nei primi progetti era cilindrico), al piano terra, oppure affacciarsi da sopra, al primo piano.
Gli ambienti sono flessibili, semplici, aperti ed accoglienti. L’elemento del cubo moderno in calcestruzzo al centro dell’edificio viene contrapposto al lastricato degli antichi masegni veneziani e viene pensato come cuore pulsante dell’edificio (Figura 3.2).
Il completamento dell’edificio avvenne con straordinaria rapidità dall’effettivo inizio dei lavori nel 2008, concludendosi nel 2009.

Ando si rivela estremamente attento alla conservazione dell’edificio, alle indicazioni della Soprintendenza e ai suggerimenti dei progettisti italiani. In tutte le scelte dell’architetto prevale la priorità del Vecchio sul Nuovo. Il vetro, il cemento, il metallo si appoggiano con rispetto sui laterizi secolari. Dove questi sono rovinati, la mano dell’architetto non calca, con copre, ma ne segue la traccia, ripercorrendone la memoria statica e la vicenda costruttiva. A
Nella costruzione del recinto, viene realizzato un singolo getto di calcestruzzo per ogni setto, prevedendo due giunti verticali e nemmeno uno orizzontale.
Anche l’inserimento di queste quattro “lame” che creano la corte, come le scale che portano ai ballatoi, le balaustre che li completano, il corrimano, le poche finiture, dimostrano di rispettare una regola soltanto: quella che impone che i materiali nuovi e quelli antichi si accostino senza quasi toccarsi, sfiorandosi delicatamente, in un rispetto reciproco Il peso e la dimensione dei setti in calcestruzzo hanno implicato un attento studio delle fondazioni, complicato dalla delicata situazione in cui poggia il sito di Punta della Dogana e dall’antica fondazione del muro adiacente che, nonostante i lavori di rifacimento ottocenteschi, non era mai stata tolta o quantomeno rinforzata. Venne quindi realizzata una doppia corona di pali a sostegno della fondazione dei setti in calcestruzzo: l’intervento mise al riparo il recinto da possibili cedimenti delle nuove fondazioni.
A tutto il progetto viene assegnato un unico tipo di pavimentazione, in calcestruzzo armato, con la sola eccezione dell’interno del recinto, in cui viene mantenuta l’antica pavimentazione in pietra.Perquanto
Le numerose destinazioni d’uso che si sono succedute all’interno del complesso, da deposito delle Gallerie dell’Accademia a sede di una società di canottaggio, hanno causato ferite e mutamenti dell’apparato interno che appaiono come deleteri. Rimane il segno dei tramezzi rimossi, delle scale in ferro, delle finestre, di tutto ciò che aveva contribuito a stravolgere l’originale senso trasversale dell’edificio.
I primi interventi riguardano la rimozione delle superfetazioni e dei solai in cemento armato, e lo smantellamento degli elementi architettonici novecenteschi.
Tadao Ando e il committente francese Francois Pinault si incontrano con il gruppo di progettisti italiani per discutere ogni dettaglio delle finiture, si valuta dal vero l’accostamento tra il nuovo e l’esistente, la funzionalità degli spazi rispetto alla nuova destinazione museale.
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Una rete di condutture percorre il sottosuolo fino alla quota di fondazione: per questo risulta necessaria l’impermeabilizzazione delle vasche in calcestruzzo armato per evitare infiltrazioni in caso di alta marea.
Il lavoro archeologico procede parallelamente ai primi scavi: le ricerche permettono di ricostruire la complessa vita architettonica della “Dogana da Mar” fin dai suoi albori nel 1313. Vengono scoperte le fondamenta originali, le tracce degli antichi cantieri navali del Seicento, le ampie zone quattrocentesche di pavimento di cantinelle posate a spina di pesce.
riguarda la parte impiantistica vengono realizzati cinque contenitori lungo il recinto, in grado di ospitare impianti elettrici e meccanici.
I restauratori intervengono anche sugli elementi artistici e strutturali di pietra con il consolidamento attraverso barre di acciaio inox e microiniezioni di malta e calce per eliminare ogni spazio vuoto o distacco interno. Il bugnato della facciata viene recuperato con trattamenti specifici. Durante l’estate si procede con il restauro completo della copertura con trattamenti antitarma, di sabbiatura e di consolidamento. Ogni capriata dell’ossatura del tetto verrà smontata, consolidata e riposizionata in sede, talvolta sostituita.
3.2.1 La struttura in calcestruzzo armato La realizzazione del cubo in cemento si è rivelata una delle sfide più complesse dell’intero cantiere. I muri sono in calcestruzzo armato con superfici in vista, rese lisce e lucenti come seta grazie alla stesura di uno strato di materiale ceroso all’interno della cassaforma. Sono pareti alte 7,11 metri e lunghe 16. Vengono utilizzati casseri a travi con pannelli di rivestimento in legno di betulla, con sistema di cassaforma “Vario GT24” ed è un sistema binato di travi in legno reticolari dipinte di giallo collegate a profili in ferro. Il pannello di rivestimento si compone di due manti: uno di supporto e l'altro a contatto con il getto. Prima di eseguire il getto vanno disegnati i prospetti interni ed esterni della struttura che verrà gettata, con la posizione di tutti i fori che verranno generati dalle barre di contenimento delle casseforme. Dentro alla corte, Tadao Ando mantiene l’antica pavimentazione in pietra, eliminata in tutti gli altri ambienti (Figura 3.3). Figura 3.3: Posa in opera del lastricato della corte quadrata Un altro aspetto che è stato affrontato con la massima cura è stato quello del timing di realizzazione, dato che questo influisce pesantemente sulla qualità finale del cemento. Mantenere la qualità del cemento è stato un problema, tutti i getti sono stati eseguiti tra le 19 e le 21, o tra le 4 e le 6 del mattino. È stato necessario seguire una certa granulometria, con inerti lavati (ghiaia di fiume), la betoniera completamente lavata ed un contenuto di acqua mantenuto basso.
30 loro è riservato un trattamento delicato: la tecnica detta “cuci scuci” , che consiste nel sostituire i mattoni danneggiati uno ad uno, con il grande vantaggio di poter intervenire chirurgicamente nelle aree interessate dal degrado. Per questo intervento vengono utilizzati mattoni antichi o dalle analoghe caratteristiche fisiche e cromatiche, e create malte con una composizione chimica simile all’originale.

Figura 3.4: Betoniera galleggiante e tubo flessibile per getti cementizi 3.2.3 Le ultime fasi di completamento del cantiere
Un’altra enorme difficoltà che si è dovuto affrontate era rappresentata dalle onde presenti in laguna. Con un braccio della pompa di 27 metri, un’onda di 50 cm fa ruotare la pompa di 4 metri. (Figura 3.4). Ed è anche per questo motivo che i getti venivano eseguiti di mattina presto, con un’onda prevalentemente minima.
31 3.2.2
Per portare la fabbrica al riparo sia dall’umidità sia dagli effetti delle alte maree vengono realizzate delle vasche di contenimento. Ne risultano 3300 mq di spazio espositivo.
Seconda difficoltà: la qualità della vibrazione del cemento. Nei muri di Ando servono almeno due punti di getto e più punti di vibrazione, e il vibratore deve essere sempre in immersione, va spento e poi estratto, viceversa fa schizzare gocce sulle casseforme che rimangono visibili una volta “scasserato” il getto. Ando ha un libretto di caratteristiche prestazionali rigidissime con tolleranze pressoché nulle. Tuttavia, è normale che possa verificarsi qualche imperfezione, e quando esiste Ando non vuole che venga corretta.
Secondo lui il cemento deve essere realizzato in opera, deve essere un concentrato delle risorse naturali e il risultato del lavoro degli uomini del posto, e siccome gli uomini e la natura non sono perfetti anche un muro può non essere perfetto.
Sono state utilizzate tre betoniere che partivano dalla terraferma e che impiegavano due o tre ore di navigazione per arrivare al sito. Il tutto, organizzato in modo che un tecnico potesse additivare il cemento in caso di soste prolungate o rallentamenti durante il viaggio. Il getto potrebbe peraltro variare notevolmente cambiando il tipo di inerte, qualora non ci sia la certezza che la ghiaia e i vari componenti provengano tutti dallo steso luogo, quindi, prima di ogni lavoro, Tadao Ando vuole che siano immagazzinati tutti i materiali necessari.
La conclusione della realizzazione della struttura in calcestruzzo armato porta alle ultime fasi di cantiere: la posa e la lucidatura dei pavimenti di cemento, la posa del linoleum per le superfici dei soppalchi, il montaggio di infissi e finestre, l’allestimento dell’impianto di illuminazione, videosorveglianza e condizionamento.
La difficoltà del costruire a Venezia

32 3.3 Antico e Nuovo: la nuova identità dell’edificio Il rapporto fra Nuovo e Antico è per l’architettura contemporanea un tema costante e sempre attuale, anche perché affrontato e declinato secondo una grande varietà di modi ed impostazioni. Troppo spesso ci troviamo di fronte a situazioni in cui la conservazione viene confusa con l’imbalsamazione del fabbricato, che vuole essere tenuto lontano da ogni tipo di contaminazione dal Nuovo, visto come pericolo o minaccia nei confronti del tramandare una determinata tradizione, storia, cultura. Ciò che non deve essere persa è l’identità dell’edificio, ciò che lo connota come sintesi di passato e presente, ciò che permette di leggerlo e capirlo, e lo fa diventare vettore di storie, sorgente di cultura futura Uno degli aspetti da chiarire è il ruolo che la storia assume nella progettazione. Il progetto è l’unico strumento in grado di verificare consapevolmente gli effetti trasformativi dell’intervento proposto, il loro peso; è lo strumento che fa comprendere perché conservare e che cosa conservare. È, in sintesi, un atto di regolamentazione della trasformazione, che reinterpreta senza distruggere. Anche un semplice intervento come la rifunzionalizzazione dell’edificio crea discontinuità all’interno della vita dello stesso, in quanto l’apporto di forme e materiali differenti lo avvia verso una nuova vita. Ecco, dunque, che appare evidente il motivo per il quale è necessaria una differenziazione del Nuovo dall’Antico: significa rendere autonomi e riconoscibili gli elementi di nuova formazione rispetto a quelli esistenti affinché gli uni possano raccontare le proprie storie agli altri, dando vita ad un unico nuovo racconto in cui Passato e Presente possano entrambi riconoscersi. Il progetto che si inserisce in questo contesto misura quindi una “distanza” e contemporaneamente una “sintesi” tra le individualità viste finora: tra Nuovo e Antico, tra Storia passata e Progetto del moderno.
Risulta chiaro l’approccio di Tadao Ando nel progettare all’interno del contesto di Punta della Dogana: il lavorare all’interno di un edificio ricco di storia porta inevitabilmente allo sviluppo di una volontà chiarificatrice di ciò che è venuto prima e ciò che è venuto dopo. Una nuova visione dell’edifico, una nuova realtà, una nuova identità.
Conclusioni E’ sorprendente notare quanto Tadao Ando riesca a coniugare l’identità della propria architettura con la personalità del luogo e della cultura in cui si inserisce. Sensibilità per il luogo e per lo studio dei volumi certo sono alla base della sua filosofia di progetto, ma ciò non basta per fare delle architetture di Ando opere ad alto contenuto simbolico, percettivo, sensoriale. Ciò che le contraddistingue è il legame profondo dell’architetto con i materiali, il vederci in loro strumenti di trasmissione emotiva più che meri mezzi di costruzione. Ando, attraverso determinati accorgimenti e studi di materie, forme, luci, riesce ad indurre l’uomo a riconoscersi nelle sue opere perché lo guida in un viaggio all’interno delle proprie radici di vita: radici che non sono simbolo di divisione sociale, differenza culturale, bensì, al contrario, sono potenti legami condivisibili dagli uomini e per gli uomini in quanto radici che traggono la propria Forma ed il proprio Materiale dalla più sincera delle verità: la Natura.
Bibliografia Marina Fumo, Francesco Polverino, Tadao Ando: Architettura e tecnica, Clean Edizioni, 1999
Gianangelo Cargnel, Progettazione Edilizia, 2008 ioArch Magazine, I segreti della perfezione, 2012
Philip Jodido, Ando Complete Works 1975 2014, Taschen Edizioni, 2015 Elisa Montagna, Antico e Nuovo a Venezia. Due architetture a confronto, 2018
2019Venezia